1. PROFESSIONE
Maltrattamento
infantile:
la ricerca
di linee guida
pag. 18
Bollettino dell’OMCeOMI
INFORMAMI
2.2022 ANNO LXXV
Testo unico sulle malattie rare
Una legge di civiltà
360°
pag. 5
INTERVISTA
Incontriamo
Maria Pia Abbracchio,
prorettrice della
Statale di Milano
pag. 33
DIRITTO
Cure ai no vax?
Il commento
del bioeticista
Sandro Spinsanti
pag. 37
2. B INFORMAMI
I telefoni dell’Ordine
Ricordiamo che, ai sensi dell’art. 16 comma 7 D.P.R. 185/2008, sei tenuto a comunicarci il tuo indirizzo di
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modalità di ricevimento
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Collegati con l’Ordine
3. 3 Quando la legge insulta la scienza
TESTO UNICO SULLE MALATTIE RARE,
UNA LEGGE DI CIVILTÀ
5 Accesso alle cure più equo e uniforme in tutta Italia
8 Un punto di partenza, non di arrivo
10 I malati rari in Lombardia: rete, percorsi, opportunità di sviluppo
12 Il ruolo chiave del Centro nazionale malattie rare dell’ISS
13 Giovani medici: situazione nazionale e camici in fuga
16 La violenza contro gli operatori sanitari in pandemia
18 Maltrattamento infantile: prevenzione e intervento precoce
22 Morti con COVID-19 o per COVID-19?
23 Polipillola in prevenzione primaria, meglio se con acido acetilsalicilico
24 Nota bene: nota AIFA 97
25 A Milano gli inquinanti si “toccano con mano”
28 HPV: a che punto siamo
30 Le origini animali di SARS-CoV-2
33 Interdisciplinarietà e competenza scientifica per il futuro della ricerca
37 Curare tutti, a prescindere
40 Una grave patologia tropicale
42 Più strumenti diagnostici ma meno tempo per il confronto
43 1977: Aumentano gli iscritti e la burocrazia
46 Da leggere
48 Da ascoltare
SMARTFAD
I Interazioni fumo-farmaci
II Meglio tardi che mai
IV Certe rinunce sono impossibili
VIII Quando tutto sembra inutile
SOMMARIO
EDITORIALE
360°
PROFESSIONE
L’INTERVISTA
SANITÀ
CLINICOMMEDIA IERI E OGGI
STORIA E STORIE
DIRITTO
4. 2 INFORMAMI
Registrazione al Tribunale di Milano
n° 366 del 14 agosto 1948
Iscritta al Registro degli operatori
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26 novembre 2008).
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Wang Gala, Fabrizio Gervasoni,
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Massafra, Ezio Mastropasqua,
Massimo Parise, Maria Melinda
Perri, Roberto Carlo Rossi, Ugo
Giovanni Tamborini, Martino
Trapani, Maria Teresa Zocchi,
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Jason Franco Ronald Motta Jones,
Andrea Senna, Sandro Siervo
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Presidente
Andrea Senna
Componenti
Gianpaolo Di Donato, Lucia Giannini,
Jason Franco Ronald Motta Jones,
Claudio Giovanni Pagliani, Giulia
Palandrani, Claudio Mario Attilio
Procopio, Vincent Rossi, Andrea
Senna, Sandro Siervo
Collegio Revisori dei conti
Effettivi
Alessandra Margherita De Scalzi,
Danilo Renato Mazzacane
Supplente
Piera Maria Tonelli
PROFESSIONE
Maltrattamento
infantile: la ricerca
di linee guida
pag. 18
Bollettino dell’OMCeOMI
INFORMAMI
2.2022 ANNO LXXV
Testo unico sulle malattie rare
Una legge di civiltà
360°
pag. 5
INTERVISTA
Incontriamo
Maria Pia Abbracchio,
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DIRITTO
Cure ai no vax?
Il commento
del bioeticista
Sandro Spinsanti
pag. 37
Nota per gli autori
Gli articoli e la relativa iconografia impegnano esclusivamente la
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I materiali inviati non verranno restituiti. Il Comitato di Redazione si
riserva il diritto di apportare modifiche a titoli, testi e immagini degli
articoli pubblicati. I testi dovranno pervenire in redazione in formato
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separate dal testo in formato TIFF, EPS o JPG, con risoluzione non
inferiore a 300 dpi.
Chiuso in redazione
il 4 maggio 2022
5. 3
2. 2022
EDITORIALE
LA STAMPA ha dato notizia che il 6 luglio scorso un giudice del Tribunale di Firenze ha sospeso
temporaneamente il provvedimento dell’Ordine degli psicologi della Toscana che, a termini di legge,
aveva a sua volta sospeso una dottoressa di Pistoia, una psicologa, perché non vaccinata. Oramai siamo
abituati alle alterne fortune che gli Ordini hanno allorquando, incaricati di far rispettare una legge dello
Stato, si trovano di fronte a sentenze o a ordinanze che, di fatto, sconfessano il loro operato.
In questa, però, c’è ben altro. Infatti, a stare a quanto riportano i media, nel testo dell’ordinanza vi sono
frasi che lasciano, a dir poco, esterrefatti. Da Quotidiano Sanità del 13 luglio, infatti, leggiamo: “… Nel
contestare l’obbligo vaccinale, il provvedimento del giudice cita l’articolo 32 della Costituzione: ‘Dopo
l’esperienza del nazi-fascismo non consente di sacrificare il singolo individuo per un interesse collettivo
vero o supposto e tantomeno consente di sottoporlo a sperimentazioni mediche invasive della persona,
senza il suo consenso libero e informato’”. E ancora: “Il giudice pertanto sostiene che la psicologa ‘non
possa essere costretta, per poter sostentare se stessa e la sua famiglia, a questi trattamenti iniettivi
sperimentali talmente invasivi da insinuarsi nel suo DNA alterandolo in un modo che potrebbe risultare
irreversibile, con effetti ad oggi non prevedibili per la sua vita e salute’”.
“Sperimentazioni mediche invasive della persona”? “DNA alterato in un modo che potrebbe
risultare irreversibile”? Ma scherziamo? Ora, da Presidente di un Ente pubblico, sono (rectius devo
essere) di certo solidale con i poteri dello Stato e con coloro che li esercitano. Tuttavia, le parole che
abbiamo testé esposto sono degne della più fantasiosa delle fake-news e mai avrei immaginato di
leggerle come promanate da un giudice. Gli Ordini sono passati, con la Legge Lorenzin del 2018, da Enti
Ausiliari a Enti Sussidiari dello Stato. Questo, di
certo, ne rafforza l’importanza e l’autorevolezza.
Finora, questi Enti non sono stati chiamati al ruolo
che il legislatore avrebbe pensato per loro: non
sono cioè protagonisti delle scelte che vengono
fatte in campo sanitario. Sono stati però chiamati
a vicariare lo Stato in diverse circostanze, facendo
leva sul fatto che sono responsabili di sorvegliare
sulla deontologia professionale e sulla corretta
tenuta degli Albi.
Orbene, in questo scenario è però necessario
che ognuno faccia la sua parte e gli Ordini
ROBERTO CARLO ROSSI
Quando la legge insulta la scienza
Franz Kafka (1883-1924).
6. 4 INFORMAMI
EDITORIALE
non devono essere lasciati soli. Il legislatore deve promulgare leggi non ambigue e
costruite per proteggere per davvero la comunità. L’Esecutivo deve farle applicare
con determinazione, trasparenza, chiarezza ed in maniera omogenea sul territorio
nazionale. Il Potere giudiziario deve intervenire, d’ufficio o se azionato, non contro
coloro che fanno rispettare le leggi ma viceversa facendo risultare soccombente chi
non le rispetta. Mi paiono principi elementari. Ma allora perché un’ordinanza come
quella che abbiamo letto? Se un medico sbaglia, tutti, a gran voce, chiedono alle
Autorità (Ordine compreso) di intervenire. Mi sarei aspettato qualcosa del genere
dal Guardasigilli, o almeno una voce di protesta dal Ministro della Salute. Invece
un assordante silenzio, rotto solo dalle giuste rimostranze degli Psicologi e della
FNOMCeO.
Tante sono allora le immagini che vengono alla mente: Joseph K viene “arrestato”,
poi sottoposto ad un bislacco processo ed infine
giustiziato nel famoso libro (Il processo) dello scrittore
boemo, senza aver commesso alcun crimine. Un po’
come Pinocchio, il cui Giudice ordina ai gendarmi:
“Quel povero diavolo è stato derubato di quattro monete
d’oro: pigliatelo dunque e mettetelo subito in prigione!”.
Vi prego, fatemi ricredere: fatemi dire che non avevano
ragione né Kafka né Collodi!
I videomessaggi del Presidente
Chi non abbia ancora preso visione dell’ultimo videomessaggio o voglia riguardare i precedenti
può collegarsi alla playlist.
7. 5
2. 2022
360°
Accesso alle cure più equo
e uniforme in tutta Italia
STEFANO MENNA Per la prima volta è stata approvata in Italia una legge dedicata alle
malattie rare, presupposto essenziale per garantire uniformità di accesso
alle terapie e all’assistenza sull’intero territorio nazionale. Tra le novità
principali, l’istituzione del fondo di solidarietà destinato a sostenere
l’assistenza dei pazienti più gravi e gli incentivi alla ricerca scientifica
tramite agevolazioni fiscali e un fondo dedicato a progetti sulle malattie
rare. La piena attuazione della normativa è attesa per la metà del 2022
TESTOUNICOSULLEMALATTIERARE,
UNALEGGEDICIVILTÀ
IL 27 NOVEMBRE 2021, data della pubblicazione in Gazzetta ufficiale del Testo
unico sulle malattie rare, è stata una giornata storica per i cittadini italiani.1
È entrata
in vigore la prima Legge interamente dedicata a queste patologie, già approvata con
il voto unanime della Commissione XII Igiene e sanità del Senato il 3 novembre. Stop
quindi ai decreti ministeriali, spesso privi di organicità, che in passato regolavano i vari
interventi: questa Legge ad hoc è finalmente il presupposto fondamentale per una nuova
organizzazione a livello nazionale.
In Europa una malattia è definita rara quando la prevalenza è inferiore a cinque
individui su 10.000 (per i numeri vedi box a pagina 7). Composto di 16 articoli, il Testo
8. 360°
6 INFORMAMI
non può ricadere solo su famiglia o caregiver.
Questo processo, che può ora contare sull’intervento
normativo previsto dal Testo unico, rimane comunque
un passaggio delicato: durante l’adolescenza è infatti
alto il rischio che i pazienti saltino i controlli periodici
e trascurino le cure, col pericolo di andare poi incontro
a complicanze gravi. E molto lavoro resta da fare sul
fronte della comunicazione, così come sulla stesura di
linee guida condivise per un “passaggio del testimone”
tra pediatri e medici dell’adulto nel segno di una reale
ed efficace continuità assistenziale.
Per quanto riguarda i farmaci orfani, cioè quei farmaci
destinati alla cura di malattie rare e che pertanto non
garantiscono all’azienda produttrice ricavi tali da
recuperare i costi di sviluppo, dovrà esserne assicurata
l’immediata disponibilità su tutto il territorio nazionale.
Il Testo unico assicura inoltre l’aggiornamento
periodico dei Livelli essenziali di assistenza (LEA) e
dell’elenco delle malattie rare, per le quali esiste un
codice identificativo che assicura l’esenzione dal ticket.
Attualmente la lista ministeriale2
prevede 453 codici
di esenzione, per un totale di almeno 682 malattie
esplicitate: un numero che potrebbe crescere grazie
alla logica dei gruppi aperti con i quali l’elenco è stato
costruito, ma che è ben lontano dal totale delle malattie
rare oggi note.
Sarà inoltre potenziata la Rete nazionale delle malattie
rare, collegando tutti i centri clinici accreditati e
individuati dalle regioni con i centri che fanno parte
delle Reti di riferimento europee (ERN),3
network a loro
volta di strutture sanitarie di eccellenza presenti in tutta
Europa. Accanto al Centro nazionale per le malattie
rare (CNMR) dell’Istituto superiore di sanità (ISS),4
che è responsabile del Registro nazionale e svolge
attività di ricerca, consulenza e documentazione (vedi
articolo a pagina 8), sarà istituito presso il Ministero
della Salute il Comitato nazionale per le malattie rare
(CNMR), composto da rappresentanti di tutti i portatori
di interesse del settore, comprese le associazioni di
pazienti, con il compito di definire le linee strategiche
delle politiche nazionali e regionali.
Il Piano nazionale per le malattie rare dovrà essere
rinnovato ogni tre anni.
TESTO UNICO SULLE MALATTIE RARE,
UNA LEGGE DI CIVILTÀ
Immagini tratte da:
Eurordis. Art contest - Sensitive skin 2021
unico si pone l’obiettivo di tutelare il diritto alla salute
di queste persone, grazie a misure che garantiscano
uniformità nell’accesso alle prestazioni e ai farmaci
in tutto il paese, aggiornamento periodico dei
Livelli essenziali di assistenza (LEA) e dell’elenco
delle malattie rare, coordinamento, riordino e
potenziamento della Rete nazionale, sostegno alla
ricerca scientifica.
“Un provvedimento che dà finalmente dignità alle
persone con malattie rare e ai loro familiari”, lo ha
definito la senatrice Paola Binetti, relatrice e tra le
prime proponenti della Legge insieme a Fabiola
Bologna, deputata di Coraggio Italia, che ha a sua
volta sottolineato come si tratti di “un risultato
straordinario, frutto di un lavoro impegnativo durato
tre anni. Ora dobbiamo andare avanti per trasferire
la norma alla vita reale tramite i decreti attuativi, per
migliorare la qualità di vita dei malati rari e delle loro
famiglie e per sostenere la ricerca”.
PER UNA SANITÀ PIÙ EQUA
La nuova normativa è stata definita una legge di civiltà
perché innanzitutto rende obbligatoria l’uniformità
dei percorsi di cura sull’intero territorio nazionale.
Un ruolo importante è assegnato al Piano diagnostico
terapeutico assistenziale (PDTA) personalizzato
(vedi articolo a pagina 8), che indica i trattamenti e
i monitoraggi di cui necessita ogni malato raro, a
totale carico del Servizio sanitario nazionale (SSN):
farmaci, accertamenti diagnostici, monitoraggio
clinico, ausili e presidi, cure palliative, prestazioni
riabilitative e sociosanitarie.
Il PDTA dovrà anche tenere conto della
transizione del paziente dall’età pediatrica
a quella adulta, aspetto cruciale alla
luce della disponibilità di nuove terapie
che hanno significativamente allungato
l’aspettativa di vita per alcune malattie.
Negli ultimi anni, infatti, grazie al
miglioramento delle cure e della presa
in carico dei pazienti, la qualità della
vita per molti malati rari è migliorata. Un
cambiamento che implica la necessità di
governare la transizione dalle cure pediatriche
a quelle dei medici dell’adulto, per garantire
l’adesione terapeutica che, con la crescita,
9. 7
2. 2022
PIÙ SOSTEGNO ECONOMICO
Dal punto di vista finanziario, la Legge introduce
importanti novità. Una è l’istituzione del fondo di
solidarietà per le persone con malattie rare, destinato al
sostegno dell’assistenza dei pazienti con invalidità del
100%, con handicap grave riconosciuto ai sensi della
Legge 104 e che necessitano di assistenza continua.
La dotazione iniziale è di un milione di euro all’anno, a
partire già dal 2022, ma la speranza è che questa cifra
possa crescere nei prossimi anni.
Inoltre, è stato incrementato il fondo nazionale
per l’impiego, a carico del SSN, di farmaci orfani
per malattie rare e di farmaci in attesa della
commercializzazione che rappresentano una speranza
di cura per particolari e gravi patologie. Istituito presso
l’Agenzia italiana del farmaco (AIFA), questo fondo è
finanziato con il contributo delle aziende farmaceutiche,
che a partire dal 2022 versano ogni anno il 4,5% (prima
era il 2%) delle proprie spese sostenute per le attività
di promozione rivolte al personale sanitario nel corso
dell’anno precedente. Questo finanziamento ulteriore
del fondo potrà essere dedicato a progetti sulle
malattie rare, in particolare per studi
preclinici e clinici, studi osservazionali,
registri di uso compassionevole per
terapie non ancora disponibili in Italia,
programmi di sorveglianza su farmaci
orfani e trattamenti innovativi che
necessitano di ulteriori analisi rispetto a sicurezza ed
efficacia nel lungo periodo, ricerca e sviluppo di terapie
orfane a partire da plasmaderivati, progetti di sviluppo
di test per screening neonatali per la diagnosi di malattie
rare per cui sia disponibile, o in fase di sviluppo avanzato,
una terapia.
GLI INCENTIVI PER LA RICERCA SCIENTIFICA
Prevalentemente di origine genetica, le malattie rare
sono spesso poco studiate, nonostante una maggiore
conoscenza dei meccanismi che ne stanno alla base
sia essenziale per mettere a punto terapie e dispositivi
diagnostici mirati. La Legge ha introdotto un importante
strumento per promuovere la ricerca scientifica in questo
ambito: si tratta di un’agevolazione fiscale per tutti quei
soggetti, pubblici o privati, che svolgano o finanzino
progetti sulle malattie rare o sui farmaci orfani. Si tratta di
una riduzione, sotto forma di credito d’imposta, del 65%
delle spese sostenute per l’avvio e la realizzazione di
tali progetti, fino a un importo massimo annuale
di 200 euro per ciascun beneficiario, nel limite
di spesa complessivo di 10 milioni di euro
annui. Sempre in tema di ricerca, Ministero
della Salute, Ministero dell’Università e della
Ricerca (MUR), regioni e province autonome
sono inoltre invitati a promuovere il tema
delle malattie rare nell’ambito della ricerca
indipendente.
I numeri delle malattie rare
Non è facile quantificare le persone con malattie rare, non solo per la difficoltà
nel diagnosticarle, ma anche perché la definizione non è la stessa nel mondo.
Nell’Unione europea (UE), il principale database per le malattie rare
è Orphanet:1
sono oltre 6.000 le malattie descritte,
nel 72% dei casi di origine genetica.
Nel 70% dei casi l’esordio è in età
pediatrica, ma esistono anche malattie
che si manifestano in età adulta (12%) o in
entrambe le età (18%).
Sulla base dei dati di Orphanet,2
si stima che tra il
3,5% e il 5,9% della popolazione mondiale sia affetta
da malattie rare, pari a 263-446 milioni di persone e
18-30 milioni nella sola UE. La quasi totalità (98%) soffre
di un piccolo gruppo (390) di malattie ad alta prevalenza
(superiore a 1/100.000), mentre il restante 2% è affetto da
malattie ultra-rare. Se si applicano queste percentuali alla
popolazione italiana,3
i malati rari nel nostro paese sono tra i
2,1 e i 3,5 milioni: molti più di quelli ufficialmente censiti dai
Registri (377.360 a fine 2020).
1
Orphanet.
2
Wakap SN, et al. Eur J Human Genet 2020; 28:165-73.
3
Federazione italiana malattie rare. 2021.
3,5-5,9%
Percentuale di
popolazione mondiale affetta
da malattie rare
(263-446 milioni
di persone)
UE
18-30 milioni
di persone
ITALIA
2,1-3,5 milioni
di persone
10. 8 INFORMAMI
360°
SU UNA COSA sono tutti
d’accordo: che ci sia un Testo
unico a disciplinare la complicata
matassa delle malattie rare e dei
diritti dei pazienti è una notizia
straordinaria. Però, a sentire gli
esperti di settore, le rappresentanze
dei pazienti, come la Federazione
delle associazioni di persone con
malattie rare d’Italia (UNIAMO),
e il mondo dell’informazione al
servizio delle malattie rare, come
l’Osservatorio delle malattie rare
(OMAR), potremmo sintetizzare
così la reazione reale: bene, ma non
benissimo.
Annalisa Scopinaro, presidente di
UNIAMO, va dritta al punto:
“Il Testo unico è importante anche
se in Italia già avevamo il Decreto
legislativo 279 del 20011
che aveva
delineato a suo tempo la rete dei
Registri e dei Percorsi diagnostico
terapeutici assistenziali (PDTA).
Il Testo unico fa un passo in più
e prevede aspetti che non erano
contemplati nella 279: si parla di
un comitato nazionale, incentivi
alla ricerca, fondo di solidarietà. Si
Per le associazioni dei pazienti la Legge è
indispensabile, ma andrà migliorata nel tempo.
A cominciare dai Livelli essenziali di assistenza,
i Percorsi diagnostico terapeutici assistenziali
e una formazione più puntuale dei medici di
medicina generale
Un punto
di partenza, non
di arrivo
ANGELICA GIAMBELLUCA
TESTO UNICO SULLE MALATTIE RARE,
UNA LEGGE DI CIVILTÀ
I PROSSIMI PASSI
Per una piena attuazione del Testo unico si deve
ancora attendere: sono particolarmente urgenti i
decreti attuativi che devono istituire, tramite specifici
atti normativi, tutti i diversi organi introdotti. In
particolare, il Comitato nazionale per le malattie
rare (CNMR) e il fondo di solidarietà dovranno
essere istituiti tramite specifici Decreti ministeriali.
Sarà invece in sede di Conferenza stato-regioni che
dovranno essere siglati due importanti accordi: quello
per l’approvazione del secondo Piano nazionale
malattie rare e riordino della Rete, un atto atteso ormai
da tantissimi anni, e quello per la definizione delle
modalità per assicurare un’adeguata informazione di
professionisti sanitari, pazienti e famiglie.
Infine, il Ministero della Salute e il Ministero
dell’Università e della Ricerca dovranno pubblicare
il regolamento che stabilirà i meccanismi di
funzionamento degli incentivi fiscali in favore dei
soggetti, pubblici o privati, impegnati nello sviluppo
di protocolli terapeutici sulle malattie rare o alla
produzione dei farmaci orfani.
Bibliografia
1
Legge n. 175. GU 27 novembre 2021.
2
Ministero della Salute. Malattie rare.
3
Ministero della Salute. Reti di riferimento europee
4
Istituto superiore di sanità. Centro nazionale per le malattie rare.
11. 9
2. 2022
mettono un po’ di puntini a posto.
Questa Legge è un primo passo, ma
le prescrizioni contenute nei primi
tre testi, poi assemblati per fare il
Testo unico, andavano oltre quello
che è stato scritto oggi”.
Sul fondo di solidarietà Scopinaro
è ancora più tranchant: “Stiamo
parlando di un milione di euro per
più di due milioni di malati rari in
Italia: 50 centesimi scarsi a malato.
Certo il fondo riguarda chi ha una
situazione particolarmente grave,
e non sono tutti. Il punto è che si
continua a pensare alla malattia
rara come a qualcosa che interessa
poche persone: ma se mettiamo
insieme tutti i pazienti in Italia,
arriviamo a quasi tre milioni di
individui”.
Sul tema è concorde, in parte, Ilaria
Ciancaleoni Bartoli, direttrice di
OMAR: “Si poteva fare di più, ma
sarebbe stato difficile approvare
il Testo in tempi veloci. Il fondo di
solidarietà è davvero esiguo, ma
sono cose che si possono sempre
aggiungere dopo. Non è stato
chiarito come e con quali risorse
le regioni dovranno mettere a
disposizione le terapie. Infine, il
Testo potrebbe impedire alle regioni
di erogare prestazioni extra LEA,
ricorrendo a fondi propri, come
finora hanno fatto, ad esempio per
alcuni ausili o per farmaci in fascia
C. Questo credo sarà uno dei primi
punti da chiarire”.
LA CORSA PER I DECRETI ATTUATIVI
Il Testo si trasformerà in concreto
solo con i decreti attuativi. Ma se
la strada è quella della Legge 3
del 20182
(il decreto Lorenzin) di
cui mancano la maggior parte dei
decreti d’attuazione, l’orizzonte
non è roseo. “Sarebbe opportuno
– riprende Scopinaro – che le
istituzioni condividessero con la
società civile quello che stanno
facendo: dobbiamo arrivare ai
decreti con un processo concordato.
Siamo anche disponibili a una
dilatazione dei tempi, se questo
significa arrivare a decreti attuativi
davvero utili”.
Ciancaleoni Bartoli è più ottimista:
“L’impatto reale si potrà vedere
dopo l’estate, quando tutti i
decreti di attuazione dovrebbero
essere compiuti e si comincerà
ad applicarli. A quel punto alcuni
pazienti potranno, ad esempio,
chiedere accesso al fondo di
solidarietà e altri magari vedranno
arrivare più velocemente i nuovi
farmaci. Ma non illudiamoci:
questa Legge è solo un tassello di
un puzzle enorme che dovremo
comporre nel tempo, con fatica
e costanza, affinché i malati rari
possano giovare di un sistema
socio-sanitario adeguato alle loro
esigenze”.
IL NODO DEI PDTA
Qui si entra in un campo delicato, o
in una giungla, a seconda dei punti
di vista. Oggi per le patologie rare
esistono PDTA regionali, aziendali
(a livello di ASL-ATS) e anche
ospedalieri, perché una singola
struttura può adottare un percorso
interno per il paziente. Ogni PDTA,
quindi, anche se riguarda lo stesso
paziente, può essere diverso. “È
assurdo che 40 pazienti con una
malattia – riprende la direttrice di
OMAR – possano essere presi in
carico con 20 percorsi differenti.
Ed è complicata anche la gestione
dei budget perché, essendo le
malattie rare spesso genetiche,
basta una famiglia con più casi che
risieda tutta nello stesso territorio
per far sballare i conti di una ASL,
cosa che non accadrebbe con una
gestione nazionale. Il Testo unico
stabilisce criteri validi per tutti
e potrà essere un parametro di
riferimento preciso, ma ciò non
elimina del tutto la possibilità di
disparità territoriali”.
LA FORMAZIONE DEI MEDICI
DI BASE
Uno dei punti più delicati della
presa in carico del paziente raro
è la sua multidisciplinarietà, che
passa per una formazione (a oggi
carente) del medico di medicina
generale (MMG), figura cardine
dell’assistenza sanitaria dei malati
rari: “Alcuni medici di base non
sanno neanche che esiste la Rete
delle malattie rare”, spiega la
presidente di UNIAMO. “Ecco
perché andrebbe fatto un buon
lavoro di formazione su MMG
e pediatri di libera scelta. Non
solo a livello universitario: anche
EURORDIS, la rete delle malattie
rare in Europa
EURORDIS – Rare Diseases Europe1
raggruppa
984 associazioni di pazienti affetti da malattie
rare di 74 paesi, che a loro volta rappresentano
30 milioni di europei con una malattia rara.
Mettendo in contatto tra loro malati, famiglie e
associazioni di pazienti, riunendo tutte le parti
interessate e mobilitando l’intera comunità delle
malattie rare, EURORDIS amplifica la voce dei
pazienti e contribuisce a definire la ricerca, le
politiche e i servizi a loro dedicati. Per fare ciò,
EURORDIS ha intrapreso diverse attività per
promuovere le malattie rare come argomento di
sanità pubblica, accrescere la sensibilizzazione,
migliorare l’accesso all’informazione, promuovere
la ricerca scientifica e lo sviluppo di farmaci orfani.
EURORDIS agisce anche nel contesto legislativo:
è stato infatti tra gli interlocutori principali per
l’adozione del Regolamento europeo su farmaci
orfani,2
farmaci pediatrici3
e terapie avanzate.4
1
EURORDIS.
2
Regolamento (CE) n. 141, 22 gennaio 2000.
3
Regolamento (CE) n. 1901, 27 dicembre 2006.
4
Regolamento (CE) n. 1394, 10 dicembre 2007.
12. 10 INFORMAMI
360°
I malati rari in Lombardia: rete, percorsi,
opportunità di sviluppo
“IL TESTO UNICO sulle malattie rare conferma
sostanzialmente le norme già in atto per la tutela dei
pazienti e formula una serie di auspici a considerare
la tematica tra le priorità delle istituzioni coinvolte. Si
tratta di un intervento che mette ordine in un mondo
che lavora con impegno già da tanti anni, grazie a
una cornice legislativa che ha il merito di rinforzare
l’attenzione su questi temi, troppo spesso dimenticati”.
Erica Daina, referente del Centro di coordinamento
della rete per le malattie rare della Regione Lombardia,
Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri IRCCS,
saluta con favore l’approvazione del Testo unico: un
passo avanti importante per la comunità dei malati rari.
La Rete regionale per le malattie rare della Lombardia,
istituita più di vent’anni fa,1
è oggi costituita da 59
presìdi e appunto dal Centro di coordinamento,
individuato fin dal 2001 nel Centro di ricerche
cliniche per le malattie rare “Aldo e Cele Daccò” di
Ranica (BG), una delle tre sedi dell’Istituto di ricerche
farmacologiche Mario Negri IRCCS.2
E le singole
ATS sono i punti di contatto tra la Rete regionale, i
le singole aziende ospedaliere
dovrebbero erogare questo tipo di
formazione”.
Con la nuova Legge forse qualcosa
potrebbe migliorare: “Con il Testo
unico – rimarca Ciancaleoni Bartoli
– i medici potranno avere una
rete di riferimento, comunicata in
TESTO UNICO SULLE MALATTIE RARE,
UNA LEGGE DI CIVILTÀ
modo più chiaro e quindi maggiore
facilità nel dirigere i pazienti nei
centri più adeguati. Inoltre, questa
Legge dovrebbe incentivare
la formalizzazione dei PDTA:
un supporto per il medico di
medicina generale per orientarsi
e capire che tipo di presa in carico
spetti al suo assistito, e chi deve
garantirgliela”.
Bibliografia
1
Decreto legislativo n. 279, 18 maggio 2001.
2
Legge n. 3, 11 gennaio 2018.
medici di assistenza primaria, i servizi territoriali e il
cittadino. “La nostra particolarità è quella di essere
un centro di formazione e ricerca clinica, la più vicina
alla sperimentazione sul paziente: una scelta, quella
della nostra Regione, che ha riconosciuto la lunga
esperienza dell’Istituto Mario Negri, promotore fin dal
1992 di una struttura dedicata allo studio delle malattie
rare. Svolgiamo compiti diversi da quelli dei presìdi
ospedalieri e assistenziali, ma le nostre competenze
trasversali sono utili proprio per il coordinamento
della Rete”, sottolinea Daina.
UN SISTEMA COMPLESSO E DINAMICO
Con 86.147 casi prevalenti a fine 2020 distribuiti
su 398 diverse condizioni rare, 21.547 richieste di
informazione ricevute, 339 associazioni di pazienti
coinvolte, nuovi ospedali che ogni anno diventano
presìdi di riferimento per alcune malattie, la Rete
STEFANO MENNA
Villa Camozzi, sede del Centro di ricerche cliniche per le malattie
rare “Aldo e Cele Daccò” dell’Istituto Mario Negri IRCCS.
Nata nel 2001, la Rete lombarda è coordinata dal Centro di ricerche cliniche
per le malattie rare dell’Istituto di ricerche farmacologiche Mario
Negri IRCCS. Le implicazioni del Testo unico, le caratteristiche
della Rete, le possibilità offerte dal Recovery Plan:
ne abbiamo parlato con la referente del centro, Erica Daina
13. 11
2. 2022
lombarda – che lavora su una popolazione di circa
dieci milioni di assistiti – prevede la partecipazione
attiva di professionalità e discipline diverse in ambito
socio-sanitario. Innanzitutto per la redazione e la
condivisione dei PDTA. “I PDTA sono un modo
di declinare e adattare le linee guida cliniche alle
circostanze locali: uno strumento per ridurre la
variabilità, i difetti di congruità, continuità e scarsa
integrazione che possono verificarsi in un percorso
di cura così complesso e articolato”, spiega Daina.
“Rinforziamo così la collaborazione tra specialisti,
pediatri di libera scelta, medici di medicina generale
e tutti gli operatori coinvolti nell’assistenza ai malati
rari”.
Informare e sensibilizzare i professionisti socio-
sanitari rientra infatti tra i compiti del Centro di
coordinamento. “Da sempre ci adoperiamo per
inserire le malattie rare nelle attività formative
accreditate, perché pediatra e MMG costituiscono il
primo livello di assistenza e riferimento per il malato
e la sua famiglia”, continua la referente del centro
di coordinamento lombardo. “Abbiamo attivato
uno sportello di consulenza: se all’inizio il 95% delle
richieste veniva dai pazienti, ora il 60% proviene dagli
operatori sanitari, spesso MMG e pediatri di libera
scelta. Segno che su formazione e comunicazione c’è
richiesta, interesse e molto da fare”.
Particolare impulso è stato dato all’organizzazione
del Registro regionale, utile per disegnare un quadro
epidemiologico completo delle malattie rare e delle
caratteristiche dei pazienti, oltre che per promuovere il
confronto tra gli specialisti, la valutazione dell’efficacia
e dei costi e la programmazione delle iniziative di
sanità pubblica.
TESTO UNICO, LIMITI E SVILUPPI
Se l’obiettivo della Rete lombarda è garantire
un’assistenza adeguata sul territorio e fornire dati su
cui impostare politiche e scelte sanitarie appropriate,
il nuovo Testo unico è un’opportunità per la messa
a terra di un impianto organico. Non mancano però
alcuni aspetti delicati su cui riflettere, per offrire
un contributo critico al dibattito. “Il rischio è di
giocare al ribasso, soprattutto per realtà come la
Lombardia che negli ultimi vent’anni ha ampliato le
prestazioni, introducendo servizi extra per i malati
rari perché i LEA non erano sufficienti. A carico del
Servizio sanitario regionale già ora sono disponibili
apparecchiature e dispositivi particolari, farmaci in
fascia C purché prescritti da specialisti, integratori
e alimenti a fini medici speciali, deroghe ai piani
riabilitativi”, spiega Daina. “Se uno degli obiettivi
del Testo unico è armonizzare le misure, la soluzione
è allora agevolare e soprattutto aggiornare i LEA.
Anche perché le regioni in piano di rientro non sono
nelle condizioni di erogare ulteriori prestazioni”. Per
l’aggiornamento dei LEA, la Legge di Bilancio 2022 ha
stanziato 200 milioni di euro.3
È quindi cruciale il tema delle risorse economiche.
“La buona notizia è che sono previsti fondi in più
per aiutare i non autosufficienti, sgravi fiscali sui
progetti di ricerca e risorse da destinare alle famiglie
dei pazienti: uno sforzo economico significativo”,
sottolinea Daina. “Ma tutta la parte organizzativa
dovrà essere implementata a parità di risorse, cioè
sulla base di quanto già stanziato dal SSN. Eppure la
nuova Legge prevede una presa in carico articolata:
i presìdi dovranno costruire piani personalizzati,
raccordarsi con la medicina del territorio e i servizi
sociali, raccogliere e inviare i dati al CNMR dell’ISS
eccetera. Senza finanziamenti, il rischio paradossale
è di penalizzare i centri più attrattivi ed efficienti, con
una sanità pubblica già in affanno sulle liste di attesa e
per l’impatto di COVID-19 sui servizi”, spiega ancora
la referente del Mario Negri.
IL FUTURO CON IL PNRR
Su questo potrebbe venire in aiuto il Piano nazionale
di ripresa e resilienza (PNRR), anche con soluzioni
innovative.4
“Potenziamento dell’assistenza
multidisciplinare e domiciliare, coinvolgimento del
territorio, digitalizzazione e sviluppo del fascicolo
sanitario elettronico: elementi fondamentali per tutti i
pazienti, ma ancor più urgenti per i malati rari. Un po’
come già avviene nella ricerca di base, le malattie rare
potrebbero così diventare un modello di riferimento,
da estendere ad altre situazioni o contesti organizzativi
– conclude Daina – perché se metto in piedi un
sistema efficiente e solido per i casi particolari e più
fragili, è molto probabile che poi andrà bene
per tutti”.
Bibliografia
1
Regione Lombardia. Delibera di Giunta n. VII/7328, 11 dicembre 2001.
2
Istituto Mario Negri.
3
Legge n. 234, 31 dicembre 2021.
4
V rapporto annuale OSSFOR.
14. 12 INFORMAMI
360°
ISTITUITO nel 2008 all’interno dell’ISS, il CNMR1
riveste un importante ruolo di coordinamento, come
sottolineato anche dalla nuova Legge, che all’articolo
7 ne definisce le funzioni: svolgere attività di ricerca,
consulenza e documentazione sulle malattie rare e i
farmaci orfani finalizzata alla prevenzione, trattamento e
sorveglianza delle stesse.
Il Centro è inoltre il responsabile del Registro nazionale
delle malattie rare, creato dall’ISS nel 2001 e che è stato
il primo strumento di sorveglianza per comprendere
l’epidemiologia di queste patologie e supportare la
programmazione nazionale e regionale.
All’approvazione del Testo unico sulle malattie rare,
grande soddisfazione è stata espressa dalla direttrice
del CNMR, Domenica Taruscio: “Il lavoro di squadra,
la collaborazione interistituzionale, con il contributo di
tutte le associazioni dei pazienti, ha dato i suoi frutti, che
si concretizzano in uno strumento legislativo in grado
di raggiungere quegli obiettivi che i numerosi pazienti
rari in Italia e le loro famiglie aspettavano da tempo:
rendere uniforme la prevenzione, la diagnosi precoce e
il trattamento delle malattie rare su tutto il territorio,
promuovendo l’equità dei percorsi di cura nelle regioni;
favorire l’avanzamento della ricerca nel campo delle
malattie rare, incentivando anche la produzione e la
ricerca dei farmaci orfani, preservare e divulgare le
buone pratiche e tutti quei percorsi messi a punto negli
ultimi anni”.
PREVENZIONE E MALATTIE SENZA DIAGNOSI
Sono numerose le linee di attività del CNMR, per esempio
l’ideazione di una strategia di prevenzione primaria delle
malformazioni congenite:2
difetti strutturali presenti già
Oltre a presiedere ad attività di documentazione, ricerca,
prevenzione e comunicazione, il Centro dell’ISS coordina
e gestisce il Registro nazionale delle malattie rare:
uno strumento di sorveglianza fondamentale per studiare
l’epidemiologia e fornire dati utili alla programmazione
degli interventi sanitari
alla nascita che riguardano circa il 3% dei nuovi nati e
possono essere gravi, con esiti cronici e invalidanti. Per
alcune di queste patologie è possibile ridurre i fattori di
rischio e aumentare quelli protettivi, come l’assunzione
giornaliera di acido folico. I dati raccolti attraverso i
Registri sono inoltre di supporto a progetti di ricerca e
interventi di sanità pubblica.
Riguardo alla prevenzione secondaria, il CNMR fa parte
del Centro di coordinamento sugli screening neonatali
che, grazie alla Legge 167 del 2016,3
sono stati estesi
a oltre 40 malattie metaboliche per le quali siano
disponibili terapie o trattamenti in grado di cambiarne la
storia naturale, se intrapresi rapidamente grazie a una
diagnosi precoce.
Nonostante i progressi nel campo delle analisi
genetiche, una quota significativa di pazienti con
malattie rare rimangono tuttora senza una precisa
diagnosi. Per provare a colmare questo vuoto, nel 2014
il CNMR ha contribuito a fondare, insieme ai National
Institutes of Health (NIH) statunitensi, l’Undiagnosed
Diseases Network International (UDNI)4
. Il progetto, che
vede coinvolti centri di ricerca e associazioni di pazienti,
sfrutta le tecniche più avanzate di sequenziamento del
DNA per individuare le basi genetiche responsabili di
patologie sconosciute, in pazienti che a oggi non sono
ancora riusciti a ottenere una diagnosi per la propria
malattia.
INFORMAZIONE E COMUNICAZIONE
Il CNMR ha lanciato il Telefono verde malattie rare,
a cui risponde un’équipe di esperti che fornisce
informazioni su malattie, esenzioni, presìdi di diagnosi
e cura e associazioni dei pazienti. Si occupa inoltre
dell’aggiornamento del sito www.malattierare.gov.it e
dell’organizzazione di iniziative ed eventi, come “Il volo
di Pegaso”: concorso letterario, artistico e musicale di
sensibilizzazione, giunto alla 14a
edizione.
Bibliografia
1
ISS. Centro nazionale malattie rare.
2
ISS. Malformazioni congenite.
3
Legge n. 167, 19 agosto 2016.
4
UDNI.
TESTO UNICO SULLE MALATTIE RARE,
UNA LEGGE DI CIVILTÀ
Il ruolo chiave del Centro nazionale
malattie rare dell’ISS
REDAZIONE
15. 13
2. 2022
PATRIZIA SALVATERRA
PROFESSIONE
Giovani medici: situazione
nazionale e camici in fuga
NON È SEMPLICE fornire
una risposta che dia senso al
fenomeno della fuga dei camici
bianchi e degli infermieri dal
paese a fronte di un investimento
in risorse e tempo da parte dello
stato per garantire un’adeguata
formazione. Il problema oltre che
economico riguarda le scelte in
materia di politica sanitaria che
vengono prese a livello nazionale
e regionale. La sanità oggi è
chiamata a rispondere ai bisogni
di cura dei cittadini che mutano
rapidamente, chiedendo agli
operatori sanitari competenze
aggiornate di continuo,
un’organizzazione flessibile in
grado di garantire la presa in
carico della persona e mettendo
in campo sia la prevenzione
delle malattie sia l’assistenza
territoriale. Risposte e servizi che
secondo la commissione nazionale
Anaao Assomed, l’associazione
nazionale dei medici dirigenti, il
nostro sistema, frammentato in
almeno 20 realtà regionali diverse
e prive di uniformità organizzativa,
non riesce a dare.1
I dati ci dicono che dall’Italia
fuggono circa 1.500 giovani laureati
all’anno per specializzarsi, perché le
Lo stato italiano investe 150.000
euro per formare un giovane
medico, ma quale è il vantaggio
se poi non capitalizza tale
investimento offrendo condizioni
di lavoro adeguate alla sua
formazione professionale?
A questa domanda è doveroso
provare a rispondere, soprattutto
a fronte degli oltre 10.000
medici e circa 8.000 infermieri
che nell’ultimo decennio hanno
lasciato il paese
16. 14 INFORMAMI
PROFESSIONE
borse di specialità finora non sono
state sufficienti.2
Così il 9 luglio
2021 il governo, con un Decreto
firmato dal ministro della Salute
Roberto Speranza, in accordo con
la ministra dell’Università e della
Ricerca Maria Cristina Messa e
il ministro dell’Economia e delle
Finanze Daniele Franco, ha cercato
di metterci una pezza, portando a
17.400 le borse di specializzazione
finanziate dallo stato disponibili
per l’anno accademico 2020-2021,3
quasi raddoppiando il numero di
borse disponibili solo due anni
prima (vedi grafico).
“È un primo passo significativo
– commenta Martino Trapani,
direttore medico di presidio
presso l’ospedale di Garbagnate
Milanese, consigliere e tesoriere
OMCeOMI, e socio fondatore
del Segretariato italiano giovani
medici (SIGM) – ma il problema
è molto più complesso e affonda
le radici indietro nel tempo”. La
crisi del nostro sistema sanitario,
con la pressione crescente sulle
strutture ospedaliere pubbliche
e sul personale sanitario (-30%
di dotazione organica rispetto a
dieci anni fa, ndr), è cominciata
già all’inizio di questo millennio
ed è andata peggiorando fino a
intercettare le crisi economiche del
2009 e del 2012. In questo scenario
“la pandemia da COVID-19 degli
ultimi due anni ha solo intensificato
questa crisi. Il virus ha fatto da
acceleratore, portando un sistema
sanitario già provato sull’orlo del
collasso in molte aree del paese”,
prosegue Trapani.
“Ma non c’è solo la carenza delle
entro il 2025 curarsi in ospedale
sarà ancora più arduo di oggi,
perché mancheranno all’appello
15.500 specialisti: è il saldo
fortemente passivo fra i 47.300
medici del SSN che andranno in
pensione, a cui si aggiungono
gli 8.200 medici universitari e
specialisti ambulatoriali, contro i
40.000 specializzati che saranno
formati nel frattempo.
Se poi si amplia lo sguardo
all’intero comparto degli operatori
sanitari, i numeri peggiorano,
perché oggi in Italia mancano circa
90.000 infermieri. Il paese è sotto
la media OCSE (Organizzazione
per la cooperazione e lo sviluppo
economico) nel rapporto fra
numero di operatori sanitari e
abitanti: dovrebbero essere otto
ogni 100.000, mentre sono di poco
sopra sei. Non ci sono pediatri né
anestesisti in numero adeguato,
mancano ortopedici e 4.000 medici
nei Pronto soccorso, ma soprattutto
mancano i medici di medicina
generale, una figura fondamentale
per garantire la prevenzione
delle malattie sul territorio e che
dovrebbe svolgere il ruolo di
borse di specializzazione per cui
ne andrebbero previste tante
quanti sono gli ammessi alla
Facoltà di medicina, perché non si
crei il precariato.
C’è anche un’emigrazione dei
medici già specializzati che vanno
a vivere all’estero in cerca di
condizioni di lavoro più eque,
meglio retribuite e più rispettose
della vita privata (vedi box a pagina
15). Senza andare troppo lontano,
se guardiamo ai nostri vicini – la
Germania, la Svizzera, l’Austria – lì
uno specializzato prende stipendi
tre, quattro volte superiori a
quanto viene offerto nel nostro
paese, a fronte di carichi di lavoro
più umani”.
OPERATORI SANITARI,
SEMPRE MENO
In Italia, secondo uno studio
redatto da Eurispes-Enpam,4
Borse di studio di specializzazione in medicina
finanziate dallo stato
(2015-2021)
2015
2016
2017
2018
2019
2020
2021
5.000
6.000
6.105
6.200
8.000
13.400
17.400
Nonostante la sanità italiana abbia una tradizione
d’eccellenza a livello europeo e internazionale, al momento
non è attrattiva per medici e infermieri
Martino Trapani,
direttore medico di presidio
presso l’Ospedale
di Garbagnate Milanese.
17. 15
2. 2022
personale sanitario a sufficienza
per garantirli.
Per Trapani “la soluzione al
problema deve essere frutto di
una programmazione tempestiva
e lungimirante. Va pianificato
oggi quello che accadrà tra dieci
anni, tanto dura la formazione di
base di un medico, se si considera
laurea e specializzazione.
Occorre garantire un percorso
professionale che includa
soluzioni organizzative, tecniche,
giuridiche ed economiche, per
incentivare un giovane medico
a restare in Italia. Perché
non è solo questione di soldi,
vanno considerati gli aspetti
deontologici e motivazionali
insiti nel ruolo del medico e che
includono il riconoscimento
del valore professionale
della persona. Oltre a una
retribuzione più elevata e a turni
meno massacranti, il giovane
specializzato che lascia l’Italia
cerca anche più meritocrazia,
migliori possibilità di carriera
e la certezza di essere coinvolto
in prima persona all’interno
dell’équipe”.
Allora come uscire dalle sacche
di un sistema con una tradizione
d’eccellenza a livello europeo
e internazionale ma che al
momento sembra mostrare più
debolezze che punti di forza?
“Tornando a investire risorse
umane, finanziarie, formative nel
nostro SSN che oggi è al limite,
valorizzando la sua funzione
pubblica e universalistica ma
allo stesso tempo rivedendone
l’organizzazione. Vanno
introdotte – conclude Trapani
– nuove forme di contratto,
che prevedano gli incarichi
professionali e riconoscano
le prestazioni individuali. E
Bibliografia
1
Petrolati A. Anaao Assomed 2022.
2
Bartoloni M. Sole 24 ore. 2019.
3
Decreto 9 luglio 2021. GU 2021.
4
Eurispes-Enpam.
5
Rossi RC. InformaMI 2021; 2: 3-4.
quando c’è la disponibilità
del professionista, andrebbe
consentito a uno specialista di
fermarsi oltre l’età pensionabile.
Gioverebbe al processo di
trasferimento delle conoscenze
ai più giovani e sarebbe d’aiuto
nei momenti d’emergenza come
questo che stiamo vivendo”.
cerniera e filtro con l’ospedale
per quanto riguarda la gestione
dell’emergenza-urgenza. Secondo
la Federazione italiana medici di
medicina generale (FIMMG) entro
il 2023 andranno in pensione circa
21.700 medici di famiglia, a fronte
dei 6.000 giovani specializzati in
ingresso.
POLITICA E SERVIZIO SANITARIO
Negli ultimi vent’anni i cittadini
italiani hanno subìto il graduale
smantellamento del servizio
pubblico a favore del privato e
della sanità integrativa, attraverso
la riduzione dei contratti di
formazione specialistica, il blocco
delle assunzioni e l’imposizione
dei tetti di spesa per il personale
sanitario: tutte decisioni frutto
di scelte politiche ben precise e
guidate soprattutto da logiche
economiche. Sembra che
nemmeno la recente riforma della
sanità lombarda approvata a
inizio dicembre (Legge regionale
22/2021), in concomitanza con
la discussione della Legge di
bilancio, abbia invertito la rotta,
anzi in alcune parti si è posta
persino in contrasto con i princìpi
stabiliti dalla Legge nazionale
833/1978 che mette al centro della
norma il sistema universalistico
delle cure e il diritto del cittadino
alla salute, come ha recentemente
ricordato il presidente di
OMCeOMI Roberto Carlo Rossi.5
Anche il Piano nazionale di
ripresa e resilienza (PNRR), che
ha previsto un finanziamento di
due miliardi aggiuntivi al fondo
sanitario nazionale, in realtà
finirà per incentivare il privato e
l’esternalizzazione dei servizi, a cui
le regioni e le ASL (destinatarie
del finanziamento) dovranno
ricorrere perché non avranno
Paesi e stipendi
In Olanda un giovane specializzato guadagna
circa 73.000 euro annui, che lavori sia come
dipendente sia come libero professionista, e la
sua retribuzione è regolata a livello nazionale.
Nel Regno Unito un contratto di base varia da
75.000 a 110.000 sterline (pari a oltre 128.000
euro).
Negli Emirati Arabi la selezione si basa
esclusivamente sul merito e prevede un esame
di licenza perché non c’è un riconoscimento
immediato del titolo di studio italiano. Qui un
giovane specializzato può guadagnare fino a
10.000 euro al mese. Inoltre la retribuzione non
è tassata, e i benefit spesso includono la scuola
internazionale per i figli.
18. 16 INFORMAMI
PROFESSIONE
Già prima della pandemia l’aggressività
contro medici e infermieri interessava,
secondo le stime, fino al 50% degli
operatori sanitari. COVID-19 ha peggiorato
ulteriormente il quadro, come se avesse
gettato benzina sul fuoco, portando il
fenomeno della violenza ad assumere
dimensioni ancora più allarmanti
La violenza contro gli operatori
sanitari in pandemia
NICOLETTA SCARPA
IL COMITATO internazionale
della Croce rossa1
ha denunciato
che nel mondo tra febbraio e
luglio 2020 ci sono stati più di
600 aggressioni, intimidazioni e
stigmatizzazioni contro medici,
infermieri, pazienti e strutture
mediche. È praticamente certo
che questo numero risenta di una
sensibile sottostima. Il 67% degli
eventi ha interessato gli operatori
sanitari: nel 20% dei casi si è
trattato di violenze fisiche, nel 15%
di discriminazioni e in un altro
15% di insulti verbali o molestie.
La violenza contro i lavoratori della
sanità sta diventando un fenomeno
critico trasversale a tutti i paesi del
mondo indipendentemente dallo
sviluppo socio-economico.
Prima di pensare alle strategie
per arginare e ridurre il problema
occorre comprenderne nel
profondo le ragioni e perché la
pandemia abbia avuto un effetto
così dirompente.
Lo stress è sempre stato
considerato la principale causa
delle violenze sul lavoro. Si spiega
così perché si registra un alto
numero di eventi nelle Unità
di urgenza ed emergenza e nei
Pronto soccorso, ambienti nei
quali si respira un clima tutt’altro
che rilassato. COVID-19 quanto
a stress non ha risparmiato gli
operatori sanitari, ma neppure
l’intera popolazione. I medici erano
in prima linea con un carico di
lavoro superiore al normale e in
Scienziati sotto attacco
Con la vaccinazione anti COVID-19 si sono diffuse offese e aggressioni anche contro gli
scienziati che hanno collaborato per promuovere la campagna di vaccinazione. A ottobre 2021
è stata pubblicata su Nature1
un’indagine su oltre 300 ricercatori intervistati in televisione o che
hanno pubblicato sui social media un commento per dare informazioni sulla pandemia o per
invogliare le persone a vaccinarsi. I due terzi hanno dichiarato di essere stati vittima di almeno
un episodio violento, il 22% di avere ricevuto minacce di violenza fisica o sessuale, il 15% di
avere avuto minacce di morte. Le cronache riportano quotidianamente casi di questo tipo.
Sebbene anche in passato fosse capitato a qualche scienziato di ricevere telefonate o email
minacciose su temi particolarmente caldi come la crisi climatica o la sperimentazione
animale, i ricercatori ritengono che quello che si sta verificando ora sia un fenomeno nuovo,
strettamente legato alla pandemia. Convinto che le aggressioni siano correlate con le
apparizioni in pubblico, l’85% dei partecipanti all’indagine reputa che l’essersi esposto sia stata
comunque un’esperienza positiva. Ritengono però che sia necessario che anche gli scienziati
imparino le corrette modalità di comunicazione.
1
Nogrady B. Nature 2021; 598: 250-3.
19. 17
2. 2022
condizioni di estrema difficoltà,
la popolazione invece ha dovuto
fare i conti con un improvviso
cambiamento delle abitudini e
della quotidianità, perdendo le
certezze e vivendo per diversi mesi
in isolamento.
Lo stress da pandemia non è stato
però l’unico fattore responsabile.
Un contributo significativo alle
manifestazioni di violenza origina
dalla circolazione di notizie false.
È dal fiorire delle fake news che
si sono riscaldati gli animi e si
sono formati i primi movimenti
cospirativi.
Già in passato si è visto che
la circolazione di notizie false
può favorire nelle persone
comportamenti aggressivi:
durante l’epidemia di SARS in
Cina nel 2002-2003 la circolazione
di fake news ha causato negli
altri paesi lo stigma sociale nei
confronti degli asiatici; nel 2019,
durante l’epidemia di Ebola nella
Repubblica Democratica del
Congo, la diffusione di notizie
false è stata correlata a episodi di
violenza, sfiducia, disordini sociali
e attacchi mirati agli operatori
sanitari.
Con COVID-19 ci si è trovati di
fronte alla diffusione soprattutto
tramite i social media di una
sovrabbondanza di informazioni
molte delle quali non verificate.
Tale fenomeno, definito infodemia,
è stato particolarmente rilevante
in quanto ha generato confusione
e non ha aiutato la gestione
dell’emergenza. Le persone, non
essendo ben informate o anzi mal
informate, non comprendevano
perché fosse necessario rispettare
le regole imposte. Molte delle
aggressioni contro gli operatori
sanitari si sono verificate proprio
quando questi hanno imposto al
malato o ai suoi cari di rispettare
le norme. In particolare quando
hanno chiesto l’isolamento per
un familiare, quando non hanno
autorizzato i parenti a toccare
il corpo del proprio congiunto
deceduto oppure quando hanno
vietato di entrare in un’area critica
dell’ospedale.
Nel momento in cui l’indicazione
del sanitario non soddisfa
l’aspettativa del paziente o
dei suoi familiari la situazione
può diventare critica e occorre
intervenire perché non degeneri.
Per evitare l’escalation dei toni è
importante che l’operatore instauri
una comunicazione efficace con il
paziente così da ristabilire un clima
di fiducia.
Su questo si è espressa anche
Tiziana Frittelli, presidente di
Federsanità,2
che in occasione del
12 marzo, giornata nazionale di
educazione e prevenzione contro
la violenza nei confronti degli
operatori sanitari e socio-sanitari,
ha sottolineato la necessità di
investire in comunicazione tra
personale medico sanitario e
utenti. “E in particolare – spiega
Domenico Della Porta, referente
nazionale Federsanità – per la
prevenzione e la sicurezza degli
operatori sanitari occorre formare
e informare i lavoratori sui
temi della legalità, trasparenza,
correttezza, indipendenza,
dignità e rispetto nei rapporti
interpersonali e comunicazione
non violenta, diffondendo i codici
di comportamento etico e creando
una cultura del lavoro basata sul
rispetto reciproco”.
Bibliografia
1
Devi S. Lancet 2020; 396: 658.
2
Federsanità.
Gli episodi in Italia e nel mondo
La Young Doctors Association afferma che
gli operatori sanitari vengono attaccati
quotidianamente e che il numero esatto è “oltre
la possibilità di conteggio”.
Ecco alcuni esempi di episodi violenti accaduti nel
mondo nel corso della pandemia.
ITALIA: dal 2020 la Croce rossa italiana ha
raccolto 83 segnalazioni di aggressioni contro
gli operatori sanitari: 43 nel 2020 e 40 nel 2021.
Dall’analisi della Croce rossa italiana nel 2021
il 10% degli episodi è avvenuto durante i servizi
legati a COVID-19.1
FRANCIA: sono state segnalate rapine agli
operatori sanitari per rubare i dispositivi di
protezione individuale.2
MESSICO: a fine aprile 2020 il ministro
dell’Interno ha documentato 47 aggressioni
contro gli operatori sanitari, il 70% delle quali
contro donne. Il Consiglio nazionale per la
prevenzione delle discriminazioni (National
Council to Prevent Discrimination, CONAPRED)
ha ricevuto dal 19 marzo all’8 maggio 2020 265
denunce di discriminazioni correlate a COVID-19
tra gli operatori sanitari.2
BANGLADESH: sono stati lanciati mattoni contro
la casa di un medico che aveva diagnosticato
un’infezione da SARS-CoV-2.3
INDIA: nella città di Indore hanno lanciato pietre
contro gli operatori sanitari che facevano tamponi
per COVID-19.2
SUDAN: sono stati segnalati 28 attacchi agli
operatori sanitari tra marzo e maggio 2020.2
A maggio 2020, 13 organizzazioni umanitarie
mediche che rappresentano oltre 30 milioni di
lavoratori della sanità in tutto il mondo hanno
rilasciato una dichiarazione di condanna di
questi crescenti attacchi chiedendo ai governi di
inasprire le leggi in merito.2
1
Croce rossa italiana. Report 2021.
2
Amnesty International. Amnesty International, 2020.
3
Devi S. Lancet 2020; 396: 658.
20. 18 INFORMAMI
PROFESSIONE VALERIA CONFALONIERI
L’ORGANIZZAZIONE mondiale
della sanità (OMS)1
riporta una
stima di 300 milioni di bambini che
fra i due e i quattro anni subiscono
punizioni fisiche o sono sottoposti
a violenza psicologica da parte dei
genitori e di chi si prende cura di
loro. Il maltrattamento infantile
porta con sé conseguenze gravi per
tutta la vita, sul piano fisico, mentale,
sociale, professionale e richiede
strategie di prevenzione con un
approccio multisettoriale. Il trauma
che comporta può lasciare segni
anche a livello neurobiologico, sui
processi di neurosviluppo:2
possono
manifestarsi patologie psicologiche
e psichiatriche nell’infanzia e
adolescenza ma anche in età adulta,
ed è stato segnalato come si possa
associare anche un’alterazione
nella percezione del dolore, con
l’emergenza di sindromi dolorose.
La sempre migliore comprensione
di tali collegamenti può aiutare
nella messa in atto di strategie di
intervento.2
IL QUADRO ITALIANO
Il maltrattamento infantile può
risultare complesso e difficile da
studiare. Terre des Hommes e
CISMAI (Coordinamento italiano
dei servizi contro il maltrattamento
Maltrattamento infantile:
prevenzione e intervento precoce
Maltrattamento, abuso, trascuratezza.
La violenza nei confronti di bambini e adolescenti
può assumere diverse forme e modalità:
può essere fisica, psicologica, sessuale, attiva,
assistita, caratterizzata da noncuranza.
Una piaga nel mondo, e in Italia
e l’abuso all’infanzia), per
l’Autorità garante dell’infanzia
e dell’adolescenza, hanno
realizzato due indagini nazionali
che descrivono la diffusione e la
distribuzione dei casi in Italia, di cui
l’ultima pubblicata nel 2021 (sui dati
del 2018).3
L’analisi ha considerato
i dati provenienti da 196 comuni
italiani: 193 minorenni ogni 1.000
in carico ai Servizi sociali sono
stati vittima di maltrattamento,
quasi 77.500 bambini e ragazzi. La
presenza di un’alterazione nella
cura (incuria, discuria e ipercura)
è stata la forma principale rilevata
di maltrattamento, riferita al 40,7%
+14,8%
Incremento 2013-2018 del numero
dei minorenni in carico ai Servizi sociali
per maltrattamento in Italia
DATI TERRE DES HOMMES/CISMAI
21. 19
2. 2022
previste e il 4% non era chiaro;
nelle 16 linee guida, tra le lesioni
sentinella erano incluse lesioni
cutanee (contusioni, ematomi o
ustioni), ma solo in otto erano
incluse lesioni intraorali e fratture.
Come esami, tutte e 20 indicavano
la radiografia scheletrica, la TC e
RM della testa, e diverse l’esame
del fondo dell’occhio, mentre
non vi era accordo in merito a
scintigrafia ossea, follow up degli
esami dello scheletro, RM della
colonna, ecografia cranica, TC del
torace, ecografia e TC dell’addome.
Infine, nell’ambito di possibili
diagnosi differenziali, in 16 linee
guida veniva indicato il controllo
di emostasi e coagulazione, ma
con test differenti, e in otto il
metabolismo osseo.
LA RICERCA DI INDICAZIONI
CONDIVISE
Al di là della necessità di
sensibilizzare sul tema e del ruolo
del medico nell’individuare i
segnali, nel supportare le famiglie
in un’ottica di prevenzione e
nel tutelare i propri assistiti,
di intercettazione e intervento
precoce, le linee guida identificate
dalla revisione non sono complete
e nemmeno sempre in accordo.
Sarebbero necessarie indicazioni
standardizzate per ottimizzare la
gestione dei casi di maltrattamento
e prevenire o limitare i danni a
breve e lungo termine.
dei minorenni in carico ai Servizi
sociali, la violenza assistita è stata
invece riscontrata nel 32,4%, il
maltrattamento psicologico e fisico
rispettivamente nel 14,1% e 9,6%,
mentre l’abuso sessuale nel 3,5%. In
circa quattro casi su dieci si trattava
di maltrattamento multiplo e in
nove su dieci i responsabili avevano
collegamenti stretti (genitori,
parenti, amici dei genitori).
Rispetto all’indagine precedente
(del 2015, sui dati del 2013), dal
confronto su 117 comuni è stato
visto un incremento del numero dei
minorenni in carico ai Servizi per
maltrattamento (+14,8%).
FORMAZIONE E LINEE GUIDA
L’indagine citata riporta un ulteriore
dato: in quasi un caso su due (42,6%)
la segnalazione dei maltrattamenti
era arrivata dall’autorità giudiziaria,
mentre gli ospedali e i pediatri
occupavano le ultime posizioni
(4,2% e 1,4%). Importanti quindi
la sensibilizzazione e la formazione
(vedi box in alto). Rispetto alla
possibilità di avere linee guida
che aiutino nell’intercettazione
precoce di rischi o presenza di
maltrattamento, secondo una
revisione della letteratura4
quelle
per la diagnosi di abuso fisico nei
più piccoli in paesi ad alto reddito
non sono complete e presentano fra
loro discrepanze, condizione che
contribuisce a una pratica clinica
non uniforme.
La revisione ha considerato la
fascia di età fino ai due anni di vita,
periodo in cui la maggior parte
delle lesioni non è clinicamente
visibile, e ha isolato 20 linee guida
da 15 paesi, fra cui 16 fornivano
indicazioni generali in caso di
sospetto abuso fisico. È emerso che
mancava il 41% delle dichiarazioni
Bibliografia
1
WHO.
2
Cay M, et al. Lancet Child Adolesc Health 2022; 6: 195-206.
3
Terre des Hommes. II indagine nazionale sul maltrattamento
dei bambini e degli adolescenti in Italia. 2021.
4
Blangis F, et al. JAMA Network Open 2021; 4: e2129068.
COVID-19 e restrizioni
Secondo uno studio inglese che ha utilizzato
le indagini radiologiche per fare diagnosi di
maltrattamento fisico, il lockdown per COVID-19
non ha comportato un aumento del fenomeno.1
I ricercatori hanno valutato quasi 1.600 esami
radiografici dello scheletro, effettuati in otto
centri pediatrici, fra gennaio 2018 e luglio 2020, in
bambini (il 20% circa post mortem).
Gli autori hanno concluso che in Gran Bretagna
durante il primo lockdown non vi sono stati
aumenti, rispetto ai due anni precedenti, nel
numero di esami radiologici effettuati per sospetto
abuso né nella gravità delle fratture o delle
lesioni intracraniche rilevate. Un risultato che
richiede conferme su quanto successo nei periodi
successivi di limitazioni e di fine restrizioni.
1
Stivaros S, et al. Arch Dis Child 2022;0:1-7.
Informare e formare i medici
Negli anni OMCeO Milano ha lavorato a fianco di organizzazioni impegnate per la
sensibilizzazione e formazione dei medici sul maltrattamento infantile. Nel 2013 insieme
a Terre des Hommes e SVSeD (Soccorso violenza sessuale e domestica), Fondazione
IRCCS Cà Granda Ospedale Maggiore Policlinico Milano e SBAM (Sportello bambino
maltrattato) della Clinica Mangiagalli ha supportato un’indagine tra medici e pediatri
milanesi su livello di conoscenza e attenzione al tema. Il questionario sviluppato in
quell’occasione è stato riproposto nel 2018-2019 su sollecitazione della Garante per i
diritti per l’infanzia e l’adolescenza del Comune di Milano.1
Nel 2014 Terre des Hommes,
SVSeD e OMCeO Milano hanno presentato il primo Vademecum per medici di famiglia
e pediatri per orientare nella gestione da casi, o sospetti, di maltrattamento di bambine e
bambini2
e sono state avviate attività di formazione per medici e operatori, promosse da
Terre des Hommes e SVSeD, grazie a una collaborazione con l’OMCeOMI, l’ASL Milano
e l’Università Statale di Milano. Sempre nel 2014 è stato anche lanciato il primo corso
di perfezionamento in “Diagnostica del child abuse and neglect”,3
istituito dall’Università
Statale di Milano, destinato principalmente ai medici di medicina generale e ai pediatri,
che ha avuto una seconda e terza edizione nel 2016 e 2017.
1
OMCeO Milano. Come i medici riconoscono il maltrattamento sui minori.
2
Terre des Hommes. Vademecum per l’orientamento di medici e pediatri nella gestione dei casi di
maltrattamento (o di sospetto) a danno di bambine e bambini.
3
OMCeO Milano. Corso di Perfezionamento in “Diagnostica del child abuse and neglect”.
22. 20 INFORMAMI
Nota bene
Nota AIFA 97
LA NOTA 97 definisce che la prescrizione della terapia anticoagulante orale sia a carico
del SSN limitatamente alla fibrillazione atriale non valvolare (FANV) e comprenda i farmaci
warfarin e acenocumarolo (AVK) e gli anticoagulanti orali diretti (dabigatran, apixaban, edoxaban,
rivaroxaban), attraverso un percorso decisionale ben definito: la diagnosi di FANV deve essere
sempre confermata da un ECG, la valutazione del rischio trombo-embolico ed emorragico
del paziente deve essere accurata e, infine, la scelta del farmaco anticoagulante deve essere
personalizzata.
Inoltre, è necessario uno stretto monitoraggio clinico e di laboratorio soprattutto negli anziani/
grandi anziani per rivalutare il tipo e/o il dosaggio del farmaco anticoagulante.
Gli strumenti prescrittivi sono descritti nell’allegato 1 della nota 97:
•
la scheda di valutazione e di prescrizione da compilare a cura del prescrittore (specialista,
medico di medicina generale) al momento della diagnosi e della prima prescrizione del farmaco
anticoagulante orale,
•
la scheda di follow up (ogni 6-12 mesi) da compilare in parte a cura del paziente e in parte a cura
del medico prescrittore.
PROBLEMI PRESCRITTIVI
Attualmente la scheda di valutazione e prescrizione e la scheda di follow up vengono redatte in
formato cartaceo in duplice copia (per il prescrittore e per il paziente); a breve, invece, dovranno
essere obbligatoriamente redatte in modello informatizzato. Infatti, il piano terapeutico AIFA
per i farmaci anticoagulanti usati nella FANV sarà soppresso e definitivamente sostituito dalla
scheda informatizzata (piano terapeutico elettronico, PTE) da compilarsi online al pari di un piano
terapeutico.
IL PARERE DEL MEDICO DI MEDICINA GENERALE
La nota AIFA 97 pubblicata a giugno 2020, proprio in piena pandemia COVID-19 per snellire il
carico burocratico ospedaliero e agevolare i pazienti, ha permesso anche al medico di medicina
generale di prescrivere i farmaci anticoagulanti orali al pari dello specialista. Ma questa
opportunità costituisce per il MMG un ulteriore carico burocratico, prescrittivo e di responsabilità
professionale.
La nota 97 prevede la compilazione di una scheda informatizzata, equivalente a un vero e proprio
piano terapeutico, include anche i farmaci AVK (prima prescrivibili in classe A) e, infine, solleva di
fatto lo specialista dall’obbligo prescrittivo esclusivo.
In ultima analisi il medico prescrittore non può che essere lo specialista curante del paziente, che
ha fatto la diagnosi e che segue il follow up; il medico di medicina generale che ha competenze
specialistiche può essere il medico prescrittore, altrimenti finisce per essere il medico
trascrittore dello specialista.
PROFESSIONE MELINDA PERRI
MMG e membro Consiglio direttivo OMCeOMI
23. 21
2. 2022
GIAN GALEAZZO RIARIO SFORZA
Non più da solo ma insieme a statine e antipertensivi, così
potrebbe essere utilizzato l’acido acetilsalicilico in prevenzione
cardiovascolare primaria
Studio TIPS-3
Polipillola con:
simvastatina 40 mg
ramipril 10 mg
atenololo 100 mg
idroclorotiazide 25 mg
acido acetilsalicilico 75 mg
Popolazione: 5.713 soggetti (52,9% donne)
Disegno: studio controllato, doppio cieco
Studio PolyIran
Polipillola con:
atorvastatina 20 mg
idroclorotiazide 12,5 mg
enalapril 5 mg (o valsartan 40 mg)
acido acetilsalicilico 81 mg
Popolazione: 6.101 soggetti (50,3% donne)
Disegno: studio controllato, doppio cieco
Studio HOPE-3
Combinazione a dose fissa:
rosuvastatina 10 mg
candesartan 16 mg
idroclorotiazide 12,5 mg
Popolazione: 6.348 soggetti (46,4% donne)
Disegno: studio pragmatico, cluster
Polipillola in
prevenzione primaria,
meglio se con
acido acetilsalicilico
Bibliografia
1
Josep P, et al. Lancet 2021; 10306: 1133-46.
2
Perrone-Filardi P, et al. J Card Med 2021; 4: 246-58.
3
Scarpa N. Informami 2020; 1: 23-4
4
Mant J, et al. Lancet 2021; 10306: 1106-7.
UNA TERAPIA combinata a
dosi fisse di acido acetilsalicilico
(ASA), statine e due antipertensivi
sembra ridurre di oltre metà il
rischio di eventi cardiovascolari
fatali. A queste conclusioni è
giunta una metanalisi pubblicata su
Lancet1
che ha esaminato l’effetto
della terapia di combinazione
a dose fissa, con e senza acido
acetilsalicilico, su oltre 18.000
soggetti senza pregresse malattie
cardiovascolari (età media 63 anni).
I ricercatori hanno analizzato i dati
di tre grandi studi randomizzati: lo
studio TIPS-3, lo studio PolyIran
e lo studio HOPE-3 (vedi box).
“L’indicatore primario di efficacia
era un esito composito di morte
cardiovascolare, infarto miocardico,
ictus o rivascolarizzazione arteriosa”
scrivono gli autori. Dopo un
follow up quinquennale la terapia
combinata a dose fissa con o senza
ASA ha portato a una riduzione del
rischio del 38% rispetto al placebo
o alle cure standard, ma quando
l’acido acetilsalicilico era parte del
trattamento la riduzione è stata
più marcata. L’analisi ha mostrato
infatti in questo caso una riduzione
ASA sembrerebbe efficace
indipendentemente da
concentrazione di lipidi nel
sangue, pressione arteriosa e altri
fattori di rischio. In un editoriale
di commento Jonathan Mant
dell’Università di Cambridge e
Richard McManus dell’Università
di Oxford ritengono a fronte dei
risultati ottenuti che, dopo ulteriori
studi di verifica, sia plausibile
pensare a introdurre la polipillola
in prevenzione primaria.4
del rischio di infarto del 53%, di
ictus del 51% e di decessi per cause
cardiovascolari del 49%, senza
causare un aumento significativo
del tasso di sanguinamento.
Secondo i ricercatori il rischio di
emorragia legato all’uso dell’acido
acetilsalicilico sarebbe infatti
compensato da una riduzione
dello stesso rischio per effetto
dell’antipertensivo contenuto nella
terapia. Anche un recente position
paper italiano2
sottolinea l’efficacia
della polipillola in prevenzione
primaria in quanto semplificando la
terapia ne migliora l’aderenza e la
persistenza, con un rapporto costo
efficacia più vantaggioso.
Non bisogna però dimenticare che
somministrando a tutti la stessa
polipillola si perde la possibilità di
personalizzare la terapia. Come già
commentato anche su InformaMI,3
proprio con riferimento allo studio
PolyIran, in prevenzione primaria
non bisognerebbe mai prescindere
dalle caratteristiche individuali che
concorrono a rendere il rischio
cardiovascolare più o meno alto.
Secondo la recente metanalisi
tuttavia la polipillola con
24. 22 INFORMAMI
PROFESSIONE DEBORA SERRA
Morti con COVID-19 o
per COVID-19?
SI È DIFFUSA la convinzione
che molti dei decessi ufficiali
attribuiti al virus in realtà siano
stati causati da patologie pregresse,
siano quindi morti “con COVID-19”
non “per” il nuovo coronavirus.
Un recente studio pubblicato su
Lancet segnala invece che a livello
globale i dati di mortalità ufficiali
sarebbero tre volte inferiori rispetto
a quelli reali, circa 18 milioni e non
6. I ricercatori dell’Institute for
Health Metrics and Evaluation di
Washington hanno esaminato le
morti per tutte le cause avvenute
tra il 2020 e il 2021 in 191 paesi e
territori e le hanno confrontate con
gli 11 anni precedenti. Applicando
modelli matematici, è emerso che il
tasso “reale” di decessi correlato a
COVID-19 a livello globale sarebbe
di circa 120 morti ogni 100.000
abitanti e non 39,2 come riportato
ufficialmente.
Le ragioni alla base di queste
differenze sono molteplici: ci sono
state sottodiagnosi soprattutto
all’inizio della pandemia per la
mancanza di test per SARS-CoV-2,
in alcuni paesi ci sono stati errori
nella comunicazione dei dati anche
perché non sono state applicate
regole uniformi per indicare
quando un soggetto muore “per”
COVID-19 e quando “con”. Le
differenze maggiori si riscontrano
in Asia del sud e in Africa
subsahariana.
IN GRAN BRETAGNA
Secondo Eugenio Paci, medico
ed epidemiologo già direttore
dell’Unità operativa di
epidemiologia clinica e descrittiva
dell’Istituto per lo studio, la ricerca
e la rete oncologica (ISPRO) di
Firenze, se ci si concentra sul
territorio anglosassone
il bilancio ufficiale delle vittime
della pandemia sembrerebbe
una stima realistica del numero
di persone morte per COVID-19:
l’88% dei morti con COVID-19
sarebbe effettivamente morto “per”
COVID-19.
In Gran Bretagna il compito di
valutare la mortalità totale è affidato
all’Office for National Statistics
(ONS) con una procedura di
codifica automatica. I decessi in cui
il termine COVID-19 è menzionato
in una qualsiasi parte del certificato
di morte sono chiamati involving
COVID-19 e sono quelli che in
italiano vengono solitamente
chiamati “con COVID-19”. I decessi
“per COVID-19” (due to) sono
invece quelli in cui COVID-19 è
Stimare la mortalità a causa di COVID-19 è estremamente
importante per capire l’impatto della pandemia e poter
prendere decisioni di sanità pubblica. Ma analizzare i dati non è
semplice
identificata come causa iniziale del
decesso (underlying cause).
Questi dati vengono poi
confermati da una ulteriore analisi
condotta dalla UK Health Security
Agency (UKHSA) che analizza
i decessi per causa e luogo di
morte. L’analisi per causa di morte
considera i decessi che riportano
una causa specifica (cancro,
malattia cardiovascolare eccetera)
in una qualsiasi area del certificato
di morte e li attribuisce a uno tra
tre gruppi:
•
al primo gruppo appartengono
i casi in cui COVID-19 è
considerata causa iniziale;
•
al secondo gruppo quelli in cui la
causa specifica è la causa iniziale
del decesso;
•
al terzo gruppo vengono
attribuiti i casi per cui la causa
iniziale è un’altra (per esempio
deceduto con cancro, ma causa
iniziale di morte è un trauma).
Per ciascuna causa specifica viene
quindi confrontato il numero di
decessi verificatosi con il numero
di morti attese sulla base di dati
registrati nel periodo 2015-2019.
A questo punto, per capire se
l’eccesso di mortalità va attribuito
a COVID-19 occorre confrontare
i morti in eccesso e quelli con
COVID-19 rispetto agli attesi.
Per avere un quadro più preciso
prendiamo in esame le quattro fasi
della pandemia: marzo-maggio
2020, settembre 2020-aprile 2021;
maggio 2021-novembre 2021 e
25. 23
2. 2022
dicembre 2021-4 febbraio 2022.
Analizzando il grafico emerge che
nella prima fase (in rosso) l’eccesso
di cause di morte “per COVID-19”
è trasversale a tutte le patologie,
seppure con ampie differenze.
Nella seconda fase (in turchese),
l’associazione con COVID-19
continua a essere alta, superiore al
10% per quasi tutte le patologie,
mentre nella terza e quarta fase
(in blu e grigio) l’associazione
è superiore al 10% solo con le
infezioni respiratorie acute.
E IN ITALIA?
Dall’inizio della pandemia nel
nostro paese sono morte 130.000
persone positive alla COVID-19.
Qui da noi l’analisi delle cartelle
cliniche per identificare la causa di
morte è affidato alla Sorveglianza
integrata COVID-19 coordinata
dall’Istituto superiore di sanità
(ISS) attivata il 22 gennaio 2020.
I risultati delle indagini vengono
pubblicati periodicamente in
bollettini e articoli scientifici che,
sempre di più, stanno fornendo
dati e informazioni sull’andamento
di COVID-19 e possono aiutare a
capire sia il comportamento del
virus nel corpo umano sia quali
pazienti sono più a rischio di
incorrere in un esito fatale della
malattia.
A questo si aggiunge il Sistema di
sorveglianza rapida della mortalità
giornaliera (SISMG) che pubblica
da anni i dati sull’eccesso di morti
(per tutte le cause)2
e che già il 29
marzo 2020, a distanza di poco più
di un mese del decesso del primo
paziente COVID-19, aveva registrato
in 19 città italiane un eccesso di
mortalità rispetto alla media dei
cinque anni precedenti. Tra i dati
saltava subito all’occhio un eccesso
di mortalità al Nord che variava tra
il 16% di Torino e l’88% di Brescia,
e che coinvolgeva anche Bolzano
(34%), Milano (36%), Genova (38%).
Il rapporto del SISMG si concludeva
con la raccomandazione di seguire
COVID-19 causa iniziale di morte per diverse patologie
Percentuale di morti che hanno tra le cause una patologia specifica ma per cui la causa iniziale è COVID-19
Infezioni respiratorie acute
Diabete
Infezioni croniche delle basse vie respiratorie
Demenza e malattia di Alzheimer
Malattia di Parkinson
Malattie del sistema urinario
Altre malattie circolatorie
Altre malattie respiratorie
Malattie cerebrovascolari
Scompenso cardiaco
Malattie cardiovascolari
Cirrosi e altre malattie epatiche
Cancro
marzo-maggio 2020
settembre 2020-aprile 2021
maggio-novembre 2021
dicembre 2021-gennaio 2022
0% 10% 20% 30% 40% 50%
26. 24 INFORMAMI
PROFESSIONE
fragili e anziani. Nel frattempo,
nella conferenza stampa quotidiana
sull’andamento dei casi in Italia ci
si riferiva ai morti come a pazienti
con COVID-19. Per fare chiarezza
è stato necessario aspettare e
studiare le cartelle cliniche.
Tornando ai dati forniti dalla
Sorveglianza integrata COVID-19,
un’analisi realizzata nel 2021 e
pubblicata sulla rivista Aging
Clinical and Experimental
Research3
ha evidenziato che le
persone decedute in ospedale
a causa della COVID-19
presentavano frequentemente
una combinazione di patologie
preesistenti, soprattutto malattie
cardio-respiratorie, metaboliche e
neuropsichiatriche. Queste persone
erano morte per COVID-19 o con
COVID-19?
Per scendere nel dettaglio della
questione è utile leggere l’ultimo
bollettino4
pubblicato dall’ISS
sui 138.099 decessi avvenuti
dall’inizio della pandemia al 10
gennaio 2022. Le analisi condotte
dai ricercatori sulle 8.436 cartelle
cliniche disponibili hanno permesso
di identificare le patologie più
frequenti tra i pazienti. Al momento
del decesso il 67,8% conviveva
con almeno tre patologie croniche,
soprattutto ipertensione arteriosa
e diabete di tipo 2, riscontrate
rispettivamente in 5.550 e 2.459
pazienti, seguite dalla cardiopatia
ischemica e dalla fibrillazione atriale
(2.379 e 2.114 pazienti). Si tratta di
pazienti che non solo avrebbero
potuto vivere ancora a lungo,
ma che erano anche in grado di
condurre vite normali. Al contrario,
il bollettino ISS ci dice che dopo
aver manifestato i primi sintomi di
infezione, questi pazienti morivano
in poco più di dieci giorni.
CHI SONO QUESTE PERSONE?
A morire di COVID-19 sono stati
soprattutto uomini (56,4% vs 43,6%
di donne) e l’età media è stata
di 80 anni. Vanno però ricordati
1.743 pazienti di età inferiore a
cinquant’anni, tra cui 440 sotto i 40.
L’insufficienza respiratoria è stata
la complicanza più comunemente
riportata nel campione di deceduti
per cui sono state analizzate le
cartelle cliniche (93,3%), seguita
da danno renale acuto (25,4%),
sovrainfezione (21%) e danno
miocardico acuto (10,4%).
L’82,3% delle persone poi decedute
era stato ricoverato in ospedale:
il 23,8% in terapia intensiva e il
58,5% in un altro reparto. In terapia
intensiva sono state ricoverate
soprattutto persone con meno
di ottant’anni (44% vs 8,2%). Al
contrario, i ricoveri in altri reparti
sono stati più frequenti tra gli ultra
ottantenni (71,1% vs 42,3%).
TREND TEMPORALI
L’analisi temporale permette
di osservare, analizzare e
interpretare i dati sui decessi alla
luce dell’andamento ciclico dei
contagi e dell’avvio della campagna
vaccinale.
A partire dal primo decesso, il
20 febbraio 2020, l’età media dei
pazienti deceduti ogni settimana
è andata sostanzialmente
aumentando fino a raggiungere
gli 85 anni nella prima settimana
di luglio 2020 per poi calare
leggermente. Un’ulteriore
riduzione è stata osservata a
partire dal successivo mese di
febbraio (erano 80 anni nella
seconda settimana del mese), fino a
raggiungere i 72 anni nella seconda
settimana di luglio. Il merito è
probabilmente dovuto all’effetto
protettivo delle vaccinazioni
nella popolazione più anziana (la
campagna vaccinale è ufficialmente
partita il 27 dicembre 2020).
Anche la proporzione dei pazienti
deceduti SARS-CoV-2 positivi
ricoverati in terapia intensiva
mostra variazioni nel corso del
2021. Questa proporzione aumenta
a partire dal 17,8% nel mese di
gennaio fino a un massimo del 38%
a luglio per poi calare nuovamente
fino al mese di dicembre (21,3%).
L’impatto della vaccinazione
Sebbene sia stato dimostrato che neanche
il ciclo vaccinale completo (14 giorni dal
completamento del ciclo) garantisce un’efficacia
del 100%, i vaccini in uso in Italia hanno evitato
casi di malattia severa con valori che oscillano
tra l’89% e il 95%.
L’ISS stima che dall’inizio della campagna
vaccinale contro COVID-19 al 31 gennaio 2022
siano stati evitati circa 8 milioni di casi, oltre
500.000 ospedalizzazioni, oltre 55.000 ricoveri
in terapia intensiva e circa 150.000 decessi.
I maggiori benefici in termini di vite salvate
riguardano gli ultra ottantenni, di cui si stima
che sia stato evitato il 72% dei decessi (19%
nella fascia 70-79, il 7% nella fascia 60-69 e il
3% sotto i 60 anni). Nel solo mese di gennaio
2022, a fronte della forte diffusione della variante
Omicron e di 4,3 milioni di diagnosi di infezione
da SARS-CoV-2, i vaccini hanno permesso di
evitare ulteriori 5,2 milioni di casi, 19.000 ricoveri
in terapia intensiva e 74.000 decessi.
Bibliografia
1
COVID-19 Excess mortality collaborators.
Lancet 2022; 10334: 1513-36.
2
Carra L, et al. Scienza in rete 2020.
3
Vetrano DL, et al. Aging Clin Exp Res 2021;
33: 2361-5.
4
ISS. 10 gennaio 2022.
27. I
1 . 2022 I
COME ISCRIVERSI
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INTERAZIONI FUMO-FARMACI
Autore: Chiara Veronese,
SSD Pneumologia, Fondazione
IRCCS Istituto Nazionale dei Tumori
di Milano
Revisore: Roberto Boffi, SSD
Pneumologia, Fondazione IRCCS
Istituto Nazionale dei Tumori
di Milano
Destinatari: medici e odontoiatri
Durata prevista: 2 ore (compresa la
lettura di questo dossier)
Durata: dal 15 febbraio 2022 al 31
dicembre 2022
Evento ECM n. 344046; Provider Zadig (n. 103)
Le centinaia di sostanze contenute nel fumo espongono il fumatore, oltre ai più noti rischi
oncologici e cardiovascolari, a quello di interazioni tra il fumo stesso e i farmaci assunti.
I meccanismi sono molteplici e conducono a una modificazione dell’efficacia e della tollerabilità
delle terapie in atto.
28. II SmartFAD
Meglio tardi che mai
“Dottore, stavo pensando che dovrei smettere di fumare… con i problemi di salute
che ho e con questo COVID che rovina i polmoni direi che è arrivato il momento”
dice la signora Carla, pensionata e nonna, 67 anni molto ben portati anche grazie
alla civettuola eleganza. Non rinuncia mai a cappello e foulard, neppure per andare a
fare la spesa e tanto meno per recarsi all’ambulatorio del medico, a due passi da casa.
“Mi trova ovviamente d’accordo con lei signora Carla. Ha mai smesso di fumare nel corso della sua vita?
Anche solo per brevi periodi?” chiede il medico di medicina generale che, entrato in servizio da pochi
mesi non conosce ancora tutti i suoi pazienti.
“No, dottore, mai! Sono quarantacinque anni che fumo e non ho smesso nemmeno in gravidanza. Non
perché non volessi, ma perché il mio ginecologo mi disse che potevo fumarne al massimo quattro. Al-
lora tante cose non si sapevano! Ho provato qualche volta a smettere e ho ridotto senza però mai elimi-
narle del tutto. Sono proprio una droga, per me, le sigarette” risponde la signora Carla.
“Infatti è una vera dipendenza, signora. Dipendenza che può essere superata anche attraverso l’aiuto di
farmaci. Visto che ha preso questa decisione, direi che vale la pena di non sprecarla. Ci sono dei farmaci
antifumo che le posso prescrivere per aiutarla a portare a termine con successo il suo tentativo” propo-
ne il medico di base.
“Ah no no, dottore, non voglio altre medicine. Ha visto quante ne prendo? Quella della pressione, quella
del cuore, quella per dormire, quella per l’ansia. No, grazie, anche perché non voglio stare male. C’è
sempre il rischio che questi farmaci antifumo non vadano d’accordo con i miei” risponde convinta la
paziente.
“Su questo la posso rassicurare: i farmaci antifumo non danno interazioni, cioè non ‘bisticciano’ con gli
altri farmaci”.
COMMENTO
Si può definire interazione farmacologica una risposta farmacologica
o clinica alla somministrazione di un’associazione di farmaci diversa
da quella prevista in base agli effetti indotti dalla loro somministra-
zione singola.
Le interazioni farmacologiche vengono classificate in farmacocineti-
che e farmacodinamiche:
•
interazioni farmacocinetiche sono quelle in cui un farmaco altera la
velocità o il grado di assorbimento, la distribuzione, il metabolismo
e l’escrezione di un altro farmaco, con ripercussioni a livello della
biodisponibilità
•
interazioni farmacodinamiche sono quelle in cui un farmaco induce
una modifica della risposta del paziente a un farmaco a livello
del meccanismo d’azione, senza alterare la farmacocinetica del
farmaco. Il risultato clinico può manifestarsi come antagonismo
(riduzione dell’effetto farmacologico voluto e possibile inefficacia
terapeutica) o sinergismo (aumento dell’effetto con possibile insor-
genza di effetti avversi).
Brunton L, et al. Le basi farmacologiche della terapia, Zanichelli editore,
XIII edizione, 2019.
Martindale W. The complete drug reference, Brayfield A (a cura di), Phar-
maceutical Press, XXXVIII edizione, 2014.
Rossi F. Manuale delle interazioni farmacologiche. OGM, One Global
Medicine, 2011.
“Dottore, scusi se insisto” dichiara Carla sfilando gli occhiali in bachelite “ma voglio vederci chiaro per-
ché già prendo contro voglia le mie medicine, mi sento una farmacia ambulante. Tutte cose chimiche
che introduco nel corpo e ho veramente timore ad aggiungere altro” insiste preoccupata Carla.
“Cara signora Carla, ho capito benissimo la sua contrarietà, ma si è mai domandata quante sostanze
introduce attraverso il fumo che aspira? Siamo nell’ordine delle migliaia di sostan-
ze, centinaia delle quali tossiche e decine cancerogene. Dovrebbe aver timore di
quelle, non dei farmaci. E, aggiungo, se la sua paura è quella di andare incontro a
interazioni farmacologiche le devo dire che in realtà è proprio il fumo di tabacco
a causare interferenze con gli altri farmaci che assume” replica sicuro il medico.
LA STORIA
parte II
29. III
2 . 2022
Il fumo di tabacco è composto principalmente da due fasi: per il 95%
da una fase gassosa, contenente più di 500 composti (CO2, CO, acido
cianidrico,benzene,ammoniaca, radicali liberi, piombo e polonio210,
eccetera) e per il restante 5% da una fase corpuscolata, costituita da
più di 3.500 composti (nicotina, catrame, idrocarburi aromatici poli-
ciclici, N-nitrosamine, metalli pesanti).
A causa di queste sostanze, il fumo di sigaretta è in grado di alterare
significativamente sia la farmacocinetica sia la farmacodinamica
di un farmaco. In considerazione dell’elevata prevalenza del fumo
di sigaretta (in Italia fuma il 22% della popolazione) molti pazienti
possono essere interessati da questo fenomeno.
Tra i componenti del fumo che sono stati valutati, l’ammoniaca non è
rilevante per le interazioni farmacologiche. Altri componenti del ta-
bacco, come nicotina, idrocarburi policiclici aromatici, metalli pesanti
e insetticidi possono invece determinare un’induzione enzimatica a
livello del fegato, in particolare dei citocromi P-450 1A1 e 1A2.
Brunton L, et al. Le basi farmacologiche della terapia, Zanichelli editore,
XIII edizione 2019.
Rossi F. Manuale delle interazioni farmacologiche. OGM, One Global
Medicine, 2011.
Zagà V, et al. Influenza del fumo di tabacco sui trattamenti farmacologici.
Tabaccologia 2013;1:35-47.
COMMENTO
“Non lo sapevo, dottore. Quindi il fumo rende più dannose le medicine che prendo? E
come mai allora non mi sono mai accorta di nulla” chiede incuriosita la paziente.
“Non si è mai accorta di nulla perché, come ha detto lei, ha sempre fumato. Più
che rendere dannoso un farmaco, il fumo lo rende in genere meno efficace. Per
esempio, se riuscisse a smettere di fumare non escluderei la possibilità di ridurle
il dosaggio dei farmaci per la pressione e di quelli per l’ansia. Non le piacerebbe
prendere meno pastiglie e goccine al giorno o addirittura toglierle?”
“Adesso che me lo dice, faccio fatica a dormire, nonostante le goccine. Qualche volta
la tentazione di aumentarle l’ho avuta”.
LA STORIA
parte III
INTERAZIONI FUMO-FARMACI
L’aumento del metabolismo di un farmaco attraverso l’induzione
enzimatica della famiglia dei citocromi P-450 con conseguente
riduzione dell’attività terapeutica è il principale meccanismo di
interazione farmacologica tra fumo di sigaretta e farmaci.
Gli effetti del fumo sul metabolismo epatico dei farmaci sono di
portata maggiore nei fumatori sotto i 40 anni d’età e la capacità
interagente può persistere addirittura per mesi dopo la cessa-
zione del fumo.
Alterazioni clinicamente importanti a livello epatico si verificano
con una frequenza maggiore nei pazienti che fumano più di un
pacchetto di sigarette al giorno.
Per quanto riguarda la nicotina, essa è in grado di causare intera-
zioni di tipo sia farmacodinamico sia farmacocinetico:
•
alterazioni farmacocinetiche: vasocostrizione centrale con
conseguenti modifiche della clearance renale di alcuni farmaci e
vasocostrizione periferica con riduzione della biodisponibilità di
farmaci somministrati a livello topico o sottocute (per esempio,
riduzione della biodisponibilità dell’insulina);
•
alterazioni farmacodinamiche: interferenza nel meccanismo
d’azione di alcuni farmaci andando a limitarne l’efficacia (per
esempio riduzione dell’efficacia dei betabloccanti per un au-
mento della liberazione di catecolamine).
Brunton L, et al. Le basi farmacologiche della terapia, Zanichelli edi-
tore, XIII edizione 2019.
Jusko W. Influence of cigarette smoking on drug metabolism in man.
Drug Metab Rev 1979;9:221-36.
Martindale W. The complete drug reference, Brayfield A (a cura di),
Pharmaceutical Press, XXXVIII edizione, 2014.
Miller R. Effects of smoking on drug action. Clin Pharmacol Ther
1977;22:749-56.
Rossi F. Manuale delle interazioni farmacologiche. OGM, One Global
Medicine, 2011.
COMMENTO
LA STORIA
conclusione
“Sì, certo che mi piacerebbe, non serve nemmeno chiederlo. Davvero non conoscevo questo aspetto
della mia convivenza con le sigarette. Allora ci sto, proviamo uno dei farmaci antifumo che pensava di
prescrivermi. Speriamo funzioni perché sono una fumatrice incallita!” ribatte sorridendo la paziente.
“Se posso rassicurarla quello delle interazioni con i farmaci è uno dei tanti effetti dannosi del fumo di
tabacco che ancora non sono noti tra i non addetti ai lavori. Comunque stia tranquilla, se non fosse una
fumatrice tosta non mi avrebbe chiesto aiuto. Aspetti qui, vado a prenderle lo schema del farmaco che
ho pensato di darle per smettere di fumare. Arrivo subito” conclude il medico.
30. IV SmartFAD
“Dottoressa, per colpa di queste mascherine non respiro più bene. Fare le scale è diventato impossibile
e il respiro va sempre peggio” borbotta Bruno, 75 anni, da 10 in terapia inalatoria per una broncopneu-
mopatia cronica di grado severo.
“Può essere che le diano un pochino di fastidio, signor Bruno. Ma non dia a loro colpe che non hanno.
Mi dica, quando è all’aria aperta senza mascherina come va il respiro?” chiede la dottoressa, pneumo-
loga e allergologa.
“Veramente adesso che mi ci fa pensare anche quando cammino all’aria aperta nel parco con il mio cane
mi manca un po’ il fiato. Dice che non sono le mascherine?” domanda preoccupato il signor Bruno.
“Purtroppo dalla spirometria che abbiamo appena eseguito vedo che i valori della sua funzionalità re-
spiratoria continuano a ridursi. Sta assumendo regolarmente i farmaci inalatori che le ho pre-
scritto? È importante che li assuma regolarmente, con il dosaggio che le ho consigliato e
nel modo corretto”.
“Sì, sì, li ho messi sul comodino e faccio le inalazioni tutti i giorni, mattina e sera. Se per
caso mi dimentico stia tranquilla che me lo ricorda mia moglie!” risponde sorridendo il
paziente.
“Molto bene” dice il medico. “Sta ancora fumando un pacchetto al giorno di sigarette?”
“Dottoressa, per favore, non ci si metta anche lei. Ho già tolto il vino e mi sono messo a
dieta, non posso togliere anche le sigarette! Non può darmi un altro farmaco per migliorare
il respiro?”
“Vede, signor Bruno, il problema non sono i farmaci ma è il fumo: oltre che peggiorarle il grado di ostru-
zione va a limitare l’efficacia dei farmaci inalatori che assume. Il fumo infatti aggredisce le particelle di
farmaco che inala dal dispositivo impedendo loro di agire a livello dei bronchi e dei polmoni. Così, anche
se lei inala correttamente i farmaci il fumo li va parzialmente a inattivare. Dovrebbe quindi smettere di
fumare se non vogliamo che la spirometria e il respiro continuino a peggiorare” spiega la dottoressa.
LA STORIA
parte I
Certe rinunce sono impossibili
COMMENTO
Uno studio condotto dall’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano
e pubblicato sulla rivista Respiratory Research ha dimostrato
come il fumo di tabacco sia in grado di inattivare parzialmente
l’efficacia del beclometasone inalato attraverso la riduzione
della biodisponibilità del principio attivo a livello dei recettori
polmonari. La parte corpuscolata del fumo, infatti, aggredisce
il farmaco portando alla formazione di cluster che, avendo una
classe granulometrica maggiore, impediscono al principio attivo
di raggiungere i recettori più distali, limitando così l’attivazione
legando-recettore.
Invernizzi G, et al. Inhaled steroid/tobacco smoke particle interactions: a
new light on steroid resistance. Respir Res 2009;10:48.
“Dottoressa, sto facendo troppi sacrifici, qualche piccola gioia me la voglio con-
cedere. Non ho proprio intenzione di smettere di fumare. Si dovrà pur morire
di qualcosa! Se vuole, così faccio contenta anche mia moglie che mi rimprovera
ogni volta che mi vede accendere una sigaretta. Fulmini e saette, ma so che ha
ragione. E poi mi fa vedere le immagini spaventose sul pacchetto, e so una volta
di più che ha ragione. Potrei provare a ridurre a meno di un pacchetto al giorno”.
“Che è sempre tantissimo” precisa la dottoressa.
“Lo so. Il problema è che al mattino appena alzato e dopo i pasti ho l’esigenza incon-
trollabile di fumare. Mi piace proprio quell’abitudine, quel gesto. Adesso che ci penso, se andassi in
tabaccheria e mi prendessi le nuove sigarette? Oddio, non le chiamerei sigarette, non si accendono con
LA STORIA
parte II