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Saggi di
Diritto Privato




  Autori: ProfMan & Lily
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Diritto provato                                                                            Visto su: Profland




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Diritto provato                                                              Visto su: Profland

                                       SAGGIO I

     RISOLUZIONE DEL CONTRATTO EX ART. 1453 E “SANZIONE” PER
                       L’INADEMPIMENTO

Si considera l’ipotesi della risoluzione del contratto di compravendita per
inadempimento del venditore e ci si chiede quale sia la natura dell’obbligazione di
restituzione del prezzo già versato dal compratore: ci si chiede se si tratti di debito di
valore o di valuta e cioè se esso risenta oppure no del principio nominalistico delle
obbligazioni pecuniarie. Poiché il debito di risarcimento per inadempimento
contrattuale ed illecito extracontrattuale si considera obbligazione di valore,
l’obbligazione restitutoria in esame sarà di valore o di valuta a seconda che alla
risoluzione del contratto generante la restituzione sia attribuita una funzione di
risarcimento oppure no.
La dottrina ritiene che la risoluzione abbia carattere sanzionatorio (satisfattizio per il
compratore e afflittivo per il venditore inadempiente) proprio come lo ha l’obbligo di
risarcimento, al quale la risoluzione va ad aggiungersi.
Si contesta questa opinione la quale equipara la natura sanzionatoria del risarcimento
alla risoluzione, affermando che il risarcimento è una conseguenza ulteriore e ben
distinta dell’inadempimento, che può accompagnare sia la risoluzione che l’esecuzione
coattiva, in quanto il compratore ha la facoltà di scelta tra questi strumenti.
Va ancora aggiunto che di “sanzione” (dal punto dell’inadempiente) si può parlare
correttamente solo quando vi siano conseguenze afflittive per chi la subisce. In effetti
va detto che in seguito alla risoluzione l’inadempiente subisce contemporaneamente
l’acquisto della liberazione dall’obbligo corrispettivo e la perdita del diritto di credito
senza poter valutare l’opportunità di questo scambio qualora questi continuasse ad
avere interesse nel contratto. Tuttavia in ciò non si può cogliere la “sanzione” della
risoluzione perché è da escludersi che l’inadempiente potrebbe ancora avere interesse
nel contratto in quanto l’inadempimento stesso esprime in concreto il disinteresse della
parte per il contratto. Inoltre attraverso l’individuazione dell’interesse (dal punto del
risolvente) della risoluzione si giunge ad escludere ogni sua natura sanzionatoria.
Infatti la risoluzione non importa solo la perdita diretta ed immediata del diritto
dell’inadempiente ma anche la contemporanea estinzione diretta ed immediata del
diritto del risolvente. Si dovrà pensare quindi che chi sceglie la risoluzione invece
dell’esecuzione coattiva evidentemente preferisce all’utilizzazione diretta dell’oggetto
del proprio diritto il suo valore di scambio con il bene consistente nella liberazione dal
suo obbligo corrispettivo.
Risulta evidente, perciò, che il risolvente non persegue un interesse sanzionatorio nei
confronti della parte inadempiente ma un interesse rivolto all’utilizzazione
“dispositivo-novativa” del suo credito (perdita del diritto di acquisto, liberazione
dall’obbligo). Tale soluzione corrisponde anche al testo dell’art. 1453 cod.civ.
Alla luce di queste considerazioni che escludono la funzione sanzionatoria della
risoluzione l’obbligo di restituzione del prezzo nell’ipotesi di risoluzione del contratto
di compravendita conseguente all’inadempimento del venditore è debito di valuta e
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quindi non si deve tener conto della svalutazione monetaria nella determinazione della
somma da rimborsare perché la somma di denaro, oggetto dell’obbligo di restituzione,
non costituisce come sanzione la misura economica della lesione subita dal risolvente
che sarà eventualmente oggetto dell’obbligo di risarcimento qualora oltre al danno si
provi anche la colpa dell’inadempiente.

Art. 1453 Risolubilità del contratto per inadempimento: “Nei contratti
sinallagmatici quando uno dei contraenti non adempie le sue obbligazioni, l’altro può
scegliere tra l’esecuzione coattiva o la risoluzione, oltre, in ogni caso, al risarcimento
del danno.”


                                       SAGGIO II

      RISOLUZIONE “NOVATIVA” DEL CREDITO E RISOLUZIONE DEL
                CONTRATTO PER INADEMPIMENTO

Esposizione delle critiche formulate in un recente studio contro la tesi che inquadra il
potere di risoluzione nell’ambito dell’ipoteca di disposizione “novativa”:
a) l’interesse della parte risolvente può realizzarsi anche incidendo sulle posizioni della
controparte;
b) si prospetta l’ipotesi che l’intenzione del risolvente possa essere rivolta alla diretta
incisione delle posizioni dell’inadempiente;
c) si sottolinea l’incoerenza di uno strumento di difesa che abbia per effetto diretto ed
immediato la disposizione di un diritto della parte che si vuole proteggere, mentre le
conseguenze favorevoli ne sarebbero solo un effetto indiretto e mediato.
Le critiche riportate sono superate e appaiono del tutto immotivate perché:
a) non si è mai negato che la risoluzione per inadempimento abbia come effetto diretto
non solo la disposizione di un diritto da parte di chi s’intende proteggere, ma anche la
perdita dell’obbligo verso la controparte (duplice effetto: positivo e negativo);
b) appare ovvio che chi sceglie la risoluzione, invece dell’esecuzione forzata,
evidentemente preferisce all’utilizzazione diretta dell’oggetto del proprio diritto il suo
valore di scambio con un diverso bene: la liberazione di un obbligo. Inoltre la natura
sanzionatoria della risoluzione non è sicura, alla luce della considerazione che la sola
risoluzione, indipendente dal risarcimento danni al quale può accompagnarsi, non
rappresenta una punizione afflittiva per la parte inadempiente, la quale perde sì un
diritto ma contemporaneamente si libera anch’essa da un obbligo. Né ancora si può
superare quest’argomentazione affermando che la parte inadempiente è punita, in
quanto subisce passivamente lo scambio senza poterne valutare l’opportunità della
convenienza, in quanto l’inadempimento stesso esprime un chiaro disinteresse della
parte per il contratto.
Ulteriormente si ritiene che nel diritto soggettivo, accanto al potere di godimento (al
quale corrisponde la possibilità di utilizzazione diretta dell’oggetto del diritto stesso)
esiste il potere di disporre (al quale corrisponde l’utilizzazione “indiretta” dell’oggetto
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esercitando sia la facoltà di disposizione traslativa, vendendo o permutando il credito,
sia la facoltà di disposizione novativa, attraverso un negozio novativo, di datio in
solutium o di compensazione convenzionale) è fuori dubbio che l’interesse è realizzato
anche mediante l’esercizio della facoltà dispositivo-novativa. In questa prospettiva non
si può dubitare che il credito sia strumento di tutela oltre che dell’interesse del
creditore a conseguire il bene dovuto e anche di quello a conseguire un bene diverso da
quello dovuto. Quindi, di realizzazione del diritto si può parlare sia quando il creditore,
vendendo o permutando il credito, consegue un aliud, mediante l’esercizio del potere
di disposizione traslativa, sia quando novando il credito consegue un aliud mediante
l’esercizio del potere di disposizione novativa. Alla luce di tali considerazioni risulta
pertanto evidente che:
1) la facoltà di disposizione comprende sia quella di vendere o permutare (disposizione
traslativa) sia quella di scambiare novativamente (disposizione novativa);
2) che sia l’interesse a disporre vendendo sia quello a disporre novando siano elementi
materiali del diritto;
3) che si “realizzi” il diritto sia quando si soddisfa l’interesse materiale tutelato con la
pretesa al conseguimento diretto dell’oggetto della prestazione dovuta, sia quando si
soddisfa l’interesse rappresentato dal “valore di scambio” del bene dovuto.
Si conferma così la validità della figura del potere “dispositivo-novativo” e si superano
le critiche formulate contro l’inquadramento in tale potere di quello diretto alla
risoluzione del contratto per inadempimento.


                                       SAGGIO III

    RISOLUZIONE DEL CONTRETTO PER INADEMPIMENTO E TUTELA
                        RISARCITORIA

Secondo un consolidato orientamento giuridico al contraente non inadempiente
sarebbe dovuto, in seguito alla risoluzione del contratto, il risarcimento del c.d. danno
positivo, di quel danno cioè che si commisura alla lesione dell’interesse contrattuale
all’adempimento. Questa soluzione appare obbligata per chi pensa che la limitazione
del risarcimento ai soli danni negativi (commisurati all’interesse che la parte aveva a
non iniziare le trattative) sia inconcepibile a causa della differenza tra la responsabilità
precontrattuale (il cui risarcimento è appunto limitato ai soli danni negativi) e
l’inadempimento di un contratto sinallagmatico. Sembrerebbe perciò obbligata
l’adesione alla communis opinio, ma appare evidente, già dall’art. 1453, che il danno
risarcibile, al quale si riferisce l’articolo, rappresenta il pregiudizio che deriva
dall’attuazione di uno dei due rimedi alternativi (esecuzione coattiva o risoluzione)
previsti come prima misura di tutela per il non inadempiente. A questo punto è
necessario risolvere il problema di individuare i danni risarcibili esaminando il modo
in cui la risoluzione incida sul pregiudizio subito da chi agisce in risoluzione per
l’inadempimento della controparte. La dottrina dominante non si è chiesta se la
risoluzione comprometta o piuttosto sostituisca la realizzazione dell’assetto
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quantitativo del patrimonio raggiunto attraverso lo scambio inattuato, considerando la
risoluzione some sanzione contro l’inadempimento preordinato a combinarsi con il
risarcimento dei danni positivi proprio per addossare al contraente inadempiente un
sacrificio adatto a ripagare il contraente fedele di tutti i danni subiti per aver dovuto
rinunciare all’attuazione del programma negoziale.
Una più analitica considerazione degli effetti collegati al rimedio della risoluzione
consentono di escludere la natura sanzionatoria della risoluzione. Anche
l’inadempiente infatti è liberato dall’obbligo della controprestazione (inadempimento =
disinteresse nel contratto) e quindi si considera lo strumento meramente riequilibratore
del sinallagma, limitando la funzione sanzionatoria solo all’eventuale risarcimento del
danno. Tenendo presente che la funzione riequilibratice si ottiene mediante lo scambio
del diritto di credito con il riacquisto della disponibilità della propria prestazione (e
quindi della possibilità di ricollocare sul mercato il bene-oggetto a condizioni diverse,
magari più vantaggiose) appare evidente che la natura satisfattoria della risoluzione
non può non incidere sulla determinazione del pregiudizio subito che si dovrà valutare
alla luce dell’appagamento conseguito dal risolvente. Se la tutela ereditaria viene
quindi attuata dalla risoluzione con uno scambio che comunque consente il suo
soddisfacimento, ciò che residua va determinato in base all’appagamento già
conseguito. A questo punto si è indotti a concludere che la determinazione del danno
contrattuale positivo si debba evincere dal confronto tra la situazione del risolvente al
momento della valutazione e quella che vi sarebbe stata se l’evento dannoso non si
fosse verificato e quindi qualora il risolvente avesse regolarmente conseguito la
prestazione dovuta dall’inadempiente. Tale atteggiamento non può essere condiviso. Si
deve considerare che la risoluzione è un rimedio rimesso all’iniziativa del contraente
deluso, il quale la eserciterà quando riterrà più conveniente utilizzare il proprio diritto
di credito insoddisfatto indirettamente (scambiandolo con la liberazione dell’obbligo
corrispettivo) anziché direttamente (pretendendo coattivamente l’adempimento della
prestazione) e quindi sulla base di una propria soggettiva valutazione almeno di
equivalenza (se non di vantaggio) tra la perdita subita e l’acquisto ricevuto. Se quindi
tale scambio è stato liberamente voluto, esso è incompatibile con una comparazione
oggettiva tra situazione ipotetica e situazione reale al momento della risoluzione nel
quale il titolare dell’interesse ha indicato di considerare almeno equivalente la perdita
subita e l’acquisto conseguito. A questo proposito si può parlare di una scelta libera e
discrezionale, non necessitata ma semmai solo occasionata dall’inadempimento, del
risolvente in quanto questi non è mai obbligato a sciogliere il contratto ineseguito e
l’inadempimento non induce mai necessariamente alla risoluzione, giacché può invece
indurre all’esecuzione forzata. Quindi, proprio la possibilità di decidere per la
manutenzione del contratto anche quando non possa farsi luogo a procedura esecutiva
(la quale, essendo ammessa nei soli casi specificatamente previsti, potrebbe essere
impedita da circostanze di fatto oppure dalla natura infungibile della prestazione, nel
qual caso il non inadempiente, pur perseguendo l’attuazione del contratto, non otterrà
l’esecuzione in natura ma l’equivalente pecuniario, cioè la manutenzione coattiva e
non l’inadempimento forzato) conferma che l’esercizio dell’azione alternativa alla
risoluzione non è condizionato dalla possibilità di ottenere un adempimento coattivo in
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senso tecnico, così ribadendo l’assoluta libertà di scelta da parte del contraente
fedele.
Il risarcimento del danno che può (non deve) accompagnare la risoluzione non potrà
perciò mai tendere alla ricostituzione dell’assetto quantitativo del patrimonio che
sarebbe derivato dall’adempimento programmato, perché il risolvente ha voluto
scambiare l’acquisto preordinato con uno alternativo che è da considerare almeno
equivalente al primo.
Con queste considerazioni non si vuole dubitare che il risarcimento del danno debba
riparare al pregiudizio effettivamente subito e va quindi commisurato alla diminuzione
patrimoniale oggettivamente subita, ma si vuole contestare solo che lo scambio della
risoluzione lasci scaturire un danno differenziale da addossare al contraente infedele.
Tale soluzione è suggerita del rilievo dato alla volontà e alla libera valutazione del
risolvente. Se, infatti, il contraente fedele ha la facoltà di scegliere, sulla base di sue
soggettive considerazioni di convenienza, la disposizione novativa del suo credito, non
si può dubitare che la risoluzione ex art. 1453 consenta un interesse del risolvente non
estraneo a quelli a cui il contratto era preordinato e perciò non lascia residuare alcun
ulteriore interesse creditorio da appagare.
Si può quindi concludere escludendo che il risarcimento possa tendere a soddisfare il
diritto del risolvente ad un assetto economico equivalente a quello che gli avrebbe
assicurato il contratto risolto, perché questo diritto è già stato realizzato attuando lo
scambio del credito (disposizione novativa).
Il risarcimento non potrà quindi riguardare né la differenza di valore tra prestazione e
controprestazione, perché ne è stata valutata l’equivalenza soggettiva al momento dello
scambio (disposizione novativa), né il danno conseguente alla successiva mancata
utilizzazione diretta della prestazione inadempiuta ad opera della parte lesa, perché il
risolvente ha dimostrato di voler soddisfare il suo interesse alla prestazione mediante
lo scambio con un aliud e quindi di non avere più interesse all’utilizzazione diretta del
bene. Se il diritto previsto per il soddisfacimento dell’interesse originario è stato
utilizzato per ottenere il soddisfacimento di un interesse valutato soggettivamente
come equivalente, non residua più nulla da risarcire.
Vi sono però delle situazioni nelle quali è possibile individuare danni positivi
risarcibili anche successivamente alla risoluzione. Si pensi, ad esempio, al caso di un
compratore imprenditore, il quale, di fronte all’inadempimento del venditore, risolva il
contratto per recuperare la disponibilità della somma di denaro dovuta quale prezzo, al
fin di utilizzarla per reperire altrove la stessa merce per non interrompere la sua attività
produttiva. Qualora l’acquisto avvenisse a condizioni più svantaggiose rispetto a quelle
convenute nel contratto, appare ragionevole che di tali danni debba farsi carico
l’inadempiente (sempre che l’inadempimento gli sia imputabile).
Si può perciò dire che mentre in generale la risoluzione comporta la rinuncia al
soddisfacimento diretto dell’interesse primario, in alcuni casi questa stessa è
strumentale al diverso soddisfacimento dello stesso interesse originario e quindi non è
incompatibile con un risarcimento che, comprendendo i danni positivi, da commisurato
a quell’interesse. Si deve ammettere l’esistenza di danni positivi risarcibili non coperti
dall’acquisto conseguito dal risolvente mediante l’utilizzazione del rimedio quando il
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contraente fedele aveva già preordinato un vantaggio patrimoniale nei confronti di un
terzo attraverso l’utilizzazione dell’oggetto della prestazione non più conseguita. In tal
caso, lo scambio non è in grado di soddisfare neanche indirettamente il nuovo
interesse, la cui frustrazione è da riconnettersi all’altrui inadempimento.
Resta perciò confermato che la risoluzione per inadempimento è un rimedio indirizzato
al ripristino dell’equilibrio degli interessi e va perciò distinto da quegli strumenti
predisposti, invece, al risarcimento dei pregiudizi economici. Una volta constatata la
diversità funzionale di rimedi si può escludere che questi si possano combinare per
realizzare una funzione sanzionatoria dell’inadempimento.


                                      SAGGIO IV

         INADEMPIMENTI SIMULTANEI E RIMEDI SINALLAGMATICI

Se l’inadempiente che chiede l’esecuzione della prestazione alla controparte, a sua
volta inadempiente, può essere opposta l’accezione d’inadempimento ex art. 1460 cod.
civ. In generale si dovrà ribadire che la risoluzione è utilizzabile dal non inadempiente
e si dovrà precisare che qualora fosse una parte inadempiente a proporre la risoluzione
non vi sarebbe bisogno di ricorrere all’art. 1460 per bloccarne l’azione, essendo
sufficiente far rilevare la mancanza, in capo all’attore, delle condizioni per l’esercizio
dell’azione.
L’art. 1460 presume un primo inadempimento per richiedere il rimedio: con termini
diversi di scadenza delle prestazioni. L’art. 1460 vale, però, solo per l’inadempimento
mano contro mano.
La risoluzione vale solo per gli inadempimenti reciproci e simultanei, in questo caso si
può ricorrere all’art. 1460. Da ciò risulta che:
a) “congelamento” dell’equilibrio sinallagmatico, al fine di assicurare a ciascuna parte
il conseguimento della controprestazione contemporaneamente all’esecuzione della
prestazione dovuta;
b) pertanto non si può accertare che l’eccezione dell’inadempimento serve a
giustificare la mancata esecuzione della prestazione da parte dell’excipiens sulla base
dell’illecito inadempimento dell’altro, ne consegue l’eccipiente “non inadempiente”, la
possibilità di agire, dopo, per ottenere la manutenzione coattiva del contratto; se
l’eccezione non può servire a giustificare l’inadempimento dell’excipiens, si ape la
strada a una soluzione di natura “conservativa” della risoluzione individuando l’effetto
“estintivo” del diritto che si sostanzia nel potere di prendere l’adempimento coattivo
sorto in capo al creditore debitore in seguito all’inadempimento dell’excipiens,
prodotto dall’esercizio dell’eccezione in oggetto;
c) deriva che l’altrui comportamento lesivo determina solo la possibilità di respingere
legittimamente l’azione di adempimento coattivo: l’excepitio però non può proibire da
una delle parti di paralizzare l’altrui pretesa coattiva, l’art. 1460 consente solo di
impedire, di fronte ad inadempimenti contemporanei, reciproci ed equivalenti, la
manutenzione coattiva del contratto e perciò determina solo la possibilità di respingere
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legittimamente l’azione rivolta all’adempimento coattivo di una prestazione.

Art. 1460 Eccezione di inadempimento: “Nei contratti con prestazioni corrispettive,
ciascuno dei contraenti può rifiutarsi di adempiere la sua obbligazione, se l’altro non
adempie e non offre di adempiere contemporaneamente la propria, salvo che termini
diversi per l’adempimento siano stati stabiliti dalle parti o risultino dalla natura del
contratto. Non può rifiutarsi l’esecuzione se il rifiuto è contrario alla buona fede.”


                                      SAGGIO V

             L’ECCEZIONE D’INADEMPIMENTO NEL CONTRATTO DI
             SOMMINISTRAZIONE A PRESTAZIONI CONTINUATIVE

Dottrina egemone
L’eccezione di inadempimento del contratto di somministrazione può essere proposta
indifferentemente dal somministrante o dal somministrato sia con riferimento all’intero
rapporto sia con riguardo alla singola coppia di prestazioni.

Critica e superamento
Il contratto di somministrazione si caratterizza per il fatto che una parte,
somministrante, si obbliga verso il corrispettivo di un prezzo ad eseguire a favore
dell’altra, somministrato, prestazioni continuative o periodiche di cose. Si tratta di un
contratto in cui il somministrato è tenuto normalmente ad adempiere dopo l’esecuzione
della prestazione da parte del somministrante: momento in cui, cioè, la prestazione del
somministrato si determina e diviene esigibile successivamente all’esecuzione della
prestazione del somministrante.
Quindi:
1) o il somministrante ha già effettuato quella parte della sua prestazione che si
riferisce ad una scadenza considerata e allora l’eventuale inadempimento del
somministrato giustificherà solo la sospensione delle sue future prestazioni, non
potendosi certo sospendere una prestazione già eseguita;
2) o il somministrante non ha ancora effettuato la fornitura oggetto della sua
prestazione, ed allora non potrà mai aversi una sospensione in seguito alla
proposizione dell’eccezione d’inadempimento né con riferimento all’intero rapporto,
né con riguardo alla singola coppia dio prestazioni interessata dall’inadempimento.
L’exceptio non sarà utilizzabile né dal somministrante, che non potrà eccepire un
inadempimento del somministrato che non si è ancora verificato, né dal somministrato,
che è tenuto appunto ad adempiere dopo il primo.
Con queste affermazioni si supera la diffusa e consolidata opinione secondo cui
l’exceptio inadimpleti contractus possa essere opposta dalla parte non obbligata ad
adempiere per prima in caso di inadempimento dell’altra parte, qualora tale rifiuto non
sia contrario alla buona fede.
L’eccezione d’inadempimento presuppone la contemporaneità delle prestazioni e
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quindi degli inadempimenti.
Se l’adempimento di uno determina l’esigibilità della prestazione dell’altro, ne deriva
che l’altrui inadempimento non serve a giustificare il proprio, ma, ben più
radicalmente, a rendere non azionabile il diritto sulla cui base l’altra parte ha agito.
Si può perciò concludere, in tema di contratto di somministrazione, nel senso che,
quando questo è a prestazioni continuative, l’eccezione di inadempimento può essere
proposta, almeno di regola, solo con riferimento all’intero rapporto contrattuale e
unicamente dal somministrante (cioè da parte di colui che, nella pratica contrattuale,
deve adempiere per primo). Il somministrato, invece, il quel normalmente non deve
eseguire per primo, ma dopo l’altro, non può agire ex 1460, non esistendo alcun suo
inadempimento da giustificare, ma deve eccepire l’inesigibilità del credito di cui l’altra
parte ha chiesto coattivamente l’esecuzione.




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  • 2. Appunti di Diritto provato Visto su: Profland Si ricorda che: • l'uso degli appunti qui presenti è consentito per solo uso personale e di studio; • la consultazione è gratuita ed ogni forma atta a ricavarne lucro è vietata! • gli appunti sono fatti da studenti che non possono assumersi nessuna responsabilità in merito; • il materiale qui presente non è sostitutivo ma complementare ai libri di testo: - devi (e ti consiglio) di consultare e comprare i libri di testo; • il materiale qui presente è distribuito con licenza Creative Commons Ti ricordo che se vuoi contribuire mandando degli appunti o quant'altro possa essere utile ad altri puoi farlo inviando il materiale tramite: http://profland.altervista.org/mail.htm Spero che ciò che hai scaricato ti possa essere utile. Profman Il file è stato scaricato/visualizzato in forma gratuita da Profland: http://profland.altervista.org sezione Profstudio http://profland.altervista.org/profstudio/profstudio.htm oppure da qualche mirror, come: www.profland.cjb.net www.profland.135.it o dalla pagina dedicata su slideshare.net: www.slideshare.net/profman 2/11
  • 3. Appunti di Diritto provato Visto su: Profland SAGGIO I RISOLUZIONE DEL CONTRATTO EX ART. 1453 E “SANZIONE” PER L’INADEMPIMENTO Si considera l’ipotesi della risoluzione del contratto di compravendita per inadempimento del venditore e ci si chiede quale sia la natura dell’obbligazione di restituzione del prezzo già versato dal compratore: ci si chiede se si tratti di debito di valore o di valuta e cioè se esso risenta oppure no del principio nominalistico delle obbligazioni pecuniarie. Poiché il debito di risarcimento per inadempimento contrattuale ed illecito extracontrattuale si considera obbligazione di valore, l’obbligazione restitutoria in esame sarà di valore o di valuta a seconda che alla risoluzione del contratto generante la restituzione sia attribuita una funzione di risarcimento oppure no. La dottrina ritiene che la risoluzione abbia carattere sanzionatorio (satisfattizio per il compratore e afflittivo per il venditore inadempiente) proprio come lo ha l’obbligo di risarcimento, al quale la risoluzione va ad aggiungersi. Si contesta questa opinione la quale equipara la natura sanzionatoria del risarcimento alla risoluzione, affermando che il risarcimento è una conseguenza ulteriore e ben distinta dell’inadempimento, che può accompagnare sia la risoluzione che l’esecuzione coattiva, in quanto il compratore ha la facoltà di scelta tra questi strumenti. Va ancora aggiunto che di “sanzione” (dal punto dell’inadempiente) si può parlare correttamente solo quando vi siano conseguenze afflittive per chi la subisce. In effetti va detto che in seguito alla risoluzione l’inadempiente subisce contemporaneamente l’acquisto della liberazione dall’obbligo corrispettivo e la perdita del diritto di credito senza poter valutare l’opportunità di questo scambio qualora questi continuasse ad avere interesse nel contratto. Tuttavia in ciò non si può cogliere la “sanzione” della risoluzione perché è da escludersi che l’inadempiente potrebbe ancora avere interesse nel contratto in quanto l’inadempimento stesso esprime in concreto il disinteresse della parte per il contratto. Inoltre attraverso l’individuazione dell’interesse (dal punto del risolvente) della risoluzione si giunge ad escludere ogni sua natura sanzionatoria. Infatti la risoluzione non importa solo la perdita diretta ed immediata del diritto dell’inadempiente ma anche la contemporanea estinzione diretta ed immediata del diritto del risolvente. Si dovrà pensare quindi che chi sceglie la risoluzione invece dell’esecuzione coattiva evidentemente preferisce all’utilizzazione diretta dell’oggetto del proprio diritto il suo valore di scambio con il bene consistente nella liberazione dal suo obbligo corrispettivo. Risulta evidente, perciò, che il risolvente non persegue un interesse sanzionatorio nei confronti della parte inadempiente ma un interesse rivolto all’utilizzazione “dispositivo-novativa” del suo credito (perdita del diritto di acquisto, liberazione dall’obbligo). Tale soluzione corrisponde anche al testo dell’art. 1453 cod.civ. Alla luce di queste considerazioni che escludono la funzione sanzionatoria della risoluzione l’obbligo di restituzione del prezzo nell’ipotesi di risoluzione del contratto di compravendita conseguente all’inadempimento del venditore è debito di valuta e 3/11
  • 4. Appunti di Diritto provato Visto su: Profland quindi non si deve tener conto della svalutazione monetaria nella determinazione della somma da rimborsare perché la somma di denaro, oggetto dell’obbligo di restituzione, non costituisce come sanzione la misura economica della lesione subita dal risolvente che sarà eventualmente oggetto dell’obbligo di risarcimento qualora oltre al danno si provi anche la colpa dell’inadempiente. Art. 1453 Risolubilità del contratto per inadempimento: “Nei contratti sinallagmatici quando uno dei contraenti non adempie le sue obbligazioni, l’altro può scegliere tra l’esecuzione coattiva o la risoluzione, oltre, in ogni caso, al risarcimento del danno.” SAGGIO II RISOLUZIONE “NOVATIVA” DEL CREDITO E RISOLUZIONE DEL CONTRATTO PER INADEMPIMENTO Esposizione delle critiche formulate in un recente studio contro la tesi che inquadra il potere di risoluzione nell’ambito dell’ipoteca di disposizione “novativa”: a) l’interesse della parte risolvente può realizzarsi anche incidendo sulle posizioni della controparte; b) si prospetta l’ipotesi che l’intenzione del risolvente possa essere rivolta alla diretta incisione delle posizioni dell’inadempiente; c) si sottolinea l’incoerenza di uno strumento di difesa che abbia per effetto diretto ed immediato la disposizione di un diritto della parte che si vuole proteggere, mentre le conseguenze favorevoli ne sarebbero solo un effetto indiretto e mediato. Le critiche riportate sono superate e appaiono del tutto immotivate perché: a) non si è mai negato che la risoluzione per inadempimento abbia come effetto diretto non solo la disposizione di un diritto da parte di chi s’intende proteggere, ma anche la perdita dell’obbligo verso la controparte (duplice effetto: positivo e negativo); b) appare ovvio che chi sceglie la risoluzione, invece dell’esecuzione forzata, evidentemente preferisce all’utilizzazione diretta dell’oggetto del proprio diritto il suo valore di scambio con un diverso bene: la liberazione di un obbligo. Inoltre la natura sanzionatoria della risoluzione non è sicura, alla luce della considerazione che la sola risoluzione, indipendente dal risarcimento danni al quale può accompagnarsi, non rappresenta una punizione afflittiva per la parte inadempiente, la quale perde sì un diritto ma contemporaneamente si libera anch’essa da un obbligo. Né ancora si può superare quest’argomentazione affermando che la parte inadempiente è punita, in quanto subisce passivamente lo scambio senza poterne valutare l’opportunità della convenienza, in quanto l’inadempimento stesso esprime un chiaro disinteresse della parte per il contratto. Ulteriormente si ritiene che nel diritto soggettivo, accanto al potere di godimento (al quale corrisponde la possibilità di utilizzazione diretta dell’oggetto del diritto stesso) esiste il potere di disporre (al quale corrisponde l’utilizzazione “indiretta” dell’oggetto 4/11
  • 5. Appunti di Diritto provato Visto su: Profland esercitando sia la facoltà di disposizione traslativa, vendendo o permutando il credito, sia la facoltà di disposizione novativa, attraverso un negozio novativo, di datio in solutium o di compensazione convenzionale) è fuori dubbio che l’interesse è realizzato anche mediante l’esercizio della facoltà dispositivo-novativa. In questa prospettiva non si può dubitare che il credito sia strumento di tutela oltre che dell’interesse del creditore a conseguire il bene dovuto e anche di quello a conseguire un bene diverso da quello dovuto. Quindi, di realizzazione del diritto si può parlare sia quando il creditore, vendendo o permutando il credito, consegue un aliud, mediante l’esercizio del potere di disposizione traslativa, sia quando novando il credito consegue un aliud mediante l’esercizio del potere di disposizione novativa. Alla luce di tali considerazioni risulta pertanto evidente che: 1) la facoltà di disposizione comprende sia quella di vendere o permutare (disposizione traslativa) sia quella di scambiare novativamente (disposizione novativa); 2) che sia l’interesse a disporre vendendo sia quello a disporre novando siano elementi materiali del diritto; 3) che si “realizzi” il diritto sia quando si soddisfa l’interesse materiale tutelato con la pretesa al conseguimento diretto dell’oggetto della prestazione dovuta, sia quando si soddisfa l’interesse rappresentato dal “valore di scambio” del bene dovuto. Si conferma così la validità della figura del potere “dispositivo-novativo” e si superano le critiche formulate contro l’inquadramento in tale potere di quello diretto alla risoluzione del contratto per inadempimento. SAGGIO III RISOLUZIONE DEL CONTRETTO PER INADEMPIMENTO E TUTELA RISARCITORIA Secondo un consolidato orientamento giuridico al contraente non inadempiente sarebbe dovuto, in seguito alla risoluzione del contratto, il risarcimento del c.d. danno positivo, di quel danno cioè che si commisura alla lesione dell’interesse contrattuale all’adempimento. Questa soluzione appare obbligata per chi pensa che la limitazione del risarcimento ai soli danni negativi (commisurati all’interesse che la parte aveva a non iniziare le trattative) sia inconcepibile a causa della differenza tra la responsabilità precontrattuale (il cui risarcimento è appunto limitato ai soli danni negativi) e l’inadempimento di un contratto sinallagmatico. Sembrerebbe perciò obbligata l’adesione alla communis opinio, ma appare evidente, già dall’art. 1453, che il danno risarcibile, al quale si riferisce l’articolo, rappresenta il pregiudizio che deriva dall’attuazione di uno dei due rimedi alternativi (esecuzione coattiva o risoluzione) previsti come prima misura di tutela per il non inadempiente. A questo punto è necessario risolvere il problema di individuare i danni risarcibili esaminando il modo in cui la risoluzione incida sul pregiudizio subito da chi agisce in risoluzione per l’inadempimento della controparte. La dottrina dominante non si è chiesta se la risoluzione comprometta o piuttosto sostituisca la realizzazione dell’assetto 5/11
  • 6. Appunti di Diritto provato Visto su: Profland quantitativo del patrimonio raggiunto attraverso lo scambio inattuato, considerando la risoluzione some sanzione contro l’inadempimento preordinato a combinarsi con il risarcimento dei danni positivi proprio per addossare al contraente inadempiente un sacrificio adatto a ripagare il contraente fedele di tutti i danni subiti per aver dovuto rinunciare all’attuazione del programma negoziale. Una più analitica considerazione degli effetti collegati al rimedio della risoluzione consentono di escludere la natura sanzionatoria della risoluzione. Anche l’inadempiente infatti è liberato dall’obbligo della controprestazione (inadempimento = disinteresse nel contratto) e quindi si considera lo strumento meramente riequilibratore del sinallagma, limitando la funzione sanzionatoria solo all’eventuale risarcimento del danno. Tenendo presente che la funzione riequilibratice si ottiene mediante lo scambio del diritto di credito con il riacquisto della disponibilità della propria prestazione (e quindi della possibilità di ricollocare sul mercato il bene-oggetto a condizioni diverse, magari più vantaggiose) appare evidente che la natura satisfattoria della risoluzione non può non incidere sulla determinazione del pregiudizio subito che si dovrà valutare alla luce dell’appagamento conseguito dal risolvente. Se la tutela ereditaria viene quindi attuata dalla risoluzione con uno scambio che comunque consente il suo soddisfacimento, ciò che residua va determinato in base all’appagamento già conseguito. A questo punto si è indotti a concludere che la determinazione del danno contrattuale positivo si debba evincere dal confronto tra la situazione del risolvente al momento della valutazione e quella che vi sarebbe stata se l’evento dannoso non si fosse verificato e quindi qualora il risolvente avesse regolarmente conseguito la prestazione dovuta dall’inadempiente. Tale atteggiamento non può essere condiviso. Si deve considerare che la risoluzione è un rimedio rimesso all’iniziativa del contraente deluso, il quale la eserciterà quando riterrà più conveniente utilizzare il proprio diritto di credito insoddisfatto indirettamente (scambiandolo con la liberazione dell’obbligo corrispettivo) anziché direttamente (pretendendo coattivamente l’adempimento della prestazione) e quindi sulla base di una propria soggettiva valutazione almeno di equivalenza (se non di vantaggio) tra la perdita subita e l’acquisto ricevuto. Se quindi tale scambio è stato liberamente voluto, esso è incompatibile con una comparazione oggettiva tra situazione ipotetica e situazione reale al momento della risoluzione nel quale il titolare dell’interesse ha indicato di considerare almeno equivalente la perdita subita e l’acquisto conseguito. A questo proposito si può parlare di una scelta libera e discrezionale, non necessitata ma semmai solo occasionata dall’inadempimento, del risolvente in quanto questi non è mai obbligato a sciogliere il contratto ineseguito e l’inadempimento non induce mai necessariamente alla risoluzione, giacché può invece indurre all’esecuzione forzata. Quindi, proprio la possibilità di decidere per la manutenzione del contratto anche quando non possa farsi luogo a procedura esecutiva (la quale, essendo ammessa nei soli casi specificatamente previsti, potrebbe essere impedita da circostanze di fatto oppure dalla natura infungibile della prestazione, nel qual caso il non inadempiente, pur perseguendo l’attuazione del contratto, non otterrà l’esecuzione in natura ma l’equivalente pecuniario, cioè la manutenzione coattiva e non l’inadempimento forzato) conferma che l’esercizio dell’azione alternativa alla risoluzione non è condizionato dalla possibilità di ottenere un adempimento coattivo in 6/11
  • 7. Appunti di Diritto provato Visto su: Profland senso tecnico, così ribadendo l’assoluta libertà di scelta da parte del contraente fedele. Il risarcimento del danno che può (non deve) accompagnare la risoluzione non potrà perciò mai tendere alla ricostituzione dell’assetto quantitativo del patrimonio che sarebbe derivato dall’adempimento programmato, perché il risolvente ha voluto scambiare l’acquisto preordinato con uno alternativo che è da considerare almeno equivalente al primo. Con queste considerazioni non si vuole dubitare che il risarcimento del danno debba riparare al pregiudizio effettivamente subito e va quindi commisurato alla diminuzione patrimoniale oggettivamente subita, ma si vuole contestare solo che lo scambio della risoluzione lasci scaturire un danno differenziale da addossare al contraente infedele. Tale soluzione è suggerita del rilievo dato alla volontà e alla libera valutazione del risolvente. Se, infatti, il contraente fedele ha la facoltà di scegliere, sulla base di sue soggettive considerazioni di convenienza, la disposizione novativa del suo credito, non si può dubitare che la risoluzione ex art. 1453 consenta un interesse del risolvente non estraneo a quelli a cui il contratto era preordinato e perciò non lascia residuare alcun ulteriore interesse creditorio da appagare. Si può quindi concludere escludendo che il risarcimento possa tendere a soddisfare il diritto del risolvente ad un assetto economico equivalente a quello che gli avrebbe assicurato il contratto risolto, perché questo diritto è già stato realizzato attuando lo scambio del credito (disposizione novativa). Il risarcimento non potrà quindi riguardare né la differenza di valore tra prestazione e controprestazione, perché ne è stata valutata l’equivalenza soggettiva al momento dello scambio (disposizione novativa), né il danno conseguente alla successiva mancata utilizzazione diretta della prestazione inadempiuta ad opera della parte lesa, perché il risolvente ha dimostrato di voler soddisfare il suo interesse alla prestazione mediante lo scambio con un aliud e quindi di non avere più interesse all’utilizzazione diretta del bene. Se il diritto previsto per il soddisfacimento dell’interesse originario è stato utilizzato per ottenere il soddisfacimento di un interesse valutato soggettivamente come equivalente, non residua più nulla da risarcire. Vi sono però delle situazioni nelle quali è possibile individuare danni positivi risarcibili anche successivamente alla risoluzione. Si pensi, ad esempio, al caso di un compratore imprenditore, il quale, di fronte all’inadempimento del venditore, risolva il contratto per recuperare la disponibilità della somma di denaro dovuta quale prezzo, al fin di utilizzarla per reperire altrove la stessa merce per non interrompere la sua attività produttiva. Qualora l’acquisto avvenisse a condizioni più svantaggiose rispetto a quelle convenute nel contratto, appare ragionevole che di tali danni debba farsi carico l’inadempiente (sempre che l’inadempimento gli sia imputabile). Si può perciò dire che mentre in generale la risoluzione comporta la rinuncia al soddisfacimento diretto dell’interesse primario, in alcuni casi questa stessa è strumentale al diverso soddisfacimento dello stesso interesse originario e quindi non è incompatibile con un risarcimento che, comprendendo i danni positivi, da commisurato a quell’interesse. Si deve ammettere l’esistenza di danni positivi risarcibili non coperti dall’acquisto conseguito dal risolvente mediante l’utilizzazione del rimedio quando il 7/11
  • 8. Appunti di Diritto provato Visto su: Profland contraente fedele aveva già preordinato un vantaggio patrimoniale nei confronti di un terzo attraverso l’utilizzazione dell’oggetto della prestazione non più conseguita. In tal caso, lo scambio non è in grado di soddisfare neanche indirettamente il nuovo interesse, la cui frustrazione è da riconnettersi all’altrui inadempimento. Resta perciò confermato che la risoluzione per inadempimento è un rimedio indirizzato al ripristino dell’equilibrio degli interessi e va perciò distinto da quegli strumenti predisposti, invece, al risarcimento dei pregiudizi economici. Una volta constatata la diversità funzionale di rimedi si può escludere che questi si possano combinare per realizzare una funzione sanzionatoria dell’inadempimento. SAGGIO IV INADEMPIMENTI SIMULTANEI E RIMEDI SINALLAGMATICI Se l’inadempiente che chiede l’esecuzione della prestazione alla controparte, a sua volta inadempiente, può essere opposta l’accezione d’inadempimento ex art. 1460 cod. civ. In generale si dovrà ribadire che la risoluzione è utilizzabile dal non inadempiente e si dovrà precisare che qualora fosse una parte inadempiente a proporre la risoluzione non vi sarebbe bisogno di ricorrere all’art. 1460 per bloccarne l’azione, essendo sufficiente far rilevare la mancanza, in capo all’attore, delle condizioni per l’esercizio dell’azione. L’art. 1460 presume un primo inadempimento per richiedere il rimedio: con termini diversi di scadenza delle prestazioni. L’art. 1460 vale, però, solo per l’inadempimento mano contro mano. La risoluzione vale solo per gli inadempimenti reciproci e simultanei, in questo caso si può ricorrere all’art. 1460. Da ciò risulta che: a) “congelamento” dell’equilibrio sinallagmatico, al fine di assicurare a ciascuna parte il conseguimento della controprestazione contemporaneamente all’esecuzione della prestazione dovuta; b) pertanto non si può accertare che l’eccezione dell’inadempimento serve a giustificare la mancata esecuzione della prestazione da parte dell’excipiens sulla base dell’illecito inadempimento dell’altro, ne consegue l’eccipiente “non inadempiente”, la possibilità di agire, dopo, per ottenere la manutenzione coattiva del contratto; se l’eccezione non può servire a giustificare l’inadempimento dell’excipiens, si ape la strada a una soluzione di natura “conservativa” della risoluzione individuando l’effetto “estintivo” del diritto che si sostanzia nel potere di prendere l’adempimento coattivo sorto in capo al creditore debitore in seguito all’inadempimento dell’excipiens, prodotto dall’esercizio dell’eccezione in oggetto; c) deriva che l’altrui comportamento lesivo determina solo la possibilità di respingere legittimamente l’azione di adempimento coattivo: l’excepitio però non può proibire da una delle parti di paralizzare l’altrui pretesa coattiva, l’art. 1460 consente solo di impedire, di fronte ad inadempimenti contemporanei, reciproci ed equivalenti, la manutenzione coattiva del contratto e perciò determina solo la possibilità di respingere 8/11
  • 9. Appunti di Diritto provato Visto su: Profland legittimamente l’azione rivolta all’adempimento coattivo di una prestazione. Art. 1460 Eccezione di inadempimento: “Nei contratti con prestazioni corrispettive, ciascuno dei contraenti può rifiutarsi di adempiere la sua obbligazione, se l’altro non adempie e non offre di adempiere contemporaneamente la propria, salvo che termini diversi per l’adempimento siano stati stabiliti dalle parti o risultino dalla natura del contratto. Non può rifiutarsi l’esecuzione se il rifiuto è contrario alla buona fede.” SAGGIO V L’ECCEZIONE D’INADEMPIMENTO NEL CONTRATTO DI SOMMINISTRAZIONE A PRESTAZIONI CONTINUATIVE Dottrina egemone L’eccezione di inadempimento del contratto di somministrazione può essere proposta indifferentemente dal somministrante o dal somministrato sia con riferimento all’intero rapporto sia con riguardo alla singola coppia di prestazioni. Critica e superamento Il contratto di somministrazione si caratterizza per il fatto che una parte, somministrante, si obbliga verso il corrispettivo di un prezzo ad eseguire a favore dell’altra, somministrato, prestazioni continuative o periodiche di cose. Si tratta di un contratto in cui il somministrato è tenuto normalmente ad adempiere dopo l’esecuzione della prestazione da parte del somministrante: momento in cui, cioè, la prestazione del somministrato si determina e diviene esigibile successivamente all’esecuzione della prestazione del somministrante. Quindi: 1) o il somministrante ha già effettuato quella parte della sua prestazione che si riferisce ad una scadenza considerata e allora l’eventuale inadempimento del somministrato giustificherà solo la sospensione delle sue future prestazioni, non potendosi certo sospendere una prestazione già eseguita; 2) o il somministrante non ha ancora effettuato la fornitura oggetto della sua prestazione, ed allora non potrà mai aversi una sospensione in seguito alla proposizione dell’eccezione d’inadempimento né con riferimento all’intero rapporto, né con riguardo alla singola coppia dio prestazioni interessata dall’inadempimento. L’exceptio non sarà utilizzabile né dal somministrante, che non potrà eccepire un inadempimento del somministrato che non si è ancora verificato, né dal somministrato, che è tenuto appunto ad adempiere dopo il primo. Con queste affermazioni si supera la diffusa e consolidata opinione secondo cui l’exceptio inadimpleti contractus possa essere opposta dalla parte non obbligata ad adempiere per prima in caso di inadempimento dell’altra parte, qualora tale rifiuto non sia contrario alla buona fede. L’eccezione d’inadempimento presuppone la contemporaneità delle prestazioni e 9/11
  • 10. Appunti di Diritto provato Visto su: Profland quindi degli inadempimenti. Se l’adempimento di uno determina l’esigibilità della prestazione dell’altro, ne deriva che l’altrui inadempimento non serve a giustificare il proprio, ma, ben più radicalmente, a rendere non azionabile il diritto sulla cui base l’altra parte ha agito. Si può perciò concludere, in tema di contratto di somministrazione, nel senso che, quando questo è a prestazioni continuative, l’eccezione di inadempimento può essere proposta, almeno di regola, solo con riferimento all’intero rapporto contrattuale e unicamente dal somministrante (cioè da parte di colui che, nella pratica contrattuale, deve adempiere per primo). Il somministrato, invece, il quel normalmente non deve eseguire per primo, ma dopo l’altro, non può agire ex 1460, non esistendo alcun suo inadempimento da giustificare, ma deve eccepire l’inesigibilità del credito di cui l’altra parte ha chiesto coattivamente l’esecuzione. 10/11
  • 11. Appunti di Diritto provato Visto su: Profland Il file è stato scaricato/visualizzato in forma gratuita da Profland: http://profland.altervista.org sezione Profstudio http://profland.altervista.org/profstudio/profstudio.htm oppure da qualche mirror, come: www.profland.cjb.net www.profland.135.it o dalla pagina dedicata su slideshare.net: www.slideshare.net/profman 11/11