Come coordinare efficacemente contenuti, persone, flussi e tecnologie per ottenere ricavi, risparmi e riduzioni dei rischi tramite la distribuzione di informazioni utili agli interlocutori dell’azienda
Report sul libro molto interessante di John Horodyski, Inform, Transform and Outperform. Digital content strategies to optimize your business for growth, Advantage, Charleston, South Carolina, USA, 2016
Perché e come la Customer Experience è un prodotto strategico dell’azienda
Information Management, Digital Asset Management e Information Architecture
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Information (Digital Asset) Management e Information Architecture
Petra Dal Santo – KEA S.r.l. (dalsanto@keanet.it)
Information (Digital Asset) Management
Come coordinare efficacemente contenuti, persone, flussi e tecnologie per ottenere
ricavi, risparmi e riduzioni dei rischi tramite la distribuzione di informazioni utili
agli interlocutori dell’azienda
Report sul libro molto interessante di John Horodyski, Inform, Transform and
Outperform. Digital content strategies to optimize your business for growth,
Advantage, Charleston, South Carolina, USA, 2016
Il punto di partenza di John Horodyski e degli altri autori che hanno contribuito al volume è l’affermazione:
„content drives brands“, sono i contenuti a guidare i marchi, ovvero le aziende.
Oggi le audience dell’azienda si aspettano di trovare i contenuti di cui necessitano, quando, dove e nel
modo in cui ne hanno bisogno. Si aspettano di poter ricercare attivamente le informazioni oppure di
vedersele proposte proattivamente da parte delle applicazioni. L’azienda non può sottrarsi a queste
aspettative, ma deve trasformarsi in una casa editrice, in un media producer che impiega i contenuti come
asset strategici per creare valore per le audience, rispondendo via via nel tempo alla domanda: “che cosa
conta di più per il cliente? Quali sono le sue esigenze informative, formative e operative contestuali?”.
Horodyski sottolinea che in quest’ottica la forma organizzativa aziendale più adeguata è quella del
“collaborative peer-to-peer network”, cioè una struttura reticolare, formata da tutti gli stakeholder
(portatori di interessi) dell’information management, interni ed esterni all’azienda, in grado di cooperare
alla raccolta e all’elaborazione degli input (contenuti prodotti dall’azienda, user generated content [UGC,
contenuti generati dagli utenti], contenuti prodotti da parti terze, crowdsourced content, esigenze delle
audience tipiche, novità in fatto di tipi di output, piattaforme, canali e dispositivi di distribuzione, ecc.) e
alla co-creazione degli output, in un ciclo agile e reiterato.
L’ambito di cui si occupa il volume di Horodyski è il digital asset management (DAM), ovvero l’information
management, indagato dal punto di vista dell’interazione fra contenuti, persone, processi e tecnologie (fra
cui, per esempio, i sistemi di gestione dei contenuti CMS e CCMS [(Component) Content Management
System]).
Obiettivo generale dell’information management è acquisire il controllo sui contenuti intesi come asset per
metterli al servizio delle strategie e del raggiungimento degli obiettivi aziendali, distribuendoli alle audience
attraverso canali e dispositivi opportuni. Generare conoscenza, dare coerenza alla voce del marchio, ridurre
il time-to-market, cogliere nuove opportunità, comprimere tempi e costi delle attività sono fra gli obiettivi
specifici che il digital asset management di norma si prefigge.
Le leve su cui agisce l’information management, più nello specifico l’information architecture, sono
numerose. Eccole qui di seguito nel dettaglio.
Sorgente del contenuto. Il principio che guida la gestione della sorgente dell’informazione è il single source
of truth (SSOT), altrimenti detto anche single point of truth (SPOT): per ogni revisione e versione del
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contenuto / output deve esistere una sola copia. L’univocità dell’informazione va garantita anche
attraverso l’integrazione tra le fonti dati presenti in azienda e presso partner a monte e a valle della catena
della fornitura (es. fornitori, agenti, grossisti, dettaglianti, ecc.), superando problemi dovuti non solo alla
scarsa interoperabilità fra i sistemi, ma anche alla presenza di dati sporchi, duplicati e incoerenti.
Standardizzazione (formale e contenutistica) e modularizzazione dei contenuti ne favoriscono la gestione
secondo il principio SSOT / SPOT.
Ricercabilità del contenuto. SSOT / SPOT, uso e distribuzione del contenuto ne presuppongono la
ricercabilità: se è più difficile trovare un contenuto esistente che crearne uno nuovo, il comunicatore
tecnico sarà indotto a produrre duplicati, esponendo l’azienda ai rischi connessi, abbassando la sua
produttività e generando ulteriori costi (es. di traduzione). Inoltre, un contenuto irreperibile non può
confluire all’interno degli output distribuiti a un’audience, sprecando le sue potenzialità in termini di
soddisfacimento delle esigenze dell’audience. Dizionari controllati, metadati, tassonomie e – in particolare
in ambito web – semantic linked data favoriscono la ricercabilità (findability) delle informazioni.
Dizionari controllati. Definire a livello aziendale un dizionario controllato significa sviluppare una lingua
comune su cui basare metadati e tassonomie, fondamentali ai fini della ricercabilità e dell’interoperabilità
delle informazioni fra software distinti. Il dizionario controllato: standardizza i termini, se possibile in base a
dizionari di settore; formalizza sinonimi (“ponti fra i dialetti”) e acronimi; stabilisce relazioni fra concetti;
definisce le etichette degli attributi e i valori consentiti per ogni attributo. Dizionario controllato, metadati e
tassonomie sono, al pari dei contenuti stessi, asset aziendali stragici, dei quali è necessario gestire il ciclo di
vita (in considerazione, per esempio, del cambiamento del linguaggio e dei campi di applicazione).
Metadati. Metadati e tassonomie, da gestire centralmente, trasformano i contenuti in “smart asset”, in
risorse intelligenti, poiché ne influenzano in modo sensibile ricercabilità, uso e distribuzione. I metadati
raggruppano trasversalmente contenuti affini in insiemi omogenei e stanno alla base dello sviluppo di
processi automatizzati di uso e distribuzione dei contenuti: “i metadati sono il motore dell’automazione”. I
metadati sono di tipo descrittivo (es. autore, titolo, parole chiave, campi di applicazione, audience tipica,
ecc.), strutturale (es. formato, dimensioni, marcature, ecc.)e amministrativo (es. autorizzazioni, usi
consentiti, copyright, stato, periodo di validità, ecc.).
Tassonomia. L’autore sconsiglia l’adozione di più di tre livelli di classificazione gerarchica per non incidere
negativamente sulla navigabilità ed esplorabilità dei contenuti. Accanto agli schemi di classificazione
tradizionali – basati su genere / specie, universale / particolare, tutto / parte – è citata anche la
classificazione a faccette, non gerarchica e multidimensionale,.
Semantic Linked Data. I semantic linked data rappresentano l’evoluzione di dizionari controllati, metadati e
tassonomie classici. Si basano su standard aperti (es. schema.org, supportato anche da Google; RDF
[Resource Description Framework], OWL [Web Ontology Language], SPARQL [SPARQL Protocol and RDF
Query Language]), sono machine readable (interpretabili da software) e aggiungono senso ai contenuti a
cui sono riferiti, incrementando fra l’altro la rilevanza dei risultati delle ricerche. Più in generale, i software
che interpretano i semantic linked data possono automatizzare per esempio: la disambiguazione dei
contenuti; il raggruppamento di contenuti affini in insiemi omogenei; la creazione di relazioni fra contenuti;
il supporto all’esplorazione di contenuti secondo percorsi non predeterminati, ma basati su relazioni; la
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i suoi due principi basilari sono la confidenzialità e l’integrità. Per confidenzialità si intende che cosa può
essere usato, da chi, quando, dove e come. Ne sono manifestazioni la gestione di ruoli, autorizzazioni e
utenti (da allineare anche ai flussi di lavoro), nonché la gestione dei copyright in acquisto e vendita.
L’integrità, che presuppone la gestione dei contenuti secondo il principio SSOT / SPOT, si cura invece del
fatto che i dati siano completi, corretti e aggiornati.
L’autore insiste sul ruolo di supporto che la tecnologia (per esempio di CMS e CCMS) ha nei confronti di
contenuti, persone e flussi. Ecco le caratteristiche principali che ogni sistema operante nel contesto del
digital asset management dovrebbe avere:
• Interfaccia utente efficiente, efficace e soddisfacente
• Gestione di dizionari controllati, metadati e tassonomie
• Supporto alla standardizzazione, modularizzazione e gestione dei contenuti secondo il principio
SSOT / SPOT
• Navigazione e ricerca dei contenuti
• Supporto alla creazione automatizzata di output multicanale
• Gestione di sicurezza e flussi di lavoro
• Identificabilità univoca di ogni elemento a fini di monitoraggio
• Strumenti di analisi e report relativi a utenti e contenuti
• Personalizzabilità; disponibilità di documentazione, formazione e consulenza.
L’autore dedica infine un capitolo interessante alla “consumerization” di software enterprise e business. La
tecnologia consumer ha modificato le aspettative degli utenti nei confronti delle applicazioni aziendali. Ecco
una panoramica sulle caratteristiche auspicate dagli utenti:
• Uso facile e intuitivo. Il sistema non deve richiedere formazione, ma anzi nascondere la complessità
(deve “semplicemente funzionare bene”)
• Il software non deve essere un insieme di funzioni, ma guidare l’utente attraverso le fasi del
processo di sua competenza. Per raggiungere questo obiettivo è necessario un design “user-
centric”, secondo il metodo Agile, basato su iterazione e co-creazione del sistema con i destinatari
• Responsività: velocità di risposta; utilizzabilità via desktop, browser e app; adattamento al device
• Supporto alla multimedialità
• Integrazione con funzioni di contorno ritenute standard (es. calendari, notifiche, ecc.). Per ragioni di
costo e di standardizzazione del funzionamento, l’autore consiglia di integrare componenti di parti
terze, anziché sviluppare ex novo queste funzionalità
• Accessibilità via cloud
• Integrabilità all’interno dell’ecosistema software dell’azienda
• (Quasi) tempo reale nel flusso dei dati fra sistemi distinti.
Autore: Petra Dal Santo – KEA S.r.l. (dalsanto@keanet.it)