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@spazioetico. Linee guida formazione valoriale
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Note di orientamento su
FORMAZIONE GENERALE CON APPROCCIO VALORIALE
a cura di: Massimo Di Rienzo
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Il documento ha lo scopo di orientare le amministrazioni a realizzare iniziative formative volte al
miglioramento della vita lavorativa e delle condizioni degli esseri umani all’interno delle
organizzazioni pubbliche italiane, con particolare riferimento al rafforzamento e manutenzione dello
spazio etico di professionisti dipendenti o collaboratori del settore pubblico.
La metodologia formativa promuove un approccio socio-costruttivista in quanto tiene in
considerazione il punto di vista di chi osserva, di chi esamina, considera il sapere come qualcosa che
non può essere ricevuto in modo passivo (come affezione del mondo esterno) da un soggetto, ma
che emerge dalla relazione fra un soggetto attivo e la realtà.
Il modello
La definizione di “spazio etico“, introdotta da Lord Moulton attraverso la celebre parafrasi del
“comportamento non esigibile per legge” coglie uno degli aspetti più interessanti della fragilità delle
organizzazioni (pubbliche o private). L’organizzazione funziona un po’ come una forte struttura che
regola, attraverso precise prassi e norme di comportamento, la vita di soggetti che provengono da
situazioni molto diverse. Al di fuori di un rigido controllo, tuttavia, cosa avviene? Come prendono
effettivamente le decisioni le persone che ci lavorano? Che grado di autonomia esprimono nel loro
processo decisionale? Come risolvono i dilemmi etici a cui sono chiamati a rispondere nella
quotidianità e nella complessità del loro lavoro?
In effetti, di fronte ai cosiddetti “dilemmi etici” (un dilemma etico può essere descritto come una
decisione che richiede una scelta tra principi concorrenti, spesso in contesti complessi e con elevata
carica di responsabilità) la struttura viene meno, così come vengono meno i confini comportamentali
costituiti dalle relazioni tra pari e con la leadership.
Ed ecco che entra in gioco il “comportamento non esigibile per legge”, cioè, lo spazio etico. Se questa
dimensione non è stata presidiata, se lo spazio etico non è stato alimentato (ad esempio attraverso
la riattivazione di un pensiero forte ed una posizione etica anche sulle piccole scelte operate
quotidianamente) il lavoratore rischia di non saper affrontare la complessità della scelta. La conquista
di un proprio spazio etico, pertanto, è parallela alla conquista dell’autonomia.
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Un modello organizzativo dovrebbe, pertanto, promuovere un “approccio olistico”, nel senso di
guidare e orientare i propri dipendenti sia alla costruzione di solide protezioni comportamentali
(confini normativi e strutture fisiche), sia allo sviluppo di “capacità decisionale etica” (il rafforzamento
del cosiddetto “spazio etico”). In questo consiste la “doppia chiave”: rafforzare i comportamenti da
un lato e potenziare lo spazio etico dall’altro lato per fare la cosa giusta ed essere convinti che sia stia
facendo la cosa giusta.
Dunque, una moderna e corretta strategia di promozione dell’autonomia decisionale combina:
• un Approccio basato sulle regole. Promuovere l’autonomia decisionale attraverso i cosiddetti
“controlli esterni” sul comportamento dei dipendenti. Predilige regole e procedure formali e
dettagliate come mezzo per ridurre le violazioni della sobrietà e prevenire ricadute (ad es.,
standard comportamentali e regole, risk management, codice di condotta individuale e di gruppo,
ecc.) Parola chiave: CONFORMITA’
con
• un Approccio basato sui valori. Promuovere l’autonomia decisionale attraverso i cosiddetti
“controlli interni”, cioè il controllo esercitato dai dipendenti su se stessi. Questo approccio mira a
stimolare la comprensione e l’applicazione quotidiana di valori etici e per migliorare le
competenze decisionali e sviluppare autonomia attraverso sessioni formative interattive, gruppi,
consulenza individuale, ecc. Parola chiave: COMPRENSIONE
La formazione valoriale e la strategia nazionale di prevenzione della corruzione del PNA
La perdita di autonomia è un fenomeno dilagante e che a vari livelli coinvolge tutti i settori e gli ambiti
professionali nei quali siamo inseriti.
La capacità di prendere decisioni etiche in piena autonomia, in particolare, è stato in questi anni un
problema reale per il nostro Paese, sia a livello politico che amministrativo. L’etica, in questo caso,
ha a che fare con la tutela dell’interesse pubblico al quale i dipendenti pubblici dovrebbero essere
totalmente orientati nel momento in cui compiono una scelta.
Gli inglesi chiamano “civil servant” il funzionario che si “mette al servizio” dell’interesse pubblico
proprio per enfatizzare questo particolare rapporto di agenzia.
Al di là della cura dell’interesse pubblico, ci sono altri fenomeni che stanno profondamente
intaccando la tenuta etica dei nostri amministratori. Si tratta del fenomeno dell’ipertrofismo
legislativo, cioè, della proliferazione di leggi, norme, regolamenti, codici, che sta determinando un
fenomeno di “corsa all’adeguamento” e che produce nuove forme di nevrosi quali, ad esempio,
l’ipengiofobìa, cioè la paura di assumersi responsabilità o la nomodipendenza, cioè la dipendenza
dalle leggi. Entrambi i fenomeni nascondono un profondo disagio. Abbiamo precedentemente visto
come le regole producono certezze, ma troppe regole, invece, producono incertezze, nel senso che,
quando ci sono troppe regole le persone cominciano ad aver paura di infrangerle.
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Le persone cominciano ad essere ossessionate dall’ottemperanza (adeguamento) alle regole che
diventano, di fatto, l‘unico obiettivo. Le pratiche sono svolte seguendo tutte le procedure e questa è
l‘unica cosa che conta. In poche parole, le persone smettono di pensare. In altri casi, quando ci sono
troppe regole le persone cominciano a non poterne fare a meno. Le regole vengono percepite come
un modo per aumentare la performance dell‘amministrazione. Le persone cominciano a richiedere
ancora più regole perché l‘assenza di regole le fa sentire inadeguate. Anche in questo caso,
purtroppo, le persone smettono di pensare.
Mai come in questa fase, pertanto, accanto alla predisposizione di norme, regole, procedure, policy,
regolamenti, ecc., occorre rafforzare il cosiddetto “spazio etico” del dipendente pubblico e ottenere
una piena comprensione e condivisione delle regole e dei valori che costituiscono le fondamenta
etiche dei comportamenti.
Tutte le organizzazioni pubbliche italiane hanno dato il via ad un’azione di prevenzione della
corruzione per molti versi carica di aspettative e di questioni ancora tutt’altro che definite, in
attuazione della legge 6 novembre 2012, n. 190, “Disposizioni per la prevenzione e la repressione della
corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione“. Le strategie si sono consolidate nei Piani
Triennali di Prevenzione della Corruzione, documenti di programmazione contenenti varie misure
obbligatorie che, nello spirito del legislatore, dovrebbero raggiungere obiettivi a breve e a medio-
lungo periodo di riduzione del fenomeno della corruzione e di promozione della cultura dell’integrità
all’interno del settore pubblico.
Dei tre obiettivi strategici posti dal Piano Nazionale Anticorruzione (P.N.A.), il terzo “creare un
contesto sfavorevole alla corruzione” è di certo quello più sfidante. Un obiettivo di medio-lungo
periodo che impone un investimento in cultura organizzativa, ma soprattutto in una diversa “qualità
etica” dell’amministrazione. Per “qualità etica” intendiamo l’insieme delle condizioni necessarie per
il raggiungimento di un clima etico all’interno dell’amministrazione, che riflettono la capacità
dell’amministrazione stessa di stimolare la condotta etica dei dipendenti pubblici.
Il Piano Nazionale Anticorruzione, alla sezione 3.1.12., propone anche per l’Italia l’attivazione di
questa pratica attraverso una specifica misura obbligatoria “FORMAZIONE”, che deve essere inserita
nel Piano Triennale di Prevenzione della Corruzione (P.T.P.C.).
In virtù di tale disposizione, le amministrazioni dovranno attivare percorsi formativi su due livelli:
• livello specifico, rivolto al responsabile della prevenzione, ai referenti, ai componenti degli
organismi di controllo, ai dirigenti e funzionari addetti alle aree a rischio;
• livello generale, rivolto a tutti i dipendenti: riguarda l’aggiornamento delle competenze
(approccio contenutistico) e le tematiche dell’etica e della legalità (approccio valoriale).
In particolare, il Piano Nazionale Anticorruzione, a proposito di formazione generale con approccio
valoriale, riporta: “Le amministrazioni debbono avviare apposite iniziative formative sui temi
dell’etica e della legalità: tali iniziative debbono coinvolgere tutti i dipendenti ed i collaboratori a vario
titolo dell’amministrazione, debbono riguardare il contenuto dei Codici di comportamento e il Codice
disciplinare e devono basarsi prevalentemente sull’esame di casi concreti; deve essere prevista
l’organizzazione di appositi focus group, composti da un numero ristretto di dipendenti e guidati da
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un animatore, nell’ambito dei quali vengono esaminate ed affrontate problematiche di etica calate
nel contesto dell’amministrazione al fine di far emergere il principio comportamentale eticamente
adeguato nelle diverse situazioni“.
La lettura di queste disposizioni ci porta a considerare la cosiddetta “formazione generale con
approccio valoriale” (formazione valoriale) come uno strumento di recupero di efficienza ed efficacia,
nonché di credibilità complessiva, del settore pubblico in Italia. Il modello contiene tutti gli elementi
che, attraverso la formazione valoriale, potranno essere trasferiti ai dipendenti pubblici in questa
nuova prospettiva. Per questo crediamo che una naturale evoluzione della Scuola sia proprio nello
sviluppo di contenuti e modelli formativi per il settore pubblico che necessità (forse anche più di
qualsiasi altro settore) di metodologie innovative in materia di formazione.
La costruzione di un dilemma etico.
Il dilemma ha che fare con una questione profonda che riguarda l’apprendimento dell’etica.
Intanto, cosa è l’etica? Prendiamo una definizione più o meno riconosciuta: “In filosofia, ETICA indica
una branca di tale disciplina che studia i fondamenti razionali che permettono di assegnare ai
comportamenti umani uno status deontologico, ovvero distinguerli in buoni, giusti, leciti, rispetto ai
comportamenti ritenuti ingiusti, illeciti, sconvenienti o cattivi secondo un ideale modello
comportamentale (ad esempio una data morale)“. Una definizione più semplice è che l’etica, in
fondo, non è altro che riflettere su ciò che è giusto e ciò che è sbagliato.
Sembra che l’insegnamento dell’etica abbia a che fare più con l’apprendere un metodo piuttosto che
un contenuto. Rispetto al modello comportamentale, l’etica non è altro che la riflessione sulla
compatibilità del proprio sistema di valori, e dei comportamenti ad esso direttamente collegabili, con
una data morale che, il più delle volte è iscritta in una norma o in un gruppo di norme (ad esempio,
per i dipendenti pubblici nelle regole del Codice di Comportamento).
Allora più che insegnare l’etica, sarebbe il caso di fornire uno spazio e un tempo alle persone per
riflettere individualmente e collettivamente sulle proprie scelte, accettare che un “altro da me” possa
mettere in discussione i comportamenti che assumo, proprio in virtù del fatto che tali comportamenti
sono lo specchio di una riflessione (o di una mancata riflessione) su ciò che è giusto e ciò che non è
giusto fare quando si è nella delicata posizione, ad esempio, di decisori pubblici.
La riflessione sull’etica delle scelte pubbliche è prevalentemente uno strumento di
prevenzione perché, oltre a ri-avviare una riflessione collettiva su tematiche quali, ad esempio, il
conflitto di interessi, il comportamento nei rapporti con il pubblico, il contributo che ognuno può
dare alla strategia anticorruzione, ha l’effetto soprattutto di rafforzare le persone a prendere una
posizione, in autonomia dal proprio gruppo o dalla leadership. E le leadership imparano che una
posizione diversa dalla loro non è attentato di lesa maestà, ma un contributo importante proprio ai
fini di prevenire comportamenti illeciti o dannosi per la collettività.
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La formazione sulle regole di comportamento
La chiarezza riguardo alle aspettative che un’organizzazione ha nei confronti dei comportamenti del
personale è un elemento cruciale per la promozione dell’autonomia del personale.
La chiarezza ha a che fare con norme, regolamenti, politiche dell’organizzazione e di norma, tali
regole si consolidano in uno o più documenti (Codice di Comportamento/Codice Etico) oppure in
procedure (policy, protocolli, regolamenti, ecc.).
Sembrerebbe naturale ritenere che la chiarezza delle regole sia un fatto di per se acquisito dal
personale che, attraverso la semplice lettura delle disposizioni contenute nel Codice Etico (o Codice
di Comportamento), possono orientare il loro comportamento e prendere le decisioni giuste al
momento giusto.
Non è proprio così che stanno le cose, nel senso che per fare chiarezza sulle regole non basta
codificarle. Proprio come per un’organizzazione è cruciale il meccanismo della “riqualificazione”
costante, così è cruciale il lavoro di costante rafforzamento dello “spazio etico” del personale.
A questo proposito, le iniziative formative debbono coinvolgere tutto il personale ed i collaboratori
a vario titolo di un’organizzazione. Queste iniziative formative debbono riguardare il contenuto del
Codice di comportamento (e del Codice Etico) e si basano prevalentemente sull’esame di casi
concreti. Sono previsti appositi focus group guidati da un supervisore/facilitatore, nell’ambito dei
quali vengono esaminate ed affrontate problematiche di etica calate nel contesto organizzativo al
fine di far emergere il principio comportamentale eticamente adeguato nelle diverse situazioni.
Questo tipo di formazione può essere utilizzata per la “determinazione” (a posteriori) delle regole di
comportamento. Se concepita come laboratorio aperto, con metodologie socio-costruttiviste (cioè
dove la conoscenza si forma attraverso il contributo dei partecipanti piuttosto che dal docente), è
l’attività giusta per ragionare insieme almeno agli attori interni su quali regole servano veramente
per quella specifica organizzazione a valle di un processo di codificazione già avvenuto, ma ancora
aperto.
Per questo i codici di comportamento non dovrebbero essere “chiusi” (non lo dovrebbero essere mai
in nessun caso). La virtù di un’organizzazione risiede, infatti, nella sua capacità di mettere in
discussione le regole e, per il personale, di poter affrontare con il dovuto supporto la gestione dei
dilemmi etici.
La formazione generale con approccio valoriale rappresenta una metodologia di formazione basata
sui cosiddetti “real-life scenario“, cioè su scenari reali, rilevanti, dove è richiesta una competenza non
solo professionale ma anche e soprattutto etica.
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Attraverso questo approccio, si interpreta la formazione come l’arte della manutenzione dello spazio
etico del personale che si trova ad affrontare situazioni per le quali le regole non sono sufficienti a
fondare una decisione.
La costruzione di un dilemma etico: i 6 passaggi
1. IDENTIFICA UN DECISORE PUBBLICO.
• Il protagonista deve essere SEMPRE un «operatore pubblico»
• Specificare SEMPRE in quale ufficio lavora e (eventualmente) le sue mansioni
• Deve essere un protagonista che facilita il processo di identificazione, descrivi alcuni
particolari che lo rendono più vicino allo stato d’animo dei partecipanti
2. INSERISCI LE INFORMAZIONI RILEVANTI
• Le circostanze possono appartenere ad un caso vissuto in prima persona o raccontato.
Costruisci comunque una narrazione credibile
• Le forze che intervengono possono essere di vario tipo
– Pressione di status (Prestigio, Feel-good, ecc…)
– Guadagno (Economico, di posizione, ecc…)
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– Relazionale (Relazione tra pari, relazione con l’autorità, ecc.)
– Emozioni (Paura, rabbia, ecc..)
– Asimmetria (Relazionale, informativa, ecc…)
– Conflitto di interessi (amicizia, familiarità, interessi economici, ecc…)
– …
3. IDENTIFICA LE DECISIONI ALTERNATIVE
• Non devono essere le decisioni più giuste, devono essere le decisioni che possono venire in
mente al protagonista
• Ricordati di inserirne una più compatibile con l’etica pubblica
• Ricordati di inserirne, se possibile, una provocatoria o esilarante
• Meglio se le decisioni vengono identificate insieme ai partecipanti alla formazione
4. ASSEGNA AD OGNI DECISIONE PRINCIPI DIVERSI
• E’ la parte più importante del processo. Il caso serve a rendere «vivi» i principi e le regole, ad
incarnarli all’interno di decisioni e scelte dell’operatore pubblico
• Dai il giusto spazio alla discussione sul «senso» di questi principi e da dove provengono (storia
e tradizione culturale di provenienza, se ricostruibili)
5. IDENTIFICA LE IMPLICAZIONI DELLA DECISIONE
• A volte le implicazioni determinano la scelta. Conoscerle significa operare una scelta
consapevole
• La ragione per cui le persone scelgono contro l’etica pubblica risiede, spesso, in una errata
percezione delle implicazioni di breve, medio e lungo periodo, privilegiando gli effetti
immediati e non considerando gli effetti di medio-lungo periodo
6. IDENTIFICA LA DECISIONE PIU’ COMPATIBILE CON L’ETICA PUBBLICA
• E’ importante chiudere il caso indicando la scelta più compatibile con l’etica pubblica
• Ricordati di collegare, se possibile, il caso con il Piano Triennale di Prevenzione della
Corruzione dell’organizzazione, con la mappatura dei processi, l’analisi dei rischi e le misure
di mitigazione del rischio previste dall’organizzazione
I dilemmi etici per la ricostruzione del contesto interno dell’amministrazione
Come noto, l’adozione del Piano Triennale di Prevenzione della Corruzione (PTPC) non si configura
come un’attività una tantum, bensì come un processo ciclico in cui le strategie e gli strumenti
vengono via via affinati, modificati o sostituiti in relazione al feedback ottenuto dalla loro
applicazione.
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Il PTPC ha bisogno, come ogni piano di prevenzione, di informazioni qualificate e aderenti con il
contesto di riferimento. In particolare, il capitolo dedicato all’analisi del contesto interno rappresenta
uno degli elementi centrali dell’intero Piano e, di contro, uno degli elementi più difficili da ricostruire.
Figura – La strategia della prevenzione della corruzione
Per l’analisi del contesto interno si ha riguardo agli aspetti legati all’organizzazione e alla gestione
operativa che influenzano la sensibilità della struttura al rischio corruzione. In particolare essa è utile
a evidenziare, da un lato, il sistema delle responsabilità e, dall’altro, il livello di complessità
dell’amministrazione o ente.
Al fine di ricostruire correttamente il contesto interno, il PNA raccomanda di considerare i seguenti
dati:
• organi di indirizzo,
• struttura organizzativa,
• ruoli e responsabilità;
• politiche, obiettivi, e strategie;
• risorse, conoscenze, sistemi e tecnologie;
• qualità e quantità del personale;
• cultura organizzativa, con particolare riferimento alla cultura dell’etica;
• sistemi e flussi informativi,
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ANALISI DEL CONTESTO
• ESTERNO
• INTERNO
2.
VALUTAZIONE DEL
RISCHIO
• MAPPATURA DEI PROCESSI
• IDENTIFICAZIONE DEL
RISCHIO
• ANALISI DEL RISCHIO
• PONDERAZIONE DEL RISCHIO
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TRATTAMENTO DEL
RISCHIO
• IDENTIFICAZIONE
DELLE MISURE
• PROGRAMMAZIONE
DELLE MISURE
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• processi decisionali (sia formali sia informali);
• relazioni interne ed esterne.
Come raccogliere informazioni rilevanti e significative per costruire una analisi del contesto interno
credibile? Si tratta, cioè, di osservare la realtà dei molteplici comportamenti organizzativi con “nuove
lenti” al fine di ricostruire un contesto interno credibile e valutare il rischio corruttivo.
Di seguito, proponiamo una modalità esemplificativa attraverso cui, partendo da un dilemma etico,
possiamo accompagnare i referenti del RPCT a sviluppare una nuova modalità di rilevazione del
contesto interno, al fine di qualificare le informazioni che entreranno a far parte del PTPC. Secondo
il P.N.A., infatti, i referenti per la prevenzione per l’area di rispettiva competenza svolgono ATTIVITÀ
INFORMATIVA nei confronti del responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza
(RPCT), affinché questi abbia elementi e riscontri sull’intera organizzazione ed attività
dell’amministrazione, e di costante monitoraggio sull’attività svolta dai dirigenti assegnati agli uffici
di riferimento.
Quali elementi e riscontri suggeriresti al RPCT se fossi testimone del seguente caso?
- Marta è un operatore sanitario che da poco lavora presso il dipartimento di chirurgia
generale dell'Ospedale di XY.
- In questa prima fase si è trovata a gestire le procedure di ricovero programmato
occupandosi, in particolare, dell'agenda del dipartimento. Il suo lavoro è a contatto con il
pubblico che è composto, per lo più, da persone che si trovano nella spiacevole situazione di
doversi sottoporre a un intervento chirurgico.
- Un giorno Marta si trova ad avere a che fare con una paziente, Francesca, che da tempo si
prepara per essere operata.
- Marta nota che il medico chirurgo di Francesca le ha richiesto una serie di prestazioni
ambulatoriali da svolgersi in tempi rapidi e comunque prima dell'operazione.
- Una di queste prestazioni è particolarmente complessa e Francesca, che è già avvezza a
questo tipo di analisi, confessa a Marta che probabilmente non riuscirà a trovare spazio
negli ambulatori convenzionati con l’Ospedale.
- Chiedendo a uno specialista del dipartimento, Marta viene a sapere che uno dei tanti
poliambulatori presenti nel quartiere gli ha messo a disposizione dei biglietti da visita da
consegnare ai richiedenti, nel caso si trovassero a dover produrre questo tipo di analisi che
è notoriamente complessa da ottenere dal servizio pubblico.
- Il titolare del poliambulatorio gli ha assicurato, così dice lo specialista, che i propri operatori
sono in grado di produrre la prestazione in tempi brevissimi a un costo relativamente
contenuto.
- A Marta viene in mente di consigliare a Francesca quel poliambulatorio, consegnandole uno
di quei biglietti da visita.
A Marta viene in mente di consegnare il biglietto da visita in ragione del fatto che:
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- non c'è niente di male a compiere un gesto che, al contrario, mostra disponibilità all'aiuto
e promuove valori di tempestività e presa in carico dell'utente risolvendo un problema a
un soggetto, peraltro, già piuttosto angosciato dalle vicende personali;
- si tratta di pubblicizzare una iniziativa imprenditoriale locale che, in qualche modo,
surroga le carenze del pubblico e risolve problemi concreti all'utenza;
- Marta ha verificato che altri colleghi in dipartimenti diversi dal suo consigliano lo stesso
poliambulatorio utilizzando gli stessi biglietti da visita;
- interrogato in merito, il responsabile del dipartimento non ha trovato nulla da eccepire,
confermando la bontà dell'iniziativa volta alla risoluzione di un reale problema per i
pazienti.
A Marta viene in mente di NON consegnare il biglietto da visita in ragione del fatto che:
- a Marta non tornano alcuni comportamenti dello specialista, come, ad esempio, una certa
ritrosia a lasciare una scorta di biglietti da visita da esibire al pubblico;
- Mario, un collega anziano di Marta, le fa notare che il titolare del poliambulatorio è il
fratello dello specialista che le ha fornito i biglietti da visita.
QUESTIONI APERTE?
- In che termini parliamo di “rischio corruttivo”. Cosa ha a che fare questo caso con la
corruzione?
- Quale “anomalia” presenta il caso.
Ricostruisci brevemente il contesto interno che espone quel processo ad un rischio corruttivo
1. cultura organizzativa, con particolare riferimento alla cultura dell’etica
- Quale principio di etica pubblica applicherebbe Marta nel caso decidesse di consegnare quel
biglietto?
- Quale principio di etica pubblica applicherebbe Marta nel caso decidesse di NON consegnare
il biglietto?
- Questo processo, a tuo avviso, è particolarmente esposto a dilemmi etici?
2. sistemi e flussi informativi
- Descrivi le asimmetrie informative presenti nel caso e come vengono gestite dai protagonisti
- Questo processo, a tuo avviso, è particolarmente esposto ad asimmetrie informative?
3. processi decisionali (sia formali sia informali)
- Quale è la prassi all’interno di quel dipartimento? Quale è la posizione della leadership?
- Questo processo, a tuo avviso, è particolarmente esposto al consolidarsi di prassi
comportamentali?
4. relazioni interne ed esterne
- Descrivi le relazioni tra i protagonisti del caso e altri soggetti interni ed esterni all’Azienda, con
particolare riferimento a eventuali rischi di conflitto di interessi
- Questo processo, a tuo avviso, è particolarmente esposto a situazioni di conflitto di interessi?
QUESTIONI APERTE?
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- A tuo avviso, emerge uno specifico “ALERT”, un segnale che esiste un RISCHIO attuale di
fallimento etico e/o reputazionale dell’amministrazione?
- Quali sono, a tuo avviso, le soluzioni organizzative (le misure) che proporresti al RPCT al fine
di mitigare il rischio?
…come si conclude il caso?…
Marta decide di consegnare il biglietto ritenendo, il suo, un gesto di empatìa nei confronti di una
paziente in difficoltà. Poco tempo dopo, la giornalista di una nota trasmissione d’inchiesta televisiva,
fingendosi una paziente, riprende il passaggio di bigliettini ad opera di Marta e denuncia apertamente
l’esistenza di un accordo corruttivo tra gli operatori sanitari di quel dipartimento e il titolare del
poliambulatorio privato. Marta viene coinvolta nello scandalo e la magistratura apre un fascicolo.
L’OCSE e il Consiglio d’Europa raccomandano lo sviluppo di competenze essenziali per affrontare i
dilemmi etici
Il 26 gennaio 2017 il Consiglio OCSE sull’Integrità Pubblica ha pubblicato le
nuove Raccomandazioni su proposta del Comitato per la Public Governance.
Per prima cosa, il Comitato definisce l’integrità pubblica. Integrità pubblica, fa riferimento
all’allineamento coerente e all’aderenza a valori etici condivisi, principi, norme al fine di sostenere e
dare priorità all’interesse pubblico sopra gli interessi privati nel settore pubblico.
Poi, raccomanda l’adozione di 13 elementi costitutivi di un sistema di integrità pubblica “coerente e
omnicomprensivo”. Li riportiamo integralmente sotto.
In particolare, il punto 8: “fornire informazioni sufficienti, formazione, orientamento e consulenza
tempestiva per i dipendenti pubblici al fine di applicare gli standard di integrità pubblica al lavoro, in
particolare attraverso: “… lo sviluppo di competenze essenziali per affrontare i dilemmi etici e per
rendere gli standard dell’integrità pubblica applicabili e significativi nei diversi contesti“.
Ed anche il punto 9: “Sostenere una cultura organizzativa aperta all’interno del settore pubblico che
sappia rispondere alle questioni dell’integrità, in particolare attraverso:
a. l’incoraggiamento di una cultura aperta dove i dilemmi etici, le questioni dell’integrità
pubblica e gli errori possano essere discussi apertamente e, dove è appropriato, insieme ai
rappresentanti dei lavoratori e dove la leadership sia pronta e motivata a fornire orientamenti
tempestivi per risolvere problematiche rilevanti.
b. fornire regole chiare e procedure per riportare le violazioni sospette degli standard di integrità
e assicurare protezione attraverso leggi e regolamenti contro tutti i tipi di ritorsioni per coloro
che segnalano in buona fede e per ragionevoli motivi.
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c. fornire canali alternativi per riportare violazioni sospette degli standard di integrità, compresa
la possibilità di segnalare a un ente che abbia mandato e capacità di condurre una
investigazione indipendente.
Anche il Consiglio d’Europa ha recentemente pubblicato un Manuale, i “Concetti di base per la lotta
alla corruzione“. Il Consiglio d’Europa è l’istituzione europea che ha dato vita al GRECO, il gruppo di
Stati contro la corruzione. L’Italia è costantemente sottoposta a pressioni esercitate da questa
iniziativa attraverso un meccanismo di mutua valutazione e di reciproca osservazione.
Si tratta di un Manuale da utilizzare per fare formazione e serve ai formatori per costruire le attività
e per focalizzare i concetti di base per il contrasto alla corruzione e serve ai discenti come materiale
di approfondimento.
Anche questo Manuale fa espressamente riferimento all’Etica come ad uno dei concetti di base su
cui fondare le iniziative formative, tanto da dedicargli un intero capitolo, il quinto.
Il clima etico di un’organizzazione, affermano gli autori del Manuale (che sono Vera Devine e Tilman
Hoppe), di norma non è il risultato dell’assenza o della scarsa qualità delle leggi, ma di una lunga
tradizione di prassi e comportamenti che si trascinano nel tempo. Ciò è dovuto ad una serie di fattori,
tra cui, l’assenza di una leadership etica, scarsa consapevolezza dell’opinione pubblica, una tradizione
autocratica risalente a regimi storicamente passati ma culturalmente duri a morire (immaginiamo i
regimi ex comunisti o le nostre prime, seconde e terze repubbliche), la presenza di oligarchie nei
gruppi dirigenti delle amministrazioni (i cosiddetti “mandarini”), assenza di trasparenza, ecc.
Secondo gli autori, inoltre, il 10% dei dipendenti pubblici è immune da tentazioni, un altro 10% è
totalmente asservito ad interessi illeciti, mentre il restante 80% si adatta alla cultura prevalente. Al
di là delle percentuali, che forse andrebbero leggermente ritoccate nell’attuale panorama italiano, è
chiaro come il target delle iniziative di prevenzione e di formazione debba essere proprio quell’ampia
platea di dipendenti che sta nel mezzo. Il primo 10% di persone non avrebbe bisogno di formazione,
mentre per il secondo 10% il destino dovrebbe riservare una collocazione diversa dalla sfera pubblica
(ahimè). Per il restante 80%, invece, l’adattamento ad una cultura prevalente, la delega di pensiero,
l’asservimento, la fedeltà ad un leader in luogo della lealtà ad un ordinamento costituiscono la base
culturale, l’humus fecondo per le predazioni che dall’interno o dall’esterno danno luogo a fenomeni
di corruzione su larga scala, come sono i nostri. Queste cose non si cambiano con le leggi (o solo con
le leggi), ma con una costante e approfondita riflessione sui processi decisionali e, in particolare, sui
fondamenti razionali che guidano e orientano le scelte della componente professionale e elettiva
delle amministrazioni pubbliche.
Ma poi c’è anche un problema di metodo, cioè di come viene realizzata la formazione. Quasi sempre
si ritiene che una lezione frontale sul Codice di Comportamento sia sufficiente a raggiungere
l’obiettivo formativo, ma non è così. L’etica non si risolve con la memorizzazione delle “giuste
soluzioni”. Si tratta, ancora una volta, di facilitare una riflessione sui cosiddetti dilemmi, cioè su
situazioni in cui principi e norme confliggono e pongono il decisore di fronte a scelte ugualmente
“costose” o sotto il profilo della promozione dell’interesse pubblico o sotto il profilo, ad esempio,
della salvaguardia professionale o personale.
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In conclusione, in Italia, diversamente da altri Paesi con tradizioni giuridiche diverse, la formazione
condotta attraverso la discussione di casi (real-life scenario) sta muovendo i suoi primi passi. C’è da
superare un approccio all’aggiornamento professionale di stampo prettamente giuridico e una scarsa
propensione all’innovazione in questo campo. Tuttavia, il fatto che il Piano Nazionale Anticorruzione
faccia espressamente riferimento alla formazione all’etica e alla legalità come misura obbligatoria,
sta mettendo le amministrazioni di fronte alla responsabilità di promuovere iniziative formative che,
se ben condotte, costituiscono momenti essenziali di riflessione collettiva e di costruzione di argini
culturali e comportamentali al malaffare.
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