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ROTARY INTERNATIONAL
DISTRETTO 2100 ITALIA
Service Above Self - He Profit Most Who Serves Best
Raimondo Villano
Verso la società globale
dell’informazione
A. R. 2000-2001
4
L’elaborazione e la scrittura di questo testo è stata ultimata nel mese di maggio 1996.
© Rotary International - Club Pompei Oplonti Vesuvio Est
Elaborazione, impaginazione e correzioni a cura di Raimondo Villano
Edizioni Eidos, Castellammare di Stabia (Na)
5
Indice
Presentazione 7
Prefazione 9
CAPITOLO I
Analisi settoriale delle principali applicazioni telematiche 11
CAPITOLO II
Analisi settoriale dei problemi tecnici di applicazione
e/o sviluppo delle tecnologie informatiche 33
CAPITOLO III
Sicurezza e reati informatici: problemi tecnici, giuridici e normativi 85
CAPITOLO IV
Problematiche ed azioni politiche 113
CAPITOLO V
Politica, attività e problematiche delle imprese del settore informatico 135
CAPITOLO VI
Stime di mercato 149
CAPITOLO VII
Aspetti filosofici, morali ed esistenziali 155
CAPITOLO VIII
Impatto spaziale. Problemi urbanistici 163
CAPITOLO IX
Impatto sociale 169
Conclusioni 177
Note 180
Bibliografia 183
7
Presentazione
Un grande dono offerto con grande umiltà.
Ecco come si può definire questa lunga e non lieve fatica di Raimondo Villano, il quale,
per mero spirito di servizio e non certo per ambizioni accademiche, ha voluto assumere la
parte e l’ufficio di mediatore tra una materia intrinsecamente complessa e in rapida evolu-
zione e la gran massa di coloro che, in numero e in misura crescenti, son destinati a fare i
conti con essa, anche se non per loro scelta.
Il discorso sull’attuale società dell’informazione è tanto diffuso, che rischia di apparire
un luogo comune. Ma proprio il fatto di essere comune comporta la necessità che se ne
conoscano, sia pure a grandi linee ma non superficialmente, contenuti metodi e finalità non
con la pretesa di dominare il nuovo universo disciplinare ma con il legittimo desiderio di
non esserne dominati e manipolati. La nuova realtà creata dalla scienza informatica ed
elettronica ha profondamente mutato, abbreviandole fin quasi a cancellarle, le tradizionali
coordinate spaziali e temporali dell’umano agire e comunicare, costringendo anche menta-
lità e abitudini a rapidi processi di adattamento.
Quando gli adattamenti ci sono stati (con o senza traumi conta poco), si son ritrovati
enormemente accresciuti i poteri di ciascun individuo di mettersi in relazione con gli altri e
quindi di moltiplicare, attraverso lo scambio di informazioni, le occasioni e le modalità
della crescita globale della personalità. Quando, invece, gli adattamenti non sono stati nep-
pure tentati o, se avviati, non hanno creato le sperate abilità, s’è avvertita una progressiva
emerginazione dal flusso delle informazioni e s’è instaurata la non felice condizione di do-
ver utilizzare informazioni manipolate da altri o comunque di seconda mano.
Ecco perché oggi non è più possibile scegliere tra l’adesione alla nuova realtà e il rifiuto
di essa. Nella società dell’informazione ci siamo già e, ci piaccia o no, l’unica libertà di
scelta che rimane è tra il rassegnarsi a subirla o il prepararsi a guidarla.
E l’uomo, se non vuole abdicare alla propria dignità, non può non provvedere in tempo
alla propria libertà con lo scegliere la seconda ipotesi.
È davvero un Giano bifronte quello che sfida l’uomo contemporaneo a scelte difficili e
irrevocabili: esso promette e fa intravvedere un gran bene, ma contiene anche, occulte, le
insidie di un gran male.
Ancora una volta, come all’inizio della storia, l’uomo deve vivere e risolvere dentro di sé
l’eterno dramma della scelta. Ma in ogni caso la via resta sempre una: quella della cono-
scenza. Per accettare o per respingere.
* * *
L’autore non chiude gli occhi di fronte ai problemi che vien ponendo all’uomo di oggi la
trasformazione in atto della società. Al contrario: li fa suoi, quei problemi, e, pur con le
debite cautele e riserve, assume coraggiosamente posizione a favore della prospettiva di
cambiamento, ovviamente governato e diretto dall’uomo. Il cap. VII, in particolare, con-
tiene una diligente e accurata disamina del pensiero filosofico contemporaneo nel suo
8
misurarsi con la tecnologia informatica e con i problemi ch’essa pone alla perplessa intel-
ligenza e all’ancor più perplessa sensibilità degli uomini.
Sembra proprio che l’intera civiltà occidentale, di plurimillenaria durata, sia giunta ad
una svolta decisiva del suo cammino: la macchina, che pur è frutto dell’umano pensiero, ne
incrementa ed amplifica le potenzialità in misura incredibile e imprevedibile, ma restano
molto difformi da essa i ritmi con cui le masse degli uomini si adeguano alle nuove possibi-
lità operative. È come se l’immensa eredità della storia dell’umana intelligenza e ricerca
oggi costituisse una remora o un gravame per l’uomo dannato al cambiamento: questo c’è
sempre stato, ma, per i ritmi che ne scandivano il processo, è stato sempre agevolmente
“metabolizzato” dall’uomo. Oggi è l’incalzante rapidità dei processi innovativi che mette a
nudo la lentezza dell’adeguamento dell’uomo e della sua struttura psichica e mentale.
Ed è proprio lì, nello scarto tra le due velocità, che si annida il rischio: la liberazione
dalla ripetitività meccanica di certe operazioni, offerta dalla macchina, potrebbe tramutarsi
in un forma sconosciuta di asservimento delle masse. Da parte di chi? e a vantaggio di chi?
Se a questo punto della riflessione interviene l’inevitabile avvertimento di tener sempre
l’uomo come fine, ecco che ammonitore si leva il passato con tutto il fascino dei valori
ch’esso ha creati e consegnati alla nostra coscienza e alla nostra responsabilità. Il cammino
verso il nuovo è inarrestabile. L’augurio è che l’uomo sappia percorrerlo con saggezza, con
coraggio e con umiltà, traghettando sempre nei nuovi approdi l’eredità delle passate gene-
razioni, in virtù della quale egli può ancora riconoscersi e dirsi uomo.
La riflessione dell’autore su tutta quest’area problematica dura da alcuni anni, nel cor-
so dei quali egli ne ha fatto partecipi gli amici rotariani del suo club con la generosità di chi
mette a vantaggio degli altri la propria fatica e con l’umiltà di chi sente il proprio dono
inadeguato al sentimento che lo muove e lo accompagna.
Alcune tappe di questo fecondo e costante rapporto della silenziosa operosità del singolo
con la vita del gruppo sono state contrassegnate da concrete proposte di notevole utilità e
rilevanza sociale: ricordo le validissime indicazioni sull’organizzazione del servizio sanita-
rio e dell’assistenza agli anziani, sull’orientamento dei giovani nella scelta degli studi uni-
versitari e nella ricerca del lavoro nonché le preziose applicazioni della razionalità infor-
matica alla sistemazione dell’archivio del Distretto 2100 del R.I.
Di tutta l’esperienza acquisita e della conoscenza accumulata nell’itinerario degli ultimi
anni quest’opera rappresenta la “summa”, della quale non saprei se apprezzare di più l’ampiez-
za della materia trattata o lo sforzo di renderla accessibile alla comprensione di persone sforni-
te di competenza specifica ma dotate di buona volontà, quali son certamente i Rotariani.
A me, che ho avuto più volte l’occasione di apprezzare la serietà dell’impegno professio-
nale e civile dell’autore, piace concludere questa presentazione col notare ch’egli, nel
delineare l’avvento del nuovo universalismo tecnologico come versione contempora-
nea degli universalismi classici (cristiano, umanistico, razionalistico), ha saputo far
sua la pedagogia rotariana dell’uomo come fine.
Gennaio 2000 Antonio Carosella
9
Prefazione
Il presente lavoro è scaturito dall’analisi, a mano a mano sem-
pre più approfondita, degli aspetti e delle problematiche della so-
cietà globale dell’informazione, condotta sulla scorta di numerosi
testi e pubblicazioni, tra le quali ultime mi piace ricordare qui il
prestigioso quotidiano nazionale IL SOLE 24 ORE, che al fenome-
no delle telecomunicazioni riserva con costanza la sua ben nota e
non superficiale attenzione.
A me pare, invero, ch’esso, pur senza la pretesa di essere esau-
stivo in una materia oltremodo complessa a causa dell’intrinseca
multifattorialità e polivalenza nonché della magmatica evoluzione
del fenomeno, possa tuttavia divenire un utile strumento di ulterio-
re comprensione e punto di partenza per l’aggiornamento delle co-
noscenze.
Ciò a beneficio di una platea non di addetti ai lavori ma di sog-
getti di buona volontà, che con attenzione, sensibilità e sollecitudi-
ne recano il loro tassello, piccolo ma pur sempre prezioso, alla gran-
de opera collettiva dell’edificazione della società contemporanea.
Raimondo Villano
33
CAPITOLO II
Analisi settoriale dei problemi tecnici di applicazione
e/o sviluppo delle tecnologie informatiche
Riguardo alla televisione, si deve tener presente che essa si prepara a passare dall’era catodica
a quella digitale in cui si può trasmettere attraverso un segnale dieci volte più grande di quello
attuale giungendo a ricevere fino a cinquecento canali specializzati, multimediali ed interattivi. Il
televisore diventerà un pò computer, un pò videotelefono ed un pò terminale.
La quantità di canali a disposizione5
spingerà i broadcaster ad offrire dei bouquet di program-
mi specializzati abbandonando la strategia di ricercare il massimo ascolto in ogni rete.
Le reti generaliste diventeranno tematiche (le stesse emittenti attuali sanno di dover
cambiare): sono pronti i canali dedicati ai bambini, agli amanti della musica e dello sport,
alle notizie finanziarie.
L’avvento di questi nuovi media caratterizzati da soluzioni più o meno accentuate di interattività
ed il loro rapporto con la televisione tradizionale, soprattutto con quella generalista, hanno com-
portato lo sviluppo di un intenso dibattito fra operatori, programmisti, ricercatori e studiosi dei
fenomeni comunicativi. Un dibattito che si potrebbe ridurre a una contrapposizione fra un’ipote-
si di rivalità e, quindi, anche di futura sostituzione di un tipo di comunicazione rispetto all’altro
e un auspicio di complementarità reciproca, addirittura di collaborazione. Inoltre, è emersa una
contrapposizione interpretativa fra “ottimisti” e “prudenti”, al di là, ovviamente, della diversità
di sfumature. I primi hanno sottolineato l’impatto “rivoluzionario” delle nuove tecnologie e han-
no previsto una perdita progressiva d’importanza del tradizionale “broadcastin”; gli altri hanno
dato giudizi più acuti contrapponendo alla prospettiva fiduciosa e proiettata verso il futuro tecno-
logico la preoccupazione soprattutto per le difficoltà d’ordine economico e per quelle connesse
alle abitudini di consumo. Vi è, inoltre, chi ritiene che l’utilizzo della tecnologia videoway cam-
bia le abitudini di ascolto dei telespettatori ma non conferma le ipotesi sulla sostituzione della
televisione tradizionale e c’è chi, invece, sostiene la necessità di ridimensionare le previsioni
rispetto agli atteggiamenti di consumo del telespettatore, rilevando come negli Usa l’impatto
delle nuove tecnologie sia stato minore rispetto a quanto soprattutto i media prevedevano. Que-
sto discorso viene ancora più evidenziato se si considera come i network statunitensi stiano
attualmente rafforzandosi e concentrandosi e stiano proponendo un’immagine della tv generalista
come matrice di tutte le nuove forme di televisione, come punto di riferimento nella pluralità
dell’offerta: il suo palinsesto potrebbe essere usato come un menu a cui attingere per le costru-
zioni delle reti tematiche (la rete delle reti).
C’è, tuttavia, da tener presente, come d’altronde afferma la maggior parte degli specialisti del
settore, che la Tv generalista tra dieci anni sarà ancora seguita dal 50-70% dei telespettatori.
Come, infatti, è già accaduto per i quotidiani, l’arrivo di un nuovo “medium” modifica l’ambien-
te della comunicazione ma non determina la scomparsa del precedente.
È chiaro, pertanto, che bisogna agire sulla diversificazione del pubblico e sulla disaffezione
per i canali tradizionali (per nulla automatica né maggioritaria) offrendo generi poco presenti nei
loro palinsesti generalisti, per conquistare nicchie di mercato composte da pubblici a reddito
medio-alto e quindi con maggiori capacità di selezione e di critica verso l’offerta.
34
I sondaggi dicono che, per assicurarsi questi sevizi, l’americano medio è disposto a spendere
circa 10 dollari al mese in più di quanto spende ora.
In Europa6
sono i francesi che si dichiarano più disponibili a pagare pur di avere la possibilità
di accedere ai servizi televisivi avanzati.
Non meraviglia affatto che, sotto questo punto di vista, l’Italia non si mostri molto entusiasta,
dal momento che nel nostro Paese non esiste la televisione via cavo e i telespettatori sono stati da
sempre abituati a vedere la tv praticamente gratis: per le reti pubbliche c’è il canone, mentre sui
canali commerciali si paga indirettamente sottoponendosi al bombardamento pubblicitario. Ri-
sulta interessante notare che, secondo le ricerche della Inteco, sei italiani su dieci sarebbero
disposti a pagare un supplemento per vedere i film senza pubblicità (contro il 70% dei francesi,
il 49% dei tedeschi e il 39% degli inglesi).
Pochi, insomma, sembra siano convinti che il mercato della tv interattiva sia destinato a diventa-
re un mercato di massa7
poiché il consumo televisivo ha tempi di cambiamento più lenti rispetto
all’innovazione dell’offerta e alle alleanze tra i gruppi che la determinano. La risposta dei diversi
pubblici nazionali, pertanto, rappresenta il grande interrogativo sulla redditività degli investimenti
effettuati o da effettuare da parte di Stati e grandi società della comunicazione nell’interattività.
In queste condizioni, il break even, il punto di pareggio, per questi investimenti, sarebbe
lontano nel tempo almeno quindici anni, un pò troppo anche per le gigantesche corporazioni
interessate. I rischi del passaggio all’era dell’interattività, quindi, sono sintetizzabili nella scar-
sa disponibilità non solo di tempo dei consumatori ma, soprattutto, di risorse degli investitori
mentre la comunicazione commerciale sarà più lunga nei tempi e più riflessiva, in risposta ai
bisogni d’informazione.
Il vero problema è senza dubbio rappresentato dai costi. Un centro servizi costa 60 miliardi e
bisogna averne molti sul territorio.
In Usa, per dotare 60 milioni di case dell’attrezzatura necessaria, dicono gli analisti, occorro-
no fra i 70 e i 90 miliardi di dollari. Il costo per collegare ogni singola casa varia, secondo le
stime, fra i 700 e i 2.500 dollari.
Vi è, poi, il costo dei servizi: infatti le sperimentazioni statunitensi dimostrano che la gente
paga solo per servizi effettivi.
In realtà, la storia dell’industria è fatta di salti tecnologici che hanno reso possibile prodotti
che sembravano irrealistici e di bisogni latenti dei consumatori che esplodono all’improvviso. E
tutti hanno troppa paura di commettere lo stesso errore (snobbare i mini computer) che è costato
all’Ibm la leadership planetaria dell’informatica.
In attesa del “mondo nuovo” i grandi magazzini dell’informazione on line su reti telefoniche,
le reti via cavo con crescente capacità di trasporto di servizi televisivi e la diffusione di centinaia
di canali via satellite, irrompono in un mercato che, comunque, risulterà in mano ai consumatori
ed ai possessori del prodotto, cioè dei contenuti da veicolare in vecchie e nuove reti.
Un mercato, ancora, che attualmente è maturo, cioè dove il consumo di televisione non avrà
ulteriori tassi di incremento8
.
Per quanto riguarda i contenuti e gli strumenti europei nella strategia a sostegno dell’audiovi-
sivo, l’Europa cerca, con molte difficoltà, di recitare ancora un ruolo da protagonista in questo
settore come anche in quello delle comunicazioni. Di fronte alla nuova ondata di fusioni negli
Stati Uniti e all’imminente avvio delle trasmissioni digitali via satellite, con la relativa moltipli-
cazione dei canali e dei servizi televisivi, l’Unione Europea sostiene la propria industria audiovi-
siva, le cui dimensioni nazionali sono di gran lunga inferiori a quelle dei colossi statunitensi.
Fino a pochi anni fa, a Bruxelles la parola magica era Alta Definizione ma il suo standard
europeo di Alta Definizione è fallito prima di nascere, spiazzato irrimediabilmente dall’avanzata
delle tecnologie digitali negli Stati Uniti. Ora l’Europa comunitaria punta allo sviluppo degli
35
apparecchi televisivi in 16:9, a schermo cinematografico, in grado di ricevere sia programmi analo-
gici, quelli diffusi attualmente, che quelli digitali e compatibili con la futura Alta Definizione.
Ci si può chiedere se non si rischi un secondo fallimento europeo per imporre i costosi appa-
recchi a grande schermo, in grado di essere sfruttati al meglio solo con prodotti ad alto costo
(film o eventi sportivi) anziché puntare soprattutto sulla distribuzione numerica in termini di
moltiplicazione dei canali e dei servizi extra televisivi. In entrambi i casi, bisognerà comunque avere
una maggiore produzione europea e nazionale di programmi di stock, quelli in grado di essere ripro-
dotti più volte e, se possibile, esportati sui mercati esteri, a partire dalla fiction e dai film.
In questo scenario, l’assenza dell’Italia dal Piano d’azione per i servizi avanzati è una conse-
guenza della nostra cultura politica e informativa sui mezzi di comunicazione. Una cultura
sintonizzata sulle poltrone, sui personaggi che le occupano e - nella sostanza - sul controllo
dell’informazione. Una cultura, quindi, che sottovaluta la portata strategica dello sviluppo di una
forte industria dei programmi nazionale ed europea.
Lo stesso dibattito pro o contro le quote di programmazione destinate ai programmi di origi-
ne europea ha suscitato scarsa eco sui nostri quotidiani e tra i partiti, al contrario di quanto è
accaduto negli altri paesi europei.
Inoltre, dopo il fallimento dello standard televisivo Mac che, sulla carta, avrebbe dovuto rappre-
sentare l’anticamera per l’affermazione dell’Alta Definizione continentale, l’Europa cerca di non
perdere ulteriore terreno rispetto agli Stati Uniti e al Giappone nella corsa alla televisione del futuro.
Uno degli strumenti utilizzati da Bruxelles nella sua strategia per il sostegno dell’audiovisi-
vo, insieme al Piano media dedicato alla pre-produzione, produzione e distribuzione di program-
mi e film europei, è il Piano d’azione “16:9”, dedicato allo sviluppo di programmi per i televisori
a grande schermo, di cui recentemente è stato presentato il Primo rapporto annuale della Com-
missione al Parlamento e al Consiglio europeo. Rapporto che rivela, purtroppo, come l’Italia sia
stata finora del tutto assente nella richiesta e nell’assegnazione di finanziamenti per i servizi
avanzati di televisione nel biennio ’93-94.
Obiettivo del Piano è quello di favorire la diffusione di apparecchi riceventi a grande scher-
mo (nei quali il rapporto base-altezza è pari a 16:9, rispetto al tradizionale 4:3, proponendo
un’immagine più simile allo schermo cinematografico) incentivando, con opportuni finanziamenti,
la produzione e la diffusione di programmi audiovisivi in tale formato.
A Bruxelles, inoltre, si sta preparando la Direttiva sulle norme relative ai segnali televisivi,
che dovrà rimpiazzare la “Mac” del ’92. Tale nuova direttiva dovrà offrire un contesto di norme
che favorisca lo sviluppo di un mercato i cui protagonisti siano orientati soprattutto a sviluppare
la diffusione numerica dei propri canali televisivi.
Di poi, il mercato dei tv color a schermo cinematografico è impantanato in una situazione
nella quale i produttori di apparecchi e di radiodiffusori si rinfacciano a vicenda di attendere lo
sviluppo del mercato senza investire per farlo decollare.
Inoltre, va considerato che il futuro della tv si gioca sulla moltiplicazione sia tecnologica sia
commerciale dei canali, con una maggior concorrenza dovuta alla possibilità di segmentare il merca-
to, di fare promozioni incrociate tra le diverse reti e di vendere pacchetti di abbonamenti “combinati”
che vedano tra i clienti sia i possessori delle antenne satellitari9
sia le case raggiunte dal cavo.
Negli Usa Fox e Nbc trasmettono via satellite sia direttamente sia ai centri di redistribuzione
dei cable system operator. Il segnale viene trasportato da sei colossi (Alascom, Gte spacenet,
GEAmerican, Hughes, AT&T, Comsat) attraverso 34 satelliti domestici: 4,1 milioni di case han-
no le antenne sul tetto con un giro d’affari pari a 400 milioni di dollari (oltre 650 miliardi).
Ecco alcuni numeri. Secondo la National cable television association, alla fine del ’94 c’era-
no 11.350 società proprietarie di sistemi via cavo articolati su base locale che collegavano 61
milioni di case (i colossi sono Tci e Time Warner con oltre 26 milioni di abbonati).
36
Per quanto riguarda i programmi, negli ultimi tre anni il numero dei canali nazionali specia-
lizzati via cavo è più che raddoppiato: oggi si calcola che siano 150.
E questo mercato è al centro di un aspro scontro tra lobby per stabilire le nuove regole.
Proprio lo scorso anno la commissione Commercio della Camera ha approvato una proposta di
legge favorevole alla liberalizzazione selvaggia che aprirebbe la strada alle concentrazioni tra i
diversi media su scala nazionale: un round nettamente a favore dei grandi operatori.
Dal canto loro le compagnie telefoniche locali si apprestano a entrare massicciamente nella
distribuzione via cavo di servizi video. La partita del multimediale è, però, appena cominciata.
Per quanto riguarda gli incassi delle maggiori Tv specializzate via cavo nel 1993, espressi in
milioni di dollari, essi sono stati di: 342 per espn, 298 per tbs, 311 per usa, 190 per mtv, 149 per
nickelodeon, 209 per tnt e 197 per cnn, mentre gli incassi per il 1994 sono cresciuti sino a: 403
per espn, 356 per tbs, 327 per usa, 250 per mtv, 235 per tnt, 216 per nickelodeon e 204 per cnn.
Ampliando il campo di osservazione all’Europa, c’è da dire che il cavo si è sviluppato come
servizio locale, anziché nazionale, pur essendo spesso di proprietà pubblica, tranne che in Fran-
cia e Germania10
. Quest’ultimo Paese, con 13,5 milioni di collegamenti, conta un terzo degli
abbonati in Europa e vale un terzo delle entrate continentali. La Francia, invece, ha praticamente
abbandonato il suo plan cable, lanciato in pompa magna come inarrestabile volano per l’indu-
stria elettronica e audiovisiva nazionale.
Due ondate simultanee di cambiamento stanno investendo il mercato della tv via cavo: la
convergenza del mercato della televisione con quello delle telecomunicazioni e la liberalizzazione
dei servizi di telecomunicazione. Ciò significa che i tradizionali gestori delle Tlc sono, rispetto al
passato, estremamente interessati al cavo, come dimostra il piano di Telecom Italia per raggiun-
gere dieci milioni di abitazioni entro il 1998.
Il mercato del cavo, in primo luogo, è in crescita, anche se molti operatori sono in perdita e i
risultati non giustificherebbero l’ottimismo e l’entusiasmo per il futuro di molti addetti ai lavori.
In secondo luogo, le reti cablate e quelle di telecomunicazione stanno diventando più simili dal
punto di vista tecnico. In entrambi i casi, poi, gli operatori coinvolti sono interessati a nuove
forme di servizi interattivi, come il video - su - domanda e i videogiochi in rete.
L’integrazione totale tra telecomunicazioni e tv via cavo è, però, ancora lontana, sebbene
tecnicamente possibile, a causa degli enormi investimenti richiesti.
Molti fornitori autorizzati ad offrire il servizio telefonico di base attraverso il cavo potrebbe-
ro seguire il modello britannico della rete parzialmente integrata (acquistando i collegamenti a
lunga distanza dai principali operatori, British Telecom in testa).
All’inizio del ’94, un’abitazione su quattro dell’Europa occidentale era collegata alla tv via
cavo e il totale della spesa degli abbonati era di circa quattro milioni di Ecu, tre quarti dei quali
per i servizi di base, il resto diviso tra costi di collegamenti e abbonamenti alle tv a pagamento.
Le spese dei distributori via cavo sono quasi equivalenti alle entrate, ma sottraendo da queste
ultime la parte di competenza delle emittenti diffuse a pagamento, il settore, nel suo insieme, è in
perdita. La maggior parte delle spese degli operatori è destinata a portare il servizio di base ai
nuovi utenti e aumentare la capacità di trasporto della rete; il limite dei nuovi servizi consiste nel
fatto che essi comportano costi ingenti a cui corrisponde un incremento marginale dei guadagni.
Al di là della media, i mercati del cavo in Europa occidentale stanno attraversando fasi di
sviluppo estremamente diversificate. I 32 milioni di abbonati alla fine del ’93 dovrebbero, secon-
do la Cit Research, arrivare a 55 milioni entro il 2003, con una crescita del 70%, raggiungendo il
31% delle abitazioni con il televisore. I ricavi lordi complessivi degli operatori cavo dovrebbero
quasi triplicarsi, dai 3,9 miliardi di Ecu del ’93 agli 11,3 del 2003. A trarne maggior profitto,
però, saranno i proprietari dei canali a pagamento più che gli operatori del cavo, perché i servizi
di pay-tv porteranno dal 15 al 30% la loro quota sul totale degli introiti del cavo. Con l’avvento
37
dei servizi interattivi, inoltre, i distributori via cavo si ritroveranno a spendere una quota maggiore
del proprio budget per l’acquisto di programmi - si tratti di film o di videogiochi - rispetto ai 26
milioni di Ecu del 1993, ma si ridurranno i costi di sviluppo delle reti (ma non quelle di esercizio).
Tra i singoli Paesi, nell’anno Duemila, la Gran Bretagna dovrebbe superare la Francia, par-
tita in grande anticipo con il suo plan cable, quanto a numero di abbonati, con 3,28 milioni di
famiglie contro 3,13 nel 2001 e, in quell’anno, la Germania sarà a quota 21 milioni di abbonati
al cavo ma a scapito soprattutto degli impianti con antenne centralizzate. In Gran Bretagna vi
sarà il massimo sviluppo della pay-tv nonostante la normativa ignori in buona parte il futuro
peso delle reti via cavo. Attualmete queste pesano per circa il 3% del mercato totale contro il
35% delle reti satellitari, il 36% detenuto dai due canali commerciali (Itv e Channel 4) e il 32%
delle due reti pubbliche della Bbc.
In un mercato ormai quasi totalmente liberalizzato quale quello britannico, infatti, le tv via
cavo americane (ma anche francesi e, naturalmente, inglesi) stanno ritagliandosi una quota sem-
pre crescente, oltre a porre nuovi problemi di rapporti con le società telefoniche che a loro volta
sono interessate a vendere agli utenti nuovi prodotti.
Il mercato delle tv via cavo, in cui operano attualmente una ventina di protagonisti, sta regi-
strando in Gran Bretagna una crescita esponenziale: da poco più di 800mila nel 1993 e 1,4 milio-
ni lo scorso anno il numero degli abbonati dovrebbe superare di slancio quest’anno i due milioni
per attestarsi oltre quota 2,5 milioni.
Lo sviluppo sarà piuttosto debole invece in Germania dove i servizi di base dovrebbero
avere la meglio.
Quanto al video - su - domanda, servizio riassumibile nella filosofia del “guarda ciò che vuoi
quando vuoi”, secondo la Cit, non c’è compagnia telefonica in Europa che non abbia piani per
sperimentare tale servizio, e questo preoccupa gli operatori del cavo, che non hanno a disposizio-
ne i mezzi finanziari delle compagnie telefoniche nazionali.
Dunque, la tv del futuro parlerà americano11
. L’Europa è meno ricettiva degli Usa verso i servizi
interattivi e in questo quadro l’Italia risulta tra i Paesi dove il “Vod” (Video on demand) avrà vita
difficile. Infatti, solo il 10% degli italiani si è dichiarato “molto interessato” alla televisione “su
richiesta”, contro il 43% degli Stati Uniti, il 19% di Gran Bretagna e Francia, il 12% della Germania.
Un altro dato considerato molto importante dagli addetti ai lavori è l’utilizzo del videoregi-
stratore. Tre italiani su dieci, a esempio, programmano il videoregistratore parecchie volte la
settimana; si tratta di un dato superiore alla media americana ma che rappresenta comunque una
frequenza dimezzata rispetto agli inglesi.
Se si analizza più in dettaglio il luogo e il modo in cui decolla la tv interattiva nel mondo, si
osserva che negli Usa U.S. West (Omaha) avviata nel 1994 aveva un bacino utenti nel 1995 di
40.000 unità; Bell Atlantic (New Jersey, Virginia) avviata nel 1994 contava 900 utenti nel 1995;
Time Warner (Florida) avviata nel dicembre 1994 aveva 400 utenti nel 1995; Tci (Washington)
avviata nel 1995 contava 2000 utenti; Nynex (New York) nata nel 1994 contava nel 1995 800
utenti; Viacom (California) nata nel 1995 non ha ancora reso ufficiale il parco utenti.
In Germania, invece, Deutche Telekom, presente in sei importanti città e nata nel 1995, conta
6000 utenti mentre in Australia l’Interactive Tv Australia (Adelaide) nata nel novembre 1994
contava nel 1995 1500 utenti.
In Gran Bretagna, poi, B.T. (Colchester-Ipswich), creata a giugno 1995, conta 2500 utenti
mentre On Line Media (Cambridge), nata a settembre 1994, aveva nel 1995 250 utenti.
Infine, in Giappone Governo Giapponese (Kyoto), nata a luglio ’94, contava 300 utenti nel
1995 mentre Tokio Cable Network (Tokyo), nata nel dicembre 1993, aveva nel 1995 400 utenti.
Esaminando più in particolare i principali aspetti di sviluppo del settore televisivo in Italia, va
rilevato che, benché oggi gli italiani ricevano in media venticinque canali tra emittenti locali e
38
nazionali, non c’è competizione e di fatto si sceglie tra le sei reti principali. Nel contempo, per il
modo in cui si è sviluppata la competizione tra i sei network più importanti, si è di fatto determi-
nata un’omogeneizzazione delle programmazioni. Ciò spesso più che far partecipare l’utente gli
fa subire la trasmissione, rischiando così di farlo allontanare e di concorrere a fargli sviluppare
modi innovativi di intendere l’utilizzazione del mezzo televisivo. Inoltre, apparendo il volume
complessivo di risorse che affluisce al sistema dal serbatoio pubblicitario in grado di alimentare
non più di sei o sette reti generaliste, lo sviluppo dei canali tematici offrirà, anche nel nostro
Paese, opportunità straordinarie per le aziende che intendono colpire un pubblico mirato e nel
contempo gli investimenti pubblicitari concorreranno al rafforzamento delle quote di mercato
dei nuovi media in quanto possono influire sull’abbattimento dei costi: la pubblicità sarà “incap-
sulata” nel programma che costerà meno se sarà ordinato con gli spot. Ovviamente, però, un
trend del genere conoscerà dei limiti, dato che un numero eccessivo di canali o ancor più di scelte
individuali (milioni) provocano solo il caos.
Le previsioni di sviluppo del mercato italiano di Video On Demand sono di circa 200mila
abbonati nel 1996, di circa 500mila nel 1998, di circa 1 milione nel 2000 e di 3 milioni nel 2004.
In ogni caso, il pubblico italiano, tra film, sport, informazioni e intrattenimento, ha a disposi-
zione un’offerta di tv terrestre senza paragoni con altri Paesi europei. E la diffusione dei videore-
gistratori è ormai intorno al 60% delle famiglie con tv. Le difficoltà di Telepiù nella raccolta degli
abbonamenti nascono anche da questa saturazione di offerta a basso costo (canone), che accen-
tua la lentezza del cambiamento.
In autunno è partita a Milano e a Roma la prima sperimentazione commerciale di video on
demand che ha coinvolto mille famiglie, che è basata su doppino telefonico e gestita da Stream,
società costituita a fine ’93 dalla Stet con la missione di centro servizi per il mercato multimediale.
È partita con applicazioni destinate all’intrattenimento, ma con l’obiettivo di arrivare a offrire
anche home banking, teledidattica e altri servizi innovativi.
Nello scenario nazionale, com’è intuibile, gli attori della rivoluzione tecnologica televisiva
sono rappresentati da rai e da Fininvest. La rai ha puntato per gli investimenti tecnologici preva-
lentemente sull’hardware, ovvero non coinvolgendo tanto i programmi quanto, con finanziamenti
di oltre 700 miliardi di lire in tre anni, prevedendo l’informatizzazione degli archivi e la
digitalizzazione degli impianti.
La Fininvest ha deciso di compiere sperimentalmente la prima fase della sua rivoluzione
tecnologica avviando investimenti (affidati a Videotime, la società del gruppo per i mezzi di
produzione) per digitalizzare gli studi al fine di ottimizzare la qualità ed i tempi di realizzazione
dei programmi. Inoltre, al di là delle innovazioni tecnologiche, la Videotime guarda al futuro
tenendo in costante aggiornamento i suoi quadri: un primo laboratorio telematico è stato allesti-
to ad uso interno, durante una recente convention di quadri e dirigenti. Per quanto concerne,
poi, la standardizzazione del sistema, la Fininvest rappresenta l’Italia insieme alla Rai e al mi-
nistero delle Poste nell’ambito della Dvb, l’associazione delle 150 maggiori aziende tv europee
che opera a Ginevra.
Se è vero che la Rai ha gestito le sue reti in chiave generalistica è altrettanto vero che la
Fininvest ha cercato fin dall’inizio di differenziare le sue tre reti orientando in senso generalistico
Canale 5 e specializzando le altre due: Rete 4 in direzione del pubblico femminile e Italia 1 in
direzione del pubblico giovanile; la stessa Rai ha cominciato, da qualche tempo, a costruire i
palinsesti delle proprie reti in direzioni complementari e vuole lavorare sulle reti generaliste, ma
anche in quelle specializzate. Questa proliferazione di prodotti e servizi non esaurisce la funzio-
ne di servizio pubblico; anzi in un momento in cui la personalizzazione asseconda le spinte
settoriali dei mercati, il servizio pubblico deve mediare tra le spinte settoriali e gli interessi della
collettività12
. Ma soprattutto la Rai prepara il lancio, a fine ’96, della tv digitale via satellite. È un
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investimento da 600 miliardi per il quale il servizio pubblico sta portando avanti le trattative con
i possibili partner internazionali e quella con il ministero delle Poste, per ottenere il “via libera”
a un’attività non prevista dall’attuale convenzione con lo Stato.
Colloqui, ad esempio, sono stati avviati con la Disney-Abc, impegnata a lanciare sul conti-
nente il suo Disney channel, aventi per oggetto il lancio di uno degli otto canali tematici progetta-
ti dalla Rai, quello destinato a famiglie e ragazzi. Attualmente, gli otto canali tematici che la Rai
dovrebbe lanciare dal satellite Hot Bird 2 dell’Eutelsat sono: quello musicale (partner Warner e
Sony, antitrust europeo permettendo per la seconda, e la New Regency); quello educativo, finan-
ziato dal Ministero della Pubblica educazione; quello per i ragazzi; quello sportivo; quello tutto
dedicato all’informazione (la Cnn ha offerto la propria disponibilità); poi, un canale “Nostalgia”
con i programmi Rai che hanno fatto la storia della tv in Italia; un canale cinematografico e uno
di musica classica. Un altro canale allo studio potrebbe essere dedicato ai documentari; l’ultimo
potrebbe essere quello della solidarietà collegato al Segretariato sociale13
.
In ogni caso, l’assetto definitivo del pacchetto Rai deve essere ancora stabilito. Varie ipotesi
sono allo studio, tra cui quella, prospettata come la più conveniente, di lasciare “in chiaro” (per i
possessori di antenna parabolica) i due canali dedicati all’informazione e all’educational, trasfor-
mando in canali a pagamento gli altri sei. È certo, tuttavia, che l’impegno finanziario sarà note-
vole: 600 miliardi per otto canali, compreso il centro servizi e i costi di marketing. Sui ricavi le
stime sono molto prudenti intorno ai 100 miliardi annui per l’intero pacchetto. Il pareggio tra
entrate e uscite dovrebbe arrivare intorno al quinto anno, la remunerazione dell’investimento un
pò più avanti, mentre sono previsti incentivi per chi acquisterà antenna parabolica e decodificatore.
Non è ancora stato deciso, soprattutto, se gli otto canali saranno tutti o in parte a pagamento:
diverse opzioni sono allo studio dei vertici aziendali e del presidente Letizia Moratti.
Per la Rai investire nella Tv digitale via satellite comporta un alto rischio ma promette di
portare avanti una politica delle alleanze e di avere accesso alle tecnologie della diffusione digi-
tale e della gestione a distanza del parco abbonati, condizionamenti politici permettendo.
E attraverso la tv del futuro si potrebbe anche anticipare la privatizzazione permessa dal
referendum. La creazione di società ad hoc per la gestione dei canali tematici e di altre attività
nelle quali la Rai possa anche essere in minoranza può essere un modo per introdurre partner
privati nel capitale. Per la Rai, comunque, restano centrali e da mantenere in mano pubblica le tre
reti terrestri. La tv destinata ai grandi pubblici è quindi tutt’altro che morta, lo dimostrano, oltre
alla corsa all’acquisizione dei grandi network commericali come Abc e Cbs, anche la somma,
duemila miliardi di lire, spesa dalla Nbc per acquistare i diritti delle Olimpiadi estive e invernali
del Duemila. In un’epoca di forte competizione su tutti i mercati, le grandi marche hanno sempre
bisogno di posizionarsi e chiedono eventi internazionali dai grandi ascolti.
Sul fronte interno, la Rai chiede al ministero delle Poste l’autorizzazione per gestire canali a
pagamento via satellite, non previsti dall’attuale convenzione con lo Stato. Il ministero potrebbe
autorizzare la sperimentazione, in attesa della ratifica della direttiva europea sui satelliti. Molto
dipenderà da quello che succederà nel dopo - commissione Napolitano dove circolavano propo-
ste che avrebbero potuto ridurre le prospettive d’inserimento della Rai sul mercato, come quella,
ad esempio, che la avrebbe costretta a varare un solo canale tematico.
I concorrenti non aspettano, Telepiù dovrebbe ottenere dal ministero la proroga all’autunno
’96 del termine di legge entro il quale dovrà salire sul satellite. I sudafricani della Nethold, che
controllano la gestione dell’emittente, sono tra i più avanzati nella sperimentazione del segnale e
della gestione del parco abbonati. Telepiù ha prenotato quattro trasmettitori sull’Hot Bird 2, pari
a un “pacchetto” di sedici canali, anche la Rcs sarebbe in lista d’attesa per due trasmettitori sullo
stesso satellite dell’Eutelsat che sarà ricevuto in tutta Italia, oltre che in gran parte d’Europa, con
una parabola di 50-60 centimetri. Infine, sulle 120 opzioni satelittari digitali di Eutelsat, solo 50
sarebbero gestite da soggetti nazionali, leggi permettendo (nella commissione Napolitano c’è chi
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avrebbe voluto vietare per cinque anni la tv a pagamento agli operatori con più di una rete). Gli
altri saranno in mano a operatori esteri, alcuni dei quali stanno studiando l’introduzione su propri
canali dell’audio in lingua italiana.
Per la Rai ed i giovani media non c’è solo il problema dell’innovazione tecnologica che i
mezzi trasmissivi (il cavo ed il satellite) stanno delineando. Altrettanto importante è il problema
dei prodotti e servizi che dovranno essere veicolati. Anzi, a fronte di una rapidissima evoluzione
delle tecnologie trasmissive, arranca la produzione dei contenuti da trasmettere14
.
Come già detto, molte ricerche indicano che le strategie del futuro saranno definite dai
detentori dei contenuti (i grandi archivi di immagini, per esempio) e dei diritti sul loro sfrutta-
mento. Importanti gruppi multinazionali stanno già cercando di comperare tutto il comperabile.
Sulle grandi risorse italiane (i diritti sul patrimonio dei beni culturali, per esempio) si sta verifi-
cando una vera e propria corsa.
La Rai, dunque, sembra voler entrare con tutto il peso dei suoi archivi nella produzione di
software da offrire ai nuovi consumatori di programmi confezionati su misura in self service. Ciò
poiché è evidente che oggi il problema è cosa mettere dentro questo sistema integrato di televi-
sioni, calcolatori e reti che non ha più limiti. E bisogna pensarci in fretta per non essere più terra
di conquista di prodotti che arrivano dall’estero attraverso una nuova massiccia ondata di impor-
tazioni, senza alimentare, se non in misura ridotta, l’industria e la creatività nazionale, dato che
nella produzione nazionale la competitività del nostro Paese è, se possibile, ancora più debole.
Quella cinematografica ha visto, negli ultimi anni, ridursi gli investimenti medi per pellicola e le
quote di mercato, al di là degli exploit di pochi titoli campioni d’incasso.
Certo il maggior ascolto del pubblico, in tutto il mondo, va ai programmi nazionali ma in
Italia rischia di concentrarsi su eventi dal vivo e programmi a basso costo, che non coprono
l’intera programmazione e non hanno possibilità di sfruttamento nel tempo sui vari mercati. La
Rai è da sempre sostanzialmente un produttore di software e in questo contesto deve essere in
grado di fornire servizi che incontrino le esigenze e i bisogni evidenti o latenti degli utenti.
La soglia di accesso per i nuovi canali televisivi, insomma, rimarrà alta, in mancanza di
infrastrutture che permettono di veicolare canali tematici e a pagamento a pubblici definiti e
conosciuti. Ma in ogni caso, anche se questi canali hanno costi di programmazione più bassi di
quelli generalisti, potranno avvalersi della produzione nazionale solo se quest’ultima garantirà
qualità, convenienza e specializzazione.
Per quanto riguarda le aziende e l’industria, l’avvento delle nuove tecnologie dell’informa-
tica e della microelettronica nei prodotti e nei processi produttivi e gestionali determina profonde
trasformazioni nelle strutture delle imprese e nel loro comportamento strategico.
La rapida evoluzione del settore dell’offerta di prodotti informatici (ciclo di vita del prodot-
to informatico: 1 o 2 anni) impone, alle imprese che intendono stare al passo coi tempi, un
altrettanto rapido adeguamento delle proprie strutture organizzative, che dovranno essere dota-
te, quindi, di un elevato grado di flessibilità e adattabilità ad una situazione di mercato caratte-
rizzata dalla obsolescenza precoce.
La scomparsa di un gran numero di imprese che non hanno saputo raccogliere questa sfida è,
forse, la testimonianza più lucida di un’esigenza di riprogettazione della maggior parte delle
funzioni aziendali che ha attraversato, in questi anni, l’imprenditoria italiana.
A farne maggiormente le spese sono stati gli ormai logori processi decisionali che, supportati
dalla possiblità offerta dalle nuove tecnologie di decentralizzazione agevole, hanno saputo ga-
rantire una immediata linfatizzazione al vecchio modello burocraticizzato, causa di tante
duplicazioni e sovrapposizionamenti decisionali.
Il risultato più evidente di un simile processo è rappresentato soprattutto dal prodotto “infor-
mazione”, cioè un bene non fisico, immateriale, che presenta caratteri profondamente diversi
rispetto ai beni di tipo fisico in termini di immagazzinamento e manutenzione.
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Esiste oggi, difatti, un qualcosa chiamato cultura dell’informazione, per cui le aziende non
misurano la loro efficacia mediale, più che l’efficienza, basandosi solamente su quanti videoter-
minali saranno sulle scrivanie dei dirigenti o su quanto sarà stato l’investimento globale per
informatizzare l’azienda; bensì tenderanno ad uniformare le scelte verso la piena comprensione
dell’influenza che l’information technology può esercitare su un’azienda stessa, sia in termini di
sopravvivenza e crescita, che in termini di valutazione dei rischi e delle opportunità.
Il sistema dei flussi informativi per la pianificazione e il controllo diventa, quindi, la struttura
centrale di riferimento in un’impresa che dinamicamente si adatta alle nuove condizioni della
tecnologia e dell’ambiente esterno. Inoltre, ogni giorno le aziende devono compiere una grande
quantità di transazioni cartacee come ordini, fatturazioni, bolle di spedizione secondo procedure
che solo in parte è stato possibile automatizzare, soprattutto quando i documenti sono scambiati
tra organizzazioni diverse. Si tratta di un autentico collo di bottiglia nel flusso delle operazioni,
che ne aumenta tempi e costi, infatti basta considerare che, mediamente, il 25% dei costi di una
transazione è rappresentata dalle fasi di data entry e re-entry.
L’Edi (Electronic data interchange) permette di migliorare la situazione attraverso lo scam-
bio elettronico dei dati tra i computer di partner commerciali collegati a una rete.
La trasmissione e lo smistamento dei dati a mezzo di sistemi di telecomunicazione e la loro
elaborazione tramite computer senza interventi manuali garantisce un’estrema velocità mentre tra i
vantaggi di tipo gestionale offerti dall’Edi si possono citare la riduzione degli stock e degli spazi di
magazzino, i minori tempi di approvvigionamento, la maggiore disponibilità di capitale e la migliore
programmazione della produzione, delle spedizioni e dei trasporti. L’Edi si configura pertanto come
uno strumento strategico per la logistica aziendale, che consente di incrementare la propria
competitività,comunicando con i partner attraverso una tecnologia vantaggiosa per entrambi.
Anche le politiche aziendali tendenti alla riduzione dei magazzini sono più facilmente
perseguibili in presenza di un sistema Edi, che permette di accelerare ordini e consegne e, soprat-
tutto, di sapere istante per istante quali sono le giacenze di magazzino e le merci in viaggio,
quindi spedite dai fornitori.
L’applicazione dei codici a barre per realizzare un data entry automatico previa identificazio-
ne del materiale e l’applicazione dell’Edi permettono,inoltre,di collegare il flusso dei materiali
con quello delle informazioni, aumentando la produttività, migliorando la qualità dell’informa-
zione, riducendo i costi e incrementando la tempestività poiché le informazioni entrano nel com-
puter nel momento in cui avviene la transazione.
In ambito Edi sono state avanzate varie proposte di standard; tra questi si è affermato a livello
mondiale Edifact (Electronic data interchange for administration, commerce and transport), svi-
luppato sotto l’egida delle Nazioni Unite e noto come standard Iso 9735 o En 29735. La costru-
zione dei documenti secondo lo standard Edifact avviene in base a regole che definiscono le
informazioni necessarie, obbligatorie e facoltative, il modo di codificarle e la sequenza che le
informazioni devono rispettare nel messaggio.
Asua volta, la Commissione Ue ha messo a punto un piano denominato Tedis (Trade electronic
data interchange system), i cui principali obiettivi sono evitare la proliferazione di sistemi Edi chiusi
come quelli appena citati, con i conseguenti problemi di compatibilità; promuovere l’introduzione di
sistemi Edi che soddisfino le esigenze degli utenti, soprattutto delle piccole e medie imprese; e,
infine, sostenere il ricorso alle norme disponibili, come le raccomandazioni Un/Ece (Commissione
economica dell’Europa per le Nazioni unite) nelle procedure di scambio internazionali.
Il programma Tedis intende inoltre aumentare la consapevolezza dei potenziali utenti of-
frendo informazioni generali, informare i fornitori europei di apparecchiature e i produttori di
software sulle possibilità offerte dallo sviluppo di sistemi Edi, nonché dare un’assistenza speci-
fica alle piccole e medie imprese per consentirne una partecipazione attiva allo sviluppo dell’Edi.
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In un mondo sempre più attraversato da autostrade elettroniche, l’Edi rappresenta uno strumento
concreto di miglioramento dell’efficienza aziendale.
Le industrie, dunque, avrebbero bisogno di prendere velocemente decisioni in termini di
applicazioni multimediali nel loro ambito, ma tendono anche a procrastinarle nella speranza di
riuscire ad avere, nell’attesa, più informazioni che chiariscano i loro dubbi e i loro interrogativi:
nel frattempo i multimedia continuano a evolvere.
Per entrare nel mondo multimediale, le industrie dovranno reingegnerizzare adeguatamente i
propri ambienti produttivi con workstation che possano supportare e gestire dati multimedialì
incluso video in tempo reale e nuovi server di file che gestiscono grossi volumi di dati immagaz-
zinati su Cd-Rom o Raid (Random arrays of inexpensive discs).
Attualmente, sui mercati dei servizi e dei sistemi multimediali, è già iniziata una fase di
fermento in cui i principali produttori mondiali si stanno impegnando in uno sforzo tecnologico
che renda possibile l’avvento della realtà industriale multimediale: un esempio di ciò è offerto
proprio dalla trasmissione ad alta velocità in contemporanea di suoni, dati e immagini, con
l’annullamento delle distanze per ottenere risparmio di tempo e aumento di produttività. Tutta-
via, sembra che l’industria europea non sia ancora pronta a sfruttare i vantaggi della comunica-
zione multimediale essendo restia a modificare le abitudini di lavoro soprattutto a livello mana-
geriale. Sostanzialmente, l’industria europea vuole essere maggiormente rassicurata sulla faci-
lità d’uso dei servizi multimediali, preoccupata della loro complessità tecnologica e dubbiosa
sulla loro reale necessità.
Benché si deve riconoscere che in taluni casi la “computerizzazione” fin qui realizzata soffre
ancora troppo di rigidità burocratica, anche se con la sua introduzione la produttività dei “colletti
bianchi” ha finalmente cominciato a crescere. Inoltre, pur non essendoci azienda professionista
con una certa cultura informatica che non parli di Internet, quando una di esse si collega per
ottenerne, oltre che informazioni e un congruo risparmio nei costi di comunicazione, anche un
vantaggio commerciale o di immagine, nella gran parte dei casi è impreparata a farlo e di conse-
guenza manca il suo scopo. Appare semplice, poi, utilizzare Internet solo se lo si fa in maniera
superficiale; infatti, in una città virtuale di almeno 50 milioni di abitanti, con un numero impres-
sionante di informazioni di banche dati (database) se non si è esperti navigatori ci si può perdere,
vanificando le proprie azioni e intenzioni.
I software utilizzati per entrare in rete tramite uno dei cento e più provider ormai localizzati in
ogni provincia d’Italia, aiutano i loro utenti a inviare e ricevere posta con grande facilità e a
viaggiare in quella selva di archivi, strade, autostrade, incroci, cartelli e agganci. Ciò, tuttavia,
avviene più nel senso che va dalle aziende verso Internet, per agevolare nel trovare quanto cerca-
no, che nel senso opposto. Se un’azienda vuole usare Internet come mezzo non per cercare ma
per comunicare ciò che fa e produce in modo efficace e remunerativo le occorre una competenza
specifica che spesso non fa parte del bagaglio conoscitivo di chi fornisce i collegamenti e i
servizi. Si sa, infatti, che un’azienda, come qualunque altro soggetto, può avere in Internet sia la sua
casella postale con relativo indirizzo sia la sua vetrina (o uscio di casa) sempre con relativo indirizzo:
alla prima essa riceverà la corrispondenza, alla seconda, che nelle sue home page contiene tutte le
notizie che la riguardano, potrà accedere chiunque cerchi informazioni di quel tipo. Occorre, poi, che
si doti di un navigatore grafico, che le consenta di fare le cose di cui ha bisogno: cercare notizie,
fornire informazioni, partecipare a conferenze, gestire un minimo di posta elettronica e possedere,
infine, buone funzioni grafiche per accedere a testi, immagini, grafici e suoni.
Questa opportunità va attentamente considerata in quanto il forte incremento che sta
interessando Internet in questi ultimi anni ha spinto gli utenti a una maggiore cura delle
loro pagine in rete e non solo nei contenuti ma anche nella grafica e nella qualità della loro
comunicazione. Ecco, allora, emergere il primo limite per chi affida questo compito al
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provider locale: l’estrazione informatica di questi fornitori non ha dato loro l’opportunità di
sviluppare capacità grafiche o di marketing industriale, con il risultato che le pagine di un’azien-
da, qualora fossero affidate loro, corrono il rischio di essere da un lato attraenti e dall’altro vuote
in termini di comunicazione. Sarebbe perciò impossibile per un’azienda ottenere, con una qualità
di livello amatoriale, la considerazione e l’interesse del suo pubblico. Per essere accattivante e
inattaccabile, oltre che interessante per il cliente, è bene allora che l’azienda si faccia aiutare da
un esperto sia di grafica, sia di comunicazione industriale, il quale studi a fondo il problema e
trovi la giusta soluzione. La competenza in entrambi i campi è condizione irrinunciabile se si
vuol mostrare la propria classe, giacché in Internet i navigatori grafici hanno già una logica
ipertestuale che consente di passare da un soggetto all’altro senza soluzione di continuità.
La struttura dei documenti esposti nella vetrina dell’azienda deve essere perciò analizzata in
funzione del pubblico dal quale intende essere raggiunta, in modo che il suo messaggio sia sem-
plice, inattaccabile, immediato ed efficace.
Occorre poi che essa si adoperi affinché la sua vetrina abbia i giusti snodi e gli eventuali
agganci con database vicini e lontani; quelli lontani sono spesso ben organizzati e documentati,
rintracciabili ed accessibili. Se questi database sono complementari o in sintonia con il settore
dell’azienda meritano di essere considerati sia per cercare sia per ricevere.
Per raggiungere i propri obiettivi un’azienda dovrà attuare, da sola o con l’aiuto di qualcuno
veramente preparato, una vera e propria strategia di comunicazione che può essere focalizzata in
tre azioni. Esistono innanzitutto in Internet dei siti ove sono raccolti i dati base che identificano
le informazioni messe liberamente in linea da qualunque soggetto. Questi dati possono essere
raggiunti nel loro sito tramite una parola chiave. Se il potenziale cliente dell’azienda, che si
suppone si occupi di condizionamento, cerca informazioni proprio su questa disciplina, può tro-
vare automaticamente gli agganci necessari semplicemente digitando la parola “conditioning”.
E’, quindi, indispensabile che l’azienda faccia inserire i propri indirizzi in tutti i possibili siti ove
i suoi potenziali clienti potrebbero andarli a cercare.
In secondo luogo può chiedere ai suoi “vicini” (da intendere nel senso più ampio del termine) di
indicare nelle loro home page i suoi indirizzi in cambio dell’inserimento dei loro nella sua vetrina.
Attuate queste prime due azioni, la terza ne è un’automatica conseguenza. Il potenziale clien-
te potrà puntare direttamente sulla vetrina dell’azienda, perché, conoscendo con quale meticolo-
sità e competenza essa aveva curato le precedenti azioni, saprà che qui potrà trovare gli agganci
ipertestuali per tutte le informazioni che lo interessano senza essere costretto a navigare alla
cieca in giro per i database di tutto il mondo perdendo tempo e danaro.
La vetrina dell’azienda dovrà quindi essere attraente, inattaccabile, facilmente raggiun-
gibile, utile a chi opera nello stesso settore e soprattutto capace di comunicare in modo
efficace al suo pubblico quanto gli serve a complemento, è ovvio, di ciò che l’azienda
produce o che altre imprese o soggetti, a seconda dei casi, studiano, scrivono, progettano,
fabbricano, realizzano o distribuiscono.
Dunque, in termini generali, la parola chiave da coltivare è “armonia”, vale a dire la capacità
di organizzare il coordinamento fra relativamente piccole unità produttive e di servizio puntando
sugli apporti esterni all’azienda, rinunciando anche, se necessario, alla superba autosufficienza
d’una volta, eliminando i tempi passivi o morti per migliorare i livelli della velocità operativa.
L’economia di scala, fino a pochi anni fa criterio sovrano, ha perso la sua importanza. Bisogna
infatti produrre più in fretta e con una struttura snella altrimenti si va fuori mercato.
Prendendo, poi, in esame analiticamente il processo di informatizzazione dell’industria ita-
liana15
, occorre notare che negli anni della recessione gli investimenti sono stati fortemente
ridotti. Tuttavia, l’industria costituisce ancora uno dei mercati al cui interno l’It può trovare
ampi spazi di crescita.
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Il processo di informatizzazione che si riscontra nei Paesi maggiormente industrializzati non
ha ancora del tutto attecchito nel mondo delle imprese italiane a causa proprio della sua caratte-
ristica peculiare: un mondo dominato da poche grandi imprese, ma la cui ossatura è formata da
una miriade di piccole o piccolissime realtà imprenditoriali.
Suddividendo l’universo delle imprese in manifatturiere e di processo, nel 1994 della prima
(che comprende industria meccanica, aerospaziale, auto e altri mezzi di trasporto, elettronica-
elettromeccanica) facevano parte circa 450mila unità, di cui, secondo un’indagine di Teknibank
realizzata per conto di Smau, solo il 21% era attrezzata con strumenti informatici. Al contrario di
quelle medio-grandi, già da tempo informatizzate, la gran parte delle piccole imprese, quelle al di
sotto dei dieci addetti - oltre 410mila, il 92% del totale - devono ancora essere interessate, in una
percentuale molto elevata (oltre l’80%), ai processi di prima informatizzazione.
Una situazione sicuramente non all’avanguardia, laddove si considerino le esigenze della
produzione odierna, che richiede valori elevati di flessibilità, un continuo incremento della
produttività, una riduzione del time to market (ovvero la riduzione al minimo del tempo
che intercorre fra l’ideazione, la progettazione e la sperimentazione di un nuovo prodotto e
il suo lancio sul mercato). Tutte esigenze che richiedono ovviamente un’attenta gestione
sia amministrativa (acquisizione e gestione degli ordini), sia industriale con il supporto di
strutture organizzative, snelle e flessibili.
La penetrazione dell’It (misurata in percentuale di stazioni di lavoro per colletto bianco) nel
comparto manifatturiero dovrebbe passare dal 31,6% del 1990 al 55,9% nel 2000, andando a
toccare soprattutto le aree relative alla gestione dell’amministrazione, delle risorse umane, del-
l’innovazione dei prodotti e dei processi operativi logistici e di produzione.
Un andamento analogo si osserverà nell’industria di processo (gomma, carta-legno, farmaceu-
tica e cosmetica, metallurgia, siderurgia, eccetera), composta da oltre 312mila imprese, di cui più
di 261mila al di sotto dei dieci addetti; anche qui la percentuale di quelle informatizzate è ancora
molto bassa: solo il 29 per cento. Il trend di crescita sarà pari al 4,3% annuo, e lo sviluppo sarà
favorito dall’avvento di nuovi strumenti software sempre più user fiendly e flessibili, da utilizzare in
ambientidistribuitiperfacilitarelacondivisibilitàdeidatidiprogettotralediversefunzioniaziendali.
Nell’area dell’automazione della produzione, infine, è previsto un tasso di crescita pari al
40% annuo fino al Duemila ed è un dato indicativo sulla possibile ripresa degli investimenti nella
cosiddetta fabbrica automatica.
Il comparto dell’abbigliamento e calzature sarà quello maggiormente interessato e al suo interno
verrà toccata soprattutto l’area relativa alla gestione dei processi operativi logistici e di produzione.
In valori assoluti, l’Information technology nell’industria italiana ha raggiunto nel 1994 i
4.173 miliardi di lire. L’incremento previsto fino al 2000, in ragione del 2,7% circa annuo,
dovrebbe portare il fatturato a un totale di 4.900 miliardi di lire. In ogni caso, dopo la frenata del
’94 quando le imprese hanno preferito investire in macchinari e attrezzature per incrementare la
produttività, il 1995 dovrebbe essere stato l’anno della ripresa, grazie alla favorevole congiun-
tura internazionale e alla necessità di procedere a investimenti consistenti per ottenere l’integra-
zione e la condivisione dei dati da parte dell’utenza.
Osservando i vari comparti industriali, la meccanica assorbe circa il 48% del mercato dell’It
e ha una potenzialità di crescita del 2,4% all’anno, quindi superiore alla media. Di poi circa il
3,3% annuo dovrebbe essere la crescita nel settore elettromeccanico-elettronico mentre in linea
con la media resta l’incremento annuale previsto per auto. L’Industria di processo dovrebbe
segnare invece gli incrementi più interessanti in termini di investimenti in informatica. Se l’indu-
stria estrattiva farà segnare un modesto incremento il tessile-abbigliamento e la lavorazione dei
minerali non metalliferi presenteranno una crescita annuale del 4,5 per cento.
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Il settore in cui si prevede, comunque, una maggiore diffusione degli strumenti informatici
sarà quello delle imprese con meno di cento addetti; in esso, infatti, si assisterà a una crescita del
4% annuo contro 1,5% e 1,8% circa rispettivamente della media e grande impresa. Le aree inte-
ressate saranno quella dell’innovazione prodotti-produzione.
Per aiutare le imprese italiane a superare la scarsa innovazione, che costituisce uno dei freni
principali alla loro competitività reale sui mercati internazionali e che insieme alle difficoltà di
accesso al credito ed ai vincoli della politica fiscale rappresenta gli elementi critici del nostro
tessuto industriale, sta per nascere un’apposita agenzia. A gestirla sarà il Mediocredito centrale
d’accordo con il ministero dell’Industria e insieme ad altri due qualificati protagonisti: l’Union-
camere e l’Enea. Un protocollo d’intesa è stato già siglato.
Il suo compito, che si rifarà al modello adottato in Francia, sarà infatti quello di trasferire
immediatamente il necessario know how organizzativo e finanziario alle imprese che ne chiede-
ranno, gratuitamente, la consulenza e che saranno così in grado di orientarsi meglio per il
reperimento delle risorse finanziarie sia nella palude degli incentivi pubblici sia tra gli strumenti
(scarsi, per la verità) messi a disposizione dal mondo del credito. Ciò anche in considerazione del
fatto che il 70% degli investimenti effettuati fino ad oggi è derivato dall’autofinanziamento con un
ricorso, dunque, modesto sia al leasing che al credito a medio e lungo periodo a tasso agevolato.
Inoltre, dal 10 gennaio 1996 è entrato in funzione in Italia il registro telematico delle imprese,
sistema di informazione legale di impresa che è quanto di più avanzato oggi esista in Europa,
affidato alle Camere anziché alle cancelleria dei tribunali, che apre anche una nuova era per
l’informatizzazione telematica del registro da parte delle Camere di Commercio. Ciò presenta
numerosi vantaggi non solo per il mercato unico ma anche per le imprese e la legalità.
Non ci sarà Mercato unico senza un sistema unico efficace ed efficiente di informazione
economica dotata di valore legale per tutti gli imprenditori e per tutti i cittadini dell’Europa.
Inoltre, il linguaggio convenzionale del computer, in algoritmo, sarà in grado di superare anche
le barriere dei linguaggi nazionali sensitivi-intuitivi. Essere cittadino dell’Europa di domani signi-
fica avere e dare informazioni, nel linguaggio informatico, in tempi reali per tutta l’Europa.
Le Camere di commercio italiane debbono fare del nostro registro un modello per l’Europa;
questa è la sfida che, dopo il Parlamento, la cultura giudica e la società affida loro nella prospettiva
della realizzazione di un Registro europeo delle imprese (Business european registry). Di poi, c’è da
notare che la nuova pubblicità fondata su un registro delle imprese telematico è full, redy, soft.
La nuova pubblicità è full, nel senso che è completa e organica perché a differenza di quanto
era previsto dal codice civile del ’42, essa riguarda oggi e ha per oggetto atti e fatti relativi a tutti
gli imprenditori, sia piccoli sia grandi, sia agricoli sia commerciali, sia pubblici sia privati, sia
individuali sia collettivi (anche le società semplici sono soggette a iscrizione nel registro delle
imprese). Questo tipo di pubblicità, però, non mira solo a incidere sulla situazione giuridica
soggetta a pubblicità, in vista della conclusione da parte dell’imprenditore di contratti con i terzi,
ma è anche orientata a realizzare l’informazione d’impresa globale del mercato in sé e per sé
poiché nella società di domani dell’informazione è presa in considerazione e disciplinata dall’or-
dinamento sul piano economico-sostanziale l’informazione d’impresa in sé per sé, a prescindere
dall’utilizzo per la conclusione di contratti validi ed efficaci sul piano giuridico-formale e, per-
tanto, l’informazione in sé da bene economico diventa bene giuridico. Questo è il valore pregnante
dell’articolo 8 della legge 1993 n. 580 là dove dice che “il nuovo registro delle imprese mira ad
assicurare completezza e organicità di pubblicità per tutte le imprese soggette a iscrizione garan-
tendo la tempestività dell’informazione su tutto il territorio nazionale”.
La nuova pubblicità è, poi, redy, nel senso che essa è portable e distribuita e non querable, in
quanto porta la pubblicità a domicilio dell’utente su tutto il territorio nazionale (e, poi, euro-
peo), con modalità telematiche e in tempi reali (online), laddove prima era il cittadino che
doveva salire al “palazzo” di giustizia per consultare il registro cartaceo.
46
Infine la nuova pubblicità è soft, nel senso che permette il trattamento e l’elaborazione dei
dati soggetti a pubblicità e, quindi, consente una informazione in breve, multipla rispetto alla
informazione in ingresso nel registro. Inoltre, nell’ambito di questa trattazione bisogna conside-
rare che tutti i Paesi a economia di mercato pongono tra i propri obiettivi la lotta alla illegalità.
Nel perseguire tale obiettivo è possibile edificare due modelli di società: la società della colpa e
della repressione da un lato; la società della trasparenza e della prevenzione dall’altro.
La prima è la società basata sul segreto; la seconda è quella fondata sull’informazione. Se si
vuole uscire dall’incubo della società della colpa, che quasi sempre si risolve in un impossibile
processo alla storia, non v’è che da imboccare, senza esitazione, la strada della trasparenza, per
far si che il Paese entri, in Europa, nella logica della società dello sviluppo, fondato sulla infor-
mazione globale. L’imprenditore che non vuole incontrare sulla strada il giudice penale non deve
avere segreti per il giudice del registro delle imprese. E’ questo uno dei passi necessari per uscire
definitivamente da tangetopoli e per entrare in un’Europa di serie A.
Per ciò che concerne, poi, il lavoro senza dubbio esso vive una fase nuova in cui i mutamenti
conseguenti allo sviluppo tecnologico, ai processi di liberalizzazione e alla globalizzazione dei
mercati sono i parametri vincolanti di una necessaria evoluzione nelle strategie delle aziende
chiamate ad adeguare con rapidità ed efficacia i propri assetti organizzativi.
Le ristrutturazioni aziendali sono un cambiamento culturale ancor prima che tecnico e organizzativo.
Nelle aziende di servizi, l’immaterialità del prodotto, e dunque la centralità del rapporto con
il cliente, impongono di rinnovare costantemente un vero e proprio patto tra impresa e lavoratori
improntato alla collaborazione e alla tensione verso obiettivi conosciuti e condivisi. E’ la sfida
più difficile ma è anche la più utile per mantenere l’impresa efficace e redditizia.
Per favorire però il passaggio a un sistema di flessibilità, gli esperti, le istituzioni e le parti
sociali sono impegnate a costruire una visione più moderna del lavoro che cambia, orientandolo
verso nuove forme di decentramento, di differenziazione, di variabilità dei salari, di atipicità
delle prestazioni. Ciò lo impone e lo consente anche il nuovo rapporto tra tecnologia e lavoro che
non necessariamente deve essere considerato in termini di perdita di posti soprattutto se le tecno-
logie dell’informazione produrranno gli effetti moltiplicativi di cui sono potenzialmente portatri-
ci. Se ciò è vero in generale, vale ancora di più per le aziende di servizio, specie per quelle
chiamate alla competizione spinta e ormai prossime ad affrontare la completa liberalizzazione.
In linea con tale orientamento gli accordi da siglare con i sindacati di categoria devono pro-
porsi di gestire le nuove esigenze organizzative, produttive, commerciali e concorrenziali del
gestore con soluzioni che minimizzino i disagi sociali, senza alcun onere per la collettività. De-
vono, inoltre, essere sviluppati processi di riconversione e reimpiego coerenti con il progetto di
valorizzazione delle risorse umane e professionali.
Naturalmente, nell’ambito di questo processo di cambiamento, le esigenze legate alle nuove
strategie di diversificazione di business richiedono la realizzazione di un costante adeguamento
del mix professionale che continuerà a impegnare l’azienda nell’acquisizione mirata di risorse
pregiate presenti sul mercato del lavoro. Flessibilità organizzativa, utilizzo ottimale dei servizi di
telecomunicazioni e centralità delle risorse umane fanno da sfondo alle più innovative soluzioni
individuate dall’accordo. Tra queste spicca sicuramente il lavoro a distanza, che consentirà a
molti dipendenti di svolgere la propria attività lavorativa o in centri dislocati anche a centinaia di
chilometri rispetto alle strutture centrali “remotizzazione di unità organizzativa”, o presso il pro-
prio domicilio (“telelavoro domiciliare”). Tutto ciò, oltre ad attenuare i disagi individuali correlati
alle mobilità necessarie per far fronte alla riorganizzazione, rappresenta un emblematico esem-
pio di come sia possibile sviluppare soluzioni evolute e tecnologicamente avanzate in grado di
schiudere nuovi orizzonti nelle modalità di espletamento della prestazione lavorativa dedicando
massima attenzione al clima sociale interno all’azienda.
47
Quando la maggior parte del lavoro ha un contenuto intellettuale diviene più facile trasporta-
re il prodotto del lavoro. Salta l’unità di tempo e di spazio e la localizzazione del lavoratore,
rispetto all’ufficio o alla fabbrica da cui gerarchicamente dipende, diviene una variabile seconda-
ria; tale evoluzione rappresenta una grande sfida culturale e manageriale. Lavorare a distanza
significa, per il manager, coordinare a distanza: le politiche, gli obiettivi, i risultati costituiscono
il paradigma su cui si basa il nuovo committment tra responsabili e collaboratori.
Tutto ciò, però, non deve avvenire in un quadro normativo che presenta ancora rigidità e
vincoli assolutamente superati. Potrebbe, invece, essere adottato, ad esempio, un accordo in base
al quale i telelavoratori restano lavoratori dipendenti e conservano quindi tutti i diritti del lavora-
tore subordinato compresi quelli sindacali e quelli della sicurezza. La retribuzione viene comple-
tamente sganciata dall’orario di lavoro e legata alla produttività secondo il principio: più lavoro
più salario. Base di calcolo per la retribuzione sono la produttività media giornaliera dei dipen-
denti (tradotta in punti) che lavorano in azienda nei tre mesi precedenti a quello in corso e la
retribuzione base contrattuale. Dividendo il salario giornaliero per i punti di produttività media si
ottiene un valore unitario di retribuzione che va poi moltiplicato per i punti di produttività effet-
tivamente realizzati dal “telelavoratore”.
Inoltre, le aziende devono puntare, fin da oggi, su quattro iniziative. Devono, cioè, innanzitutto
definire una strategia generale sul tema; in secondo luogo mettere in campo una infrastruttura di
rete in grado di sfruttare il telecommuting secondo i necessari requisiti di sicurezza, compatibili-
tà applicativa, produttività; poi, devono diffondere in azienda linee guida su forme di telecom-
muting accettabili; infine, vanno creati schemi di incentivazione e nuove regole di lavoro per
connettere il telecommuting a obiettivi di produttività e qualità.
Inoltre, secondo uno studio della Comunità Europea i telelavoratori in Europa sono circa 10
milioni. Francia, Gran Bretagna e Germania sono i Paesi in cui tale fenomeno è più sviluppato. In
Gran Bretagna, poi, è addirittura utilizzato come integratore economico e sociale nelle regioni
più povere. In Italia, tuttavia, questa formula è ancora in via sperimentale16
.
Cinque accordi aziendali sono stati siglati nel 1995 nel nostro Paese; di questi uno riguarda
Telecom Italia e prevede una sperimentazione biennale di telelavoro domiciliare che nella prima
fase interesserà 200 “volontari”. E’partito, poi, nel maggio dello scorso anno al consorzio Tecno-
polis di Bari, un progetto di sei mesi di telelavoro individuale o di gruppo per 30 donne. Inoltre
“Roma Tradell”, ovvero traffic decongestion, è un programma finanziato dalla Ue che coinvol-
gerà nei primi mesi del 1996 un campione di un centinaio di dipendenti del Comune. Il Campido-
glio collabora anche con il ministero dei Trasporti e l’Autorità per l’informatica pubblica a un piano
per creare centri di telelavoro per i dipendenti della pubblica amministrazione centrale e con il pro-
getto Mirti. Centri sperimentali di telelavoro saranno, infine, realizzati da Stet, Ibm e Olivetti e altri
partner ai limiti della cintura urbana per ospitare professionisti, piccole imprese, studenti.
In Germania è già avanzato invece l’utilizzo delle applicazioni multimediali tra l’utenza delle
grandi industrie e attraverso tecnologie già mature della comunicazione multimediale si stima
che il 20% dei lavoratori tedeschi potrebbero già ora prestare la propria opera da casa.
Altro contributo della telematica al mondo del lavoro ha determinato l’evoluzione del processo
formativo e del recupero al lavoro che nei Paesi dell’Unione Europea corre sul programma comuni-
tario Leonardo da Vinci nelle linee del progetto Teleformazione, presentato dall’Enea al ministero
del Lavoro. Rai ed Enfap (Ente nazionale per la formazione e l’addestramento professionale) insie-
me agli enti rappresentativi Forem, Isefoc ed Europliroforissi di Grecia, Spagna e Portogallo sono i
partner dell’Ente per l’energia e l’ambiente nell’iniziativa che dovrebbe concentrare circa 12 miliar-
di in totale se sommata al progetto Adapt che ne rappresenta la seconda fase di sviluppo.
Attraverso il programma transnazionale Leonardo si tratta di mettere a punto un centro pilota
di teleformazione e orientamento, indirizzato ai soggetti interessati da limitazioni motorie, sensoriali
48
o mentali che potrebbero trarre giovamento dall’utilizzo di software multimediali, strumenti di
comunicazione e accesso alle banche dati via telefono e sistemi di videoconferenza, nell’ottica di
un processo formativo e di recupero al lavoro. Il centro sarebbe attrezzato sia per l’accesso diretto
sia remoto e concepito come struttura di riferimento sul territorio collegata organicamente anche con
le altre strutture sociali per la formazione e l’avviamento al lavoro dei disabili. Il tutto ha previsto la
definizione degli strumenti didattici necessari che dai filmati vanno fino agli strumenti informatici
per l’elaborazione testuale e grafica, i prodotti multimediali e quelli ipertestuali.
Si tratta di sviluppare risposte concrete alle diverse necessità di ausilio tecnologico in relazio-
ne ai vari tipi di disabilità e di abbattere eventuali barriere di comunicazione, dai servizi alle
interfacce, passando attraverso la traduzione di testi in messaggi vocali per non vedenti e viceversa
per gli audiolesi, fino agli strumenti di telecomunicazione, ovvero modem telefonici, software di
comunicazione, apparecchiature per teleconferenza. Dato il particolare orientamento del centro,
diventano inoltre necessari supporti culturali e funzionali che vanno dalle biblioteche locali a
quelle esterne con accesso remoto, dalle banche dati locali e distanti dai servizi di informazione
e orientamento oltre che ai servizi di valutazione delle singole disabilità e ausili conseguenti.
Il prototipo del centro pilota richiede un investimento di 800 milioni e il centro di tele-education
a livello europeo non si rivolge esclusivamente ai disabili: è destinato anche alla preparazione di
corsi di formazione professionali multimediali nel settore conservazione e restauro dei beni cul-
turali e nell’ambito della sicurezza in ambiente di lavoro come da direttiva Cee 391/89. Per i suoi
contenuti il progetto si integra in un ampio programma di formazione avviato recentemente dal-
l’Enea sulla base dei risultati raggiunti nei settori tecnologia, ambiente, energia e tutto quanto
concerne le conseguenze dello sfruttamento dei nuovi mezzi tecnologici.
In particolare, il progetto Leonardo ricerca nuovi modelli formativi in un confronto comuni-
tario e in un’ottica di cooperazione a seguito della possibilità di portare la formazione là dove
necessario e, quindi, di centralizzare l’educazione sull’utente e sugli aspetti di interattività che
derivano dall’utilizzo massiccio delle tecnologie a favore di soggetti svantaggiati.
Naturale evoluzione di questo progetto è il successivo Integra Module, presentato dall’Enea
al ministero del Lavoro nell’ambito dell’iniziativa comunitaria Adapt, per la creazione di una
rete multifunzionale per l’informazione, la formazione, la consulenza e il follow-up alle piccole
e medie imprese. In questo caso si aggiungono all’elenco dei partner coinvolti la Federazione
Italiana Dottori Agronomi e la Alenia Spazio e vi partecipa, inoltre, l’Osservatorio sindacale
della regione Sardegna con un progetto regionale che vede le stesse partecipazioni transnazionali.
A livello comunitario si aggiungono, poi, la Fondaction André Renard del Belgio, l’olandese
Intrans e la finlandese University of Lapland. La partecipazione della Rai garantisce la continuità
e l’integrazione con i diversi mezzi di comunicazione, compreso quello satellitare.
Due progetti, dunque, rivolti l’uno a creare un centro pilota di tele-formazione e l’altro
successivamente la rete logica annessa. Adapt si prefigge, inoltre, lo scopo di supportare le Pmi
nella dimensione europea con un apposito sistema che richiede una rete di strutture fisiche
capaci di realizzare una collaborazione concreta fra Pmi, organismi di ricerca, sviluppo e trasfe-
rimento di tecnologie e istituti di formazione, università, enti locali, soggetti pubblici e privati a
livello delle singole nazioni e comunitario.
Azioni formative e relativi servizi di supporto sono mirati ad acquisire skills professionali e
competenze per orientare le strategie aziendali in ordine alla sicurezza degli impianti, della pro-
duzione e dei lavoratori, oltre che a livello di qualità e certificazione di processi e prodotti e alle
applicazioni nei processi produttivi di tecnologie informatiche ad elevata prestazione quali il
calcolo parallelo, fino alla commercializzazione e al marketing. Il tutto verso la costruzione di
quell’auspicato sistema di formazione continua per il Paese in risposta ai problemi dati dall’evo-
luzione delle attività economiche in relazione alle tecnologie avanzate.
49
Per quanto riguarda il credito e finanza c’è da evidenziare che nel grande cambiamento in
atto determinato dalla globalizzazione dell’economia e dalla corsa tecnologica che conduce alla
società dell’informazione le banche devono sostenere un doppio ruolo: vittime e artefici della
trasformazione. Vittime in quanto sono costrette a sostenere i costi del cambiamento come tutte
le altre aziende, artefici perché spetta al sistema del credito finanziare il cambiamento di tutte le
altre aziende. La virtualizzazione della banca passa attraverso la fornitura di prodotti e servizi
finanziari che non sono più rilasciati solo attraverso i canali tradizionali. Questi nuovi canali di
distribuzione sono da identificare, da dimensionare correttamente e richiedono una grande atten-
zione da parte degli istituti di credito, anche per la taratura delle dimensioni critiche. In caso
contrario le banche rischiano di fare investimenti sproporzionati al beneficio che ne deriva. Tut-
tavia, non farli può significare perdere il contatto con la clientela e, quindi, non essere più com-
petitivi17
. Infatti, una profonda ristrutturazione dei canali distributivi attraverso uno spinto utiliz-
zo delle nuove tecnologie si delinea come la vera frontiera per una ripresa del sistema bancario
italiano che deve fronteggiare una concorrenza estera che ha già imboccato questa strada. Ciò
soprattutto in quanto da alcuni anni, rispetto alla concorrenza internazionale, la struttura del
credito italiana soffre di una grave incidenza dei costi generali18
.
Anche le fusioni si sono rese indispensabili per far fronte alla crescente concorrenza prove-
niente da operatori e strumenti finanziari alternativi e per la lentezza con la quale le banche
rispondono alla necessità di adeguare la tecnologia elettronica al consumo. Fra i nuovi concor-
renti vi sono i fondi comuni di investimento ma anche le attività di carta di credito.
Dunque, con una maggiore attenzione alla qualità e alle richieste del “consumatore” di servi-
zi bancari, i canali da sviluppare saranno in futuro gli Atm evoluti (dove sarà possibile non
soltanto ritirare denaro, ma anche pagare bollette, effettuare bonifici, comprare titoli), i sistemi di
pagamento Pos, le applicazioni di phone banking e le filiali bancarie virtuali. A tutt’oggi, però,
addirittura il 40,35% delle nuove applicazioni in banca è dovuto a leggi e regolamenti. Seguono
le esigenze di efficienza interna con il 33,05% dei nuovi interventi mentre agli investimenti per
esigenze di mercato rimane il 26,6 per cento19
. Ciò non senza spunti polemici che talora affiorano
e che sono rivolti ai fornitori di software che sembrano non essersi accorti dell’evoluzione dei
bisogni della domanda. A fronte delle continue turbolenze dei mercati che mettono a dura prova
l’area finanza delle banche, l’offerta di applicazioni continua a privilegiare i problemi ammini-
strativo-contabili riguardanti settori convenzionali con il risultato che le imprese finanziarie alla
ricerca di supporti per attività innovative ad alto valore aggiunto si vedono costrette ad approvvi-
gionarsi all’estero o a scegliere lo sviluppo in house.
Nelle banche sono state installate le seguenti unità nelle varie aree: Personal Computer nel 1992
210mila, nel 1993 280mila, nel 1994 324mila; Mini e Workstation nel 1992 18mila, nel 1993 23.900,
nel 1994 25mila; Mainfrane (Grandi Elaboratori) nel 1992 990, nel 1993 995, nel 1994 100020
.
Inoltre, il numero medio di canali per classi dimensionali di banche al 1994 è: per il Pos di
circa 4000 nelle maggiori, di circa 1500 nelle grandi, di circa 1000 nelle medie e di circa 300
nelle piccole; per il Remote Banking è di circa 1500 nelle maggiori e poco al di sotto nelle
grandi, di circa 250 nelle medie e di circa 50 nelle piccole; per l’Atm è di 500 circa nelle maggio-
ri, circa 100 nelle grandi e nelle medie mentre è bassissimo delle piccole.
Le previsioni delle necessità informative in banca sono di crescita accentuata nel comparto
Management e soprattutto Sales and Marketing; di crescita moderata nel Front office mentre in
lieve crescita nel Back office21
.
Si dovrebbe, dunque, valutare altrettanto bene in termini monetari anche i vantaggi che deri-
vano dagli investimenti in tecnologie informatiche. Questo cambiamento di atteggiamento po-
trebbe aumentare la spesa e ottenere migliori risultati dagli investimenti. Un’impresa che, senza
dubbio, non è semplice in quanto manca una cultura della misurazione dei vantaggi che bisogna
creare gradualmente e che col tempo si arricchirà di metodi e strumenti22
.
50
Vale per tutti il richiamo fatto dal Governatore della Banca d’Italia proprio nelle sue Conclu-
sioni, laddove rileva come le banche italiane stentino a sviluppare nuovi servizi (negli ultimi tre
anni le commissioni percepite hanno rappresentato infatti solo il 9% del margine d’intermediazione,
esattamente come dieci anni prima).
Occorre, insomma, saper stabilire un’equazione di identità tra progresso tecnologico e svi-
luppo di redditività che parta da considerazioni microeconomiche e si dilati alla società civile.
Vi è, pertanto, la necessità di partire in fretta a misurare con precisione i benefici derivanti dagli
investimenti in It.
Per il riallineamento occorre, poi, una pianificazione del business e degli investimenti con un
respiro di medio periodo. Oggi, il 47% delle banche pianifica gli investimenti in It entro un anno,
il 33% pensa oltre l’anno, mentre il 20% non pianifica affatto.
Un esempio di pianificazione su medio periodo è la Business process reengineering (Bpr)
della Cariplo23
.Un progetto che si sta sviluppando in cinque anni e che ha richiesto un investi-
mento di qualche centinaio di miliardi. La Bpr, pertanto, partita da un anno e mezzo, sta proce-
dendo per gradi attraverso una segmentazione in diversi progetti. Uno di questi è il Phone banking,
recentemente avviato. Il nuovo sistema informativo Cariplo, inoltre, è stato voluto e pensato dal
management aziendale, che ha stimolato i responsabili Edp spingendo verso un’architettura
client/server in grado di far circolare meglio le informazioni all’interno dell’istituto.
D’altro canto, però, bisogna porre molta attenzione alle recenti attività sviluppate con l’ausilio
di nuove tecnologie. Al di là dell’entusiasmo che può generare il fatto che esiste la tecnologia per
strutturare un sistema di nuovi servizi, occorre sempre valutare che la risposta non viene dalla
strumentazione ma dall’analisi del problema e delle sequenze operative attraverso le quali da una
parte l’operatore e dall’altra il cliente riescono ad interagire nel migliore dei modi24
.
Addentrandoci nel campo dei servizi, poi, vi è la banca telefonica, tema oggi di grandis-
simo interesse.
Un’esperienza effettiva di banca telefonica è della “OpenBank”, nuova filiale virtuale del
gruppo Santander, prima banca di Spagna.
Ci sono vari motivi che giustificano la necessità di una banca” diretta”, sul modello della
First Direct inglese. Primo tra tutti, poter dare un’eccellente qualità di servizio al cliente. Altri
motivi sono la riduzione dei costi, degli sportelli, la definizione dei servizi, un sistema di pricing
differenziato per canali di distribuzione, un’informazione più omogenea su prodotti e servizi25
.
L’OpenBank spagnola ha vissuto una fase di preparazione e di collaudo di 15 mesi, è stata
lanciata a livello nazionale il primo giugno 1995 e ha come obiettivo quello di diventare
profittevole entro quattro o cinque anni. Si rivolge a un cliente di classe media, urbano, con età
compresa tra i 25 e i 55 anni, laurea universitaria e un profilo finanziario sofisticato (più di
cinque prodotti e un uso frequente degli sportelli automatici). Presentata come “qualcosa di più
di un servizio telefonico bancario”, OpenBank rappresenta un nuovo modello di banca in cui
non esistono sportelli, i costi sono ottimizzati, il rapporto con il cliente è diretto e continuo (24
ore al giorno, 365 giorni l’anno), i tassi e le commissioni sono altamente competitivi sul merca-
to. Vincere la resistenza al cambiamento della clientela è un fatto che OpenBank ha dovuto
affrontare cercando di superare tutte le barriere che questo nuovo modo di fare banca presenta:
prima di tutto la mancanza di un contatto umano con chi fornisce il servizio, l’intangibilità
fisica della banca, il timore e la mancanza di fiducia.
Sul fronte dei servizi ed anche dell’organizzazione interna, nel mercato interbancario, dallo svi-
luppo del mercato telematico dei depositi interbancari al disegno di una nuova architettura comples-
siva dei pagamenti interbancari con un importante raccordo al sistema di regolamento lordo europeo
(Target), il fil rouge è sempre costituito dall’innovazione tecnologica, un tema che trova crescenti
livelli di sensibilità nel mondo bancario sotto gli auspici e gli stimoli della Banca Centrale.
51
Vi è, ad esempio, il piano Cipa-Abi/Bankitalia varato per migliorare l’efficienza del sistema
con l’aiuto dell’Ict.
Il piano è diviso tra i progetti di iniziativa della Banca d’Italia e quelli di Cipa Abi (Conven-
zione interbancaria per l’automazione-Associazione bancaria italiana). Tra quelli di iniziativa
Bankitalia, il principale riguarda i bonifici di importi superiori ai 500 milioni e quelli di conto
estero di qualunque importo. Per migliorare l’efficienza di questo servizio sta per essere avviato
un intervento per consentire il pagamento in compensazione. Nel 1997 partirà, invece, il regola-
mento in base lorda (gross settlement) che prevede il pagamento di ogni singola operazione, nei
conti intrattenuti dalle singole banche presso Banca d’Italia, contestualmente all’ordine del cliente.
Con questa nuova procedura il pagamento sarà definitivo in pochi minuti.
Arrivare alla definitività dei pagamenti interbancari in tempi ristretti è obiettivo comune sia
degli interventi promossi da Bankitalia sia di quelli di iniziativa Cipa-Abi: e sembra che il tra-
guardo sia davvero vicino. I progetti realizzati finora hanno fatto confluire nel sistema di com-
pensazione, attraverso applicazioni interbancarie specializzate, una rilevante massa di pagamen-
ti in precedenza trattati nei conti di corrispondenza che le banche intrattengono reciprocamente.
Questo afflusso ha portato l’ammontare regolato in compensazione a un valore che a fine
1994 aveva superato i 48milioni di miliardi di lire, passando da 6 a 31 volte il valore del Pil degli
ultimi cinque anni.
Quanto ai progetti di iniziativa Cipa-Abi, essi si dividono in tre filoni principali: quelli inter-
bancari; quelli sui centri applicativi istituzionali e gli interventi sulla struttura tecnica. Questi
ultimi prevedono il potenziamento della Rete nazionale interbancaria (Rni) attraverso due pro-
getti: l’Eas, sistema di sicurezza nello scambio di informazioni tra istituti di credito, e l’Smts, che
sta già gradualmente migliorando la sicurezza, la potenza e l’affidabilità della Rete. Gli interven-
ti sui centri applicativi istituzionali prevedono invece che, entro la fine dell’anno, Monte Titoli
(che gestisce i pagamenti degli interessi sulle obbligazioni e dei dividendi azionari) regoli presso
la Banca d’Italia le operazioni che gestisce mentre l’Ufficio italiano cambi dovrebbe iniziare in
questo periodo a fornire, attraverso la Rni, l’anagrafe titoli operativa: una serie di informazioni
sui titoli che oggi non sono automatizzate.
Ci sono infine i progetti interbancari cui appartengono i bonifici di piccolo importo, ma anche la
procedura Incassi commerciali che prevede l’inserimento in rete, entro questo anno, dei Rid scaduti.
E, in quest’ottica, almeno una brevissima citazione va spesa per l’attività svolta da alcuni gruppi
di banche per l’avvio dei sistemi di compensazione internazionale multivalutari, Multinet ed Echo.
Di grande interesse è, poi, il progetto del pagamento telematico dei tributi la cui sperimenta-
zione è partita quest’anno e la cui realizzazione graduale sarà ultimata nel 1998. Esso ha come
protagonisti, oltre alle banche, il ministero delle Finanze, l’Abi, la Sogei e l’Ascotributi.
Il progetto ha individuato due strade percorribili: la prima è quella dell’utilizzo dei servizi di
home banking offerti dagli istituti di credito che consistono nella possibilità, per gli utenti banca-
ri, di collegarsi direttamente alla banca tramite un Pc e un modem. In questo ambito, l’introdu-
zione del pagamento dei tributi consisterà in un allargamento delle potenzialità, in base a speci-
fici standard di sicurezza, del prodotto già esistente. In definitiva, quindi, si tratterà di un servizio
rivolto più ai professionisti e ai centri di assistenza che ai privati.
La seconda è quella dell’utilizzo del Bancomat e degli sportelli automatizzati delle banche
(Atm) per effettuare i pagamenti fiscali; in tal modo, i correntisti potranno, per esempio, pagare
l’Irpef o la tassa salute seguendo un percorso guidato che apparirà sullo schermo della postazio-
ne Atm. Mentre su quest’ultima possibilità non esiste ancora un documento conclusivo, sul fron-
te dell’home banking tutto è pronto per iniziare le sperimentazioni pratiche, che dovrebbero aver
preso il via già all’inizio del ’96 con alcuni istituti pilota, tra cui la Banca popolare di Ancona.
52
Il sistema telematico sarà abilitato per le deleghe di pagamento (Irpeg, Ilor, Irpef, ritenute,
Iva, e cosi via) conferite da soggetti titolari di conto fiscale e le deleghe (Irpef, Ilor, contributo al
Servizio sanitario nazionale, e cosi via) conferite da soggetti non titolari di conto fiscale. Inoltre,
le tecniche di home banking sono utilizzabili anche per i versamenti diretti ai concessionari.
Tra i vantaggi di questo sistema va segnalata la compartecipazione di più istituti di credito:
una banca - detta “attiva”- fornirà la connessione telematica; altre - dette “ordinanti”, che sono
quelle in cui i contribuenti hanno il conto corrente - eseguiranno i pagamenti sulla base delle
deleghe dei cittadini. E’ chiaro che in tal modo basterà che i professionisti abbiano il collegamen-
to via home banking mentre i clienti dovranno solo fornire le proprie coordinate bancarie.
Non ci sono dubbi che per gli istituti di credito il pagamento telematico dei tributi sia un
concentrato di vantaggi. L’eliminazione di una consistente massa di documenti cartacei, la dimi-
nuzione dell’affluenza agli sportelli nei giorni di punta, la possibilità di dedicare il personale a
mansioni diverse sono i più evidenti. C’è, però, anche un altro aspetto: catturare clienti per i
servizi di home banking che, come risultato dall’indagine condotta presso gli istituti, in effetti
scarseggiano. Anche le banche che hanno da tempo lanciato i prodotti telematici si ritrovano
infatti, nella migliore delle ipotesi, con qualche migliaio di utenti. Ciò mal si concilia con quello
che viene individuato come il “futuro auspicabile” degli istituti - alle prese con una redditività in
continua diminuzione - cioè quello della banca a distanza.
Sul fronte più propriamente interno, inoltre, l’Associazione bancaria italiana (Abi) va in rete
o meglio tutti i dati e le informazioni che elabora l’Abi per motivi istituzionali saranno resi
disponibili, in italiano e in inglese, per chiunque abbia un terminale collegato con la rete finan-
ziaria internazionale Bloomberg, in qualunque parte del mondo.
Il servizio con cadenza settimanale offre informazioni sulle scadenze dei titoli di Stato italia-
ni, ogni quindici giorni le informazioni sul prime rate dell’Abi, con le comparazioni con altri
prime rate a livello internazionale e lo scadenzario/ rendimento medio dei Bot in essere; le attivi-
tà dei fondi comuni di investimento sono invece online ogni mese.
Sempre mensilmente è disponibile un altro prodotto focalizzato sull’evoluzione congiuntura-
le del sistema bancario italiano nonché quelli già oggi reperibili su Bloomberg. Le informazioni
disponibili in quest’area vanno dalla raccolta del sistema bancario italiano e delle banche estere
alla rischiosità del portafoglio bancario. In quest’area è di particolare interesse il “margine pun-
tuale di redditività”. Viene, poi, offerto ogni sei mesi, il Rapporto semestrale sul sistema bancario
italiano. In rete c’è anche una la “Abi hot line” che fornisce una tempestiva descrizione di leggi
e normative che riguardano il sistema bancario italiano.
Di poi, l’associazione bancaria ha deciso di affidare al cyberspazio anche la promozione dei
prodotti in rete. Con “Abi flash”, infatti, chiunque abbia un terminale Bloomberg può accedere
gratuitamente alle sintesi delle principali notizie diffuse e alle anticipazioni sui prodotti semestrali
e mensili nei giorni precedenti la loro uscita.
E’chiaro che si tratta di un grande salto di qualità per il sistema bancario. Tutta questa massa di
dati, che fino a ieri restava in mano a un centinaio di persone, potrà andare in tempo reale sotto gli
occhi di tutti gli operatori che sono interessati a gestire queste informazioni in modo agile e tempe-
stivo. Questi potranno disporre di un insieme di strumenti fondamentali per chi lavora in banca, sia
per fare pianificazione e budget sul lungo periodo sia per fare tesoreria e attività quotidiana.
Un’immediata comprensione dello scatto in agilità che il sistema bancario può avere dal
nuovo servizio online è data dalla possibilità di accesso in rete al nuovo prime rate, strumento
fondamentale nell’attività bancaria, già due o tre ore dopo che è stato approvato.
A livello internazionale, poi, la possibilità di conoscere in modo trasparente i meccanismi e le
reazioni dei mercati finanziari italiani rappresenta un indiscutibile aiuto agli investitori stranieri
o agli operatori che lavorano sul nostro mercato.
  Raimondo Villano - Verso la Società globale dell'informazione-cap. 2-Analisi tecnica problemi di applicazione e sviluppo tlc
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Raimondo Villano - Verso la Società globale dell'informazione-cap. 2-Analisi tecnica problemi di applicazione e sviluppo tlc

  • 1.
  • 2. 3 ROTARY INTERNATIONAL DISTRETTO 2100 ITALIA Service Above Self - He Profit Most Who Serves Best Raimondo Villano Verso la società globale dell’informazione A. R. 2000-2001
  • 3. 4 L’elaborazione e la scrittura di questo testo è stata ultimata nel mese di maggio 1996. © Rotary International - Club Pompei Oplonti Vesuvio Est Elaborazione, impaginazione e correzioni a cura di Raimondo Villano Edizioni Eidos, Castellammare di Stabia (Na)
  • 4. 5 Indice Presentazione 7 Prefazione 9 CAPITOLO I Analisi settoriale delle principali applicazioni telematiche 11 CAPITOLO II Analisi settoriale dei problemi tecnici di applicazione e/o sviluppo delle tecnologie informatiche 33 CAPITOLO III Sicurezza e reati informatici: problemi tecnici, giuridici e normativi 85 CAPITOLO IV Problematiche ed azioni politiche 113 CAPITOLO V Politica, attività e problematiche delle imprese del settore informatico 135 CAPITOLO VI Stime di mercato 149 CAPITOLO VII Aspetti filosofici, morali ed esistenziali 155 CAPITOLO VIII Impatto spaziale. Problemi urbanistici 163 CAPITOLO IX Impatto sociale 169 Conclusioni 177 Note 180 Bibliografia 183
  • 5. 7 Presentazione Un grande dono offerto con grande umiltà. Ecco come si può definire questa lunga e non lieve fatica di Raimondo Villano, il quale, per mero spirito di servizio e non certo per ambizioni accademiche, ha voluto assumere la parte e l’ufficio di mediatore tra una materia intrinsecamente complessa e in rapida evolu- zione e la gran massa di coloro che, in numero e in misura crescenti, son destinati a fare i conti con essa, anche se non per loro scelta. Il discorso sull’attuale società dell’informazione è tanto diffuso, che rischia di apparire un luogo comune. Ma proprio il fatto di essere comune comporta la necessità che se ne conoscano, sia pure a grandi linee ma non superficialmente, contenuti metodi e finalità non con la pretesa di dominare il nuovo universo disciplinare ma con il legittimo desiderio di non esserne dominati e manipolati. La nuova realtà creata dalla scienza informatica ed elettronica ha profondamente mutato, abbreviandole fin quasi a cancellarle, le tradizionali coordinate spaziali e temporali dell’umano agire e comunicare, costringendo anche menta- lità e abitudini a rapidi processi di adattamento. Quando gli adattamenti ci sono stati (con o senza traumi conta poco), si son ritrovati enormemente accresciuti i poteri di ciascun individuo di mettersi in relazione con gli altri e quindi di moltiplicare, attraverso lo scambio di informazioni, le occasioni e le modalità della crescita globale della personalità. Quando, invece, gli adattamenti non sono stati nep- pure tentati o, se avviati, non hanno creato le sperate abilità, s’è avvertita una progressiva emerginazione dal flusso delle informazioni e s’è instaurata la non felice condizione di do- ver utilizzare informazioni manipolate da altri o comunque di seconda mano. Ecco perché oggi non è più possibile scegliere tra l’adesione alla nuova realtà e il rifiuto di essa. Nella società dell’informazione ci siamo già e, ci piaccia o no, l’unica libertà di scelta che rimane è tra il rassegnarsi a subirla o il prepararsi a guidarla. E l’uomo, se non vuole abdicare alla propria dignità, non può non provvedere in tempo alla propria libertà con lo scegliere la seconda ipotesi. È davvero un Giano bifronte quello che sfida l’uomo contemporaneo a scelte difficili e irrevocabili: esso promette e fa intravvedere un gran bene, ma contiene anche, occulte, le insidie di un gran male. Ancora una volta, come all’inizio della storia, l’uomo deve vivere e risolvere dentro di sé l’eterno dramma della scelta. Ma in ogni caso la via resta sempre una: quella della cono- scenza. Per accettare o per respingere. * * * L’autore non chiude gli occhi di fronte ai problemi che vien ponendo all’uomo di oggi la trasformazione in atto della società. Al contrario: li fa suoi, quei problemi, e, pur con le debite cautele e riserve, assume coraggiosamente posizione a favore della prospettiva di cambiamento, ovviamente governato e diretto dall’uomo. Il cap. VII, in particolare, con- tiene una diligente e accurata disamina del pensiero filosofico contemporaneo nel suo
  • 6. 8 misurarsi con la tecnologia informatica e con i problemi ch’essa pone alla perplessa intel- ligenza e all’ancor più perplessa sensibilità degli uomini. Sembra proprio che l’intera civiltà occidentale, di plurimillenaria durata, sia giunta ad una svolta decisiva del suo cammino: la macchina, che pur è frutto dell’umano pensiero, ne incrementa ed amplifica le potenzialità in misura incredibile e imprevedibile, ma restano molto difformi da essa i ritmi con cui le masse degli uomini si adeguano alle nuove possibi- lità operative. È come se l’immensa eredità della storia dell’umana intelligenza e ricerca oggi costituisse una remora o un gravame per l’uomo dannato al cambiamento: questo c’è sempre stato, ma, per i ritmi che ne scandivano il processo, è stato sempre agevolmente “metabolizzato” dall’uomo. Oggi è l’incalzante rapidità dei processi innovativi che mette a nudo la lentezza dell’adeguamento dell’uomo e della sua struttura psichica e mentale. Ed è proprio lì, nello scarto tra le due velocità, che si annida il rischio: la liberazione dalla ripetitività meccanica di certe operazioni, offerta dalla macchina, potrebbe tramutarsi in un forma sconosciuta di asservimento delle masse. Da parte di chi? e a vantaggio di chi? Se a questo punto della riflessione interviene l’inevitabile avvertimento di tener sempre l’uomo come fine, ecco che ammonitore si leva il passato con tutto il fascino dei valori ch’esso ha creati e consegnati alla nostra coscienza e alla nostra responsabilità. Il cammino verso il nuovo è inarrestabile. L’augurio è che l’uomo sappia percorrerlo con saggezza, con coraggio e con umiltà, traghettando sempre nei nuovi approdi l’eredità delle passate gene- razioni, in virtù della quale egli può ancora riconoscersi e dirsi uomo. La riflessione dell’autore su tutta quest’area problematica dura da alcuni anni, nel cor- so dei quali egli ne ha fatto partecipi gli amici rotariani del suo club con la generosità di chi mette a vantaggio degli altri la propria fatica e con l’umiltà di chi sente il proprio dono inadeguato al sentimento che lo muove e lo accompagna. Alcune tappe di questo fecondo e costante rapporto della silenziosa operosità del singolo con la vita del gruppo sono state contrassegnate da concrete proposte di notevole utilità e rilevanza sociale: ricordo le validissime indicazioni sull’organizzazione del servizio sanita- rio e dell’assistenza agli anziani, sull’orientamento dei giovani nella scelta degli studi uni- versitari e nella ricerca del lavoro nonché le preziose applicazioni della razionalità infor- matica alla sistemazione dell’archivio del Distretto 2100 del R.I. Di tutta l’esperienza acquisita e della conoscenza accumulata nell’itinerario degli ultimi anni quest’opera rappresenta la “summa”, della quale non saprei se apprezzare di più l’ampiez- za della materia trattata o lo sforzo di renderla accessibile alla comprensione di persone sforni- te di competenza specifica ma dotate di buona volontà, quali son certamente i Rotariani. A me, che ho avuto più volte l’occasione di apprezzare la serietà dell’impegno professio- nale e civile dell’autore, piace concludere questa presentazione col notare ch’egli, nel delineare l’avvento del nuovo universalismo tecnologico come versione contempora- nea degli universalismi classici (cristiano, umanistico, razionalistico), ha saputo far sua la pedagogia rotariana dell’uomo come fine. Gennaio 2000 Antonio Carosella
  • 7. 9 Prefazione Il presente lavoro è scaturito dall’analisi, a mano a mano sem- pre più approfondita, degli aspetti e delle problematiche della so- cietà globale dell’informazione, condotta sulla scorta di numerosi testi e pubblicazioni, tra le quali ultime mi piace ricordare qui il prestigioso quotidiano nazionale IL SOLE 24 ORE, che al fenome- no delle telecomunicazioni riserva con costanza la sua ben nota e non superficiale attenzione. A me pare, invero, ch’esso, pur senza la pretesa di essere esau- stivo in una materia oltremodo complessa a causa dell’intrinseca multifattorialità e polivalenza nonché della magmatica evoluzione del fenomeno, possa tuttavia divenire un utile strumento di ulterio- re comprensione e punto di partenza per l’aggiornamento delle co- noscenze. Ciò a beneficio di una platea non di addetti ai lavori ma di sog- getti di buona volontà, che con attenzione, sensibilità e sollecitudi- ne recano il loro tassello, piccolo ma pur sempre prezioso, alla gran- de opera collettiva dell’edificazione della società contemporanea. Raimondo Villano
  • 8. 33 CAPITOLO II Analisi settoriale dei problemi tecnici di applicazione e/o sviluppo delle tecnologie informatiche Riguardo alla televisione, si deve tener presente che essa si prepara a passare dall’era catodica a quella digitale in cui si può trasmettere attraverso un segnale dieci volte più grande di quello attuale giungendo a ricevere fino a cinquecento canali specializzati, multimediali ed interattivi. Il televisore diventerà un pò computer, un pò videotelefono ed un pò terminale. La quantità di canali a disposizione5 spingerà i broadcaster ad offrire dei bouquet di program- mi specializzati abbandonando la strategia di ricercare il massimo ascolto in ogni rete. Le reti generaliste diventeranno tematiche (le stesse emittenti attuali sanno di dover cambiare): sono pronti i canali dedicati ai bambini, agli amanti della musica e dello sport, alle notizie finanziarie. L’avvento di questi nuovi media caratterizzati da soluzioni più o meno accentuate di interattività ed il loro rapporto con la televisione tradizionale, soprattutto con quella generalista, hanno com- portato lo sviluppo di un intenso dibattito fra operatori, programmisti, ricercatori e studiosi dei fenomeni comunicativi. Un dibattito che si potrebbe ridurre a una contrapposizione fra un’ipote- si di rivalità e, quindi, anche di futura sostituzione di un tipo di comunicazione rispetto all’altro e un auspicio di complementarità reciproca, addirittura di collaborazione. Inoltre, è emersa una contrapposizione interpretativa fra “ottimisti” e “prudenti”, al di là, ovviamente, della diversità di sfumature. I primi hanno sottolineato l’impatto “rivoluzionario” delle nuove tecnologie e han- no previsto una perdita progressiva d’importanza del tradizionale “broadcastin”; gli altri hanno dato giudizi più acuti contrapponendo alla prospettiva fiduciosa e proiettata verso il futuro tecno- logico la preoccupazione soprattutto per le difficoltà d’ordine economico e per quelle connesse alle abitudini di consumo. Vi è, inoltre, chi ritiene che l’utilizzo della tecnologia videoway cam- bia le abitudini di ascolto dei telespettatori ma non conferma le ipotesi sulla sostituzione della televisione tradizionale e c’è chi, invece, sostiene la necessità di ridimensionare le previsioni rispetto agli atteggiamenti di consumo del telespettatore, rilevando come negli Usa l’impatto delle nuove tecnologie sia stato minore rispetto a quanto soprattutto i media prevedevano. Que- sto discorso viene ancora più evidenziato se si considera come i network statunitensi stiano attualmente rafforzandosi e concentrandosi e stiano proponendo un’immagine della tv generalista come matrice di tutte le nuove forme di televisione, come punto di riferimento nella pluralità dell’offerta: il suo palinsesto potrebbe essere usato come un menu a cui attingere per le costru- zioni delle reti tematiche (la rete delle reti). C’è, tuttavia, da tener presente, come d’altronde afferma la maggior parte degli specialisti del settore, che la Tv generalista tra dieci anni sarà ancora seguita dal 50-70% dei telespettatori. Come, infatti, è già accaduto per i quotidiani, l’arrivo di un nuovo “medium” modifica l’ambien- te della comunicazione ma non determina la scomparsa del precedente. È chiaro, pertanto, che bisogna agire sulla diversificazione del pubblico e sulla disaffezione per i canali tradizionali (per nulla automatica né maggioritaria) offrendo generi poco presenti nei loro palinsesti generalisti, per conquistare nicchie di mercato composte da pubblici a reddito medio-alto e quindi con maggiori capacità di selezione e di critica verso l’offerta.
  • 9. 34 I sondaggi dicono che, per assicurarsi questi sevizi, l’americano medio è disposto a spendere circa 10 dollari al mese in più di quanto spende ora. In Europa6 sono i francesi che si dichiarano più disponibili a pagare pur di avere la possibilità di accedere ai servizi televisivi avanzati. Non meraviglia affatto che, sotto questo punto di vista, l’Italia non si mostri molto entusiasta, dal momento che nel nostro Paese non esiste la televisione via cavo e i telespettatori sono stati da sempre abituati a vedere la tv praticamente gratis: per le reti pubbliche c’è il canone, mentre sui canali commerciali si paga indirettamente sottoponendosi al bombardamento pubblicitario. Ri- sulta interessante notare che, secondo le ricerche della Inteco, sei italiani su dieci sarebbero disposti a pagare un supplemento per vedere i film senza pubblicità (contro il 70% dei francesi, il 49% dei tedeschi e il 39% degli inglesi). Pochi, insomma, sembra siano convinti che il mercato della tv interattiva sia destinato a diventa- re un mercato di massa7 poiché il consumo televisivo ha tempi di cambiamento più lenti rispetto all’innovazione dell’offerta e alle alleanze tra i gruppi che la determinano. La risposta dei diversi pubblici nazionali, pertanto, rappresenta il grande interrogativo sulla redditività degli investimenti effettuati o da effettuare da parte di Stati e grandi società della comunicazione nell’interattività. In queste condizioni, il break even, il punto di pareggio, per questi investimenti, sarebbe lontano nel tempo almeno quindici anni, un pò troppo anche per le gigantesche corporazioni interessate. I rischi del passaggio all’era dell’interattività, quindi, sono sintetizzabili nella scar- sa disponibilità non solo di tempo dei consumatori ma, soprattutto, di risorse degli investitori mentre la comunicazione commerciale sarà più lunga nei tempi e più riflessiva, in risposta ai bisogni d’informazione. Il vero problema è senza dubbio rappresentato dai costi. Un centro servizi costa 60 miliardi e bisogna averne molti sul territorio. In Usa, per dotare 60 milioni di case dell’attrezzatura necessaria, dicono gli analisti, occorro- no fra i 70 e i 90 miliardi di dollari. Il costo per collegare ogni singola casa varia, secondo le stime, fra i 700 e i 2.500 dollari. Vi è, poi, il costo dei servizi: infatti le sperimentazioni statunitensi dimostrano che la gente paga solo per servizi effettivi. In realtà, la storia dell’industria è fatta di salti tecnologici che hanno reso possibile prodotti che sembravano irrealistici e di bisogni latenti dei consumatori che esplodono all’improvviso. E tutti hanno troppa paura di commettere lo stesso errore (snobbare i mini computer) che è costato all’Ibm la leadership planetaria dell’informatica. In attesa del “mondo nuovo” i grandi magazzini dell’informazione on line su reti telefoniche, le reti via cavo con crescente capacità di trasporto di servizi televisivi e la diffusione di centinaia di canali via satellite, irrompono in un mercato che, comunque, risulterà in mano ai consumatori ed ai possessori del prodotto, cioè dei contenuti da veicolare in vecchie e nuove reti. Un mercato, ancora, che attualmente è maturo, cioè dove il consumo di televisione non avrà ulteriori tassi di incremento8 . Per quanto riguarda i contenuti e gli strumenti europei nella strategia a sostegno dell’audiovi- sivo, l’Europa cerca, con molte difficoltà, di recitare ancora un ruolo da protagonista in questo settore come anche in quello delle comunicazioni. Di fronte alla nuova ondata di fusioni negli Stati Uniti e all’imminente avvio delle trasmissioni digitali via satellite, con la relativa moltipli- cazione dei canali e dei servizi televisivi, l’Unione Europea sostiene la propria industria audiovi- siva, le cui dimensioni nazionali sono di gran lunga inferiori a quelle dei colossi statunitensi. Fino a pochi anni fa, a Bruxelles la parola magica era Alta Definizione ma il suo standard europeo di Alta Definizione è fallito prima di nascere, spiazzato irrimediabilmente dall’avanzata delle tecnologie digitali negli Stati Uniti. Ora l’Europa comunitaria punta allo sviluppo degli
  • 10. 35 apparecchi televisivi in 16:9, a schermo cinematografico, in grado di ricevere sia programmi analo- gici, quelli diffusi attualmente, che quelli digitali e compatibili con la futura Alta Definizione. Ci si può chiedere se non si rischi un secondo fallimento europeo per imporre i costosi appa- recchi a grande schermo, in grado di essere sfruttati al meglio solo con prodotti ad alto costo (film o eventi sportivi) anziché puntare soprattutto sulla distribuzione numerica in termini di moltiplicazione dei canali e dei servizi extra televisivi. In entrambi i casi, bisognerà comunque avere una maggiore produzione europea e nazionale di programmi di stock, quelli in grado di essere ripro- dotti più volte e, se possibile, esportati sui mercati esteri, a partire dalla fiction e dai film. In questo scenario, l’assenza dell’Italia dal Piano d’azione per i servizi avanzati è una conse- guenza della nostra cultura politica e informativa sui mezzi di comunicazione. Una cultura sintonizzata sulle poltrone, sui personaggi che le occupano e - nella sostanza - sul controllo dell’informazione. Una cultura, quindi, che sottovaluta la portata strategica dello sviluppo di una forte industria dei programmi nazionale ed europea. Lo stesso dibattito pro o contro le quote di programmazione destinate ai programmi di origi- ne europea ha suscitato scarsa eco sui nostri quotidiani e tra i partiti, al contrario di quanto è accaduto negli altri paesi europei. Inoltre, dopo il fallimento dello standard televisivo Mac che, sulla carta, avrebbe dovuto rappre- sentare l’anticamera per l’affermazione dell’Alta Definizione continentale, l’Europa cerca di non perdere ulteriore terreno rispetto agli Stati Uniti e al Giappone nella corsa alla televisione del futuro. Uno degli strumenti utilizzati da Bruxelles nella sua strategia per il sostegno dell’audiovisi- vo, insieme al Piano media dedicato alla pre-produzione, produzione e distribuzione di program- mi e film europei, è il Piano d’azione “16:9”, dedicato allo sviluppo di programmi per i televisori a grande schermo, di cui recentemente è stato presentato il Primo rapporto annuale della Com- missione al Parlamento e al Consiglio europeo. Rapporto che rivela, purtroppo, come l’Italia sia stata finora del tutto assente nella richiesta e nell’assegnazione di finanziamenti per i servizi avanzati di televisione nel biennio ’93-94. Obiettivo del Piano è quello di favorire la diffusione di apparecchi riceventi a grande scher- mo (nei quali il rapporto base-altezza è pari a 16:9, rispetto al tradizionale 4:3, proponendo un’immagine più simile allo schermo cinematografico) incentivando, con opportuni finanziamenti, la produzione e la diffusione di programmi audiovisivi in tale formato. A Bruxelles, inoltre, si sta preparando la Direttiva sulle norme relative ai segnali televisivi, che dovrà rimpiazzare la “Mac” del ’92. Tale nuova direttiva dovrà offrire un contesto di norme che favorisca lo sviluppo di un mercato i cui protagonisti siano orientati soprattutto a sviluppare la diffusione numerica dei propri canali televisivi. Di poi, il mercato dei tv color a schermo cinematografico è impantanato in una situazione nella quale i produttori di apparecchi e di radiodiffusori si rinfacciano a vicenda di attendere lo sviluppo del mercato senza investire per farlo decollare. Inoltre, va considerato che il futuro della tv si gioca sulla moltiplicazione sia tecnologica sia commerciale dei canali, con una maggior concorrenza dovuta alla possibilità di segmentare il merca- to, di fare promozioni incrociate tra le diverse reti e di vendere pacchetti di abbonamenti “combinati” che vedano tra i clienti sia i possessori delle antenne satellitari9 sia le case raggiunte dal cavo. Negli Usa Fox e Nbc trasmettono via satellite sia direttamente sia ai centri di redistribuzione dei cable system operator. Il segnale viene trasportato da sei colossi (Alascom, Gte spacenet, GEAmerican, Hughes, AT&T, Comsat) attraverso 34 satelliti domestici: 4,1 milioni di case han- no le antenne sul tetto con un giro d’affari pari a 400 milioni di dollari (oltre 650 miliardi). Ecco alcuni numeri. Secondo la National cable television association, alla fine del ’94 c’era- no 11.350 società proprietarie di sistemi via cavo articolati su base locale che collegavano 61 milioni di case (i colossi sono Tci e Time Warner con oltre 26 milioni di abbonati).
  • 11. 36 Per quanto riguarda i programmi, negli ultimi tre anni il numero dei canali nazionali specia- lizzati via cavo è più che raddoppiato: oggi si calcola che siano 150. E questo mercato è al centro di un aspro scontro tra lobby per stabilire le nuove regole. Proprio lo scorso anno la commissione Commercio della Camera ha approvato una proposta di legge favorevole alla liberalizzazione selvaggia che aprirebbe la strada alle concentrazioni tra i diversi media su scala nazionale: un round nettamente a favore dei grandi operatori. Dal canto loro le compagnie telefoniche locali si apprestano a entrare massicciamente nella distribuzione via cavo di servizi video. La partita del multimediale è, però, appena cominciata. Per quanto riguarda gli incassi delle maggiori Tv specializzate via cavo nel 1993, espressi in milioni di dollari, essi sono stati di: 342 per espn, 298 per tbs, 311 per usa, 190 per mtv, 149 per nickelodeon, 209 per tnt e 197 per cnn, mentre gli incassi per il 1994 sono cresciuti sino a: 403 per espn, 356 per tbs, 327 per usa, 250 per mtv, 235 per tnt, 216 per nickelodeon e 204 per cnn. Ampliando il campo di osservazione all’Europa, c’è da dire che il cavo si è sviluppato come servizio locale, anziché nazionale, pur essendo spesso di proprietà pubblica, tranne che in Fran- cia e Germania10 . Quest’ultimo Paese, con 13,5 milioni di collegamenti, conta un terzo degli abbonati in Europa e vale un terzo delle entrate continentali. La Francia, invece, ha praticamente abbandonato il suo plan cable, lanciato in pompa magna come inarrestabile volano per l’indu- stria elettronica e audiovisiva nazionale. Due ondate simultanee di cambiamento stanno investendo il mercato della tv via cavo: la convergenza del mercato della televisione con quello delle telecomunicazioni e la liberalizzazione dei servizi di telecomunicazione. Ciò significa che i tradizionali gestori delle Tlc sono, rispetto al passato, estremamente interessati al cavo, come dimostra il piano di Telecom Italia per raggiun- gere dieci milioni di abitazioni entro il 1998. Il mercato del cavo, in primo luogo, è in crescita, anche se molti operatori sono in perdita e i risultati non giustificherebbero l’ottimismo e l’entusiasmo per il futuro di molti addetti ai lavori. In secondo luogo, le reti cablate e quelle di telecomunicazione stanno diventando più simili dal punto di vista tecnico. In entrambi i casi, poi, gli operatori coinvolti sono interessati a nuove forme di servizi interattivi, come il video - su - domanda e i videogiochi in rete. L’integrazione totale tra telecomunicazioni e tv via cavo è, però, ancora lontana, sebbene tecnicamente possibile, a causa degli enormi investimenti richiesti. Molti fornitori autorizzati ad offrire il servizio telefonico di base attraverso il cavo potrebbe- ro seguire il modello britannico della rete parzialmente integrata (acquistando i collegamenti a lunga distanza dai principali operatori, British Telecom in testa). All’inizio del ’94, un’abitazione su quattro dell’Europa occidentale era collegata alla tv via cavo e il totale della spesa degli abbonati era di circa quattro milioni di Ecu, tre quarti dei quali per i servizi di base, il resto diviso tra costi di collegamenti e abbonamenti alle tv a pagamento. Le spese dei distributori via cavo sono quasi equivalenti alle entrate, ma sottraendo da queste ultime la parte di competenza delle emittenti diffuse a pagamento, il settore, nel suo insieme, è in perdita. La maggior parte delle spese degli operatori è destinata a portare il servizio di base ai nuovi utenti e aumentare la capacità di trasporto della rete; il limite dei nuovi servizi consiste nel fatto che essi comportano costi ingenti a cui corrisponde un incremento marginale dei guadagni. Al di là della media, i mercati del cavo in Europa occidentale stanno attraversando fasi di sviluppo estremamente diversificate. I 32 milioni di abbonati alla fine del ’93 dovrebbero, secon- do la Cit Research, arrivare a 55 milioni entro il 2003, con una crescita del 70%, raggiungendo il 31% delle abitazioni con il televisore. I ricavi lordi complessivi degli operatori cavo dovrebbero quasi triplicarsi, dai 3,9 miliardi di Ecu del ’93 agli 11,3 del 2003. A trarne maggior profitto, però, saranno i proprietari dei canali a pagamento più che gli operatori del cavo, perché i servizi di pay-tv porteranno dal 15 al 30% la loro quota sul totale degli introiti del cavo. Con l’avvento
  • 12. 37 dei servizi interattivi, inoltre, i distributori via cavo si ritroveranno a spendere una quota maggiore del proprio budget per l’acquisto di programmi - si tratti di film o di videogiochi - rispetto ai 26 milioni di Ecu del 1993, ma si ridurranno i costi di sviluppo delle reti (ma non quelle di esercizio). Tra i singoli Paesi, nell’anno Duemila, la Gran Bretagna dovrebbe superare la Francia, par- tita in grande anticipo con il suo plan cable, quanto a numero di abbonati, con 3,28 milioni di famiglie contro 3,13 nel 2001 e, in quell’anno, la Germania sarà a quota 21 milioni di abbonati al cavo ma a scapito soprattutto degli impianti con antenne centralizzate. In Gran Bretagna vi sarà il massimo sviluppo della pay-tv nonostante la normativa ignori in buona parte il futuro peso delle reti via cavo. Attualmete queste pesano per circa il 3% del mercato totale contro il 35% delle reti satellitari, il 36% detenuto dai due canali commerciali (Itv e Channel 4) e il 32% delle due reti pubbliche della Bbc. In un mercato ormai quasi totalmente liberalizzato quale quello britannico, infatti, le tv via cavo americane (ma anche francesi e, naturalmente, inglesi) stanno ritagliandosi una quota sem- pre crescente, oltre a porre nuovi problemi di rapporti con le società telefoniche che a loro volta sono interessate a vendere agli utenti nuovi prodotti. Il mercato delle tv via cavo, in cui operano attualmente una ventina di protagonisti, sta regi- strando in Gran Bretagna una crescita esponenziale: da poco più di 800mila nel 1993 e 1,4 milio- ni lo scorso anno il numero degli abbonati dovrebbe superare di slancio quest’anno i due milioni per attestarsi oltre quota 2,5 milioni. Lo sviluppo sarà piuttosto debole invece in Germania dove i servizi di base dovrebbero avere la meglio. Quanto al video - su - domanda, servizio riassumibile nella filosofia del “guarda ciò che vuoi quando vuoi”, secondo la Cit, non c’è compagnia telefonica in Europa che non abbia piani per sperimentare tale servizio, e questo preoccupa gli operatori del cavo, che non hanno a disposizio- ne i mezzi finanziari delle compagnie telefoniche nazionali. Dunque, la tv del futuro parlerà americano11 . L’Europa è meno ricettiva degli Usa verso i servizi interattivi e in questo quadro l’Italia risulta tra i Paesi dove il “Vod” (Video on demand) avrà vita difficile. Infatti, solo il 10% degli italiani si è dichiarato “molto interessato” alla televisione “su richiesta”, contro il 43% degli Stati Uniti, il 19% di Gran Bretagna e Francia, il 12% della Germania. Un altro dato considerato molto importante dagli addetti ai lavori è l’utilizzo del videoregi- stratore. Tre italiani su dieci, a esempio, programmano il videoregistratore parecchie volte la settimana; si tratta di un dato superiore alla media americana ma che rappresenta comunque una frequenza dimezzata rispetto agli inglesi. Se si analizza più in dettaglio il luogo e il modo in cui decolla la tv interattiva nel mondo, si osserva che negli Usa U.S. West (Omaha) avviata nel 1994 aveva un bacino utenti nel 1995 di 40.000 unità; Bell Atlantic (New Jersey, Virginia) avviata nel 1994 contava 900 utenti nel 1995; Time Warner (Florida) avviata nel dicembre 1994 aveva 400 utenti nel 1995; Tci (Washington) avviata nel 1995 contava 2000 utenti; Nynex (New York) nata nel 1994 contava nel 1995 800 utenti; Viacom (California) nata nel 1995 non ha ancora reso ufficiale il parco utenti. In Germania, invece, Deutche Telekom, presente in sei importanti città e nata nel 1995, conta 6000 utenti mentre in Australia l’Interactive Tv Australia (Adelaide) nata nel novembre 1994 contava nel 1995 1500 utenti. In Gran Bretagna, poi, B.T. (Colchester-Ipswich), creata a giugno 1995, conta 2500 utenti mentre On Line Media (Cambridge), nata a settembre 1994, aveva nel 1995 250 utenti. Infine, in Giappone Governo Giapponese (Kyoto), nata a luglio ’94, contava 300 utenti nel 1995 mentre Tokio Cable Network (Tokyo), nata nel dicembre 1993, aveva nel 1995 400 utenti. Esaminando più in particolare i principali aspetti di sviluppo del settore televisivo in Italia, va rilevato che, benché oggi gli italiani ricevano in media venticinque canali tra emittenti locali e
  • 13. 38 nazionali, non c’è competizione e di fatto si sceglie tra le sei reti principali. Nel contempo, per il modo in cui si è sviluppata la competizione tra i sei network più importanti, si è di fatto determi- nata un’omogeneizzazione delle programmazioni. Ciò spesso più che far partecipare l’utente gli fa subire la trasmissione, rischiando così di farlo allontanare e di concorrere a fargli sviluppare modi innovativi di intendere l’utilizzazione del mezzo televisivo. Inoltre, apparendo il volume complessivo di risorse che affluisce al sistema dal serbatoio pubblicitario in grado di alimentare non più di sei o sette reti generaliste, lo sviluppo dei canali tematici offrirà, anche nel nostro Paese, opportunità straordinarie per le aziende che intendono colpire un pubblico mirato e nel contempo gli investimenti pubblicitari concorreranno al rafforzamento delle quote di mercato dei nuovi media in quanto possono influire sull’abbattimento dei costi: la pubblicità sarà “incap- sulata” nel programma che costerà meno se sarà ordinato con gli spot. Ovviamente, però, un trend del genere conoscerà dei limiti, dato che un numero eccessivo di canali o ancor più di scelte individuali (milioni) provocano solo il caos. Le previsioni di sviluppo del mercato italiano di Video On Demand sono di circa 200mila abbonati nel 1996, di circa 500mila nel 1998, di circa 1 milione nel 2000 e di 3 milioni nel 2004. In ogni caso, il pubblico italiano, tra film, sport, informazioni e intrattenimento, ha a disposi- zione un’offerta di tv terrestre senza paragoni con altri Paesi europei. E la diffusione dei videore- gistratori è ormai intorno al 60% delle famiglie con tv. Le difficoltà di Telepiù nella raccolta degli abbonamenti nascono anche da questa saturazione di offerta a basso costo (canone), che accen- tua la lentezza del cambiamento. In autunno è partita a Milano e a Roma la prima sperimentazione commerciale di video on demand che ha coinvolto mille famiglie, che è basata su doppino telefonico e gestita da Stream, società costituita a fine ’93 dalla Stet con la missione di centro servizi per il mercato multimediale. È partita con applicazioni destinate all’intrattenimento, ma con l’obiettivo di arrivare a offrire anche home banking, teledidattica e altri servizi innovativi. Nello scenario nazionale, com’è intuibile, gli attori della rivoluzione tecnologica televisiva sono rappresentati da rai e da Fininvest. La rai ha puntato per gli investimenti tecnologici preva- lentemente sull’hardware, ovvero non coinvolgendo tanto i programmi quanto, con finanziamenti di oltre 700 miliardi di lire in tre anni, prevedendo l’informatizzazione degli archivi e la digitalizzazione degli impianti. La Fininvest ha deciso di compiere sperimentalmente la prima fase della sua rivoluzione tecnologica avviando investimenti (affidati a Videotime, la società del gruppo per i mezzi di produzione) per digitalizzare gli studi al fine di ottimizzare la qualità ed i tempi di realizzazione dei programmi. Inoltre, al di là delle innovazioni tecnologiche, la Videotime guarda al futuro tenendo in costante aggiornamento i suoi quadri: un primo laboratorio telematico è stato allesti- to ad uso interno, durante una recente convention di quadri e dirigenti. Per quanto concerne, poi, la standardizzazione del sistema, la Fininvest rappresenta l’Italia insieme alla Rai e al mi- nistero delle Poste nell’ambito della Dvb, l’associazione delle 150 maggiori aziende tv europee che opera a Ginevra. Se è vero che la Rai ha gestito le sue reti in chiave generalistica è altrettanto vero che la Fininvest ha cercato fin dall’inizio di differenziare le sue tre reti orientando in senso generalistico Canale 5 e specializzando le altre due: Rete 4 in direzione del pubblico femminile e Italia 1 in direzione del pubblico giovanile; la stessa Rai ha cominciato, da qualche tempo, a costruire i palinsesti delle proprie reti in direzioni complementari e vuole lavorare sulle reti generaliste, ma anche in quelle specializzate. Questa proliferazione di prodotti e servizi non esaurisce la funzio- ne di servizio pubblico; anzi in un momento in cui la personalizzazione asseconda le spinte settoriali dei mercati, il servizio pubblico deve mediare tra le spinte settoriali e gli interessi della collettività12 . Ma soprattutto la Rai prepara il lancio, a fine ’96, della tv digitale via satellite. È un
  • 14. 39 investimento da 600 miliardi per il quale il servizio pubblico sta portando avanti le trattative con i possibili partner internazionali e quella con il ministero delle Poste, per ottenere il “via libera” a un’attività non prevista dall’attuale convenzione con lo Stato. Colloqui, ad esempio, sono stati avviati con la Disney-Abc, impegnata a lanciare sul conti- nente il suo Disney channel, aventi per oggetto il lancio di uno degli otto canali tematici progetta- ti dalla Rai, quello destinato a famiglie e ragazzi. Attualmente, gli otto canali tematici che la Rai dovrebbe lanciare dal satellite Hot Bird 2 dell’Eutelsat sono: quello musicale (partner Warner e Sony, antitrust europeo permettendo per la seconda, e la New Regency); quello educativo, finan- ziato dal Ministero della Pubblica educazione; quello per i ragazzi; quello sportivo; quello tutto dedicato all’informazione (la Cnn ha offerto la propria disponibilità); poi, un canale “Nostalgia” con i programmi Rai che hanno fatto la storia della tv in Italia; un canale cinematografico e uno di musica classica. Un altro canale allo studio potrebbe essere dedicato ai documentari; l’ultimo potrebbe essere quello della solidarietà collegato al Segretariato sociale13 . In ogni caso, l’assetto definitivo del pacchetto Rai deve essere ancora stabilito. Varie ipotesi sono allo studio, tra cui quella, prospettata come la più conveniente, di lasciare “in chiaro” (per i possessori di antenna parabolica) i due canali dedicati all’informazione e all’educational, trasfor- mando in canali a pagamento gli altri sei. È certo, tuttavia, che l’impegno finanziario sarà note- vole: 600 miliardi per otto canali, compreso il centro servizi e i costi di marketing. Sui ricavi le stime sono molto prudenti intorno ai 100 miliardi annui per l’intero pacchetto. Il pareggio tra entrate e uscite dovrebbe arrivare intorno al quinto anno, la remunerazione dell’investimento un pò più avanti, mentre sono previsti incentivi per chi acquisterà antenna parabolica e decodificatore. Non è ancora stato deciso, soprattutto, se gli otto canali saranno tutti o in parte a pagamento: diverse opzioni sono allo studio dei vertici aziendali e del presidente Letizia Moratti. Per la Rai investire nella Tv digitale via satellite comporta un alto rischio ma promette di portare avanti una politica delle alleanze e di avere accesso alle tecnologie della diffusione digi- tale e della gestione a distanza del parco abbonati, condizionamenti politici permettendo. E attraverso la tv del futuro si potrebbe anche anticipare la privatizzazione permessa dal referendum. La creazione di società ad hoc per la gestione dei canali tematici e di altre attività nelle quali la Rai possa anche essere in minoranza può essere un modo per introdurre partner privati nel capitale. Per la Rai, comunque, restano centrali e da mantenere in mano pubblica le tre reti terrestri. La tv destinata ai grandi pubblici è quindi tutt’altro che morta, lo dimostrano, oltre alla corsa all’acquisizione dei grandi network commericali come Abc e Cbs, anche la somma, duemila miliardi di lire, spesa dalla Nbc per acquistare i diritti delle Olimpiadi estive e invernali del Duemila. In un’epoca di forte competizione su tutti i mercati, le grandi marche hanno sempre bisogno di posizionarsi e chiedono eventi internazionali dai grandi ascolti. Sul fronte interno, la Rai chiede al ministero delle Poste l’autorizzazione per gestire canali a pagamento via satellite, non previsti dall’attuale convenzione con lo Stato. Il ministero potrebbe autorizzare la sperimentazione, in attesa della ratifica della direttiva europea sui satelliti. Molto dipenderà da quello che succederà nel dopo - commissione Napolitano dove circolavano propo- ste che avrebbero potuto ridurre le prospettive d’inserimento della Rai sul mercato, come quella, ad esempio, che la avrebbe costretta a varare un solo canale tematico. I concorrenti non aspettano, Telepiù dovrebbe ottenere dal ministero la proroga all’autunno ’96 del termine di legge entro il quale dovrà salire sul satellite. I sudafricani della Nethold, che controllano la gestione dell’emittente, sono tra i più avanzati nella sperimentazione del segnale e della gestione del parco abbonati. Telepiù ha prenotato quattro trasmettitori sull’Hot Bird 2, pari a un “pacchetto” di sedici canali, anche la Rcs sarebbe in lista d’attesa per due trasmettitori sullo stesso satellite dell’Eutelsat che sarà ricevuto in tutta Italia, oltre che in gran parte d’Europa, con una parabola di 50-60 centimetri. Infine, sulle 120 opzioni satelittari digitali di Eutelsat, solo 50 sarebbero gestite da soggetti nazionali, leggi permettendo (nella commissione Napolitano c’è chi
  • 15. 40 avrebbe voluto vietare per cinque anni la tv a pagamento agli operatori con più di una rete). Gli altri saranno in mano a operatori esteri, alcuni dei quali stanno studiando l’introduzione su propri canali dell’audio in lingua italiana. Per la Rai ed i giovani media non c’è solo il problema dell’innovazione tecnologica che i mezzi trasmissivi (il cavo ed il satellite) stanno delineando. Altrettanto importante è il problema dei prodotti e servizi che dovranno essere veicolati. Anzi, a fronte di una rapidissima evoluzione delle tecnologie trasmissive, arranca la produzione dei contenuti da trasmettere14 . Come già detto, molte ricerche indicano che le strategie del futuro saranno definite dai detentori dei contenuti (i grandi archivi di immagini, per esempio) e dei diritti sul loro sfrutta- mento. Importanti gruppi multinazionali stanno già cercando di comperare tutto il comperabile. Sulle grandi risorse italiane (i diritti sul patrimonio dei beni culturali, per esempio) si sta verifi- cando una vera e propria corsa. La Rai, dunque, sembra voler entrare con tutto il peso dei suoi archivi nella produzione di software da offrire ai nuovi consumatori di programmi confezionati su misura in self service. Ciò poiché è evidente che oggi il problema è cosa mettere dentro questo sistema integrato di televi- sioni, calcolatori e reti che non ha più limiti. E bisogna pensarci in fretta per non essere più terra di conquista di prodotti che arrivano dall’estero attraverso una nuova massiccia ondata di impor- tazioni, senza alimentare, se non in misura ridotta, l’industria e la creatività nazionale, dato che nella produzione nazionale la competitività del nostro Paese è, se possibile, ancora più debole. Quella cinematografica ha visto, negli ultimi anni, ridursi gli investimenti medi per pellicola e le quote di mercato, al di là degli exploit di pochi titoli campioni d’incasso. Certo il maggior ascolto del pubblico, in tutto il mondo, va ai programmi nazionali ma in Italia rischia di concentrarsi su eventi dal vivo e programmi a basso costo, che non coprono l’intera programmazione e non hanno possibilità di sfruttamento nel tempo sui vari mercati. La Rai è da sempre sostanzialmente un produttore di software e in questo contesto deve essere in grado di fornire servizi che incontrino le esigenze e i bisogni evidenti o latenti degli utenti. La soglia di accesso per i nuovi canali televisivi, insomma, rimarrà alta, in mancanza di infrastrutture che permettono di veicolare canali tematici e a pagamento a pubblici definiti e conosciuti. Ma in ogni caso, anche se questi canali hanno costi di programmazione più bassi di quelli generalisti, potranno avvalersi della produzione nazionale solo se quest’ultima garantirà qualità, convenienza e specializzazione. Per quanto riguarda le aziende e l’industria, l’avvento delle nuove tecnologie dell’informa- tica e della microelettronica nei prodotti e nei processi produttivi e gestionali determina profonde trasformazioni nelle strutture delle imprese e nel loro comportamento strategico. La rapida evoluzione del settore dell’offerta di prodotti informatici (ciclo di vita del prodot- to informatico: 1 o 2 anni) impone, alle imprese che intendono stare al passo coi tempi, un altrettanto rapido adeguamento delle proprie strutture organizzative, che dovranno essere dota- te, quindi, di un elevato grado di flessibilità e adattabilità ad una situazione di mercato caratte- rizzata dalla obsolescenza precoce. La scomparsa di un gran numero di imprese che non hanno saputo raccogliere questa sfida è, forse, la testimonianza più lucida di un’esigenza di riprogettazione della maggior parte delle funzioni aziendali che ha attraversato, in questi anni, l’imprenditoria italiana. A farne maggiormente le spese sono stati gli ormai logori processi decisionali che, supportati dalla possiblità offerta dalle nuove tecnologie di decentralizzazione agevole, hanno saputo ga- rantire una immediata linfatizzazione al vecchio modello burocraticizzato, causa di tante duplicazioni e sovrapposizionamenti decisionali. Il risultato più evidente di un simile processo è rappresentato soprattutto dal prodotto “infor- mazione”, cioè un bene non fisico, immateriale, che presenta caratteri profondamente diversi rispetto ai beni di tipo fisico in termini di immagazzinamento e manutenzione.
  • 16. 41 Esiste oggi, difatti, un qualcosa chiamato cultura dell’informazione, per cui le aziende non misurano la loro efficacia mediale, più che l’efficienza, basandosi solamente su quanti videoter- minali saranno sulle scrivanie dei dirigenti o su quanto sarà stato l’investimento globale per informatizzare l’azienda; bensì tenderanno ad uniformare le scelte verso la piena comprensione dell’influenza che l’information technology può esercitare su un’azienda stessa, sia in termini di sopravvivenza e crescita, che in termini di valutazione dei rischi e delle opportunità. Il sistema dei flussi informativi per la pianificazione e il controllo diventa, quindi, la struttura centrale di riferimento in un’impresa che dinamicamente si adatta alle nuove condizioni della tecnologia e dell’ambiente esterno. Inoltre, ogni giorno le aziende devono compiere una grande quantità di transazioni cartacee come ordini, fatturazioni, bolle di spedizione secondo procedure che solo in parte è stato possibile automatizzare, soprattutto quando i documenti sono scambiati tra organizzazioni diverse. Si tratta di un autentico collo di bottiglia nel flusso delle operazioni, che ne aumenta tempi e costi, infatti basta considerare che, mediamente, il 25% dei costi di una transazione è rappresentata dalle fasi di data entry e re-entry. L’Edi (Electronic data interchange) permette di migliorare la situazione attraverso lo scam- bio elettronico dei dati tra i computer di partner commerciali collegati a una rete. La trasmissione e lo smistamento dei dati a mezzo di sistemi di telecomunicazione e la loro elaborazione tramite computer senza interventi manuali garantisce un’estrema velocità mentre tra i vantaggi di tipo gestionale offerti dall’Edi si possono citare la riduzione degli stock e degli spazi di magazzino, i minori tempi di approvvigionamento, la maggiore disponibilità di capitale e la migliore programmazione della produzione, delle spedizioni e dei trasporti. L’Edi si configura pertanto come uno strumento strategico per la logistica aziendale, che consente di incrementare la propria competitività,comunicando con i partner attraverso una tecnologia vantaggiosa per entrambi. Anche le politiche aziendali tendenti alla riduzione dei magazzini sono più facilmente perseguibili in presenza di un sistema Edi, che permette di accelerare ordini e consegne e, soprat- tutto, di sapere istante per istante quali sono le giacenze di magazzino e le merci in viaggio, quindi spedite dai fornitori. L’applicazione dei codici a barre per realizzare un data entry automatico previa identificazio- ne del materiale e l’applicazione dell’Edi permettono,inoltre,di collegare il flusso dei materiali con quello delle informazioni, aumentando la produttività, migliorando la qualità dell’informa- zione, riducendo i costi e incrementando la tempestività poiché le informazioni entrano nel com- puter nel momento in cui avviene la transazione. In ambito Edi sono state avanzate varie proposte di standard; tra questi si è affermato a livello mondiale Edifact (Electronic data interchange for administration, commerce and transport), svi- luppato sotto l’egida delle Nazioni Unite e noto come standard Iso 9735 o En 29735. La costru- zione dei documenti secondo lo standard Edifact avviene in base a regole che definiscono le informazioni necessarie, obbligatorie e facoltative, il modo di codificarle e la sequenza che le informazioni devono rispettare nel messaggio. Asua volta, la Commissione Ue ha messo a punto un piano denominato Tedis (Trade electronic data interchange system), i cui principali obiettivi sono evitare la proliferazione di sistemi Edi chiusi come quelli appena citati, con i conseguenti problemi di compatibilità; promuovere l’introduzione di sistemi Edi che soddisfino le esigenze degli utenti, soprattutto delle piccole e medie imprese; e, infine, sostenere il ricorso alle norme disponibili, come le raccomandazioni Un/Ece (Commissione economica dell’Europa per le Nazioni unite) nelle procedure di scambio internazionali. Il programma Tedis intende inoltre aumentare la consapevolezza dei potenziali utenti of- frendo informazioni generali, informare i fornitori europei di apparecchiature e i produttori di software sulle possibilità offerte dallo sviluppo di sistemi Edi, nonché dare un’assistenza speci- fica alle piccole e medie imprese per consentirne una partecipazione attiva allo sviluppo dell’Edi.
  • 17. 42 In un mondo sempre più attraversato da autostrade elettroniche, l’Edi rappresenta uno strumento concreto di miglioramento dell’efficienza aziendale. Le industrie, dunque, avrebbero bisogno di prendere velocemente decisioni in termini di applicazioni multimediali nel loro ambito, ma tendono anche a procrastinarle nella speranza di riuscire ad avere, nell’attesa, più informazioni che chiariscano i loro dubbi e i loro interrogativi: nel frattempo i multimedia continuano a evolvere. Per entrare nel mondo multimediale, le industrie dovranno reingegnerizzare adeguatamente i propri ambienti produttivi con workstation che possano supportare e gestire dati multimedialì incluso video in tempo reale e nuovi server di file che gestiscono grossi volumi di dati immagaz- zinati su Cd-Rom o Raid (Random arrays of inexpensive discs). Attualmente, sui mercati dei servizi e dei sistemi multimediali, è già iniziata una fase di fermento in cui i principali produttori mondiali si stanno impegnando in uno sforzo tecnologico che renda possibile l’avvento della realtà industriale multimediale: un esempio di ciò è offerto proprio dalla trasmissione ad alta velocità in contemporanea di suoni, dati e immagini, con l’annullamento delle distanze per ottenere risparmio di tempo e aumento di produttività. Tutta- via, sembra che l’industria europea non sia ancora pronta a sfruttare i vantaggi della comunica- zione multimediale essendo restia a modificare le abitudini di lavoro soprattutto a livello mana- geriale. Sostanzialmente, l’industria europea vuole essere maggiormente rassicurata sulla faci- lità d’uso dei servizi multimediali, preoccupata della loro complessità tecnologica e dubbiosa sulla loro reale necessità. Benché si deve riconoscere che in taluni casi la “computerizzazione” fin qui realizzata soffre ancora troppo di rigidità burocratica, anche se con la sua introduzione la produttività dei “colletti bianchi” ha finalmente cominciato a crescere. Inoltre, pur non essendoci azienda professionista con una certa cultura informatica che non parli di Internet, quando una di esse si collega per ottenerne, oltre che informazioni e un congruo risparmio nei costi di comunicazione, anche un vantaggio commerciale o di immagine, nella gran parte dei casi è impreparata a farlo e di conse- guenza manca il suo scopo. Appare semplice, poi, utilizzare Internet solo se lo si fa in maniera superficiale; infatti, in una città virtuale di almeno 50 milioni di abitanti, con un numero impres- sionante di informazioni di banche dati (database) se non si è esperti navigatori ci si può perdere, vanificando le proprie azioni e intenzioni. I software utilizzati per entrare in rete tramite uno dei cento e più provider ormai localizzati in ogni provincia d’Italia, aiutano i loro utenti a inviare e ricevere posta con grande facilità e a viaggiare in quella selva di archivi, strade, autostrade, incroci, cartelli e agganci. Ciò, tuttavia, avviene più nel senso che va dalle aziende verso Internet, per agevolare nel trovare quanto cerca- no, che nel senso opposto. Se un’azienda vuole usare Internet come mezzo non per cercare ma per comunicare ciò che fa e produce in modo efficace e remunerativo le occorre una competenza specifica che spesso non fa parte del bagaglio conoscitivo di chi fornisce i collegamenti e i servizi. Si sa, infatti, che un’azienda, come qualunque altro soggetto, può avere in Internet sia la sua casella postale con relativo indirizzo sia la sua vetrina (o uscio di casa) sempre con relativo indirizzo: alla prima essa riceverà la corrispondenza, alla seconda, che nelle sue home page contiene tutte le notizie che la riguardano, potrà accedere chiunque cerchi informazioni di quel tipo. Occorre, poi, che si doti di un navigatore grafico, che le consenta di fare le cose di cui ha bisogno: cercare notizie, fornire informazioni, partecipare a conferenze, gestire un minimo di posta elettronica e possedere, infine, buone funzioni grafiche per accedere a testi, immagini, grafici e suoni. Questa opportunità va attentamente considerata in quanto il forte incremento che sta interessando Internet in questi ultimi anni ha spinto gli utenti a una maggiore cura delle loro pagine in rete e non solo nei contenuti ma anche nella grafica e nella qualità della loro comunicazione. Ecco, allora, emergere il primo limite per chi affida questo compito al
  • 18. 43 provider locale: l’estrazione informatica di questi fornitori non ha dato loro l’opportunità di sviluppare capacità grafiche o di marketing industriale, con il risultato che le pagine di un’azien- da, qualora fossero affidate loro, corrono il rischio di essere da un lato attraenti e dall’altro vuote in termini di comunicazione. Sarebbe perciò impossibile per un’azienda ottenere, con una qualità di livello amatoriale, la considerazione e l’interesse del suo pubblico. Per essere accattivante e inattaccabile, oltre che interessante per il cliente, è bene allora che l’azienda si faccia aiutare da un esperto sia di grafica, sia di comunicazione industriale, il quale studi a fondo il problema e trovi la giusta soluzione. La competenza in entrambi i campi è condizione irrinunciabile se si vuol mostrare la propria classe, giacché in Internet i navigatori grafici hanno già una logica ipertestuale che consente di passare da un soggetto all’altro senza soluzione di continuità. La struttura dei documenti esposti nella vetrina dell’azienda deve essere perciò analizzata in funzione del pubblico dal quale intende essere raggiunta, in modo che il suo messaggio sia sem- plice, inattaccabile, immediato ed efficace. Occorre poi che essa si adoperi affinché la sua vetrina abbia i giusti snodi e gli eventuali agganci con database vicini e lontani; quelli lontani sono spesso ben organizzati e documentati, rintracciabili ed accessibili. Se questi database sono complementari o in sintonia con il settore dell’azienda meritano di essere considerati sia per cercare sia per ricevere. Per raggiungere i propri obiettivi un’azienda dovrà attuare, da sola o con l’aiuto di qualcuno veramente preparato, una vera e propria strategia di comunicazione che può essere focalizzata in tre azioni. Esistono innanzitutto in Internet dei siti ove sono raccolti i dati base che identificano le informazioni messe liberamente in linea da qualunque soggetto. Questi dati possono essere raggiunti nel loro sito tramite una parola chiave. Se il potenziale cliente dell’azienda, che si suppone si occupi di condizionamento, cerca informazioni proprio su questa disciplina, può tro- vare automaticamente gli agganci necessari semplicemente digitando la parola “conditioning”. E’, quindi, indispensabile che l’azienda faccia inserire i propri indirizzi in tutti i possibili siti ove i suoi potenziali clienti potrebbero andarli a cercare. In secondo luogo può chiedere ai suoi “vicini” (da intendere nel senso più ampio del termine) di indicare nelle loro home page i suoi indirizzi in cambio dell’inserimento dei loro nella sua vetrina. Attuate queste prime due azioni, la terza ne è un’automatica conseguenza. Il potenziale clien- te potrà puntare direttamente sulla vetrina dell’azienda, perché, conoscendo con quale meticolo- sità e competenza essa aveva curato le precedenti azioni, saprà che qui potrà trovare gli agganci ipertestuali per tutte le informazioni che lo interessano senza essere costretto a navigare alla cieca in giro per i database di tutto il mondo perdendo tempo e danaro. La vetrina dell’azienda dovrà quindi essere attraente, inattaccabile, facilmente raggiun- gibile, utile a chi opera nello stesso settore e soprattutto capace di comunicare in modo efficace al suo pubblico quanto gli serve a complemento, è ovvio, di ciò che l’azienda produce o che altre imprese o soggetti, a seconda dei casi, studiano, scrivono, progettano, fabbricano, realizzano o distribuiscono. Dunque, in termini generali, la parola chiave da coltivare è “armonia”, vale a dire la capacità di organizzare il coordinamento fra relativamente piccole unità produttive e di servizio puntando sugli apporti esterni all’azienda, rinunciando anche, se necessario, alla superba autosufficienza d’una volta, eliminando i tempi passivi o morti per migliorare i livelli della velocità operativa. L’economia di scala, fino a pochi anni fa criterio sovrano, ha perso la sua importanza. Bisogna infatti produrre più in fretta e con una struttura snella altrimenti si va fuori mercato. Prendendo, poi, in esame analiticamente il processo di informatizzazione dell’industria ita- liana15 , occorre notare che negli anni della recessione gli investimenti sono stati fortemente ridotti. Tuttavia, l’industria costituisce ancora uno dei mercati al cui interno l’It può trovare ampi spazi di crescita.
  • 19. 44 Il processo di informatizzazione che si riscontra nei Paesi maggiormente industrializzati non ha ancora del tutto attecchito nel mondo delle imprese italiane a causa proprio della sua caratte- ristica peculiare: un mondo dominato da poche grandi imprese, ma la cui ossatura è formata da una miriade di piccole o piccolissime realtà imprenditoriali. Suddividendo l’universo delle imprese in manifatturiere e di processo, nel 1994 della prima (che comprende industria meccanica, aerospaziale, auto e altri mezzi di trasporto, elettronica- elettromeccanica) facevano parte circa 450mila unità, di cui, secondo un’indagine di Teknibank realizzata per conto di Smau, solo il 21% era attrezzata con strumenti informatici. Al contrario di quelle medio-grandi, già da tempo informatizzate, la gran parte delle piccole imprese, quelle al di sotto dei dieci addetti - oltre 410mila, il 92% del totale - devono ancora essere interessate, in una percentuale molto elevata (oltre l’80%), ai processi di prima informatizzazione. Una situazione sicuramente non all’avanguardia, laddove si considerino le esigenze della produzione odierna, che richiede valori elevati di flessibilità, un continuo incremento della produttività, una riduzione del time to market (ovvero la riduzione al minimo del tempo che intercorre fra l’ideazione, la progettazione e la sperimentazione di un nuovo prodotto e il suo lancio sul mercato). Tutte esigenze che richiedono ovviamente un’attenta gestione sia amministrativa (acquisizione e gestione degli ordini), sia industriale con il supporto di strutture organizzative, snelle e flessibili. La penetrazione dell’It (misurata in percentuale di stazioni di lavoro per colletto bianco) nel comparto manifatturiero dovrebbe passare dal 31,6% del 1990 al 55,9% nel 2000, andando a toccare soprattutto le aree relative alla gestione dell’amministrazione, delle risorse umane, del- l’innovazione dei prodotti e dei processi operativi logistici e di produzione. Un andamento analogo si osserverà nell’industria di processo (gomma, carta-legno, farmaceu- tica e cosmetica, metallurgia, siderurgia, eccetera), composta da oltre 312mila imprese, di cui più di 261mila al di sotto dei dieci addetti; anche qui la percentuale di quelle informatizzate è ancora molto bassa: solo il 29 per cento. Il trend di crescita sarà pari al 4,3% annuo, e lo sviluppo sarà favorito dall’avvento di nuovi strumenti software sempre più user fiendly e flessibili, da utilizzare in ambientidistribuitiperfacilitarelacondivisibilitàdeidatidiprogettotralediversefunzioniaziendali. Nell’area dell’automazione della produzione, infine, è previsto un tasso di crescita pari al 40% annuo fino al Duemila ed è un dato indicativo sulla possibile ripresa degli investimenti nella cosiddetta fabbrica automatica. Il comparto dell’abbigliamento e calzature sarà quello maggiormente interessato e al suo interno verrà toccata soprattutto l’area relativa alla gestione dei processi operativi logistici e di produzione. In valori assoluti, l’Information technology nell’industria italiana ha raggiunto nel 1994 i 4.173 miliardi di lire. L’incremento previsto fino al 2000, in ragione del 2,7% circa annuo, dovrebbe portare il fatturato a un totale di 4.900 miliardi di lire. In ogni caso, dopo la frenata del ’94 quando le imprese hanno preferito investire in macchinari e attrezzature per incrementare la produttività, il 1995 dovrebbe essere stato l’anno della ripresa, grazie alla favorevole congiun- tura internazionale e alla necessità di procedere a investimenti consistenti per ottenere l’integra- zione e la condivisione dei dati da parte dell’utenza. Osservando i vari comparti industriali, la meccanica assorbe circa il 48% del mercato dell’It e ha una potenzialità di crescita del 2,4% all’anno, quindi superiore alla media. Di poi circa il 3,3% annuo dovrebbe essere la crescita nel settore elettromeccanico-elettronico mentre in linea con la media resta l’incremento annuale previsto per auto. L’Industria di processo dovrebbe segnare invece gli incrementi più interessanti in termini di investimenti in informatica. Se l’indu- stria estrattiva farà segnare un modesto incremento il tessile-abbigliamento e la lavorazione dei minerali non metalliferi presenteranno una crescita annuale del 4,5 per cento.
  • 20. 45 Il settore in cui si prevede, comunque, una maggiore diffusione degli strumenti informatici sarà quello delle imprese con meno di cento addetti; in esso, infatti, si assisterà a una crescita del 4% annuo contro 1,5% e 1,8% circa rispettivamente della media e grande impresa. Le aree inte- ressate saranno quella dell’innovazione prodotti-produzione. Per aiutare le imprese italiane a superare la scarsa innovazione, che costituisce uno dei freni principali alla loro competitività reale sui mercati internazionali e che insieme alle difficoltà di accesso al credito ed ai vincoli della politica fiscale rappresenta gli elementi critici del nostro tessuto industriale, sta per nascere un’apposita agenzia. A gestirla sarà il Mediocredito centrale d’accordo con il ministero dell’Industria e insieme ad altri due qualificati protagonisti: l’Union- camere e l’Enea. Un protocollo d’intesa è stato già siglato. Il suo compito, che si rifarà al modello adottato in Francia, sarà infatti quello di trasferire immediatamente il necessario know how organizzativo e finanziario alle imprese che ne chiede- ranno, gratuitamente, la consulenza e che saranno così in grado di orientarsi meglio per il reperimento delle risorse finanziarie sia nella palude degli incentivi pubblici sia tra gli strumenti (scarsi, per la verità) messi a disposizione dal mondo del credito. Ciò anche in considerazione del fatto che il 70% degli investimenti effettuati fino ad oggi è derivato dall’autofinanziamento con un ricorso, dunque, modesto sia al leasing che al credito a medio e lungo periodo a tasso agevolato. Inoltre, dal 10 gennaio 1996 è entrato in funzione in Italia il registro telematico delle imprese, sistema di informazione legale di impresa che è quanto di più avanzato oggi esista in Europa, affidato alle Camere anziché alle cancelleria dei tribunali, che apre anche una nuova era per l’informatizzazione telematica del registro da parte delle Camere di Commercio. Ciò presenta numerosi vantaggi non solo per il mercato unico ma anche per le imprese e la legalità. Non ci sarà Mercato unico senza un sistema unico efficace ed efficiente di informazione economica dotata di valore legale per tutti gli imprenditori e per tutti i cittadini dell’Europa. Inoltre, il linguaggio convenzionale del computer, in algoritmo, sarà in grado di superare anche le barriere dei linguaggi nazionali sensitivi-intuitivi. Essere cittadino dell’Europa di domani signi- fica avere e dare informazioni, nel linguaggio informatico, in tempi reali per tutta l’Europa. Le Camere di commercio italiane debbono fare del nostro registro un modello per l’Europa; questa è la sfida che, dopo il Parlamento, la cultura giudica e la società affida loro nella prospettiva della realizzazione di un Registro europeo delle imprese (Business european registry). Di poi, c’è da notare che la nuova pubblicità fondata su un registro delle imprese telematico è full, redy, soft. La nuova pubblicità è full, nel senso che è completa e organica perché a differenza di quanto era previsto dal codice civile del ’42, essa riguarda oggi e ha per oggetto atti e fatti relativi a tutti gli imprenditori, sia piccoli sia grandi, sia agricoli sia commerciali, sia pubblici sia privati, sia individuali sia collettivi (anche le società semplici sono soggette a iscrizione nel registro delle imprese). Questo tipo di pubblicità, però, non mira solo a incidere sulla situazione giuridica soggetta a pubblicità, in vista della conclusione da parte dell’imprenditore di contratti con i terzi, ma è anche orientata a realizzare l’informazione d’impresa globale del mercato in sé e per sé poiché nella società di domani dell’informazione è presa in considerazione e disciplinata dall’or- dinamento sul piano economico-sostanziale l’informazione d’impresa in sé per sé, a prescindere dall’utilizzo per la conclusione di contratti validi ed efficaci sul piano giuridico-formale e, per- tanto, l’informazione in sé da bene economico diventa bene giuridico. Questo è il valore pregnante dell’articolo 8 della legge 1993 n. 580 là dove dice che “il nuovo registro delle imprese mira ad assicurare completezza e organicità di pubblicità per tutte le imprese soggette a iscrizione garan- tendo la tempestività dell’informazione su tutto il territorio nazionale”. La nuova pubblicità è, poi, redy, nel senso che essa è portable e distribuita e non querable, in quanto porta la pubblicità a domicilio dell’utente su tutto il territorio nazionale (e, poi, euro- peo), con modalità telematiche e in tempi reali (online), laddove prima era il cittadino che doveva salire al “palazzo” di giustizia per consultare il registro cartaceo.
  • 21. 46 Infine la nuova pubblicità è soft, nel senso che permette il trattamento e l’elaborazione dei dati soggetti a pubblicità e, quindi, consente una informazione in breve, multipla rispetto alla informazione in ingresso nel registro. Inoltre, nell’ambito di questa trattazione bisogna conside- rare che tutti i Paesi a economia di mercato pongono tra i propri obiettivi la lotta alla illegalità. Nel perseguire tale obiettivo è possibile edificare due modelli di società: la società della colpa e della repressione da un lato; la società della trasparenza e della prevenzione dall’altro. La prima è la società basata sul segreto; la seconda è quella fondata sull’informazione. Se si vuole uscire dall’incubo della società della colpa, che quasi sempre si risolve in un impossibile processo alla storia, non v’è che da imboccare, senza esitazione, la strada della trasparenza, per far si che il Paese entri, in Europa, nella logica della società dello sviluppo, fondato sulla infor- mazione globale. L’imprenditore che non vuole incontrare sulla strada il giudice penale non deve avere segreti per il giudice del registro delle imprese. E’ questo uno dei passi necessari per uscire definitivamente da tangetopoli e per entrare in un’Europa di serie A. Per ciò che concerne, poi, il lavoro senza dubbio esso vive una fase nuova in cui i mutamenti conseguenti allo sviluppo tecnologico, ai processi di liberalizzazione e alla globalizzazione dei mercati sono i parametri vincolanti di una necessaria evoluzione nelle strategie delle aziende chiamate ad adeguare con rapidità ed efficacia i propri assetti organizzativi. Le ristrutturazioni aziendali sono un cambiamento culturale ancor prima che tecnico e organizzativo. Nelle aziende di servizi, l’immaterialità del prodotto, e dunque la centralità del rapporto con il cliente, impongono di rinnovare costantemente un vero e proprio patto tra impresa e lavoratori improntato alla collaborazione e alla tensione verso obiettivi conosciuti e condivisi. E’ la sfida più difficile ma è anche la più utile per mantenere l’impresa efficace e redditizia. Per favorire però il passaggio a un sistema di flessibilità, gli esperti, le istituzioni e le parti sociali sono impegnate a costruire una visione più moderna del lavoro che cambia, orientandolo verso nuove forme di decentramento, di differenziazione, di variabilità dei salari, di atipicità delle prestazioni. Ciò lo impone e lo consente anche il nuovo rapporto tra tecnologia e lavoro che non necessariamente deve essere considerato in termini di perdita di posti soprattutto se le tecno- logie dell’informazione produrranno gli effetti moltiplicativi di cui sono potenzialmente portatri- ci. Se ciò è vero in generale, vale ancora di più per le aziende di servizio, specie per quelle chiamate alla competizione spinta e ormai prossime ad affrontare la completa liberalizzazione. In linea con tale orientamento gli accordi da siglare con i sindacati di categoria devono pro- porsi di gestire le nuove esigenze organizzative, produttive, commerciali e concorrenziali del gestore con soluzioni che minimizzino i disagi sociali, senza alcun onere per la collettività. De- vono, inoltre, essere sviluppati processi di riconversione e reimpiego coerenti con il progetto di valorizzazione delle risorse umane e professionali. Naturalmente, nell’ambito di questo processo di cambiamento, le esigenze legate alle nuove strategie di diversificazione di business richiedono la realizzazione di un costante adeguamento del mix professionale che continuerà a impegnare l’azienda nell’acquisizione mirata di risorse pregiate presenti sul mercato del lavoro. Flessibilità organizzativa, utilizzo ottimale dei servizi di telecomunicazioni e centralità delle risorse umane fanno da sfondo alle più innovative soluzioni individuate dall’accordo. Tra queste spicca sicuramente il lavoro a distanza, che consentirà a molti dipendenti di svolgere la propria attività lavorativa o in centri dislocati anche a centinaia di chilometri rispetto alle strutture centrali “remotizzazione di unità organizzativa”, o presso il pro- prio domicilio (“telelavoro domiciliare”). Tutto ciò, oltre ad attenuare i disagi individuali correlati alle mobilità necessarie per far fronte alla riorganizzazione, rappresenta un emblematico esem- pio di come sia possibile sviluppare soluzioni evolute e tecnologicamente avanzate in grado di schiudere nuovi orizzonti nelle modalità di espletamento della prestazione lavorativa dedicando massima attenzione al clima sociale interno all’azienda.
  • 22. 47 Quando la maggior parte del lavoro ha un contenuto intellettuale diviene più facile trasporta- re il prodotto del lavoro. Salta l’unità di tempo e di spazio e la localizzazione del lavoratore, rispetto all’ufficio o alla fabbrica da cui gerarchicamente dipende, diviene una variabile seconda- ria; tale evoluzione rappresenta una grande sfida culturale e manageriale. Lavorare a distanza significa, per il manager, coordinare a distanza: le politiche, gli obiettivi, i risultati costituiscono il paradigma su cui si basa il nuovo committment tra responsabili e collaboratori. Tutto ciò, però, non deve avvenire in un quadro normativo che presenta ancora rigidità e vincoli assolutamente superati. Potrebbe, invece, essere adottato, ad esempio, un accordo in base al quale i telelavoratori restano lavoratori dipendenti e conservano quindi tutti i diritti del lavora- tore subordinato compresi quelli sindacali e quelli della sicurezza. La retribuzione viene comple- tamente sganciata dall’orario di lavoro e legata alla produttività secondo il principio: più lavoro più salario. Base di calcolo per la retribuzione sono la produttività media giornaliera dei dipen- denti (tradotta in punti) che lavorano in azienda nei tre mesi precedenti a quello in corso e la retribuzione base contrattuale. Dividendo il salario giornaliero per i punti di produttività media si ottiene un valore unitario di retribuzione che va poi moltiplicato per i punti di produttività effet- tivamente realizzati dal “telelavoratore”. Inoltre, le aziende devono puntare, fin da oggi, su quattro iniziative. Devono, cioè, innanzitutto definire una strategia generale sul tema; in secondo luogo mettere in campo una infrastruttura di rete in grado di sfruttare il telecommuting secondo i necessari requisiti di sicurezza, compatibili- tà applicativa, produttività; poi, devono diffondere in azienda linee guida su forme di telecom- muting accettabili; infine, vanno creati schemi di incentivazione e nuove regole di lavoro per connettere il telecommuting a obiettivi di produttività e qualità. Inoltre, secondo uno studio della Comunità Europea i telelavoratori in Europa sono circa 10 milioni. Francia, Gran Bretagna e Germania sono i Paesi in cui tale fenomeno è più sviluppato. In Gran Bretagna, poi, è addirittura utilizzato come integratore economico e sociale nelle regioni più povere. In Italia, tuttavia, questa formula è ancora in via sperimentale16 . Cinque accordi aziendali sono stati siglati nel 1995 nel nostro Paese; di questi uno riguarda Telecom Italia e prevede una sperimentazione biennale di telelavoro domiciliare che nella prima fase interesserà 200 “volontari”. E’partito, poi, nel maggio dello scorso anno al consorzio Tecno- polis di Bari, un progetto di sei mesi di telelavoro individuale o di gruppo per 30 donne. Inoltre “Roma Tradell”, ovvero traffic decongestion, è un programma finanziato dalla Ue che coinvol- gerà nei primi mesi del 1996 un campione di un centinaio di dipendenti del Comune. Il Campido- glio collabora anche con il ministero dei Trasporti e l’Autorità per l’informatica pubblica a un piano per creare centri di telelavoro per i dipendenti della pubblica amministrazione centrale e con il pro- getto Mirti. Centri sperimentali di telelavoro saranno, infine, realizzati da Stet, Ibm e Olivetti e altri partner ai limiti della cintura urbana per ospitare professionisti, piccole imprese, studenti. In Germania è già avanzato invece l’utilizzo delle applicazioni multimediali tra l’utenza delle grandi industrie e attraverso tecnologie già mature della comunicazione multimediale si stima che il 20% dei lavoratori tedeschi potrebbero già ora prestare la propria opera da casa. Altro contributo della telematica al mondo del lavoro ha determinato l’evoluzione del processo formativo e del recupero al lavoro che nei Paesi dell’Unione Europea corre sul programma comuni- tario Leonardo da Vinci nelle linee del progetto Teleformazione, presentato dall’Enea al ministero del Lavoro. Rai ed Enfap (Ente nazionale per la formazione e l’addestramento professionale) insie- me agli enti rappresentativi Forem, Isefoc ed Europliroforissi di Grecia, Spagna e Portogallo sono i partner dell’Ente per l’energia e l’ambiente nell’iniziativa che dovrebbe concentrare circa 12 miliar- di in totale se sommata al progetto Adapt che ne rappresenta la seconda fase di sviluppo. Attraverso il programma transnazionale Leonardo si tratta di mettere a punto un centro pilota di teleformazione e orientamento, indirizzato ai soggetti interessati da limitazioni motorie, sensoriali
  • 23. 48 o mentali che potrebbero trarre giovamento dall’utilizzo di software multimediali, strumenti di comunicazione e accesso alle banche dati via telefono e sistemi di videoconferenza, nell’ottica di un processo formativo e di recupero al lavoro. Il centro sarebbe attrezzato sia per l’accesso diretto sia remoto e concepito come struttura di riferimento sul territorio collegata organicamente anche con le altre strutture sociali per la formazione e l’avviamento al lavoro dei disabili. Il tutto ha previsto la definizione degli strumenti didattici necessari che dai filmati vanno fino agli strumenti informatici per l’elaborazione testuale e grafica, i prodotti multimediali e quelli ipertestuali. Si tratta di sviluppare risposte concrete alle diverse necessità di ausilio tecnologico in relazio- ne ai vari tipi di disabilità e di abbattere eventuali barriere di comunicazione, dai servizi alle interfacce, passando attraverso la traduzione di testi in messaggi vocali per non vedenti e viceversa per gli audiolesi, fino agli strumenti di telecomunicazione, ovvero modem telefonici, software di comunicazione, apparecchiature per teleconferenza. Dato il particolare orientamento del centro, diventano inoltre necessari supporti culturali e funzionali che vanno dalle biblioteche locali a quelle esterne con accesso remoto, dalle banche dati locali e distanti dai servizi di informazione e orientamento oltre che ai servizi di valutazione delle singole disabilità e ausili conseguenti. Il prototipo del centro pilota richiede un investimento di 800 milioni e il centro di tele-education a livello europeo non si rivolge esclusivamente ai disabili: è destinato anche alla preparazione di corsi di formazione professionali multimediali nel settore conservazione e restauro dei beni cul- turali e nell’ambito della sicurezza in ambiente di lavoro come da direttiva Cee 391/89. Per i suoi contenuti il progetto si integra in un ampio programma di formazione avviato recentemente dal- l’Enea sulla base dei risultati raggiunti nei settori tecnologia, ambiente, energia e tutto quanto concerne le conseguenze dello sfruttamento dei nuovi mezzi tecnologici. In particolare, il progetto Leonardo ricerca nuovi modelli formativi in un confronto comuni- tario e in un’ottica di cooperazione a seguito della possibilità di portare la formazione là dove necessario e, quindi, di centralizzare l’educazione sull’utente e sugli aspetti di interattività che derivano dall’utilizzo massiccio delle tecnologie a favore di soggetti svantaggiati. Naturale evoluzione di questo progetto è il successivo Integra Module, presentato dall’Enea al ministero del Lavoro nell’ambito dell’iniziativa comunitaria Adapt, per la creazione di una rete multifunzionale per l’informazione, la formazione, la consulenza e il follow-up alle piccole e medie imprese. In questo caso si aggiungono all’elenco dei partner coinvolti la Federazione Italiana Dottori Agronomi e la Alenia Spazio e vi partecipa, inoltre, l’Osservatorio sindacale della regione Sardegna con un progetto regionale che vede le stesse partecipazioni transnazionali. A livello comunitario si aggiungono, poi, la Fondaction André Renard del Belgio, l’olandese Intrans e la finlandese University of Lapland. La partecipazione della Rai garantisce la continuità e l’integrazione con i diversi mezzi di comunicazione, compreso quello satellitare. Due progetti, dunque, rivolti l’uno a creare un centro pilota di tele-formazione e l’altro successivamente la rete logica annessa. Adapt si prefigge, inoltre, lo scopo di supportare le Pmi nella dimensione europea con un apposito sistema che richiede una rete di strutture fisiche capaci di realizzare una collaborazione concreta fra Pmi, organismi di ricerca, sviluppo e trasfe- rimento di tecnologie e istituti di formazione, università, enti locali, soggetti pubblici e privati a livello delle singole nazioni e comunitario. Azioni formative e relativi servizi di supporto sono mirati ad acquisire skills professionali e competenze per orientare le strategie aziendali in ordine alla sicurezza degli impianti, della pro- duzione e dei lavoratori, oltre che a livello di qualità e certificazione di processi e prodotti e alle applicazioni nei processi produttivi di tecnologie informatiche ad elevata prestazione quali il calcolo parallelo, fino alla commercializzazione e al marketing. Il tutto verso la costruzione di quell’auspicato sistema di formazione continua per il Paese in risposta ai problemi dati dall’evo- luzione delle attività economiche in relazione alle tecnologie avanzate.
  • 24. 49 Per quanto riguarda il credito e finanza c’è da evidenziare che nel grande cambiamento in atto determinato dalla globalizzazione dell’economia e dalla corsa tecnologica che conduce alla società dell’informazione le banche devono sostenere un doppio ruolo: vittime e artefici della trasformazione. Vittime in quanto sono costrette a sostenere i costi del cambiamento come tutte le altre aziende, artefici perché spetta al sistema del credito finanziare il cambiamento di tutte le altre aziende. La virtualizzazione della banca passa attraverso la fornitura di prodotti e servizi finanziari che non sono più rilasciati solo attraverso i canali tradizionali. Questi nuovi canali di distribuzione sono da identificare, da dimensionare correttamente e richiedono una grande atten- zione da parte degli istituti di credito, anche per la taratura delle dimensioni critiche. In caso contrario le banche rischiano di fare investimenti sproporzionati al beneficio che ne deriva. Tut- tavia, non farli può significare perdere il contatto con la clientela e, quindi, non essere più com- petitivi17 . Infatti, una profonda ristrutturazione dei canali distributivi attraverso uno spinto utiliz- zo delle nuove tecnologie si delinea come la vera frontiera per una ripresa del sistema bancario italiano che deve fronteggiare una concorrenza estera che ha già imboccato questa strada. Ciò soprattutto in quanto da alcuni anni, rispetto alla concorrenza internazionale, la struttura del credito italiana soffre di una grave incidenza dei costi generali18 . Anche le fusioni si sono rese indispensabili per far fronte alla crescente concorrenza prove- niente da operatori e strumenti finanziari alternativi e per la lentezza con la quale le banche rispondono alla necessità di adeguare la tecnologia elettronica al consumo. Fra i nuovi concor- renti vi sono i fondi comuni di investimento ma anche le attività di carta di credito. Dunque, con una maggiore attenzione alla qualità e alle richieste del “consumatore” di servi- zi bancari, i canali da sviluppare saranno in futuro gli Atm evoluti (dove sarà possibile non soltanto ritirare denaro, ma anche pagare bollette, effettuare bonifici, comprare titoli), i sistemi di pagamento Pos, le applicazioni di phone banking e le filiali bancarie virtuali. A tutt’oggi, però, addirittura il 40,35% delle nuove applicazioni in banca è dovuto a leggi e regolamenti. Seguono le esigenze di efficienza interna con il 33,05% dei nuovi interventi mentre agli investimenti per esigenze di mercato rimane il 26,6 per cento19 . Ciò non senza spunti polemici che talora affiorano e che sono rivolti ai fornitori di software che sembrano non essersi accorti dell’evoluzione dei bisogni della domanda. A fronte delle continue turbolenze dei mercati che mettono a dura prova l’area finanza delle banche, l’offerta di applicazioni continua a privilegiare i problemi ammini- strativo-contabili riguardanti settori convenzionali con il risultato che le imprese finanziarie alla ricerca di supporti per attività innovative ad alto valore aggiunto si vedono costrette ad approvvi- gionarsi all’estero o a scegliere lo sviluppo in house. Nelle banche sono state installate le seguenti unità nelle varie aree: Personal Computer nel 1992 210mila, nel 1993 280mila, nel 1994 324mila; Mini e Workstation nel 1992 18mila, nel 1993 23.900, nel 1994 25mila; Mainfrane (Grandi Elaboratori) nel 1992 990, nel 1993 995, nel 1994 100020 . Inoltre, il numero medio di canali per classi dimensionali di banche al 1994 è: per il Pos di circa 4000 nelle maggiori, di circa 1500 nelle grandi, di circa 1000 nelle medie e di circa 300 nelle piccole; per il Remote Banking è di circa 1500 nelle maggiori e poco al di sotto nelle grandi, di circa 250 nelle medie e di circa 50 nelle piccole; per l’Atm è di 500 circa nelle maggio- ri, circa 100 nelle grandi e nelle medie mentre è bassissimo delle piccole. Le previsioni delle necessità informative in banca sono di crescita accentuata nel comparto Management e soprattutto Sales and Marketing; di crescita moderata nel Front office mentre in lieve crescita nel Back office21 . Si dovrebbe, dunque, valutare altrettanto bene in termini monetari anche i vantaggi che deri- vano dagli investimenti in tecnologie informatiche. Questo cambiamento di atteggiamento po- trebbe aumentare la spesa e ottenere migliori risultati dagli investimenti. Un’impresa che, senza dubbio, non è semplice in quanto manca una cultura della misurazione dei vantaggi che bisogna creare gradualmente e che col tempo si arricchirà di metodi e strumenti22 .
  • 25. 50 Vale per tutti il richiamo fatto dal Governatore della Banca d’Italia proprio nelle sue Conclu- sioni, laddove rileva come le banche italiane stentino a sviluppare nuovi servizi (negli ultimi tre anni le commissioni percepite hanno rappresentato infatti solo il 9% del margine d’intermediazione, esattamente come dieci anni prima). Occorre, insomma, saper stabilire un’equazione di identità tra progresso tecnologico e svi- luppo di redditività che parta da considerazioni microeconomiche e si dilati alla società civile. Vi è, pertanto, la necessità di partire in fretta a misurare con precisione i benefici derivanti dagli investimenti in It. Per il riallineamento occorre, poi, una pianificazione del business e degli investimenti con un respiro di medio periodo. Oggi, il 47% delle banche pianifica gli investimenti in It entro un anno, il 33% pensa oltre l’anno, mentre il 20% non pianifica affatto. Un esempio di pianificazione su medio periodo è la Business process reengineering (Bpr) della Cariplo23 .Un progetto che si sta sviluppando in cinque anni e che ha richiesto un investi- mento di qualche centinaio di miliardi. La Bpr, pertanto, partita da un anno e mezzo, sta proce- dendo per gradi attraverso una segmentazione in diversi progetti. Uno di questi è il Phone banking, recentemente avviato. Il nuovo sistema informativo Cariplo, inoltre, è stato voluto e pensato dal management aziendale, che ha stimolato i responsabili Edp spingendo verso un’architettura client/server in grado di far circolare meglio le informazioni all’interno dell’istituto. D’altro canto, però, bisogna porre molta attenzione alle recenti attività sviluppate con l’ausilio di nuove tecnologie. Al di là dell’entusiasmo che può generare il fatto che esiste la tecnologia per strutturare un sistema di nuovi servizi, occorre sempre valutare che la risposta non viene dalla strumentazione ma dall’analisi del problema e delle sequenze operative attraverso le quali da una parte l’operatore e dall’altra il cliente riescono ad interagire nel migliore dei modi24 . Addentrandoci nel campo dei servizi, poi, vi è la banca telefonica, tema oggi di grandis- simo interesse. Un’esperienza effettiva di banca telefonica è della “OpenBank”, nuova filiale virtuale del gruppo Santander, prima banca di Spagna. Ci sono vari motivi che giustificano la necessità di una banca” diretta”, sul modello della First Direct inglese. Primo tra tutti, poter dare un’eccellente qualità di servizio al cliente. Altri motivi sono la riduzione dei costi, degli sportelli, la definizione dei servizi, un sistema di pricing differenziato per canali di distribuzione, un’informazione più omogenea su prodotti e servizi25 . L’OpenBank spagnola ha vissuto una fase di preparazione e di collaudo di 15 mesi, è stata lanciata a livello nazionale il primo giugno 1995 e ha come obiettivo quello di diventare profittevole entro quattro o cinque anni. Si rivolge a un cliente di classe media, urbano, con età compresa tra i 25 e i 55 anni, laurea universitaria e un profilo finanziario sofisticato (più di cinque prodotti e un uso frequente degli sportelli automatici). Presentata come “qualcosa di più di un servizio telefonico bancario”, OpenBank rappresenta un nuovo modello di banca in cui non esistono sportelli, i costi sono ottimizzati, il rapporto con il cliente è diretto e continuo (24 ore al giorno, 365 giorni l’anno), i tassi e le commissioni sono altamente competitivi sul merca- to. Vincere la resistenza al cambiamento della clientela è un fatto che OpenBank ha dovuto affrontare cercando di superare tutte le barriere che questo nuovo modo di fare banca presenta: prima di tutto la mancanza di un contatto umano con chi fornisce il servizio, l’intangibilità fisica della banca, il timore e la mancanza di fiducia. Sul fronte dei servizi ed anche dell’organizzazione interna, nel mercato interbancario, dallo svi- luppo del mercato telematico dei depositi interbancari al disegno di una nuova architettura comples- siva dei pagamenti interbancari con un importante raccordo al sistema di regolamento lordo europeo (Target), il fil rouge è sempre costituito dall’innovazione tecnologica, un tema che trova crescenti livelli di sensibilità nel mondo bancario sotto gli auspici e gli stimoli della Banca Centrale.
  • 26. 51 Vi è, ad esempio, il piano Cipa-Abi/Bankitalia varato per migliorare l’efficienza del sistema con l’aiuto dell’Ict. Il piano è diviso tra i progetti di iniziativa della Banca d’Italia e quelli di Cipa Abi (Conven- zione interbancaria per l’automazione-Associazione bancaria italiana). Tra quelli di iniziativa Bankitalia, il principale riguarda i bonifici di importi superiori ai 500 milioni e quelli di conto estero di qualunque importo. Per migliorare l’efficienza di questo servizio sta per essere avviato un intervento per consentire il pagamento in compensazione. Nel 1997 partirà, invece, il regola- mento in base lorda (gross settlement) che prevede il pagamento di ogni singola operazione, nei conti intrattenuti dalle singole banche presso Banca d’Italia, contestualmente all’ordine del cliente. Con questa nuova procedura il pagamento sarà definitivo in pochi minuti. Arrivare alla definitività dei pagamenti interbancari in tempi ristretti è obiettivo comune sia degli interventi promossi da Bankitalia sia di quelli di iniziativa Cipa-Abi: e sembra che il tra- guardo sia davvero vicino. I progetti realizzati finora hanno fatto confluire nel sistema di com- pensazione, attraverso applicazioni interbancarie specializzate, una rilevante massa di pagamen- ti in precedenza trattati nei conti di corrispondenza che le banche intrattengono reciprocamente. Questo afflusso ha portato l’ammontare regolato in compensazione a un valore che a fine 1994 aveva superato i 48milioni di miliardi di lire, passando da 6 a 31 volte il valore del Pil degli ultimi cinque anni. Quanto ai progetti di iniziativa Cipa-Abi, essi si dividono in tre filoni principali: quelli inter- bancari; quelli sui centri applicativi istituzionali e gli interventi sulla struttura tecnica. Questi ultimi prevedono il potenziamento della Rete nazionale interbancaria (Rni) attraverso due pro- getti: l’Eas, sistema di sicurezza nello scambio di informazioni tra istituti di credito, e l’Smts, che sta già gradualmente migliorando la sicurezza, la potenza e l’affidabilità della Rete. Gli interven- ti sui centri applicativi istituzionali prevedono invece che, entro la fine dell’anno, Monte Titoli (che gestisce i pagamenti degli interessi sulle obbligazioni e dei dividendi azionari) regoli presso la Banca d’Italia le operazioni che gestisce mentre l’Ufficio italiano cambi dovrebbe iniziare in questo periodo a fornire, attraverso la Rni, l’anagrafe titoli operativa: una serie di informazioni sui titoli che oggi non sono automatizzate. Ci sono infine i progetti interbancari cui appartengono i bonifici di piccolo importo, ma anche la procedura Incassi commerciali che prevede l’inserimento in rete, entro questo anno, dei Rid scaduti. E, in quest’ottica, almeno una brevissima citazione va spesa per l’attività svolta da alcuni gruppi di banche per l’avvio dei sistemi di compensazione internazionale multivalutari, Multinet ed Echo. Di grande interesse è, poi, il progetto del pagamento telematico dei tributi la cui sperimenta- zione è partita quest’anno e la cui realizzazione graduale sarà ultimata nel 1998. Esso ha come protagonisti, oltre alle banche, il ministero delle Finanze, l’Abi, la Sogei e l’Ascotributi. Il progetto ha individuato due strade percorribili: la prima è quella dell’utilizzo dei servizi di home banking offerti dagli istituti di credito che consistono nella possibilità, per gli utenti banca- ri, di collegarsi direttamente alla banca tramite un Pc e un modem. In questo ambito, l’introdu- zione del pagamento dei tributi consisterà in un allargamento delle potenzialità, in base a speci- fici standard di sicurezza, del prodotto già esistente. In definitiva, quindi, si tratterà di un servizio rivolto più ai professionisti e ai centri di assistenza che ai privati. La seconda è quella dell’utilizzo del Bancomat e degli sportelli automatizzati delle banche (Atm) per effettuare i pagamenti fiscali; in tal modo, i correntisti potranno, per esempio, pagare l’Irpef o la tassa salute seguendo un percorso guidato che apparirà sullo schermo della postazio- ne Atm. Mentre su quest’ultima possibilità non esiste ancora un documento conclusivo, sul fron- te dell’home banking tutto è pronto per iniziare le sperimentazioni pratiche, che dovrebbero aver preso il via già all’inizio del ’96 con alcuni istituti pilota, tra cui la Banca popolare di Ancona.
  • 27. 52 Il sistema telematico sarà abilitato per le deleghe di pagamento (Irpeg, Ilor, Irpef, ritenute, Iva, e cosi via) conferite da soggetti titolari di conto fiscale e le deleghe (Irpef, Ilor, contributo al Servizio sanitario nazionale, e cosi via) conferite da soggetti non titolari di conto fiscale. Inoltre, le tecniche di home banking sono utilizzabili anche per i versamenti diretti ai concessionari. Tra i vantaggi di questo sistema va segnalata la compartecipazione di più istituti di credito: una banca - detta “attiva”- fornirà la connessione telematica; altre - dette “ordinanti”, che sono quelle in cui i contribuenti hanno il conto corrente - eseguiranno i pagamenti sulla base delle deleghe dei cittadini. E’ chiaro che in tal modo basterà che i professionisti abbiano il collegamen- to via home banking mentre i clienti dovranno solo fornire le proprie coordinate bancarie. Non ci sono dubbi che per gli istituti di credito il pagamento telematico dei tributi sia un concentrato di vantaggi. L’eliminazione di una consistente massa di documenti cartacei, la dimi- nuzione dell’affluenza agli sportelli nei giorni di punta, la possibilità di dedicare il personale a mansioni diverse sono i più evidenti. C’è, però, anche un altro aspetto: catturare clienti per i servizi di home banking che, come risultato dall’indagine condotta presso gli istituti, in effetti scarseggiano. Anche le banche che hanno da tempo lanciato i prodotti telematici si ritrovano infatti, nella migliore delle ipotesi, con qualche migliaio di utenti. Ciò mal si concilia con quello che viene individuato come il “futuro auspicabile” degli istituti - alle prese con una redditività in continua diminuzione - cioè quello della banca a distanza. Sul fronte più propriamente interno, inoltre, l’Associazione bancaria italiana (Abi) va in rete o meglio tutti i dati e le informazioni che elabora l’Abi per motivi istituzionali saranno resi disponibili, in italiano e in inglese, per chiunque abbia un terminale collegato con la rete finan- ziaria internazionale Bloomberg, in qualunque parte del mondo. Il servizio con cadenza settimanale offre informazioni sulle scadenze dei titoli di Stato italia- ni, ogni quindici giorni le informazioni sul prime rate dell’Abi, con le comparazioni con altri prime rate a livello internazionale e lo scadenzario/ rendimento medio dei Bot in essere; le attivi- tà dei fondi comuni di investimento sono invece online ogni mese. Sempre mensilmente è disponibile un altro prodotto focalizzato sull’evoluzione congiuntura- le del sistema bancario italiano nonché quelli già oggi reperibili su Bloomberg. Le informazioni disponibili in quest’area vanno dalla raccolta del sistema bancario italiano e delle banche estere alla rischiosità del portafoglio bancario. In quest’area è di particolare interesse il “margine pun- tuale di redditività”. Viene, poi, offerto ogni sei mesi, il Rapporto semestrale sul sistema bancario italiano. In rete c’è anche una la “Abi hot line” che fornisce una tempestiva descrizione di leggi e normative che riguardano il sistema bancario italiano. Di poi, l’associazione bancaria ha deciso di affidare al cyberspazio anche la promozione dei prodotti in rete. Con “Abi flash”, infatti, chiunque abbia un terminale Bloomberg può accedere gratuitamente alle sintesi delle principali notizie diffuse e alle anticipazioni sui prodotti semestrali e mensili nei giorni precedenti la loro uscita. E’chiaro che si tratta di un grande salto di qualità per il sistema bancario. Tutta questa massa di dati, che fino a ieri restava in mano a un centinaio di persone, potrà andare in tempo reale sotto gli occhi di tutti gli operatori che sono interessati a gestire queste informazioni in modo agile e tempe- stivo. Questi potranno disporre di un insieme di strumenti fondamentali per chi lavora in banca, sia per fare pianificazione e budget sul lungo periodo sia per fare tesoreria e attività quotidiana. Un’immediata comprensione dello scatto in agilità che il sistema bancario può avere dal nuovo servizio online è data dalla possibilità di accesso in rete al nuovo prime rate, strumento fondamentale nell’attività bancaria, già due o tre ore dopo che è stato approvato. A livello internazionale, poi, la possibilità di conoscere in modo trasparente i meccanismi e le reazioni dei mercati finanziari italiani rappresenta un indiscutibile aiuto agli investitori stranieri o agli operatori che lavorano sul nostro mercato.