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Pamphlet, documenti, storie
REVERSE
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Autori e amici di
chiarelettere
Michele Ainis, Tina Anselmi, Claudio Antonelli, Franco Arminio,
Avventura Urbana Torino, Andrea Bajani, Bandanas, Gianni Barbacetto,
Stefano Bartezzaghi, Oliviero Beha, Marco Belpoliti, Daniele Biacchessi, David Bidussa,
Paolo Biondani, Nicola Biondo, Tito Boeri, Caterina Bonvicini, Beatrice Borromeo,
Alessandra Bortolami, Giovanna Boursier, Dario Bressanini, Carla Buzza,
Andrea Camilleri, Olindo Canali, Davide Carlucci, Luigi Carrozzo, Andrea Casalegno,
Antonio Castaldo, Carla Castellacci, Mario José Cereghino, Massimo Cirri,
Fernando Coratelli, Carlo Cornaglia, Roberto Corradi, Pino Corrias, Andrea Cortellessa,
Riccardo Cremona, Gabriele D’Autilia, Vincenzo de Cecco, Luigi de Magistris,
Andrea Di Caro, Franz Di Cioccio, Gianni Dragoni, Giovanni Fasanella,
Davide Ferrario, Massimo Fini, Fondazione Fabrizio De André, Fondazione Giorgio
Gaber, Goffredo Fofi, Giorgio Fornoni, Nadia Francalacci, Massimo Fubini,
Milena Gabanelli, Vania Lucia Gaito, Giacomo Galeazzi, Bruno Gambarotta,
Andrea Garibaldi, Pietro Garibaldi, Claudio Gatti, Mario Gerevini, Gianluigi Gherzi,
Salvatore Giannella, Francesco Giavazzi, Stefano Giovanardi, Franco Giustolisi,
Didi Gnocchi, Peter Gomez, Beppe Grillo, Luigi Grimaldi, Dalbert Hallenstein,
Guido Harari, Riccardo Iacona, Ferdinando Imposimato, Karenfilm, Giorgio Lauro,
Alessandro Leogrande, Marco Lillo, Felice Lima, Stefania Limiti, Giuseppe Lo Bianco,
Saverio Lodato, Carmelo Lopapa, Vittorio Malagutti, Ignazio Marino,
Antonella Mascali, Antonio Massari, Giorgio Meletti, Luca Mercalli, Lucia Millazzotto,
Davide Milosa, Alain Minc, Angelo Miotto, Letizia Moizzi, Giorgio Morbello,
Loretta Napoleoni, Natangelo, Alberto Nerazzini, Gianluigi Nuzzi, Raffaele Oriani,
Sandro Orlando, Massimo Ottolenghi, Antonio Padellaro, Pietro Palladino,
Gianfranco Pannone, Walter Passerini, David Pearson (graphic design), Maria Perosino,
Simone Perotti, Roberto Petrini, Renato Pezzini, Telmo Pievani, Ferruccio Pinotti,
Paola Porciello, Mario Portanova, Marco Preve, Rosario Priore, Emanuela Provera,
Sandro Provvisionato, Sigfrido Ranucci, Luca Rastello, Marco Revelli, Piero Ricca,
Gianluigi Ricuperati, Sandra Rizza, Marco Rovelli, Claudio Sabelli Fioretti,
Andrea Salerno, Giuseppe Salvaggiulo, Laura Salvai, Ferruccio Sansa, Evelina Santangelo,
Michele Santoro, Roberto Saviano, Luciano Scalettari, Matteo Scanni,
Roberto Scarpinato, Gene Sharp, Filippo Solibello, Riccardo Staglianò, Luca Steffenoni,
theHand, Bruno Tinti, Gianandrea Tintori, Marco Travaglio, Elena Valdini, Vauro,
Concetto Vecchio, Giovanni Viafora, Anna Vinci, Carlo Zanda, Carlotta Zavattiero.
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PRETESTO f a pagina 4
“Siamo alla vigilia
dello scoppio
della bomba
previdenziale
e nessuno fa niente.
Questo è il problema.”
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PRETESTO f a pagina 4
“Tagli ai costi della politica.
Ci piacerebbe sapere come andrà
a finire per quei 1813 deputati
pensionati, e i rispettivi 484
familiari che godono
della reversibilità, che percepiscono
un vitalizio in media di 6350 euro
al mese.”
f a pagina 13
“Appare quanto mai demagogico e intollerabile il dibattito
sulle cosiddette pensioni d’oro. Il risultato è che dall’agosto
2011 al 31 dicembre del 2014 scatta un taglio del 5 per cento
per le pensioni superiori ai 90.000 e fino ai 150.000 euro
annui, che diventa del 10 per cento per gli importi superiori
ai 150.000. Una limatura che riguarderà circa 50.000
cittadini, e chiamarla ‘tassa di solidarietà’ più che sorridere
fa di nuovo indignare.”
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f a pagina 11
“Lo scippo sulle pensioni
delle donne: i 4 miliardi
di risparmio da qui
ai prossimi 10 anni,
in seguito all’innalzamento
dell’età pensionabile
delle dipendenti pubbliche
a 65 anni, sarebbe dovuto
servire per finanziare
politiche a favore
del lavoro delle donne,
degli asili nido, della
maternità. Ma così
non è stato.”
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3
PRETESTO f a pagina 106-107
“I giovani che non versano
i contributi avranno solo
l’assegno sociale (poco più
di 300 euro mensili
al raggiungimento dei 65 anni
di età). Il che equivale
a passare la seconda parte
della vita a fare i conti
con la povertà.”
f a pagina 110
“Il dato sorprendente è la quota versata
dagli immigrati: nel 2008 ammontava a 7,5 miliardi
(pari al 4 per cento del totale annuo di incassi
dell’Inps). Le entrate contributive degli immigrati
sono elevate, molto basse risultano le uscite ...
Gli stranieri diventano così dei benefattori
del nostro sistema pensionistico.”
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f a pagina 38
“I dati diffusi dalla Ragioneria
dello Stato parlano chiaro:
i tassi di sostituzione
(ovvero il rapporto
tra la pensione e l’ultimo
reddito percepito)
sono destinati a dimezzarsi.”
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Walter Passerini
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Ignazio Marino
Senza pensioni
chiarelettere
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Walter Passerini è giornalista professionista e cura per «La Stampa»
l’inserto «Tuttolavoro». Esperto di economia, impresa, lavoro e pre-
videnza, formazione e comunicazione, è vicedirettore del master in
Giornalismo della scuola «Walter Tobagi» dell’Università degli Studi
di Milano. Ha lavorato per vent’anni al «Corriere della Sera», dove
ha ideato e diretto «Corriere Lavoro», il primo settimanale di un
grande quotidiano dedicato al lavoro. Ha curato poi «Job 24» del
«Sole 24 Ore» e «Io Lavoro» di «ItaliaOggi». È autore e conduttore di
trasmissioni radiofoniche e televisive. Ha scritto una decina di libri
dedicati al lavoro. Il suo sito è: www.walterpasserini.com
Ignazio Marino, nato a Lucerna (Svizzera) nel 1975 ma siciliano di
origine (Sciacca), si è laureato in Giurisprudenza a Siena nel 2001.
Nel 2002 entra nella redazione di Diritto e Fisco di «ItaliaOggi».
Nel 2005 diventa giornalista professionista. Sin dall’inizio della sua
attività professionale si è sempre occupato delle tematiche delle pro-
fessioni e della previdenza. Nel 2010 ha vinto il premio giornalistico
«Libere professioni in libera stampa» e successivamente ha pubbli-
cato il libro intervista a Rosario De Luca Comunicare le professioni
(NovecentoMedia). Vive e lavora a Milano.
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Sommario
Introduzione di Tito Boeri XIII
Come intervenire sulla spesa previdenziale XIII - Un sistema
squilibrato in partenza XIV - Verso un sistema pensionistico
equo XVI
s e n z a pe n s i o n i
Questo libro 3
Indignarsi è giusto, ma non basta 3 - Il dovere di informare (e
di informarsi) 5 - Una bussola per orientarsi 7
Responsabili e irresponsabili 9
Di chi sono le responsabilità 9 - La doppia manovra 2011 12
- Quattro lezioni buone per tutti 14
La pensione dei lavoratori dipendenti 17
Una coperta sempre più corta 17 - Dagli infortuni alla pensione
sociale 19 - Anni Novanta: inizia una nuova storia 22 - Sostiene
Mastrapasqua 25 - «Speranza di vita», l’ultima riforma? 27
- La busta arancione 30 - Tfr: opportunità o scialuppa di
salvataggio? 31 - Il secondo pilastro: fondi pensione chiusi
e aperti 33 - Terzo e quarto pilastro: la pensione privata e la
quarta età 35 - Come orientarsi? 37
La pensione dei lavoratori atipici 45
Carriere spezzate 45 - Le riforme del mercato del lavoro
46 - I senza pensione che pagano per gli altri 47 - Crisi del
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lavoro e crisi del welfare 48 - Generazione senza pensione 50 -
Informati e disarmati 52
La pensione dei professionisti 57
Dal pubblico al privato: una staffetta da 38 miliardi 57
- L’ottimismo è fuori luogo 61 - A rischio la sostenibilità
finanziaria delle casse 62 - Un sistema sull’orlo del collasso 63
- La gestione del patrimonio previdenziale e l’indagine della
Bicamerale 65 - La crisi finanziaria e le casse di previdenza 67
- Esposizioni pericolose 71 - Con quanti soldi i professionisti
andranno in pensione? 75 - Reggerà il sistema attuale? 80 -
Una strategia per non soccombere 82 - Correre ai ripari, subito
85 - La previdenza complementare 87
La pensione dei lavoratori autonomi
(artigiani e commercianti) 91
I più tartassati 91 - Da retributivo a contributivo: la prova del
nove 94
La pensione dei dipendenti pubblici 97
C’era una volta la pensione sicura 97 - I numeri del secondo
pilastro 99 - Una scarsa adesione 100 - Trattamenti particolari 101
Piccola galleria di alcuni paradossi
(e qualche scandalo) 105
Irresponsabili evasioni 105 - Over 65: lavorare dopo la pensione
107 - Preziosissimi immigrati 109 - La legione straniera 110
- La storiaccia delle casalinghe 113 - Avvocati proletari e altre
stranezze 114
Appendice 119
Dipendenti, professionisti e atipici: ecco come saranno le
vostre pensioni 121 - La previdenza in 40 parole 159
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Introduzione
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di Tito Boeri
Come intervenire sulla spesa previdenziale
Comunque vadano le cose nei prossimi due anni dovremo
ridurre la spesa pubblica fino a tre punti di Pil. Dovremo
concentrarci sulla spesa corrente, dato che la spesa per inve-
stimenti è già ai minimi storici e abbassarla ulteriormente ci
costerebbe caro in termini di crescita futura. La spesa corrente
è di poco inferiore a metà del reddito nazionale, quindi per
risparmiare tre punti di Pil bisogna tagliare le spese di alme-
no il 6 per cento. Se togliamo gli oneri sul debito pubblico
(che non possiamo toccare, ma solo sperare di abbassare
con comportamenti virtuosi), la spesa corrente è fatta per
più del 40 per cento di pensioni. La parte restante è rappre-
sentata dalla spesa per beni pubblici quali difesa, istruzione,
giustizia, sanità, ambiente, cultura, ammortizzatori sociali
e assistenza. Se non si toccano le pensioni bisogna operare
tagli della spesa per istruzione, sanità, giustizia e per gli altri
beni pubblici dell’ordine del 12 per cento in un biennio.
Dato che si è colpevolmente abbandonato il progetto delle
spending reviews avviato da Tommaso Padoa-Schioppa, tagli
così consistenti possono essere conseguiti in tempi ristretti
solo facendo pagare di più gli utenti di questi servizi (la spesa
alberghiera negli ospedali, la scuola ecc.) che oggi vengono
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XIV Senza pensioni
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già in Italia forniti in quantità e qualità minore che in molti
altri paesi a simile grado di sviluppo.
Non sembra perciò neanche immaginabile un processo
di riduzione del debito pubblico senza intervenire sulla
spesa previdenziale. Al di là del contingente, ci sono altre
ragioni per ridurla in un disegno di riequilibrio del nostro
sistema di protezione sociale e di riduzione delle iniquità
inter e intragenerazionali che comporta. Ogni intervento
sulle pensioni deve tenerne conto. Sono equilibri molto
delicati quelli su cui poggia il patto intergenerazionale che
dà vita ai sistemi a ripartizione. Bisogna perciò intervenire
con il cesello, non certo con l’accetta.
Un sistema squilibrato in partenza
La ragione per cui la spesa pensionistica è così alta in Italia
è legata al fatto che non abbiamo mai voluto costruire un
sistema di protezione sociale con coperture sufficienti con-
tro i rischi che avvengono nel corso della vita lavorativa,
usando invece le pensioni come ammortizzatore sociale.
Era un sistema squilibrato in partenza perché assegnava
alle pensioni funzioni improprie. Su di esso si sono inne-
stati i cambiamenti demografici intervenuti in tutti i paesi
avanzati: negli ultimi 40 anni, abbiamo guadagnato circa
10 anni di vita. La longevità è cresciuta a un ritmo impres-
sionante e imprevisto: due anni e mezzo ogni dieci. Non
sarebbe stato un problema per la sostenibilità della spesa
pensionistica, se le persone avessero cominciato a lavorare
più a lungo, destinando la stessa percentuale di tempo di
vita all’inattività. Invece, mentre aumentava la speranza di
vita, gli italiani hanno iniziato a lavorare sempre di meno. I
nati nel 1925 lavoravano, in media, 45 anni, mentre i nati
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Introduzione XV
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nel 1945 lavorano 8 anni in meno. Il fatto è che si inizia a
lavorare più tardi e ci si ritira prima dalla vita attiva: negli
anni Sessanta si andava in pensione a 63 anni, oggi a 59. Ne
consegue che le pensioni oggi vengono erogate per molti più
anni, facendone lievitare i costi. Questi trattamenti pensio-
nistici sempre più costosi vengono pagati da chi lavora, con
la promessa che, quando andranno in pensione, verranno
trattati allo stesso modo.
Ma il maggiore costo delle pensioni unito al calo delle
nascite (quindi del numero di coloro che in futuro paghe-
ranno le pensioni di chi si ritira dalla vita attiva) hanno reso
questo patto intergenerazionale insostenibile e iniquo. Oggi
chi lavora versa, tra contributi e tasse sui redditi, circa il 45
per cento dei propri salari a chi è in pensione e che, a suo
tempo aveva trasferito ai pensionati di allora non più del
30 per cento del proprio stipendio. Di più, chi ha iniziato
a lavorare negli ultimi 10 anni sa che riceverà una pensione
molto più bassa (dal 20 al 30 per cento inferiore, in rapporto
all’ultimo salario) di chi va oggi in pensione.
La tassa imposta da chi è in pensione su chi lavora sta
diventando così alta che i datori di lavoro la pagano sempre
di meno: si creano posti che prevedono contributi previ-
denziali più bassi (dai Co.co.co. ai contratti a progetto) e si
pagano salari inferiori, il che significa che la tassa viene fatta
pagare ai lavoratori. Chi oggi inizia a lavorare ha un salario
netto di ingresso del 15 per cento inferiore a chi iniziava a
lavorare dieci anni fa. Il risultato è che questi nuovi entrati
rischiano, pur lavorando 45 anni come si faceva una volta
e pagando ai pensionati una tassa molto più alta di allora,
di non arrivare a maturare i requisiti per una pensione al di
sopra del livello di sussistenza. Cornuti e mazziati, verrebbe
da dire. E non serve alzare i contributi, se non si riduce la
tassa previdenziale che grava sul lavoro.
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XVI Senza pensioni
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Il merito di questo libro è quello di documentare queste
iniquità, per una volta soffermandosi soprattutto su quelle
intragenerazionali anziché solo su quelle intergenerazionali,
già trattate ampiamente dalla letteratura. Si documentano le
differenze fra i trattamenti riservati ai lavoratori dipendenti e
a quelli di diverse categorie di lavoratori autonomi. Si docu-
mentano gli effetti dell’assenza di tetti alle pensioni definite
con il metodo retributivo, con trattamenti pensionistici
che superano i 90.000 euro all’anno. Queste informazioni
sono utili per capire che la giustificazione spesso data alla
spesa previdenziale come strumento di redistribuzione, di
riduzione delle disuguaglianze, sembra priva di fondamento.
Verso un sistema pensionistico equo
È molto importante andare oltre la denuncia dello status quo.
Un sistema pensionistico sostenibile ed equo dovrebbe defi-
nire il livello dei trattamenti pensionistici in base a quanto
si è effettivamente versato durante tutta la vita lavorativa e
tenere conto del numero di anni in cui si finirà, presumibil-
mente, per fruire del trattamento. Il metodo contributivo
introdotto con la riforma del 1996 essenzialmente svolge
questa operazione e, non a caso, questo metodo è stato poi
imitato da altri paesi. Ma la riforma del 1996 entra in vigore
troppo tardi (ci vuole ancora un quarto di secolo prima che
dispieghi appieno i suoi effetti). L’operazione che andava
fatta, e che non è stata fatta negli ultimi 10 anni, consiste-
va nell’accelerare l’entrata in vigore del nuovo sistema. Si
poteva fare come la Svezia, che ha adottato il nostro sistema
un anno dopo, ma ha applicato il nuovo metodo a tutti,
tranne agli ultrasessantenni, mentre noi abbiamo esentato
i quarantenni, che giocano ancora a calcio in serie A e che
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Introduzione XVII
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avevano tutto il tempo di adattarsi alla nuova normativa. Il
risultato è che abbiamo circa 20 anni di ritardo nell’intro-
duzione del nuovo sistema rispetto alla Svezia.
Dato che non si è fatto nulla quando si poteva intervenire
sull’età di pensionamento, adesso i politici che vogliono
ridurre la spesa pensionistica rivolgono sempre di più la loro
attenzione sulle pensioni in essere. Si prospettano cambia-
menti nelle regole di indicizzazione, se non veri e propri
tagli forzosi delle prestazioni più alte. Si tratta di interventi
del tutto arbitrari, il cui unico scopo è fare cassa, ignorando
o addirittura aumentando le storture, le sperequazioni del
nostro sistema previdenziale.
Sarebbe molto più equo, perché coerente con la tran-
sizione al sistema contributivo, indicizzare le pensioni al
di sopra dei minimi sociali, alla crescita economica, così
come avviene in Svezia. Non solo permetterebbe di ottenere
risparmi sostanziali sulla spesa pensionistica in caso di bassa
crescita, ma determinerebbe una compartecipazione dei
pensionati alle perdite o ai guadagni dell’economia. Perché
sin quando le pensioni saranno una variabile indipenden-
te, la crescente popolazione dei pensionati non avrà alcun
interesse a sostenere politiche per la crescita.
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Questo libro
Indignarsi è giusto, ma non basta
Motivi ve ne sono tanti, ma indignarsi non basta. Certo,
c’è da indignarsi a sapere che la maggioranza dei pensionati
italiani gode, si fa per dire, di pensioni da fame, mentre c’è
qualcuno che dorme sonni tranquilli grazie a pensioni d’oro.
Le cronache sono piene di notizie del genere, ma questo
non aiuta i pensionati a star meglio.
Il podio del pensionato più ricco d’Italia se lo contendono
in due: nel settore privato, Mauro Sentinelli, ex manager
della Telecom, con oltre 90.000 euro al mese, più di 3000
euro al giorno (lordi, naturalmente); nel settore pubblico
è Felice Crosta, ex alto dirigente della Regione Sicilia, che
ne percepisce la metà, 42.000 euro al mese, un po’ più di
1400 euro al giorno. Insomma, ci sono dei Paperoni che in
un mese totalizzano ciò che la metà dei pensionati italiani
riesce a raggranellare in tre-sei anni. Senza contare le «ono-
revoli» pensioni, quelle degli ex parlamentari che hanno
prestato servizio anche per pochi giorni, che superano i
3000 euro al mese; le baby pensioni, conquistate da chi è
andato in pensione a meno di 40 anni; e le false pensioni,
quelle percepite da chi non ne avrebbe alcun diritto. Oggi
le pensioni dei parlamentari sono nel mirino dei tagli alla
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4IMA Senza pensioni
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spesa pubblica e ai costi della politica, ma ci piacerebbe
sapere, tra le altre cose, come andrà a finire per quei 1813
deputati pensionati, e i rispettivi 484 familiari che godono
della reversibilità, che percepiscono un vitalizio in media
di 6350 euro al mese.
La lista potrebbe continuare, insieme con l’indignazione.
Ma l’obiettivo di oggi e di questo libro è quello di ragio-
nare e documentare, per cambiare lo stato delle cose. E i
problemi non si risolvono demagogicamente con un certo
giornalismo scandalistico e populistico o con il taglio, spesso
propagandistico, alle pensioni d’oro. La questione è molto
più complessa.
Siamo infatti giunti al capolinea di una situazione da
molti evocata, da alcuni esorcizzata, da altri rimossa, che è
il prodotto dell’incoscienza, dell’irresponsabilità e dell’indif-
ferenza. Siamo a un passo dal crac del sistema pensionistico.
Siamo alla vigilia dello scoppio della bomba previdenziale
e nessuno fa niente. Questo è il problema.
Impera ormai il gioco del cerino tra i politici, i quali, dopo
aver sempre lavorato all’ombra del deficit, oggi tuonano che
non si può più fare così. L’unica crescita evidente è quella
del debito pubblico, che ha raggiunto quota 1897 miliardi di
euro e che in una situazione di bassa ripresa dell’economia è
destinato a salire (secondo gli esperti, dopo gli interventi di
salvataggio della Grecia, il debito pubblico italiano salirà di
altri 13 miliardi, sfondando quota 1900). Il deficit annuale
(e il relativo servizio del debito, vale a dire gli interessi che si
pagano annualmente sul debito) è diventato la palestra dove
fioccano esercizi di stile e di menzogna, proiezioni contabili
virtuali che non riescono più a convincere né l’Europa, né la
Bce, né le agenzie di rating internazionali. Per questo qual-
cuno vorrebbe cambiare le regole del gioco proprio mentre il
gioco si fa duro e l’unico imperativo è giocare. Sì, ma come?
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Questo libro 5 RIMA
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Dopo il varo di riforme che hanno avviato il cammino
verso la pensione a 65 anni per tutti, solerti neofiti previ-
denziali e vecchi Soloni per niente previdenti si appellano
alla necessità di spostare la nuova asticella dell’età della
pensione a 70 anni. Una boutade estiva? Una provocazione?
O una realtà ineluttabile, verso la quale ci stiamo dirigendo
senza rendercene conto? Intanto con la manovra dell’estate
2011, a legislazione attuale, si toccheranno i 70 anni per la
pensione di vecchiaia a partire dal 2052.
Non è compito di questo libro trovare le soluzioni a un
problema ormai così fuori controllo. Ma il nostro dovere di
giornalisti è quello di denunciare le responsabilità, di aiutare
a capire quel che è successo e quel che ci potrà succedere,
cercando di smontare la bomba nelle sue singole parti, e
individuare così alcune ipotesi su cui i cittadini e i politici
dovranno lavorare e riflettere. Il timer, intanto, segna il
tempo che ci separa dalla deflagrazione.
Il dovere di informare (e di informarsi)
La questione delle pensioni rientra ormai nella più ampia
questione della crisi del welfare e della povertà diffusa, a
sua volta aggravata da una eccessiva lentezza della crescita
economica. A essere e a ritenersi poveri sono strati crescenti
di popolazione. All’aumento delle cosiddette fasce deboli si
accompagnano la riduzione, se non la sparizione, del ceto
medio e la precarizzazione lavorativa della maggioranza
degli italiani. A temere per il proprio futuro non sono solo
le giovani generazioni, alle quali toccherà saldare i debiti
che stiamo loro confezionando e affibbiando, ma le classi
più deboli, i dipendenti pubblici e privati, gli operai, gli
impiegati, i tecnici, oltre ai professionisti, ai lavoratori
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autonomi, ai commercianti e agli artigiani. E mentre si
allarga l’area delle difficoltà e del disagio, intere generazioni
precipitano verso il basso e si restringe e si polarizza verso
l’alto la fascia dei più ricchi, molti dei quali hanno costruito
le loro fortune sull’evasione e sulla speculazione.
Crescono le disuguaglianze. Otto pensioni su dieci in
Italia sono sotto i 1000 euro al mese. Secondo il rapporto
Inps 2010, si tratta di 16 milioni di assegni, 12,6 milioni dei
quali non arrivano ai 1000 euro. Oltre 3 milioni di anziani
prendono, sì, più di una pensione, ma per oltre 7 milioni
questa è inferiore ai 500 euro.
Si dice che la spesa pensionistica in Italia è troppo alta:
oltre 190 miliardi di euro in capo all’Inps nel 2010, con
1,4 miliardi di attivo e 40 miliardi di patrimonio netto.
Ma intanto anche chi ha una pensione soffre, perché essa
non è sufficientemente commisurata al costo della vita.
Attualmente poco più di 9 pensioni su 10 sono calcolate
con il più generoso metodo retributivo (93,4 per cento), ma
abbiamo visto come la generosità si ferma largamente sotto
i 1000 euro. Per i più giovani, ma anche per ampie fasce di
trentacinquenni e quarantenni, la pensione verrà calcolata
con il più avaro metodo contributivo che determina assegni
sempre più bassi.
Da qui all’orizzonte appare più che mai necessaria un’opera
di protezione e di integrazione delle pensioni, per far fronte
all’emergenza, con forme di previdenza complementari e
aggiuntive, che per essere esercitate avranno però bisogno di
una relativa capacità di risparmio, oggi inesistente. Si calcola
che finora solo 5,3 milioni di lavoratori dipendenti abbiano
aderito a fondi pensione, il 23 per cento del potenziale, per
la quasi totalità lavoratori dipendenti a reddito fisso, mentre
i giovani sono pochissimi.
Fanno sorridere le prediche sui bamboccioni. Dati alla
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mano, secondo la Banca d’Italia, siamo in presenza di una
generazione esclusa, quella dei trentenni scoraggiati che per
il 40 per cento vivono ancora con i genitori, privi di futuro,
in cerca di lavoro, e che nel 60 per cento dei casi si vedono
offrire solo impieghi temporanei, precari, sottodimensionati
e sottopagati. Una generazione di sprecati.
Una bussola per orientarsi
In questo libro accompagneremo i lettori nel labirinto delle
pensioni, segnalando innanzitutto le mutazioni del contesto
di riferimento e le trasformazioni legislative più rilevanti che
hanno aggravato la situazione: la scarsa crescita economica e
il calo demografico, che riduce le forze in entrata e allunga
l’età e la speranza di vita dei pensionati, hanno contribuito
allo squilibrio dei conti, allo sbilancio fra entrate e uscite
contributive. Ma la stessa legge di passaggio dal sistema
retributivo al sistema contributivo ha sostanzialmente intro-
dotto la rivoluzione delle pensioni e ha fatto scattare il
timer della bomba previdenziale. I paradossi sono molti,
ne basti citare qui uno per tutti: oggi sono i giovani atipici
e gli immigrati a sostenere l’attivo delle casse previdenziali
dell’Inps e a pagare le pensioni degli altri, mentre quando
questi stessi andranno in pensione il mondo sarà cambiato
e rischieranno l’assegno sociale.
Oltre alle concause e alle responsabilità, passeremo in
rassegna i grandi comparti previdenziali e la situazione delle
principali categorie pensionistiche: i lavoratori dipendenti
privati e quelli pubblici; i 4 milioni di atipici, vale a dire i
temporanei e gli intermittenti, che dovranno mettere insie-
me frammenti di carriere spezzate; i professionisti vecchi e
nuovi, che non sono esenti da rischi e contraddizioni, anche
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di tipo generazionale; i lavoratori autonomi, gli artigiani
e i commercianti, che rischiano di essere i più tartassati;
gli immigrati, le casalinghe e gli over 65, protagonisti non
sempre vincenti di controverse situazioni previdenziali.
Infine, in appendice abbiamo proposto un «pensionome-
tro», su cui soprattutto i più giovani si potranno esercitare
per calcolare l’ammontare prevedibile della loro pensione,
e un dizionario dei termini più importanti in campo pre-
videnziale.
Tutti ci dobbiamo da subito occupare delle nostre pen-
sioni, prima che sia troppo tardi; è indispensabile essere
informati, colmando le lacune, i dubbi e le incertezze della
documentazione. Aumentare le conoscenze e i saperi, oltre
che denunciare le responsabilità e cercare soluzioni: è quello
che questo libro vuole contribuire a fare.
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Responsabili e irresponsabili
Di chi sono le responsabilità
La questione delle pensioni si potrà risolvere se l’Italia tor-
nerà a crescere a ritmi almeno doppi rispetto agli attuali.
Il nostro paese ha registrato i vertici della sua crescita nel
periodo 1958-1963, quando macinava nuova ricchezza al
ritmo del 6-7 per cento. Ora, mentre paesi come la Francia
crescono del 2 per cento, o come la Germania a più del 3,5,
negli ultimi anni l’Italia non ha recuperato il declino della
crisi (meno 5 per cento) e cresce al ritmo modestissimo e
risicato dell’1 per cento. La mancata crescita riduce la torta
e fa aumentare il debito, in un circolo vizioso nel quale
sono ravvisabili precise responsabilità. L’elenco è molto
lungo e affonda le sue radici in tempi lontani. Del resto
la vicenda delle pensioni è quella su cui sono inciampati e
stanno dibattendo molti governi a livello internazionale, e
non solo in Europa. La crisi negli Stati Uniti di Obama è
generata dagli stessi problemi. Le sorti future della politica
dipenderanno molto da chi avrà la lungimiranza, il coraggio
e il consenso per affrontare una situazione esplosiva.
La prima responsabilità è quella di chi continua a cercare
di svicolare, di tacere, di non informare, insieme a quella,
tipicamente nostrana, del «mal comune mezzo gaudio».
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Secondo questo nefasto costume, noi staremmo sempre
meglio degli altri paesi, ma non è così.
Vi è poi la questione demografica: l’età media si allun-
ga, la speranza di vita fortunatamente aumenta, ma se in
contemporanea non si lascia spazio all’ingresso di nuovi
contribuenti le risorse sono destinate a ridursi e a esaurirsi.
Ciò è ancor più vero per l’Italia: tenere fuori dal mercato
stabile del lavoro i più giovani e pagare le pensioni a chi è
entrato molti anni fa produce uno sbilancio insostenibile e
il quoziente uno a uno, un pensionato per ogni occupato
contribuente, diventa un destino ineluttabile.
Le responsabilità dei governi che dagli anni Ottanta, e
nell’ultimo quindicennio in particolare, hanno guidato la
spesa pubblica in Italia sono altrettanto devastanti. Sono
venuti al pettine i nodi di una prolungata mancanza di senso
di responsabilità per le sorti delle risorse pubbliche, aggravata
da un’inefficace lotta all’evasione fiscale, perché nessuno ha
mai avuto il coraggio di affrontare la questione della spesa
sociale. Le stesse miniriforme fiscali hanno favorito i ceti
medio-alti per ottenerne il consenso, abbandonando al
proprio destino una base sociale di lavoratori con redditi
fissi ma bassi e di giovani senza lavoro, precari, immigrati,
pensionati con meno di 1000 euro al mese. Si è cercato
di rimandare nel tempo le scelte più dolorose, lasciando
cinicamente nelle mani dei successivi governi la soluzione
del problema.
Neppure le organizzazioni di rappresentanza degli interessi
di categoria sono esenti da responsabilità. I sindacati che
siedono nel consiglio di amministrazione dell’Inps e che
oggi si oppongono strenuamente a ogni tentativo di toccare
le pensioni sono stati le sentinelle dormienti di questo disa-
stro. La politica dei piccoli aggiustamenti e delle proroghe
continue ha mostrato una strategia di piccolo cabotaggio
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che non ha pagato. Non restano fuori da questa triste parata il
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nemmeno le organizzazioni imprenditoriali.
Chi poi ha gestito concretamente la maggior parte delle
casse pensionistiche e previdenziali come se fossimo sempre
nel paese del Bengodi ha mostrato un atteggiamento di
attesa accidiosa, rimandando il problema del progressivo
esaurimento delle risorse a un futuro indefinito. Parliamo
dell’Inps e di chi l’ha governata in questi anni, presidenti
del Consiglio, ministri e politici compresi, ma anche delle
altre casse obbligatorie dei dipendenti, di molte di quelle
dei vecchi e dei nuovi professionisti, dai dirigenti ai com-
mercialisti, giornalisti compresi. Né dall’Inps né dagli altri
fondi o enti è mai arrivato in questi anni l’allarme che nessun
sistema pensionistico, a eccezione di quello contributivo,
avrebbe potuto reggere nel tempo senza scaricare sulle future
generazioni il prezzo di debiti incommensurabili.
Avrebbe il respiro e la vista corta qualsiasi riforma che
puntasse ancora una volta solo sulle esigenze di cassa,
anziché affrontare un cambiamento di struttura. Ne è un
esempio sintomatico la vicenda dello scippo sulle pensioni
delle donne: i 4 miliardi di risparmio da qui ai prossimi
10 anni, in seguito all’innalzamento dell’età pensionabile
delle dipendenti pubbliche a 65 anni, così come richiesto
dall’Europa, avrebbero dovuto finanziare politiche a favore
del lavoro delle donne, della conciliazione, degli asili nido,
della maternità. Ma così non è stato, perché le voraci vestali
della spesa hanno dirottato queste risorse verso altre voci
contabili, che per far quadrare i conti con le donne non
hanno nulla a che fare. Così come fa altrettanto scandalo
il caso paradossale dei parasubordinati e degli stranieri,
che dimostra come spesso sono proprio i «paria» del lavoro
e delle pensioni a pagare gli assegni degli «insider». Sono
quasi una decina i miliardi che dalla precarietà si trasfe-
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riscono alla stabilità, più o meno presunta. I contributi
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dei precari e dei lavoratori immigrati formano la liquidità
che oggi viene usata per tappare i buchi di una gestione
che non sa o non vuole trovare altre vie. Così trionfano
i ragionieri del futuro, gli spacciatori di favole, i ladri di
speranze. È a costoro che dobbiamo dire basta, prendendo
in mano il nostro futuro.
La doppia manovra 2011
Anche il colpo della doppia manovra di luglio e di Ferragosto
2011, con tutte le sue code legislative, non ha affrontato i
problemi strutturali sul tappeto, perché espressione di una
compagine governativa frantumata, alle prese con la soprav-
vivenza politica, il solito piccolo cabotaggio, la defatigante
gestione del consenso. Oltre al danno, si aggiunge la beffa di
provvedimenti contraddittori e iniqui. Il primo è quello del
tentativo, solo in parte riuscito, di rimandare al 2013-2014
il salasso che si rovescerà sulle spalle degli italiani, così da
lasciare la patata bollente ai successivi governi.
La manovra di luglio da 47 miliardi (1,5 nel 2011, 5,5
nel 2012, 20 nel 2013 e 20 nel 2014) è lievitata a 70. I suoi
capisaldi erano soprattutto tre. L’aumento dell’età pensiona-
bile delle donne del settore privato a 65 anni (siamo il paese
con il più basso tasso di occupazione femminile d’Europa,
il 46 per cento) partirà dal 2016 ed entrerà a regime nel
2028. Nel frattempo potrà invece entrare in vigore dal
2013 anziché dal 2015, l’anticipazione dell’allungamento
dell’età pensionabile per tutti in relazione all’aumento della
speranza di vita.
Ma il progetto che ha suscitato le maggiori reazioni è
stato quello del ventilato dimezzamento e azzeramento
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della rivalutazione delle pensioni del valore da 3 a 5 volte
il minimo pensionistico e oltre 5 volte il minimo (pari
a circa 470 euro al mese). Ciò avrebbe significato voler
annullare la protezione rispetto al costo della vita per le
pensioni sopra i 1400 e i 2300 euro, una tosatura su un
totale di 7 milioni di pensioni. Le proteste hanno in parte
disinnescato la mina dei ceti medi, portando la riduzione
dal 90 al 70 per cento per le pensioni fra i 1400 e i 2400
euro e azzerando la rivalutazione oltre i 2400 euro. Inol-
tre, anche quello che sembrava il fortilizio dei 40 anni
di contributi, il sancta sanctorum dell’andata in pensione
indipendentemente dall’età, è stato in parte intaccato,
facendo slittare di uno, due e tre mesi aggiuntivi le finestre
di uscita al 2012, 2013 e 2014.
Alla luce di tali colpi appare quanto mai demagogico e
intollerabile il dibattito sulle cosiddette pensioni d’oro. Il
risultato è che dall’agosto 2011 al 31 dicembre del 2014
scatta un taglio del 5 per cento per le pensioni superiori ai
90.000 e fino ai 150.000 euro annui, che diventa del 10 per
cento per gli importi superiori ai 150.000. Una limatura
che riguarderà circa 50.000 cittadini, e chiamarla «tassa di
solidarietà» più che sorridere fa di nuovo indignare. Nessun
provvedimento, invece, si è visto in questa ultima manovra
che avesse lo scopo di migliorare la condizione lavorativa e
contributiva dei giovani, colpiti dalla disoccupazione (gli
under 25 senza lavoro sono il 29,6 per cento, le giovani del
Sud in cerca di lavoro superano il 46 per cento) e vittime
designate di una casta irresponsabile seduta sui propri
privilegi, preoccupata solamente di mantenere il potere.
Nulla di nuovo, si dirà. Del resto, come si fa a dare credi-
bilità ai peana e alle prediche sulla meritocrazia quando
a farli è un’insensibile e miope classe dirigente malata di
gerontocrazia?
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Quattro lezioni buone per tutti
A mo’ di sintesi ci pare interessante proporre un inter-
vento di Elsa Fornero, dal quale si può trarre la linea di
comportamento che tutti dovremmo seguire. Il messaggio
è che in previdenza non esistono pasti gratis per nessuno.
Ne è da tempo convinta la docente di Economia presso
l’Università di Torino, editorialista di importanti quoti-
diani. Volendo anticipare le somme del nostro viaggio
all’interno della previdenza italiana, vale la pena ricordare
che oggi le cose sono profondamente cambiate e, soprat-
tutto per un trentenne che si affaccia al mondo del lavoro,
la pensione è tutt’altro che scontata. Il sistema attuale è
finanziariamente sostenibile, ma le garanzie sono diluite,
l’incertezza è aumentata, i margini di scelta dei lavoratori
si sono ampliati e, come scrive la Fornero, ci sono lezioni
da imparare.
La prima lezione che dovrebbe risultare chiara è che non esi-
stono pensioni gratuite. La seconda lezione è che ciascuno sarà
maggiormente responsabile della propria pensione e che, in
linea generale, dovrà pagarsi la pensione con il proprio lavoro
(la solidarietà è ovviamente prevista, ma limitata a fattispecie
determinate). Ma la responsabilità si associa necessariamente
a conoscenza. E quindi il minimo che ci si deve attendere è
un’informazione corretta sul cambiamento delle regole e, spe-
cificatamente, sul passaggio dalla pensione retributiva a quella
contributiva. Non interessa ai cittadini la complessa formula
con la quale i benefici saranno determinati, né sapere come è
costruito il coefficiente che trasforma in pensione il cumulo
(montante) dei contributi. Interessano i principi di base e le
caratteristiche principali delle nuove pensioni: la loro stretta
corrispondenza con i contributi (ogni euro versato conta e gli
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euro versati in giovane età pesano molto di più nella somma
cumulata al pensionamento; lavorare in nero ha un costo
molto elevato in termini di rinuncia alla futura pensione);
il legame, quasi un gioco cooperativo, che si instaura tra la
pensione del singolo e il tasso di crescita dell’economia (quanto
è più alta la crescita del Pil, tanto maggiore è il rendimento
riconosciuto ai contributi); la correlazione positiva tra età al
pensionamento e importo della pensione (diversamente dalla
pensione di anzianità, la pensione contributiva non soltanto
cresce proporzionalmente ai contributi versati negli anni addi-
zionali, ma soprattutto tiene conto della minore durata del
periodo di pensionamento). La terza lezione è che le garanzie
generalizzate per un’economia che cresce poco o punto, come
la nostra, sono un lusso e finiscono per tradursi in privilegi per
i ricchi. La quarta lezione, forse la più importante, è che la pen-
sione pubblica non basterà più. Occorrerà quindi risparmiare
(anche se ciò è difficile per chi ha soltanto un lavoro precario),
partecipare alla previdenza integrativa, programmare e, più in
generale, prepararsi al pensionamento. È ovvio che i normali
cittadini non possono diventare esperti previdenziali. È però
importante che si diffonda la percezione che le pensioni sempre
meno dipendono dalla benevolenza dei politici e, sempre più,
saranno il risultato di un libretto pensionistico personale, del
quale si dovrà quindi avere grande cura.1
1
Elsa Fornero, Quattro lezioni valide per tutti, «Il Sole 24 Ore», 5
maggio 2011.
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