Il materiale contenuto nel presente documento rappresenta l’opinione e il parere di NUS Consulting Group (“NUS”) ed è offerto per discutere l’attività generale del mercato, l’industria e i trend di settore, così come le condizioni economiche, di mercato e politiche ad ampio raggio. Queste informazioni non devono essere interpretate come una ricerca o un consiglio agli investimenti/acquisti. Una persona responsabile per l’acquisto dell’energia per un’azienda deve considerare gli obiettivi della sua organizzazione, la tolleranza al rischio e le previsioni di mercato quando deve prendere decisioni riguardanti l’acquisto di energia. Per ulteriori informazioni resto a Vostra completa disposizione. Con i miei migliori saluti.
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Nelle ultime settimane abbiamo assistito ad un intervallo di quotazioni molto ristretto con il Brent e il WTI
rispettivamente intorno ai $60 e $50 al barile. Sembra che i mercati si suddividano in due gruppi: chi
crede che nel breve periodo i prezzi aumenteranno contro e chi sostiene in un crollo degli stessi. In
questa News Flash abbiamo ritenuto opportuno esporVi le argomentazioni di entrambe le parti.
Coloro che prevedono un aumento dei prezzi nei prossimi mesi si stanno concentrando sul calo della
produzione petrolifera (e non sull’incremento della domanda). Il cuore della loro argomentazione è
l’analisi di come l’incremento delle tensioni in Medio Oriente porterà inevitabilmente ad un blocco della
produzione. A supporto del loro ragionamento citano gli eventi in Libia e Iraq. Nelle ultime settimane la
Libia è degenerata verso una guerra civile in piena regola fra i Governi rivali (Tobruk e Tripoli) e
l’intensificarsi degli scontri ha interrotto ad intermittenza l’immissione di petrolio sui mercati. In Iraq,
l’esercito con il supporto dell’Iran ha lanciato un’offensiva contro ISIL per riprendere il controllo sulla città
di Tikrit. Al momento lo scontro per il controllo di questa città simbolicamente molto importante (è la
città natia di Saddam Hussein) è in pieno svolgimento e ISIL, nel tentativo di mantenere il controllo della
stessa, è ricorsa alla distruzione delle infrastrutture petrolifere locali.
In aggiunta alle argomentazioni legate all’incremento del rischio geopolitico, chi prevede un aumento
dei prezzi crede anche che la presenza prolungata di prezzi al ribasso ostacolerà gli investimenti in nuovi
progetti e, di conseguenza, limiterà l’offerta petrolifera futura. Mesi di prezzi sottotono stanno avendo
un impatto significativo sull’industria shale statunitense e sui progetti canadesi per le sabbie bituminose.
Per quanto riguarda i primi, la conta dei siti shale USA è in diminuzione da 13 settimane consecutive, da
986 all’inizio di ottobre 2014 fino a 684 alla fine del mese di febbraio 2015, un calo di circa il 40%.
Sebbene la produzione USA abbia continuato ad aumentare è chiaro che lo slancio è in rallentamento e
alla fine, si prevede nei prossimi mesi, una stabilizzazione/riduzione della produzione. Per quanto
riguarda i secondi, le sabbie bituminose canadesi hanno già rallentato sostanzialmente il loro ritmo
produttivo. A differenza dei pozzi shale americani (che una volta scavati continuano a produrre senza
ulteriori costi rilevanti) ciascun barile prodotto da queste sabbie richiede un investimento notevole.
Per chi invece prevede un ulteriore declino dei prezzi nei mesi a venire, le argomentazioni si basano sul
fatto che il mercato si trova nel mezzo di un surplus produttivo in continuo aumento a causa della
produzione costante/in crescita e della domanda in diminuzione. Queste tesi sono sostenute dalla
decisione dell’OPEC, alla fine dello scorso anno, di continuare a rifornire i mercati ai medesimi livelli,
nonostante l’aumento produttivo da parte dei siti shale statunitensi e la crescita economica anemica a
livello globale. Inoltre questo punto di vista è suffragato dall’incremento delle scorte globali al livello più
elevato degli ultimi 80 anni. Nelle ultime settimane infatti le stesse hanno toccato il livello record di 444.4
milioni di barili. Questo dato esclude le Scorte Petrolifere Strategiche (SPR) USA che rappresentano altri
691 milioni di barili. Negli ultimi mesi, molte Società di trading e le banche sono dovute ricorrere a
stipare il petrolio nelle petroliere per far riprendere i prezzi. Con l’offerta in crescita e la domanda stabile,
nella migliore delle ipotesi, aumenta la paura che non ci sia più spazio per le scorte.