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CRISTINA COLLI
                                                              Il lavoro con i genitori dell’adolescente
                                                              deviante



       La linea di tendenza attuale del lavoro con i genitori nell'ambito della clinica psicoanalitica
dell'adolescenza si può sintetizzare così ( vedi le rassegne sull'argomento negli ultimi lavori di Charmet,
Maggiolini, Giacobbi, Lancini):"alla contrapposizione fra l'approccio intrapsichico che prevede il lavoro
esclusivo sulle rappresentazioni interne genitoriali del paziente escludendo dal lavoro diretto i genitori reali
e l'approccio interpersonale che comporta il coinvolgimento dei genitori e familiari nella consultazione e
negli interventi terapeutici si sono sostituite varie forme di coniugazione dei due approcci"
       Lo psicoterapeuta è passato dal difendersi dall' "intrusione negativa" dei familiari di cui già parlava
Freud e a cui si è ispirata per un periodo molto lungo la pratica clinica con gli adolescenti, al pensare ai
genitori come polo necessario di confronto per comprendere il disagio del figlio e, ove si può, risorsa nel
trattamento .
       "Per capire il rapporto interno, fantasmatico e interpersonale che i genitori vivono ed esprimono con i
figli è necessario capire tutto l'intrapsichico che essi riversano in tale rapporto (insieme di proiezioni,
identificazioni, scissioni) e per capire l'adolescente, il suo intrapsichico è necessario conoscere bene quali
dinamiche interpersonali figlio-genitori caratterizzano il passato ed il presente della vita dell'adolescente".
       Oggi l'orientamento clinico sembra quindi più capace di farsi carico delle ragioni affettive e della
sofferenza di entrambe le parti, figli e genitori.
       Si è inoltre sviluppata una nuova linea di ricerca clinica - teorica che utilizza la dimensione
transgenerazionale: per capire e quindi aiutare gli adolescenti ed i loro genitori occorre entrare nella storia
della famiglia " per fare un individuo bisogna entrare nel flusso esistenziale e mentale di tre generazioni,
affrontando anche gli aspetti inconsci della storia familiare".
       Il lavoro coi genitori a cui attualmente, come Minotauro, ci riferiamo ci sembra coniughi queste pro
       spettive differenti: si centra infatti sull'analisi della cultura familiare sottesa alla crisi attuale, e sul
ruolo affettivo che i membri della famiglia occupano; nei genitori i ruoli parentali si intrecciano con la
dimensione e le dinamiche di coppia.
       Un altro polo di riflessione è fornito dall' approccio transculturale, nei casi di adolescenti stranieri,
situazione frequente nelle problematiche devianti: le famiglie "d'altrove" sia quando sono assenti ( casi di
minori soli) sia quando sono presenti e impegnate, spesso con coinvolgimento psicologico e talvolta forte
disagio personale nel processo difficile di integrazione sociale, portano tematiche relazionali e dinamiche
affettive specifiche; i processi di individuazione e separazione, la trasmissione delle regole, del senso di
responsabilità individuale, il rapporto fra obiettivi di realizzazione personale e identità sociale assumono
valenze diverse.
       Stiamo iniziando ad affrontare, sia clinicamente che teoricamente, solo di recente, in confronto ad altre
realtà europee, questi temi; il riferimento è all'etnopischiatria e all'etnopsicoanalisi e molto resta da fare in
questo campo.

       Il lavoro con i genitori dell'adolescente deviante.
       Alcune considerazioni sulla specificità della relazione genitori- ragazzo deviante in generale
       - Il comportamento deviante, soprattutto se si connota come reato e prevede l'ingresso nel circuito
penale, costituisce quella che si può definire un'"esperienza di individuazione traumatica" sia per il ragazzo
che per i genitori:
       Uso questa espressione perché mi sembra raccolga due elementi importanti: innanzitutto sancisce la
nascita, anche se negativa, di una nuova identità che fa il suo debutto, spesso eclatante, sulla scena sociale;
rappresenta in sostanza l'incontro per i genitori, con la realtà di un ragazzo diverso, spesso del tutto
sconosciuto, talvolta inaspettato, talvolta inconsciamente "previsto" ma negato.
Prevale in molti casi nei confronti del figlio un vissuto di estraneità forte, rispetto alla
materializzazione di un'identità        estranea, portatrice di elementi di rischio e di aggressività non solo
autoriferiti ma socialmente riprovevoli e sanzionabili
         In secondo luogo, vede l'improvvisa materializzazione di un " terzo" che si inserisce di forza nel
privato familiare e nella relazione genitori - figlio : la Giustizia ed i suoi rappresentanti con cui, sino alla
conclusione della vicenda, sia l'adolescente che gli adulti saranno di fatto tenuti a rapportarsi.
        Se è vero che ogni manifestazione forte di disagio adolescenziale costituisce un evento altamente
traumatico per la famiglia, è però vero che l'esposizione sociale a cui i reati, soprattutto quelli gravi,
espongono sia l'adolescente che i familiari risultano particolari.
        Basti per questo fare riferimento sia al risalto mediatico che alcuni reati in età adolescenziale hanno,
sia ai timori riferiti ad una valutazione e di un "giudizio" non generico ed impersonale o attribuito ad
operatori con funzioni di supporto, scelti dai genitori stessi, ma un giudizio rappresentato da figure
istituzionali, che impone dall'esterno una inevitabile rivisitazione della storia familiare e sottopone i genitori
a sentimenti di vergogna sociale, oltre che di colpa.
        - L'agito deviante rappresenta inoltre la crisi o in taluni casi il fallimento di una funzione specifica
della relazione genitori - figli: il supporto genitoriale alla costruzione del senso di responsabilità individuale
ed il rapporto con le regole di convivenza sociale
        Il lavoro con i genitori del ragazzo deviante nell'ottica della psicologia e della psicoterapia evolutive
dell'équipe psicologica del Minotauro, sia in ambito consultoriale privato, sia nell'attività realizzata nei
Servizi del Penale Minorile, ha lo scopo di creare uno spazio specifico di elaborazione di vissuti personali e
di supporto al ruolo genitoriale; cerca di offrire una sintesi dotata di senso sia dell'agito deviante che della
complessità della persona del ragazzo, sintesi che mira ad individuare sì le aree di fragilità, ma anche, e
soprattutto, le capacità e le risorse da far emergere e su cui l'adolescente, e la sua famiglia, possono contare
nel ripensarsi e ripensare il futuro.
        Si cerca cioè di dare senso all'opacità dell'agito sia nel bilancio psicologico individuale che in
relazione agli equilibri relazionali familiari
        La gravità della ferita narcisistica, la presenza e la qualità dell'investimento sulla possibile nascita e
crescita sociale del figlio, la possibilità di delegare, talvolta in parte, talvolta totalmente ( come nel caso del
ricorso all'inserimento in comunità) la funzione educativa agli operatori tollerando emotivamente tale delega
sono fattori da considerare e su cui lavorare nel tempo.
        Il ruolo dei genitori, e le modalità con cui si organizza la loro reazione, sia all'evento reato che nelle
fasi successive, assumono quindi molta rilevanza sia nella fase di valutazione che di accompagnamento
all'intervento sul figlio.
        Questo risulta particolarmente evidente quando la famiglia non ha mai avuto problematiche devianti:
si assiste in questi casi ad una reazione assimilabile ad una vera e propria "angoscia dell'estraneo": è un
estraneo il ragazzo ed è estranea, oltre che angosciante, tutta la vicenda che si è innescata improvvisamente.
        La possibilità di integrare, nell'immagine del figlio, gli aspetti di disagio, di differenza, di sofferenza o
di carenza che in genere stanno alla base dell'agito deviante, tollerandone l'impatto emotivo, e,
parallelamente, di poter esprimere i propri vissuti di rabbia, delusione, colpa, vergogna, appare una
condizione importante sia nell'affrontare il reato, che nel poter sostenere o, comunque, affiancare, non
ostacolandolo, il percorso di elaborazione del figlio.
        Talvolta, si tratta di ragazzi in cui la dimensione della responsabilità è presente, in alcune aree ben
precise di vita; l'agito deviante, o il reato vero e propri, rivelano spesso un atteggiamento scisso fra una
buona tenuta in alcuni campi, talvolta nella scuola oppure in famiglia o in altri contesti sociali di
appartenenza, e, al contrario, gravi carenze nella capacità di valutare il senso e la portata dei propri gesti, o
di identificarsi nei bisogni dell'altro, o disprezzo delle regole, in ambiti diversi da quelli abituali, spesso nel
gruppo dei pari. I genitori spesso sono presenti ed attivi seppure a livelli e con capacità diversi,
affettivamente ed educativamente, ma risulta evidente come frequentemente il figlio "visto" e pensato
corrisponda solo molto parzialmente al ragazzo adolescente che hanno di fronte, per motivi diversi.
        Una situazione frequentemente incontrata è quella in cui l'immagine del figlio è ferma regressivamente
a quella infantile, in cui gli aspetti di crescita, come la maturazione sessuale, o il rivolgersi all'esterno verso i
coetanei, o la riuscita nell'apprendimento, stentano a prendere corpo nella mente dei genitori e ad essere
investiti di attenzione, e di considerazione reali, soprattutto quando sono presenti nel ragazzo difficoltà a
riguardo, che non vengono considerate.
        Altre volte, l'aspetto prevalente sembra essere la difficoltà a mettersi in relazione con aspetti di
distonia rispetto ai progetti, all'ideale familiare in cui sia gli adulti che l'adolescente hanno un posto ben
definito e rigidamente prefissato; la diversità possibile spesso assume nel vissuto emotivo di questi genitori i
contorni di qualcosa di rischioso, di eccessivamente conflittuale, che spesso rimanda ad aree problematiche,
non esplicitate nelle relazioni familiari.
       In casi del genere, in effetti l'agito deviante del figlio ha il significato di un appello violento ed è,
contemporaneamente, l'occasione per far emergere aspetti affettivi ed aggressivi a lungo negati e compressi.
       La ferita narcisistica profonda, comunque presente, nei genitori resta il primo problema in questi casi
su cui appare opportuno lavorare, ma che a volte può essere trascurato, o sottovalutato per l'urgenza esterna
di prendere decisioni
       Una sofferenza molto acuta nei genitori, soprattutto quando viene esibita, trova in genere
corrispondenza in vissuti altrettanto forti nel ragazzo, di marca depressiva.
       Il percorso di elaborazione delle condotte devianti da parte del ragazzo rischia così di trasformarsi in
una sorta di "espiazione" dedicata alla famiglia
       Se prevale l'intento riparativo nei confronti del tradimento perpetuato ai danni dell'ideale familiare
       tende ad affermarsi nei genitori l'investimento sul figlio che ha come compito il risarcimento delle
ferite narcisistiche inferte in famiglia, più che sul figlio impegnato nella sperimentazione di un nuovo sé
sociale positivo.
       Il ripristino della situazione pre- reato, come se nulla fosse successo, può risultare una negazione
pesante per il ragazzo del tempo e della fatica del percorso fatto e della nuova consapevolezza di sé
raggiunta; si rischia di svalutare quel faticoso, ma necessario lavoro di integrazione nel sé del ragazzo della
propria parte deviante, che era carente in alcuni aspetti, ma aveva le sue ragioni affettive; la
responsabilizzazione e la dimostrazione a sé e agli altri di avere maggiori capacità, raggiunte attraverso il
lavoro psicologico e/o educativo fatto fanno parte di una storia dotata di senso, ed è importante che venga
riconosciuta anche dagli adulti.
       Il lavoro di sostegno psicologico agli adulti in queste situazioni, talvolta richiesto dai genitori stessi,
ha come fulcro proprio l' elaborazione della ferita narcisistica, dei timori che le difficoltà, e il sostegno alla
possibilità di mantenere vivo il confronto con gli aspetti di positività sul piano delle competenze sociali e
dell'autonomia acquisite dal figlio, sostenendone nel tempo il valore.
       Frequentemente l'adolescente deviante è gravato da insuccessi scolastici, è spesso inserito in gruppi di
coetanei a rischio, dimostra interessi molto incerti riguardo ad un possibile inserimento lavorativo; la
dimensione del futuro è di fatto poco presente, non solo per il ragazzo, ma per gli stessi adulti del suo nucleo
familiare
       Nell'incontro con i genitori, più frequentemente solo la madre, emerge talvolta come l'immagine del
possibile ingresso sulla scena sociale del figlio sia connotata o da aspettative di riuscita e comunque di tenuta
ad esempio in ambito scolastico, non sostenute però sul piano reale, o, in alcuni casi, non sia presente del
tutto.
       La dimensione prevalente in cui talvolta sia il ragazzo che i suoi stessi genitori sembrano immersi è
quella del presente, vi sono scarse competenze nelle funzioni genitoriali di controllo ed insieme di protezione
nei confronti del figlio.
       Se, quindi, il reato appare un agito aspettato anche se talvolta non consapevolmente, il problema
principale nella relazione con i genitori sembra quello della tollerabilità di una possibile delega agli
operatori, siano essi psicologi, educatori o assistenti sociali della gestione di una funzione importante, che
essi faticano ad attivare nei confronti del figlio: la condivisione di uno spazio di pensiero, in cui progettare
un proprio futuro possibile, oltre i confini conosciuti del quartiere e oltre le abitudini familiari, in cui
misurare l'aderenza alla realtà delle proprie aspettative, e la propria tenuta nel rispetto delle regole e degli
impegni assunti.
       In questi casi, il sostegno ai genitori assume quindi una funzione di difesa di questo spazio e,
contemporaneamente, di stimolo alla possibilità di attivarsi nel pensare al figlio ed al suo percorso,
ritagliando del tempo in quotidianità spesso scandite quasi esclusivamente da problemi e urgenze.
       Si tratta di rendere accessibili, alla percezione e all'investimento da parte dei genitori, gli aspetti di
bisogni evolutivi, di carenze nell' autostima e nella percezione di sé come soggetto sociale portatore di
competenze realistiche, di alimentare l'emergere di alternative al percorso, per certi versi già preventivato, di
" carriera" deviante
       Assumono una particolare importanza i casi in cui il nucleo familiare è costituito da lungo tempo dalla
coppia formata da madre e figlio, in assenza di figura paterna.
In questi casi, in genere, il reato esprime il bisogno di un'uscita possibile da una relazione duale troppo
invischiante, attraverso l'implicito richiamo all'intervento del "terzo" separante rappresentato dall'intervento
esterno degli operatori e/o delle istituzioni.
      L'ambivalenza costante fra delega agli operatori delle parti non più controllabili del figlio da un lato, e
richiamo forte alla relazione simbiotica dall'altro, rappresenta il tema di fondo che attraversa il lavoro
psicologico.
       Quando nel lavoro con le figure adulte si può realizzare una bonifica di questi aspetti illavoro con il
ragazzo risulta tutelato, in caso contrario è alto il rischio di una realizzazione parziale o di un esito negativo.
      La buona riuscita della presa in carico del ragazzo con comportamenti devianti sembra quindi
soprattutto passare attraverso il confronto e l'integrazione, sia per il ragazzo che per gli adulti, con le parti
non viste che il reato ha fatto emergere.

       3) I contesti di lavoro:
       Un accenno sulle caratteristiche di setting e sulle diversità degli obiettivi di intervento nei contesti in
cui operiamo
       - AEG :
       gli obiettivi del lavoro sono quelli esplicitati in precedenza; l'assetto e modello di intervento è
paragonabile al lavoro consultoriale e terapeutico utilizzato nella presa in carico sia in fase di consultazione
che terapeutica del ragazzo e dei genitori con setting e modelli differenti: talvolta è lo stesso psicologo che
gestisce la relazione con il ragazzo ed i genitori nella fase della consultazione, talvolta l'interevento si
differenzia, anche in fase di consultazione; i colloqui possono avvenire sia congiuntamente con la coppia di
genitori, sia separatamente.
       - Servizi del Penale Minorile: CPA, USSM, IPM:
       Il lavoro psicologico si realizza mirando all'integrazione di cultura giuridica e psicologica, nella
cornice istituzionale posta dal Nuovo Codice di Procedura Penale, spesso occasione per organizzzare risposte
mirate e puntuali, non altrettanto possibili in ambito di diritto Amministrativo o Civile
       Il nuovo Codice di procedura penale minorile italiano, emanato nel 1988, ha infatti sancito una
profonda evoluzione nel campo della giustizia minorile e nel modo di valutare e trattare i minori devianti.
       Nel Codice, ad esempio, viene stabilito il principio che nel corso del processo a carico di imputati
minorenni si debba tener conto delle "particolari condizioni psicologiche del minore, della sua maturità e
delle esigenze della sua educazione".
       Viene, di conseguenza, messo l' accento sulla necessità di acquisire, in vista delle misure da decidere,
una conoscenza approfondita della personalità del ragazzo, della sua situazione socio - ambientale, delle sue
risorse evolutive e di mettere in atto
       L'organizzazione e la tenuta nel tempo di una risposte che richiedono alleanza fra adulti e competenze
diverse che hanno il compito di elaborare insieme il progetto educativo più adeguato a rimettere in moto una
crescita positiva.
       CPA:
       Il lavoro psicologico nell'ambito del Centro di Prima Accoglienza per quanto riguarda la valutazione
dell'ambiente familiare, è finalizzata ad individuare rapidamente gli elementi più espliciti ed osservabili delle
difficoltà familiari, con l'obiettivo di supportare le decisioni immediate che il GIP dovrà assumere sul
ragazzo nell'udienza di convalida ( ricordo che per legge deve essere effettuata entro 48 ore).
       Risulta determinante il fattore tempo: rapidità dell'osservazione; interscambiabilità e contiguità di ruoli
alta fra psicologo ed educatore caratterizzano questo tipo di intervento: sulla differenziazione professionale
prevalgono le esigenze di immediatezza; il contatto con le famiglie avviene in modo difficilmente
programmabile ed in un setting poco organizzabile ( l'arrivo dei genitori, la composizione dell'équipe
presente al momento è variabile).
       Si cerca di coniugare l'esigenza di raccogliere elementi osservativi con la necessità di sostenere
ragazzo e famiglia in un momento post- traumatico: è un momento ad alta intensità emotiva ( è il momento
di ricongiungimento ragazzo-famiglia); proprio per questo, prezioso per cogliere elementi di osservazione
che non si ripeteranno.
       USSM:
       E' la fase di valutazione più approfondita sia del ragazzo che della famiglia, dell'elaborazione del
progetto educativo in vista delle udienze processuali vere e proprie, e del sostegno sia del ragazzo che della
famiglia lungo tutto il periodo di intervento del Penale Minorile.
Fondamentale risulta l'elemento rappresentato dall'équipe interdisciplinare, che prevede la
collaborazione stretta psicologo/ assistente sociale e l'intervento di altri operatori: educatori, orientatori,
operatori di comunità.
        L'intervento psicologico, nella fase valutativa precedente al processo, non è pensato tanto in termini
"peritali", finalizzato cioè a distinguere fra "normalità" a cui applicare pene o "patologia" per cui organizzare
cure, quanto piuttosto a collocare il reato nel bilancio attuale evolutivo del ragazzo, dandogli significato e
cogliendo il legame con le sue principali difficoltà e con il suo ambiente di sviluppo.
        In seguito, il lavoro psicologico sia che prenda la strada di un accompagnamento diretto al ragazzo, ed
in alcuni casi ai genitori, sia che si realizzi indirettamente come contributo all'équipe degli operatori
educativi o sociali che seguono il ragazzo,ha come obiettivi principali i seguenti
        - sostenere la ripresa del percorso di crescita del ragazzo
        - presidiare un diverso ingresso sulla scena sociale che non abbia i connotati della negatività e non
incorra quindi in nuove inevitabili sanzioni;
        - integrare il punto di vista dell'istituzione, e del diritto, con la percezione soggettiva del reato da parte
dell'adolescente, e della sua famiglia: a volte queste percezioni ed i vissuti relativi sono simili, a volte
distanti, talvolta, almeno inizialmente, sembrano inconciliabili e spesso questa integrazione costituisce il
punto di arrivo non facile di tutto il progetto di intervento.
        La misura della MAP è una modalità particolare di intervento, che assume un significato particolare:si
può considerare come uno spazio plausibile di sperimentazione di "nascita sociale protetta,"per il ragazzo,
che i genitori si trovano ad affiancare, delegando talvolta agli operatori una funzione di sostegno, ma
dovendo anche riconoscerne la funzione di valutazione dei progressi del figlio.
        Quando questo è, almeno in parte, raggiunto, è possibile che il termine dell'intervento con esito
positivo sia salutato da tutti, ragazzo, genitori, operatori, con sollievo, come la fine di un periodo difficile,
ma anche con la consapevolezza, in alcuni casi espressa, di avere fatto un'esperienza evolutiva, che ha
portato a cambiamenti sia nell'adolescente che negli adulti e che ha reso il percorso penale non solo una
misura punitiva ma l' occasione, appunto, di "provare" nuove immagini di sé, nuove posizioni e nuovi ruoli,
sia all'interno della famiglia, che nei confronti dell'esterno.
         Comunità:il lavoro con il genitore assente
        Il lavoro rivolto ai genitori può riguardare diversi aspetti:fra gli altri, l'elaborazione della separazione,
il rapporto con il cambiamento avvenuto fuori dal contesto familiare, la gestione del rientro e dell'autonomia
del figlio.
        La permanenza in comunità inoltre è segnata da fasi importanti, anche per quanto riguarda il rapporto
con le famiglie; in particolare:
        - Il momento dell'ingresso in comunità: di fatto non solo viene sancita la separazione, ma si
"ufficializza" il giudizio, anche sociale, sull'assenza o grave inadeguatezza dell'ambiente familiare : sia sul
versante degli adulti di riferimento, sia dei minori coinvolti, si tratta di confrontarsi con questo problema
esplicitato e comunicato; pur essendo in precedenza già vissuta, spesso pesantemente, in modo diretto, la
carenza di riferimenti affettivi ed educativi e le difficoltà relazionali possono sul piano consapevole essere
rimosse o negate.
        - In comunità il ragazzo, deve accettare, fidarsi e dialogare con l'adulto: tollerare la dipendenza sia sul
piano educativo che emotivo dopo aver imparato a farne a meno può risultare difficile per i ragazzi;
        - Durante il percorso: più il lavoro educativo e la permanenza in comunità procedono positivamente,
più può risultare importante tener presente l'ambiente esterno.
        Tanto più il ragazzo riprende evolutivamente la sua crescita, e più, per certi versi, questo cambiamento
può risultare difficile da assimilare alla famiglia, spesso rimasta ferma al figlio conosciuto in precedenza e
sulla cui identità a volte si è appoggiata.
        - L'uscita : il distacco dalla "famiglia" della comunità, anche se graduale può riattivare i vissuti di
abbandono e di confronto fra "le due famiglie" e può portare a regressioni in alcuni casi; nelle situazioni
positive può invece condurre ad una "sintesi" personale; l'atteggiamento tenuto dai familiari da un lato e
dagli educatori dall'altro può favorire questa evoluzione.
        Uscire dal circuito penale"non significa quindi chiudere solo i conti con la "Giustizia", ma aver
raggiunto una maggiore consapevolezza e aver conquistato un'immagine di sé più complessa, di cui il reato,
ed il percorso fatto, hanno un posto nella mente dell'adolescente e dei suoi genitori, in quanto esperienza
vissuta e non evento da rimuovere.

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  • 1. CRISTINA COLLI Il lavoro con i genitori dell’adolescente deviante La linea di tendenza attuale del lavoro con i genitori nell'ambito della clinica psicoanalitica dell'adolescenza si può sintetizzare così ( vedi le rassegne sull'argomento negli ultimi lavori di Charmet, Maggiolini, Giacobbi, Lancini):"alla contrapposizione fra l'approccio intrapsichico che prevede il lavoro esclusivo sulle rappresentazioni interne genitoriali del paziente escludendo dal lavoro diretto i genitori reali e l'approccio interpersonale che comporta il coinvolgimento dei genitori e familiari nella consultazione e negli interventi terapeutici si sono sostituite varie forme di coniugazione dei due approcci" Lo psicoterapeuta è passato dal difendersi dall' "intrusione negativa" dei familiari di cui già parlava Freud e a cui si è ispirata per un periodo molto lungo la pratica clinica con gli adolescenti, al pensare ai genitori come polo necessario di confronto per comprendere il disagio del figlio e, ove si può, risorsa nel trattamento . "Per capire il rapporto interno, fantasmatico e interpersonale che i genitori vivono ed esprimono con i figli è necessario capire tutto l'intrapsichico che essi riversano in tale rapporto (insieme di proiezioni, identificazioni, scissioni) e per capire l'adolescente, il suo intrapsichico è necessario conoscere bene quali dinamiche interpersonali figlio-genitori caratterizzano il passato ed il presente della vita dell'adolescente". Oggi l'orientamento clinico sembra quindi più capace di farsi carico delle ragioni affettive e della sofferenza di entrambe le parti, figli e genitori. Si è inoltre sviluppata una nuova linea di ricerca clinica - teorica che utilizza la dimensione transgenerazionale: per capire e quindi aiutare gli adolescenti ed i loro genitori occorre entrare nella storia della famiglia " per fare un individuo bisogna entrare nel flusso esistenziale e mentale di tre generazioni, affrontando anche gli aspetti inconsci della storia familiare". Il lavoro coi genitori a cui attualmente, come Minotauro, ci riferiamo ci sembra coniughi queste pro spettive differenti: si centra infatti sull'analisi della cultura familiare sottesa alla crisi attuale, e sul ruolo affettivo che i membri della famiglia occupano; nei genitori i ruoli parentali si intrecciano con la dimensione e le dinamiche di coppia. Un altro polo di riflessione è fornito dall' approccio transculturale, nei casi di adolescenti stranieri, situazione frequente nelle problematiche devianti: le famiglie "d'altrove" sia quando sono assenti ( casi di minori soli) sia quando sono presenti e impegnate, spesso con coinvolgimento psicologico e talvolta forte disagio personale nel processo difficile di integrazione sociale, portano tematiche relazionali e dinamiche affettive specifiche; i processi di individuazione e separazione, la trasmissione delle regole, del senso di responsabilità individuale, il rapporto fra obiettivi di realizzazione personale e identità sociale assumono valenze diverse. Stiamo iniziando ad affrontare, sia clinicamente che teoricamente, solo di recente, in confronto ad altre realtà europee, questi temi; il riferimento è all'etnopischiatria e all'etnopsicoanalisi e molto resta da fare in questo campo. Il lavoro con i genitori dell'adolescente deviante. Alcune considerazioni sulla specificità della relazione genitori- ragazzo deviante in generale - Il comportamento deviante, soprattutto se si connota come reato e prevede l'ingresso nel circuito penale, costituisce quella che si può definire un'"esperienza di individuazione traumatica" sia per il ragazzo che per i genitori: Uso questa espressione perché mi sembra raccolga due elementi importanti: innanzitutto sancisce la nascita, anche se negativa, di una nuova identità che fa il suo debutto, spesso eclatante, sulla scena sociale; rappresenta in sostanza l'incontro per i genitori, con la realtà di un ragazzo diverso, spesso del tutto sconosciuto, talvolta inaspettato, talvolta inconsciamente "previsto" ma negato.
  • 2. Prevale in molti casi nei confronti del figlio un vissuto di estraneità forte, rispetto alla materializzazione di un'identità estranea, portatrice di elementi di rischio e di aggressività non solo autoriferiti ma socialmente riprovevoli e sanzionabili In secondo luogo, vede l'improvvisa materializzazione di un " terzo" che si inserisce di forza nel privato familiare e nella relazione genitori - figlio : la Giustizia ed i suoi rappresentanti con cui, sino alla conclusione della vicenda, sia l'adolescente che gli adulti saranno di fatto tenuti a rapportarsi. Se è vero che ogni manifestazione forte di disagio adolescenziale costituisce un evento altamente traumatico per la famiglia, è però vero che l'esposizione sociale a cui i reati, soprattutto quelli gravi, espongono sia l'adolescente che i familiari risultano particolari. Basti per questo fare riferimento sia al risalto mediatico che alcuni reati in età adolescenziale hanno, sia ai timori riferiti ad una valutazione e di un "giudizio" non generico ed impersonale o attribuito ad operatori con funzioni di supporto, scelti dai genitori stessi, ma un giudizio rappresentato da figure istituzionali, che impone dall'esterno una inevitabile rivisitazione della storia familiare e sottopone i genitori a sentimenti di vergogna sociale, oltre che di colpa. - L'agito deviante rappresenta inoltre la crisi o in taluni casi il fallimento di una funzione specifica della relazione genitori - figli: il supporto genitoriale alla costruzione del senso di responsabilità individuale ed il rapporto con le regole di convivenza sociale Il lavoro con i genitori del ragazzo deviante nell'ottica della psicologia e della psicoterapia evolutive dell'équipe psicologica del Minotauro, sia in ambito consultoriale privato, sia nell'attività realizzata nei Servizi del Penale Minorile, ha lo scopo di creare uno spazio specifico di elaborazione di vissuti personali e di supporto al ruolo genitoriale; cerca di offrire una sintesi dotata di senso sia dell'agito deviante che della complessità della persona del ragazzo, sintesi che mira ad individuare sì le aree di fragilità, ma anche, e soprattutto, le capacità e le risorse da far emergere e su cui l'adolescente, e la sua famiglia, possono contare nel ripensarsi e ripensare il futuro. Si cerca cioè di dare senso all'opacità dell'agito sia nel bilancio psicologico individuale che in relazione agli equilibri relazionali familiari La gravità della ferita narcisistica, la presenza e la qualità dell'investimento sulla possibile nascita e crescita sociale del figlio, la possibilità di delegare, talvolta in parte, talvolta totalmente ( come nel caso del ricorso all'inserimento in comunità) la funzione educativa agli operatori tollerando emotivamente tale delega sono fattori da considerare e su cui lavorare nel tempo. Il ruolo dei genitori, e le modalità con cui si organizza la loro reazione, sia all'evento reato che nelle fasi successive, assumono quindi molta rilevanza sia nella fase di valutazione che di accompagnamento all'intervento sul figlio. Questo risulta particolarmente evidente quando la famiglia non ha mai avuto problematiche devianti: si assiste in questi casi ad una reazione assimilabile ad una vera e propria "angoscia dell'estraneo": è un estraneo il ragazzo ed è estranea, oltre che angosciante, tutta la vicenda che si è innescata improvvisamente. La possibilità di integrare, nell'immagine del figlio, gli aspetti di disagio, di differenza, di sofferenza o di carenza che in genere stanno alla base dell'agito deviante, tollerandone l'impatto emotivo, e, parallelamente, di poter esprimere i propri vissuti di rabbia, delusione, colpa, vergogna, appare una condizione importante sia nell'affrontare il reato, che nel poter sostenere o, comunque, affiancare, non ostacolandolo, il percorso di elaborazione del figlio. Talvolta, si tratta di ragazzi in cui la dimensione della responsabilità è presente, in alcune aree ben precise di vita; l'agito deviante, o il reato vero e propri, rivelano spesso un atteggiamento scisso fra una buona tenuta in alcuni campi, talvolta nella scuola oppure in famiglia o in altri contesti sociali di appartenenza, e, al contrario, gravi carenze nella capacità di valutare il senso e la portata dei propri gesti, o di identificarsi nei bisogni dell'altro, o disprezzo delle regole, in ambiti diversi da quelli abituali, spesso nel gruppo dei pari. I genitori spesso sono presenti ed attivi seppure a livelli e con capacità diversi, affettivamente ed educativamente, ma risulta evidente come frequentemente il figlio "visto" e pensato corrisponda solo molto parzialmente al ragazzo adolescente che hanno di fronte, per motivi diversi. Una situazione frequentemente incontrata è quella in cui l'immagine del figlio è ferma regressivamente a quella infantile, in cui gli aspetti di crescita, come la maturazione sessuale, o il rivolgersi all'esterno verso i coetanei, o la riuscita nell'apprendimento, stentano a prendere corpo nella mente dei genitori e ad essere investiti di attenzione, e di considerazione reali, soprattutto quando sono presenti nel ragazzo difficoltà a riguardo, che non vengono considerate. Altre volte, l'aspetto prevalente sembra essere la difficoltà a mettersi in relazione con aspetti di distonia rispetto ai progetti, all'ideale familiare in cui sia gli adulti che l'adolescente hanno un posto ben
  • 3. definito e rigidamente prefissato; la diversità possibile spesso assume nel vissuto emotivo di questi genitori i contorni di qualcosa di rischioso, di eccessivamente conflittuale, che spesso rimanda ad aree problematiche, non esplicitate nelle relazioni familiari. In casi del genere, in effetti l'agito deviante del figlio ha il significato di un appello violento ed è, contemporaneamente, l'occasione per far emergere aspetti affettivi ed aggressivi a lungo negati e compressi. La ferita narcisistica profonda, comunque presente, nei genitori resta il primo problema in questi casi su cui appare opportuno lavorare, ma che a volte può essere trascurato, o sottovalutato per l'urgenza esterna di prendere decisioni Una sofferenza molto acuta nei genitori, soprattutto quando viene esibita, trova in genere corrispondenza in vissuti altrettanto forti nel ragazzo, di marca depressiva. Il percorso di elaborazione delle condotte devianti da parte del ragazzo rischia così di trasformarsi in una sorta di "espiazione" dedicata alla famiglia Se prevale l'intento riparativo nei confronti del tradimento perpetuato ai danni dell'ideale familiare tende ad affermarsi nei genitori l'investimento sul figlio che ha come compito il risarcimento delle ferite narcisistiche inferte in famiglia, più che sul figlio impegnato nella sperimentazione di un nuovo sé sociale positivo. Il ripristino della situazione pre- reato, come se nulla fosse successo, può risultare una negazione pesante per il ragazzo del tempo e della fatica del percorso fatto e della nuova consapevolezza di sé raggiunta; si rischia di svalutare quel faticoso, ma necessario lavoro di integrazione nel sé del ragazzo della propria parte deviante, che era carente in alcuni aspetti, ma aveva le sue ragioni affettive; la responsabilizzazione e la dimostrazione a sé e agli altri di avere maggiori capacità, raggiunte attraverso il lavoro psicologico e/o educativo fatto fanno parte di una storia dotata di senso, ed è importante che venga riconosciuta anche dagli adulti. Il lavoro di sostegno psicologico agli adulti in queste situazioni, talvolta richiesto dai genitori stessi, ha come fulcro proprio l' elaborazione della ferita narcisistica, dei timori che le difficoltà, e il sostegno alla possibilità di mantenere vivo il confronto con gli aspetti di positività sul piano delle competenze sociali e dell'autonomia acquisite dal figlio, sostenendone nel tempo il valore. Frequentemente l'adolescente deviante è gravato da insuccessi scolastici, è spesso inserito in gruppi di coetanei a rischio, dimostra interessi molto incerti riguardo ad un possibile inserimento lavorativo; la dimensione del futuro è di fatto poco presente, non solo per il ragazzo, ma per gli stessi adulti del suo nucleo familiare Nell'incontro con i genitori, più frequentemente solo la madre, emerge talvolta come l'immagine del possibile ingresso sulla scena sociale del figlio sia connotata o da aspettative di riuscita e comunque di tenuta ad esempio in ambito scolastico, non sostenute però sul piano reale, o, in alcuni casi, non sia presente del tutto. La dimensione prevalente in cui talvolta sia il ragazzo che i suoi stessi genitori sembrano immersi è quella del presente, vi sono scarse competenze nelle funzioni genitoriali di controllo ed insieme di protezione nei confronti del figlio. Se, quindi, il reato appare un agito aspettato anche se talvolta non consapevolmente, il problema principale nella relazione con i genitori sembra quello della tollerabilità di una possibile delega agli operatori, siano essi psicologi, educatori o assistenti sociali della gestione di una funzione importante, che essi faticano ad attivare nei confronti del figlio: la condivisione di uno spazio di pensiero, in cui progettare un proprio futuro possibile, oltre i confini conosciuti del quartiere e oltre le abitudini familiari, in cui misurare l'aderenza alla realtà delle proprie aspettative, e la propria tenuta nel rispetto delle regole e degli impegni assunti. In questi casi, il sostegno ai genitori assume quindi una funzione di difesa di questo spazio e, contemporaneamente, di stimolo alla possibilità di attivarsi nel pensare al figlio ed al suo percorso, ritagliando del tempo in quotidianità spesso scandite quasi esclusivamente da problemi e urgenze. Si tratta di rendere accessibili, alla percezione e all'investimento da parte dei genitori, gli aspetti di bisogni evolutivi, di carenze nell' autostima e nella percezione di sé come soggetto sociale portatore di competenze realistiche, di alimentare l'emergere di alternative al percorso, per certi versi già preventivato, di " carriera" deviante Assumono una particolare importanza i casi in cui il nucleo familiare è costituito da lungo tempo dalla coppia formata da madre e figlio, in assenza di figura paterna.
  • 4. In questi casi, in genere, il reato esprime il bisogno di un'uscita possibile da una relazione duale troppo invischiante, attraverso l'implicito richiamo all'intervento del "terzo" separante rappresentato dall'intervento esterno degli operatori e/o delle istituzioni. L'ambivalenza costante fra delega agli operatori delle parti non più controllabili del figlio da un lato, e richiamo forte alla relazione simbiotica dall'altro, rappresenta il tema di fondo che attraversa il lavoro psicologico. Quando nel lavoro con le figure adulte si può realizzare una bonifica di questi aspetti illavoro con il ragazzo risulta tutelato, in caso contrario è alto il rischio di una realizzazione parziale o di un esito negativo. La buona riuscita della presa in carico del ragazzo con comportamenti devianti sembra quindi soprattutto passare attraverso il confronto e l'integrazione, sia per il ragazzo che per gli adulti, con le parti non viste che il reato ha fatto emergere. 3) I contesti di lavoro: Un accenno sulle caratteristiche di setting e sulle diversità degli obiettivi di intervento nei contesti in cui operiamo - AEG : gli obiettivi del lavoro sono quelli esplicitati in precedenza; l'assetto e modello di intervento è paragonabile al lavoro consultoriale e terapeutico utilizzato nella presa in carico sia in fase di consultazione che terapeutica del ragazzo e dei genitori con setting e modelli differenti: talvolta è lo stesso psicologo che gestisce la relazione con il ragazzo ed i genitori nella fase della consultazione, talvolta l'interevento si differenzia, anche in fase di consultazione; i colloqui possono avvenire sia congiuntamente con la coppia di genitori, sia separatamente. - Servizi del Penale Minorile: CPA, USSM, IPM: Il lavoro psicologico si realizza mirando all'integrazione di cultura giuridica e psicologica, nella cornice istituzionale posta dal Nuovo Codice di Procedura Penale, spesso occasione per organizzzare risposte mirate e puntuali, non altrettanto possibili in ambito di diritto Amministrativo o Civile Il nuovo Codice di procedura penale minorile italiano, emanato nel 1988, ha infatti sancito una profonda evoluzione nel campo della giustizia minorile e nel modo di valutare e trattare i minori devianti. Nel Codice, ad esempio, viene stabilito il principio che nel corso del processo a carico di imputati minorenni si debba tener conto delle "particolari condizioni psicologiche del minore, della sua maturità e delle esigenze della sua educazione". Viene, di conseguenza, messo l' accento sulla necessità di acquisire, in vista delle misure da decidere, una conoscenza approfondita della personalità del ragazzo, della sua situazione socio - ambientale, delle sue risorse evolutive e di mettere in atto L'organizzazione e la tenuta nel tempo di una risposte che richiedono alleanza fra adulti e competenze diverse che hanno il compito di elaborare insieme il progetto educativo più adeguato a rimettere in moto una crescita positiva. CPA: Il lavoro psicologico nell'ambito del Centro di Prima Accoglienza per quanto riguarda la valutazione dell'ambiente familiare, è finalizzata ad individuare rapidamente gli elementi più espliciti ed osservabili delle difficoltà familiari, con l'obiettivo di supportare le decisioni immediate che il GIP dovrà assumere sul ragazzo nell'udienza di convalida ( ricordo che per legge deve essere effettuata entro 48 ore). Risulta determinante il fattore tempo: rapidità dell'osservazione; interscambiabilità e contiguità di ruoli alta fra psicologo ed educatore caratterizzano questo tipo di intervento: sulla differenziazione professionale prevalgono le esigenze di immediatezza; il contatto con le famiglie avviene in modo difficilmente programmabile ed in un setting poco organizzabile ( l'arrivo dei genitori, la composizione dell'équipe presente al momento è variabile). Si cerca di coniugare l'esigenza di raccogliere elementi osservativi con la necessità di sostenere ragazzo e famiglia in un momento post- traumatico: è un momento ad alta intensità emotiva ( è il momento di ricongiungimento ragazzo-famiglia); proprio per questo, prezioso per cogliere elementi di osservazione che non si ripeteranno. USSM: E' la fase di valutazione più approfondita sia del ragazzo che della famiglia, dell'elaborazione del progetto educativo in vista delle udienze processuali vere e proprie, e del sostegno sia del ragazzo che della famiglia lungo tutto il periodo di intervento del Penale Minorile.
  • 5. Fondamentale risulta l'elemento rappresentato dall'équipe interdisciplinare, che prevede la collaborazione stretta psicologo/ assistente sociale e l'intervento di altri operatori: educatori, orientatori, operatori di comunità. L'intervento psicologico, nella fase valutativa precedente al processo, non è pensato tanto in termini "peritali", finalizzato cioè a distinguere fra "normalità" a cui applicare pene o "patologia" per cui organizzare cure, quanto piuttosto a collocare il reato nel bilancio attuale evolutivo del ragazzo, dandogli significato e cogliendo il legame con le sue principali difficoltà e con il suo ambiente di sviluppo. In seguito, il lavoro psicologico sia che prenda la strada di un accompagnamento diretto al ragazzo, ed in alcuni casi ai genitori, sia che si realizzi indirettamente come contributo all'équipe degli operatori educativi o sociali che seguono il ragazzo,ha come obiettivi principali i seguenti - sostenere la ripresa del percorso di crescita del ragazzo - presidiare un diverso ingresso sulla scena sociale che non abbia i connotati della negatività e non incorra quindi in nuove inevitabili sanzioni; - integrare il punto di vista dell'istituzione, e del diritto, con la percezione soggettiva del reato da parte dell'adolescente, e della sua famiglia: a volte queste percezioni ed i vissuti relativi sono simili, a volte distanti, talvolta, almeno inizialmente, sembrano inconciliabili e spesso questa integrazione costituisce il punto di arrivo non facile di tutto il progetto di intervento. La misura della MAP è una modalità particolare di intervento, che assume un significato particolare:si può considerare come uno spazio plausibile di sperimentazione di "nascita sociale protetta,"per il ragazzo, che i genitori si trovano ad affiancare, delegando talvolta agli operatori una funzione di sostegno, ma dovendo anche riconoscerne la funzione di valutazione dei progressi del figlio. Quando questo è, almeno in parte, raggiunto, è possibile che il termine dell'intervento con esito positivo sia salutato da tutti, ragazzo, genitori, operatori, con sollievo, come la fine di un periodo difficile, ma anche con la consapevolezza, in alcuni casi espressa, di avere fatto un'esperienza evolutiva, che ha portato a cambiamenti sia nell'adolescente che negli adulti e che ha reso il percorso penale non solo una misura punitiva ma l' occasione, appunto, di "provare" nuove immagini di sé, nuove posizioni e nuovi ruoli, sia all'interno della famiglia, che nei confronti dell'esterno. Comunità:il lavoro con il genitore assente Il lavoro rivolto ai genitori può riguardare diversi aspetti:fra gli altri, l'elaborazione della separazione, il rapporto con il cambiamento avvenuto fuori dal contesto familiare, la gestione del rientro e dell'autonomia del figlio. La permanenza in comunità inoltre è segnata da fasi importanti, anche per quanto riguarda il rapporto con le famiglie; in particolare: - Il momento dell'ingresso in comunità: di fatto non solo viene sancita la separazione, ma si "ufficializza" il giudizio, anche sociale, sull'assenza o grave inadeguatezza dell'ambiente familiare : sia sul versante degli adulti di riferimento, sia dei minori coinvolti, si tratta di confrontarsi con questo problema esplicitato e comunicato; pur essendo in precedenza già vissuta, spesso pesantemente, in modo diretto, la carenza di riferimenti affettivi ed educativi e le difficoltà relazionali possono sul piano consapevole essere rimosse o negate. - In comunità il ragazzo, deve accettare, fidarsi e dialogare con l'adulto: tollerare la dipendenza sia sul piano educativo che emotivo dopo aver imparato a farne a meno può risultare difficile per i ragazzi; - Durante il percorso: più il lavoro educativo e la permanenza in comunità procedono positivamente, più può risultare importante tener presente l'ambiente esterno. Tanto più il ragazzo riprende evolutivamente la sua crescita, e più, per certi versi, questo cambiamento può risultare difficile da assimilare alla famiglia, spesso rimasta ferma al figlio conosciuto in precedenza e sulla cui identità a volte si è appoggiata. - L'uscita : il distacco dalla "famiglia" della comunità, anche se graduale può riattivare i vissuti di abbandono e di confronto fra "le due famiglie" e può portare a regressioni in alcuni casi; nelle situazioni positive può invece condurre ad una "sintesi" personale; l'atteggiamento tenuto dai familiari da un lato e dagli educatori dall'altro può favorire questa evoluzione. Uscire dal circuito penale"non significa quindi chiudere solo i conti con la "Giustizia", ma aver raggiunto una maggiore consapevolezza e aver conquistato un'immagine di sé più complessa, di cui il reato, ed il percorso fatto, hanno un posto nella mente dell'adolescente e dei suoi genitori, in quanto esperienza vissuta e non evento da rimuovere.