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Un PO di
contraddizioni
Il Libro Verde
della Lega
«La lega ha inventato le ronde e basta, in 15 anni non hanno inventato una
cosa, sono solo ideologia. E mentre noi dicevamo che le ideologie erano
finite, se ne sono costruita una!».

                             Pierluigi Bersani, Venezia, 10 luglio 2010.
Sommario


Governano loro (anche se fanno finta di stare all’opposizione)

Più voti alla Lega, meno soldi ai Comuni

Basta tasse, basta Roma (sì, ciao)

Letteratura di evasione

Padroni a casa nostra, ma non in house

Acqua: privatizzare le ampolle

Il nucleare «a nostra insaputa»

Strettamente favorevoli

Del Porcellum non si butta via niente

Il ‘sacro’ suolo

Piccolo commercio?

«In latte veritas» ovvero la Lega lattona

Malpensa, la punta dell’iceberg

Il genere letterario delle ordinanze

Radici molto profonde

La sicurezza e la cricca da difendere

Ronde, taglie, collette e check point

«Loro hanno subito l’immigrazione, ora vivono nelle riserve»

Cattivismi

Titoli di coda: Radio Padania
Governano loro
(anche se fanno finta di stare all’opposizione)

L’antipolitica di governo

Fin dai suoi esordi nel panorama politico nazionale, con la denominazione di
Lega Lombarda, la Lega Nord si è candidata a occupare il terreno che i partiti
tradizionali hanno cominciato a perdere nello spazio politico a partire dalla fine
degli anni Settanta, inserendosi perfettamente in un processo storico di lungo
corso.
L’insoddisfazione crescente per le performance della classe politica italiana
aveva spinto quote crescenti di elettorato verso due sponde distinte: il non-voto
(composto da astensione, schede bianche e schede nulle) e nove formazioni
politiche con carattere di protesta e opposizione. Tra queste, la Lega Lombarda
si è distinta per la capacità di catturare consensi stabili, a differenza di altre
formazioni che invece raccoglievano il voto d’opinione e mostravano nelle
consultazioni successive una scarsa fedeltà degli elettori inizialmente
conquistati.
La proposizione politica della Lega si è progressivamente adattata al clima
d’opinione e il suo modello è cambiato dall’iniziale cliché autonomista (che
prendeva a riferimento Union Valdôtaine e SVP) a quello di un movimento di
forte contestazione ai partiti tradizionali, tanto di governo quanto di
opposizione. In questo modo il nuovo attore sulla scena politica ha cominciato a
intercettare (anche) il voto degli elettori scontenti e insoddisfatti della classe
dirigente.
Oggi, 23 anni dopo l’elezione dei primi due parlamentari lumbàrd alla Camera e
al Senato della Repubblica1, la Lega Nord è una formazione politica fortemente
istituzionalizzata: quella presente da più tempo nel Parlamento italiano con la
stessa denominazione. Tutte le altre hanno infatti una genesi molto più recente:
il Popolo della Libertà e il Partito Democratico sono nati in occasione delle
elezioni politiche del 2008, l’UDC e l’Italia dei Valori pochi anni prima, l’Api di
Rutelli nel corso della corrente legislatura.
Non solo: è anche il partito che può vantare il periodo più lungo trascorso al
governo del Paese da tangentopoli in avanti. Alleati del primo governo
Berlusconi, i leghisti hanno contribuito a fare cadere quel gabinetto, durato
soltanto 8 mesi. Rappacificatisi con il Cavaliere, sono stati leali alleati di Forza
Italia e del suo leader per l’intera XIV legislatura sostenendo i governi Berlusconi
II e III dal 2001 al 2006. Nel 2008 sono tornati al governo nell’alleanza di
centrodestra con il PDL. La Lega Nord ha quindi cumulato quasi 8 anni a
presidio del governo centrale: più di qualsiasi altro partito, appunto.

Il movimento insediato

Nonostante queste considerazioni, i militanti della Lega si auto-percepiscono
come partecipi di un movimento e i vertici della formazione sostengono questa
percezione con dichiarazioni, posizioni e linguaggio movimentista, immediato,

1
 Già nel 1983 la Liga Veneta, formazione federata con le altre leghe e poi confluita nella Lega
Nord, aveva però conquistato un seggio in entrambi i rami del Parlamento.
populista. La presunta diversità della Lega viene sostenuta e alimentata dai
quadri, dai militanti e dai simpatizzanti, consolidandone la convinzione
nell’elettorato.
Oggi ha senso prendere atto del profondo grado di istituzionalizzazione della
Lega, partito di governo nazionale e locale, in grado di assumere, orientare e
condizionare le politiche del Paese su molti temi. Una forza politica
istituzionalizzata è un soggetto che detiene il potere, lo negozia con altri partiti,
occupa posizioni. Nel farlo evidentemente perde la verginità primigenia di fronte
al potere (inizialmente concepito come strumento, come mezzo per realizzare le
finalità politiche del movimento) e si adopera per conservarlo, per riprodursi, per
assicurare un ruolo stabile ai suoi esponenti.
Una breve ricostruzione del potere istituzionale della Lega Nord può rendere
palese l’incongruenza tra l’immagine movimentista e la realtà.
La Lega Nord ha una forte presenza a livello municipale con 2.500 consiglieri
comunali; sono presenti nelle giunte comunali con 121 sindaci, quasi altrettanti
vice-sindaci (106) e 402 assessori.
In ambito provinciale vanta 194 consiglieri che esprimono 3 presidenti e 28
assessori nelle giunte, più 4 tra presidenti e vice-presidenti di consiglio. La
capacità di insediamento in queste amministrazioni nelle regioni del Nord offre
un’opportunità di sbocco al crescente numero di militanti, che si attivano per
convinzioni profonde ma anche perché la Lega è un’opzione vincente nello
scenario politico attuale e quindi attrae simpatizzanti anche perché promette
percorsi professionali nella partecipazione politica. Per questo motivo,
probabilmente, la Lega contesta gli sprechi e le inefficienze nella pubblica
amministrazione ma è contraria all’abolizione di questo livello amministrativo
intermedio con compiti residuali, schiacciato com’è tra Comuni e Regioni.
Nelle regioni sono presenti 53 consiglieri leghisti e come è noto da quest’anno la
Lega esprime i governatori di due delle tre più grandi regioni del Nord. Si
contano due assessori (e il presidente del Consiglio regionale) in Lombardia, 4 in
Piemonte e 6 in Veneto.
Dopo la vittoria del centrodestra alle elezioni politiche del 2008, la Lega Nord
vanta 59 deputati alla Camera e 26 senatori. Benché il Parlamento eserciti una
sovranità limitata dal peculiare rapporto di subordinazione che si crea tra eletti
nelle fila della maggioranza e capo del governo, a causa dell’attuale legge
elettorale che prevede liste bloccate decise dai vertici dei partiti, il potere pure
residuo si esercita nelle commissioni. Vale quindi la pena di fare mente locale sui
ruoli occupati dai parlamentari leghisti nelle commissioni, evidenziando le 6
presidenze.

Camera

   Lussana, vicepresidente della II commissione (Giustizia)
   Stefani, presidente della III commissione (Affari esteri e comunitari)
   Fava, vicepresidente della IV commissione (Difesa)
   Giorgetti, presidente della V commissione (Bilancio, tesoro e programmazione)
   Goisis, segretaria della VII commissione (Cultura, scienza e istruzione)
   Alessandri, presidente della VIII commissione (Ambiente, territorio e lavori pubblici)
   Buonanno, segretario della IX commissione (Trasporti, poste e telecomunicazioni)
   Dal Lago, presidente della X commissione (Attività produttive, commercio e turismo)
   Raineri, segretario della XIII commissione (Agricoltura)
   Pini, vicepresidente della XIV commissione (Politiche dell’Unione europea)
Brigandì, vicepresidente della commissione parlamentare di inchiesta sugli errori in campo
   sanitario e sulle cause dei disavanzi sanitari regionali.

Senato

   Bodega, segretario della I commissione (Affari costituzionali, affari della Presidenza del
   Consiglio e dell'Interno)
   Filippi, vicepresidente della III commissione (Affari esteri, emigrazione)
   Garavaglia, vicepresidente della V commissione (Programmazione economica, bilancio)
   Montani, segretario della IX commissione (Agricoltura e produzione agroalimentare)
   Monti, vicepresidente della XIII commissione (Territorio, ambiente, beni ambientali)
   Boldi, presidente della XIV commissione (Politiche dell'Unione europea)
   Divina, presidente della Commissione straordinaria per la verifica dell'andamento generale
   dei prezzi al consumo e per il controllo della trasparenza dei mercati
   Cagnin, segretario del Comitato per le questioni degli italiani all'estero
   Maraventano, segretario della Commissione di inchiesta sugli infortuni sul lavoro
   Rizzi, segretario della Commissione di inchiesta sull'efficienza del Servizio sanitario nazionale

Sono particolarmente evidenti le tre presidenze di commissioni importanti della
Camera dei deputati: bilancio tesoro e programmazione (affidata a Giancarlo
Giorgetti, mente economica della Lega e ufficiale di collegamento tra il leader
Umberto Bossi e il ministro Tremonti); ambiente territorio e lavori pubblici;
attività produttive, commercio e turismo, nonché il livello di interlocuzione con
l’Europa garantito dalla presidenza della commissione Affari esteri e comunitari.
Infine il governo. L’attuale governo Berlusconi IV vanta un leghista al ministero
dell’Interno, quindi due ministeri senza portafoglio ma con le chiavi per il
cambiamento e le riforme, tema portante della retorica leghista: il senatùr
Umberto Bossi al ministero delle Riforme per il Federalismo e Roberto Calderoli
al ministero per la Semplificazione Normativa. Accanto ai ministri ci sono poi il
vice-ministro Roberto Castelli (infrastrutture e trasporti) e i sottosegretari:
Francesca Martini (Salute), Michelino Davico (Interno), Francesco Belsito
(Sottosegretario di Stato alla presidenza del Consiglio per la semplificazione
normativa).

Partito di lotta e di sottogoverno

Accanto agli incarichi istituzionali frutto del consenso elettorale e del peso
parlamentare, che esprimono una specifica capacità di indirizzo normativo ma
anche di orientamento degli investimenti sul territorio, la Lega occupa ormai da
anni un sottobosco di potere a livello di enti e società di emanazione pubblica o
a partecipazione pubblica: banche, autostrade, ospedali, Rai, Expo 2015,
Finmeccanica, Cinecittà.
Un censimento su questo piano è più difficile. Ci limitiamo a riferire i risultati di
un reportage di Marco Damilano pubblicato da l’Espresso del 17 febbraio 2010,
elencando le società in cui esponenti leghisti o persone designate dalla Lega
hanno un ruolo.

      Consip, la spa del ministero dell’Economia per l’acquisto di beni e servizi destinati alle
      amministrazioni dello Stato: Danilo Broggi, amministratore delegato.
      Cinecittà: Roberto Codonati (consulente per l’immagine della Lega), membro del cda.
      Agea, l'agenzia che vigila sull'erogazione dei fondi comunitari per l'agricoltura: professor
      Dario Fruscio, presidente (designato su indicazione di Zaia).
      Finmeccanica: Dario Galli, membro del cda (e presidente della provincia di Varese)
      Fiera Milano: Attilio Fontana, membro del cda (e sindaco di Varese)
Eni: Paolo Marchioni, consigliere di amministrazione (e vice-presidente della provincia di
      Verbano-Cusio-Ossola, nonché assessore al Bilancio)
      Sviluppo Sistema Fiere: Leonardo Ambrogio Carioni, presidente (nonché presidente della
      Provincia di Como, sindaco di Turate, presidente dell'Unione delle Province lombarde)
      Expo 2015: Leonardo Ambrogio Carioni, consigliere di amministrazione;
      Pedemontana: Leonardo Ambrogio Carioni, consigliere di amministrazione;
      Enel: Gianfranco Tosi, consigliere di amministrazione (ex sindaco di Busto Arsizio);
      Poste italiane: Mauro Michielon, consigliere di amministrazione;
      Sea (gestione dello scalo di Malpensa): Giuseppe Bonomi, presidente e direttore
      generale;
      Inail: Marco Fabio Sartori, presidente;
      Fincantieri: Francesco Belsito, consigliere di amministrazione;
      Rai: Giovanna Bianchi Clerici nel cda; Antonio Marano, vice-direttore generale;
      Serenissima: Attilio Schneck, presidente (e presidente della provincia di Vicenza);
      Buonitalia («la cabina di regia nella promozione dell'agroalimentare italiano nei mercati
      mondiali»): Walter Brunello, presidente.

Nel mondo bancario un alleato prezioso è Massimo Ponzellini, presidente della
Banca Popolare di Milano, oltre che di Impregilo.
Nulla di scandaloso, ovviamente, o quasi: è insediandosi nei gangli dell’operosità
quotidiana che una forza politica diviene egemone economicamente e
culturalmente. Ma certo si tratta di una identità incompatibile con quella di un
movimento dotato di una forte retorica censoria e moralista, che lucra consensi
criticando l’attitudine dei partiti cosiddetti tradizionali a consolidare il potere
attraverso l’occupazione di tutti i posti disponibili nella società civile e
determinati dal livello politico. E che, quando è chiamato a rispondere delle
proprie scelte, spesso finge di essere forza di «opposizione» all’interno
dell’esecutivo Berlusconi (come già capitava con Galan ed è sempre accaduto
con Formigoni) e non come forza di governo centrale, insediata e nel pieno delle
proprie facoltà. Per decidere. Anche quando decide cose che poi non le
piacciono.

«Lega poltrona»

«Roma ladrona, la Lega non perdona»: lo slogan, urlato più volte ai tempi di
Pontida, è rimasto lo stesso fino alle ultime elezioni regionali. E - nonostante
fosse figlio di una semplificazione inaccettabile - per certi versi rispecchia la
realtà del Paese. Soprattutto per un verso, e cioè quando le stesse facce che si
battono contro gli sprechi, contro il nepotismo, contro la “cattiva” politica,
quella delle poltrone, si ritrovano ad avere due o più uffici, spesso difficilmente
conciliabili, a Roma e al Nord.
Troviamo così la difesa a oltranza del Nord, il vero e proprio sindacato del Nord,
per raggranellare voti e costruire il consenso, al costo di causare possibili
sprechi e inefficienze nell'intero sistema - con i soldi dei cittadini del Nord, si
intende -, e troviamo il nepotismo, strictissimo sensu, che non premia il merito
ma la consanguineità, che non guarda agli interessi del Nord, ma agli interessi
della casta verde.
Troviamo, infine, i fallimenti politici. Le cose non fatte e gli slogan mai realizzati.
La realizzazione, insomma, di un quotidiano tradimento del Nord.
Esistono veri e propri recordman, perché non è facile saper fare
contemporaneamente «il deputato, il presidente della provincia e il
sottosegretario all'Economia, con delega al bollente dossier sul federalismo
fiscale» (Affaritaliani.it, 31 maggio 2010), a meno che non si possieda il dono
dell'ubiquità.
Daniele Molgora eppure ha rivestito tutti questi incarichi contemporaneamente,
rinunciando, in questo periodo, allo stipendio da Presidente della Provincia, ma
non a quello da sottosegretario e parlamentare. Commentando la rinuncia ha
sostenuto: «Ecco quindi un ottimo esempio di risparmio virtuoso; a volte gli
incarichi multipli permettono delle sensibili economie nell'interesse pubblico» (Il
Messaggero, 20 maggio 2010). A fine maggio del 2010 ha deciso di lasciare il
posto di sottosegretario: niente più economie per il Paese, anche se alla poltrona
di Montecitorio non intende rinunciare. Per la cronaca Molgora è stato presente
alle votazioni nel 24,28% dei casi, mentre nel 66,04% risulta essere «in missione»,
probabilmente nella lontana Brescia.
Altro caso è quello di Roberto Cota, nuovo Presidente della regione Piemonte,
nonché ovviamente parlamentare. Cota ha dovuto saltare la riunione del
consiglio regionale convocato per il 25 maggio 2010 nell'urgenza della crisi
economica e del dramma della disoccupazione con all'ordine del giorno il
bilancio 2010. (La Repubblica, 31 maggio 2010, Deputati multi-incarico, undici col
doppio stipendio di Antonello Caporale), perché anch'egli siede alla Camera dei
Deputati, nonostante le due cariche siano costituzionalmente incompatibili. Ma
come mai nessuno si è ancora pronunciato sull'incompatibilità, nonostante
appaia così semplice e quasi automatico? È semplice anche la risposta: per
dichiarare l'incompatibilità è necessario passare per una commissione
parlamentare. E le commissioni parlamentari sono formate dai parlamentari. «La
commissione parlamentare finora non ha potuto deliberare. La Lega diserta, il
Pdl ha seri problemi a essere presente».
Cota ha chiesto che la decisione sul suo doppio incarico, incompatibile per
legge, fosse decisa dalla Giunta per le elezioni in futuro: richiesta accordata dalla
maggioranza di centrodestra. Cota si è poi dimesso il 17 giugno 2010, dopo
questa inutile manfrina.
Ma la palma di campione del «gioco delle sedie» spetta a Gianluca Buonanno,
che va ad aggiungersi al riconoscimento per aver «emesso un'ordinanza che
vieta l'utilizzo del burkini, del burqa e del niqab alle donne islamiche, corredata
di cartelli di avviso negli ingressi principali della città» (fonte: wikipedia.org).
Gianluca Buonanno, per meglio difendere gli interessi del Nord, ha pensato di
occupare più posti possibili. Ed è così che è riuscito a essere deputato,
consigliere regionale in Piemonte, sindaco di Varallo Sesia e vicesindaco di
Borgosesia.
«Metta però che prima di fare il sindaco a Varallo sono stato sindaco a
Serravalle. E a Borgosesia sono assessore esterno, ma con una lista che porta il
mio nome», ha dichiarato a La Repubblica. Aggiungiamo noi che Buonanno è
stato anche presidente della Provincia di Vercelli, ma si è dimesso il 15 giugno
2009.
Commentando la sua pluripremiata attività Buonanno ha commentato: «Sono sul
territorio, sempre e comunque. Come vuole Bossi». Ma avrà il tempo per stare in
tutti i territori?

La poltrona piace, ancora di più se doppia

La cura degli interessi collettivi richiede tempo ed energie. Evidentemente non
devono mancare alle decine di Deputati e Senatori leghisti che, oltre ad
occupare gli scranni parlamentari, ricoprono cariche presso le amministrazioni
locali di origine. Se la Lega ha fatto della valorizzazione degli amministratori
locali, il suo cavallo di battaglia, è interessante considerare come questi
amministratori possano occuparsi della «loro gente» dovendo assiduamente
frequentare le aule parlamentari.
L’elenco di deputati con il doppio incarico sembra essere infinito: su un gruppo
parlamentare di composto da 59 persone, ben 15 hanno incarichi nelle
amministrazioni locali, a cui si devono aggiungere Ministri e Sottosegretari. Ecco
l’elenco dei doppioni della Camera:

Massimo Bitonci: sindaco di Cittadella (PD);
Giacomo Chiappori: sindaco di Villa Faraldi (IM), ma anche vicepresidente del Faita;
Consiglio Nunziante: vicesindaco di Cazzano Sant'Andrea (BG) (dal 2004 al 2009 ne era stato
Sindaco);
Claudio D’Amico: sindaco di Cassina de' Pecchi (MI);
Marco Desiderati: sindaco di Lesmo (MB);
Giovanni Fava: consigliere provinciale a Mantova e comunale a Sabbioneta (MN);
Luciano Dussin: sindaco di Castelfranco Veneto (TV);
Gianluca Forcolin: sindaco di Musile di Piave (VE);
Manuela Lanzarin: sindaco di Rosà (VI);
Alessandro Montagnoli: vicepresidente della Camera e sindaco di Oppeano (VR);
Giovanna Negro: sindaco di Arcole (VR);
Ettore Pirovano: presidente della Provincia di Bergamo;
Erica Rivolta: assessore del Comune di Erba (CO);
Roberto Simonetti: presidente della Provincia di Biella e consigliere comunale di Mongrando (BI);
Pierguido Vanalli: sindaco di Pontida (BG).

Anche a Palazzo Madama il gruppo è nutrito: su un gruppo di 26 ben 12 hanno
ruoli sul “territorio” (quasi il 50% del totale). Eccoli:

Alberto Filippi: consigliere comunale di Vicenza (VI);
Massimo Garavaglia: fino al 2009 sindaco, ora consigliere comunale di Marcallo con
Casone (MI);
Angela Maraventano: vicesindaco di Lampedusa e Linosa (AG);
Sandro Mazzatorta: sindaco di Chiari (BS);
Enrico Montani: consigliere comunale di Verbania (VB);
Cesarino Monti: assessore e consigliere comunale di Lazzate (MB);
Roberto Mura: sindaco di San Genesio ed Uniti (PV);
Fabio Rizzi: sindaco di Besozzo (VA);
Giovanni Torri: consigliere comunale di Langhirano (PR);
Gianvittore Vaccari: sindaco di Feltre (BL).
Paolo Vallardi: Sindaco di Chiarano (TV)
Mandell Valli: Consigliere provinciale di Como.

«Se il caso non ti avesse voluto erede…»

Inizia così la lettera che Marco Pinti, consigliere provinciale leghista di Varese ha
indirizzato a Renzo Bossi, detto Il Trota a seguito di un celebre battuta del papà
(La Provincia di Varese, 7 febbraio 2010). Il consigliere leghista ed esponente
nazionale dei Giovani Padani esprime con queste parole tutta la sua delusione
per l’investitura a consigliere regionale del figlio di Umberto Bossi.
Chissà cosa ne penserà il giovane consigliere Pinti sull’idea del Senatùr di
incoronare il figlio Renzo a leader del carroccio: scelta a cui pare abbia
partecipato anche Silvio Berlusconi (Corriere della Sera, 12 Settembre 2008).
Dopo esser stato per settimane candidato a possibile membro di un
osservatorio per l’Expo 2015 da circa 12.000 euro al mese, Renzo finalmente un
posto l’ha trovato: nel Consiglio regionale della Lombardia. Eletto a Brescia. Con
tanti, tantissmi «Bossi» sulla scheda.
Ha conquistato il prestigioso incarico con vari meriti: tra i suoi fiori all’occhiello,
la partecipazione ad un gioco di Facebook, Rimbalza il clandestino (La Stampa,
2 febbraio 2010), ed il ruolo di segretario generale (del partito, macché) della
nazionale di calcio padana, campione del mondo tra le nazioni non riconosciute.

Toccatemi tutto, ma non le mie province

Mentre si discute dell’abolizione di alcune province, le più piccole (con una
popolazione inferiori ai 120.000 abitanti, ma non quelle sul Confine di Stato, tipo
Sondrio), qualcuno si ricorda che la Lega, nella provincia in cui è stato
supervotato Renzo Bossi, aveva recentemente proposto la nuova Provincia della
Valcamonica.

      E i Camuni? Niente ai Camuni? Deciso a vendicare l’ingrata storia, il deputato
      leghista Davide Caparini ha deciso di tirare dritto: vuole a tutti i costi la nuova
      Provincia della Valcamonica. Capoluogo: Breno, metropoli di 5.014 anime. Direte:
      ancora un’altra provincia? Ma non avevano promesso quasi tutti di abolirle?
      Certo: prima delle elezioni, però. […] Se dovesse passare l’iniziativa camunica del
      parlamentare del Carroccio, quella con capitale Breno (inno ufficiale: «E su e giù
      e per la Valcamonica / la si sente la si sente...») sarebbe la provincia numero 110.
      Quando nacquero nel 1861, al momento dell’Unità d’Italia, erano qua-si la metà:
      59. Distribuite sul territorio con un criterio semplice: dovevi attraversare ciascuna
      in una giornata di cavallo. Nel 1947 erano già 91. E col passaggio dagli equini alle
      autoblu, hanno continuato ad aumentare, aumentare, aumentare a dispetto del
      proposito dei padri costituenti, che avevano previsto la loro aboli-zione con
      l’arrivo delle Regioni, fino a diventa-re 95 e poi 102 e su su fino a 109

      Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella, Corriere della Sera, 14 ottobre 2009

Del resto, «Chi tocca Bergamo…», si sa, finisce male:

      «È una notizia falsa. Nella manovra economica varata dal governo non ci sarà
      nessuna abolizione delle province». Lo ha detto il ministro dell’Economia, Giulio
      Tremonti, rispondendo ad una domanda specifica dei parlamentari Pdl, riuniti alla
      Camera per ascoltare l’illustrazione della manovra da parte dello stesso Tremonti
      e del premier, Silvio Berlusconi.
      Quanto al taglio delle province, Bossi afferma che «andare oltre» sarà «difficile».
      Scherzando, il leader del Carroccio aggiunge: «Se provi a tagliare la provincia di
      Bergamo, succede la guerra civile…».

      Blitzquotidiano, 26 maggio 2010
Più voti alla Lega, meno soldi ai Comuni

Lo dicono a Varese, e lo dice anche la Lega. Del resto, Tremonti ha spiegato
come ti taglio i trasferimenti ai comuni:

       «Se i tagli della manovra finanziaria nazionale ai danni delle Regioni sono insostenibili,
      quelli imposti ai comuni lo sono almeno altrettanto». L'ennesimo grido di allarme arriva
      ancora una volta dal Partito democratico e dai suoi consiglieri regionali varesini Stefano
      Tosi e Alessandro Alfieri. «Considerando i soli comuni con più di cinquemila abitanti –
      spiegano i consiglieri -, 443 su 1500, un terzo di quelli lombardi, il taglio che il Governo
      prevede di applicare alle amministrazioni cittadine è di 1,4 miliardi nel prossimo biennio».
      Un taglio che in provincia di Varese si traduce così: i quarantasette comuni con
      popolazione superiore ai cinquemila abitanti, cioè quelli che sono soggetti al patto di
      stabilità, dovranno tagliare la spesa di 31.220 milioni nel 2011 e di 42.208 milioni nel 2012.
      Il più colpito è Cardano al Campo, che dovrà risparmiare circa il 30 per cento rispetto al
      2010, quasi 6,9 milioni nel biennio, più di quanto imposto a Busto Arsizio, che pure dovrà
      contrarre la spesa di oltre il 14 per cento. Duramente colpiti anche Venegono Inferiore,
      Jerago con Orago e Besozzo, che lasceranno sul campo attorno al 15 per cento.

      Varesenews, 16 giugno 2010

A stretto giro di posta, la ‘replica’ del sindaco leghista di Varese, Attilio Fontana:
«Così la manovra è insopportabile», (Varesenews, 17 giugno 2010)
Lo stesso Fontana, presidente di Anci Lombardia, qualche giorno più tardi, si
lascia andare. Le sue uscite sono memorabili:

      «Tutto si può dire, meno che questa sia una Finanziaria federalista...».
      «Purtroppo è la Finanziaria nel suo complesso a non muoversi nella direzione del
      federalismo, ne tradisce i concetti cardine e cioè la libertà per gli enti locali unita al
      principio di responsabilità».
      «Rischiamo di condurre alla morte molte delle nostre città e dei nostri territori».

      Attilio Fontana, sindaco di Varese, Lega Nord, Corriere della Sera, 22 giugno 2010.

Trasferimenti dello Stato ai Comuni del Veneto

Chissà come vanno le cose in Veneto. Lì c’è Zaia, che è uno che sa il fatto suo e
sicuramente in questi anni è riuscito a condizionare gli alleati per dare più rsorse
alla sua regione:

      Trasferiti nel 2003: 956,3 Milioni di €
      Trasferiti nel 2009: 786,2 Milioni di €

      Rispetto al 2003: 170,1 Milioni di € in meno
      Mancato rimborso ICI 2009: 35,5 Milioni di € in meno
      In totale nel 2009: 205,6 Milioni di € in meno

      Fonte: Marco Stradiotto, www.marcostradiotto.it

Comuni senza Ici
La Lega guida la rivolta. Contro Tremonti e contro se stessa. D’altra parte, dal
punto di vista economico, si assiste a un approccio tutt’altro che federalista: si
tratta di un rinnovato centralismo. Alcune scelte lo testimoniano chiaramente.
Come scrivono i deputati del Pd, l’esenzione della “prima casa”, in particolare, ha
comportato una perdita di gettito ICI, per il 2008, pari al 23,3% di accertato e
pari al 26,4% di riscosso: vale a dire un quarto della voce di entrata tributaria
maggiormente importante per i Comuni.
L’abolizione dell’ICI sulla “prima casa”, infatti, non ha riguardato la totalità delle
famiglie proprietarie della casa di abitazione. Era già vigente un sistema di
detrazioni, rafforzato dal Governo Prodi, che abbatteva l’ICI sulla casa di
abitazione fino a circa 300 euro di importo dell’imposta. L’abolizione introdotta
dal Governo Berlusconi, quindi, ha beneficiato solo le famiglie proprietarie di
appartamenti per i quali era dovuta un’imposta superiore ai 300 euro. L’iniquità
del provvedimento è dunque palese, dato che si tratta di una “redistribuzione al
contrario” che premia le famiglie più ricche, equiparandole a quelle con
patrimoni di valore inferiore, ed esclude totalmente le famiglie in affitto, che
nemmeno sono proprietarie della casa in cui abitano. La redistribuzione è
perversa anche in senso territoriale, perché premia di più le famiglie residenti al
Nord rispetto a quelle del Centro-Sud, nonché quelle residenti in aree urbane a
maggiore valore immobiliare, spesso maggiormente dotate di infrastrutture
materiali e immateriali, rispetto a quelle residenti in aree rurali».

Fonte: Federalismo a parole. Deputati Pd.
Basta tasse, basta Roma (sì, ciao)

Dati alla mano si sfata un luogo comune del centrodestra: non è affatto vero che
i governo del Cavaliere hanno ridotto la pressione fiscale: in nove anni le entrate
sono cresciute del 33%. Certo, la crisi economica dà il proprio contributo (con
una sensibile riduzione del Pil che naturalmente comporta un aumento della
pressione fiscale), ma qualche parola in più va spesa.

      Il sogno: "Meno tasse per tutti". La realtà: nel 2000 le entrate complessive dello Stato
      rappresentavano il 45,4% cento del Pil, nel 2009, alla fine del "decennio berlusconiano",
      questa percentuale è salita al 47,2%, il valore più alto mai raggiunto. In termini assoluti,
      nello stesso periodo le entrate sono cresciute del 33%, un valore superiore di ben 12 punti
      percentuali rispetto alla crescita dei prezzi, ferma al 20,6%. […] 1) le entrate dello Stato
      nel "decennio berlusconiano" non soltanto non sono diminuite ma sono addirittura
      aumentate, in relazione sia all'inflazione, sia al prodotto interno lordo. Non soltanto non
      c'è quindi stata la promessa riduzione delle tasse, ma al contrario è aumentata la voracità
      dello Stato. 2) L'incremento delle entrate dello Stato non è stato però causato da un
      incremento omogeneo delle principali fonti di gettito, ossia imposte dirette (quelle sul
      reddito), imposte indirette (Iva e accise) e contributi previdenziali (essenzialmente Inps e
      Inpdap). […] Le imposte dirette non sono aumentate, ma neppure diminuite, ed in ogni
      caso non vi sono state "meno tasse per tutti". È invece leggermente diminuito il gettito
      delle imposte indirette, ossia Iva e accise, se lo si rapporta all'andamento dell'inflazione
      (meno 2,3 per cento nel periodo considerato), ed in particolare, se lo si confronta con il
      Pil: da un 14,7 per cento del 2000 si è scesi ad un 13,6 del 2009. In particolare, c'è da
      notare che la riduzione più accentuata è avvenuta negli ultimi due anni, e cioè nel 2008 e
      nel 2009 (nel 2007 era ancora uguale a quella del 2000). Questo spostamento dal
      prelievo indiretto a quello diretto viene in genere considerato nei testi di Scienza delle
      Finanze come un fatto equitativo: infatti con le imposte dirette si paga in maniera
      progressiva a seconda del reddito (più è alto più si versa al fisco). In altre parole, i più
      "poveri" pagano meno tasse in proporzione al proprio reddito. Al contrario, sempre nella
      dottrina classica, il minore peso delle imposte indirette può essere considerato un fatto
      positivo dal punto di vista sociale, in quanto le imposte indirette non hanno natura
      progressiva, e quindi rappresentano un fardello evidentemente più pesante per i
      percettori di redditi più bassi. Calando questi argomenti nella situazione italiana,
      caratterizzata da un'evasione fiscale impressionante (si stimano ormai 120 miliardi di euro
      di imposte non pagate), la riduzione del gettito delle imposte indirette che si è verificato,
      ad aliquote Iva e importi delle accise invariati, potrebbe segnalare una maggiore
      evasione, che si realizza essenzialmente con le attività in nero e con il meccanismo delle
      cartiere, ossia delle società create per emettere fatture false. […] Sono cresciute le
      imposte dirette - che colpiscono particolarmente coloro che, come i dipendenti (ma
      anche molti autonomi) non possono evadere - e questo non è in Italia e nelle attuali
      circostanze un fatto positivo: dice soltanto che si è accresciuto l'obolo che lo Stato
      pretende sui redditi effettivamente dichiarati. Ovvero, come ha detto di recente il
      Governatore della Banca d'Italia, sostanzialmente sulle stesse persone. Mentre non ci
      sono stati nel decennio berlusconiano segnali di un recupero dell'evasione, altrimenti si
      sarebbe visto anche un aumento delle imposte indirette. Va comunque detto che il calo
      delle imposte indirette negli ultimi due anni è certamente da mettere in relazione anche
      con la crisi economica. Da notare, tuttavia, che nel decennio considerato l'anno in cui il
      gettito delle imposte indirette è stato più alto in assoluto è il 2007, al tempo del secondo
      governo Prodi: 227 miliardi, poi scesi 216 nel 2008 e a 207 nel 2009. Insomma, comunque
      la si voglia vedere, di certo i governi di Berlusconi non si sono caratterizzati per una lotta
      all'ultimo sangue contro l'evasione e l'elusione. Anzi.

      A. Bonafede e M. Di Pace, Repubblica, 10 luglio 2010

Ecco il risultato di sedici anni di promesse in tema di riduzione della pressione fiscale:
Pressione fiscale dal 1994 in % sul PIL
                       1994                     40,8
                       1995                     41,2
                       1996                     41,6
                       1997                     43,7
                       1998                     42,3
                       1999                     42,4
                       2000                     41,6
                       2001                     41,3
                       2002                     40,8
                       2003                     41,4
                       2004                     40,6
                       2005                     40,4
                       2006                     42,0
                       2007                     43,1
                       2008                     42,9
                       2009                     43,2

Fonte: Istat. rielaborata dal blog Il Nichilista di Fabio Chiusi
Letteratura di evasione

Dopo un quindicennio di condoni e lo scudo fiscale, tutti provvedimenti che la
Lega ha votato senza fare un plissé, ecco che, con qualche ritardo Berlusconi,
Bossi e Tremonti scoprono l’evasione fiscale.

     Qualcuno potrebbe considerarlo un mezzo miracolo, in un Paese dove il 27% del
     Prodotto interno lordo sfugge regolarmente al Fisco e l’evasione veleggia paciosamente
     (e sfrontatamente) verso quota 100 miliardi l’anno. O forse più. E tale sarà, se uscirà
     indenne dalla battaglia parlamentare che già si prepara. Perché le misure della manovra
     fiscale, va detto, sono oggettivamente senza precedenti per una maggioranza che nel
     passato aveva sostenuto la politica scriteriata dei condoni e delle sanatorie. Certo, si è
     dovuto rispolverare il principio, anche se in forma più morbida (il tetto massimo per l’uso
     “legittimo” dei soldi liquidi è fissato a 5 mila euro), della tracciabilità dei pagamenti su cui
     aveva puntato il centrosinistra. E che il centrodestra aveva spazzato via bollandolo come
     una forma insensata di controllo poliziesco sul denaro, sottolineando come in caso
     contrario il limite per l’utilizzo del contante sarebbe sceso progressivamente fino a 100
     euro. Ma la tanto contestata tracciabilità, unita ad altri due meccanismi come il nuovo
     redditometro e la fattura telematica potrebbe davvero rappresentare, se non altro sulla
     carta, un deterrente micidiale per l’evasione. Il redditometro, innanzitutto. I tecnici di
     Attilio Befera, il capo dell’Agenzia delle Entrate, ci stanno lavorando da settimane. Per
     arrivare a una soluzione completamente diversa dall’ormai desueto meccanismo messo a
     punto negli anni Ottanta. La grossa novità è che sarà impostato su un criterio territoriale.
     Diverso quindi da regione a regione, ma anche da provincia e provincia, come da città e
     periferia. Il redditometro dei milanesi sarà differente da quello dei romani o dei
     palermitani. Secondo l’idea che un avvocato o un dentista di Milano ha di sicuro maggiori
     possibilità economiche rispetto a quelle di un suo collega di Napoli o Reggio Calabria.
     Una specie di “gabbia salariale” fiscale per i ricchi e i benestanti che funzionerà sulla base
     di numerosi parametri. Non più soltanto la barca, la Porsche o il cavallo nel maneggio, ma
     pure le crociere di superlusso, le scuole private con rette astronomiche, i circoli sportivi
     da vip, le palestre alla moda…

     Sergio Rizzo, Corriere.it, 31 maggio 2010.
Padroni a casa nostra, ma non in house

È la norma con cui si cerca di “sotterrare” l’utilizzo delle società “in house” per la
gestione dei servizi pubblici locali, proprio mentre di quel tipo di società si fa
sempre più ampio uso da parte dello Stato e dei Ministeri centrali. La questione
riguarda l’acqua e le ampolle di cui parleremo tra qualche riga. Intanto vale la
pena di approfondire anche questo aspetto, perché «in house», dopotutto, vuol
dire «a casa propria».
L’in house – che riguarda gli affidamenti «all’interno della pubblica
amministrazione, ad esempio tra amministrazione centrale e locale o, ancora, tra
un’amministrazione e una società da questa interamente controllata» - non va
bene, dice il governo. Rispondono i deputati dell’opposizione:

      Prima bugia: non c’è nessun obbligo né nessuna infrazione comunitaria a cui il nostro
      paese debba corrispondere.
      Seconda bugia: la sentenza della Corte di Giustizia europea, a cui il governo ha fatto
      riferimento come motivo fondamentale dell’intervento d’urgenza, è successiva
      all’emanazione del decreto e si occupa di società miste, e non di società pubbliche.
      Terza bugia: il ministro Fitto dichiara a Il Sole 24 Ore che negli ultimi anni avremmo
      assistito a «vergognose politiche di pubblicizzazione» nel settore dell’acqua. Questa è
      davvero grossa come bugia, dato che negli ultimi quindici anni, dopo la legge Galli, alla
      precedente gestione diretta dei Comuni si è sostituita una gestione industriale del ciclo
      dell’acqua che, su 114 ATO, vede oggi 56 casi di gestioni miste e 58 di gestioni pubbliche.
      Il Partito Democratico difende invece il principio della libertà di scelta della gestione
      ottimale dei servizi pubblici locali, compresa l’acqua, da parte delle comunità locali e
      delle loro rappresentanze democraticamente elette.
      Quarta bugia: il governo propaganda che per i cittadini ci saranno solo vantaggi, mentre
      il rischio vero è che questo Governo metta le mani nelle tasche degli italiani tramite
      aumenti non regolati delle tariffe di servizi essenziali come quelli dell’acqua e dei rifiuti.
      Settori in cui non esiste neppure, né è prevista dalle norme di questo decreto, un’autorità
      nazionale di controllo sulla qualità dei servizi e sulla congruità delle tariffe.

      Fonte: Federalismo a parole. Deputati Pd.

In un documento inviato dalla sede centrale della Lega Nord, firmato dal
segretario Giorgetti e dal vice Reguzzoni, e disponibile su internet, così si legge.

      La Lega Nord ribadisce il proprio sì alla gestione pubblica, preferendo la gestione in
      house (società a capitale pubblico controllata dal pubblico) al monopolio dei privati o
      delle multinazionali europee e vuole altresì garantire ai cittadini una gestione efficiente
      dei servizi, economica e di qualità, consentendo la crescita delle nostre imprese al fine di
      renderle competitive sul mercato europeo e internazionale. […] È innegabile che senza la
      Lega Nord i servizi pubblici locali (acqua, gas, trasporti, ecc.) sarebbero gestiti dalle
      multinazionali francesi da oltre dieci anni, e la presenza al Governo della Lega Nord ha
      contribuito a rafforzare i ruolo del pubblico e ad evitare la privatizzazione delle reti.
      Peraltro occorre dire che solo l’apposizione della questione di fiducia sul provvedimento
      ha evitato che sull’argomento la Lega votasse ulteriori emendamenti migliorativi nel
      senso da noi auspicato. Del resto però una coalizione si basa sulla ricerca del consenso, e
      bisogna prendere atto che con gli alleati del PDL sull’argomento «servizi pubblici locali»
      le posizioni erano e sono differenti.

      http://www.padaniaoffice.org/pdf/ambiente/doc_politici/acqua_pubblica.pdf
Meno male che c’è stata la Lega, così il governo ha potuto votare una legge che
obbliga l’ingresso dei privati (i francesi!) per almeno il 40% nelle società
pubbliche, che supera definitivamente l’in house (quello a cui teneva la Lega,
nella propaganda, e che ora tenta di difendere con un ordine del giorno
‘postumo’) e che aderisce perfettamente a quelle posizioni «differenti» che il
resto del governo ha imposto al Parlamento.
Acqua: privatizzare le ampolle

La Lega vota il decreto Ronchi che costringe gli enti locali a una forzata
privatizzazione dell’acqua. Secondo il vicecapogruppo del Carroccio alla
Camera, Marco Reguzzoni, «la fiducia impedisce di migliorare ulteriormente il
testo. Presenteremo dunque un ordine del giorno e lavoreremo con il governo
per renderlo più aderente alle aspettative degli amministratori locali del Nord».
A babbo morto, il solito distinguo. «Il testo che è arrivato dal Senato è
migliorativo rispetto a quello originario, però la Lega sull'articolo 15 (quello sui
servizi pubblici locali, ndr.) avrebbe voluto migliorarlo per farlo corrispondere
con la sua posizione storica a favore dell’acqua pubblica». Avrebbero voluto
migliorarlo, ma non hanno potuto. Già.

Cfr. Corriere.it, 17 novembre 2009.

Eppure la posizione ufficiale era un po’ diversa

Il programma della Lega, così come riportato sul sito internet del movimento,
affermava cose un po’ diverse (in neretto quelle salienti):

       Affrontare il tema delle risorse idriche significa intervenire attraverso una energica e
       oculata politica di investimenti, con interventi organici sull’intero ciclo d’acqua (dalla fase
       di prelievo a quella del rilascio), che coinvolga tutti gli aspetti economici, gestionali e di
       programmazione e con il fine di frenare lo sfruttamento indiscriminato della natura. La
       legge n. 36 del 1994 (cd. legge Galli), ha avviato un processo di riorganizzazione
       dell’intero settore idrico introducendo il principio di salvaguardia della risorsa e la sua
       gestione integrata. A tal fine, è stata prevista la creazione di nuovi soggetti istituzionali,
       gli Ambiti territoriali ottimali (ATO), con lo scopo di superare la frammentazione delle
       gestioni nel rispetto dell’unicità del bacino idrografico, e l’istituzione del Servizio Idrico
       Integrato (SII), inteso come l’insieme dei servizi pubblici di captazione, adduzione e
       distribuzione d’acqua a usi civili, di fognatura e depurazione delle acque reflue.
       L’introduzione di direttive e leggi, miranti a proporre gare per l’assegnazione della
       gestione delle reti e l’erogazione dei servizi pubblici locali, ha reso il quadro normativo
       molto complesso e articolato e favorito, a livello nazionale, un orientamento in tal senso;
       questo, però, determina, come conseguenza, che multinazionali straniere possano
       introdursi nel nostro sistema, traducendosi di fatto nella svendita del nostro
       patrimonio idrico. La previsione di un regime particolare per la gestione dell’acqua dei
       comuni, introducendo la possibilità di rendere facoltativa l’adesione alla gestione unica
       del servizio idrico integrato è, dunque, un passaggio fondamentale; la Lega Nord ha
       presentato un Progetto di legge A.C. 1326- XV Legislatura, “Modifiche al decreto
       legislativo 3 aprile 2006, n. 152, in materia di gestione del servizio idrico e di
       determinazione delle relative tariffe nei comuni montani” che prevede che l’adesione al
       servizio idrico integrato sia facoltativa per i comuni con popolazione fino a 1.000
       abitanti, nonché per i comuni con popolazione fino a 3.000 abitanti inclusi nel
       territorio delle comunità montane. Fino a poco tempo fa i comuni hanno gestito in
       economia il proprio servizio idrico e le amministrazioni comunali si sono adoperate per
       preservare la rete e il suo corretto funzionamento. La gestione del servizio da parte di un
       unico gestore centrale e l’introduzione di una tariffa unica a livello di ATO porterebbero
       alla rottura del fragile equilibrio dell’economia locale. E’ evidente che l’acqua non può
       cedere alle logiche di mercato: è un bene comune e, come tale, va gestito pubblicamente.
       Febbraio 2008.

       [http://www.leganord.org/elezioni/2008/lega/ambiente/risorse_idriche_acqua.pdf]
Ambiti territoriali non più ottimali

Nel frattempo, all’insegna della semplificazione a tutti i costi, si bocciano anche
gli Ato (acronimo che a leggerlo dovrebbe piacere ai leghisti, perché significa,
Ambito territoriale ottimale). La soppressione degli Ato lascia nell’incertezza gli
enti locali e si aggiunge al decreto Ronchi nell’esposizione del comparto ai rischi
di una privatizzazione senza criterio.

      Il Senato ha definitivamente convertito in legge il decreto legge 25 gennaio 2010, n2
      conosciuto come decreto enti locali, mantenendo integro l'emendamento presentato
      dalla Lega che sopprime gli ambiti territoriali ottimali su acqua e rifiuti e bocciando
      invece gli oltre 200 emendamenti presentati dall'opposizione.
      Il provvedimento sopprime quindi gli Ato e sposta invece al 2011 il taglio del 20% delle
      poltrone degli enti locali previsto in Finanziaria, mentre la riduzione degli assessori
      comunali e provinciali inizierà dal 2010.
      Entro un anno dalla pubblicazione della legge in Gazzetta ufficiale, «sono soppresse le
      autorità d'ambito territoriale di cui agli articoli 148 e 201 del decreto legislativo 3 aprile
      2006, n.152 e successive modificazioni»: così sta scritto al comma 1-quinquies. […]
      Pertanto rimane compito delle regioni non più definirne i confini ma attribuire le funzioni,
      sino ad ora svolte dagli Ato. […] L'ambito territoriale ottimale è un territorio su cui sono
      organizzati servizi pubblici integrati, in particolare quello idrico e quello dei rifiuti,
      introdotti per i servizi idrici dalla L. 36/94 (legge Galli) e per i rifiuti dal Dlgs. 22/97
      (decreto Ronchi) e confermati nel Testo unico ambientale (dlgs 152/2006). Gli Ato sono
      individuati dalle Regioni con apposita legge (nel caso del servizio idrico integrato con
      riferimento ai bacini idrografici e dei rifiuti principalmente alle province) e su di essi
      agiscono le Autorità d'Ambito, strutture dotate di personalità giuridica che hanno il
      compito di organizzare, affidare e controllano la gestione del servizio.
      […] Il ruolo di definire a chi attribuire le funzioni tolte agli Ato spetta ancora alle regioni
      che potrebbero optare per scelte diverse dalle province e addirittura farle rimanere
      competenza diretta delle amministrazioni regionali. Come ha prospettato il candidato a
      governo della regione Toscana, Enrico Rossi, che parlando di Ato aveva annunciato un
      intervento - qualora eletto - per la definizione di un unico ambito regionale per l'acqua e
      altrettanto per i rifiuti; una scelta che al di là della personalità giuridica potrebbe rimanere
      in termini di attribuzione di funzioni. Ovvero potrebbe essere la regione a svolgere le
      funzioni che sino ad ora sono state attribuite agli Ato.
      Qualsiasi saranno le scelte che le regioni andranno a fare nel prossimo anno, resta il fatto
      che la previsione della soppressione di qui a quella data delle funzioni sino ad ora svolte
      dalle autorità d'ambito porterà sicuramente una impasse nelle loro attività. Con
      conseguenze facilmente immaginabili. Si pone infatti il tema di come gestire le gare per
      l'affidamento del gestore dei servizi, che in alcuni casi sono in fase avanzata e in altri
      prossime ad essere bandite. «Siamo al caos, aveva detto Raffaella Mariani, capogruppo
      Pd in commissione Ambiente della Camera, all'approvazione del decreto legge alla
      Camera, perché «nell'attesa che ora le regioni legiferino per la nuova organizzazione, c'è
      un vuoto normativo: chi farà le gare? Chi tutelerà gli enti locali?».

      Lucia Venturi, greenreport.it, 24 marzo 2010.

Riepilogando

Grazie al voto di fiducia in Parlamento e nonostante i distinguo dell’ultimo
minuto, con la Lega l’acqua si privatizza. E i territori non si difendono
dall’attacco dei soggetti privati nazionali, internazionali e multinazionali.
Il nucleare «a nostra insaputa»

Spaccare l’atomo

Tutti ricorderanno i distinguo in campagna elettorale: sì al nucleare, ma non in
Veneto, sì, al nucleare, ma non in Lombardia. E così nel Lazio e in Puglia, per la
verità, da parte dei candidati della destra.
Non si capisce perché l’abbiano votato, i leghisti, il nucleare voluto da Scajola e
da Berlusconi. Un nucleare deciso a Roma, in cui le Regioni non hanno alcun
protagonismo. I siti saranno individuati a livello nazionale. Un nucleare imposto
«con stile centralistico e autoritario», hanno commentato i presidenti delle
Regioni del centrosinistra.
Come ha scritto Greenpeace (il verde, in questo caso, non è padano), il 10
febbraio 2010: «Con il decreto nucleare varato oggi, il governo persevera nella
sua politica di centralismo, mettendo un bavaglio alle regioni cui saranno
imposti i siti».
Il nucleare deciso a Roma, senza mediazioni, senza discussione, senza
federalismo. Votato da tutti, salvo poi lamentarsi e far notare che le ‘nostre’
regioni sono autosufficienti.
Cota almeno è coerente. A lui il nucleare piace. A Roma e a Torino. Per gli altri,
la stagione dei distinguo è sempre aperta.
Il presidente della Regione Veneto, Luca Zaia, si è detto, si dice e (forse) si dirà
favorevole al nucleare ma non sul territorio della sua Regione che l’esponente
della Lega definisce «energeticamente autosufficiente».

      «Io ho assolutamente votato a favore di questi criteri che prevedono principi di sicurezza
      per i cittadini e di sostenibilità degli impianti» ha detto Zaia riferendosi al provvedimento
      approvato mercoledì 10 febbraio Consiglio dei Ministri.
      «Ma questo – ha aggiunto Zaia – non vuol dire assolutamente che si sia parlato di siti. È
      un provvedimento che va nell’alveo della ragionevolezza e dà continuità alla delibera del
      Consiglio dei Ministri che abbiamo fatto quando abbiamo adottato la scelta del
      nucleare». Quanto al ‘no’ di alcune Regioni, per il ministro si tratta «di delibere elettorali,
      soprattutto se vengono da Regioni dove abbiamo avuto per mesi la spazzatura sui
      marciapiedi e il governo ha dovuto occuparsene». Insomma al Sud secondo Zaia le
      centrali nucleari si possono mettere.
      Zaia ha ribadito che è comunque da escludere l’ipotesi di impianti sul territorio del
      Veneto: «In totale trasparenza noi siamo estremamente convinti che si debba partire
      innanzitutto da un senso di coerenza. Il Veneto ha oggi un bilancio energetico positivo,
      produce più energia di quanta ne compra. Anche se parliamo di assoluta virtualità,
      perché non esistono siti né candidature del Veneto, il secondo dato da sottolineare è che
      quello del Veneto è un territorio molto antropizzato, tanto che viene definito la Los
      Angeles d’Europa. E dove non ci sono insediamenti, ci sono aree ad elevatissimo valore
      ambientale. Proprio per questo motivo, diciamo che non ci sentiamo di affrontare il
      tema».

      Blitzquotidiano.it, 10 febbraio 2010.

Anche Brunetta in campagna elettorale aveva spiegato: «Sto con Zaia. Il Veneto
ha già dato» (Asca). In Friuli nel frattempo nicchiano. Qualcuno è favorevole,
qualcuno è contrario, tutti sono parecchio silenziosi. Tranne in un caso, quando
Ballaman apre al nucleare:
Edouard Ballaman, ”reo” di aver aperto le porte ad una centrale nucleare nel ”giardino di
      casa” seppur in cambio di bollette superscontate, si ritrova accerchiato: piove il fuoco
      nemico del centrosinistra, quello amico di Pdl e Udc, ma piove soprattutto il fuoco
      ‘domestico’. La Lega, sul ritorno all’atomo, non perdona nemmeno il suo presidente:
      «Idee sue, solo sue, personalissime. Il partito e il gruppo consiliare non hanno mai
      affrontato la questione. E comunque una centrale nucleare in Friuli Venezia Giulia, anche
      per il rischio sismico, è impensabile» scandisce Pietro Fontanini.
      Il segretario regionale, subito dopo, infila la battuta: «Speriamo che non si stia andando
      verso una ”sindrome Fini” a livello regionale». L’accostamento con il grande ribelle di
      Montecitorio fa breccia: Ballaman, ex questore della Camera e quasi ex tutore dei minori
      con pochette verde, pistola e stuzzicadenti anti-ritardatari ma niente più auto blu, ama
      spiazzare. Da sempre. Stavolta, però, non fa arrabbiare solo l’opposizione. Isidoro
      Gottardo, coordinatore regionale del Pdl, sbotta a muso duro: «Non se ne può di
      presidenti con ruoli istituzionali super partes che esternano e fanno politica». Peggio:
      complicano la vita a chi, come Renzo Tondo, si ritrova non solo a dover governare, ma
      anche «a rimediare a poco ponderate esternazioni».

      Roberta Giani, Il Piccolo, 8 maggio 2010.

Il sole delle Alpi non splende più

Meglio il nucleare, perché il fotovoltaico deturpa. In Piemonte, Cota e i suoi
assessori la pensano così.
Sul nucleare si è pronunciata all’inizio del mese di luglio la nuova giunta
piemontese, tirando mazzate ai pannelli solari colpevoli di “deturpare il
territorio” piemontese. La Regione Piemonte accelera sul nucleare e rallenta sul
fotovoltaico. Nel campo dell’energia la giunta guidata dal leghista Roberto Cota
non ha dubbi: si può costruire una centrale. E, dalle parole ai fatti, l’assessore
all’ambiente Roberto Ravello dichiara a ilFattoQuotidiano.it: «Siamo contrari ad
una chiusura ideologica. Il Piemonte è pronto a fare la sua parte per l’interesse
nazionale».
La tesi è semplice: mentre a pochi chilometri (in Francia e Svizzera) si produce
energia con l’atomo, il Piemonte subisce solo i rischi e non i benefici «derivanti
dalla costruzione di impianti di ultima generazione con le più ampie garanzie di
tutela per il territorio e la popolazione». Benefici, prima di tutto, legati alla
vendita sul mercato dell’energia elettrica e ad un minore costo della bolletta,
secondo Ravello. Anche se dalla prima pietra all’esercizio della centrale passano
20 anni.
E se in materia di energia ‘pulita’ da una parte si accelera dall’altra è meglio
rallentare. Dalla stessa giunta arriva uno stop alle autorizzazioni per i nuovi
impianti forovoltaici, in grado di creare corrente elettrica dal sole. L’iniziativa è
di Massimo Giordano, assessore all’energia e all’innovazione, che grazie ad un
disegno di legge regionale vuole regolamentare l’installazione a terra dei
pannelli solari nelle aree di particolare pregio dal punto di vista agricolo,
naturalistico ed estetico. Per Giordano «c’è stata un’eccesiva crescita degli
impianti che hanno deturpato il territorio piemontese». Anche se danno energia
pulita, i terreni liberi per l’installazione sono cresciuti del 149% e la precedente
giunta regionale ha investito, a partire dal 2008, trecento milioni di euro per lo
sviluppo della green economy.

Il Fatto quotidiano, 13 luglio 2010
E pensare che Cota (in una intervista del 2 febbraio 2010) all’osservazione -
«Mercedes Bresso dice che la strada da seguire è quella delle energie
rinnovabili» - aveva così risposto:

      Riconosco alla Bresso il merito di aver investito molto sulle energie rinnovabili, ha fatto
      benissimo e io continuerò su quella strada. Ma serve anche il nucleare. Quindi se la scelta
      verrà fatta in base a criteri trasparenti noi ci saremo. Io non sono un ipocrita, lo dico
      chiaramente.

Riepilogando

La Lega ha votato il nucleare a Roma, imposto alle Regioni. Nelle Regioni, salvo
Cota, che è pronto a rinunciare alle rinnovabili, ma non al nucleare, protesta e si
dichiara contraria alle installazioni di centrali sul territorio.
Strettamente favorevoli

Un ponte verso il Sud

Il governo è felice di annunciare la realizzazione della grande opera, un altro
clamoroso successo della Lega.

      Per la realizzazione del Ponte sullo Stretto di Messina, il cui «costo complessivo sarà di
      6,3 miliardi», i cantieri principali saranno avviati «all'inizio del 2011 con l'obiettivo di aprire
      il Ponte al traffico il primo gennaio 2017». Lo ha detto il ministro delle Infrastrutture,
      Altero Matteoli, rispondendo ad alcune interrogazioni in Aula al Senato sul Ponte sullo
      Stretto di Messina. Sul costo dell'opera, Matteoli, ha spiegato che «per effetto
      dell'aggiornamento dei corrispettivi previsti, l'opera da un costo di 6,1 miliardi di euro
      passa a un costo complessivo di 6,3 miliardi, rispettando così il costo previsto». Nel
      ribadire che Governo e maggioranza sono «fortemente convinti di realizzarlo», Matteoli
      ha ricordato…

      Il Sole 24 Ore Radiocor, 4 febbraio 2010.

Durante il biennio del Governo Prodi il controverso progetto del Ponte che fin
dal momento del suo concepimento aveva finito per dividere anziché unire gli
italiani, pareva infatti destinato definitivamente ad obliare nel novero delle opere
ciclopiche che mai sarebbero state cantierizzate.
Secondo alcune stime, in 40 anni, il Ponte sullo Stretto è costato al contribuente
italiano oltre 160 milioni di euro.
La Lega, al solito, non ha nulla da obiettare. E si accoda.
In un momento, anzi, sembra addirittura familiarizzare con l’idea del Ponte.
Siamo nel 2005, si preparano le elezioni politiche del 2006, e Bossi si allea con
Lombardo (Mpa). Sulla scheda appare un simbolo comune. E pensare che solo
qualche mese prima, nel marzo 2005, la Lega «scatena un’offensiva senza
precedenti contro il progetto di ponte sullo Stretto di Messina. «Il ponte è un
ecomostro, un’opera vergognosa e dispendiosa, inutile sotto tutti i punti di
vista», dice Andrea Gibelli, nel 2005 capogruppo della Lega alla Camera, nel
2010 vice di Formigoni in Regione Lombardia (Signore e Trocino, Razza Padana,
Bur 2008, pp. 252-253). L’alleato Lombardo qualche mese dopo così dirà: «Il
Ponte servirà anche a guarirci dalla solitudine, a svelarci a noi stessi per quel che
siamo, uomini come gli altri: infatti lo chiamerei Ponte della Rivoluzione»
(ibidem, p. 257).

Leghisti ad altissima velocità

Sulla Tav è giusto dare la parola direttamente a Roberto Cota. Era il 2 febbraio
2010, in piena campagna elettorale:

      Roberto Cota, politiche di rilancio e di decisione. Ci spiega?
      «Dico che bisogna andare oltre questa empasse nella quale è caduto il Piemonte. Prenda
      ad esempio la Tav: non c'è più tempo perché i finanziamenti europei stanno per scadere,
      bisogna avviare l'Alta velocità altrimenti si perderà un'occasione unica. In questa
      situazione la Bresso cosa ha fatto? Ha rifatto l'alleanza con quelli che la Tav non la
      vogliono. Per capire meglio pensi al segnale forte da un punto di vista psicologico dei 5
sindaci del Pd che scrivono all'Osservatorio sulla Torino-Lione chiedendo che si riparta da
zero. Mi spiego? La Tav va fatta e subito».

Sì certo, però come la mettiamo con la società civile per buona parte contraria al
progetto?
«Comincio col dire che le manifestazioni molto spesso pullulano di persone che non
sono neanche piemontesi, manifestanti di professione. Detto questo bisogna aprire il
dialogo con i sindaci di tutti gli schieramenti e spiegare bene le ragioni e la bontà del
progetto Tav. Poi è chiaro che dobbiamo rivedere il piano di sviluppo della Val di Susa
colpita dalla cementificazione e industrializzazione selvaggia. Bisogna creare dei canali
che portino a delle ricadute positive per quella zona, rivedendo appunto il piano
strategico».
Del Porcellum non si butta via niente

Distanza dei cittadini verso le istituzioni? Roma lontana, che tradisce i ‘territorio’.
Che cosa c’è di meglio di una legge elettorale come il Porcellum? Nulla, anche
perché il Porcellum è leghista, made in Padania. L’ha inventato, come ognun sa,
Roberto Calderoli, il ministro della semplificazione (della democrazia?).
Del resto, come è noto, Calderoli aveva smentito se stesso ancor prima che i
cittadini votassero (forse per invitare, pedagogicamente, al voto, nel 2006).

      Parola dell'ex ministro della Lega Roberto Calderoli che, a Enrico Mentana il quale,
      durante la registrazione di 'Matrix', gli chiede di quale legge sia contento, risponde senza
      esitazioni: "La legge sui reati di opinione l'ho scritta io e sono onestamente orgoglioso e
      ovviamente la legge sulla legittima difesa". Poi, aggiunge, "Un po' meno orgoglioso sono
      della legge elettorale che si dovrà riscrivere". E già perchè, confessa Calderoli, "glielo
      dico francamente, l'ho scritta io ma è una porcata. Una porcata - precisa ancora - fatta
      volutamente per mettere in difficoltà una destra e una sinistra che devono fare i conti col
      popolo che vota".

      Roberto Calderoli a Matrix, Repubblica.it, 15 marzo 2006

Nel 2009, anche la decisione di rinviare (rendendo difficile se non impossibile il
raggiungimento del quorum) il referendum contro il Porcellum è leghista. Maroni
decide di non accorpare il voto con quello delle Elezioni Europee e lo sposta in
occasione del secondo turno delle elezioni amministrative, il 21 giugno.
Nei fatti, la Lega è indisponibile a qualsiasi riforma elettorale.
Alla Lega il Porcellum conviene, per tanti motivi. Perché dà l’impressione di
essere alleati con Berlusconi, ma senza troppa enfasi, così si possono
raggiungere anche gli elettori delusi dal premier, come la Lega fa abilmente. Una
sorta di paratassi, che poi serve per inaugurare la stagione dei distinguo di
governo, che la Lega ormai frequenta quotidianamente. «Non lo abbiamo deciso
noi, siamo in un’alleanza, certe cose si devono sopportare»: chiaro? Ci hanno
votato in un’alleanza…
Perché è un sistema che annulla le individualità e così si possono candidare
esponenti non proprio di primo piano, e il leader può avere diritto di vita e di
morte sulla lista da comporre. Perché nella Lega decide Bossi. E basta.
Perché è un sistema proporzionale, che la Lega ha sempre difeso, anche se
costruito in modo tale da rendere più fragile il rapporto tra eletti ed elettori. Alla
Lega interessa soprattutto il voto di partito. Forse è anche per questo, poi, che
ricorre ai doppi incarichi, per mantenere un legame con il territorio a cui tanto
tiene. Dal punto di vista delle poltrone, anche troppo.

P.S.: a proposito di maiale, vale la pena di ricordare un’altra «porcata» di
Calderoli.

      Il vice-presidente del Senato della Repubblica ed esponente della Lega Nord, Roberto
      Calderoli, già noto per le sue proposte fantasiose e talvolta provocatorie, è andato
      all'attacco sulla proposta di costruzione di una moschea, luogo di culto per gli islamici, a
      Bologna: «Metto personalmente fin da subito a disposizione del comitato contro la
      moschea sia me stesso che il mio maiale per una passeggiata sul terreno dove si
      vorrebbe costruire la moschea». Il senatore ha poi aggiunto: «Visto che dalle nostre parti
      ce n'è piena l'aria potremo organizzare in futuro il maiale-day ovvero concorsi e mostre
per i maiali da passeggiata più belli da tenersi nei luoghi dove chiunque pensi di edificare
non un centro di culto ma il potenziale centro di raccolta di una cellula terroristica».
Per la tradizione musulmana, infatti, il maiale è considerato un animale impuro che non
può essere toccato e mangiato, e quindi se toccasse il suolo sul quale si è deciso di
costruire, l'edificio non potrebbe più essere innalzato.
L'idea di Calderoli non è nuova, poiché ricalca quello che fece tempo fa a Lodi per
impedire proprio la costruzione di un'altra moschea.

Wikipedia, Maiale-Day, cfr. anche Corriere della Sera, «Un maiale-day contro la moschea»,
13 settembre 2007.
Il ‘sacro’ suolo

6 piazze del Duomo ogni giorno

Secondo l’Osservazione nazionale sul consumo di suolo:

      Il territorio Lombardo è pari a circa 2,1 milioni di ettari. Di questi, al 2005- 2007, le aree
      agricole coprono oltre 930mila ettari, quelle naturali (boschi, vegetazione arbustiva ed
      erbacea, vegetazione rada) circa 825mila ettari e le superficie urbanizzate oltre 288mila
      ettari. […] Tra il 1999 e il 2005/07 le coperture agricole del suolo sono state quelle più
      urbanizzate: oltre 22.000 ettari di campi sono diventate superficie urbane pari ad una
      riduzione del 2,3% dello stock di aree agricole del 1999. Si tratta di trasformazioni
      irreversibili e artificiali. Anche 2.600 ettari di superficie naturali sono diventate urbane,
      sebbene il saldo delle coperture naturali sia positivo: +3.900 ha circa. L’urbanizzazione
      rimane il fattore di pressione più forte verso l’agricoltura e la natura. Il tasso di crescita
      periodico dell’urbanizzato in Lombardia è stato pari a 8,7%.

I dati sono inequivocabili:

      Suolo URBANIZZATO in 6-8 anni
      + 22.954 ettari
      (pari a +4,7 città come Brescia)

      Suolo AGRICOLO PERSO in 6-8 anni
      - 26.728 ettari
      (pari a –5,4 città come Brescia)

      Suolo URBANIZZATO OGNI GIORNO
      103.000 metri quadri
      (pari a circa 6 volte piazza del Duomo di Milano)

«La Lombardia è una delle regioni più urbanizzate e cementificate d'Europa.
Negli ultimi anni il suolo è stato consumato al ritmo di 140.000 metri quadrati
(l'equivalente di circa 20 campi di calcio) al giorno, per un totale di quasi 5.000
ettari l'anno coperti da cemento ed asfalto, distrutti dall'edilizia residenziale e
commerciale, da strade, impianti industriali, centri commerciali e capannoni:
terra che non tornerà più, poiché è quasi impossibile che un terreno edificato
possa tornare fertile», così scrive un’altra Lega, la Legambiente.
Si citano gli esempi dei «grandi fondovalle alpini: in Valtellina e Valcamonica
urbanizzati ogni giorno 2300 mq di suolo di fondovalle; scompaiono prati e
coltivi, viene meno il paesaggio».
Oppure, sempre dal Primo rapporto 2009 dell’Osservatorio nazionale sul
consumo di suolo, si desume che in provincia di Varese, tra il 1999 e il 2005,
sono stati urbanizzati ogni giorno – mediamente – 5.000 metri quadrati di
terreno. Ogni settimana, in provincia di Varese, abbiamo cementificato un’area
pari a due volte la piazza del Duomo di Milano. Per cinque anni, giusto per avere
un’idea. «Stop alle cemenitificazioni, difendiamo la terra dei nostri padri!» è lo
slogan leghista. Quello che è successo in questi anni, a Varese e non solo,
dimostrerebbe il contrario. La terra dei nostri padri per i nostri figli non ci sarà
più. Sopra ci troveremo un bel centro commerciale.
In questo senso, va detto, le responsabilità non sono certo esclusivamente della
Lega. Anzi. Solo che colpisce il fatto che i difensori delle radici non si siano
preoccupati, in questi anni di governo senza interruzione, di proteggere anche il
piano campagna (o terra, se si preferisce), lasciando che le nostre regioni
fossero ricoperte di cemento.

In Veneto?

      Così in cinque anni in Veneto sono state rilasciate concessioni per 94 milioni di metri cubi
      di nuove costruzioni, l’equivalente di una palazzina alta e larga dieci metri e lunga 1800
      chilometri. […] Le costruzioni attuali, dicono i tecnici, sono sufficienti (anche tenendo
      conto dell’ondata migratoria) fino al 2022. In Veneto dal 2001 al 2006 sono state
      realizzate case per 788.000 persone (ma i nuovi abitanti sono soltanto 248.000). Nel
      solo 2002 sono stati costruiti 38 milioni di metri cubi di capannoni. Ma soprattutto: la
      superficie urbanizzata in Veneto è aumentata del 324 per cento rispetto al 1950 (mentre
      la popolazione è aumentata soltanto del 32 per cento).

      Ferruccio Sansa et alii, La colata, Chiarelettere 2010.

Per non parlare del Piano casa che non ha funzionato

E che è stato ovviamente sostenuto anche dalla Lega Nord, sospendendo
temporaneamente la campagna di affisioni: «Basta cemento!». Avrebbero
potuto aggiungere una nota a piè di pagina.
Piccolo commercio?

Opposizione commerciale

Cota delibera contro la proliferazione dei centri commerciali. Sono duri i leghisti,
contro i centri commerciali. E gli outlet, la nuova frontiera del “commercio
speculativo”. Come se non fossero mai stati al governo delle Regioni di cui
parlano e che dicono di amministrare solo da oggi:

      Anche nel Veneto della neo amministrazione di Luca Zaia, per esempio, c'è chi si è
      battuto – in passato – contro l’apertura alla grande distribuzione. L'attuale assessore all'
      Agricoltura Franco Manzato oggi ricorda come una vittoria per la Lega il blocco di un
      paio di delibere «che avrebbero inevitabilmente penalizzato i piccoli» nella passata
      legislatura regionale: «Certo, sarebbe stato ed è tuttora anacronistico additare i centri
      commerciali come il nemico. Ma lo spazio a loro riservato deve poter coesistere in
      equilibrio con la piccola e piccolissima distribuzione che non delocalizza mai, porta posti
      di lavoro e va sempre promossa e sostenuta».

      Elsa Muschella, Corriere della Sera, 29 aprile 2010.

La Lega ha bloccato due delibere. Cavoli. Chissà quanti sono i centri
commerciali del Veneto che sono riusciti a sottrarsi alla dura opposizione interna
della Lega…
In Lombardia, le cose non vanno molto diversamente. Già nel 2007, nell’ambito
dell’approvazione della nuova legge regionale sugli orari di vendita del settore
commerciale (n. 30 del 28.11.07), i dati dell’Istituto di Ricerca Scenari Immobiliari
confermavano che il settore commerciale nella nostra Regione è arrivato a
saturazione, con la presenza di ben 470 strutture di vendita distribuite per una
superficie di 3,4 milioni di metri quadri, senza contare i grandi centri
commerciali per i quali sono già state date autorizzazioni per la loro
realizzazione.
Anche in quel caso fu rimarcato, da Ardemia Oriani, consigliera Pd, che «la
scelta che la Giunta Regionale compie non è, infatti, quella della liberalizzare il
mercato, né tanto meno quella di definire equità nelle condizioni di competitività
nel settore, di cui si sente invece un grande bisogno, è bensì la scelta di
privilegiare ancora una volta la grande distribuzione, mettendo in discussione
l’equilibrio tra grande, piccola e media distribuzione, necessario per uno
sviluppo positivo del commercio in Lombardia».

Tiriamo via la polenta? Il circuito della speculazione

Cosa farà Zaia con Motorcity, ad esempio?
Leggiamo nel pezzo di Ferruccio Sansa, il Fatto Quotidiano, 8 maggio 2010

      Chissà che cosa deciderà il Governatore “contadino”. Luca Zaia deve ancora mostrare la
      sua idea del nuovo Veneto, deve far capire se intende proseguire sulla strada del
      predecessore, che sarà pure ministro delle Politiche Agricole, ma ha cementificato la sua
      terra. Sulla scrivania di Zaia presto arriverà un progetto che cancellerà 460 ettari di
      campi e modificherà per sempre la campagna veronese: l’autodromo di Motorcity, un
      progetto lanciato anni fa dalle società di Chicco Gnutti e Gianpiero Fiorani… sì, proprio i
      furbetti del quartierino. L’autodromo sarà una delle più grandi opere del Veneto, insieme
con il passante di Mestre e il Mose. Finora la Lega si è astenuta, ma adesso tocca a lei
      decidere.
      Siamo a Vigasio e Trevenzuolo, in provincia di Verona. A centocinquanta chilometri da
      Monza e Imola, due circuiti storici che in questo periodo non se la passano troppo bene.
      Già, l’industria automobilista è in crisi, la Formula 1 annaspa e punta sull’Asia dove girano
      soldi e fioriscono piste su isole artificiali. Ebbene, che cosa si fa in Veneto? Un autodromo
      lungo 5,2 chilometri per oltre un miliardo di investimento. […] Siamo al confine tra Veneto
      e Lombardia, dove la Lega affonda le sue radici, rurali più che metropolitane. Ora, però,
      all’immagine che avete davanti sovrapponetene un’altra: quella del futuro autodromo
      elaborata nel “rendering” degli architetti (www.motorcityvr.it). Ecco, al posto della
      campagna comparirà il serpente d’asfalto della pista. Ma il grosso del progetto, e
      dell’affare, sta nel centro commerciale da 769 mila metri quadrati, nel parco tematico
      da 350 mila metri quadrati (il doppio della vicina Gardaland), nel polo tecnologico (268
      mila metri quadrati), in alberghi, ristoranti e immancabili case. Poi caselli, strade e
      metropolitane. Insomma, cemento. «È un progetto colossale che rischia di stravolgere i
      nostri paesi, di Vigasio e Trevenzuolo, che saranno divorati da Motorcity, diventeranno
      un’appendice della pista», sospira Cesare Nicolis. La sua storia racconta tante cose del
      Veneto di oggi che ha il record dei cantieri, ma anche dei comitati. Nicolis è un ex
      dirigente di banca, uno che sa maneggiare bilanci e che a 59 anni ha deciso di andare in
      pensione per dedicarsi alla sua terra. Nel suo archivio conserva migliaia di pagine con la
      strana vicenda Motorcity.
      […] Oggi a tenere le redini sono le cooperative. Ma della società fanno parte anche enti
      locali. Perfino la Regione Veneto. Amministrazioni che con una mano firmano gli atti
      societari e con l’altra le autorizzazioni a costruire. E il progetto va avanti, nonostante i
      dubbi. Lo stesso Giancarlo Galan, allora Governatore, disse: «Quel progetto non mi
      convince». Ma intanto la Regione dà via libera. Nonostante le ombre delle valutazioni di
      impatto ambientale. Carte che forse gli abitanti di Vigasio e Trevenzuolo non conoscono.
      La società realizzatrice promette che a Motorcity arriveranno fino a 106.483 persone nei
      giorni feriali; nei giorni festivi si toccheranno 180.995 presenze. Molti visitatori, soldi,
      certo, ma anche inquinamento. E nel giugno 2008 l’Arpav mette nero su bianco le sue
      cautele: “La valutazione dell’impatto riguardo al Pm10 appare fortemente sottostimata.
      Dalle nostre stime l’aumento di traffico – anche realizzando sistemi di trasporto come la
      metropolitana – comporta un aumento delle emissioni di sei volte”. Parliamo di
      particolato, di polveri sottili, quegli inquinanti che se finiscono nei polmoni provocano
      tumori. Che minacciano soprattutto anziani e bambini. Il progetto, però, va avanti. A
      trainarlo è la promessa dei posti di lavoro. […] Il centrodestra è favorevole (nella società
      siedono anche ex amministratori del Pdl), mentre il centrosinistra è contrario. Beppe
      Grillo e i suoi meet up si sono battuti contro la pista. Alle elezioni di Vigasio, a marzo,
      vince il Pdl (41,4%), viene riconfermato il sindaco Daniela Contri che non ha mai fatto
      mistero delle sue simpatie per Motorcity (che tra l’altro risanerà le casse pubbliche con
      gli oneri di urbanizzazione): «è una grossa opportunità per il Comune e i proprietari dei
      terreni. Oggi c’è una distesa di granoturco, di polenta… tiriamo via la polenta…
      l’agricoltura non ha grandi prospettive». Maurizio Fontanili, presidente della Provincia di
      Mantova (Pd), contro Motorcity invece sta combattendo da anni: «siamo una delle zone
      più fertili d’Italia, qui si alleva il 17 per cento dei suini, si produce il 23 per cento di Grana
      Padano. Vi rendete conto dell’impatto che avrebbero sulla nostra terra centomila persone
      al giorno?». Mantova, però, è in Lombardia. A pochi passi da Motorcity, ma oltre la linea
      invisibile che divide le regioni. Insomma, rischia di dover subire le decisioni prese a
      Venezia.

La Lega si astiene. Franco Bonfante (Pd). «La Lega Nord ha dimostrato ancora
una volta la sua incoerenza. I leghisti avevano proclamato la loro contrarietà al
Motorcity anche di fronte alla popolazione di Vigasio. Si sono rimangiati tutto
dopo che Luca Zaia è stato indicato come candidato del centrodestra alla
presidenza della Regione. Hanno barattato lo sviluppo equilibrato del territorio
dei prossimi 50 anni con una poltrona» (L’Arena, 15 gennaio 2010).

Le Fornaci, Tradate: come ti costruisco il nulla
Ecco come ti difendo il suolo e come ti costruisco il nulla. In provincia di Varese.

«L’atteso multisalacon 7 sale cinematografiche, uno spazio ludico ricreativo che
comprenderà un bowling, sala giochi, centro benessere, palestra; in tutta l’area
saranno poi concesse venti licenze tra ristoranti, bar e fast food (tra cui
un McDonald’s), un albergo di due piani il cui edificio sarà tutto in vetro e che
comprenderà oltre 96 camere, una grande area feste coperta di due mila metri
quadri che rimarrà di proprietà del Comune, uffici e un centinaio di
appartmanenti residenziali. Il tutto con a disposizione 1.700 parcheggi disposti
su tre piani, di cui uno sottoterra. Inoltre, l’edificio della Fornace, una volta
restaurato, ospiterà sette tipi di attività ristorative», il tutto «su un terreno di
oltre 80 mila metri quadri […] il terreno della ex fornace, storica azienda del
tradatese ormai in disuso da diversi decenni». Ma la bergamasca Bitter srl non
poteva certo limitarsi a questi terreni, e così una variante al P.I.I. ha allargato il
progetto a quattro terreni vicini all’area già di loro proprietà.
Ci troviamo a Tradate, cittadina del Varesotto amministrata da Stefano Candiani,
segretario provinciale della Lega Nord. Candiani era sicuro della bontà del
progetto: «Sarà uno spazio a disposizione di tutti i giovani che oggi vanno a
cercare all’esterno della città. E poi è un progetto che cambierà il volto di tutto il
territorio con un indotto centinaia di nuovi posti di lavoro. […] Una risorsa
importante che valorizzerà sicuramente anche i centri storici, portando nuovi
visitatori in città».

Tempo due anni, siamo nel maggio 2008, la procura di Varese apre un’inchiesta
sull’area in questione, e «il sindaco di Tradate è stato raggiunto dall’avviso di
garanzia la mattina di martedì 13 maggio alle 10, quando gli agenti della Digos
hanno bussato al municipio di Tradate per sequestrare, su ordine del pm
Agostino Abate, tutta la documentazione relativa». «In particolare gli abusi
contestati riguarderebbero la lunghezza dei due edifici principali, quello del
multisala (lungo la Varesina) e quello dell’albergo (tra via Sciesa e via Curiel).
Entrambe le costruzioni sarebbero risultate più lunghe di alcuni metri (si parla di
3 per il lotto A e di 2,5 per il lotto B), difformità che genererebbero un notevole
incremento di volume realizzato. Le irregolarità in fase di notifica si aggiungono
a quelle già riscontrate alcuni mesi fa, che avevano già portato ad altri avvisi di
garanzia nei confronti del direttore dei lavori del cantiere e dell’amministratore
delegato di una delle società coinvolte nella realizzazione. […] Non è una
posizione semplice quella del comune di Tradate, che in questo momento si
trova sotto la lente d’ingrandimento della Procura, che sulla vicenda dell’ex
Fornace ha deciso di volerci vedere chiaro, passando al setaccio tutti gli atti
prodotti dal comune stesso. E del resto non poteva essere altrimenti, vista la
mole dell’intervento che muove capitali ingenti. Si tratta infatti di un affare
prossimo ai 100 milioni di euro: attualmente una delle iniziative private più
grandi in Italia».
Passano altri due anni, maggio 2010, e il grandissimo centro polifunzionale si
rivela un flop, tanto da spingere i commercianti al suo interno a richiedere – con
l’acqua alla gola - l’apertura domenicale. Picche, fanno sapere dal comune di
Tradate. «Purtroppo quando abbiamo scelto di aprire il negozio qui ci sono state
fatte molte promesse e rassicurazioni – spiega Stefano Racca, dal banco del suo
negozio di abbigliamento alla Fornace -, ad esempio sull'imminente apertura di
un supermercato, che per noi piccoli negozi sarebbe stata garanzia di un certo
giro di clienti. Il supermercato non ha aperto e adesso siamo addirittura
penalizzati. Qui siamo aperti dal 3 settembre 2009 e c'è qualcuno che ha già
chiuso i battenti. Io stesso se dovessi trovare un'alternativa me ne andrei, la
situazione non è per nulla piacevole, si sta parlando di famiglie che ci hanno
messo soldi ed energie, non ci si può ricordare della Fornace solo quando ci
sono da incassare gli oneri, noi abbiamo diritto di lavorare».
Il verdetto finale lo lasciamo a Il Sole 24 ore del 14 giugno 2008 (citato da
altratradate.com): «L'eco mostro più grande della Lombardia, il centro
commerciale della varesina, la Fornace, a due passi da Tradate, è stato colpito
da un avviso di garanzia della Procura di Varese inviato al sindaco leghista di
Tradate, anche a seguito delle inchieste giornalistiche (anche di Casa&Case)
sull'eccessiva cementificazione di questa zona. Intorno a Tradate in pochissimi
anni il Comune ha concesso la decuplicazione dell'attività edilizia, creando
un parco di invenduto impressionante, in alcuni casi con immobili mal costruiti. E
di conseguenza i prezzi sono crollati a poco più di mille euro al metro quadrato».

Riepilogando

Con l’astensione della Lega, Motorcity si farà. A meno che Zaia non intenda dire
qualcosa, dopo che la Lega ha approvato, in maggioranza, tutte le norme che
hanno consentito l’individuazione dell’area, il progetto dell’autodromo, la
costituzione della società e anche il comma che consente l’edificazione di un
nuovo centro commerciale monstre, di fatto in deroga alla normativa generale
sui nuovi insediamenti della grande distribuzione. Deroga votata: anche quella.
«In latte veritas» ovvero la Lega lattona

Galan ha perso. Ha vinto la Lega lattona. Sono anche andati sotto casa sua (sul
serio) per protestare. E adesso lo prendono in giro. Forse il ministro dovrebbe
lasciare anche perché era stato lui a chiedere agli altri di dimettersi. Lascerà?
Risponditore automatico: ma quando mai?!
Nel frattempo, è sufficiente leggere Wikipedia per capire che c'è qualcosa che
non va. Il motivo è presto detto: 4 miliardi, il costo degli interventi per sanare le
multe delle quote latte, a cui se ne aggiungerà un altro. Viviana Beccalossi, che
era stata a lungo assessore all'agricoltura in Lombardia (in quota Pdl), aveva
proclamato: «non passerà!». Infatti, passa. Con la fiducia. Senza discussione.
Come sempre.
«Hanno strumentalizzato un gruppo sparuto di allevatori, chiedendo i loro voti in
cambio di una difesa politica sulle quote latte. Parlano tanto di legalità e poi il
risultato è una pessima figura, l’ennesima, con Bruxelles», aveva detto l'ex
assessore. Ma per gli allevatori della proroga aveva garantito Bossi Jr.
Galan è sincero: «Il guaio ora è che tutti in Europa vedono quel che facciamo noi
e questo ci deve preoccupare». E, a proposito di legalità, la proposta da parte
del ministro era stata seria: «Si dimetta chi causa le sanzioni».
Chissà se i leghisti saranno inflessibili come sono stati con le rette della mensa di
Adro. Perché il pasto si può saltare, ma il latte multato, invece, va tutelato.
«Bisogna tenere duro» sulla vicenda delle quote «e spero che il parlamento
italiano abbia un minimo di dignità». Galan aveva sfidato la Lega.

      Un miliardo e mezzo di euro di multa che, divisi per i tre milioni di voti che la Lega ha
      preso nel 2008, fanno 500 euro. Il contribuente italiano pagherà salato i consensi che il
      Carroccio raccoglie tra le 23 mila aziende di allevatori del Nord che grazie al ”regalino”
      contenuto nella manovra correttiva, potranno evitare di pagare le multe.
      Un ”dono” ancor più pesante se si considera i tagli che il mondo dell’agricoltura ha già
      subito e che subirà molto presto dalle regioni. Inoltre, grazie al maxiemendamento, si
      premieranno i furbetti. Ovvero quegli allevatori che non hanno pagato, e non hanno
      intenzione di pagare le multe. Allevatori che la Lega, movimento che lotta contro gli
      sprechi... degli altri, difende e protegge trovando nel superministro dell’Economia un
      nume tutelare non da poco. Dice infatti il leader dell’Udc Pier Ferdinanco Casini: «La
      manovra economica è inevitabile ma è fatta male, si chiedono sacrifici ma poi si aiutano i
      furbetti delle quote latte. Ci sono troppi emendamenti della Lega di cui Tremonti è
      garante, il ministro è stato garante delle furberie della Lega». Casini sottolinea la
      questione morale perché «non si può dire a chi ha pagato che ci sono altri che fanno i
      furbi e non pagano. La Lega protegge quegli allevatori che non hanno pagato mentre
      sarebbero necessarie più equità e meno furberie».

      Il Messaggero, 19 luglio 2010.

«Sono sconcertato: i leghisti sono stati arroganti e irresponsabili», così conclude
Galan. E Dario Di Vico, editorialista vicino ai piccoli, sul Corriere della Sera, è
stato molto netto:

      La Lega in realtà sta rischiando di far pagare al Paese una scelta miope, quella di
      difendere sempre e comunque l’interesse immediato di piccole porzioni del proprio
      elettorato. I Cobas del latte sono costati già all’Italia all’incirca quattro miliardi di euro ai
      quali andrà aggiunto l’ammontare della maxi-multa (i pessimisti la stimano in un miliardo)
      che ci comminerà Bruxelles dopo l’apertura di una procedura di infrazione. Eppure Bossi
      insiste ed è disposto anche a far votare dalla maggioranza un atto di governo che serve
nella buona sostanza a coprire l’impunità degli allevatori. E così facendo dimostra che pur
       possedendo la golden share gli manca una «leganomics », un orientamento di politica
       economica credibile che metta al riparo il suo stesso partito dalle pressioni delle micro-
       lobby.
       La verità è che il sindacalismo di territorio sta mostrando la corda, si dimostra un alfabeto
       politico- culturale insufficiente di fronte alle sfide che il dopo-recessione impone.

       Dario Di Vico, «Quote latte, una vicenda che paghiamo tutti. Un conto già versato di 4
       miliardi, ai quali se ne aggiungerà un altro», Corriere della Sera, 15 luglio 2010.

C’è anche chi in Parlamento se ne approfitta, parola di ministro

Il ministro Galan tra le altre cose, confida: «Un parlamentare della Repubblica, si
chiama Rainieri, ha dichiarato di aver venduto le quote di produzione senza
produrre latte». Il Rainieri è parlamentare della Lega Nord, originario di Parma.
Ora, sulle quote latte la Lega-lità è sospesa per motivi elettorali. Ma che un
ministro accusi un parlamentare di aggirare le norme mi pare un fatto
clamoroso. Ci spiegate meglio? Perché, nella stessa intervista, Galan si diffonde
e afferma: «Non si possono tentare delle furbate e commettere un’infrazione
sapendo di farlo. E, poi, per aiutare chi?». In questo caso la domanda è retorica,
la risposta è leghista.

Cfr. La Stampa, 13 luglio 2010.

Un intervento ad quotam

Il Pd con Nicodemo Oliverio, capogruppo in Commissione Agricoltura alla
Camera, mette in risalto come si tratti di «un furto per il Paese onesto,
l’agricoltura ridotta a merce di scambio politico”. Già perché per un pugno di
allevatori Tremonti accetta di farci pagare una maximulta per la procedura
d’infrazione che la UE dovrà aprire, come ha già fatto sapere più volte, con un
maxisalasso di oltre un miliardo. Un governo ostaggio delle lobby che mentre è
lestissimo ad aumentare l’età pensionabile delle donne per evitare la procedura
d’infrazione, accetta immediatamente la maximulta che paga la cambiale agli
agricoltori padani».

Una storia lunga 4 miliardi di euro (di cui recuperati solo 300)

Nella ricostruzione della redazione di Partitodemocratico.it:

       La lunga controversia sulle “quote latte” nasce nel 1984, con una multa assegnata agli
       allevatori italiani che avevano prodotto più latte rispetto alla quota consentita dall’allora
       CEE. La gran parte degli allevatori multati erano fin dal principio del nord Italia. Le
       proteste con i trattori nelle piazze si susseguono per anni ed anni. Multe non pagate,
       dilazionate, con trattative che hanno spesso coinvolto i governi italiani, che hanno
       effettivamente ottenuto delle riduzioni delle multe ed un aumento della quota aggiuntiva
       consentita di latte prodotto del 5% nel 1999 con la riforma comunitaria nota come
       “Agenda 2000”.
       Il precedente ministro dell’agricoltura dell’attuale governo, Luca Zaia, aveva già ottenuto
       per l’Italia l’aumento delle quote produttive di altri 5 punti percentuali, piuttosto che 1%
       per 5 anni previsto da Bruxelles per gli altri Paesi dell’Unione, offrendo in cambio la
       regolarizzazione del pagamento delle multe attraverso un nuovo piano di rateizzazione
       fino a 30 anni. Poi passa l’emendamento leghista e c’è di più: i leghisti hanno anche
       ottenuto che il nuovo testo del provvedimento contenga un esplicito rimando agli
       «accertamenti in corso», cioè alle indagini condotte dall’Arma dei Carabinieri e
dall’apposita commissione di indagine sulle quote latte, sui dubbi sollevati dagli allevatori
      sulla legittimità delle multe inflitte per lo sforamento delle quote. Come se gli accordi
      stipulati negli anni con l’Ecofin (Consiglio Economia e Finanze dell’Unione Europea), non
      avessero valore. Tutto mentre il Commissario europeo competente in materia agricola,
      Dancian Ciolos, ci richiama: «Con l’Italia sono stato chiaro, non esistono margini negoziali,
      le regole vanno rispettate», ha dichiarato alla stampa. Anche perché nel mese di aprile
      del 2015 è previsto lo smantellamento definitivo delle quote latte, secondo l’ultimo
      accordo del novembre 2008 dei ministri agricoli dell’ UE.
      «Dopo le dichiarazioni del ministro Galan, sarebbe interessante sapere se tra i 67
      allevatori (perché è di questa cifra che stiamo parlando), che hanno usufruito dei
      benefici della legge Zaia, vi siano anche i finanziatori delle campagne elettorali della
      Lega, di Zaia e del Pdl». Si chiede Marco Carra, deputato Pd, nell’interrogazione
      parlamentare che ha depositato.
      È dura Colomba Mongiello, senatrice del Pd, in aula ha parlato di un «governo che ha
      messo a punto un meccanismo diabolico che d’ora in avanti ci autorizza a dire: Lega
      ladrona. Sulle quote latte la Lega mette tutta l’Italia nell’illegalità e fa pagare a tutti i
      contribuenti italiani le colpe di pochi produttori, e ci isola in Europa in un momento
      chiave per l’elaborazione della nuova politica agricola comune».
      Ha aggiunto la senatrice: «La manovra taglia 58,2 milioni di euro all'agricoltura ma riesce
      a scovare i soldi necessari per prorogare il pagamento delle multe quote latte per i 67
      grandi elettori della Lega Nord, è paradossale».

Credieuronord chiama Quote latte

Un’ultima chicca dalla cricca. Perché nel frattempo, allevatori ed ex parlamentari
leghisti sulle quote latte vanno a processo. In un filone dell’inchiesta Fiorani-
Brancher come ha riportato il Riformista:

      Mentre si discute dell’emendamento Azzollini, nel capoluogo lombardo ha avuto inizio il
      processo su una maxi truffa legata al sistema delle quote a carico di aziende agricole
      padane, tra Lombardia, Veneto, Emilia Romagna e Piemonte. Gli amministratori, i
      consiglieri e rappresentanti legali di due cooperative, La Lombarda e La Latteria Milano,
      sono accusati a vario titolo di peculato e truffa ai danni dello Stato per non aver versato
      all’Agea, Agenzia per le erogazioni in Agricoltura, dall’aprile del 2003 al febbraio del
      2009, oltre 100 milioni di euro di «prelievo supplementare» dovuto allo sforamento dei
      limiti Ue.
      Quando Frank Di Mario iniziò le indagini a inizio del 2009, su un esposto presentato in
      Procura, il quadro di fronte agli inquirenti fu abbastanza chiaro: le cooperative erano nate
      per aggirare il sistema delle quote. I due accusati di spicco sono Alessio Crippa e
      Gianluca Paganelli. Il primo, ex presidente della “Lombarda”, è stato tra i protagonisti
      della protesta dei Cobas nel 2002 e nel 2003, quando le strade del nord furono bloccate
      dalle proteste degli agricoltori. Non solo. Fra le altre società indagate della stessa
      inchiesta ce sono quattro che vedono tra i rappresentanti legali Giovanni Robusti, ex
      europarlamentare della Lega, da tempo escluso dal giro di via Bellerio. Robusti, infatti,
      ricompare in un altro procedimento giudiziario analogo, per truffa di quote latte a Cuneo:
      fu condannato a tre anni e mezzo di carcere.
      Dove nacque quest’ultima inchiesta? Da quella milanese su Credieuronord, l’istituto di
      credito tanto voluto da Bossi, poi finito in disgrazia, ma salvato dalla Banca Popolare di
      Lodi di Giampiero Fiorani. Lo stesso Fiorani che ha portato in tribunale Aldo Brancher, il
      breve ministro, per l’inchiesta sulla scalata ad Antonveneta, che andrà a sentenza il
      prossimo 28 luglio.

      Citato da Partitodemocratico.it
Malpensa, la punta dell’iceberg

«Un anno fa, eravamo venuti da tutta la Padania a Malpensa; faceva un freddo
cane; per protestare contro il progetto Prodi che voleva vendere Alitalia ad Air
France. […] Poi è venuto Berlusconi, è venuta la cordata, è venuta la Cai, è
venuta l´alleanza con Air France e sono rimasti pochissimi voli su Malpensa.
Quanto freddo abbiamo patito, in cambio di una beffa». Parola di Letizia Moratti,
sindaco di Milano. (Tito Boeri, La Repubblica, 14 gennaio 2009).
È questo l'epilogo di una storia iniziata mezzo secolo fa, quando tra gli anni ‘60
e gli anni ‘70 la SEA (compagnia che gestisce l'aeroporto) predispose alcuni
progetti per la realizzazione della “Grande Malpensa”. Cominciano in quel
periodo gli studi per la realizzazione di Malpensa, e le idee di partenza non
cambieranno fino alla realizzazione. Adozione del “modello a satelliti”, in voga
negli anni '60, che ben presto «si rivelò un disastro: gli aerei dovevano compiere
lunghi tragitti e movimenti per arrivare ai satelliti come i passeggeri ed i bagagli
che erano costretti a lunghi percorsi per raggiungere gli arrivi o le partenze. Va
detto che il numero di movimenti era basso rispetto agli anni successivi e quindi
il problema non era accentuato come ai giorni nostri». Chicago, Atlanta, Tokio,
Francoforte, o gli ampliamenti di Parigi Orly ed altri, tutti costruiti dopo gli anni
'80, hanno adottato una diversa tipologia, quella “lineare”. Malpensa, ultimata nel
1998, no.

La faremo volare

«La Lega farà volare Malpensa», titola così il sito della Lega Nord. Volare verso il
basso, senza controllo, si sono dimenticati di aggiungere.
Quando la crisi di Malpensa (e di Alitalia) era evidente a tutti, i proclami leghisti
si sono sprecati, come al solito: «una Lega pronta a tutto per difendere
Malpensa, anche geometrie variabili in Parlamento» (Roberto Castelli), «Per
Bossi Malpensa resta la madre di tutte le battaglie. I leader del Carroccio si
riuniscono per salvare lo scalo e i lavoratori» (La Padania), «Berlusconi è un
uomo del Nord, quindi dovrebbe comprendere appieno qual è l'importanza di
Malpensa. Non è soltanto un aeroporto, non è soltanto un'infrastruttura, è la
punta dell'iceberg della questione settentrionale». (Roberto Cota).
I fatti, purtroppo, ci raccontano un'altra storia.

Il fallimento di Malpensa

Quanti passeggeri all’anno passano per Malpensa? Nel 2009 sono transitati 17,5
milioni di passeggeri, collocando l’aeroporto milanese al 23° posto tra gli
aeroporti europei, e fuori dalla graduatoria mondiale che si ferma al 30° posto di
Monaco (con 32,7 milioni di passeggeri).
Beh, c’è la crisi. Sì, in tutto il mondo. E allora se prendiamo come riferimento il
2007, anno in cui Malpensa stabilì il record di 23,9 milioni di passeggeri, notiamo
che in Europa siamo stati superati da colossi (?) come Dusseldorf, Oslo, Vienna,
Antalya, Manchester, Mosca, Copenhagen, Stansted (Londra), Dublino, Palma di
Maiorca e Zurigo. Leader europeo Heathrow (Londra) con 65,9 milioni di
passeggeri all’anno, seguito da Parigi-Roissy (57,9 milioni) e Francoforte (50,9
milioni).
Sulla stampa locale si è azzardata la mirabolante cifra di 75 milioni di passeggeri,
nonostante le previsioni più ottimistiche siano 25 milioni di passeggeri nel 2015 e
circa 50 milioni nel 2030 (Certet Bocconi), e nonostante l’unico aeroporto al
mondo che abbia sfondato questa soglia nel 2009 sia Atlanta (88 milioni di
passeggeri). Sopra i 60 milioni solamente Heathrow, Chicago, Pechino e Tokyo.
Ambizioso, il popolo padano.




Il fallimento si ripercuote, ovviamente, nel campo occupazionale. «Alla fine,
dopo la pesante ristrutturazione, i dati attuali forniti dai sindacati parlano di
3000 lavoratori in stato di cassa integrazione e mobilità. Sono andati del tutto
persi invece all'incirca 1000 contratti a termine avviati soprattutto per le attività
commerciali e di ristorazione».
Esiste inoltre un “nodo SEA”, la compagnia che «si comporta anzi, come un
operatore che gioca al di fuori delle regole di mercato, costruendo all'interno del
sedime aeroportuale alcune attività in concorrenza con quelle esterne, senza
pagare oneri di urbanizzazione né ICI: ad esempio si sta costruendo un enorme
albergo da 500 camere proprio mentre, secondo i dati diffusi dalla
Federalberghi e relativi al primo trimestre del 2010 a Varese, l'occupazione delle
camere è scesa del 14,5 % a marzo (dal 49,8 al 42,6 %) e, nello stesso tempo, si
vedono in picchiata i prezzi medi delle camere, registrando un -10,7 % a marzo
(da 75,73 a 67,63 euro)».
Infine, il più odioso dei problemi. Malpensa è una vera e propria culla del
precariato, una «situazione che colpisce soprattutto i più giovani e le persone
più fragili. Malpensa secondo alcuni studi della Bocconi e della LIUC del 1997
doveva portare a 100.000 posti di lavoro; in realtà come sappiamo i posti sono
qualche migliaio e prevalentemente con contratti a termine o simili».
Esiste un altro fallimento, quello dell’hub Malpensa. All’inizio del 2009 la
situazione era già chiara: Milano perdeva posizioni come grande aeroporto del
Nord Italia. A raccontarlo, le classifiche di «accessibilità intercontinentali nel
trasporto aeromerci» elaborate da Certet-Bocconi: Per quanto riguarda Milano
(Malpensa) i recenti eventi riguardanti Alitalia segnano la crisi dell’aeroporto,
che slitta dalla VII alla IX posizione perdendo 8,9 punti rispetto all’edizione
dell’indicatore di dicembre 2007 (da 35,3 a 26,5); più precisamente, lo scalo
lombardo è oggi preceduto dai quattro colossi aeroportuali (Francoforte,
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Libro Verde

  • 1. Un PO di contraddizioni Il Libro Verde della Lega
  • 2. «La lega ha inventato le ronde e basta, in 15 anni non hanno inventato una cosa, sono solo ideologia. E mentre noi dicevamo che le ideologie erano finite, se ne sono costruita una!». Pierluigi Bersani, Venezia, 10 luglio 2010.
  • 3. Sommario Governano loro (anche se fanno finta di stare all’opposizione) Più voti alla Lega, meno soldi ai Comuni Basta tasse, basta Roma (sì, ciao) Letteratura di evasione Padroni a casa nostra, ma non in house Acqua: privatizzare le ampolle Il nucleare «a nostra insaputa» Strettamente favorevoli Del Porcellum non si butta via niente Il ‘sacro’ suolo Piccolo commercio? «In latte veritas» ovvero la Lega lattona Malpensa, la punta dell’iceberg Il genere letterario delle ordinanze Radici molto profonde La sicurezza e la cricca da difendere Ronde, taglie, collette e check point «Loro hanno subito l’immigrazione, ora vivono nelle riserve» Cattivismi Titoli di coda: Radio Padania
  • 4. Governano loro (anche se fanno finta di stare all’opposizione) L’antipolitica di governo Fin dai suoi esordi nel panorama politico nazionale, con la denominazione di Lega Lombarda, la Lega Nord si è candidata a occupare il terreno che i partiti tradizionali hanno cominciato a perdere nello spazio politico a partire dalla fine degli anni Settanta, inserendosi perfettamente in un processo storico di lungo corso. L’insoddisfazione crescente per le performance della classe politica italiana aveva spinto quote crescenti di elettorato verso due sponde distinte: il non-voto (composto da astensione, schede bianche e schede nulle) e nove formazioni politiche con carattere di protesta e opposizione. Tra queste, la Lega Lombarda si è distinta per la capacità di catturare consensi stabili, a differenza di altre formazioni che invece raccoglievano il voto d’opinione e mostravano nelle consultazioni successive una scarsa fedeltà degli elettori inizialmente conquistati. La proposizione politica della Lega si è progressivamente adattata al clima d’opinione e il suo modello è cambiato dall’iniziale cliché autonomista (che prendeva a riferimento Union Valdôtaine e SVP) a quello di un movimento di forte contestazione ai partiti tradizionali, tanto di governo quanto di opposizione. In questo modo il nuovo attore sulla scena politica ha cominciato a intercettare (anche) il voto degli elettori scontenti e insoddisfatti della classe dirigente. Oggi, 23 anni dopo l’elezione dei primi due parlamentari lumbàrd alla Camera e al Senato della Repubblica1, la Lega Nord è una formazione politica fortemente istituzionalizzata: quella presente da più tempo nel Parlamento italiano con la stessa denominazione. Tutte le altre hanno infatti una genesi molto più recente: il Popolo della Libertà e il Partito Democratico sono nati in occasione delle elezioni politiche del 2008, l’UDC e l’Italia dei Valori pochi anni prima, l’Api di Rutelli nel corso della corrente legislatura. Non solo: è anche il partito che può vantare il periodo più lungo trascorso al governo del Paese da tangentopoli in avanti. Alleati del primo governo Berlusconi, i leghisti hanno contribuito a fare cadere quel gabinetto, durato soltanto 8 mesi. Rappacificatisi con il Cavaliere, sono stati leali alleati di Forza Italia e del suo leader per l’intera XIV legislatura sostenendo i governi Berlusconi II e III dal 2001 al 2006. Nel 2008 sono tornati al governo nell’alleanza di centrodestra con il PDL. La Lega Nord ha quindi cumulato quasi 8 anni a presidio del governo centrale: più di qualsiasi altro partito, appunto. Il movimento insediato Nonostante queste considerazioni, i militanti della Lega si auto-percepiscono come partecipi di un movimento e i vertici della formazione sostengono questa percezione con dichiarazioni, posizioni e linguaggio movimentista, immediato, 1 Già nel 1983 la Liga Veneta, formazione federata con le altre leghe e poi confluita nella Lega Nord, aveva però conquistato un seggio in entrambi i rami del Parlamento.
  • 5. populista. La presunta diversità della Lega viene sostenuta e alimentata dai quadri, dai militanti e dai simpatizzanti, consolidandone la convinzione nell’elettorato. Oggi ha senso prendere atto del profondo grado di istituzionalizzazione della Lega, partito di governo nazionale e locale, in grado di assumere, orientare e condizionare le politiche del Paese su molti temi. Una forza politica istituzionalizzata è un soggetto che detiene il potere, lo negozia con altri partiti, occupa posizioni. Nel farlo evidentemente perde la verginità primigenia di fronte al potere (inizialmente concepito come strumento, come mezzo per realizzare le finalità politiche del movimento) e si adopera per conservarlo, per riprodursi, per assicurare un ruolo stabile ai suoi esponenti. Una breve ricostruzione del potere istituzionale della Lega Nord può rendere palese l’incongruenza tra l’immagine movimentista e la realtà. La Lega Nord ha una forte presenza a livello municipale con 2.500 consiglieri comunali; sono presenti nelle giunte comunali con 121 sindaci, quasi altrettanti vice-sindaci (106) e 402 assessori. In ambito provinciale vanta 194 consiglieri che esprimono 3 presidenti e 28 assessori nelle giunte, più 4 tra presidenti e vice-presidenti di consiglio. La capacità di insediamento in queste amministrazioni nelle regioni del Nord offre un’opportunità di sbocco al crescente numero di militanti, che si attivano per convinzioni profonde ma anche perché la Lega è un’opzione vincente nello scenario politico attuale e quindi attrae simpatizzanti anche perché promette percorsi professionali nella partecipazione politica. Per questo motivo, probabilmente, la Lega contesta gli sprechi e le inefficienze nella pubblica amministrazione ma è contraria all’abolizione di questo livello amministrativo intermedio con compiti residuali, schiacciato com’è tra Comuni e Regioni. Nelle regioni sono presenti 53 consiglieri leghisti e come è noto da quest’anno la Lega esprime i governatori di due delle tre più grandi regioni del Nord. Si contano due assessori (e il presidente del Consiglio regionale) in Lombardia, 4 in Piemonte e 6 in Veneto. Dopo la vittoria del centrodestra alle elezioni politiche del 2008, la Lega Nord vanta 59 deputati alla Camera e 26 senatori. Benché il Parlamento eserciti una sovranità limitata dal peculiare rapporto di subordinazione che si crea tra eletti nelle fila della maggioranza e capo del governo, a causa dell’attuale legge elettorale che prevede liste bloccate decise dai vertici dei partiti, il potere pure residuo si esercita nelle commissioni. Vale quindi la pena di fare mente locale sui ruoli occupati dai parlamentari leghisti nelle commissioni, evidenziando le 6 presidenze. Camera Lussana, vicepresidente della II commissione (Giustizia) Stefani, presidente della III commissione (Affari esteri e comunitari) Fava, vicepresidente della IV commissione (Difesa) Giorgetti, presidente della V commissione (Bilancio, tesoro e programmazione) Goisis, segretaria della VII commissione (Cultura, scienza e istruzione) Alessandri, presidente della VIII commissione (Ambiente, territorio e lavori pubblici) Buonanno, segretario della IX commissione (Trasporti, poste e telecomunicazioni) Dal Lago, presidente della X commissione (Attività produttive, commercio e turismo) Raineri, segretario della XIII commissione (Agricoltura) Pini, vicepresidente della XIV commissione (Politiche dell’Unione europea)
  • 6. Brigandì, vicepresidente della commissione parlamentare di inchiesta sugli errori in campo sanitario e sulle cause dei disavanzi sanitari regionali. Senato Bodega, segretario della I commissione (Affari costituzionali, affari della Presidenza del Consiglio e dell'Interno) Filippi, vicepresidente della III commissione (Affari esteri, emigrazione) Garavaglia, vicepresidente della V commissione (Programmazione economica, bilancio) Montani, segretario della IX commissione (Agricoltura e produzione agroalimentare) Monti, vicepresidente della XIII commissione (Territorio, ambiente, beni ambientali) Boldi, presidente della XIV commissione (Politiche dell'Unione europea) Divina, presidente della Commissione straordinaria per la verifica dell'andamento generale dei prezzi al consumo e per il controllo della trasparenza dei mercati Cagnin, segretario del Comitato per le questioni degli italiani all'estero Maraventano, segretario della Commissione di inchiesta sugli infortuni sul lavoro Rizzi, segretario della Commissione di inchiesta sull'efficienza del Servizio sanitario nazionale Sono particolarmente evidenti le tre presidenze di commissioni importanti della Camera dei deputati: bilancio tesoro e programmazione (affidata a Giancarlo Giorgetti, mente economica della Lega e ufficiale di collegamento tra il leader Umberto Bossi e il ministro Tremonti); ambiente territorio e lavori pubblici; attività produttive, commercio e turismo, nonché il livello di interlocuzione con l’Europa garantito dalla presidenza della commissione Affari esteri e comunitari. Infine il governo. L’attuale governo Berlusconi IV vanta un leghista al ministero dell’Interno, quindi due ministeri senza portafoglio ma con le chiavi per il cambiamento e le riforme, tema portante della retorica leghista: il senatùr Umberto Bossi al ministero delle Riforme per il Federalismo e Roberto Calderoli al ministero per la Semplificazione Normativa. Accanto ai ministri ci sono poi il vice-ministro Roberto Castelli (infrastrutture e trasporti) e i sottosegretari: Francesca Martini (Salute), Michelino Davico (Interno), Francesco Belsito (Sottosegretario di Stato alla presidenza del Consiglio per la semplificazione normativa). Partito di lotta e di sottogoverno Accanto agli incarichi istituzionali frutto del consenso elettorale e del peso parlamentare, che esprimono una specifica capacità di indirizzo normativo ma anche di orientamento degli investimenti sul territorio, la Lega occupa ormai da anni un sottobosco di potere a livello di enti e società di emanazione pubblica o a partecipazione pubblica: banche, autostrade, ospedali, Rai, Expo 2015, Finmeccanica, Cinecittà. Un censimento su questo piano è più difficile. Ci limitiamo a riferire i risultati di un reportage di Marco Damilano pubblicato da l’Espresso del 17 febbraio 2010, elencando le società in cui esponenti leghisti o persone designate dalla Lega hanno un ruolo. Consip, la spa del ministero dell’Economia per l’acquisto di beni e servizi destinati alle amministrazioni dello Stato: Danilo Broggi, amministratore delegato. Cinecittà: Roberto Codonati (consulente per l’immagine della Lega), membro del cda. Agea, l'agenzia che vigila sull'erogazione dei fondi comunitari per l'agricoltura: professor Dario Fruscio, presidente (designato su indicazione di Zaia). Finmeccanica: Dario Galli, membro del cda (e presidente della provincia di Varese) Fiera Milano: Attilio Fontana, membro del cda (e sindaco di Varese)
  • 7. Eni: Paolo Marchioni, consigliere di amministrazione (e vice-presidente della provincia di Verbano-Cusio-Ossola, nonché assessore al Bilancio) Sviluppo Sistema Fiere: Leonardo Ambrogio Carioni, presidente (nonché presidente della Provincia di Como, sindaco di Turate, presidente dell'Unione delle Province lombarde) Expo 2015: Leonardo Ambrogio Carioni, consigliere di amministrazione; Pedemontana: Leonardo Ambrogio Carioni, consigliere di amministrazione; Enel: Gianfranco Tosi, consigliere di amministrazione (ex sindaco di Busto Arsizio); Poste italiane: Mauro Michielon, consigliere di amministrazione; Sea (gestione dello scalo di Malpensa): Giuseppe Bonomi, presidente e direttore generale; Inail: Marco Fabio Sartori, presidente; Fincantieri: Francesco Belsito, consigliere di amministrazione; Rai: Giovanna Bianchi Clerici nel cda; Antonio Marano, vice-direttore generale; Serenissima: Attilio Schneck, presidente (e presidente della provincia di Vicenza); Buonitalia («la cabina di regia nella promozione dell'agroalimentare italiano nei mercati mondiali»): Walter Brunello, presidente. Nel mondo bancario un alleato prezioso è Massimo Ponzellini, presidente della Banca Popolare di Milano, oltre che di Impregilo. Nulla di scandaloso, ovviamente, o quasi: è insediandosi nei gangli dell’operosità quotidiana che una forza politica diviene egemone economicamente e culturalmente. Ma certo si tratta di una identità incompatibile con quella di un movimento dotato di una forte retorica censoria e moralista, che lucra consensi criticando l’attitudine dei partiti cosiddetti tradizionali a consolidare il potere attraverso l’occupazione di tutti i posti disponibili nella società civile e determinati dal livello politico. E che, quando è chiamato a rispondere delle proprie scelte, spesso finge di essere forza di «opposizione» all’interno dell’esecutivo Berlusconi (come già capitava con Galan ed è sempre accaduto con Formigoni) e non come forza di governo centrale, insediata e nel pieno delle proprie facoltà. Per decidere. Anche quando decide cose che poi non le piacciono. «Lega poltrona» «Roma ladrona, la Lega non perdona»: lo slogan, urlato più volte ai tempi di Pontida, è rimasto lo stesso fino alle ultime elezioni regionali. E - nonostante fosse figlio di una semplificazione inaccettabile - per certi versi rispecchia la realtà del Paese. Soprattutto per un verso, e cioè quando le stesse facce che si battono contro gli sprechi, contro il nepotismo, contro la “cattiva” politica, quella delle poltrone, si ritrovano ad avere due o più uffici, spesso difficilmente conciliabili, a Roma e al Nord. Troviamo così la difesa a oltranza del Nord, il vero e proprio sindacato del Nord, per raggranellare voti e costruire il consenso, al costo di causare possibili sprechi e inefficienze nell'intero sistema - con i soldi dei cittadini del Nord, si intende -, e troviamo il nepotismo, strictissimo sensu, che non premia il merito ma la consanguineità, che non guarda agli interessi del Nord, ma agli interessi della casta verde. Troviamo, infine, i fallimenti politici. Le cose non fatte e gli slogan mai realizzati. La realizzazione, insomma, di un quotidiano tradimento del Nord. Esistono veri e propri recordman, perché non è facile saper fare contemporaneamente «il deputato, il presidente della provincia e il sottosegretario all'Economia, con delega al bollente dossier sul federalismo
  • 8. fiscale» (Affaritaliani.it, 31 maggio 2010), a meno che non si possieda il dono dell'ubiquità. Daniele Molgora eppure ha rivestito tutti questi incarichi contemporaneamente, rinunciando, in questo periodo, allo stipendio da Presidente della Provincia, ma non a quello da sottosegretario e parlamentare. Commentando la rinuncia ha sostenuto: «Ecco quindi un ottimo esempio di risparmio virtuoso; a volte gli incarichi multipli permettono delle sensibili economie nell'interesse pubblico» (Il Messaggero, 20 maggio 2010). A fine maggio del 2010 ha deciso di lasciare il posto di sottosegretario: niente più economie per il Paese, anche se alla poltrona di Montecitorio non intende rinunciare. Per la cronaca Molgora è stato presente alle votazioni nel 24,28% dei casi, mentre nel 66,04% risulta essere «in missione», probabilmente nella lontana Brescia. Altro caso è quello di Roberto Cota, nuovo Presidente della regione Piemonte, nonché ovviamente parlamentare. Cota ha dovuto saltare la riunione del consiglio regionale convocato per il 25 maggio 2010 nell'urgenza della crisi economica e del dramma della disoccupazione con all'ordine del giorno il bilancio 2010. (La Repubblica, 31 maggio 2010, Deputati multi-incarico, undici col doppio stipendio di Antonello Caporale), perché anch'egli siede alla Camera dei Deputati, nonostante le due cariche siano costituzionalmente incompatibili. Ma come mai nessuno si è ancora pronunciato sull'incompatibilità, nonostante appaia così semplice e quasi automatico? È semplice anche la risposta: per dichiarare l'incompatibilità è necessario passare per una commissione parlamentare. E le commissioni parlamentari sono formate dai parlamentari. «La commissione parlamentare finora non ha potuto deliberare. La Lega diserta, il Pdl ha seri problemi a essere presente». Cota ha chiesto che la decisione sul suo doppio incarico, incompatibile per legge, fosse decisa dalla Giunta per le elezioni in futuro: richiesta accordata dalla maggioranza di centrodestra. Cota si è poi dimesso il 17 giugno 2010, dopo questa inutile manfrina. Ma la palma di campione del «gioco delle sedie» spetta a Gianluca Buonanno, che va ad aggiungersi al riconoscimento per aver «emesso un'ordinanza che vieta l'utilizzo del burkini, del burqa e del niqab alle donne islamiche, corredata di cartelli di avviso negli ingressi principali della città» (fonte: wikipedia.org). Gianluca Buonanno, per meglio difendere gli interessi del Nord, ha pensato di occupare più posti possibili. Ed è così che è riuscito a essere deputato, consigliere regionale in Piemonte, sindaco di Varallo Sesia e vicesindaco di Borgosesia. «Metta però che prima di fare il sindaco a Varallo sono stato sindaco a Serravalle. E a Borgosesia sono assessore esterno, ma con una lista che porta il mio nome», ha dichiarato a La Repubblica. Aggiungiamo noi che Buonanno è stato anche presidente della Provincia di Vercelli, ma si è dimesso il 15 giugno 2009. Commentando la sua pluripremiata attività Buonanno ha commentato: «Sono sul territorio, sempre e comunque. Come vuole Bossi». Ma avrà il tempo per stare in tutti i territori? La poltrona piace, ancora di più se doppia La cura degli interessi collettivi richiede tempo ed energie. Evidentemente non devono mancare alle decine di Deputati e Senatori leghisti che, oltre ad
  • 9. occupare gli scranni parlamentari, ricoprono cariche presso le amministrazioni locali di origine. Se la Lega ha fatto della valorizzazione degli amministratori locali, il suo cavallo di battaglia, è interessante considerare come questi amministratori possano occuparsi della «loro gente» dovendo assiduamente frequentare le aule parlamentari. L’elenco di deputati con il doppio incarico sembra essere infinito: su un gruppo parlamentare di composto da 59 persone, ben 15 hanno incarichi nelle amministrazioni locali, a cui si devono aggiungere Ministri e Sottosegretari. Ecco l’elenco dei doppioni della Camera: Massimo Bitonci: sindaco di Cittadella (PD); Giacomo Chiappori: sindaco di Villa Faraldi (IM), ma anche vicepresidente del Faita; Consiglio Nunziante: vicesindaco di Cazzano Sant'Andrea (BG) (dal 2004 al 2009 ne era stato Sindaco); Claudio D’Amico: sindaco di Cassina de' Pecchi (MI); Marco Desiderati: sindaco di Lesmo (MB); Giovanni Fava: consigliere provinciale a Mantova e comunale a Sabbioneta (MN); Luciano Dussin: sindaco di Castelfranco Veneto (TV); Gianluca Forcolin: sindaco di Musile di Piave (VE); Manuela Lanzarin: sindaco di Rosà (VI); Alessandro Montagnoli: vicepresidente della Camera e sindaco di Oppeano (VR); Giovanna Negro: sindaco di Arcole (VR); Ettore Pirovano: presidente della Provincia di Bergamo; Erica Rivolta: assessore del Comune di Erba (CO); Roberto Simonetti: presidente della Provincia di Biella e consigliere comunale di Mongrando (BI); Pierguido Vanalli: sindaco di Pontida (BG). Anche a Palazzo Madama il gruppo è nutrito: su un gruppo di 26 ben 12 hanno ruoli sul “territorio” (quasi il 50% del totale). Eccoli: Alberto Filippi: consigliere comunale di Vicenza (VI); Massimo Garavaglia: fino al 2009 sindaco, ora consigliere comunale di Marcallo con Casone (MI); Angela Maraventano: vicesindaco di Lampedusa e Linosa (AG); Sandro Mazzatorta: sindaco di Chiari (BS); Enrico Montani: consigliere comunale di Verbania (VB); Cesarino Monti: assessore e consigliere comunale di Lazzate (MB); Roberto Mura: sindaco di San Genesio ed Uniti (PV); Fabio Rizzi: sindaco di Besozzo (VA); Giovanni Torri: consigliere comunale di Langhirano (PR); Gianvittore Vaccari: sindaco di Feltre (BL). Paolo Vallardi: Sindaco di Chiarano (TV) Mandell Valli: Consigliere provinciale di Como. «Se il caso non ti avesse voluto erede…» Inizia così la lettera che Marco Pinti, consigliere provinciale leghista di Varese ha indirizzato a Renzo Bossi, detto Il Trota a seguito di un celebre battuta del papà (La Provincia di Varese, 7 febbraio 2010). Il consigliere leghista ed esponente nazionale dei Giovani Padani esprime con queste parole tutta la sua delusione per l’investitura a consigliere regionale del figlio di Umberto Bossi. Chissà cosa ne penserà il giovane consigliere Pinti sull’idea del Senatùr di incoronare il figlio Renzo a leader del carroccio: scelta a cui pare abbia partecipato anche Silvio Berlusconi (Corriere della Sera, 12 Settembre 2008).
  • 10. Dopo esser stato per settimane candidato a possibile membro di un osservatorio per l’Expo 2015 da circa 12.000 euro al mese, Renzo finalmente un posto l’ha trovato: nel Consiglio regionale della Lombardia. Eletto a Brescia. Con tanti, tantissmi «Bossi» sulla scheda. Ha conquistato il prestigioso incarico con vari meriti: tra i suoi fiori all’occhiello, la partecipazione ad un gioco di Facebook, Rimbalza il clandestino (La Stampa, 2 febbraio 2010), ed il ruolo di segretario generale (del partito, macché) della nazionale di calcio padana, campione del mondo tra le nazioni non riconosciute. Toccatemi tutto, ma non le mie province Mentre si discute dell’abolizione di alcune province, le più piccole (con una popolazione inferiori ai 120.000 abitanti, ma non quelle sul Confine di Stato, tipo Sondrio), qualcuno si ricorda che la Lega, nella provincia in cui è stato supervotato Renzo Bossi, aveva recentemente proposto la nuova Provincia della Valcamonica. E i Camuni? Niente ai Camuni? Deciso a vendicare l’ingrata storia, il deputato leghista Davide Caparini ha deciso di tirare dritto: vuole a tutti i costi la nuova Provincia della Valcamonica. Capoluogo: Breno, metropoli di 5.014 anime. Direte: ancora un’altra provincia? Ma non avevano promesso quasi tutti di abolirle? Certo: prima delle elezioni, però. […] Se dovesse passare l’iniziativa camunica del parlamentare del Carroccio, quella con capitale Breno (inno ufficiale: «E su e giù e per la Valcamonica / la si sente la si sente...») sarebbe la provincia numero 110. Quando nacquero nel 1861, al momento dell’Unità d’Italia, erano qua-si la metà: 59. Distribuite sul territorio con un criterio semplice: dovevi attraversare ciascuna in una giornata di cavallo. Nel 1947 erano già 91. E col passaggio dagli equini alle autoblu, hanno continuato ad aumentare, aumentare, aumentare a dispetto del proposito dei padri costituenti, che avevano previsto la loro aboli-zione con l’arrivo delle Regioni, fino a diventa-re 95 e poi 102 e su su fino a 109 Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella, Corriere della Sera, 14 ottobre 2009 Del resto, «Chi tocca Bergamo…», si sa, finisce male: «È una notizia falsa. Nella manovra economica varata dal governo non ci sarà nessuna abolizione delle province». Lo ha detto il ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, rispondendo ad una domanda specifica dei parlamentari Pdl, riuniti alla Camera per ascoltare l’illustrazione della manovra da parte dello stesso Tremonti e del premier, Silvio Berlusconi. Quanto al taglio delle province, Bossi afferma che «andare oltre» sarà «difficile». Scherzando, il leader del Carroccio aggiunge: «Se provi a tagliare la provincia di Bergamo, succede la guerra civile…». Blitzquotidiano, 26 maggio 2010
  • 11. Più voti alla Lega, meno soldi ai Comuni Lo dicono a Varese, e lo dice anche la Lega. Del resto, Tremonti ha spiegato come ti taglio i trasferimenti ai comuni: «Se i tagli della manovra finanziaria nazionale ai danni delle Regioni sono insostenibili, quelli imposti ai comuni lo sono almeno altrettanto». L'ennesimo grido di allarme arriva ancora una volta dal Partito democratico e dai suoi consiglieri regionali varesini Stefano Tosi e Alessandro Alfieri. «Considerando i soli comuni con più di cinquemila abitanti – spiegano i consiglieri -, 443 su 1500, un terzo di quelli lombardi, il taglio che il Governo prevede di applicare alle amministrazioni cittadine è di 1,4 miliardi nel prossimo biennio». Un taglio che in provincia di Varese si traduce così: i quarantasette comuni con popolazione superiore ai cinquemila abitanti, cioè quelli che sono soggetti al patto di stabilità, dovranno tagliare la spesa di 31.220 milioni nel 2011 e di 42.208 milioni nel 2012. Il più colpito è Cardano al Campo, che dovrà risparmiare circa il 30 per cento rispetto al 2010, quasi 6,9 milioni nel biennio, più di quanto imposto a Busto Arsizio, che pure dovrà contrarre la spesa di oltre il 14 per cento. Duramente colpiti anche Venegono Inferiore, Jerago con Orago e Besozzo, che lasceranno sul campo attorno al 15 per cento. Varesenews, 16 giugno 2010 A stretto giro di posta, la ‘replica’ del sindaco leghista di Varese, Attilio Fontana: «Così la manovra è insopportabile», (Varesenews, 17 giugno 2010) Lo stesso Fontana, presidente di Anci Lombardia, qualche giorno più tardi, si lascia andare. Le sue uscite sono memorabili: «Tutto si può dire, meno che questa sia una Finanziaria federalista...». «Purtroppo è la Finanziaria nel suo complesso a non muoversi nella direzione del federalismo, ne tradisce i concetti cardine e cioè la libertà per gli enti locali unita al principio di responsabilità». «Rischiamo di condurre alla morte molte delle nostre città e dei nostri territori». Attilio Fontana, sindaco di Varese, Lega Nord, Corriere della Sera, 22 giugno 2010. Trasferimenti dello Stato ai Comuni del Veneto Chissà come vanno le cose in Veneto. Lì c’è Zaia, che è uno che sa il fatto suo e sicuramente in questi anni è riuscito a condizionare gli alleati per dare più rsorse alla sua regione: Trasferiti nel 2003: 956,3 Milioni di € Trasferiti nel 2009: 786,2 Milioni di € Rispetto al 2003: 170,1 Milioni di € in meno Mancato rimborso ICI 2009: 35,5 Milioni di € in meno In totale nel 2009: 205,6 Milioni di € in meno Fonte: Marco Stradiotto, www.marcostradiotto.it Comuni senza Ici
  • 12. La Lega guida la rivolta. Contro Tremonti e contro se stessa. D’altra parte, dal punto di vista economico, si assiste a un approccio tutt’altro che federalista: si tratta di un rinnovato centralismo. Alcune scelte lo testimoniano chiaramente. Come scrivono i deputati del Pd, l’esenzione della “prima casa”, in particolare, ha comportato una perdita di gettito ICI, per il 2008, pari al 23,3% di accertato e pari al 26,4% di riscosso: vale a dire un quarto della voce di entrata tributaria maggiormente importante per i Comuni. L’abolizione dell’ICI sulla “prima casa”, infatti, non ha riguardato la totalità delle famiglie proprietarie della casa di abitazione. Era già vigente un sistema di detrazioni, rafforzato dal Governo Prodi, che abbatteva l’ICI sulla casa di abitazione fino a circa 300 euro di importo dell’imposta. L’abolizione introdotta dal Governo Berlusconi, quindi, ha beneficiato solo le famiglie proprietarie di appartamenti per i quali era dovuta un’imposta superiore ai 300 euro. L’iniquità del provvedimento è dunque palese, dato che si tratta di una “redistribuzione al contrario” che premia le famiglie più ricche, equiparandole a quelle con patrimoni di valore inferiore, ed esclude totalmente le famiglie in affitto, che nemmeno sono proprietarie della casa in cui abitano. La redistribuzione è perversa anche in senso territoriale, perché premia di più le famiglie residenti al Nord rispetto a quelle del Centro-Sud, nonché quelle residenti in aree urbane a maggiore valore immobiliare, spesso maggiormente dotate di infrastrutture materiali e immateriali, rispetto a quelle residenti in aree rurali». Fonte: Federalismo a parole. Deputati Pd.
  • 13. Basta tasse, basta Roma (sì, ciao) Dati alla mano si sfata un luogo comune del centrodestra: non è affatto vero che i governo del Cavaliere hanno ridotto la pressione fiscale: in nove anni le entrate sono cresciute del 33%. Certo, la crisi economica dà il proprio contributo (con una sensibile riduzione del Pil che naturalmente comporta un aumento della pressione fiscale), ma qualche parola in più va spesa. Il sogno: "Meno tasse per tutti". La realtà: nel 2000 le entrate complessive dello Stato rappresentavano il 45,4% cento del Pil, nel 2009, alla fine del "decennio berlusconiano", questa percentuale è salita al 47,2%, il valore più alto mai raggiunto. In termini assoluti, nello stesso periodo le entrate sono cresciute del 33%, un valore superiore di ben 12 punti percentuali rispetto alla crescita dei prezzi, ferma al 20,6%. […] 1) le entrate dello Stato nel "decennio berlusconiano" non soltanto non sono diminuite ma sono addirittura aumentate, in relazione sia all'inflazione, sia al prodotto interno lordo. Non soltanto non c'è quindi stata la promessa riduzione delle tasse, ma al contrario è aumentata la voracità dello Stato. 2) L'incremento delle entrate dello Stato non è stato però causato da un incremento omogeneo delle principali fonti di gettito, ossia imposte dirette (quelle sul reddito), imposte indirette (Iva e accise) e contributi previdenziali (essenzialmente Inps e Inpdap). […] Le imposte dirette non sono aumentate, ma neppure diminuite, ed in ogni caso non vi sono state "meno tasse per tutti". È invece leggermente diminuito il gettito delle imposte indirette, ossia Iva e accise, se lo si rapporta all'andamento dell'inflazione (meno 2,3 per cento nel periodo considerato), ed in particolare, se lo si confronta con il Pil: da un 14,7 per cento del 2000 si è scesi ad un 13,6 del 2009. In particolare, c'è da notare che la riduzione più accentuata è avvenuta negli ultimi due anni, e cioè nel 2008 e nel 2009 (nel 2007 era ancora uguale a quella del 2000). Questo spostamento dal prelievo indiretto a quello diretto viene in genere considerato nei testi di Scienza delle Finanze come un fatto equitativo: infatti con le imposte dirette si paga in maniera progressiva a seconda del reddito (più è alto più si versa al fisco). In altre parole, i più "poveri" pagano meno tasse in proporzione al proprio reddito. Al contrario, sempre nella dottrina classica, il minore peso delle imposte indirette può essere considerato un fatto positivo dal punto di vista sociale, in quanto le imposte indirette non hanno natura progressiva, e quindi rappresentano un fardello evidentemente più pesante per i percettori di redditi più bassi. Calando questi argomenti nella situazione italiana, caratterizzata da un'evasione fiscale impressionante (si stimano ormai 120 miliardi di euro di imposte non pagate), la riduzione del gettito delle imposte indirette che si è verificato, ad aliquote Iva e importi delle accise invariati, potrebbe segnalare una maggiore evasione, che si realizza essenzialmente con le attività in nero e con il meccanismo delle cartiere, ossia delle società create per emettere fatture false. […] Sono cresciute le imposte dirette - che colpiscono particolarmente coloro che, come i dipendenti (ma anche molti autonomi) non possono evadere - e questo non è in Italia e nelle attuali circostanze un fatto positivo: dice soltanto che si è accresciuto l'obolo che lo Stato pretende sui redditi effettivamente dichiarati. Ovvero, come ha detto di recente il Governatore della Banca d'Italia, sostanzialmente sulle stesse persone. Mentre non ci sono stati nel decennio berlusconiano segnali di un recupero dell'evasione, altrimenti si sarebbe visto anche un aumento delle imposte indirette. Va comunque detto che il calo delle imposte indirette negli ultimi due anni è certamente da mettere in relazione anche con la crisi economica. Da notare, tuttavia, che nel decennio considerato l'anno in cui il gettito delle imposte indirette è stato più alto in assoluto è il 2007, al tempo del secondo governo Prodi: 227 miliardi, poi scesi 216 nel 2008 e a 207 nel 2009. Insomma, comunque la si voglia vedere, di certo i governi di Berlusconi non si sono caratterizzati per una lotta all'ultimo sangue contro l'evasione e l'elusione. Anzi. A. Bonafede e M. Di Pace, Repubblica, 10 luglio 2010 Ecco il risultato di sedici anni di promesse in tema di riduzione della pressione fiscale:
  • 14. Pressione fiscale dal 1994 in % sul PIL 1994 40,8 1995 41,2 1996 41,6 1997 43,7 1998 42,3 1999 42,4 2000 41,6 2001 41,3 2002 40,8 2003 41,4 2004 40,6 2005 40,4 2006 42,0 2007 43,1 2008 42,9 2009 43,2 Fonte: Istat. rielaborata dal blog Il Nichilista di Fabio Chiusi
  • 15. Letteratura di evasione Dopo un quindicennio di condoni e lo scudo fiscale, tutti provvedimenti che la Lega ha votato senza fare un plissé, ecco che, con qualche ritardo Berlusconi, Bossi e Tremonti scoprono l’evasione fiscale. Qualcuno potrebbe considerarlo un mezzo miracolo, in un Paese dove il 27% del Prodotto interno lordo sfugge regolarmente al Fisco e l’evasione veleggia paciosamente (e sfrontatamente) verso quota 100 miliardi l’anno. O forse più. E tale sarà, se uscirà indenne dalla battaglia parlamentare che già si prepara. Perché le misure della manovra fiscale, va detto, sono oggettivamente senza precedenti per una maggioranza che nel passato aveva sostenuto la politica scriteriata dei condoni e delle sanatorie. Certo, si è dovuto rispolverare il principio, anche se in forma più morbida (il tetto massimo per l’uso “legittimo” dei soldi liquidi è fissato a 5 mila euro), della tracciabilità dei pagamenti su cui aveva puntato il centrosinistra. E che il centrodestra aveva spazzato via bollandolo come una forma insensata di controllo poliziesco sul denaro, sottolineando come in caso contrario il limite per l’utilizzo del contante sarebbe sceso progressivamente fino a 100 euro. Ma la tanto contestata tracciabilità, unita ad altri due meccanismi come il nuovo redditometro e la fattura telematica potrebbe davvero rappresentare, se non altro sulla carta, un deterrente micidiale per l’evasione. Il redditometro, innanzitutto. I tecnici di Attilio Befera, il capo dell’Agenzia delle Entrate, ci stanno lavorando da settimane. Per arrivare a una soluzione completamente diversa dall’ormai desueto meccanismo messo a punto negli anni Ottanta. La grossa novità è che sarà impostato su un criterio territoriale. Diverso quindi da regione a regione, ma anche da provincia e provincia, come da città e periferia. Il redditometro dei milanesi sarà differente da quello dei romani o dei palermitani. Secondo l’idea che un avvocato o un dentista di Milano ha di sicuro maggiori possibilità economiche rispetto a quelle di un suo collega di Napoli o Reggio Calabria. Una specie di “gabbia salariale” fiscale per i ricchi e i benestanti che funzionerà sulla base di numerosi parametri. Non più soltanto la barca, la Porsche o il cavallo nel maneggio, ma pure le crociere di superlusso, le scuole private con rette astronomiche, i circoli sportivi da vip, le palestre alla moda… Sergio Rizzo, Corriere.it, 31 maggio 2010.
  • 16. Padroni a casa nostra, ma non in house È la norma con cui si cerca di “sotterrare” l’utilizzo delle società “in house” per la gestione dei servizi pubblici locali, proprio mentre di quel tipo di società si fa sempre più ampio uso da parte dello Stato e dei Ministeri centrali. La questione riguarda l’acqua e le ampolle di cui parleremo tra qualche riga. Intanto vale la pena di approfondire anche questo aspetto, perché «in house», dopotutto, vuol dire «a casa propria». L’in house – che riguarda gli affidamenti «all’interno della pubblica amministrazione, ad esempio tra amministrazione centrale e locale o, ancora, tra un’amministrazione e una società da questa interamente controllata» - non va bene, dice il governo. Rispondono i deputati dell’opposizione: Prima bugia: non c’è nessun obbligo né nessuna infrazione comunitaria a cui il nostro paese debba corrispondere. Seconda bugia: la sentenza della Corte di Giustizia europea, a cui il governo ha fatto riferimento come motivo fondamentale dell’intervento d’urgenza, è successiva all’emanazione del decreto e si occupa di società miste, e non di società pubbliche. Terza bugia: il ministro Fitto dichiara a Il Sole 24 Ore che negli ultimi anni avremmo assistito a «vergognose politiche di pubblicizzazione» nel settore dell’acqua. Questa è davvero grossa come bugia, dato che negli ultimi quindici anni, dopo la legge Galli, alla precedente gestione diretta dei Comuni si è sostituita una gestione industriale del ciclo dell’acqua che, su 114 ATO, vede oggi 56 casi di gestioni miste e 58 di gestioni pubbliche. Il Partito Democratico difende invece il principio della libertà di scelta della gestione ottimale dei servizi pubblici locali, compresa l’acqua, da parte delle comunità locali e delle loro rappresentanze democraticamente elette. Quarta bugia: il governo propaganda che per i cittadini ci saranno solo vantaggi, mentre il rischio vero è che questo Governo metta le mani nelle tasche degli italiani tramite aumenti non regolati delle tariffe di servizi essenziali come quelli dell’acqua e dei rifiuti. Settori in cui non esiste neppure, né è prevista dalle norme di questo decreto, un’autorità nazionale di controllo sulla qualità dei servizi e sulla congruità delle tariffe. Fonte: Federalismo a parole. Deputati Pd. In un documento inviato dalla sede centrale della Lega Nord, firmato dal segretario Giorgetti e dal vice Reguzzoni, e disponibile su internet, così si legge. La Lega Nord ribadisce il proprio sì alla gestione pubblica, preferendo la gestione in house (società a capitale pubblico controllata dal pubblico) al monopolio dei privati o delle multinazionali europee e vuole altresì garantire ai cittadini una gestione efficiente dei servizi, economica e di qualità, consentendo la crescita delle nostre imprese al fine di renderle competitive sul mercato europeo e internazionale. […] È innegabile che senza la Lega Nord i servizi pubblici locali (acqua, gas, trasporti, ecc.) sarebbero gestiti dalle multinazionali francesi da oltre dieci anni, e la presenza al Governo della Lega Nord ha contribuito a rafforzare i ruolo del pubblico e ad evitare la privatizzazione delle reti. Peraltro occorre dire che solo l’apposizione della questione di fiducia sul provvedimento ha evitato che sull’argomento la Lega votasse ulteriori emendamenti migliorativi nel senso da noi auspicato. Del resto però una coalizione si basa sulla ricerca del consenso, e bisogna prendere atto che con gli alleati del PDL sull’argomento «servizi pubblici locali» le posizioni erano e sono differenti. http://www.padaniaoffice.org/pdf/ambiente/doc_politici/acqua_pubblica.pdf
  • 17. Meno male che c’è stata la Lega, così il governo ha potuto votare una legge che obbliga l’ingresso dei privati (i francesi!) per almeno il 40% nelle società pubbliche, che supera definitivamente l’in house (quello a cui teneva la Lega, nella propaganda, e che ora tenta di difendere con un ordine del giorno ‘postumo’) e che aderisce perfettamente a quelle posizioni «differenti» che il resto del governo ha imposto al Parlamento.
  • 18. Acqua: privatizzare le ampolle La Lega vota il decreto Ronchi che costringe gli enti locali a una forzata privatizzazione dell’acqua. Secondo il vicecapogruppo del Carroccio alla Camera, Marco Reguzzoni, «la fiducia impedisce di migliorare ulteriormente il testo. Presenteremo dunque un ordine del giorno e lavoreremo con il governo per renderlo più aderente alle aspettative degli amministratori locali del Nord». A babbo morto, il solito distinguo. «Il testo che è arrivato dal Senato è migliorativo rispetto a quello originario, però la Lega sull'articolo 15 (quello sui servizi pubblici locali, ndr.) avrebbe voluto migliorarlo per farlo corrispondere con la sua posizione storica a favore dell’acqua pubblica». Avrebbero voluto migliorarlo, ma non hanno potuto. Già. Cfr. Corriere.it, 17 novembre 2009. Eppure la posizione ufficiale era un po’ diversa Il programma della Lega, così come riportato sul sito internet del movimento, affermava cose un po’ diverse (in neretto quelle salienti): Affrontare il tema delle risorse idriche significa intervenire attraverso una energica e oculata politica di investimenti, con interventi organici sull’intero ciclo d’acqua (dalla fase di prelievo a quella del rilascio), che coinvolga tutti gli aspetti economici, gestionali e di programmazione e con il fine di frenare lo sfruttamento indiscriminato della natura. La legge n. 36 del 1994 (cd. legge Galli), ha avviato un processo di riorganizzazione dell’intero settore idrico introducendo il principio di salvaguardia della risorsa e la sua gestione integrata. A tal fine, è stata prevista la creazione di nuovi soggetti istituzionali, gli Ambiti territoriali ottimali (ATO), con lo scopo di superare la frammentazione delle gestioni nel rispetto dell’unicità del bacino idrografico, e l’istituzione del Servizio Idrico Integrato (SII), inteso come l’insieme dei servizi pubblici di captazione, adduzione e distribuzione d’acqua a usi civili, di fognatura e depurazione delle acque reflue. L’introduzione di direttive e leggi, miranti a proporre gare per l’assegnazione della gestione delle reti e l’erogazione dei servizi pubblici locali, ha reso il quadro normativo molto complesso e articolato e favorito, a livello nazionale, un orientamento in tal senso; questo, però, determina, come conseguenza, che multinazionali straniere possano introdursi nel nostro sistema, traducendosi di fatto nella svendita del nostro patrimonio idrico. La previsione di un regime particolare per la gestione dell’acqua dei comuni, introducendo la possibilità di rendere facoltativa l’adesione alla gestione unica del servizio idrico integrato è, dunque, un passaggio fondamentale; la Lega Nord ha presentato un Progetto di legge A.C. 1326- XV Legislatura, “Modifiche al decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, in materia di gestione del servizio idrico e di determinazione delle relative tariffe nei comuni montani” che prevede che l’adesione al servizio idrico integrato sia facoltativa per i comuni con popolazione fino a 1.000 abitanti, nonché per i comuni con popolazione fino a 3.000 abitanti inclusi nel territorio delle comunità montane. Fino a poco tempo fa i comuni hanno gestito in economia il proprio servizio idrico e le amministrazioni comunali si sono adoperate per preservare la rete e il suo corretto funzionamento. La gestione del servizio da parte di un unico gestore centrale e l’introduzione di una tariffa unica a livello di ATO porterebbero alla rottura del fragile equilibrio dell’economia locale. E’ evidente che l’acqua non può cedere alle logiche di mercato: è un bene comune e, come tale, va gestito pubblicamente. Febbraio 2008. [http://www.leganord.org/elezioni/2008/lega/ambiente/risorse_idriche_acqua.pdf]
  • 19. Ambiti territoriali non più ottimali Nel frattempo, all’insegna della semplificazione a tutti i costi, si bocciano anche gli Ato (acronimo che a leggerlo dovrebbe piacere ai leghisti, perché significa, Ambito territoriale ottimale). La soppressione degli Ato lascia nell’incertezza gli enti locali e si aggiunge al decreto Ronchi nell’esposizione del comparto ai rischi di una privatizzazione senza criterio. Il Senato ha definitivamente convertito in legge il decreto legge 25 gennaio 2010, n2 conosciuto come decreto enti locali, mantenendo integro l'emendamento presentato dalla Lega che sopprime gli ambiti territoriali ottimali su acqua e rifiuti e bocciando invece gli oltre 200 emendamenti presentati dall'opposizione. Il provvedimento sopprime quindi gli Ato e sposta invece al 2011 il taglio del 20% delle poltrone degli enti locali previsto in Finanziaria, mentre la riduzione degli assessori comunali e provinciali inizierà dal 2010. Entro un anno dalla pubblicazione della legge in Gazzetta ufficiale, «sono soppresse le autorità d'ambito territoriale di cui agli articoli 148 e 201 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n.152 e successive modificazioni»: così sta scritto al comma 1-quinquies. […] Pertanto rimane compito delle regioni non più definirne i confini ma attribuire le funzioni, sino ad ora svolte dagli Ato. […] L'ambito territoriale ottimale è un territorio su cui sono organizzati servizi pubblici integrati, in particolare quello idrico e quello dei rifiuti, introdotti per i servizi idrici dalla L. 36/94 (legge Galli) e per i rifiuti dal Dlgs. 22/97 (decreto Ronchi) e confermati nel Testo unico ambientale (dlgs 152/2006). Gli Ato sono individuati dalle Regioni con apposita legge (nel caso del servizio idrico integrato con riferimento ai bacini idrografici e dei rifiuti principalmente alle province) e su di essi agiscono le Autorità d'Ambito, strutture dotate di personalità giuridica che hanno il compito di organizzare, affidare e controllano la gestione del servizio. […] Il ruolo di definire a chi attribuire le funzioni tolte agli Ato spetta ancora alle regioni che potrebbero optare per scelte diverse dalle province e addirittura farle rimanere competenza diretta delle amministrazioni regionali. Come ha prospettato il candidato a governo della regione Toscana, Enrico Rossi, che parlando di Ato aveva annunciato un intervento - qualora eletto - per la definizione di un unico ambito regionale per l'acqua e altrettanto per i rifiuti; una scelta che al di là della personalità giuridica potrebbe rimanere in termini di attribuzione di funzioni. Ovvero potrebbe essere la regione a svolgere le funzioni che sino ad ora sono state attribuite agli Ato. Qualsiasi saranno le scelte che le regioni andranno a fare nel prossimo anno, resta il fatto che la previsione della soppressione di qui a quella data delle funzioni sino ad ora svolte dalle autorità d'ambito porterà sicuramente una impasse nelle loro attività. Con conseguenze facilmente immaginabili. Si pone infatti il tema di come gestire le gare per l'affidamento del gestore dei servizi, che in alcuni casi sono in fase avanzata e in altri prossime ad essere bandite. «Siamo al caos, aveva detto Raffaella Mariani, capogruppo Pd in commissione Ambiente della Camera, all'approvazione del decreto legge alla Camera, perché «nell'attesa che ora le regioni legiferino per la nuova organizzazione, c'è un vuoto normativo: chi farà le gare? Chi tutelerà gli enti locali?». Lucia Venturi, greenreport.it, 24 marzo 2010. Riepilogando Grazie al voto di fiducia in Parlamento e nonostante i distinguo dell’ultimo minuto, con la Lega l’acqua si privatizza. E i territori non si difendono dall’attacco dei soggetti privati nazionali, internazionali e multinazionali.
  • 20. Il nucleare «a nostra insaputa» Spaccare l’atomo Tutti ricorderanno i distinguo in campagna elettorale: sì al nucleare, ma non in Veneto, sì, al nucleare, ma non in Lombardia. E così nel Lazio e in Puglia, per la verità, da parte dei candidati della destra. Non si capisce perché l’abbiano votato, i leghisti, il nucleare voluto da Scajola e da Berlusconi. Un nucleare deciso a Roma, in cui le Regioni non hanno alcun protagonismo. I siti saranno individuati a livello nazionale. Un nucleare imposto «con stile centralistico e autoritario», hanno commentato i presidenti delle Regioni del centrosinistra. Come ha scritto Greenpeace (il verde, in questo caso, non è padano), il 10 febbraio 2010: «Con il decreto nucleare varato oggi, il governo persevera nella sua politica di centralismo, mettendo un bavaglio alle regioni cui saranno imposti i siti». Il nucleare deciso a Roma, senza mediazioni, senza discussione, senza federalismo. Votato da tutti, salvo poi lamentarsi e far notare che le ‘nostre’ regioni sono autosufficienti. Cota almeno è coerente. A lui il nucleare piace. A Roma e a Torino. Per gli altri, la stagione dei distinguo è sempre aperta. Il presidente della Regione Veneto, Luca Zaia, si è detto, si dice e (forse) si dirà favorevole al nucleare ma non sul territorio della sua Regione che l’esponente della Lega definisce «energeticamente autosufficiente». «Io ho assolutamente votato a favore di questi criteri che prevedono principi di sicurezza per i cittadini e di sostenibilità degli impianti» ha detto Zaia riferendosi al provvedimento approvato mercoledì 10 febbraio Consiglio dei Ministri. «Ma questo – ha aggiunto Zaia – non vuol dire assolutamente che si sia parlato di siti. È un provvedimento che va nell’alveo della ragionevolezza e dà continuità alla delibera del Consiglio dei Ministri che abbiamo fatto quando abbiamo adottato la scelta del nucleare». Quanto al ‘no’ di alcune Regioni, per il ministro si tratta «di delibere elettorali, soprattutto se vengono da Regioni dove abbiamo avuto per mesi la spazzatura sui marciapiedi e il governo ha dovuto occuparsene». Insomma al Sud secondo Zaia le centrali nucleari si possono mettere. Zaia ha ribadito che è comunque da escludere l’ipotesi di impianti sul territorio del Veneto: «In totale trasparenza noi siamo estremamente convinti che si debba partire innanzitutto da un senso di coerenza. Il Veneto ha oggi un bilancio energetico positivo, produce più energia di quanta ne compra. Anche se parliamo di assoluta virtualità, perché non esistono siti né candidature del Veneto, il secondo dato da sottolineare è che quello del Veneto è un territorio molto antropizzato, tanto che viene definito la Los Angeles d’Europa. E dove non ci sono insediamenti, ci sono aree ad elevatissimo valore ambientale. Proprio per questo motivo, diciamo che non ci sentiamo di affrontare il tema». Blitzquotidiano.it, 10 febbraio 2010. Anche Brunetta in campagna elettorale aveva spiegato: «Sto con Zaia. Il Veneto ha già dato» (Asca). In Friuli nel frattempo nicchiano. Qualcuno è favorevole, qualcuno è contrario, tutti sono parecchio silenziosi. Tranne in un caso, quando Ballaman apre al nucleare:
  • 21. Edouard Ballaman, ”reo” di aver aperto le porte ad una centrale nucleare nel ”giardino di casa” seppur in cambio di bollette superscontate, si ritrova accerchiato: piove il fuoco nemico del centrosinistra, quello amico di Pdl e Udc, ma piove soprattutto il fuoco ‘domestico’. La Lega, sul ritorno all’atomo, non perdona nemmeno il suo presidente: «Idee sue, solo sue, personalissime. Il partito e il gruppo consiliare non hanno mai affrontato la questione. E comunque una centrale nucleare in Friuli Venezia Giulia, anche per il rischio sismico, è impensabile» scandisce Pietro Fontanini. Il segretario regionale, subito dopo, infila la battuta: «Speriamo che non si stia andando verso una ”sindrome Fini” a livello regionale». L’accostamento con il grande ribelle di Montecitorio fa breccia: Ballaman, ex questore della Camera e quasi ex tutore dei minori con pochette verde, pistola e stuzzicadenti anti-ritardatari ma niente più auto blu, ama spiazzare. Da sempre. Stavolta, però, non fa arrabbiare solo l’opposizione. Isidoro Gottardo, coordinatore regionale del Pdl, sbotta a muso duro: «Non se ne può di presidenti con ruoli istituzionali super partes che esternano e fanno politica». Peggio: complicano la vita a chi, come Renzo Tondo, si ritrova non solo a dover governare, ma anche «a rimediare a poco ponderate esternazioni». Roberta Giani, Il Piccolo, 8 maggio 2010. Il sole delle Alpi non splende più Meglio il nucleare, perché il fotovoltaico deturpa. In Piemonte, Cota e i suoi assessori la pensano così. Sul nucleare si è pronunciata all’inizio del mese di luglio la nuova giunta piemontese, tirando mazzate ai pannelli solari colpevoli di “deturpare il territorio” piemontese. La Regione Piemonte accelera sul nucleare e rallenta sul fotovoltaico. Nel campo dell’energia la giunta guidata dal leghista Roberto Cota non ha dubbi: si può costruire una centrale. E, dalle parole ai fatti, l’assessore all’ambiente Roberto Ravello dichiara a ilFattoQuotidiano.it: «Siamo contrari ad una chiusura ideologica. Il Piemonte è pronto a fare la sua parte per l’interesse nazionale». La tesi è semplice: mentre a pochi chilometri (in Francia e Svizzera) si produce energia con l’atomo, il Piemonte subisce solo i rischi e non i benefici «derivanti dalla costruzione di impianti di ultima generazione con le più ampie garanzie di tutela per il territorio e la popolazione». Benefici, prima di tutto, legati alla vendita sul mercato dell’energia elettrica e ad un minore costo della bolletta, secondo Ravello. Anche se dalla prima pietra all’esercizio della centrale passano 20 anni. E se in materia di energia ‘pulita’ da una parte si accelera dall’altra è meglio rallentare. Dalla stessa giunta arriva uno stop alle autorizzazioni per i nuovi impianti forovoltaici, in grado di creare corrente elettrica dal sole. L’iniziativa è di Massimo Giordano, assessore all’energia e all’innovazione, che grazie ad un disegno di legge regionale vuole regolamentare l’installazione a terra dei pannelli solari nelle aree di particolare pregio dal punto di vista agricolo, naturalistico ed estetico. Per Giordano «c’è stata un’eccesiva crescita degli impianti che hanno deturpato il territorio piemontese». Anche se danno energia pulita, i terreni liberi per l’installazione sono cresciuti del 149% e la precedente giunta regionale ha investito, a partire dal 2008, trecento milioni di euro per lo sviluppo della green economy. Il Fatto quotidiano, 13 luglio 2010
  • 22. E pensare che Cota (in una intervista del 2 febbraio 2010) all’osservazione - «Mercedes Bresso dice che la strada da seguire è quella delle energie rinnovabili» - aveva così risposto: Riconosco alla Bresso il merito di aver investito molto sulle energie rinnovabili, ha fatto benissimo e io continuerò su quella strada. Ma serve anche il nucleare. Quindi se la scelta verrà fatta in base a criteri trasparenti noi ci saremo. Io non sono un ipocrita, lo dico chiaramente. Riepilogando La Lega ha votato il nucleare a Roma, imposto alle Regioni. Nelle Regioni, salvo Cota, che è pronto a rinunciare alle rinnovabili, ma non al nucleare, protesta e si dichiara contraria alle installazioni di centrali sul territorio.
  • 23. Strettamente favorevoli Un ponte verso il Sud Il governo è felice di annunciare la realizzazione della grande opera, un altro clamoroso successo della Lega. Per la realizzazione del Ponte sullo Stretto di Messina, il cui «costo complessivo sarà di 6,3 miliardi», i cantieri principali saranno avviati «all'inizio del 2011 con l'obiettivo di aprire il Ponte al traffico il primo gennaio 2017». Lo ha detto il ministro delle Infrastrutture, Altero Matteoli, rispondendo ad alcune interrogazioni in Aula al Senato sul Ponte sullo Stretto di Messina. Sul costo dell'opera, Matteoli, ha spiegato che «per effetto dell'aggiornamento dei corrispettivi previsti, l'opera da un costo di 6,1 miliardi di euro passa a un costo complessivo di 6,3 miliardi, rispettando così il costo previsto». Nel ribadire che Governo e maggioranza sono «fortemente convinti di realizzarlo», Matteoli ha ricordato… Il Sole 24 Ore Radiocor, 4 febbraio 2010. Durante il biennio del Governo Prodi il controverso progetto del Ponte che fin dal momento del suo concepimento aveva finito per dividere anziché unire gli italiani, pareva infatti destinato definitivamente ad obliare nel novero delle opere ciclopiche che mai sarebbero state cantierizzate. Secondo alcune stime, in 40 anni, il Ponte sullo Stretto è costato al contribuente italiano oltre 160 milioni di euro. La Lega, al solito, non ha nulla da obiettare. E si accoda. In un momento, anzi, sembra addirittura familiarizzare con l’idea del Ponte. Siamo nel 2005, si preparano le elezioni politiche del 2006, e Bossi si allea con Lombardo (Mpa). Sulla scheda appare un simbolo comune. E pensare che solo qualche mese prima, nel marzo 2005, la Lega «scatena un’offensiva senza precedenti contro il progetto di ponte sullo Stretto di Messina. «Il ponte è un ecomostro, un’opera vergognosa e dispendiosa, inutile sotto tutti i punti di vista», dice Andrea Gibelli, nel 2005 capogruppo della Lega alla Camera, nel 2010 vice di Formigoni in Regione Lombardia (Signore e Trocino, Razza Padana, Bur 2008, pp. 252-253). L’alleato Lombardo qualche mese dopo così dirà: «Il Ponte servirà anche a guarirci dalla solitudine, a svelarci a noi stessi per quel che siamo, uomini come gli altri: infatti lo chiamerei Ponte della Rivoluzione» (ibidem, p. 257). Leghisti ad altissima velocità Sulla Tav è giusto dare la parola direttamente a Roberto Cota. Era il 2 febbraio 2010, in piena campagna elettorale: Roberto Cota, politiche di rilancio e di decisione. Ci spiega? «Dico che bisogna andare oltre questa empasse nella quale è caduto il Piemonte. Prenda ad esempio la Tav: non c'è più tempo perché i finanziamenti europei stanno per scadere, bisogna avviare l'Alta velocità altrimenti si perderà un'occasione unica. In questa situazione la Bresso cosa ha fatto? Ha rifatto l'alleanza con quelli che la Tav non la vogliono. Per capire meglio pensi al segnale forte da un punto di vista psicologico dei 5
  • 24. sindaci del Pd che scrivono all'Osservatorio sulla Torino-Lione chiedendo che si riparta da zero. Mi spiego? La Tav va fatta e subito». Sì certo, però come la mettiamo con la società civile per buona parte contraria al progetto? «Comincio col dire che le manifestazioni molto spesso pullulano di persone che non sono neanche piemontesi, manifestanti di professione. Detto questo bisogna aprire il dialogo con i sindaci di tutti gli schieramenti e spiegare bene le ragioni e la bontà del progetto Tav. Poi è chiaro che dobbiamo rivedere il piano di sviluppo della Val di Susa colpita dalla cementificazione e industrializzazione selvaggia. Bisogna creare dei canali che portino a delle ricadute positive per quella zona, rivedendo appunto il piano strategico».
  • 25. Del Porcellum non si butta via niente Distanza dei cittadini verso le istituzioni? Roma lontana, che tradisce i ‘territorio’. Che cosa c’è di meglio di una legge elettorale come il Porcellum? Nulla, anche perché il Porcellum è leghista, made in Padania. L’ha inventato, come ognun sa, Roberto Calderoli, il ministro della semplificazione (della democrazia?). Del resto, come è noto, Calderoli aveva smentito se stesso ancor prima che i cittadini votassero (forse per invitare, pedagogicamente, al voto, nel 2006). Parola dell'ex ministro della Lega Roberto Calderoli che, a Enrico Mentana il quale, durante la registrazione di 'Matrix', gli chiede di quale legge sia contento, risponde senza esitazioni: "La legge sui reati di opinione l'ho scritta io e sono onestamente orgoglioso e ovviamente la legge sulla legittima difesa". Poi, aggiunge, "Un po' meno orgoglioso sono della legge elettorale che si dovrà riscrivere". E già perchè, confessa Calderoli, "glielo dico francamente, l'ho scritta io ma è una porcata. Una porcata - precisa ancora - fatta volutamente per mettere in difficoltà una destra e una sinistra che devono fare i conti col popolo che vota". Roberto Calderoli a Matrix, Repubblica.it, 15 marzo 2006 Nel 2009, anche la decisione di rinviare (rendendo difficile se non impossibile il raggiungimento del quorum) il referendum contro il Porcellum è leghista. Maroni decide di non accorpare il voto con quello delle Elezioni Europee e lo sposta in occasione del secondo turno delle elezioni amministrative, il 21 giugno. Nei fatti, la Lega è indisponibile a qualsiasi riforma elettorale. Alla Lega il Porcellum conviene, per tanti motivi. Perché dà l’impressione di essere alleati con Berlusconi, ma senza troppa enfasi, così si possono raggiungere anche gli elettori delusi dal premier, come la Lega fa abilmente. Una sorta di paratassi, che poi serve per inaugurare la stagione dei distinguo di governo, che la Lega ormai frequenta quotidianamente. «Non lo abbiamo deciso noi, siamo in un’alleanza, certe cose si devono sopportare»: chiaro? Ci hanno votato in un’alleanza… Perché è un sistema che annulla le individualità e così si possono candidare esponenti non proprio di primo piano, e il leader può avere diritto di vita e di morte sulla lista da comporre. Perché nella Lega decide Bossi. E basta. Perché è un sistema proporzionale, che la Lega ha sempre difeso, anche se costruito in modo tale da rendere più fragile il rapporto tra eletti ed elettori. Alla Lega interessa soprattutto il voto di partito. Forse è anche per questo, poi, che ricorre ai doppi incarichi, per mantenere un legame con il territorio a cui tanto tiene. Dal punto di vista delle poltrone, anche troppo. P.S.: a proposito di maiale, vale la pena di ricordare un’altra «porcata» di Calderoli. Il vice-presidente del Senato della Repubblica ed esponente della Lega Nord, Roberto Calderoli, già noto per le sue proposte fantasiose e talvolta provocatorie, è andato all'attacco sulla proposta di costruzione di una moschea, luogo di culto per gli islamici, a Bologna: «Metto personalmente fin da subito a disposizione del comitato contro la moschea sia me stesso che il mio maiale per una passeggiata sul terreno dove si vorrebbe costruire la moschea». Il senatore ha poi aggiunto: «Visto che dalle nostre parti ce n'è piena l'aria potremo organizzare in futuro il maiale-day ovvero concorsi e mostre
  • 26. per i maiali da passeggiata più belli da tenersi nei luoghi dove chiunque pensi di edificare non un centro di culto ma il potenziale centro di raccolta di una cellula terroristica». Per la tradizione musulmana, infatti, il maiale è considerato un animale impuro che non può essere toccato e mangiato, e quindi se toccasse il suolo sul quale si è deciso di costruire, l'edificio non potrebbe più essere innalzato. L'idea di Calderoli non è nuova, poiché ricalca quello che fece tempo fa a Lodi per impedire proprio la costruzione di un'altra moschea. Wikipedia, Maiale-Day, cfr. anche Corriere della Sera, «Un maiale-day contro la moschea», 13 settembre 2007.
  • 27. Il ‘sacro’ suolo 6 piazze del Duomo ogni giorno Secondo l’Osservazione nazionale sul consumo di suolo: Il territorio Lombardo è pari a circa 2,1 milioni di ettari. Di questi, al 2005- 2007, le aree agricole coprono oltre 930mila ettari, quelle naturali (boschi, vegetazione arbustiva ed erbacea, vegetazione rada) circa 825mila ettari e le superficie urbanizzate oltre 288mila ettari. […] Tra il 1999 e il 2005/07 le coperture agricole del suolo sono state quelle più urbanizzate: oltre 22.000 ettari di campi sono diventate superficie urbane pari ad una riduzione del 2,3% dello stock di aree agricole del 1999. Si tratta di trasformazioni irreversibili e artificiali. Anche 2.600 ettari di superficie naturali sono diventate urbane, sebbene il saldo delle coperture naturali sia positivo: +3.900 ha circa. L’urbanizzazione rimane il fattore di pressione più forte verso l’agricoltura e la natura. Il tasso di crescita periodico dell’urbanizzato in Lombardia è stato pari a 8,7%. I dati sono inequivocabili: Suolo URBANIZZATO in 6-8 anni + 22.954 ettari (pari a +4,7 città come Brescia) Suolo AGRICOLO PERSO in 6-8 anni - 26.728 ettari (pari a –5,4 città come Brescia) Suolo URBANIZZATO OGNI GIORNO 103.000 metri quadri (pari a circa 6 volte piazza del Duomo di Milano) «La Lombardia è una delle regioni più urbanizzate e cementificate d'Europa. Negli ultimi anni il suolo è stato consumato al ritmo di 140.000 metri quadrati (l'equivalente di circa 20 campi di calcio) al giorno, per un totale di quasi 5.000 ettari l'anno coperti da cemento ed asfalto, distrutti dall'edilizia residenziale e commerciale, da strade, impianti industriali, centri commerciali e capannoni: terra che non tornerà più, poiché è quasi impossibile che un terreno edificato possa tornare fertile», così scrive un’altra Lega, la Legambiente. Si citano gli esempi dei «grandi fondovalle alpini: in Valtellina e Valcamonica urbanizzati ogni giorno 2300 mq di suolo di fondovalle; scompaiono prati e coltivi, viene meno il paesaggio». Oppure, sempre dal Primo rapporto 2009 dell’Osservatorio nazionale sul consumo di suolo, si desume che in provincia di Varese, tra il 1999 e il 2005, sono stati urbanizzati ogni giorno – mediamente – 5.000 metri quadrati di terreno. Ogni settimana, in provincia di Varese, abbiamo cementificato un’area pari a due volte la piazza del Duomo di Milano. Per cinque anni, giusto per avere un’idea. «Stop alle cemenitificazioni, difendiamo la terra dei nostri padri!» è lo slogan leghista. Quello che è successo in questi anni, a Varese e non solo, dimostrerebbe il contrario. La terra dei nostri padri per i nostri figli non ci sarà più. Sopra ci troveremo un bel centro commerciale. In questo senso, va detto, le responsabilità non sono certo esclusivamente della Lega. Anzi. Solo che colpisce il fatto che i difensori delle radici non si siano
  • 28. preoccupati, in questi anni di governo senza interruzione, di proteggere anche il piano campagna (o terra, se si preferisce), lasciando che le nostre regioni fossero ricoperte di cemento. In Veneto? Così in cinque anni in Veneto sono state rilasciate concessioni per 94 milioni di metri cubi di nuove costruzioni, l’equivalente di una palazzina alta e larga dieci metri e lunga 1800 chilometri. […] Le costruzioni attuali, dicono i tecnici, sono sufficienti (anche tenendo conto dell’ondata migratoria) fino al 2022. In Veneto dal 2001 al 2006 sono state realizzate case per 788.000 persone (ma i nuovi abitanti sono soltanto 248.000). Nel solo 2002 sono stati costruiti 38 milioni di metri cubi di capannoni. Ma soprattutto: la superficie urbanizzata in Veneto è aumentata del 324 per cento rispetto al 1950 (mentre la popolazione è aumentata soltanto del 32 per cento). Ferruccio Sansa et alii, La colata, Chiarelettere 2010. Per non parlare del Piano casa che non ha funzionato E che è stato ovviamente sostenuto anche dalla Lega Nord, sospendendo temporaneamente la campagna di affisioni: «Basta cemento!». Avrebbero potuto aggiungere una nota a piè di pagina.
  • 29. Piccolo commercio? Opposizione commerciale Cota delibera contro la proliferazione dei centri commerciali. Sono duri i leghisti, contro i centri commerciali. E gli outlet, la nuova frontiera del “commercio speculativo”. Come se non fossero mai stati al governo delle Regioni di cui parlano e che dicono di amministrare solo da oggi: Anche nel Veneto della neo amministrazione di Luca Zaia, per esempio, c'è chi si è battuto – in passato – contro l’apertura alla grande distribuzione. L'attuale assessore all' Agricoltura Franco Manzato oggi ricorda come una vittoria per la Lega il blocco di un paio di delibere «che avrebbero inevitabilmente penalizzato i piccoli» nella passata legislatura regionale: «Certo, sarebbe stato ed è tuttora anacronistico additare i centri commerciali come il nemico. Ma lo spazio a loro riservato deve poter coesistere in equilibrio con la piccola e piccolissima distribuzione che non delocalizza mai, porta posti di lavoro e va sempre promossa e sostenuta». Elsa Muschella, Corriere della Sera, 29 aprile 2010. La Lega ha bloccato due delibere. Cavoli. Chissà quanti sono i centri commerciali del Veneto che sono riusciti a sottrarsi alla dura opposizione interna della Lega… In Lombardia, le cose non vanno molto diversamente. Già nel 2007, nell’ambito dell’approvazione della nuova legge regionale sugli orari di vendita del settore commerciale (n. 30 del 28.11.07), i dati dell’Istituto di Ricerca Scenari Immobiliari confermavano che il settore commerciale nella nostra Regione è arrivato a saturazione, con la presenza di ben 470 strutture di vendita distribuite per una superficie di 3,4 milioni di metri quadri, senza contare i grandi centri commerciali per i quali sono già state date autorizzazioni per la loro realizzazione. Anche in quel caso fu rimarcato, da Ardemia Oriani, consigliera Pd, che «la scelta che la Giunta Regionale compie non è, infatti, quella della liberalizzare il mercato, né tanto meno quella di definire equità nelle condizioni di competitività nel settore, di cui si sente invece un grande bisogno, è bensì la scelta di privilegiare ancora una volta la grande distribuzione, mettendo in discussione l’equilibrio tra grande, piccola e media distribuzione, necessario per uno sviluppo positivo del commercio in Lombardia». Tiriamo via la polenta? Il circuito della speculazione Cosa farà Zaia con Motorcity, ad esempio? Leggiamo nel pezzo di Ferruccio Sansa, il Fatto Quotidiano, 8 maggio 2010 Chissà che cosa deciderà il Governatore “contadino”. Luca Zaia deve ancora mostrare la sua idea del nuovo Veneto, deve far capire se intende proseguire sulla strada del predecessore, che sarà pure ministro delle Politiche Agricole, ma ha cementificato la sua terra. Sulla scrivania di Zaia presto arriverà un progetto che cancellerà 460 ettari di campi e modificherà per sempre la campagna veronese: l’autodromo di Motorcity, un progetto lanciato anni fa dalle società di Chicco Gnutti e Gianpiero Fiorani… sì, proprio i furbetti del quartierino. L’autodromo sarà una delle più grandi opere del Veneto, insieme
  • 30. con il passante di Mestre e il Mose. Finora la Lega si è astenuta, ma adesso tocca a lei decidere. Siamo a Vigasio e Trevenzuolo, in provincia di Verona. A centocinquanta chilometri da Monza e Imola, due circuiti storici che in questo periodo non se la passano troppo bene. Già, l’industria automobilista è in crisi, la Formula 1 annaspa e punta sull’Asia dove girano soldi e fioriscono piste su isole artificiali. Ebbene, che cosa si fa in Veneto? Un autodromo lungo 5,2 chilometri per oltre un miliardo di investimento. […] Siamo al confine tra Veneto e Lombardia, dove la Lega affonda le sue radici, rurali più che metropolitane. Ora, però, all’immagine che avete davanti sovrapponetene un’altra: quella del futuro autodromo elaborata nel “rendering” degli architetti (www.motorcityvr.it). Ecco, al posto della campagna comparirà il serpente d’asfalto della pista. Ma il grosso del progetto, e dell’affare, sta nel centro commerciale da 769 mila metri quadrati, nel parco tematico da 350 mila metri quadrati (il doppio della vicina Gardaland), nel polo tecnologico (268 mila metri quadrati), in alberghi, ristoranti e immancabili case. Poi caselli, strade e metropolitane. Insomma, cemento. «È un progetto colossale che rischia di stravolgere i nostri paesi, di Vigasio e Trevenzuolo, che saranno divorati da Motorcity, diventeranno un’appendice della pista», sospira Cesare Nicolis. La sua storia racconta tante cose del Veneto di oggi che ha il record dei cantieri, ma anche dei comitati. Nicolis è un ex dirigente di banca, uno che sa maneggiare bilanci e che a 59 anni ha deciso di andare in pensione per dedicarsi alla sua terra. Nel suo archivio conserva migliaia di pagine con la strana vicenda Motorcity. […] Oggi a tenere le redini sono le cooperative. Ma della società fanno parte anche enti locali. Perfino la Regione Veneto. Amministrazioni che con una mano firmano gli atti societari e con l’altra le autorizzazioni a costruire. E il progetto va avanti, nonostante i dubbi. Lo stesso Giancarlo Galan, allora Governatore, disse: «Quel progetto non mi convince». Ma intanto la Regione dà via libera. Nonostante le ombre delle valutazioni di impatto ambientale. Carte che forse gli abitanti di Vigasio e Trevenzuolo non conoscono. La società realizzatrice promette che a Motorcity arriveranno fino a 106.483 persone nei giorni feriali; nei giorni festivi si toccheranno 180.995 presenze. Molti visitatori, soldi, certo, ma anche inquinamento. E nel giugno 2008 l’Arpav mette nero su bianco le sue cautele: “La valutazione dell’impatto riguardo al Pm10 appare fortemente sottostimata. Dalle nostre stime l’aumento di traffico – anche realizzando sistemi di trasporto come la metropolitana – comporta un aumento delle emissioni di sei volte”. Parliamo di particolato, di polveri sottili, quegli inquinanti che se finiscono nei polmoni provocano tumori. Che minacciano soprattutto anziani e bambini. Il progetto, però, va avanti. A trainarlo è la promessa dei posti di lavoro. […] Il centrodestra è favorevole (nella società siedono anche ex amministratori del Pdl), mentre il centrosinistra è contrario. Beppe Grillo e i suoi meet up si sono battuti contro la pista. Alle elezioni di Vigasio, a marzo, vince il Pdl (41,4%), viene riconfermato il sindaco Daniela Contri che non ha mai fatto mistero delle sue simpatie per Motorcity (che tra l’altro risanerà le casse pubbliche con gli oneri di urbanizzazione): «è una grossa opportunità per il Comune e i proprietari dei terreni. Oggi c’è una distesa di granoturco, di polenta… tiriamo via la polenta… l’agricoltura non ha grandi prospettive». Maurizio Fontanili, presidente della Provincia di Mantova (Pd), contro Motorcity invece sta combattendo da anni: «siamo una delle zone più fertili d’Italia, qui si alleva il 17 per cento dei suini, si produce il 23 per cento di Grana Padano. Vi rendete conto dell’impatto che avrebbero sulla nostra terra centomila persone al giorno?». Mantova, però, è in Lombardia. A pochi passi da Motorcity, ma oltre la linea invisibile che divide le regioni. Insomma, rischia di dover subire le decisioni prese a Venezia. La Lega si astiene. Franco Bonfante (Pd). «La Lega Nord ha dimostrato ancora una volta la sua incoerenza. I leghisti avevano proclamato la loro contrarietà al Motorcity anche di fronte alla popolazione di Vigasio. Si sono rimangiati tutto dopo che Luca Zaia è stato indicato come candidato del centrodestra alla presidenza della Regione. Hanno barattato lo sviluppo equilibrato del territorio dei prossimi 50 anni con una poltrona» (L’Arena, 15 gennaio 2010). Le Fornaci, Tradate: come ti costruisco il nulla
  • 31. Ecco come ti difendo il suolo e come ti costruisco il nulla. In provincia di Varese. «L’atteso multisalacon 7 sale cinematografiche, uno spazio ludico ricreativo che comprenderà un bowling, sala giochi, centro benessere, palestra; in tutta l’area saranno poi concesse venti licenze tra ristoranti, bar e fast food (tra cui un McDonald’s), un albergo di due piani il cui edificio sarà tutto in vetro e che comprenderà oltre 96 camere, una grande area feste coperta di due mila metri quadri che rimarrà di proprietà del Comune, uffici e un centinaio di appartmanenti residenziali. Il tutto con a disposizione 1.700 parcheggi disposti su tre piani, di cui uno sottoterra. Inoltre, l’edificio della Fornace, una volta restaurato, ospiterà sette tipi di attività ristorative», il tutto «su un terreno di oltre 80 mila metri quadri […] il terreno della ex fornace, storica azienda del tradatese ormai in disuso da diversi decenni». Ma la bergamasca Bitter srl non poteva certo limitarsi a questi terreni, e così una variante al P.I.I. ha allargato il progetto a quattro terreni vicini all’area già di loro proprietà. Ci troviamo a Tradate, cittadina del Varesotto amministrata da Stefano Candiani, segretario provinciale della Lega Nord. Candiani era sicuro della bontà del progetto: «Sarà uno spazio a disposizione di tutti i giovani che oggi vanno a cercare all’esterno della città. E poi è un progetto che cambierà il volto di tutto il territorio con un indotto centinaia di nuovi posti di lavoro. […] Una risorsa importante che valorizzerà sicuramente anche i centri storici, portando nuovi visitatori in città». Tempo due anni, siamo nel maggio 2008, la procura di Varese apre un’inchiesta sull’area in questione, e «il sindaco di Tradate è stato raggiunto dall’avviso di garanzia la mattina di martedì 13 maggio alle 10, quando gli agenti della Digos hanno bussato al municipio di Tradate per sequestrare, su ordine del pm Agostino Abate, tutta la documentazione relativa». «In particolare gli abusi contestati riguarderebbero la lunghezza dei due edifici principali, quello del multisala (lungo la Varesina) e quello dell’albergo (tra via Sciesa e via Curiel). Entrambe le costruzioni sarebbero risultate più lunghe di alcuni metri (si parla di 3 per il lotto A e di 2,5 per il lotto B), difformità che genererebbero un notevole incremento di volume realizzato. Le irregolarità in fase di notifica si aggiungono a quelle già riscontrate alcuni mesi fa, che avevano già portato ad altri avvisi di garanzia nei confronti del direttore dei lavori del cantiere e dell’amministratore delegato di una delle società coinvolte nella realizzazione. […] Non è una posizione semplice quella del comune di Tradate, che in questo momento si trova sotto la lente d’ingrandimento della Procura, che sulla vicenda dell’ex Fornace ha deciso di volerci vedere chiaro, passando al setaccio tutti gli atti prodotti dal comune stesso. E del resto non poteva essere altrimenti, vista la mole dell’intervento che muove capitali ingenti. Si tratta infatti di un affare prossimo ai 100 milioni di euro: attualmente una delle iniziative private più grandi in Italia». Passano altri due anni, maggio 2010, e il grandissimo centro polifunzionale si rivela un flop, tanto da spingere i commercianti al suo interno a richiedere – con l’acqua alla gola - l’apertura domenicale. Picche, fanno sapere dal comune di Tradate. «Purtroppo quando abbiamo scelto di aprire il negozio qui ci sono state fatte molte promesse e rassicurazioni – spiega Stefano Racca, dal banco del suo negozio di abbigliamento alla Fornace -, ad esempio sull'imminente apertura di
  • 32. un supermercato, che per noi piccoli negozi sarebbe stata garanzia di un certo giro di clienti. Il supermercato non ha aperto e adesso siamo addirittura penalizzati. Qui siamo aperti dal 3 settembre 2009 e c'è qualcuno che ha già chiuso i battenti. Io stesso se dovessi trovare un'alternativa me ne andrei, la situazione non è per nulla piacevole, si sta parlando di famiglie che ci hanno messo soldi ed energie, non ci si può ricordare della Fornace solo quando ci sono da incassare gli oneri, noi abbiamo diritto di lavorare». Il verdetto finale lo lasciamo a Il Sole 24 ore del 14 giugno 2008 (citato da altratradate.com): «L'eco mostro più grande della Lombardia, il centro commerciale della varesina, la Fornace, a due passi da Tradate, è stato colpito da un avviso di garanzia della Procura di Varese inviato al sindaco leghista di Tradate, anche a seguito delle inchieste giornalistiche (anche di Casa&Case) sull'eccessiva cementificazione di questa zona. Intorno a Tradate in pochissimi anni il Comune ha concesso la decuplicazione dell'attività edilizia, creando un parco di invenduto impressionante, in alcuni casi con immobili mal costruiti. E di conseguenza i prezzi sono crollati a poco più di mille euro al metro quadrato». Riepilogando Con l’astensione della Lega, Motorcity si farà. A meno che Zaia non intenda dire qualcosa, dopo che la Lega ha approvato, in maggioranza, tutte le norme che hanno consentito l’individuazione dell’area, il progetto dell’autodromo, la costituzione della società e anche il comma che consente l’edificazione di un nuovo centro commerciale monstre, di fatto in deroga alla normativa generale sui nuovi insediamenti della grande distribuzione. Deroga votata: anche quella.
  • 33. «In latte veritas» ovvero la Lega lattona Galan ha perso. Ha vinto la Lega lattona. Sono anche andati sotto casa sua (sul serio) per protestare. E adesso lo prendono in giro. Forse il ministro dovrebbe lasciare anche perché era stato lui a chiedere agli altri di dimettersi. Lascerà? Risponditore automatico: ma quando mai?! Nel frattempo, è sufficiente leggere Wikipedia per capire che c'è qualcosa che non va. Il motivo è presto detto: 4 miliardi, il costo degli interventi per sanare le multe delle quote latte, a cui se ne aggiungerà un altro. Viviana Beccalossi, che era stata a lungo assessore all'agricoltura in Lombardia (in quota Pdl), aveva proclamato: «non passerà!». Infatti, passa. Con la fiducia. Senza discussione. Come sempre. «Hanno strumentalizzato un gruppo sparuto di allevatori, chiedendo i loro voti in cambio di una difesa politica sulle quote latte. Parlano tanto di legalità e poi il risultato è una pessima figura, l’ennesima, con Bruxelles», aveva detto l'ex assessore. Ma per gli allevatori della proroga aveva garantito Bossi Jr. Galan è sincero: «Il guaio ora è che tutti in Europa vedono quel che facciamo noi e questo ci deve preoccupare». E, a proposito di legalità, la proposta da parte del ministro era stata seria: «Si dimetta chi causa le sanzioni». Chissà se i leghisti saranno inflessibili come sono stati con le rette della mensa di Adro. Perché il pasto si può saltare, ma il latte multato, invece, va tutelato. «Bisogna tenere duro» sulla vicenda delle quote «e spero che il parlamento italiano abbia un minimo di dignità». Galan aveva sfidato la Lega. Un miliardo e mezzo di euro di multa che, divisi per i tre milioni di voti che la Lega ha preso nel 2008, fanno 500 euro. Il contribuente italiano pagherà salato i consensi che il Carroccio raccoglie tra le 23 mila aziende di allevatori del Nord che grazie al ”regalino” contenuto nella manovra correttiva, potranno evitare di pagare le multe. Un ”dono” ancor più pesante se si considera i tagli che il mondo dell’agricoltura ha già subito e che subirà molto presto dalle regioni. Inoltre, grazie al maxiemendamento, si premieranno i furbetti. Ovvero quegli allevatori che non hanno pagato, e non hanno intenzione di pagare le multe. Allevatori che la Lega, movimento che lotta contro gli sprechi... degli altri, difende e protegge trovando nel superministro dell’Economia un nume tutelare non da poco. Dice infatti il leader dell’Udc Pier Ferdinanco Casini: «La manovra economica è inevitabile ma è fatta male, si chiedono sacrifici ma poi si aiutano i furbetti delle quote latte. Ci sono troppi emendamenti della Lega di cui Tremonti è garante, il ministro è stato garante delle furberie della Lega». Casini sottolinea la questione morale perché «non si può dire a chi ha pagato che ci sono altri che fanno i furbi e non pagano. La Lega protegge quegli allevatori che non hanno pagato mentre sarebbero necessarie più equità e meno furberie». Il Messaggero, 19 luglio 2010. «Sono sconcertato: i leghisti sono stati arroganti e irresponsabili», così conclude Galan. E Dario Di Vico, editorialista vicino ai piccoli, sul Corriere della Sera, è stato molto netto: La Lega in realtà sta rischiando di far pagare al Paese una scelta miope, quella di difendere sempre e comunque l’interesse immediato di piccole porzioni del proprio elettorato. I Cobas del latte sono costati già all’Italia all’incirca quattro miliardi di euro ai quali andrà aggiunto l’ammontare della maxi-multa (i pessimisti la stimano in un miliardo) che ci comminerà Bruxelles dopo l’apertura di una procedura di infrazione. Eppure Bossi insiste ed è disposto anche a far votare dalla maggioranza un atto di governo che serve
  • 34. nella buona sostanza a coprire l’impunità degli allevatori. E così facendo dimostra che pur possedendo la golden share gli manca una «leganomics », un orientamento di politica economica credibile che metta al riparo il suo stesso partito dalle pressioni delle micro- lobby. La verità è che il sindacalismo di territorio sta mostrando la corda, si dimostra un alfabeto politico- culturale insufficiente di fronte alle sfide che il dopo-recessione impone. Dario Di Vico, «Quote latte, una vicenda che paghiamo tutti. Un conto già versato di 4 miliardi, ai quali se ne aggiungerà un altro», Corriere della Sera, 15 luglio 2010. C’è anche chi in Parlamento se ne approfitta, parola di ministro Il ministro Galan tra le altre cose, confida: «Un parlamentare della Repubblica, si chiama Rainieri, ha dichiarato di aver venduto le quote di produzione senza produrre latte». Il Rainieri è parlamentare della Lega Nord, originario di Parma. Ora, sulle quote latte la Lega-lità è sospesa per motivi elettorali. Ma che un ministro accusi un parlamentare di aggirare le norme mi pare un fatto clamoroso. Ci spiegate meglio? Perché, nella stessa intervista, Galan si diffonde e afferma: «Non si possono tentare delle furbate e commettere un’infrazione sapendo di farlo. E, poi, per aiutare chi?». In questo caso la domanda è retorica, la risposta è leghista. Cfr. La Stampa, 13 luglio 2010. Un intervento ad quotam Il Pd con Nicodemo Oliverio, capogruppo in Commissione Agricoltura alla Camera, mette in risalto come si tratti di «un furto per il Paese onesto, l’agricoltura ridotta a merce di scambio politico”. Già perché per un pugno di allevatori Tremonti accetta di farci pagare una maximulta per la procedura d’infrazione che la UE dovrà aprire, come ha già fatto sapere più volte, con un maxisalasso di oltre un miliardo. Un governo ostaggio delle lobby che mentre è lestissimo ad aumentare l’età pensionabile delle donne per evitare la procedura d’infrazione, accetta immediatamente la maximulta che paga la cambiale agli agricoltori padani». Una storia lunga 4 miliardi di euro (di cui recuperati solo 300) Nella ricostruzione della redazione di Partitodemocratico.it: La lunga controversia sulle “quote latte” nasce nel 1984, con una multa assegnata agli allevatori italiani che avevano prodotto più latte rispetto alla quota consentita dall’allora CEE. La gran parte degli allevatori multati erano fin dal principio del nord Italia. Le proteste con i trattori nelle piazze si susseguono per anni ed anni. Multe non pagate, dilazionate, con trattative che hanno spesso coinvolto i governi italiani, che hanno effettivamente ottenuto delle riduzioni delle multe ed un aumento della quota aggiuntiva consentita di latte prodotto del 5% nel 1999 con la riforma comunitaria nota come “Agenda 2000”. Il precedente ministro dell’agricoltura dell’attuale governo, Luca Zaia, aveva già ottenuto per l’Italia l’aumento delle quote produttive di altri 5 punti percentuali, piuttosto che 1% per 5 anni previsto da Bruxelles per gli altri Paesi dell’Unione, offrendo in cambio la regolarizzazione del pagamento delle multe attraverso un nuovo piano di rateizzazione fino a 30 anni. Poi passa l’emendamento leghista e c’è di più: i leghisti hanno anche ottenuto che il nuovo testo del provvedimento contenga un esplicito rimando agli «accertamenti in corso», cioè alle indagini condotte dall’Arma dei Carabinieri e
  • 35. dall’apposita commissione di indagine sulle quote latte, sui dubbi sollevati dagli allevatori sulla legittimità delle multe inflitte per lo sforamento delle quote. Come se gli accordi stipulati negli anni con l’Ecofin (Consiglio Economia e Finanze dell’Unione Europea), non avessero valore. Tutto mentre il Commissario europeo competente in materia agricola, Dancian Ciolos, ci richiama: «Con l’Italia sono stato chiaro, non esistono margini negoziali, le regole vanno rispettate», ha dichiarato alla stampa. Anche perché nel mese di aprile del 2015 è previsto lo smantellamento definitivo delle quote latte, secondo l’ultimo accordo del novembre 2008 dei ministri agricoli dell’ UE. «Dopo le dichiarazioni del ministro Galan, sarebbe interessante sapere se tra i 67 allevatori (perché è di questa cifra che stiamo parlando), che hanno usufruito dei benefici della legge Zaia, vi siano anche i finanziatori delle campagne elettorali della Lega, di Zaia e del Pdl». Si chiede Marco Carra, deputato Pd, nell’interrogazione parlamentare che ha depositato. È dura Colomba Mongiello, senatrice del Pd, in aula ha parlato di un «governo che ha messo a punto un meccanismo diabolico che d’ora in avanti ci autorizza a dire: Lega ladrona. Sulle quote latte la Lega mette tutta l’Italia nell’illegalità e fa pagare a tutti i contribuenti italiani le colpe di pochi produttori, e ci isola in Europa in un momento chiave per l’elaborazione della nuova politica agricola comune». Ha aggiunto la senatrice: «La manovra taglia 58,2 milioni di euro all'agricoltura ma riesce a scovare i soldi necessari per prorogare il pagamento delle multe quote latte per i 67 grandi elettori della Lega Nord, è paradossale». Credieuronord chiama Quote latte Un’ultima chicca dalla cricca. Perché nel frattempo, allevatori ed ex parlamentari leghisti sulle quote latte vanno a processo. In un filone dell’inchiesta Fiorani- Brancher come ha riportato il Riformista: Mentre si discute dell’emendamento Azzollini, nel capoluogo lombardo ha avuto inizio il processo su una maxi truffa legata al sistema delle quote a carico di aziende agricole padane, tra Lombardia, Veneto, Emilia Romagna e Piemonte. Gli amministratori, i consiglieri e rappresentanti legali di due cooperative, La Lombarda e La Latteria Milano, sono accusati a vario titolo di peculato e truffa ai danni dello Stato per non aver versato all’Agea, Agenzia per le erogazioni in Agricoltura, dall’aprile del 2003 al febbraio del 2009, oltre 100 milioni di euro di «prelievo supplementare» dovuto allo sforamento dei limiti Ue. Quando Frank Di Mario iniziò le indagini a inizio del 2009, su un esposto presentato in Procura, il quadro di fronte agli inquirenti fu abbastanza chiaro: le cooperative erano nate per aggirare il sistema delle quote. I due accusati di spicco sono Alessio Crippa e Gianluca Paganelli. Il primo, ex presidente della “Lombarda”, è stato tra i protagonisti della protesta dei Cobas nel 2002 e nel 2003, quando le strade del nord furono bloccate dalle proteste degli agricoltori. Non solo. Fra le altre società indagate della stessa inchiesta ce sono quattro che vedono tra i rappresentanti legali Giovanni Robusti, ex europarlamentare della Lega, da tempo escluso dal giro di via Bellerio. Robusti, infatti, ricompare in un altro procedimento giudiziario analogo, per truffa di quote latte a Cuneo: fu condannato a tre anni e mezzo di carcere. Dove nacque quest’ultima inchiesta? Da quella milanese su Credieuronord, l’istituto di credito tanto voluto da Bossi, poi finito in disgrazia, ma salvato dalla Banca Popolare di Lodi di Giampiero Fiorani. Lo stesso Fiorani che ha portato in tribunale Aldo Brancher, il breve ministro, per l’inchiesta sulla scalata ad Antonveneta, che andrà a sentenza il prossimo 28 luglio. Citato da Partitodemocratico.it
  • 36. Malpensa, la punta dell’iceberg «Un anno fa, eravamo venuti da tutta la Padania a Malpensa; faceva un freddo cane; per protestare contro il progetto Prodi che voleva vendere Alitalia ad Air France. […] Poi è venuto Berlusconi, è venuta la cordata, è venuta la Cai, è venuta l´alleanza con Air France e sono rimasti pochissimi voli su Malpensa. Quanto freddo abbiamo patito, in cambio di una beffa». Parola di Letizia Moratti, sindaco di Milano. (Tito Boeri, La Repubblica, 14 gennaio 2009). È questo l'epilogo di una storia iniziata mezzo secolo fa, quando tra gli anni ‘60 e gli anni ‘70 la SEA (compagnia che gestisce l'aeroporto) predispose alcuni progetti per la realizzazione della “Grande Malpensa”. Cominciano in quel periodo gli studi per la realizzazione di Malpensa, e le idee di partenza non cambieranno fino alla realizzazione. Adozione del “modello a satelliti”, in voga negli anni '60, che ben presto «si rivelò un disastro: gli aerei dovevano compiere lunghi tragitti e movimenti per arrivare ai satelliti come i passeggeri ed i bagagli che erano costretti a lunghi percorsi per raggiungere gli arrivi o le partenze. Va detto che il numero di movimenti era basso rispetto agli anni successivi e quindi il problema non era accentuato come ai giorni nostri». Chicago, Atlanta, Tokio, Francoforte, o gli ampliamenti di Parigi Orly ed altri, tutti costruiti dopo gli anni '80, hanno adottato una diversa tipologia, quella “lineare”. Malpensa, ultimata nel 1998, no. La faremo volare «La Lega farà volare Malpensa», titola così il sito della Lega Nord. Volare verso il basso, senza controllo, si sono dimenticati di aggiungere. Quando la crisi di Malpensa (e di Alitalia) era evidente a tutti, i proclami leghisti si sono sprecati, come al solito: «una Lega pronta a tutto per difendere Malpensa, anche geometrie variabili in Parlamento» (Roberto Castelli), «Per Bossi Malpensa resta la madre di tutte le battaglie. I leader del Carroccio si riuniscono per salvare lo scalo e i lavoratori» (La Padania), «Berlusconi è un uomo del Nord, quindi dovrebbe comprendere appieno qual è l'importanza di Malpensa. Non è soltanto un aeroporto, non è soltanto un'infrastruttura, è la punta dell'iceberg della questione settentrionale». (Roberto Cota). I fatti, purtroppo, ci raccontano un'altra storia. Il fallimento di Malpensa Quanti passeggeri all’anno passano per Malpensa? Nel 2009 sono transitati 17,5 milioni di passeggeri, collocando l’aeroporto milanese al 23° posto tra gli aeroporti europei, e fuori dalla graduatoria mondiale che si ferma al 30° posto di Monaco (con 32,7 milioni di passeggeri). Beh, c’è la crisi. Sì, in tutto il mondo. E allora se prendiamo come riferimento il 2007, anno in cui Malpensa stabilì il record di 23,9 milioni di passeggeri, notiamo che in Europa siamo stati superati da colossi (?) come Dusseldorf, Oslo, Vienna, Antalya, Manchester, Mosca, Copenhagen, Stansted (Londra), Dublino, Palma di Maiorca e Zurigo. Leader europeo Heathrow (Londra) con 65,9 milioni di
  • 37. passeggeri all’anno, seguito da Parigi-Roissy (57,9 milioni) e Francoforte (50,9 milioni). Sulla stampa locale si è azzardata la mirabolante cifra di 75 milioni di passeggeri, nonostante le previsioni più ottimistiche siano 25 milioni di passeggeri nel 2015 e circa 50 milioni nel 2030 (Certet Bocconi), e nonostante l’unico aeroporto al mondo che abbia sfondato questa soglia nel 2009 sia Atlanta (88 milioni di passeggeri). Sopra i 60 milioni solamente Heathrow, Chicago, Pechino e Tokyo. Ambizioso, il popolo padano. Il fallimento si ripercuote, ovviamente, nel campo occupazionale. «Alla fine, dopo la pesante ristrutturazione, i dati attuali forniti dai sindacati parlano di 3000 lavoratori in stato di cassa integrazione e mobilità. Sono andati del tutto persi invece all'incirca 1000 contratti a termine avviati soprattutto per le attività commerciali e di ristorazione». Esiste inoltre un “nodo SEA”, la compagnia che «si comporta anzi, come un operatore che gioca al di fuori delle regole di mercato, costruendo all'interno del sedime aeroportuale alcune attività in concorrenza con quelle esterne, senza pagare oneri di urbanizzazione né ICI: ad esempio si sta costruendo un enorme albergo da 500 camere proprio mentre, secondo i dati diffusi dalla Federalberghi e relativi al primo trimestre del 2010 a Varese, l'occupazione delle camere è scesa del 14,5 % a marzo (dal 49,8 al 42,6 %) e, nello stesso tempo, si vedono in picchiata i prezzi medi delle camere, registrando un -10,7 % a marzo (da 75,73 a 67,63 euro)». Infine, il più odioso dei problemi. Malpensa è una vera e propria culla del precariato, una «situazione che colpisce soprattutto i più giovani e le persone più fragili. Malpensa secondo alcuni studi della Bocconi e della LIUC del 1997 doveva portare a 100.000 posti di lavoro; in realtà come sappiamo i posti sono qualche migliaio e prevalentemente con contratti a termine o simili». Esiste un altro fallimento, quello dell’hub Malpensa. All’inizio del 2009 la situazione era già chiara: Milano perdeva posizioni come grande aeroporto del Nord Italia. A raccontarlo, le classifiche di «accessibilità intercontinentali nel trasporto aeromerci» elaborate da Certet-Bocconi: Per quanto riguarda Milano (Malpensa) i recenti eventi riguardanti Alitalia segnano la crisi dell’aeroporto, che slitta dalla VII alla IX posizione perdendo 8,9 punti rispetto all’edizione dell’indicatore di dicembre 2007 (da 35,3 a 26,5); più precisamente, lo scalo lombardo è oggi preceduto dai quattro colossi aeroportuali (Francoforte,