In questi mesi registriamo un grande interesse in relazione ad alcuni temi di ricerca cui ci occupiamo da anni: innovazione sociale, social business, impact investing, shared value. Non sempre però questi termini vengono utilizzati correttamente. Abbiamo provato a sistematizzare qualche definizione. Per contribuire a costruire qualche terreno comune. E mettere qualche punto fermo.
2. Avanzi. Sostenibilità Per Azioni 2
social innovation
Concetti e
definizioni
(definizione) “Definiamo innovazioni sociali le nuove idee (prodotti, servizi
e modelli) che soddisfano dei bisogni sociali (in modo più efficace delle
alternative esistenti) e che allo stesso tempo creano nuove relazioni e
nuove collaborazioni. In altre parole, innovazioni che sono buone per la
società e che accrescono le possibilità di azione per la società stessa” (G.
Mulgan)
(origini) L’innovazione sociale è altro dall’innovazione tout court che nasce
dalla competizione di mercato e dalla ricerca di un maggiore profitto.
All’origine di questi processi di innovazione esistono pressioni sociali
esercitate dall’esistenza di bisogni insoddisfatti (es. servizi sanitari di
prossimità), di risorse sprecate (es. il consumo di suolo), di emergenze
ambientali (es. qualità dell’aria nei centri abitati) o sociali (es. crescenti aree
di disagio e marginalità). La fornitura diretta di prodotti e servizi in grado di
soddisfare tali bisogni non è più garantita né dal mercato né dalle
amministrazioni pubbliche. Questo vuoto politico e fallimento di mercato
apre il campo alle risorse e forze del privato sociale, all’imprenditorialità dal
basso, alle comunità di cittadini che si organizzano per soddisfare nuovi e
vecchi bisogni, per ottimizzare l’utilizzo delle risorse (umane e naturali) per
garantire un miglioramento sociale (vedi oltre), per realizzare soluzioni più
soddisfacenti i propri valori e le proprie aspirazioni.
(contenuto) L’innovazione sociale non è solo un’idea più o meno radicale,
ma una pratica innovativa, ovvero l’applicazione efficace e sostenibile di
una nuova idea di prodotto, servizio, modello. La capacità di essere
efficace si riferisce all’uso ottimale di risorse per il conseguimento di un
risultato sociale (outcome), in pratica la dimostrazione che l’idea funziona
meglio delle soluzioni esistenti e genera valore per la società; la
sostenibilità riguarda una componente essenziale e tipica dell’innovazione
sociale che la distingue dalle pratiche tradizionali di assistenza e
promozione sociale, ovvero la capacità di “stare sul mercato” e di
finanziarsi grazie a dei ricavi generati dall’attività stessa o alla capacità di
chi la promuove di dedicarvi impegno e lavoro. Questo elemento rimanda
alla dimensione imprenditoriale dell’innovazione quale possibile (non
necessario) esito per l’implementazione e attuazione di una nuova idea.
Non ha nulla a che vedere con la dimensione profit o non profit di impresa,
quanto al senso stesso dell’innovazione che ha come finalità la creazione
di un impatto positivo per la società che sia il più ampio possibile.
(processo) Le pratiche di innovazione sociale non solo rispondono in modo
innovativo ad alcuni bisogni, ma propongono anche nuove modalità di
decisione e di azione. In particolare propongono di affrontare complessi
problemi di natura orizzontale attraverso meccanismi di intervento di tipo
reticolare, adottando l’intera gamma degli strumenti a disposizione;
utilizzano forme di coordinamento e collaborazione piuttosto che forme
verticali di controllo. Richiedono inoltre l’utilizzo di strumenti e processi di
supporto al design thinking, inteso come capacità di formulare e
3. Avanzi. Sostenibilità Per Azioni 3
implementare soluzioni. Questo aumenta le capacità di azione della
collettività che si mobilita, crea nuovi ruoli e relazioni tra gli attori coinvolti,
coinvolge nella produzione di risorse e capitale umano sotto utilizzato. Il
processo che porta alla produzione di un certo output (prodotto, servizio,
modello di comportamento, etc..) è dunque fondamentale nel
conseguimento di quello che definiamo il risultato sociale. Il potenziale
impatto di una pratica innovativa sul contesto sociale è tanto più elevato
quanto più inclusivo è il processo di coinvolgimento della comunità,
secondo modelli in continua evoluzione. Questa mobilitazione di risorse
umane porta ad un attivismo diffuso in grado di moltiplicare energie e
iniziative al servizio del miglioramento sociale.
(attori) Non ci sono attori e settori più idonei di altri nello sviluppare pratiche
di innovazione sociale. Anzi possiamo dire che le esperienze più
interessanti e radicali sono il frutto della collaborazione tra diversi attori
appartenenti a mondi diversi. Le pratiche di innovazione sociale tendono a
collocarsi al confine tra non-profit, pubblico, privato, società civile
(volontariato, movimenti, azione collettiva, etc..), sono trasversali e frutto di
interessanti contaminazioni di valori e prospettive. Nascono da nuove
forme di collaborazione e di cooperazione tra soggetti di diversa natura che
trovano un allineamento di interessi per il raggiungimento di un obiettivo
comune. Dunque l’innovazione sociale ha una spiccata dimensione
collettiva, non appartiene solo all’immaginazione e alla creatività di un
attore singolo, quanto alla capacità collettiva di partire da un’intuizione e di
svilupparla sino a trasformarla in pratica diffusa.
(outcome/risultato) Uno degli elementi più importanti e controversi
dell’innovazione sociale riguarda l’impatto che può esercitare in termini
sociali. L’attenzione alla valutazione di questo impatto è così alta che si è
innescata una corsa all’elaborazione di metriche e strumenti capaci di
offrire un’indicazione quantitativa del valore sociale creato . Riteniamo che
questo approccio, in una fase ancora di definizione e studio delle
dinamiche e caratteristiche dell’innovazione sociale, rischi di spostare
l’attenzione solo sui risultati misurabili piuttosto che sulla complessità delle
relazioni implicite nelle pratiche. L’innovazione sociale è incorporata nel
tessuto sociale delle comunità in cui si pratica, nel valore qualitativo di
queste relazioni, nella complessità dei modelli spontanei di governance.
Questi elementi come abbiamo già detto sono essenziali per valutare
l’impatto sulla collettività. Per questo, preferiamo non ricondurre l’impatto
dell’innovazione solo al valore sociale creato, ma piuttosto al miglioramento
sociale che è in grado di generare.
Cosa intendiamo per miglioramento sociale?
L’innovazione può raggiungere dei risultati di natura sociale strettamente
legati alla produzione dell’output (es. offerta di servizi sanitari di
prossimità), che nel soddisfare dei bisogni genera un aumento del
benessere della collettività – creazione diretta di valore sociale - ma anche
risultati impliciti nel processo, nelle nuove relazioni, nei nuovi assetti di
governance, nel capitale sociale attivato – creazione indiretta di valore
sociale. La creazione indiretta di valore sociale consiste anche
nell’aumento delle capacità di azione della società stessa (empowerment),
grazie ad un processo collettivo di apprendimento, mutuo insegnamento e
attivazione. Da qui anche, l’utilità della messa in rete dei soggetti che fanno
innovazione sociale e delle loro pratiche. Le due dimensione di valore
creato contribuiscono a determinare l’outcome dell’innovazione, ovvero
quello che noi definiamo miglioramento sociale.
4. Avanzi. Sostenibilità Per Azioni 4
Sitografia e
bibliografia
Robin Murray, Julie Caulier Grice e Geoff Mulgan. “Libro bianco
sull’innovazione sociale” (2011).Versione in italiano scaricabile su:
http://www.societing.org/2011/06/il-libro-bianco-dellinnovazione-sociale-
feel-the-innovation/
European Commission, DG Regional and Urban Policy, “Guide to Social
Innovation” February 2013
http://ec.europa.eu/regional_policy/information/brochures/index_en.cfm#1
Bepa European Commission, “Empowering people, driving change. Social
Innovation in the European Union” (2011).
http://ec.europa.eu/bepa/pdf/publications_pdf/social_innovation.pdf
Tepsie FP7 Project:
http://www.tepsie.eu/
Social Innovation Europe Initiative:
https://webgate.ec.europa.eu/socialinnovationeurope//
Social Innovation Exchange:
http://www.socialinnovationexchange.org/
European Commission, DG Enterprise and Industry, “Strengthening social
innovation in Europe. Journey to effective assessment and metrics”,
November 2012
http://ec.europa.eu/enterprise/policies/innovation/files/social-
innovation/strengthening-social-innovation_en.pdf
Standford Social Innovation Review
http://www.ssireview.org/
The Young Foundation: http://youngfoundation.org/
NESTA:
Riferimenti
normativi
(eventuali)
Social Innovation Agenda Italiana
http://hubmiur.pubblica.istruzione.it/web/ministero/cs210313
5. Avanzi. Sostenibilità Per Azioni 5
social business
Concetti e
definizioni
(definizione per la Commissione Europea)
L’impresa sociale (social business):
• ha come principale obiettivo non quello di generare utili per i suoi
proprietari o azionisti, ma di avere un impatto sociale;
• destina i propri utili principalmente alla realizzazione di obiettivi
sociali;
• è gestita da imprenditori sociali in modo responsabile, trasparente
e innovativo, coinvolgendo i dipendenti, i clienti, e gli attori
interessati alle sue attività economiche.
L’obiettivo principale delle imprese sociali è di generare un significativo
impatto sulla società, l’ambiente e le comunità locali. Le imprese sociali
contribuiscono ad una forma di crescita intelligente rispondendo con
l’innovazione sociale a bisogni non ancora soddisfatti. Inoltre
contribuiscono a una crescita sostenibile grazie al fatto di tener conto del
proprio impatto ambientale e di avere una visione di lungo termine. Inoltre
ponendo l’accento sull’aspetto umano e sulla coesione sociale, le imprese
sociali sono al centro di una crescita inclusiva: creano occupazione
sostenibile per le donne, i giovani e le persone svantaggiate o anziane.
In altri termini, la loro ragione d’essere è di realizzare trasformazioni sociali
ed economiche che sono funzionali agli obiettivi della strategia Europea
2020.
L’impresa sociale deve offrire una risposta plurima all’innovazione sociale,
che rifletta la complessità e la ricchezza delle pratiche, senza appiattirle su
modelli consolidati e ricondurle a logiche tradizionali. Se l’innovazione
nasce dalla domanda di nuovi bisogni e servizi, l’impresa sociale deve
offrire nuovi modelli per fare impresa coerenti con la natura atipica del
prodotto e del processo a cui danno forma. L’impresa sociale, in senso
teorico, è dunque definita come:
• strumento funzionale al processo di innovazione che si manifesta in
forma di offerta alla collettività di un nuovo bene, servizio, modello
di produzione e consumo.
• presidio di beni relazionali e alcuni servizi essenziali per la
collettività, unico modello di impresa che può garantire l’universalità
dei servizi
• innovazione sociale dei modelli di gestione, produzione e consumo
(crowdsourcing, prosumers, co-produzione) che garantiscono un
forte allineamento degli interessi tra diversi stakeholders
dell’impresa
(L’impresa sociale in Italia)
Più sfidante è invece definire cosa sia, per forma giuridica, l'impresa sociale
in Italia. Il riferimento normativo principale è l’Impresa Sociale ex d.lgs.155,
che non rappresenta una categoria di persone giuridiche, ma propone una
qualifica aggiuntiva, applicabile a tutte le organizzazioni che esercitano
attività economica per la produzione di beni e servizi di utilità sociale. Tra
6. Avanzi. Sostenibilità Per Azioni 6
queste organizzazioni, le tre forme giuridiche che danno espressione
concreta oggi all’impresa sociale sono:
• le cooperative sociali
• le imprese (srl, spa) profit attive nei settori normati dal d.lgs.155
• le non profit commerciali attive sul mercato dei servizi sociali.
La ratio del decreto era quella di offrire all’imprenditore sociale una pluralità
di forme possibili per l’esercizio della sua attività, ivi inclusa quella della
società commerciale. Nonostante fondasse su presupposti condivisibili,
tuttavia l’esito dell’applicazione del decreto 155 si può considerare a tutti gli
effetti fallimentare.
Dal Rapporto sull’Impresa Sociale (Aiccon) emerge che le Imprese Sociali
ex lege sono solo 400 a fronte di 13mila imprese sociali di fatto (di cui 11
mila le cooperative sociali). Il decreto 155 sembra dunque respingere le
diverse organizzazioni che danno espressione all’imprenditoria sociale in
senso lato. Vediamo perché:
- il divieto assoluto alla distribuzione di utili e dunque alla remunerazione
del capitale raccolto è in contraddizione con l’obiettivo di attirare
investimenti verso l’impresa sociale. Nessun investitore è interessato ad
allocare le proprie risorse (grandi o piccole che siano) in un veicolo da cui
non trarrà mai alcun ritorno economico. Anche per questo, nessuna società
di capitale (srl e spa) si è trasformata in impresa sociale. Invece, si sono
registrate sperimentazioni interessanti che hanno portato ad ulteriori
ibridazioni (srl “low profit”), a conferma che è diffuso il bisogno di trovare
formule alternative a quelle esistenti;
- la mancanza di un regime fiscale di favore (come per le ONLUS e gli enti
non commerciali) non attira le organizzazioni non profit che svolgono
attività commerciali e non incentiva le coop sociali ad ottenere la qualifica di
Impresa Sociale.
La riforma dell’Impresa Sociale ex d.lgs. 155 è solo una delle possibili
strade da percorrere per dare un impulso significativo al business sociale.
Alcuni infatti propendono per la creazione di una nuova forma giuridica,
una nuova assett class, magari ispirata ai modelli inglesi di CIC-community
interest company e di CBS -community benefit society, oppure a quello
americano di B-corp esempio di autodeterminazione di autodefinizione
della finalità sociale. Altri ritengono che l’impresa sociale in Italia non abbia
bisogno di una nuova forma giuridica, ma che rappresenti l’evoluzione
culturale di organizzazioni e cooperative che già svolgono attività per una
finalità sociale, se pur con un modello di business ancora non sostenibile o
su scala troppo ridotta, e di imprese commerciali esistente che si vincolano
per statuto a stabilire:
• una finalità sociale e ambientale che implica una funzione obiettivo
rovesciata, persegue l’utile sociale anziché l’utile economico;
l’economicità è un vincolo alla funzione obiettivo
• un limite alla distribuzione dell’utile per garantire la continuità
dell’attività di impresa
• un modello di governance multi-stakeholder col coinvolgimento
degli stakeholder interni (soci, collaboratori, volontari) ed esterni
(utenti finali, committenti, finanziatori o donatori)
Sitografia e
bibliografia
European Commission Social business:
http://ec.europa.eu/internal_market/social_business/index_en.htm
7. Avanzi. Sostenibilità Per Azioni 7
EMES Position Paper on The Social Business Initiative Communication
http://euricse.eu/it/node/1892
Rapporto Iris Network “Impresa sociale in Italia” (2012). AltraEconomia
Edizioni
Borzaga, C. e Galera, G. (2010) “Social enterprise. An international
overview of its conceptual evolution and legal implementation”, Social
Enterprise Journal Vol. 5, Issue 3, pp.210 - 228.
Rivista Impresa Sociale:
http://www.rivistaimpresasociale.it/
EC DG Enterprise:
http://ec.europa.eu/enterprise/policies/innovation/policy/social-
innovation/index_en.htm
Euclid Network: www.euclidnetwork.eu
Ashoka: https://www.ashoka.org/social_entrepreneur
Schwab foundation for Social Entrepreneurship:
http://www.schwabfound.org/content/what-social-entrepreneur
Riferimenti
normativi
“Social Business Initiative” SEC(2011) 1278 final
D.Lgs. 155/2006 “Disciplina dell'impresa sociale, a norma della legge 13
giugno 2005, n. 118”
8. Avanzi. Sostenibilità Per Azioni 8
start up innovative
Concetti e
definizioni
L’impresa start-up innovativa (anche a vocazione sociale) è definita dall’art.
25 della legge 221/2012:
c.2 “ … l'impresa start-up innovativa, di seguito «start-up innovativa», è la
società di capitali, costituita anche in forma cooperativa, di diritto italiano
ovvero una Societas Europaea, residente in Italia ai sensi dell'articolo 73
del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, le
cui azioni o quote rappresentative del capitale sociale non sono quotate su
un mercato regolamentato o su un sistema multilaterale di negoziazione,…”
c.4. “Ai fini del presente decreto, sono startup a vocazione sociale le
startup innovative di cui al comma 2 e 3 che operano in via esclusiva nei
settori indicati all’articolo 2, comma 1, del decreto legislativo 24 marzo
2006, n. 155”.
I settori definiti dal D.Lgs. 155/2006 (art. 2, co. 1) sull’Impresa Sociale sono
i seguenti:
a) assistenza sociale;
b) assistenza sanitaria;
c) assistenza socio-sanitaria;
d) educazione, istruzione e formazione;
e) tutela dell'ambiente e dell'ecosistema;
f) valorizzazione del patrimonio culturale;
g) turismo sociale;
h) formazione universitaria e post-universitaria;
i) ricerca ed erogazione di servizi culturali;
l) formazione extra-scolastica, finalizzata alla prevenzione della dispersione
scolastica ed al successo scolastico e formativo;
m) servizi strumentali alle imprese sociali, resi da enti composti in misura
superiore al settanta per cento da organizzazioni che esercitano un'impresa
sociale.
La legge prevede una serie di requisiti particolari perché una società con
questa forma giuridica possa qualificarsi come start-up innovativa. L’elenco
dei requisiti è contenuto nello stesso art. 25 che prevede:
a) i soci, persone fisiche, detengono al momento della costituzione e per i
successivi 24 mesi, la maggioranza delle quote o azioni rappresentative del
capitale sociale e dei diritti di voto nell’assemblea ordinaria dei soci;
b) è costituita e svolge attività d'impresa da non più di quarantotto mesi;
c) ha la sede principale dei propri affari e interessi in Italia;
d) a partire dal secondo anno di attività della start-up innovativa, il totale del
valore della produzione annua, così come risultante dall'ultimo bilancio
approvato entro sei mesi dalla chiusura dell'esercizio, non è superiore a 5
milioni di euro;
e) non distribuisce, e non ha distribuito, utili per 24 mesi (questo vale
anche per la start-up a vocazione sociale);
9. Avanzi. Sostenibilità Per Azioni 9
Sitografia e
bibliografia
f) ha, quale oggetto sociale esclusivo o prevalente, lo sviluppo, la
produzione e la commercializzazione di prodotti o servizi innovativi ad alto
valore tecnologico (condizione da verificare con presenza di brevetto o
personale con phd (1/3 del personale) o spese di R&D almeno del 20% sui
costi);
g) non è stata costituita da una fusione, scissione societaria o a seguito di
cessione di azienda o di ramo di azienda.
Tra le numerose agevolazioni, deroghe ed esenzioni previste per queste
nuove imprese preme sottolinearne due.
1. Facilitazioni fiscali per gli investitori
Al fine di poter attirare capitali in tali società, sono previste delle
agevolazioni fiscali (art.29) che consistono per il privato che compra quote
o azioni di una start up innovativa a vocazione sociale (investimento
massimo di 500 mila Euro per periodo di imposta) in una detrazione Irpef
del 25% per tre anni sulla somma investita.
Se ad investire invece è una società (per un investimento massimo di
1,8mln di Euro), questa potrà portare in deduzione dal reddito imponibile il
27% dell’investimento, sempre che questo venga mantenuto per almeno
due anni.
2. Facilitazioni fiscali e deroghe connesse a stock option e work for
equity
In deroga al codice civile, le quote delle start up innovative in forma di Srl
possono essere oggetto di offerta al pubblico di prodotti finanziari. Sono
previste una serie di possibilità remunerative con strumenti finanziari (art.
27), anche agevolate fiscalmente. Viene introdotto, con l'articolo 27, un
regime fiscale e contributivo di favore per i piani di incentivazione basati
sull’assegnazione di azioni, quote o titoli similari ad amministratori,
dipendenti, collaboratori e fornitori delle imprese start up innovative e degli
incubatori certificati (possibilità di remunerare i collaboratori con stock
option, e i fornitori di servizi esterni, come ad esempio gli avvocati e i
commercialisti, attraverso il work for equity).
Il reddito derivante dall’attribuzione di questi strumenti finanziari o diritti non
concorrerà alla formazione della base imponibile, sia a fini fiscali che
contributivi.
Le imprese registrate come Start-up in tutta Italia sono ad oggi circa 600.
La Consob sta lavorando ad un regolamento delle piattaforme di Equity
crowdfunding che ha lo scopo di dare attuazione alla legge ex-Decreto
Sviluppo, avviando una prima fase, in Italia, di “sperimentazione” della
raccolta di capitali tramite portali online. Questa raccolta sarà rivolta
esclusivamente alle Start-up innovative registrate.
Registro imprese Start-up: http://startup.registroimprese.it/
Camera di Commercio di Milano: http://www.mi.camcom.it/web/guest/start-
up-innovative
Consob – Regolamento in materia di “raccolta di capitali di rischio da parte
di start-up innovative tramite portali on-line”
10. Avanzi. Sostenibilità Per Azioni 10
http://www.consob.it/main/aree/novita/consultazione_
crowdfunding_20130329.htm
Che futuro – Lunario dell’innovazione
http://www.chefuturo.it/
Riferimenti
normativi
Decreto Sviluppo Bis DL 179/2012 convertito in Legge 221/2012
11. Avanzi. Sostenibilità Per Azioni 11
impact investing
Concetti e
definizioni
Gli spunti più interessanti nella definizione di nuove soluzioni per apportare
maggiori risorse private a supporto di iniziative a finalità sociale sono legati
all’emergere della pratica di investimento denominata Impact Investing.
Secondo la definizione del Global Impact Investing Network (GIIN), si tratta
di “investimenti volti a creare un impatto positivo oltre al rendimento
finanziario”.
L’interesse verso questo nuovo modo di intendere l’investimento finanziario
è cresciuto allorquando si è consolidata la consapevolezza sulla possibilità
di finanziare modelli di social business che, oltre a creare valore sociale e
ambientale, fossero scalabili e sostenibili dal punto di vista economico-
finanziario. Nello specifico, soprattutto nei paesi in via di sviluppo,
imprenditori sociali hanno dimostrato come, a fronte di margini unitari
contenuti - in virtù dei prezzi volutamente bassi per ragioni di equità
nell’accesso - è possibile servire i mercati BoP (Base of the Pyramid),
realizzando un interessante livello di profitti grazie ai volumi di vendita
molto elevati. Proprio in questa tendenza verso il soddisfacimento di
bisogni primari di fasce della popolazione più fragili, gli osservatori del
settore vedono una delle sue linee di evoluzione.
A oggi non esistono ancora dati certi sulle dimensioni del fenomeno: le
principali analisi condotte in merito stimano il potenziale di crescita del
mercato nei prossimi 5 anni tra i 500 e i 1000 miliardi di dollari. Il settore è
ancora lontano dall’aver costruito meccanismi di intermediazione e
architetture standard efficienti e mostra ancora altissimi tassi di
sperimentazione. Ne consegue che quasi ogni operazione risulta
sostanzialmente unica o presenta numerose specificità, la gestione delle
quali fa notevolmente lievitare i costi di progettazione e, di conseguenza, di
transazione.
In tale mercato operano soggetti abbastanza diversi, sia sul lato dell’offerta
sia della domanda di capitali, accomunati tuttavia dalla visione dell’attività
di investimento come strumentale al conseguimento di un impatto sociale.
Si possono infatti individuare investitori financial first, i quali, pur desiderosi
di conseguire un impatto sociale, subordinano questo fine al
conseguimento di rendimenti finanziari che siano almeno competitivi
rispetto a quelli garantiti sui mercati tradizionali. Tra questa tipologia di
investitori, protagonisti principali sono alcuni grandi gruppi bancari
commerciali, istituzioni finanziare internazionali per lo sviluppo (ad esempio
l’IFC) e alcuni investitori istituzionali, in particolare fondi sovrani, fondi
pensione e i fondi di investimento di social venture capital.
Gli investitori impact first, attribuiscono invece priorità all’impatto sociale
conseguito, essendo a tal fine disposti anche a sacrificare parte dei
rendimenti finanziari conseguibili mediante impieghi alternativi. In questo
gruppo di investitori hanno un ruolo predominante fondazioni di erogazione,
family trust/office, HNWI e venture philantropist.
12. Avanzi. Sostenibilità Per Azioni 12
(Contesto Italiano)
Rapportato allo specifico contesto italiano, questo approccio, applicato al
settore del sociale, presenta notevoli ostacoli formali e culturali. Da un
punto di vista meramente formale, il fatto che l’investimento si traduca
nell’ingresso del capitale sociale e richieda una remunerazione, si scontra
con il vincolo di non distribuzione degli utili, che sancisce l’impossibilità per
le Imprese sociali e le organizzazioni del Terzo settore di distribuire una
qualunque forma di rendimento ai propri soci/associati.
Anche quando una certa remunerazione è ammessa ex lege, come nella
fattispecie della forma cooperativa e dell’impresa sociale, altri meccanismi
peculiari della fattispecie giuridica, come il voto capitario, la clausola di
mero gradimento e in generale tutte le procedure che rendono difficile sia
l’entrata che l’uscita dalla compagine sociale, rendono l’investimento non
praticabile.
Questo ostacolo formale diventa sostanziale se si considera che per storia,
tradizioni e cultura, il Terzo settore italiano è certamente il primo
protagonista non pubblico nel dare risposta ai bisogni sociali emergenti.
Diversamente da altri contesti, caratterizzati dalla presenza di imprenditori
sociali for profit o low profit, in Italia le organizzazioni che presidiano queste
aree di fallimento del mercato sono essenzialmente tutte realtà
giuridicamente nonprofit. Questo significa che escludendo questo settore
dal lato della domanda di capitali, l’Impact Investing fallirebbe nell’allocare
capitali proprio alle organizzazioni più bisognose e più orientate alla
generazione di un impatto sociale.
Sitografia e
bibliografia
Global Impact Investing Network (GIIN): http://www.thegiin.org
Monitor Institute, 2009, “Investing for Social and Environmental Impact”
JP Morgan Global Research, the Rockefeller Foundation and the Global
Impact Investing Network, 2010, “Impact Investments: An Emerging Asset
Class”.
JP Morgan, GIIN, 2013 “Perspectives on Progress. The Impact Investor
Survey”.
NESTA: http://www.nesta.org.uk/
http://www.nesta.org.uk/home1/assets/features/impact_investment
_what_is_it_why_nesta
Nesta Impact Investment Fund
http://www.nesta.org.uk/home1/assets/features/nesta_impact_investments
The Rockefeller Foundation: http://www.rockefellerfoundation.org/
Mulgan, G. (2011) New ways of financing social value
Social Innovation Europe (SIE) “Financing Social Impact. Funding social
innovation in Europe – mapping the way forward”, 2012.
13. Avanzi. Sostenibilità Per Azioni 13
Oltre Venture: http://www.oltreventure.com/
ImpactBase, progetto di GIIN, è un database online di fondi impact
investment. http://www.impactbase.org/
ImpactAssets 50 offre una lista annuale di fondi operativi nell’impact
investment
http://www.impactassets.org/impactassets-50
Riferimenti
normativi
Social Investment package – SIP “Towards Social Investment for Growth
and Cohesion
http://ec.europa.eu/social/main.jsp?catId=1044&langId=en
14. Avanzi. Sostenibilità Per Azioni 14
social impact bond
Concetti e
definizioni
Il SIB - Social Impact Bond - è una partnership tra diversi attori, sancita da
contratti bilaterali e finalizzata a raccogliere capitali privati per promuovere
politiche pubbliche innovative. Gli elementi essenziali del modello sono:
• un programma di interventi in campo sociale in grado di generare un
impatto sociale (outcome) e un risparmio di spesa pubblica;
• un prestito/finanziamento con restituzione del capitale e remunerazione
solo in caso di successo del programma.
Il SIB, al pari di altre forme contrattuali del tipo “pagamento a fronte di
risultati” (in inglese, Pay for Results (da cui l’acronimo PfR) o Pay for
Success (PfS) negli Stati Uniti), è un meccanismo di finanziamento in cui il
rendimento per l’investitore è determinato dagli impatti positivi generati da
una certa attività sociale.
I due casi di SIB che sono stati implementati (Peterborough in UK e NY in
USA) non prevedono l’emissione di titoli obbligazionari (bond) da parte di
società intermediarie, ma contemplano prestiti o conferimenti di capitale
regolati da contratti tra le parti. In particolare, in un caso si tratta di un
prestito (loan) a scadenza 4 anni concesso a un intermediario con
restituzione del valore nominale solo in caso di successo del programma e
di una remunerazione variabile; nell’altro caso, è stato creato un veicolo
societario, una Limited Partnership, per natura giuridica assimilabile a una
società in accomandita semplice, partecipata da tutti gli investitori coinvolti.
La struttura standard di un SIB è composta da cinque portatori di interesse
legati tra loro da contratti bilaterali di durata pluriennale:
• una Pubblica Amministrazione (comunale, regionale, nazionale);
• dei fornitori del servizio (tipicamente, organizzazioni nonprofit);
• degli investitori sociali;
• un intermediario specializzato;
• un valutatore indipendente (Independent assessor) che misura il risultato
finale (performance) e certifica il raggiungimento dell’obiettivo.
Alla base di un’operazione di questo tipo vi è la necessità di affrontare un
problema sociale con azioni preventive, difficili da realizzare per una PA a
causa della scarsità di risorse e dell’avversione al rischio.
Per soddisfare la domanda più o meno latente di questi servizi preventivi e
innovativi, si possono mobilitare alcuni operatori specializzati del Terzo
settore. Si tratta di imprese sociali e organizzazioni nonprofit in grado di
dimostrare una comprovata esperienza nel settore; più precisamente,
devono essere nelle condizioni di provare con dati e rilevazioni statistiche
affidabili l’efficacia dell’intervento proposto su un determinato gruppo di
beneficiari.
La PA interessata a migliorare il proprio servizio e a ridurne i costi, può
verificare le potenzialità di questi interventi preventivi come modalità
alternative di welfare e stimare il risparmio che ne conseguirebbe se
implementati a una certa scala. L’idea è che servizi preventivi possano
essere più efficaci e più efficienti rispetto a programmi di cura tradizionali,
15. Avanzi. Sostenibilità Per Azioni 15
fondati solitamente su interventi realizzati solo ex-post in risposta a
un’emergenza o disagio sociale, e che il conseguente risparmio di risorse
possa essere la leva per allineare gli interessi di investitori,
amministrazione, intermediario e fornitore del servizio.
L’intermediario svolge il ruolo di promotore del SIB presso la PA e gli altri
attori, cercando di facilitare un processo delicato di creazione di relazioni e
fiducia. Se esistono le condizioni economiche e di fattibilità,
l’amministrazione sigla un contratto con l’intermediario per lo sviluppo del
SIB, la ricerca degli investitori, la selezione dei fornitori, la gestione e il
monitoraggio continuo dell’attività.
Il contratto tra PA e intermediario prevede un pagamento condizionato al
raggiungimento di obiettivi ben precisi, stabiliti in fase di definizione del
progetto. Se il programma finanziato non raggiunge l’obiettivo - espresso in
termini di beneficio sociale, monetizzabile grazie alla minore domanda di
servizi sociali ex-post che ne consegue - l’amministrazione non è tenuta a
sostenere alcun costo. In caso contrario, cede all’intermediario una
percentuale dei costi evitati grazie alla riduzione della spesa pubblica
determinata dal programma.
Data l’importanza della valutazione dell’efficacia del servizio preventivo per
il funzionamento del meccanismo nel suo complesso, tale attività di verifica
viene affidata a una parte terza. Questa, coordinandosi con l’intermediario,
ma facendo affidamento sulla propria professionalità e indipendenza,
definisce il sistema di monitoraggio e di misurazione della performance
finale. La PA trattiene una parte dei risparmi e, oltre al pagamento pattuito
nel contratto, versa un premio (success fee) all’intermediario e al fornitore
del servizio, entrambi proporzionali al risultato (e quindi al risparmio)
conseguito.
L’intermediario ha l’obiettivo di raccogliere presso gli investitori i
finanziamenti necessari ad avviare il programma di attività previste dal SIB.
Non trattandosi di una vera e propria emissione di un titolo obbligazionario
da parte della società stessa, l’intermediario può ricorrere alla negoziazione
diretta del prestito o creare un veicolo societario costituito ad hoc e
sottoscritto da investitori sociali e investitori d’impatto (impact investor) .
Se il programma ha successo, ovvero viene certificato il raggiungimento
dell’obiettivo minimo sancito contrattualmente, il capitale prestato viene
restituito e, in base ai risultati, il valore del rendimento sul capitale può
variare fino al tetto massimo prefissato. Il rischio di perdere il capitale
versato è dunque determinato dalla performance del servizio, il rendimento
dell’investimento è legato al valore creato per i beneficiari del programma e
alla società nel suo complesso.
Il capitale raccolto presso gli investitori viene impiegato dai fornitori di
servizi sociali per implementare il programma e, in parte, viene utilizzato
per le spese di gestione e di valutazione a carico dell’intermediario. Il
fornitore di servizi che implementa il servizio non è tenuto a sostenere
alcun costo aggiuntivo nel caso in cui l’intervento preventivo non raggiunga
i risultati attesi. In pratica, assume un’obbligazione di mezzi e non di
risultato.
Dato che il finanziamento è concesso in anticipo, l’organizzazione che
presta il servizio non deve anticipare capitale proprio. Vedremo meglio
come questo sia uno dei punti di forza del meccanismo SIB, in quanto
consente di scegliere gli operatori non in base alla capacità di raccogliere
fondi, ma in funzione dell’efficacia operativa. Inoltre, per contenere il rischio
di finanziare programmi inefficaci, o peggio organizzazioni orientate da
scopi opportunistici, il finanziamento viene erogato in diverse rate, man
mano che si rende necessario prestare fondi per coprire i costi di
16. Avanzi. Sostenibilità Per Azioni 16
implementazione. Un ulteriore meccanismo disciplinante per le non profit
che erogano il servizio è il monitoraggio continuo da parte dell’intermediario
che ha il potere contrattuale per richiedere aggiustamenti nel programma
se le misurazioni, effettuate in itinere con il supporto del valutatore,
mostrassero il fallimento nel conseguire gli obiettivi intermedi e, al limite, di
sollevare il fornitore del servizio dall’incarico.
(Social Bond in Italia)
Ad aprile 2012, nell’ambito del programma UBI Comunità, è stato avviato il
collocamento del nuovo strumento finanziario “Social bond UBI Comunità”
(SB), ovvero titoli obbligazionari che, oltre a garantire un ritorno sugli
investimenti effettuati, offrono ai sottoscrittori la possibilità di sostenere
iniziative di grande valore sociale. Il Gruppo UBI, infatti, devolve parte
dell’importo complessivamente raccolto per finanziare progetti socialmente
meritori sia a carattere locale sia di respiro nazionale.
Nel giro di un anno la Capogruppo UBI Banca e le Banche Rete del Gruppo
hanno emesso 25 social bond per un valore totale di 270 milioni di euro,
che hanno permesso la devoluzione di contributi a titolo di liberalità per €
1.375.000. I SB hanno dunque assicurato il sostegno economico
necessario per avviare o consolidare progetti in ambito sanitario, educativo,
culturale e sociale (guarda l’elenco completo dei beneficiari) che possono
concorrere allo sviluppo economico e sociale del Paese.
Esistono due tipologie di social bond. La prima prevede la devoluzione ad
associazioni, fondazioni o enti di una parte dell’importo collocato attraverso
i prestiti obbligazionari, normalmente equivalente allo 0.5%. Il secondo
modello, invece, prevede che tutto l’importo raccolto attraverso il prestito
obbligazionario, e non solo quindi una percentuale dello stesso, sia
utilizzato per finanziare iniziative di imprenditoria sociale, eventualmente
anche collegate a determinate realtà “aggreganti” o operanti in specifici
settori o aree geografiche.
A questo proposito si veda il SB emesso in favore del Consorzio
cooperativo CGM, che ha reso possibile la costituzione di un plafond con
dotazione di oltre 17 milioni di euro destinato all'erogazione di finanziamenti
a medio-lungo termine a condizioni competitive per consorzi, imprese e
cooperative sociali del sistema CGM.
L’introduzione nel nostro Paese di questo secondo tipo di social bond è più
significativa, poiché concorre ad avvicinare l'Italia ai Paesi europei più
evoluti sotto il profilo della finanza per il non profit. Per alcuni aspetti questo
modello di obbligazione può essere accostato al Social Impact Bond di
esperienza anglosassone, senza però trascurare la fondamentale
differenza data dal ruolo primario esercitato dal settore pubblico nel caso
dei Social Impact Bond.
Sitografia e
bibliografia
Quaderno Osservatorio della Fondazione Cariplo – a cura di Avanzi
“Social Impact Bond. La finanza al servizio dell’innovazione sociale?”, 2013
Second Welfare:
http://www.secondowelfare.it/privati/finanza-sociale/risultati-e-prospettive-
dei-social-bond-di-ubi-banca.html
17. Avanzi. Sostenibilità Per Azioni 17
Social Finance (2009) Social Impact Bonds: Rethinking finance for social
outcomes. London: Social Finance.
http://www.socialfinance.org.uk/sites/default/files/SIB_report_web.pdf
Cabinet Office (Gov. UK), Growing the Social Investment Market: Progress
update, July 2012
http://www.cabinetoffice.gov.uk/sites/default/files/resources/Growing_
the_social_investment_market_progress_update_2.pdf
Loder, J., Mulgan, G., Reeder, N. and Shelupanov, A. (2010) Financing
Social Value: Implementing Social Impact Bonds. London: The Young
Foundation.
http://www.youngfoundation.org/files/images/01_10_Social_
Impact_Bonds_FINAL.pdf
McKinsey: http://mckinseyonsociety.com/social-impact-bonds-qa/
Social Finance (2010c) Towards a new social economy. Blended value
creation through social impact bonds. London: Social Finance.
http://www.socialfinance.org.uk/sites/default/files/
Towards_A_New_Social_Economy_web.pdf
18. Avanzi. Sostenibilità Per Azioni 18
shared value
Concetti e
definizioni
L’approccio Shared Value, elaborato da Michael Porter professore alla
Harvard Business School dove dirige l'Institute for Strategy and
Competitiveness, in collaborazione con Mark Kramer, senior fellow
della CSR Initiative presso la Harvard’s John F. Kennedy School of
Government di Cambridge, nel Massachusetts, esplora il legame tra
sistema economico e società. Il concetto, pubblicato per la prima volta
dall’Harvard Business review nel gennaio 2011, si fonda sul presupposto
che, alla luce delle crisi economico finanziarie dell’ultimo periodo storico, il
capitalismo sia sotto assedio e che pertanto sia necessario identificare un
nuovo modello in grado di reinventarlo.
Il punto di partenza è che nessun’azienda è un'entità a sé stante. Il
successo di tutte le imprese è influenzato dai servizi di supporto e dalle
infrastrutture che le circondano; la produttività e l’innovazione vengono
fortemente influenzate dall’infrastruttura logistica di un determinato
territorio. Lo sviluppo di un’impresa dipende dunque dalla (qualità e
quantità della) domanda domestica.
Gli attori che operano sul territorio possono creare condizioni di contesto
favorevoli allo sviluppo del business. Di contro, un contesto sociale e
territoriale in salute dipende dalla presenza di imprese che sono in grado di
dare lavoro, offrire salari e stipendi adeguati, acquistare beni e servizi di
qualità, pagare le tasse, proteggere l’ambiente, utilizzare le risorse in modo
efficiente, etc.
Le aziende, afferma Porter, devono attivarsi per riconciliare business e
società e la strada da percorrere è quella di “creare Valore Condiviso”,
ovvero creare valore economico in modalità tali da generare
contemporaneamente valore per l’azienda ma anche per la società,
rispondendo a un tempo alle necessità dell’azienda e alle esigenze di tipo
sociale: un nuovo punto di vista che concerne la valorizzazione del know
how dell’impresa e la riconfigurazione delle relazioni lungo la catena del
valore.
Le aziende possono creare valore condiviso in tre modi distinti, scrive Mark
Kramer:
• concependo in modo nuovo prodotti e mercati
• ridefinendo la produttività nella catena del valore
• creando distretti industriali di supporto alla competitività della
società.
Il concetto di valore condiviso integra, in un certo senso, l’idea di
responsabilità sociale applicata sino ad oggi: serve un approccio innovativo
alla sostenibilità che veda la crescita sociale come un obiettivo centrale e
non ancillare.
“I programmi di CSR si focalizzano principalmente sulla reputazione e
hanno solo un collegamento limitato con il business, il che rende difficile
giustificarli e mantenerli nel lungo termine. Per contro, la Creazione di
Valore Condiviso (CSV) è funzionale alla profittabilità e alla posizione
competitiva dell'azienda. Sfrutta le risorse specifiche e l'expertise specifico
dell'azienda per creare valore economico attraverso la creazione di valore
19. Avanzi. Sostenibilità Per Azioni 19
sociale.
Sitografia e
bibliografia FSG
http://www.fsg.org/OurApproach/SharedValue.aspx