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RETI OSPEDALIERE
                 STRUMENTI E MODELLI PER LA
                     PROGRAMMAZIONE
       “L’OSPEDALE PER INTENSITA’ DI CURA”
                   UNITA’ DI RICERCA HUMANITAS




Responsabile della Ricerca:            Patrizia Meroni (Direttore Generale ICH)

Collaboratori:                         Boncinelli Stefania (Direzione Sanitaria ICH)

                                       Marco Albini (Monitoraggio Qualità ICH)




                              RELAZIONE FINALE OTTOBRE 2009
1. Introduzione e metodologia della ricerca ....................................................................3
2. Istituto Clinico Humanitas.............................................................................................4
   2.1 Descrizione del contesto iniziale e del progetto .........................................................6
   2.2 Modello Humanitas...................................................................................................10
     2.2.1 Descrizione del modello gestionale ...................................................................10
         2.2.1.1 Modello gestionale, professioni e percorsi di cura.......................................12
         2.2.1.2 Prospettive di sviluppo ................................................................................14
     2.2.2 Degenze multidisciplinari ...................................................................................15
         2.2.2.1 Percorsi formativi ........................................................................................18
         2.2.2.2 Percorsi clinico-assistenziali - Area cardiovascolare e neuroscienze..........19
     2.2.3 Day surgery .......................................................................................................22
         2.2.3.1 Protocolli e procedure .................................................................................25
         2.2.3.2 Prospettive di sviluppo ................................................................................27
     2.2.4 Dipartimenti medici ............................................................................................28
         2.2.4.1 La Riabilitazione in Humanitas ....................................................................30
         2.2.4.2 Pronto Soccorso e Medicina d’urgenza.......................................................33
     2.2.5 Aree infermieristiche ..........................................................................................36
     2.2.6 Tutorship medica e infermieristica .....................................................................38
     2.2.7 Flussi informativi, documentazione clinica e strumenti informatici .....................41
     2.2.8 Struttura di supporto alla degenza (Servizi Generali e segreterie di reparto) ....43
     2.2.9 Ricerca e Università...........................................................................................47
     2.2.10 Personale e comunicazione.............................................................................49
     2.2.11 Struttura fisica e building management............................................................50
   2.3 Risultati di Esito - Sistema di Indicatori ....................................................................52
     2.3.1 L’efficacia: Qualità in ICH e JCI .......................................................................52
     2.3.2 L’efficienza e la produttività: Gestione operativa...............................................54
3. Azienda Ospedaliero – Universitaria Careggi ...........................................................57
4. Conclusioni ..................................................................................................................59
   4.1 Le definizioni e i modelli di organizzazione ospedaliera ...........................................59
   4.2 Descrizione delle caratteristiche peculiari dei due modelli in studio .........................60
     4.2.1 Premessa...........................................................................................................60
     4.2.2 Ospedali in cifre (2008)......................................................................................60
     4.2.3 Day hospital e week hospital .............................................................................61
     4.2.4 Separazione percorsi emergenza– urgenza e ricoveri programmati..................61
     4.2.5 Livelli di intensità di cura e dipartimenti .............................................................61
     4.2.6 La degenza multidisciplinare..............................................................................62
     4.2.7 intensità di cura e complessità assistenziale .....................................................63
   4.3 Punti di forza ............................................................................................................63
     4.3.1 Economicità del modello – ottimizzazione delle risorse .....................................63
     4.3.2 L’importanza della gestione e della logistica, la struttura che fa il modello ........63
   4.4 Criticità .....................................................................................................................64
     4.4.1 Il sistema di indicatori a supporto dell’efficacia dei modelli. I limiti attuali ..........64
     4.4.2 L’incoerenza tra il modello e l’organizzazione delle professioni (profili
     professionali, atti, posizioni contrattuali, responsabilità, percorsi di sviluppo di carriera)
     ....................................................................................................................................64
     Fonti e riferimenti .....................................................................................................65



                                                                                                                                         2
1. Introduzione e metodologia della ricerca
Il lavoro che segue è il risultato dell’attività dell’Unità di Ricerca Lombardia, finalizzato alla
descrizione del modello di organizzazione per intensità di cura in due realtà ospedaliere a
confronto (Istituto Clinico Humanitas di Rozzano - Milano e l’Azienda Ospedaliero Universitaria di
Careggi - Firenze), analizzando come, nei due contesti, un modello ospedaliero per intensità di
cura si è tradotto, dal punto di vista strutturale, tecnologico, organizzativo e professionale.
La ricerca è stata svolta tramite interviste strutturate su una traccia comune, adattata poi ai singoli
contesti, e somministrata a figure ritenute chiave delle due strutture. Le interviste sono state
effettuate presso Humanitas dall’Unità di Ricerca 2 Lombardia, mentre presso l’ospedale Careggi
sono state organizzate ed effettuate a carico della UO Toscana, nei mesi di giugno e luglio 2009.
Per i due contesti è stata concordata la traccia dell’intervista e sono stati concordati i soggetti da
intervistare, in modo da mantenere un adeguato livello di rappresentatività e di confrontabilità.
L’unità di ricerca ha poi raccolto la trascrizione completa delle interviste delle due strutture e le ha
analizzate, identificando le tematiche principali per ciascuna struttura e le tematiche di confronto
tra le due strutture. Il testo delle interviste è stato quindi rielaborato, raccogliendo in capitoli
specifici per tematica gli interventi più significativi dei diversi intervistati.
La ARS Toscana ha curato il rapporto sulle interviste in merito all’indagine sulla riorganizzazione
per intensità di cura nell’azienda ospedaliera-universitaria di Careggi.
Quello che segue è la descrizione dell’Istituto Clinico Humanitas, frutto dell’elaborazione delle
interviste. Di seguito viene riportato l’elenco degli intervistati presso Humanitas.

   Ivan Colombo - Amministratore Delegato
   Piero Melodia - Direttore Personale
   Norberto Silvestri - Direttore Sanitario
   Domenico Lenoci - Responsabile Gestione Operativa
   Maristella Mussi - Responsabile Servizi Assistenziali
   Manduzio Rosa Clara - Responsabile Servizi Generali
   Isabella Quarto - Responsabile Servizio Clienti
   Marco Massaron - Responsabile Servizi Tecnici
   Stefano Respizzi - Direttore Dipartimento di Riabilitazione
   Roberta Monzani - Responsabile U.O. Anestesia Day Hospital Chirurgico
   Giuseppe Micieli - Responsabile Stroke Unit
   Salvatore Badalamenti - Responsabile Medicina d’Urgenza (EAS)
   Barbara Miclini - Responsabile Area Assistenziale (RAA) Neuroscienze
   Simona Semplici - Responsabile Area Assistenziale (RAA) Cardiovascolare
   Patrizia Tomasin - Responsabile Area Assistenziale (RAA) Medicina d’Urgenza


Il capitolo 2 è dedicato all’Istituto Clinico Humanitas, vi è descritto il progetto che ha portato
all’apertura dell’ospedale nel 1996 (paragrafo 2.1) e le caratteristiche sostanziali del modello di
Humanitas (paragrafo 2.2), dal punto di vista gestionale (2.2.1) e con una descrizione più
approfondita dedicata a ciascuno dei due modelli di degenza caratterizzanti la struttura, la degenza
multidisciplinare per i ricoveri ordinari (2.2.2) e la day surgery (2.2.3), di cui è poi delineata anche
la struttura di supporto amministrativo, gestionale e alberghiera (2.2.8). Sono poi illustrati i modelli
organizzativi dei professionisti: i dipartimenti per la parte medica (2.2.4), con un focus dedicato alle
peculiarità del dipartimento riabilitativo (2.2.4.1) e della gestione dell’area medica, in rapporto con il
pronto soccorso (2.2.4.2); le aree infermieristiche e l’evoluzione del modello assistenziale degli
ultimi anni (2.2.5); la modalità di presa in carico dei pazienti da parte del medico tutor e
dell’infermiere di riferimento, all’interno delle degenze multidisciplinari (2.2.6).
Segue la parte che raccoglie quegli elementi di processo, di carattere generale, che sono stati
specificatamente oggetto di analisi nel confronto con Careggi: flussi informativi, documentazione


                                                                                                        3
clinica e strumenti informatici; ricerca, formazione e università; personale e comunicazione;
struttura fisica e building management.
L’ultima area analizzata è quella che riguarda i risultati, i sistemi di indicatori, che vede, per
Humanitas, una traduzione in termini di qualità, arricchita dall’esperienza dell’accreditamento con
Joint Commission International e in termini di efficienza e produttività, presidiata da una funzione
aziendale dedicata alla gestione, la gestione operativa.
Il capitolo 3 raccoglie le riflessioni maturate all’interno dell’unità di ricerca in merito a quanto
emerge dal confronto dei due casi studiati, e alle considerazioni di carattere generale che,
partendo dai due casi in studio, è stato possibile trarre sui modelli ospedalieri in generale.




2. Istituto Clinico Humanitas
L'Istituto Clinico Humanitas nasce come ospedale policlinico ad alta specializzazione accreditato
con il Servizio Sanitario Nazionale per le attività ambulatoriali e di ricovero, sito a
Rozzano, nell'area metropolitana a sud di Milano.

E’ sede di insegnamento dei corsi di laurea in Medicina e Chirurgia, Biotecnologie e del corso di
Laurea in Infermieristica dell’Università Statale di Milano.

Nel mese di dicembre 2002 Humanitas ha ottenuto l'accreditamento di eccellenza rilasciato da
Joint Commission International, riconfermato nel 2006 e nel 2009.

Dal 2005 è stato riconosciuto quale Istituto di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico (IRCCS) dal
Ministero della Salute e dalla Regione Lombardia.

Humanitas si configura come Società per Azioni, denominata “Humanitas Mirasole S.p.A.”, e fa
parte del gruppo più ampio, che gestisce altre strutture ospedaliere in Italia: Humanitas Gavazzeni
(Bergamo), l’Istituto Clinico Mater Domini (Castellanza-VA), le Cliniche Fornaca e Cellini (Torino), il
Centro Catanese di Oncologia (Catania), l’Istituto Clinico Valle d’Aosta (Aosta).

Struttura
La struttura, estesa su 180.000 mq di superficie totale (di cui 79.000 mq coperti) conta circa 750
posti letto, 52 Unità Operative Cliniche (UOC), 28 sale operatorie, 140 ambulatori, 26 postazioni di
Emodialisi, 2 farmacie collegate in rete per prenotazione visite, esami e ritiro referti ed un EAS
(Pronto soccorso di alta specialità) di III livello.




                                            Il complesso ospedaliero è formato da un edificio
                                            principale che ospita la piastra dei servizi e le degenze,
                                            il Pronto Soccorso ed il Centro di Ricerca, Didattica e
                                            Riabilitazione.
                                            L’edificio ospedaliero principale, con i suoi 57 mila metri
                                            quadrati di superficie, mostra una netta divisione tra la
                                            “piastra” che ospita le attività di diagnosi, le Terapie
                                            Intensive e la maggior parte dei blocchi operatori, e il
                                            blocco degenze. L’edificio presenta soluzioni innovative
                                            con elementi caratterizzanti come modularità e
                                            flessibilità, oltre ad un sistema di building automation
                                            per il controllo centralizzato degli impianti.
Humanitas si ispira al concetto di contiguità dei servizi: così, ad esempio, le sale di terapia
intensiva generale e cardiochirurgica sono poste a fianco delle sale operatorie in modo che il

                                                                                                     4
paziente debba essere trasportato solo per pochi metri per arrivare in rianimazione. Il processo
chirurgico è stato progettato per assicurare perfette condizioni di operatività ed in particolare
garantisce l’assoluta sterilità dell'ambiente. Adiacenti al blocco cardiochirurgico sono collocate le
sale dedicate all'Emodinamica e Cardiologia interventistica, all'Elettrofisiologia ed
Elettrostimolazione, alla Radiologia interventistica, e l'Unità di Cura Coronarica.
Per quanto riguarda le alte tecnologie, Humanitas dispone di cinque TAC, quattro RMN, una TAC-
PET, una PET e di un ciclotrone mentre il Servizio di Radioterapia e Radiochirurgia occupa
un’area di circa 800 metri quadrati, con tre bunker dedicati – un quarto in costruzione.
Riguardo alle degenze, di cui si parlerà in modo più approfondito, tutte le camere hanno 1 o 2 letti
regolabili automaticamente e sono dotate di bagno privato, televisione, cassaforte, interfono e
telefono, offrono elevate caratteristiche di comfort e sicurezza.

Day Hospital chirurgico
Il Day Hospital chirurgico, primo realizzato in Italia come reparto autonomo, è costituito da un’area
di accoglienza e preparazione dei pazienti (recovery room), sale operatorie ed una degenza post-
operatoria dove i pazienti sono monitorati ed assistiti sino al momento della dimissione. In esso
vengono effettuati tutti gli interventi a bassa invasività, in anestesia locale o loco-regionale.

Ambulatori e Punto Prelievi
Il building 4 con una superficie complessiva di 2.600 metri quadrati ospita i 37 ambulatori riservati
alle visite erogate ai pazienti esterni in regime accreditato con il Servizio Sanitario Nazionale.
Il piano terra è riservato al centro prelievi per gli esami di laboratorio e all'attività di prenotazione e
accettazione di tutto il sistema ambulatoriale. L’adiacente building 5 ospita gli ambulatori del
percorso donna (ginecologia e senologia) e l’oculistica.

Centro di Ricerca e Didattica
Totalmente integrato con l'ospedale, il Centro accoglie in 20.000 metri quadrati 30 laboratori per
300 ricercatori italiani e stranieri, 14 aule didattiche per 400 studenti dei Corsi di Laurea di
Medicina e Chirurgia, Biotecnologie e Infermieristica dell’Università degli Studi di Milano. Obiettivo
comune: mettere a disposizione dei pazienti quanto di più innovativo ed efficace è oggi disponibile
sul fronte della diagnosi e della cura. Per sostenere questo impegno è nata la Fondazione
Humanitas per la Ricerca che, con l’aiuto di enti come AIRC, Telethon, Fondazione Cariplo e
Fondazione De André, ha l’obiettivo di orientare la ricerca di base e clinica di alto profilo scientifico
e tecnologico, e promuovere la formazione di giovani ricercatori. Il Centro ospita inoltre una
biblioteca multimediale e un centro congressi da 500 posti.

Presso lo stesso building ha sede anche Fondazione Humanitas che, fin dal 1999, rappresenta
una realtà di volontariato che ad oggi conta più di 100 volontari impiegati in diversi progetti di
supporto all’ospedale. Finalità della Fondazione è la qualità della vita del malato e dei suoi
familiari. La sua attività si svolge in campo socio-sanitario, pratico, psicologico e formativo. Grazie
ai suoi volontari la Fondazione Humanitas dà risposte concrete alle necessità dei pazienti e delle
loro famiglie.

La Riabilitazione in Humanitas
Struttura autonoma di 6.000 metri quadrati e situato di fronte all’ospedale, il Centro di
Riabilitazione ospita 120 posti letto divisi in 3 degenze dedicate alla riabilitazione ortopedica,
neurologica e cardiorespiratoria. Sono a disposizione dei 270 pazienti che ogni giorno si rivolgono
al Centro, 6 palestre, 12 sale per terapie manuali, 4 ambulatori e un percorso vita per la
riabilitazione outdoor con un putting green per i disabili.


Dati di attività

Come si vede nella tabella il numero di ricoveri annui è intorno a 27.000 mentre gli accessi in Day
Hospital, in particolare chirurgico e oncologico, sfiora i 26.000.


                                                                                                         5
La suddivisione in aree sottolinea che Humanitas è un ospedale prevalentemente chirurgico
(Chirurgie Specialistiche e Generali) e oncologico. Esistono notevoli differenze tra chi opera anche
in regime di Day Hospital e chi opera solo in regime ordinario e infatti osservando solo il regime
ordinario un peso non indifferente è ricoperto dall’area Cardiovascolare e dalle Medicine.
Significativo pur essendo non elevato il peso della riabilitazione.


                                                             PERCENTUALI
                                    Ricoveri N° accessi        Ricoveri N° accessi
                                                        TOTALE
                                    Ordinari in DH             Ordinari in DH
AREA CARDIO                         4253       482           9%          16%        2%
AREA           CHIRURGIA
                                    3573       886           8%          13%        3%
GENERALE
CHIRURGIE
                                    9552       9762          37%         35%        38%
SPECIALISTICHE
MEDICINE                            4741       1446          12%         18%        6%
ONCOLOGIA                           2356       13038         29%         9%         51%
TERAPIA INTENSIVA                   90         0             0%          0%         0%
RIABILITAZIONE                      2442       2             5%          9%         0%
TOTALE                              27007      25616         100%        100%       100%




2.1 Descrizione del contesto iniziale e del progetto
Le origini del progetto di Humanitas risalgono alla seconda metà degli anni ‘80 quando,
dall’incontro del prof. Nicola Dioguardi e Pier Carlo Romagnoli, allora Presidente di Reale Mutua,
con Gianfelice Rocca e un gruppo di imprenditori, nacque l’idea di realizzare “un
ospedale moderno, ben organizzato, efficiente, con il binomio paziente medico al centro di tutto”.




Tra i diversi progetti presentati viene scelto, per la realizzazione della struttura, quello
dell'architetto James Gowan ed alla Techint è assegnata la progettazione e realizzazione
del complesso ospedaliero.

Nel 1992 viene aperto il cantiere e la costruzione dell'ospedale è ultimata nel1996
“[…] Il progetto è nato sostanzialmente nel contesto di una imprenditoria milanese che è stata sollecitata
dalla componente medica della città, e in particolare dalla figura del professor Dioguardi. Il professore si
trovava a vivere in un contesto bloccato dal punto di vista fisico e strutturale, presso il Policlinico di Milano,
che è lo storico ospedale universitario della città - di cui peraltro per decenni si è discusso di una nuova
sede, di cui era stata addirittura individuata l’area, qui vicino, al Ronchetto delle Rane – e non trovando per
una serie di veti incrociati sbocco questa idea, ottenne da un pool di assicurazioni, tramite l’iniziativa del dott.
Romagnoli che era il presidente di Reale Mutua, la possibilità di finanziare la costruzione di questo nuovo
ospedale. E in questo contesto di imprenditoria milanese venne individuata Techint come possibile
esecutore di questo progetto, in quanto Techint aveva una propria divisione che operava nel campo della
progettazione degli ospedali. A quel punto intervenne il metodo di lavoro di Techint che portò,
evidentemente, a considerare non solo la progettazione dal punto di vista architettonico ingegneristico, ma la
progettazione di un sistema di gestione e portò, quindi, la necessità di individuare un soggetto aziendale che
si facesse carico della gestione dell’ospedale. Nacque così la decisione di Techint di entrare in questo
contesto che fu inizialmente condiviso con altri imprenditori milanesi, ma che, mano a mano che andò
sviluppandosi e affermandosi, rimase, naturalmente, di competenza e pertinenza esclusiva di Techint.” (P.
Melodia)

                                                                                                                  6
“[…] All’origine ci fu quindi l’incontro di un’idea medica da un lato, e di una idea imprenditoriale dall’altro che
ha poi consentito di progettare un sistema che venne pensato nelle sue componenti strutturali, che
rimangono fondamentali perché il lavoro che si fece di progettazione fisica, strutturale degli spazi si porta già
dietro un’idea di percorso clinico e di capacità di mettere assieme l’efficacia e la qualità del percorso clinico
con l’efficienza. Quindi, nella progettazione fisica si misero in atto subito quei principi ispiratori della mission
aziendale. Ma via, via a questo progetto fisico si è accoppiato anche il progetto gestionale, che ha visto poi
la definizione e l’articolazione di una struttura con la creazione di funzioni che non esistevano probabilmente
nel panorama di un organizzazione ospedaliera in ambito italiano e credo anche fuori dall’ambito italiano. (P.
Melodia)


Rozzano
Il luogo scelto per la realizzazione è il comune di Rozzano, primo comune della periferia sud di
Milano.
“[…] Il sito è stato individuato in funzione dell’esigenza del territorio, perché il territorio di Milano Sud era
un’area di crescita di Milano, ovvia, perché non c’era nessuna altra zona di crescita e quindi si sapeva che
questo tipo di servizio mancava. (I. Colombo)
“[…] Anche la dislocazione a Rozzano è stata una decisione presa nel corso del progetto, perché
inizialmente, io è una parte che non ho vissuto quindi relata refero, il ragionamento era proprio indirizzato
verso l’area del Ronchetto delle Rane, a Milano. Poi ci fu attraverso una serie di contatti la scelta di
Rozzano, anche perché nel comune di Rozzano si trovava un interlocutore molto più rapido, meno impastato
nelle burocrazie, per poter arrivare a realizzare la cosa nei tempi che ci si era dati come obiettivo. Quindi,
ricordavo già prima il contesto regionale, che è fondamentale per l’accreditamento che avvenne da parte
della Regione, però anche il contesto del territorio comunale fu un altro degli elementi decisivi, perché in
generale in Italia per riuscire a realizzare qualcosa sul territorio occorre avere una serie di condivisioni non
da un unico ente ma da più enti. Basta pensare che abbiamo parlato del Comune, abbiamo parlato della
Regione e sul tema dell’ampliamento dell’attività rispetto al tema del Parco, c’è di mezzo la Provincia. C’è
insomma questa complessità di interlocutori. (P. Melodia)


Contesto regionale
Il progetto nasce in un periodo storico in cui si assiste a molti e profondi cambiamenti del contesto
nazionale e regionale. In particolare, con la legge regionale n.31/97 di riforma il sistema sanitario
lombardo prende avvio, anche attraverso l’accreditamento di tutti i soggetti erogatori pubblici e
privati, una stagione il riordino della rete ospedaliera lombarda fondata sull’affermazione del
principio di parità tra soggetti pubblici e privati e il superamento della concezione del privato quale
offerta integrativa del servizio pubblico.
“[…] Questo progetto è riuscito a collocarsi in un contesto storico nel quale veniva introdotto il sistema dei
DRG e quindi una gestione dell’attività ospedaliera che tenesse conto dell’output che si era in grado di
fornire in termini clinici, mentre la precedente modalità di gestione che era quella del pagamento per
giornate di degenza, dato il numero fisso dei letti. Questo certamente ha consentito di dare uno spazio di
crescita alla struttura. La legislazione regionale ha favorito uno sviluppo anche di un componente privata che
si ponesse non semplicemente in un ottica sussidiaria rispetto al sistema pubblico ma di integrazione. (P.
Melodia)

“[…] La fase progettuale è iniziata prima dell’emanazione delle leggi che hanno definito il sistema sanitario
regionale (L.R. 31/97) e nel periodo di introduzione delle logiche di finanziamento determinate dall’utilizzo
dei DRG.
Il contesto politico regionale era un contesto di cambiamento, e man mano che ragionavamo su come
realizzare questa struttura si sono evolute anche le logiche di controllo della produzione e efficienza
economica che hanno portato poi alla nascita della gestione operativa.
In fase progettuale il ragionamento era prevalentemente concentrato sugli aspetti strutturali e su una logica
di approccio multidisciplinare nelle degenze. Questa logica aveva anche una componente di ottimizzazione e
di efficienza, ma la parte inerente il governo economico e finanziario della struttura è nata non appena sono
state più chiare le regole di contesto regionale e di finanziamento con i DRG, ed ha portato al
potenziamento delle funzioni di gestione operativa e controllo di gestione. (M. Mussi)



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La storia
Il progetto iniziale
“[…] Da quanto io so, credo che il progetto nei suoi abbozzi iniziali sia nato intorno alla metà degli anni ’80,
quindi c’è stato un lungo periodo di incubazione, poi l’inizio della costruzione fine ‘92 e l’apertura è stata 3
anni dopo ‘95/’96. Quindi se ci mettiamo dall’85 al ‘92, è stato più lungo il periodo della progettazione rispetto
a quello della realizzazione. Ci sono state anche fasi diverse, nella progettazione, ad esempio, è stato un
periodo molto intenso quello a partire dalla metà del ‘93 in avanti, in cui avendo cominciato a costruire il sito,
bisognava decidere, per usare i termini che usiamo adesso, le funzionalizzazioni e le diverse
specializzazioni delle aree, e quindi quali specialità, il tipo di approccio da dare, anche tenendo conto degli
operatori che venivano scelti, e quindi una serie di articolazioni concrete che si sono determinate dal ‘94 in
avanti. (P. Melodia)
“[…] Il progetto è stato studiato nei minimi dettagli, per quanto riguarda l’organizzazione, con simulazioni di
quella che sarebbe stata la modalità operativa dell’ospedale stesso. Quindi il progetto fisico è stato “baciato”
dal progetto gestionale. C’è stato un gruppo di una trentina di persone che ha lavorato full time per due anni
per definire il progetto, le specifiche sono state poi condivise con Techint che l’avrebbe realizzato e
successivamente è stato poi realizzato, adattando le cose anche alle normative che in quel momento
stavano cambiando. Quindi nel ’96 a marzo è stata aperta, e quindi autorizzata la parte ambulatoriale, a
maggio la parte dei ricoveri. (I. Colombo)
 “[…] Si è pensato di fare Humanitas con l’idea di mettere in piedi una struttura ospedaliera complessa,
quindi subito con l’obiettivo di fare un nuovo ospedale, non una casa di cura, per intenderci. E un ospedale
che avesse le caratteristiche di un Policlinico. Secondo obiettivo, di sperimentare e consolidare un modello
gestionale che mettesse insieme la logica della gestione ospedaliera con una logica di gestione aziendale e
in particolare di un’azienda privata. Collocando, quindi, questo progetto in un contesto che puntasse
assieme, anche dal punto di vista degli obiettivi manageriali, alla qualità delle cure, dal punto di vista medico,
dal punto di infermieristico, in termini di umanizzazione del percorso di cura, e ad un obiettivo di economicità
che portasse ad avere un risultato economico for-profit, attraverso la leva gestionale e organizzativa. Nella
convinzione che la capacità di generare risorse economiche fosse e sia uno degli elementi che consentono,
nel tempo, di mantenere l’eccellenza. La capacità di generare risorse vuol dire anche la capacità di attrarre
risorse, finanziamenti e quindi di costruire un circolo virtuoso, in cui la qualità e l’efficienza economica, si
alimentano vicendevolmente, nella considerazione che laddove manca uno di questi due elementi
fatalmente anche quello che si pensa possa esistere in realtà, tende a entrare in un percorso involutivo. Da
questo evidentemente sono discesi una serie di corollari, che sono, prima di tutto, quello dell’inserimento di
ICH nel sistema sanitario nazionale. Il fatto cioè che una struttura così pensata, non potesse che far parte
del sistema pubblico della sanità e che fosse necessario abbandonare le categorie del pubblico e del privato
rispetto alla erogazione del servizio, senza confondere appunto questa categoria rispetto alla proprietà della
struttura. Un conto è la proprietà della struttura, un conto il servizio che la struttura offre ai pazienti e ai
cittadini. (P. Melodia)

“[…] Nasceva un ospedale con l’ambizione di coniugare all’esperienza clinica il know how industriale, quindi
ha precorso i tempi di quella che poi è stata la creazione delle aziende sanitarie. Nasceva già con l’idea di
costituire una struttura sanitaria organizzata con logiche aziendali, con una mission molto orientata alla
centralità del paziente e l’umanizzazione. Rispetto al progetto iniziale l’aspetto che riguarda più da vicino
l’assistenza infermieristica è stato quello aver attinto anche a realtà all’estero, vedere i modelli evoluti anche
all’estero, un gruppo di progetto ha potuto riflettere prima di iniziare l’attività su quello che poteva essere un
ospedale ideale, verso che cosa orientare un’innovazione nell’ambito dell’organizzazione sanitaria ai diversi
livelli, confrontandosi anche con le realtà già più evolute, francesi, anglosassoni, svizzere, tedesche.
Il gruppo progetto è stato costituito ancor prima che si definisse l’area in cui sarebbe nato l’ospedale e si è
occupato di raccogliere notizie e informazioni attraverso questi confronti. Quando io mi sono unita al gruppo
progetto ho partecipato alla raccolta di indicazioni e messaggi sul funzionamento di diversi modelli
ospedalieri, delle diverse reti ospedaliere e sull’organizzazione dei diversi sistemi sanitari. Questa è stata la
prima volta in Italia che ad un gruppo di Progetto ha partecipato fin dalla fase di realizzazione una figura
infermieristica, di solito le figure infermieristiche vengono coinvolte nella fase di selezione delle risorse ed
organizzazione dei reparti, mentre in questo caso il coinvolgimento c’è stato già nella fase delle scelte
strutturali, di flusso dei pazienti, percorsi e procedure. (M. Mussi)

Rispetto al consenso al progetto che si è dovuto cercare per ottenere un coinvolgimento in
particolare di medici e infermieri la dott.sa Mussi si esprime così:
“[…] Sono state fatte azioni sui medici, per farli entrare in una logica di condivisione di spazi e risorse, che
era completamente diversa rispetto alle logiche tradizionali. Quasi tutti i medici provenivano da realtà

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ospedaliere pubbliche in cui il primario aveva il suo regno, le sue cose, la sua sala operatoria. C’era proprio
da spiegare un modello di condivisione di posti letto, sale operatorie e risorse e di flessibilità completamente
diverso.
Per il personale infermieristico, all’inizio facevo i colloqui di selezione con un album di fotografie del cantiere
di Humanitas nel cassetto, che tiravo fuori per spiegare che l’ospedale ci sarebbe stato e com’era fatto. Loro
cercavano un cambiamento in una realtà che presentava del potenziale: il fatto di proporre delle degenze
multi specialistiche per gli infermieri è stata da subito un’innovazione interessante, perché voleva dire non
annoiarsi nella routine. C’era tanta carica in quella fase di progetto, per cui si diventa convincenti nel portare
un messaggio di cambiamento. L’idea di autonomia dell’infermiere già 13 anni fa era una cosa richiesta, non
avevamo ancora l’università ma era un concetto che si stava affermando. Le capo sala più autonome e
riconosciute nella gestione e non dipendenti dai primari è stata una proposta di forte richiamo per i capo
sala, la non dipendenza clinica, la valorizzazione dell’esperienza professionale. Gli infermieri erano attratti
dalla novità, dal fatto di uscire da strutture vecchie, da tutti i punti di vista, organizzativi e strutturali. (M.
Mussi)


Valutazione e sostenibilità del progetto
Io credo che la sostenibilità nel tempo di questo progetto si sia già dimostrata e la storia stessa lo dimostra,
certamente occorre che ci siano e che si mantengano alcune condizioni esterne che sono quelle del
riconoscimento della complessità dell’attività e del livello di qualità dell’attività in relazione alle risorse
economiche che sono destinate. Perché, se certamente in questi ultimi anni si vede una progressiva forbice
che si sta stringendo da questo punto di vista, è necessario che cresca all’interno della struttura la
consapevolezza che è finita la fase della grande crescita e che la fase di mantenimento è una fase nella
quale, paradossalmente, ci sono altre capacità da mettere in campo. In particolare ci deve essere il
mantenimento di una tensione al miglioramento continuo, senza la quale si rischia poi di “sedersi”. Quindi
questo passaggio è necessario, ma lo è per qualunque impresa di questo mondo, quindi non è tanto una
questione di sostenibilità del modello, quanto la capacità degli uomini che lo portano sulle loro spalle di farlo
vivere. (P. Melodia)
La visione di chi, nell’equipe iniziale, ha avuto una logica di progettazione fatta per processi, è stata una
visione corretta e vincente, anche se non era innovativa per il mondo in generale, ma per l’Italia lo era.
C’erano già dei modelli di questo genere, pochi in Europa molti negli Stati Uniti, ma si pensava che quei
modelli non fossero realizzabili in Europa, per via della cultura e di altre cose, invece non è assolutamente
vero ed un processo di razionalizzazione della sanità è possibile. (I. Colombo)
Il sistema così gestito, permette anche di governare la qualità perché noi abbiamo sempre visto che,
monitorando quello che avviene all’interno attraverso gli indicatori di qualità, partendo dalla customer
satisfaction che è la prima informazione pur macroscopica che proviene dal paziente, i cambiamenti
possono essere fatti repentinamente in funzione dell’osservazione degli indicatori e dell’informazione che il
paziente fornisce. (I. Colombo)
Il vantaggio dell’efficienza è sia sulla cura del paziente, sia nel fatto di poter dare delle risposte dal punto di
vista di logistica e tempi, corrette. Dal punto di vista logistico organizzativo, abbiamo dei ritorni che noi
consideriamo positivi dalla customer satisfaction. Da un punto di vista degli outcome clinici mi astengo da
qualsiasi tipo di giudizio, nel senso che ci sono delle valutazioni regionali che hanno visto ben la bontà del
modello, ma la bontà del modello è nella bontà dei medici. Alla fine dei conti, non dimentichiamoci che il
primo elemento vincente è la squadra dei medici che è capace di essere all’altezza della situazione per
quanto riguarda il governo clinico. Il modello è un modello, ma la qualità clinica la fa il medico,
l’organizzazione aiuta il medico è però evidente che la nostra esperienza è uguale a quella di tutti gli
ospedali. (I. Colombo)




                                                                                                                 9
2.2 Modello Humanitas

2.2.1 Descrizione del modello gestionale
Il modello gestionale utilizzato in Humanitas è frutto dell’idea iniziale con cui il progetto di
realizzazione del nuovo ospedale è nato, cioè l’idea di poter coniugare la logica della gestione
ospedaliera con una logica di gestione aziendale, avendo a riferimento le finalità espresse dalla
mission:

   •    efficacia della cura

   •    umanizzazione dell’assistenza

   •    efficienza della gestione

   •    innovazione della ricerca scientifica

   •    sviluppo professionale degli operatori

   •    formazione e didattica per le professioni sanitarie.
Il modello manageriale di ICH è una transazione del modello industriale: l’ospedale è governato
per processi (il processo ricovero ordinario, il processo ricovero day hospital, etc.) con
un’attenta programmazione dei fattori produttivi: le risorse umane (operatori sanitari), quelle
strutturali (letti, sale operatorie e ambulatori) e tecnologiche (RMN, TAC, RX etc.).
Il grafico sottostante sintetizza e rappresenta il modello gestionale di Humanitas.


                                                 Modello di gestione



       • Risorse umane (medici, infermieri)                                                • Tempi più brevi
       • Strutture (letti, sale operatorie,                                                • Costi certi
        ambulatori                                                                         • Sinergia ricerca/clinica
       • Nuove conoscenze scientifiche                                                     • Applicazione dei risultati della
       • Terapie personalizzate                                                              ricerca
       • Attrezzature (laboratorio analisi,
        radiologia, ricerca, ...)                                        Produttività ed
                                                                           efficienza




                               Qualità e                  CENTRALITA’
                             disponibilità                DEL PAZIENTE
                             delle risorse




                                                   Modello organizzativo gestionale

        • Sistema informativo integrato                                                    • Gestione per progetti e processi
        • Controllo di gestione di tipo aziendale                                          • Contiguità di clinici e ricercatori
        • Centralizzazione dei servizi diagnostico-terapeutici                             • Condivisione dei servizi avanzati




L’amministratore delegato così si esprime descrivendo le caratteristiche del modello:

                                                                                                                                   10
La particolarità del modello è fatta da due principi sostanziali. Il primo principio è quello che le risorse che
devono essere impegnate in un processo, sia mediche, di personale, sia tecnologiche devono essere
coerenti al processo stesso. Per cui, ad esempio, in un momento di carenza di personale infermieristico, non
ha nessun senso prendere il personale infermieristico e fargli svolgere una mansione amministrativa,
quando un personale amministrativo ben addestrato, può fare quel tipo di compito. Quindi si tratta di fare in
modo che tutti quelli che lavorano all’interno di Humanitas, lavorino per le loro competenze professionali. È
questo il grande assioma generale che permette anche una maggiore flessibilità al sistema stesso. (I.
Colombo)
Il nostro compito è stato quello di dare le funzioni di natura più manageriale a chi, all’interno dei processi,
aveva delle responsabilità di comando e di controllo. Quindi, per la parte amministrativa accogliere 4000
pazienti al giorno e rispondere a 4000 telefonate al giorno è un onere gravoso e ci deve essere qualcuno
che lo sappia fare professionalmente, altrimenti il servizio non può funzionare. Per quanto riguarda la parte
assistenziale, essere dentro un policlinico plurispecialistico è un compito gravoso e si è scelto di destinare
delle risorse per il controllo della parte assistenziale, dando responsabilità alle caposala o aggregazioni di
caposala. Questo ha voluto dire dare delle competenze non soltanto cliniche, che sono le prime da dare
nella formazione e nell’addestramento del personale, ma anche manageriali, perché in questa maniera tutti
cominciano a parlare lo stesso tipo di linguaggio dal punto di vista gestionale. Il compito è stato quello di
non caricare la parte infermieristica o la parte medica di informazione amministrativa, facendogli il master in
economia, ma di dare le informazioni essenziali con cui si potessero orientare in un sistema, che si stava
impostando in Humanitas. (I. Colombo)

Quello che si è privilegiato come modello, è stato quello di usare sempre in maniera intensiva le risorse,
intese come risorse tecnologiche. Per cui la tecnologia è stata sempre installata in funzione dell’uso reale,
non in funzione di quello che era un’idea astratta. Sia la tecnologia radiologica, sia la tecnologia della
radioterapia, sia la tecnologia nelle sale operatorie, sia tutte le altre tecnologie possibili, sono sempre state
valutate e vengono valutate in funzione di quella che è l’esigenza per la cura del paziente, considerando le
nuove metodiche che volta per volta emergono perché, essendo un ospedale policlinico, si cerca di
affrontare le patologie con le terapie o le cure più all’avanguardia. Quindi il modello è quello di “far fare ad
ognuno quello che sa fare” garantendo una flessibilità che deve essere governata dall’interno del sistema e
che si ottiene con una buona funzionalità nelle singole aree. (I. Colombo)
Il progetto fisico è sempre stato basato sul progetto gestionale, andando sempre a organizzare i flussi in
modo tale che potessero essere adeguati all’uso dell’ospedale in funzione dell’intensità di cura e del
percorso. In tutte le fasi della strutturazione di Humanitas si è pensato alla gestione dei flussi in modo tale
che si separasse sempre il flusso dei pazienti, dal flusso dell’operatore. (I. Colombo)

La particolarità più interessante è l’esistenza di una funzione specifica, la Gestiona Operativa, il cui
compito è quello di programmare gli asset ospedalieri: sale operatorie, posti letto e ambulatori.
Una tale funzione, non presente in altre realtà ospedaliere, porta a numerosi vantaggi anche se si
scontra con una cultura da parte dei medici non abituata a considerarne l’esistenza, il responsabile
della funzione così commenta il momento della sua introduzione:
“[…] C’erano molte resistenze culturali. Contemporaneamente, ho visto che, una volta che il medico
apprezza il beneficio di questo modello, che porta a non avere limiti sulle reali esigenze che vengono poste
dalla sua Unità Operativa, e che pur non avendo i “suoi” letti, la “sua” sala operatoria, ecc., che non è vero,
perché un certo numero di letti viene sempre occupato da loro e un certo numero di sale operatorie viene
sempre occupato da loro, ha una flessibilità che in altre strutture non c’è, non ha nulla da obiettare. Quando
il medico capisce che non viene tolto nulla di quello che gli sembrava di avere prima, se non una percezione
psicologica di potere, e che riceve anche più di quello che altri gli davano, non ha ragioni per obiettare. (D.
Lenoci)
Il Direttore Sanitario spiega ancora più approfonditamente il modello e le differenze rispetto agli
altri ospedali

“[…] Si è rivisto radicalmente il modello reparto-centrico in uso normalmente negli ospedali, che in alcuni casi
arriva ad avere anche sale operatorie legate o dedicate a ciascun reparto. Questo comporta come vantaggio
(forse) una certa specializzazione del personale infermieristico, ma come svantaggio sicuramente un utilizzo
di un numero spropositato di persone.
Nel nostro modello tutto è centralizzato,vi è la centralizzazione dei servizi e condivisione delle attrezzature di
alta specialità e quindi ad alto costo. Ogni reparto è visto come un reparto a se stante, con più specialità,
governato da una capo sala, da cui dipende un numero di infermieri proporzionato alle esigenze delle unità
operative assegnate a questo reparto.

                                                                                                               11
La stessa cosa vale per le sale operatorie, ogni blocco operatorio è governato da una capo sala e, per
quanto riguarda la parte medica, dal responsabile degli anestesisti e porta ad un miglior utilizzo delle sale
nel corso della giornata e a un miglior utilizzo del personale infermieristico. Non abbiamo più l’infermiera
strumentista dedicata ad una singola specialità, ma abbiamo che ogni strumentista sa strumentare dalle due
alle tre specialità, quindi c’è anche una migliore qualificazione del personale. Questo comporta vantaggi
nella gestione della reperibilità e nella gestione delle sale operatorie, quindi maggior flessibilità ed elasticità
nell’uso delle risorse sia umane sia tecnologiche.
Per far funzionare questo meccanismo, come ho detto prima, c’è una struttura particolare di tipo gestionale
che è la Gestione Operativa, che gestisce nel modo più efficiente, le risorse letto, sala operatoria e
ambulatorio. (N. Silvestri)

Nel box sottostante sono riportati i principi chiave del modello gestionale di Humanitas come
descritti da Richard M. J. Bohmer, professore della Harvard Business School, che ha scritto tre
casi di studio su Humanitas.

Principi chiave del Modello di gestione di Humanitas

Flusso dei pazienti
Puntuale gestione del flusso di ammissione/dimissione dei pazienti, attraverso la pianificazione degli ingressi e
la programmazione delle attività dei blocchi operatori. Le degenze multidisciplinari permettono l’ottimizzazione
dell’utilizzo dei posti letto.

Allineamento degli incentivi
Incentivazione del personale medico tramite la quota variabile dello stipendio agli obiettivi aziendali di
efficienza e qualità (50% e 50%), misurati attraverso un sistema di indicatori gestionali, economici e qualitativi.

Layout fisico
Edificio fisico specificatamente disegnato per supportare le attività, in modo versatile e ridurre al minimo i
tempi di collegamento e gli spostamenti per pazienti e personale

Sistema informativo e report di monitoraggio gestionale
Sistema informativo in grado di supportare la gestione quotidiana del flusso dei pazienti, ottimizzando la
disponibilità dei posti letto nelle degenze multidisciplinari. Report dettagliati sull’occupazione dei posti letto e
sull’utilizzo delle sedute operatorie (quotidiani, settimanali, mensili, condivisi con il personale sanitario).

(tratto da “Istituto Clinico Humanitas” Richard M. J. Bohmer Harvard Business School)


2.2.1.1 Modello gestionale, professioni e percorsi di cura

Con un modello gestionale differente dagli altri ospedali anche il modo di approcciare il proprio
ruolo all’interno dell’ospedale risulta differente da parte dei vari professionisti, il Direttore del
personale descrive in questo modo la novità di Humanitas:
“[…] Credo che, nel lavoro del medico, Humanitas abbia promosso una cultura e per alcuni aspetti
sgombrato il campo da alcuni equivoci. Humanitas ha promosso nel mondo medico l’idea di un fare
finalizzato al mestiere e all’obiettivo proprio del medico, che è quello di curare le persone, fornendo, da una
parte, una serie di servizi nella gestione organizzata, ma dall’altro chiedendo al medico di assumersi le
responsabilità dal punto di vista del percorso clinico senza vincoli posti dall’esterno, ponendo quindi i termini
dell’efficienza clinica e, ancora una volta, della qualità clinica, come parametri di riferimento rispetto ai quali
la professione dovesse esercitarsi a dare il meglio di se. Si è sgombrato quindi il campo, secondo me, dal
fatto che il medico deve essere anche manager, il medico non deve essere manager. Il medico deve essere
un medico ospedaliero che è consapevole del fatto che la sua attività si colloca, sempre di più, in processi
complessi, nei quali, oltre alla competenza professionale e specifica, occorre un’integrazione di competenze
e con più funzioni, nella quale si gioca la partita del mettere insieme qualità ed efficienza.



                                                                                                                 12
Per quanto riguarda gli infermieri, avendo noi teorizzato il modello polispecialistico nelle degenze, abbiamo
fin da subito esercitato una sollecitazione verso le competenze professionali più articolate e più complesse e
soprattutto una sollecitazione verso interazioni organizzative e relazionali più complesse. Questo secondo
me è un ambito nel quale c’è ancora molto da lavorare, sia in relazione al modo di gestire e organizzare le
attività, sia in relazione alla formazione universitaria. Secondo me, la formazione universitaria è ancora
un’opportunità che va maggiormente colta. Soprattutto il nostro modello, nella crescita infermieristica, deve
fare ancora una serie di passi avanti nella consapevolezza e nella motivazione degli infermieri. (P. Melodia)
e sul livello di integrazione che si è raggiunto a distanza di quasi 13 anni da quando ha aperto
l’ospedale, prosegue:
“[…] Il livello di integrazione è più che buono, paradossalmente, nel momento in cui ci si accorge che
l’integrazione va migliorata è perché si sono fatti dei passi molto importanti di integrazione fra mondi,
culture, professioni che viceversa si “ignoravano”. Io credo veramente che il successo fondamentale di
Humanitas sia stato, pur fra difficoltà e miglioramenti sempre necessari, la capacità di integrare molto.
Inoltre, l’integrazione è partita dall’aspetto fisico perché che i reparti fossero multidisciplinari e che gli uffici
dei medici fossero tutti da una parte, oppure che il management vivesse nell’ospedale, molto coinvolto in
attività gestionali e organizzative, o ancora che ci fossero delle funzioni che sono nate proprio con l’idea di
integrare sui processi le diverse componenti professionali, secondo me, è stato uno degli elementi e forse
l’elemento di maggiore forza di Humanitas. (P. Melodia)
e infine sulle difficoltà che si sono dovute affrontare:
“[…] Io credo che le difficoltà maggiori siano legate allo sforzo di tenere assieme i due elementi che dicevo,
quindi la difficoltà di realizzare in concreto la qualità e l’efficienza come risultato di una tensione positiva,
convergente da parte di tutti. Allora poiché i punti di vista sono tanti e legittimi, la realizzazione di questo
obiettivo comporta una consapevolezza crescente dei reciproci condizionamenti e delle reciproche esigenze.
E’ chiaro che dove il contesto economico diventa più pesante, questa integrazione sconta una serie di
difficoltà in più. Quindi io credo che in una prima fase, che potremmo collocare, sia pure con andamenti un
po’ altalenanti, fino alla costruzione del Centro Cascina Perseghetto c’è stato un continuo porre in avanti
obiettivi di crescita. E sicuramente la fase ancora più significativa, da questo punto di vista, è stata la
crescita all’ospedale fino all’apertura del pronto soccorso, quindi il periodo che va dal ‘96 al 2003, che è stato
il periodo della grande crescita fisica, quindi anche strutturale e organizzativa delle persone. In questo
contesto, paradossalmente, ci sono difficoltà molto evidenti, che sono quelle di far partire una struttura, che
si superano anche con forte slancio, mentre, una volta finita questa fase ”eroica”, rimane la gestione
quotidiana che si porta dietro, evidentemente, più difficoltà. (P. Melodia)
Il Direttore Sanitario specifica meglio quali sono stati i passaggi fatti per introdurre il nuovo modello
ai medici e poter garantire la continuità assistenziale e la comunicazione tra i differenti
professionisti:

“[…] Il primo passaggio è stato far capire al personale che tutto quello che fai è descrivibile in un processo.
Noi lavoriamo per processi, come se fosse, detto brutalmente, una catena di montaggio: sono piccole tappe,
che i vari responsabili. hanno disegnato, descrivendo cosa viene fatto in ciascuna giornata di ricovero.
Essere consci di questo sistema e del concetto di processo, ha permesso di ottenere due risultati: il primo è
la comprensione che le varie fasi del processo possono essere modificate, senza cambiare tutto e il secondo
è la consapevolezza della necessità e dell’uso che viene fatto delle risorse (risorse tempo, personale,
farmaci, ecc). (N. Silvestri)

 “[…] l’idea è stata di costruire un ospedale con la massima efficienza. Il raggiungimento dell’efficienza
avrebbe portato anche al raggiungimento dell’efficacia, cioè che facendo un ospedale efficiente avremmo
garantito anche la qualità. Esiste una corrispondenza biunivoca, per cui efficienza ed efficacia vengono a
coincidere.
Ad esempio, il fattore tempo è fondamentale: se servono tre giorni per un ricovero non val la pena tener i
pazienti per quattro: faremmo del male al paziente stesso, all’ospedale e al sistema, che vedrebbe allungarsi
le liste di attesa.
La modalità di lavoro deve essere nota, esplicitata e standardizzata tra le diverse unità operative, così che
anche la Gestione operativa riesce a lavorare e distribuire i letti.
Per quanto riguarda la comunicazione, a livello di progettazione si era detto: dobbiamo trovare un sistema
per cui i medici si parlino tra di loro, un sistema per cui si vedano tutti i giorni e si confrontino. Abbiamo tolto
lo studio (tra le altre cose insite nella tradizione c’era anche lo studio in reparto) e abbiamo creato gli open
space perché in open space ciascuno è avvantaggiato nel parlare con il vicino, confrontandosi e chiarendo i
problemi. (N. Silvestri)


                                                                                                                  13
2.2.1.2 Prospettive di sviluppo
Questo ultimo paragrafo contiene le riflessioni dell’Amministratore Delegato, del Direttore del
Personale e del Responsabile della Gestione Operativa riguardo alle prospettive di sviluppo del
modello. Emerge chiaramente una direzione che porti a sviluppare una migliore integrazione tra i
vari interlocutori e professionisti che operano in ospedale, procedendo anche nell’opera di
dipartimentalizzazione cominciata.
“[…] Perché nato questo modello? Perché la sanità aveva un problema di erogazione di servizi e di costo dei
servizi, negli anni ‘80 e un certo tipo di modello rendeva più efficiente la sanità. Perché da un certo punto in
poi quello che governa è il piano clinico, quindi l’efficienza era di natura gestionale e non poteva essere
un’efficienza clinica di per sé, l’efficienza clinica era quasi indotta ma non era quello il problema. Ora la
sanità, per me, sta vivendo una seconda fase di crisi, che non è legata, tanto, alla crisi economica, mentre,
per esempio, all’allungamento della vita media che introduce degli elementi che soltanto 15 anni fa non
erano pensabili. Quindi il modello, a questo punto, deve evolvere perché è necessario interpretare quelli che
sono i bisogni dell’esterno. Abbiamo delle idee per quanto riguarda l’evoluzione del modello, ma c’è anche la
necessità che dall’esterno ci siano delle risposte più adeguate, parlo dei sistemi regionali, a quelli che sono i
limiti che si vogliono dare al servizio e questo aspetto è assolutamente necessario e comunque le due cose
vanno assieme. Nel modello che si vede oggi applicato ad un ospedale come Humanitas che ha 600 posti
letto operativi, il governo e la logica di gestione è qualcosa che diventa sempre più difficoltoso, a causa delle
specializzazioni che ci sono nell’organizzazione, del numero di pazienti, dei flussi, dell’attività di day hospital
che è un’attività molto intensa, della day surgery che è diventata una realtà in tutti gli ospedali, che portano
alla conseguenza di complicare i sistemi. Un sistema che si complica deve avere la capacità di semplificarsi
e perché si semplifichi è necessario che si identifichino, all’interno del sistema, delle sottoaree con delle
responsabilità autonome di governo, sia “logistico”, sia clinico. Questa è l’evoluzione che noi abbiamo visto,
per la prima volta, all’interno del mondo del pronto soccorso, dove è stato creato il modello “ospedale
nell’ospedale”, che è ancora in fase testing e nell’ambito riabilitativo in cui si è fatto un modello di gestione
che è differente rispetto a quello della parte acuta. Per la parte acuta può essere utilizzata la logica, che è
già stata introdotta nell’ambito del pubblico, della dipartimentalizzazione ed è una delle logiche che si sta
studiando e che si porteranno avanti. L’obiettivo è quello di ottenere che ci sia quella capacità di flessibilità
che oggi deve essere governata all’interno del cambiamento della cura, perché il cambiamento della cura,
tante volte, è assolutamente repentino. Ad esempio in oncologia abbiamo visto dei cambiamenti talmente
veloci, per cui è necessario un’attività coordinata della fase gestionale e di quella clinica. Il modello non può
più prescindere da questa relazione, mentre all’inizio o un po’ di anni fa, i due fronti erano molto separati, la
parte clinica andava per conto suo e la parte gestionale – amministrativa andava per conto suo, perché
l’unica interferenza era la gestione dei servizi di base. Invece adesso le cose diventano più complesse e
quindi il modello è quello di riuscire a governare una complessità, semplificandola. (I. Colombo)
“[…] E’ necessaria una capacità di crescere in modo sempre più profondo in termini di integrazione,
passando da una logica di una gestione efficiente degli asset, a una logica di processi clinici, che si porta
dietro un coinvolgimento certamente dei clinici e della direzione sanitaria, ma anche delle funzioni di
management. Io sono sempre convinto, che a mano, a mano che si scende nell’approfondimento dei
processi clinici, l’assunto iniziale della possibilità di convergenza delle due tematiche, qualità ed efficienza,
risulta confermato. E’ chiaro che bisogna avere la consapevolezza che è necessario abbattere degli schemi.
Faccio un esempio sulla direzione del personale; se la direzione del personale avesse ragionato unicamente
sul contenimento dei costi del personale in valore assoluto, senza tenere conto di come questi dovessero
evolvere nel relazionarsi con lo sviluppo della struttura, avremmo fatto molta fatica ad arrivare fin qui. E’
chiaro che gli schemi, anche nelle reciproche relazioni, devono essere visti in modo aperto. Ad esempio, fra
direzione sanitaria e gestione operativa sono necessarie delle forme di integrazione maggiori, volendo
andare a lavorare sui processi clinici, rispetto al periodo in cui uno pensava soltanto al più efficiente utilizzo
dei diversi asset. Secondo me, sono questi gli strumenti che dobbiamo mettere in campo per affrontare i
problemi che si pongo adesso. (P. Melodia)
 “[…]     Si tratta, fondamentalmente, di percorrere una strada, che è già segnata, che è quella
dell’integrazione. L’evoluzione di questo modello è sempre più nel modello di integrazione tra le diverse
funzioni aziendali e con la parte medica e assistenziale. Mi sembra che percorrendo questa strada ci si
possa arricchire ulteriormente dei benefici di questo modello. (D. Lenoci)




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2.2.2 Degenze multidisciplinari

Tutte le degenze di Humanitas sono configurate come unità multispecialistiche: ogni degenza ha
un numero di posti letto assegnati a più UOC ed un numero di letti non assegnati definiti pool. Le
degenze sono infatti denominate per numero di piano e di collocazione logistica, non per specialità
clinica. Le attribuzioni di posti letto alle UOC variano ogni anno, attraverso uno strumento definito
lay out.
Questo modello, che si caratterizza per la rottura del binomio unità operativa/reparto, permette una
grande variabilità nella programmazione dei ricoveri consentendo sia di mantenere basse le liste di
attesa, sia di garantire la flessibilità nell’utilizzo dei letti, così da assorbire eventuali picchi di
accessi da pronto soccorso, con le variazioni epidemiologiche stagionali (epidemia influenzale in
inverno; poli-traumatismi estivi).
Il sistema, da questo punto di vista, è stato mutuato da quello sviluppato dalla logica ospedaliera americana.
Il concetto di fondo è sempre quello di poter seguire il paziente nel modo più adeguato, limitando
l’ospedalizzazione laddove non è necessaria e creando dei sistemi flessibili. Ciò vuol dire che per primi, nel
‘97/’98, si è avviato il pre – ricovero, in un’epoca in cui il pre – ricovero non era necessario e non era
richiesto come requisito. In questo modo si recuperano almeno due o tre giorni di degenza in cui il paziente
non faceva nulla all’interno dell’ospedale se non esami diagnostici o pre – operatori, in funzione della
condizione del paziente.
Assegnare 20 letti, 30 letti, 40 letti a priori, non aveva nessun senso, in funzione dell’attività che un’unità
faceva c’era l’uso flessibile dei letti. Si è quindi stabilito che i nostri reparti potessero essere equivalenti tra di
loro e con un numero standard di letti tra 40 e 50, ritenendo che questo numero sia l’ottimale per la gestione
infermieristica che è stato il primo aspetto che è stato analizzato. E’ chiaro che 40 letti devono essere
occupati da 2/3 discipline e la presenza di più discipline implica un cambiamento del modello di
organizzazione del medico.
Si è così pensato, nel modello, di separare la location in cui il medico svolge la sua attività di ricerca o di
formazione, dal reparto clinico. Nel reparto rimane la guardia, il presidio medico e quello che è necessario
per il paziente, mentre ad una distanza di 30/40 metri i medici hanno il loro spazio in cui poter usare
l’informazione clinica online e anche relazionarsi tra equipe ed equipe, quindi con la possibilità di scambiarsi
informazioni. (I.Colombo – Amministratore Delegato)

Nell’ospedale pubblico al primario è, almeno sulla carta, affidato il reparto, con i suoi medici, i suoi infermieri,
la sua segretaria, la sua capo sala, la sua sala operatoria, la sua scrivania, ecc. Stupisce il fatto che qui non
esista l’aggettivo possessivo, ed è il punto che si ritiene più difficile da applicare quando si pensa di adattare
il modello alla realtà pubblica. Le aree multidisciplinari sono governate dalla capo sala e non dal primario, la
modalità di gestione del reparto è svincolata dal primario, che invece dedica tutte le sue forze e le sue
capacità alla cura dei pazienti, alla didattica ed alla ricerca. (N. Silvestri – Direttore Sanitario)

Questo modello si caratterizza quindi, dal punto di vista gestionale, per la flessibilità nella gestione
delle risorse, l’integrazione fisica ed organizzativa e la versatilità strutturale, mentre, dal punto di
vista clinico e assistenziale, punta all’integrazione dei percorsi di cura e alla personalizzazione
dell’assistenza, allo sviluppo di eccellenti competenze da parte del personale infermieristico e allo
sviluppo di strumenti e meccanismi di integrazione tra i diversi professionisti sanitari.

Dal punto di vista della gestione medica, infatti, la condivisione della stessa area di degenza tra
più UOC determina la creazione di sinergie tra clinici, favorendo l’approccio multi-disciplinare al
paziente. Al contempo questo modello implica che lo staff infermieristico, che gestisce la degenza,
debba assolvere a compiti organizzativi e gestionali, oltre che assistenziali, e debba quindi
possedere competenze multi-specialistiche ed essere continuamente formato nella gestione di
pazienti con differenti livelli di intensità assistenziale. Costituendo il pilastro organizzativo del
processo ricovero, lo staff infermieristico deve essere valorizzato e fidelizzato poiché un alto livello
di turnover degli operatori può avere un impatto significativo sull’attività.
Penso che il fatto di avere la multidisciplinarietà all’interno della stessa degenza sia un fattore di forza. E’ un
fattore di forza perché comunque tiene in tensione: è faticoso ma contemporaneamente permette di avere
anche altissime motivazioni, perché comunque non c’è la routine. E poi alla fine le conoscenze che si
vengono ad acquisire per poi poterle spendere sul campo sono molteplici. Certo che il ruolo del coordinatore


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diventa fondamentale, per tenere ordinati i processi, le persone, i comportamenti e controllare i risultati.
(P.Tomasin – RAA area EAS)

Il tema delle degenze poli-specialistiche è nato con il progetto originario di Humanitas. Ci siamo posti il
problema di come garantire l’assistenza a più specialità e abbiamo elaborato un modello di assistenza
infermieristica, un modello di riferimento teorico, perché avevamo considerato che non potevamo lavorare
per compiti in una degenza multispecialistica e quindi abbiamo iniziato a ragionare su come si organizza il
lavoro degli infermieri in questo contesto. Sicuramente non per compiti, cioè non che tutte le mattine si fa il
giro letti, si fa il giro prelievi, ecc, ma cominciando ad identificare gruppi di pazienti per infermiere ai quali si
fa un’assistenza più personalizzata, in modo che quell’infermieri per quel giorno conoscesse tutto di quel
paziente.
Abbiamo fatto un lavoro di descrizione delle attività nelle degenze, sui tre turni, in cui descrivevamo
l’organizzazione degli infermieri e degli ausiliari, rispetto anche alle altre caratteristiche di humanitas, che
erano avere un sistema informatizzato, avere i servizi in outsourcing, avere il supporto amministrativo del
servizio clienti; cose che in altri ospedali non c’erano ancora e che hanno orientato la descrizione delle
attività specifiche nell’ambito dell’organizzazione e dei piani di attività nelle degenze.
La scelta che ci ha permesso di garantire un’assistenza su più fronti è stata di aver abolito un’organizzazione
per compiti e di aver privilegiato un’organizzazione in cui gruppi di pazienti erano assegnati a uno o due
infermieri, a seconda del numero di specialità presenti. E in questo abbiamo utilizzato già da allora strumenti
di integrazione con i medici, che sono stati la documentazione infermieristica (che non è quella di oggi,
perché l’abbiamo modificata nel corso del percorso di accreditamento con Joint Commission), ma fin dal
primo paziente ricoverato nel ‘96, abbiamo posto un tema di cartella infermieristica integrata alla
documentazione clinica, c’era una valutazione infermieristica, un diario infermieristico, la raccolta dei
parametri e il foglio terapia. (M. Mussi - Responsabile Servizi Assistenziali)
La programmazione e la gestione del flusso dei pazienti attraverso le degenze ospedaliere e i
servizi medici è compito della gestione operativa (GO), una funzione aziendale in staff alla
Direzione Generale, che programma settimanalmente i ricoveri, in funzione dell’occupazione delle
degenze, cui è dedicato il paragrafo 2.3.2

L’obiettivo del costante governo ed analisi dell’andamento dell’occupazione è mantenere un tasso
di occupazione compreso tra l’85 ed il 95%, garantendo un adeguato pool di letti all’EAS.

Lay out attuale delle degenze

Dal momento della sua apertura ad oggi ICH ha cambiato numerosi lay out (più di 15) per adattarsi
all’apertura di nuove linee produttive e alla modificazione dell’epidemiologia dei pazienti.
Humanitas è nato con un’impostazione di degenze multispecialistiche, per cui uno spazio fisico composto
tendenzialmente da 40 posti letto. Nella loro suddivisione è sempre stato utilizzato come criterio,
l’identificazione di specialità simili, e compatibili/complementari. Cioè, ad una specialità chirurgica veniva
associata l’unità internistica “parallela”. Esemplifico, alla chirurgia addominale a caratterizzazione oncologica
è sempre stata associata la gastroenterologia o alla neurochirurgia, la neurologia. Per cui si è cercato di
rendere simile la tipologia di utenza all’interno della degenza come espressione del bisogno infermieristico.
Simile perché, a prescindere dalla ragione della manifestazione di un deficit, un atto chirurgico o un atto
neurologico, per quanto riguarda l’aspetto assistenziale, la manifestazione di quel bisogno è sempre
assolutamente similare. (B. Miclini – RAA area neuroscienze)
I criteri di aggregazione delle specialità nelle degenze sono variati nel tempo, al crescere della
complessità clinica ed assistenziale ha corrisposto un crescente bisogno di far convivere specialità
affini per processi clinici o per complessità assistenziale.
Nella progettazione, intendendo per progettazione sia quella fisica che quella organizzativa, perché le due
cose non possono essere disgiunte, si è messo al centro del sistema il paziente.
Nella realizzazione delle degenze si è tenuto conto delle esigenze del paziente, cercando di fare in modo, ad
esempio, che i trasferimenti fossero ridotti al minimo. Si è rotta l’equazione degenza = reparto= unità
operativa, ma tutte le degenze sono diventate identiche e destinate a più unità operative in contemporanea.
Nelle degenze plurispecialistiche la distribuzione dei letti risponde ad una logica di comunanza tra le varie
specialità, che è andata affinandosi nel corso degli anni. La gestione del reparto era unica, con un’unica
caposala. I pazienti afferivano ai blocchi operatori direttamente sui loro letti, senza trasferimenti. I percorsi
sono brevi, il più lungo è sui 100 metri, e questo per motivi di sicurezza del paziente e del personale. (N.
Silvestri – Direttore Sanitario)


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L’ultima rivisitazione sostanziale del lay out risale all’agosto 2008, con la configurazione di aree di
degenza coerenti con il nuovo modello di organizzazione dei servizi infermieristici (aree
infermieristiche, (paragrafo 2.2.5) e con i dipartimenti medici, così da realizzare la migliore
coincidenza tra dipartimenti medici (discipline mediche afferenti), governo infermieristico
(responsabili di area assistenziale) e lay out fisico.
Il nuovo modello è stato elaborato nel 2007, a maggio 2007 sono partite le prime 5 aree, e il modello è stato
pienamente realizzato nel 2008. L’aver fatto ordine nell’aggregazione di aree con logiche di omogeneità e
aggregazione anche di vicinanza fisica, ha permesso di stabilizzare le specialità nelle aree con un recupero
in termini di formazione, esperienza e stabilità dei gruppi infermieristici. (M. Mussi - Responsabile Servizi
Assistenziali)




Al terzo piano sono collocate 3 degenze per l’attività libero professionale con 60 posti letto e la
degenza D3, di 50 posti letto, quale area di medicina generale e d’urgenza.
Al secondo piano le degenze di area cardiovascolare (A2 – B2), limitrofe al blocco operatorio B,
all’UCC e alla terapia intensiva cardio, e le degenze di neuroscienze (C2 e D2). In queste due aree
è integrata anche la prima parte del percorso di cura riabilitativo: riabilitazione cardiologica,
neuromotoria e pediatrica (posti letto e palestre).
Al primo piano è presente la degenza ortopedica (A1), le U.O. afferenti al dipartimento oncologico,
che, accolgono anche i pazienti oncologici provenienti dall’EAS (C1 e D1) e una delle due degenze
di area gastroenterologica (B1), ben collegata al blocco operatorio e all’endoscopia digestiva.
Al piano terra è sita l’altra degenza di area gastroenterologica (C0), e le degenze chirurgiche (A0 e
D0),      di     cui       una     destinata     alla    chirurgia     breve     (week       surgery).
Sono raffigurate nel lay out anche le degenze riabilitative E, corrispondenti a Cascina Perseghetto
Building 8 – CCP)


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Le degenze monospecialistiche hanno un vantaggio in termini di semplicità nell’organizzazione dell’attività
(un’équipe sola, quindi molti meno interlocutori a cui fare riferimento) e di specificità di competenza da parte
degli infermieri, dovuta all’esperienza che l’infermiere si fa avendo tutti i pazienti della stessa specialità,
quindi con la stessa patologia, più o meno.
Nella degenza multi specialistica l’esperienza non è più monospecialistica, si allarga, quindi ovviamente le
competenze senz’altro non sono così approfondite però sono più allargate, perché se pensate ad infermieri
che lavoravano vent’anni in cardiologia, quando uscivano da quel reparto erano spaesati. Non riesci più ad
avere quei meccanismi, quell’elasticità mentale che ti permette di avere l’occhio su altre cose che non sono
solo il cardiogramma e altre cose specifiche per quel reparto.
Il vantaggio è senz’altro questo, senz’altro è un arricchimento, però è un peso in termini organizzativi, di
risorse, non indifferente. In A2, esempio, ci sono quattro specialità diverse, e di un certo tipo: due vascolari,
un’elettrofisiologia e un’emodinamica, due mediche e due chirurgiche.
Se lavorano per specialità, se gli infermieri sono in numero sufficiente, riusciamo ad abbinare ogni infermiere
a una specialità, c’è quell’infermiere che ha un carico assistenziale maggiore, perché se ha in quella giornata
interventi di un certo peso, o comunque complicanze post operatorie, eccetera, eccetera, può avere un certo
peso assistenziale, che magari non ha nello stesso momento l’infermiera che segue pazienti di
emodinamica: alcune volte si può creare questo divario, all’interno della stessa degenza, di carichi
assistenziali diversi. Invece se lavorano per numero di pazienti, ovvero si dividono le camere, in queste
camere possono trovare tutte e quattro le specialità. Quindi il vantaggio è che viene più spalmato il carico
assistenziale, il disagio è che aumentano gli interlocutori medici.
Il fatto che sono degenze multi specialistiche, e quindi che i letti non appartengono ad unità operativa,
senz’altro permette una flessibilità nell’utilizzo di questi letti. E quindi mantiene una percentuale di
occupazione costante nel tempo, in cui non ci sono picchi di letti liberi, oppure l’overbooking: Il vantaggio
può essere, anche in termini di risorse, che ci possono essere alcune apparecchiature condivise tra più unità
operative (S. Semplici – RAA area cardio vascolare)


2.2.2.1 Percorsi formativi

La degenza multidisciplinare comporta che il personale infermieristico debba possedere
competenze multi-specialistiche ed essere continuamente formato nella gestione di pazienti
con differenti livelli di intensità assistenziale. Il percorso di formazione del personale infermieristico
è stato chiave nel percorso di crescita e sviluppo di Humanitas nel corso degli anni, sia a livello di
ospedale, sia all’interno di ciascuna area di degenza.

All’inizio il percorso di formazione è stato assolutamente presidiato e garantito. Noi avevamo una
popolazione infermieristica molto giovane, tranne i capo sala, con poca esperienza professionale, ma con
voglia di mettersi in gioco e motivata. La formazione, in termini di arricchimento clinico, è stata molto intensa.
Nel primo anno assumevamo gruppi di persone con notevole anticipo rispetto all’avvio delle attività, fino a 15
giorni, e le mettevamo in un percorso di formazione strutturata, supportato anche da una società esterna e
gestita dai medici per la parte più clinica.
Nel tempo, ovviamente, man mano abbiamo utilizzato il personale più bravo ed esperto per aprire nuove
realtà, così da trasferire soprattutto le conoscenze organizzative, connesse al modello. Questo sistema ci ha
permesso di avere uno sviluppo molto rapido. (M. Mussi - Responsabile Servizi Assistenziali)

La formazione è il tasto dolente perché deve essere molto più ampia, deve abbracciare più specialità, e
perché lavorando in una logica di mobilità interdipartimentale delle risorse umane, devi poi arricchirti di
ulteriori informazioni e competenze che riguardano più magari le specialità dell’altra degenza. La situazione
è peggiorata dal turnover di personale. (S. Semplici – RAA area cardio vascolare)

Per il lato assistenziale infermieristico abbiamo delle procedure e per gli OSS ho un piano di lavoro. Il piano
di lavoro è tarato però sulla complessità, come si può dire, a livello orizzontale di tutte le discipline, poi nello
specifico a livello di formazione individuale, ogni infermiere conosce la complessità della tipologia del
paziente. Allora l’optimum per lavorare meglio, con la multidisciplinarietà, sarebbe avere dei settori in cui i
pazienti sono tutti della medicina, tutti della pneumologia, tutti dell’oncologia. E invece noi abbiamo un mix,
però, con la fortuna che gli infermieri sono formati sia sull’area specialistica che sul campo e quindi
soddisfano la complessità dei bisogni e il presidio del singolo bisogno, che sia di una specialità che sia
dell’altra.
All’interno di Humanitas sono attivati numerosi corsi per il personale: il corso delle telemetrie, il corso BLSD,
ecc. C’è poi la formazione specifica dell’area: quando abbiamo un neoassunto istituiamo un mini-corso

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personalizzato fatto da due infermieri esperti che per almeno 4 ore addestrano il neoassunto all’utilizzo per
esempio, di tutte le apparecchiature elettromedicali specifiche (la CPAP per i problemi respiratori, la
cardiolina, le pompe volumetriche ecc.); abbiamo fatto anche discussione di casi clinici, ad esempio con la
pneumologia (P.Tomasin – RAA area EAS)

2.2.2.2 Percorsi clinico-assistenziali - Area cardiovascolare e neuroscienze

I percorsi clinico assistenziali più completi e complessi nel contesto delle degenze sono quelli
attivati nelle degenze di area cardiovascolare (A2 – B2) e di neuroscienze (C2 e D2). Il percorso
del paziente con IMA o cardiochirurgico, dall’alta intensità (unità di cura coronarica e terapia
intensiva cardiochirurgica) fino alla riabilitazione sono ben strutturati e consolidati.

Noi abbiamo dei protocolli infermieristici specifici per le singole unità operative. Faccio un esempio: noi
abbiamo protocollo pazienti di elettrofisiologia, che abbraccia un po’ tutte le tipologie di pazienti
dell’elettrofisiologia, quindi dall’impianto del defibrillatore, piuttosto che quello del pace maker, piuttosto che
l’ablazione, e traccia, dettaglia, proprio il percorso che fa il paziente una volta ricoverato, e quello che
l’infermiere deve attuare sul paziente, dall’ingresso, dalla raccolta dati, alla tipologia di prelievi che deve
essere fatta, ogni quanto devono essere rilevati i parametri dopo la procedura, come deve essere
posizionata l’agocannula rispetto all’impianto, a destra piuttosto che a sinistra. Abbiamo questi protocolli,
queste procedure, molto dettagliati, sono un documento che guida le infermiere e le orienta verso questo
tipo di assistenza. La valutazione del peso assistenziale e del tipo di attività che richiede un singolo paziente
viene fatta sulla base di quello che dice il medico, cioè la diagnosi fatta dal medico indirizza l’infermiere: se,
ad esempio, entra un paziente con un grave scompenso cardiaco, questo innesca tutta una serie di
attività,dalla rilevazione parametri più ravvicinata, al monitoraggio. La gestione nasce da quello che dice il
medico e da quello che definisce l’infermiere, guidata dai protocolli, che aiutano a far sì che tutti gli infermieri
lavorino in un certo modo: penso che in un paziente che torna da un’unità coronarica si sa che ogni giorno
deve fare l’elettrocardiogramma, deve avere il bilancio idrico e ogni quattro ore devono essere rilevati i
parametri. (S. Semplici – RAA area cardio vascolare)
Più recentemente dall’apertura dei letti di stroke unit in degenza D2, si è definito il percorso di cura
del paziente con ictus, dal pronto soccorso fino alla neuro riabilitazione.
In area neuroscienze, in degenza C2, sono attivi il percorso neuro-ortopedico e riabilitativo
pediatrico, per i pazienti ricoverati nell’ambito delle unità operative di ortopedia pediatrica e
neurorabilitazione e il recente progetto che prevede l’attivazione di un’Unità di Ortogeriatria, nel
contesto della Traumatologia, per la gestione dell’anziano con frattura di femore.

L’area neuroscienze è spazialmente costituita da 2 degenze, una di 50 posti letto (D2) e una di 40 posti letto
(C2), poste su un unico piano, per cui si mantiene il criterio della vicinanza sul percorso orizzontale. In
quest’area ci sono le seguenti Unità Operative: l’Otorinolaringoiatria, la Neurochirurgia, la Neurologia, la
Stroke Unit, con un’area dedicata e alcuni letti dedicati alla Neurologia non di emergenza, la Traumatologia e
alcuni letti di Neuroriabilitazione. Questi ultimi sono dedicati a quegli ammalati che passano ad una fase di
stabilizzazione, prima di passare al secondo e al terzo step riabilitativo. Da questo fatto si capisce che c’è
un’aggregazione di malati non solo per specialità, ma che c’è anche una scelta di locazione degli ammalati
rispetto alla complessità assistenziale, all’intensità di prestazione, al monitoraggio e alle cure da erogare.

[…] Dal pronto soccorso il paziente entra in Stroke Unit dove rimane 5/6 giorni, viene fortemente “aggredito”,
dal punto di vista diagnostico-terapeutico e dal punto di vista assistenziale, con monitoraggio elevato del
tracciato elettrocardiografico, della pressione arteriosa, della saturazione, con presenza di
videosorveglianza, e fin dalla prima giornata del ricovero con il trattamento congiunto fisioterapico -
infermieristico. Finito questo percorso molto intenso c’è subito il passaggio, se l’ammalato è in condizioni di
stabilità, in fisiatria presso la C2. Altrimenti c’è un passaggio intermedio nei letti che si trovano all’esterno
della Stroke Unit, in degenza D2, e successivamente in C2. Molto raramente, avviene un passaggio diretto
dalla D2 a CCP. Sempre in D2 c’è un altro percorso, sugli ammalati neurochirurgici, che hanno un tempo di
degenza molto più prolungato a causa delle problematiche meno compatibili con un’accoglienza immediata
in un reparto di riabilitazione. Il percorso diagnostico-terapeutico è diverso e i pazienti vengono affidati alla
Neuroriabilitazione, rimanendo però in degenza D2, e a stabilizzazione avvenuta, che di solito coincide con
la rimozione dei presidi di tutorizzazione delle vie vitali, vengono mandati o in strutture esterne o al centro
riabilitativo. La neuro riabilitazione può prevedere fino a tre passaggi di degenza, due dei quali all’interno
delle degenze (D2 e C2) di cui sono responsabile e il terzo, che è il passaggio di stabilizzazione e di



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preparazione al rientro al domicilio, avviene presso la riabilitazione del Centro Cascina Perseghetto (CCP).
(B. Miclini – RAA area neuroscienze)
Dove manca un’area geograficamente delimitata si deve far fronte con l’impostazione programmatica di
processi di operatività rivolti a quel particolare tipo di paziente: se io non ho regole precise di approccio al
paziente con patologia neurologica, non lo posso mettere vicino ad un paziente con patologia
otorinolaringoiatrica per ovvie ragioni, perché non avrò mai un’adeguata specializzazione, non dico medica
ovviamente, ma sostanzialmente infermieristica, che poi è il grosso dell’assistenza ospedaliera.
Nell’area di neuroscienze il paziente neurochirurgico può essere accanto al paziente otorino, piuttosto che
non al paziente neurologico. In questo caso ci devono essere, e ci sono effettivamente, protocolli distinti per
ciascun paziente, per tutti quegli aspetti che possono essere anche sostanzialmente diversi per i pazienti
neurologici rispetto a quelli della neurochirurgia. Ovviamente cerchiamo di adattare l’organizzazione anche
in funzione del personale infermieristico, in modo che ci sia diciamo, chi segue specificatamente i pazienti di
neurochirurgia e chi segue specificatamente quelli di neurologia. (G. Micieli - Responsabile Stroke Unit)

Stroke unit e sub intensiva neurochirurgica

In D2, dei 50 posti letto, solo quelli della Stroke Unit hanno un’identificazione di spazio, con un’area di
monitoraggio dedicata e con una porta dedicata che la separa dal resto della degenza. In quell’area vi è
un’identificazione di subintensività dichiarata e riconosciuta, clinicamente e assistenzialmente, esiste una
necessità di subintensività anche all’esterno poiché riceviamo tutti gli ammalati neurochirurgici provenienti da
terapia intensiva e anche i pazienti di otorinolaringoiatria come casistica cranica, sempre provenienti dalla
terapia intensiva. Gli infermieri si dividono rispetto alla presa in carico degli ammalati. Per cui c’è un
infermiere che segue la Stroke Unit, uno/due infermieri la neurochirurgia e l’otorinolaringoiatria, un infermiere
che segue le altre specialità, malati che entrano per fare diagnostica e trattamenti farmacologici e i malati di
riabilitazione.
Abbiamo due centrali di monitorizzazione, una all’interno della stroke unit, dove ci sono 8 postazioni di
monitoraggio fisso, con la possibilità di usare però tutte e 12 le postazioni, perché i monitor sono flessibili e
tutta l’area è cablata. Esternamente abbiamo una seconda centrale, posizionata al centro della degenza,
dove tutte le altre stanze hanno la possibilità di avere un monitor multiparametrico portatile, posizionabile al
letto del malato, con pressione, tracciato cardiaco e saturazione d’ossigeno. L’osservazione e il livello di
monitoraggio del paziente che arriva dalla terapia intensiva in reparto, avviene sempre con un passaggio di
informazioni sia verbale, che scritto, sia per l’equipe infermieristica che, in parallelo, per l’equipe medica.
Quando viene programmata la dimissione dalla terapia intensiva, viene data comunicazione al reparto,
l’infermiere si reca in terapia intensiva con il letto di degenza, accoglie e prende in carico il malato con tutta
la documentazione, ma, in particolare con una scheda sintetica per l’equipe assistenziale del reparto. Il
livello di monitoraggio è condiviso, avendo creato un protocollo con il materiale necessario per creare
un’unità di base per l’ammalato uscente dalla terapia intensiva, e i livelli di monitoraggio vengono prescritti
dal neurochirurgo che prende in carico il paziente in base anche al trend di monitoraggio della terapia
intensiva. (B. Miclini – RAA area neuroscienze)
La Stroke Unit è una struttura intensiva in un contesto in cui si vuole salvaguardare i due concetti, cioè
quello della multidisciplinarietà di un’area, in un modello dipartimentale come siamo noi, con l’intensità di
cura.
Il livello assistenziale è sicuramente da contesto intensivo/semi intensivo e quindi siamo al di sopra della
degenza ordinaria come intensità di cura. In quell’ambito ovviamente i processi sono molto meglio definiti: il
principio è in sostanza che se identifico precocemente una complicanza e la tratto con personale
infermieristico e medico adeguato, la complicanza mi dura di meno, e la degenza mi dura di meno, e il
paziente campa di più, con meno handicap, con meno reliquati.
La connotazione fisica significa intensità di cura, significa anche maggior numero di personale e quindi
maggiore intensità di cura: non è solo il monitor, ma anche il fatto che questo monitor sia sorvegliato e il
paziente sia sorvegliato in modo pressoché continuativo. Questa è una fase che può durare molto poco, può
durare molto a lungo, a seconda delle necessità, poi avviene il passaggio nella degenza ordinaria, che
appunto ha un carattere della multidisciplinarietà, e questa persona viene seguita ancora in modalità un po’
più lasca, avendo bisogno di meno intensità di cure. (G. Micieli - Responsabile Stroke Unit)
La costruzione del percorso

Quando abbiamo iniziato a pensare che era necessario costruire un percorso per il paziente con ictus,
appena iniziata in Humanitas la Neurologia d’urgenza, per una disciplina internistica che noi avevamo già
avuto ma che doveva però cambiare i tempi e le modalità di erogazione delle prestazioni, ci siamo resi conto
che questo tipo di prestazioni coinvolgevano diversi settori dell’ospedale. È stato quindi fatto un lavoro
congiunto tra l’equipe medica, la Direzione Sanitaria, e l’equipe assistenziale, con un coinvolgimento in

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seconda battuta dell’equipe di riabilitazione, fisiatri e fisioterapisti. Il lavoro svolto è stato quello di disegnare,
passo dopo passo, il percorso dell’ammalato tipo: all’arrivo in Pronto Soccorso il paziente deve trovare un
certo pacchetto di prestazioni diagnostiche, terapeutiche e assistenziali; all’arrivo in reparto un altro
pacchetto, descritto, di prestazioni che deve ricevere, con una tempistica definita, da parte dell’infermiere,
del fisioterapista e del medico; sempre in reparto si procede decidendo quali altri passaggi deve fare
l’ammalato. (B. Miclini – RAA area neuroscienze)

Il nostro livello di integrazione è con le specialità che afferiscono al problema specifico del malato
cerebrovascolare, che spesso è anche cardiovascolare.
Allora avremo le nostre interazioni con specialisti soprattutto della parte urgente e di urgenza, che
ovviamente sono i neurochirurghi per la parte delle emorragie piuttosto che degli aneurismi, con i chirurghi
vascolari per la parte che riguarda la chirurgia di carotide piuttosto che non con gli interventisti
endovascolari, quando questo è necessario e con la cardiologia, perché spesso ovviamente l’ictus è o il
prodotto di una patologia cardiaca oppure determina una patologia cardiaca.
Riteniamo inoltre fondamentale l’integrazione della parte assistenziale, non può esistere una gestione
medica senza gestione infermieristica e di fisioterapia, insomma, forse possiamo fare a meno dello
psicologo, ma sicuramente dell’infermiere non possiamo fare a meno.
Il concetto dell’infermieristica è così rilevante che i protocolli vengono stabiliti insieme, poi è l’infermiere che
se li gestisce, l’infermiere stesso deve integrarsi con il fisioterapista perché nella mobilizzazione del malato
con disabilità funzionale, paresi e plegie degli arti, la mobilizzazione fatta dall’infermiere va bene, ma deve
essere fatta anche sulla base di criteri che in qualche modo sono suggeriti anche dal fisioterapista,
l’approccio infermieristico non può prescindere da questi collegamenti anche con gli altri.
Dall’altra parte l’infermiere deve conoscere benissimo quelle che sono le figure mediche, quindi deve sapere
di cosa parlo io, e deve sapere anche cosa farà il fisioterapista, quindi il tutto è molto integrato. (G. Micieli -
Responsabile Stroke Unit)
Riabilitazione e continuità delle cure

La conclusione del ricovero acuto conclude un percorso anche assistenziale del malato, per cui l’ammalato
viene dimesso dall’infermiere e viene compilata una scheda di valutazione conclusiva, che contiene le
attività e i miglioramenti raggiunti durante i 5, 6, 7 giorni di assistenza infermieristica. A questo punto,
concluso il percorso assistenziale del malato, si chiude anche la documentazione infermieristica e viene data
informativa, con una lettera di trasferimento interno, ai colleghi che prenderanno in carico il paziente, di quali
sono i livelli dei bisogni raggiunti, o non raggiunti, da parte del malato. (B. Miclini – RAA area neuroscienze)

La continuità assistenziale significa il passaggio in una gestione con un livello diverso di intensità di cura,
come può essere la riabilitazione, ma con un approccio programmatico di intervento medico che è
continuativo rispetto a quello che è stato fatto in precedenza. Ora, nell’insieme questo è molto facile
ovviamente nell’ambito della stessa struttura, dove c’è un contatto diretto, e quindi c’è un protocollo stabilito
con i riabilitatori e i fisioterapisti, lo è un pochettino meno, quando la struttura non ha riabilitazione, allora
anche in questo caso bisognerebbe trovare delle modalità di comunicazione.
Il riabilitatore è nostro interlocutore più cronico, come possiamo dire più persistente, nel senso che è quello
che potrebbe essere più stabile nel tempo. Perché noi saldiamo questo concetto di percorso diagnostico
terapeutico con la riabilitazione iniziando veramente già in fase acuta il momento di recupero funzionale
insieme al riabilitatore: fino a quando il paziente non è stabile, si ferma in stroke unit, quando comincia ad
essere stabile rimane nell’ambito multidisciplinare per passare poi alla riabilitazione di fatto, che poi
corrisponde come intensità di cura a quello della degenza ordinaria multidisciplinare o ancora inferiore a
questo, perché di fatto l’intensità di cura è ancora più bassa. (G. Micieli - Responsabile Stroke Unit)

E’ emerso un bisogno riguardante la dimissione protetta al domicilio o in altre strutture diverse dall’ospedale
per acuti, dei nostri malati. Il Servizio Continuità delle Cure, in seno alla Direzione Sanitaria, diventa
un’interfaccia che opera come facilitatore del processo di accompagnamento del malato e del suo
entourage familiare al domicilio, con l’attivazione di una serie di prestazioni sanitarie e sociali, oppure verso
una struttura riabilitativa o di lungo degenza. Questo è il primo ramo del percorso finale del paziente, il
secondo vede come facilitatore del processo la segreteria del CCP, che raccoglie i flussi dei pazienti che
sono stati segnalati e identificati in quanto stabili e che possono passare da un reparto all’altro. La
segnalazione viene fatta dopo un briefing tra il medico della riabilitazione, che prende in carico il paziente, e
il referente assistenziale, che essendo fisicamente in reparto propone una lista di candidati che, per
caratteristiche cliniche – assistenziali, possono trovare un’adeguata collocazione in CCP. La scelta dei
pazienti da mandare è fatta anche dialogando con il personale del CCP guardando sia le caratteristiche dei


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L’ospedale per intensita’ di cura” humanitas

  • 1. RETI OSPEDALIERE STRUMENTI E MODELLI PER LA PROGRAMMAZIONE “L’OSPEDALE PER INTENSITA’ DI CURA” UNITA’ DI RICERCA HUMANITAS Responsabile della Ricerca: Patrizia Meroni (Direttore Generale ICH) Collaboratori: Boncinelli Stefania (Direzione Sanitaria ICH) Marco Albini (Monitoraggio Qualità ICH) RELAZIONE FINALE OTTOBRE 2009
  • 2. 1. Introduzione e metodologia della ricerca ....................................................................3 2. Istituto Clinico Humanitas.............................................................................................4 2.1 Descrizione del contesto iniziale e del progetto .........................................................6 2.2 Modello Humanitas...................................................................................................10 2.2.1 Descrizione del modello gestionale ...................................................................10 2.2.1.1 Modello gestionale, professioni e percorsi di cura.......................................12 2.2.1.2 Prospettive di sviluppo ................................................................................14 2.2.2 Degenze multidisciplinari ...................................................................................15 2.2.2.1 Percorsi formativi ........................................................................................18 2.2.2.2 Percorsi clinico-assistenziali - Area cardiovascolare e neuroscienze..........19 2.2.3 Day surgery .......................................................................................................22 2.2.3.1 Protocolli e procedure .................................................................................25 2.2.3.2 Prospettive di sviluppo ................................................................................27 2.2.4 Dipartimenti medici ............................................................................................28 2.2.4.1 La Riabilitazione in Humanitas ....................................................................30 2.2.4.2 Pronto Soccorso e Medicina d’urgenza.......................................................33 2.2.5 Aree infermieristiche ..........................................................................................36 2.2.6 Tutorship medica e infermieristica .....................................................................38 2.2.7 Flussi informativi, documentazione clinica e strumenti informatici .....................41 2.2.8 Struttura di supporto alla degenza (Servizi Generali e segreterie di reparto) ....43 2.2.9 Ricerca e Università...........................................................................................47 2.2.10 Personale e comunicazione.............................................................................49 2.2.11 Struttura fisica e building management............................................................50 2.3 Risultati di Esito - Sistema di Indicatori ....................................................................52 2.3.1 L’efficacia: Qualità in ICH e JCI .......................................................................52 2.3.2 L’efficienza e la produttività: Gestione operativa...............................................54 3. Azienda Ospedaliero – Universitaria Careggi ...........................................................57 4. Conclusioni ..................................................................................................................59 4.1 Le definizioni e i modelli di organizzazione ospedaliera ...........................................59 4.2 Descrizione delle caratteristiche peculiari dei due modelli in studio .........................60 4.2.1 Premessa...........................................................................................................60 4.2.2 Ospedali in cifre (2008)......................................................................................60 4.2.3 Day hospital e week hospital .............................................................................61 4.2.4 Separazione percorsi emergenza– urgenza e ricoveri programmati..................61 4.2.5 Livelli di intensità di cura e dipartimenti .............................................................61 4.2.6 La degenza multidisciplinare..............................................................................62 4.2.7 intensità di cura e complessità assistenziale .....................................................63 4.3 Punti di forza ............................................................................................................63 4.3.1 Economicità del modello – ottimizzazione delle risorse .....................................63 4.3.2 L’importanza della gestione e della logistica, la struttura che fa il modello ........63 4.4 Criticità .....................................................................................................................64 4.4.1 Il sistema di indicatori a supporto dell’efficacia dei modelli. I limiti attuali ..........64 4.4.2 L’incoerenza tra il modello e l’organizzazione delle professioni (profili professionali, atti, posizioni contrattuali, responsabilità, percorsi di sviluppo di carriera) ....................................................................................................................................64 Fonti e riferimenti .....................................................................................................65 2
  • 3. 1. Introduzione e metodologia della ricerca Il lavoro che segue è il risultato dell’attività dell’Unità di Ricerca Lombardia, finalizzato alla descrizione del modello di organizzazione per intensità di cura in due realtà ospedaliere a confronto (Istituto Clinico Humanitas di Rozzano - Milano e l’Azienda Ospedaliero Universitaria di Careggi - Firenze), analizzando come, nei due contesti, un modello ospedaliero per intensità di cura si è tradotto, dal punto di vista strutturale, tecnologico, organizzativo e professionale. La ricerca è stata svolta tramite interviste strutturate su una traccia comune, adattata poi ai singoli contesti, e somministrata a figure ritenute chiave delle due strutture. Le interviste sono state effettuate presso Humanitas dall’Unità di Ricerca 2 Lombardia, mentre presso l’ospedale Careggi sono state organizzate ed effettuate a carico della UO Toscana, nei mesi di giugno e luglio 2009. Per i due contesti è stata concordata la traccia dell’intervista e sono stati concordati i soggetti da intervistare, in modo da mantenere un adeguato livello di rappresentatività e di confrontabilità. L’unità di ricerca ha poi raccolto la trascrizione completa delle interviste delle due strutture e le ha analizzate, identificando le tematiche principali per ciascuna struttura e le tematiche di confronto tra le due strutture. Il testo delle interviste è stato quindi rielaborato, raccogliendo in capitoli specifici per tematica gli interventi più significativi dei diversi intervistati. La ARS Toscana ha curato il rapporto sulle interviste in merito all’indagine sulla riorganizzazione per intensità di cura nell’azienda ospedaliera-universitaria di Careggi. Quello che segue è la descrizione dell’Istituto Clinico Humanitas, frutto dell’elaborazione delle interviste. Di seguito viene riportato l’elenco degli intervistati presso Humanitas. Ivan Colombo - Amministratore Delegato Piero Melodia - Direttore Personale Norberto Silvestri - Direttore Sanitario Domenico Lenoci - Responsabile Gestione Operativa Maristella Mussi - Responsabile Servizi Assistenziali Manduzio Rosa Clara - Responsabile Servizi Generali Isabella Quarto - Responsabile Servizio Clienti Marco Massaron - Responsabile Servizi Tecnici Stefano Respizzi - Direttore Dipartimento di Riabilitazione Roberta Monzani - Responsabile U.O. Anestesia Day Hospital Chirurgico Giuseppe Micieli - Responsabile Stroke Unit Salvatore Badalamenti - Responsabile Medicina d’Urgenza (EAS) Barbara Miclini - Responsabile Area Assistenziale (RAA) Neuroscienze Simona Semplici - Responsabile Area Assistenziale (RAA) Cardiovascolare Patrizia Tomasin - Responsabile Area Assistenziale (RAA) Medicina d’Urgenza Il capitolo 2 è dedicato all’Istituto Clinico Humanitas, vi è descritto il progetto che ha portato all’apertura dell’ospedale nel 1996 (paragrafo 2.1) e le caratteristiche sostanziali del modello di Humanitas (paragrafo 2.2), dal punto di vista gestionale (2.2.1) e con una descrizione più approfondita dedicata a ciascuno dei due modelli di degenza caratterizzanti la struttura, la degenza multidisciplinare per i ricoveri ordinari (2.2.2) e la day surgery (2.2.3), di cui è poi delineata anche la struttura di supporto amministrativo, gestionale e alberghiera (2.2.8). Sono poi illustrati i modelli organizzativi dei professionisti: i dipartimenti per la parte medica (2.2.4), con un focus dedicato alle peculiarità del dipartimento riabilitativo (2.2.4.1) e della gestione dell’area medica, in rapporto con il pronto soccorso (2.2.4.2); le aree infermieristiche e l’evoluzione del modello assistenziale degli ultimi anni (2.2.5); la modalità di presa in carico dei pazienti da parte del medico tutor e dell’infermiere di riferimento, all’interno delle degenze multidisciplinari (2.2.6). Segue la parte che raccoglie quegli elementi di processo, di carattere generale, che sono stati specificatamente oggetto di analisi nel confronto con Careggi: flussi informativi, documentazione 3
  • 4. clinica e strumenti informatici; ricerca, formazione e università; personale e comunicazione; struttura fisica e building management. L’ultima area analizzata è quella che riguarda i risultati, i sistemi di indicatori, che vede, per Humanitas, una traduzione in termini di qualità, arricchita dall’esperienza dell’accreditamento con Joint Commission International e in termini di efficienza e produttività, presidiata da una funzione aziendale dedicata alla gestione, la gestione operativa. Il capitolo 3 raccoglie le riflessioni maturate all’interno dell’unità di ricerca in merito a quanto emerge dal confronto dei due casi studiati, e alle considerazioni di carattere generale che, partendo dai due casi in studio, è stato possibile trarre sui modelli ospedalieri in generale. 2. Istituto Clinico Humanitas L'Istituto Clinico Humanitas nasce come ospedale policlinico ad alta specializzazione accreditato con il Servizio Sanitario Nazionale per le attività ambulatoriali e di ricovero, sito a Rozzano, nell'area metropolitana a sud di Milano. E’ sede di insegnamento dei corsi di laurea in Medicina e Chirurgia, Biotecnologie e del corso di Laurea in Infermieristica dell’Università Statale di Milano. Nel mese di dicembre 2002 Humanitas ha ottenuto l'accreditamento di eccellenza rilasciato da Joint Commission International, riconfermato nel 2006 e nel 2009. Dal 2005 è stato riconosciuto quale Istituto di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico (IRCCS) dal Ministero della Salute e dalla Regione Lombardia. Humanitas si configura come Società per Azioni, denominata “Humanitas Mirasole S.p.A.”, e fa parte del gruppo più ampio, che gestisce altre strutture ospedaliere in Italia: Humanitas Gavazzeni (Bergamo), l’Istituto Clinico Mater Domini (Castellanza-VA), le Cliniche Fornaca e Cellini (Torino), il Centro Catanese di Oncologia (Catania), l’Istituto Clinico Valle d’Aosta (Aosta). Struttura La struttura, estesa su 180.000 mq di superficie totale (di cui 79.000 mq coperti) conta circa 750 posti letto, 52 Unità Operative Cliniche (UOC), 28 sale operatorie, 140 ambulatori, 26 postazioni di Emodialisi, 2 farmacie collegate in rete per prenotazione visite, esami e ritiro referti ed un EAS (Pronto soccorso di alta specialità) di III livello. Il complesso ospedaliero è formato da un edificio principale che ospita la piastra dei servizi e le degenze, il Pronto Soccorso ed il Centro di Ricerca, Didattica e Riabilitazione. L’edificio ospedaliero principale, con i suoi 57 mila metri quadrati di superficie, mostra una netta divisione tra la “piastra” che ospita le attività di diagnosi, le Terapie Intensive e la maggior parte dei blocchi operatori, e il blocco degenze. L’edificio presenta soluzioni innovative con elementi caratterizzanti come modularità e flessibilità, oltre ad un sistema di building automation per il controllo centralizzato degli impianti. Humanitas si ispira al concetto di contiguità dei servizi: così, ad esempio, le sale di terapia intensiva generale e cardiochirurgica sono poste a fianco delle sale operatorie in modo che il 4
  • 5. paziente debba essere trasportato solo per pochi metri per arrivare in rianimazione. Il processo chirurgico è stato progettato per assicurare perfette condizioni di operatività ed in particolare garantisce l’assoluta sterilità dell'ambiente. Adiacenti al blocco cardiochirurgico sono collocate le sale dedicate all'Emodinamica e Cardiologia interventistica, all'Elettrofisiologia ed Elettrostimolazione, alla Radiologia interventistica, e l'Unità di Cura Coronarica. Per quanto riguarda le alte tecnologie, Humanitas dispone di cinque TAC, quattro RMN, una TAC- PET, una PET e di un ciclotrone mentre il Servizio di Radioterapia e Radiochirurgia occupa un’area di circa 800 metri quadrati, con tre bunker dedicati – un quarto in costruzione. Riguardo alle degenze, di cui si parlerà in modo più approfondito, tutte le camere hanno 1 o 2 letti regolabili automaticamente e sono dotate di bagno privato, televisione, cassaforte, interfono e telefono, offrono elevate caratteristiche di comfort e sicurezza. Day Hospital chirurgico Il Day Hospital chirurgico, primo realizzato in Italia come reparto autonomo, è costituito da un’area di accoglienza e preparazione dei pazienti (recovery room), sale operatorie ed una degenza post- operatoria dove i pazienti sono monitorati ed assistiti sino al momento della dimissione. In esso vengono effettuati tutti gli interventi a bassa invasività, in anestesia locale o loco-regionale. Ambulatori e Punto Prelievi Il building 4 con una superficie complessiva di 2.600 metri quadrati ospita i 37 ambulatori riservati alle visite erogate ai pazienti esterni in regime accreditato con il Servizio Sanitario Nazionale. Il piano terra è riservato al centro prelievi per gli esami di laboratorio e all'attività di prenotazione e accettazione di tutto il sistema ambulatoriale. L’adiacente building 5 ospita gli ambulatori del percorso donna (ginecologia e senologia) e l’oculistica. Centro di Ricerca e Didattica Totalmente integrato con l'ospedale, il Centro accoglie in 20.000 metri quadrati 30 laboratori per 300 ricercatori italiani e stranieri, 14 aule didattiche per 400 studenti dei Corsi di Laurea di Medicina e Chirurgia, Biotecnologie e Infermieristica dell’Università degli Studi di Milano. Obiettivo comune: mettere a disposizione dei pazienti quanto di più innovativo ed efficace è oggi disponibile sul fronte della diagnosi e della cura. Per sostenere questo impegno è nata la Fondazione Humanitas per la Ricerca che, con l’aiuto di enti come AIRC, Telethon, Fondazione Cariplo e Fondazione De André, ha l’obiettivo di orientare la ricerca di base e clinica di alto profilo scientifico e tecnologico, e promuovere la formazione di giovani ricercatori. Il Centro ospita inoltre una biblioteca multimediale e un centro congressi da 500 posti. Presso lo stesso building ha sede anche Fondazione Humanitas che, fin dal 1999, rappresenta una realtà di volontariato che ad oggi conta più di 100 volontari impiegati in diversi progetti di supporto all’ospedale. Finalità della Fondazione è la qualità della vita del malato e dei suoi familiari. La sua attività si svolge in campo socio-sanitario, pratico, psicologico e formativo. Grazie ai suoi volontari la Fondazione Humanitas dà risposte concrete alle necessità dei pazienti e delle loro famiglie. La Riabilitazione in Humanitas Struttura autonoma di 6.000 metri quadrati e situato di fronte all’ospedale, il Centro di Riabilitazione ospita 120 posti letto divisi in 3 degenze dedicate alla riabilitazione ortopedica, neurologica e cardiorespiratoria. Sono a disposizione dei 270 pazienti che ogni giorno si rivolgono al Centro, 6 palestre, 12 sale per terapie manuali, 4 ambulatori e un percorso vita per la riabilitazione outdoor con un putting green per i disabili. Dati di attività Come si vede nella tabella il numero di ricoveri annui è intorno a 27.000 mentre gli accessi in Day Hospital, in particolare chirurgico e oncologico, sfiora i 26.000. 5
  • 6. La suddivisione in aree sottolinea che Humanitas è un ospedale prevalentemente chirurgico (Chirurgie Specialistiche e Generali) e oncologico. Esistono notevoli differenze tra chi opera anche in regime di Day Hospital e chi opera solo in regime ordinario e infatti osservando solo il regime ordinario un peso non indifferente è ricoperto dall’area Cardiovascolare e dalle Medicine. Significativo pur essendo non elevato il peso della riabilitazione. PERCENTUALI Ricoveri N° accessi Ricoveri N° accessi TOTALE Ordinari in DH Ordinari in DH AREA CARDIO 4253 482 9% 16% 2% AREA CHIRURGIA 3573 886 8% 13% 3% GENERALE CHIRURGIE 9552 9762 37% 35% 38% SPECIALISTICHE MEDICINE 4741 1446 12% 18% 6% ONCOLOGIA 2356 13038 29% 9% 51% TERAPIA INTENSIVA 90 0 0% 0% 0% RIABILITAZIONE 2442 2 5% 9% 0% TOTALE 27007 25616 100% 100% 100% 2.1 Descrizione del contesto iniziale e del progetto Le origini del progetto di Humanitas risalgono alla seconda metà degli anni ‘80 quando, dall’incontro del prof. Nicola Dioguardi e Pier Carlo Romagnoli, allora Presidente di Reale Mutua, con Gianfelice Rocca e un gruppo di imprenditori, nacque l’idea di realizzare “un ospedale moderno, ben organizzato, efficiente, con il binomio paziente medico al centro di tutto”. Tra i diversi progetti presentati viene scelto, per la realizzazione della struttura, quello dell'architetto James Gowan ed alla Techint è assegnata la progettazione e realizzazione del complesso ospedaliero. Nel 1992 viene aperto il cantiere e la costruzione dell'ospedale è ultimata nel1996 “[…] Il progetto è nato sostanzialmente nel contesto di una imprenditoria milanese che è stata sollecitata dalla componente medica della città, e in particolare dalla figura del professor Dioguardi. Il professore si trovava a vivere in un contesto bloccato dal punto di vista fisico e strutturale, presso il Policlinico di Milano, che è lo storico ospedale universitario della città - di cui peraltro per decenni si è discusso di una nuova sede, di cui era stata addirittura individuata l’area, qui vicino, al Ronchetto delle Rane – e non trovando per una serie di veti incrociati sbocco questa idea, ottenne da un pool di assicurazioni, tramite l’iniziativa del dott. Romagnoli che era il presidente di Reale Mutua, la possibilità di finanziare la costruzione di questo nuovo ospedale. E in questo contesto di imprenditoria milanese venne individuata Techint come possibile esecutore di questo progetto, in quanto Techint aveva una propria divisione che operava nel campo della progettazione degli ospedali. A quel punto intervenne il metodo di lavoro di Techint che portò, evidentemente, a considerare non solo la progettazione dal punto di vista architettonico ingegneristico, ma la progettazione di un sistema di gestione e portò, quindi, la necessità di individuare un soggetto aziendale che si facesse carico della gestione dell’ospedale. Nacque così la decisione di Techint di entrare in questo contesto che fu inizialmente condiviso con altri imprenditori milanesi, ma che, mano a mano che andò sviluppandosi e affermandosi, rimase, naturalmente, di competenza e pertinenza esclusiva di Techint.” (P. Melodia) 6
  • 7. “[…] All’origine ci fu quindi l’incontro di un’idea medica da un lato, e di una idea imprenditoriale dall’altro che ha poi consentito di progettare un sistema che venne pensato nelle sue componenti strutturali, che rimangono fondamentali perché il lavoro che si fece di progettazione fisica, strutturale degli spazi si porta già dietro un’idea di percorso clinico e di capacità di mettere assieme l’efficacia e la qualità del percorso clinico con l’efficienza. Quindi, nella progettazione fisica si misero in atto subito quei principi ispiratori della mission aziendale. Ma via, via a questo progetto fisico si è accoppiato anche il progetto gestionale, che ha visto poi la definizione e l’articolazione di una struttura con la creazione di funzioni che non esistevano probabilmente nel panorama di un organizzazione ospedaliera in ambito italiano e credo anche fuori dall’ambito italiano. (P. Melodia) Rozzano Il luogo scelto per la realizzazione è il comune di Rozzano, primo comune della periferia sud di Milano. “[…] Il sito è stato individuato in funzione dell’esigenza del territorio, perché il territorio di Milano Sud era un’area di crescita di Milano, ovvia, perché non c’era nessuna altra zona di crescita e quindi si sapeva che questo tipo di servizio mancava. (I. Colombo) “[…] Anche la dislocazione a Rozzano è stata una decisione presa nel corso del progetto, perché inizialmente, io è una parte che non ho vissuto quindi relata refero, il ragionamento era proprio indirizzato verso l’area del Ronchetto delle Rane, a Milano. Poi ci fu attraverso una serie di contatti la scelta di Rozzano, anche perché nel comune di Rozzano si trovava un interlocutore molto più rapido, meno impastato nelle burocrazie, per poter arrivare a realizzare la cosa nei tempi che ci si era dati come obiettivo. Quindi, ricordavo già prima il contesto regionale, che è fondamentale per l’accreditamento che avvenne da parte della Regione, però anche il contesto del territorio comunale fu un altro degli elementi decisivi, perché in generale in Italia per riuscire a realizzare qualcosa sul territorio occorre avere una serie di condivisioni non da un unico ente ma da più enti. Basta pensare che abbiamo parlato del Comune, abbiamo parlato della Regione e sul tema dell’ampliamento dell’attività rispetto al tema del Parco, c’è di mezzo la Provincia. C’è insomma questa complessità di interlocutori. (P. Melodia) Contesto regionale Il progetto nasce in un periodo storico in cui si assiste a molti e profondi cambiamenti del contesto nazionale e regionale. In particolare, con la legge regionale n.31/97 di riforma il sistema sanitario lombardo prende avvio, anche attraverso l’accreditamento di tutti i soggetti erogatori pubblici e privati, una stagione il riordino della rete ospedaliera lombarda fondata sull’affermazione del principio di parità tra soggetti pubblici e privati e il superamento della concezione del privato quale offerta integrativa del servizio pubblico. “[…] Questo progetto è riuscito a collocarsi in un contesto storico nel quale veniva introdotto il sistema dei DRG e quindi una gestione dell’attività ospedaliera che tenesse conto dell’output che si era in grado di fornire in termini clinici, mentre la precedente modalità di gestione che era quella del pagamento per giornate di degenza, dato il numero fisso dei letti. Questo certamente ha consentito di dare uno spazio di crescita alla struttura. La legislazione regionale ha favorito uno sviluppo anche di un componente privata che si ponesse non semplicemente in un ottica sussidiaria rispetto al sistema pubblico ma di integrazione. (P. Melodia) “[…] La fase progettuale è iniziata prima dell’emanazione delle leggi che hanno definito il sistema sanitario regionale (L.R. 31/97) e nel periodo di introduzione delle logiche di finanziamento determinate dall’utilizzo dei DRG. Il contesto politico regionale era un contesto di cambiamento, e man mano che ragionavamo su come realizzare questa struttura si sono evolute anche le logiche di controllo della produzione e efficienza economica che hanno portato poi alla nascita della gestione operativa. In fase progettuale il ragionamento era prevalentemente concentrato sugli aspetti strutturali e su una logica di approccio multidisciplinare nelle degenze. Questa logica aveva anche una componente di ottimizzazione e di efficienza, ma la parte inerente il governo economico e finanziario della struttura è nata non appena sono state più chiare le regole di contesto regionale e di finanziamento con i DRG, ed ha portato al potenziamento delle funzioni di gestione operativa e controllo di gestione. (M. Mussi) 7
  • 8. La storia Il progetto iniziale “[…] Da quanto io so, credo che il progetto nei suoi abbozzi iniziali sia nato intorno alla metà degli anni ’80, quindi c’è stato un lungo periodo di incubazione, poi l’inizio della costruzione fine ‘92 e l’apertura è stata 3 anni dopo ‘95/’96. Quindi se ci mettiamo dall’85 al ‘92, è stato più lungo il periodo della progettazione rispetto a quello della realizzazione. Ci sono state anche fasi diverse, nella progettazione, ad esempio, è stato un periodo molto intenso quello a partire dalla metà del ‘93 in avanti, in cui avendo cominciato a costruire il sito, bisognava decidere, per usare i termini che usiamo adesso, le funzionalizzazioni e le diverse specializzazioni delle aree, e quindi quali specialità, il tipo di approccio da dare, anche tenendo conto degli operatori che venivano scelti, e quindi una serie di articolazioni concrete che si sono determinate dal ‘94 in avanti. (P. Melodia) “[…] Il progetto è stato studiato nei minimi dettagli, per quanto riguarda l’organizzazione, con simulazioni di quella che sarebbe stata la modalità operativa dell’ospedale stesso. Quindi il progetto fisico è stato “baciato” dal progetto gestionale. C’è stato un gruppo di una trentina di persone che ha lavorato full time per due anni per definire il progetto, le specifiche sono state poi condivise con Techint che l’avrebbe realizzato e successivamente è stato poi realizzato, adattando le cose anche alle normative che in quel momento stavano cambiando. Quindi nel ’96 a marzo è stata aperta, e quindi autorizzata la parte ambulatoriale, a maggio la parte dei ricoveri. (I. Colombo) “[…] Si è pensato di fare Humanitas con l’idea di mettere in piedi una struttura ospedaliera complessa, quindi subito con l’obiettivo di fare un nuovo ospedale, non una casa di cura, per intenderci. E un ospedale che avesse le caratteristiche di un Policlinico. Secondo obiettivo, di sperimentare e consolidare un modello gestionale che mettesse insieme la logica della gestione ospedaliera con una logica di gestione aziendale e in particolare di un’azienda privata. Collocando, quindi, questo progetto in un contesto che puntasse assieme, anche dal punto di vista degli obiettivi manageriali, alla qualità delle cure, dal punto di vista medico, dal punto di infermieristico, in termini di umanizzazione del percorso di cura, e ad un obiettivo di economicità che portasse ad avere un risultato economico for-profit, attraverso la leva gestionale e organizzativa. Nella convinzione che la capacità di generare risorse economiche fosse e sia uno degli elementi che consentono, nel tempo, di mantenere l’eccellenza. La capacità di generare risorse vuol dire anche la capacità di attrarre risorse, finanziamenti e quindi di costruire un circolo virtuoso, in cui la qualità e l’efficienza economica, si alimentano vicendevolmente, nella considerazione che laddove manca uno di questi due elementi fatalmente anche quello che si pensa possa esistere in realtà, tende a entrare in un percorso involutivo. Da questo evidentemente sono discesi una serie di corollari, che sono, prima di tutto, quello dell’inserimento di ICH nel sistema sanitario nazionale. Il fatto cioè che una struttura così pensata, non potesse che far parte del sistema pubblico della sanità e che fosse necessario abbandonare le categorie del pubblico e del privato rispetto alla erogazione del servizio, senza confondere appunto questa categoria rispetto alla proprietà della struttura. Un conto è la proprietà della struttura, un conto il servizio che la struttura offre ai pazienti e ai cittadini. (P. Melodia) “[…] Nasceva un ospedale con l’ambizione di coniugare all’esperienza clinica il know how industriale, quindi ha precorso i tempi di quella che poi è stata la creazione delle aziende sanitarie. Nasceva già con l’idea di costituire una struttura sanitaria organizzata con logiche aziendali, con una mission molto orientata alla centralità del paziente e l’umanizzazione. Rispetto al progetto iniziale l’aspetto che riguarda più da vicino l’assistenza infermieristica è stato quello aver attinto anche a realtà all’estero, vedere i modelli evoluti anche all’estero, un gruppo di progetto ha potuto riflettere prima di iniziare l’attività su quello che poteva essere un ospedale ideale, verso che cosa orientare un’innovazione nell’ambito dell’organizzazione sanitaria ai diversi livelli, confrontandosi anche con le realtà già più evolute, francesi, anglosassoni, svizzere, tedesche. Il gruppo progetto è stato costituito ancor prima che si definisse l’area in cui sarebbe nato l’ospedale e si è occupato di raccogliere notizie e informazioni attraverso questi confronti. Quando io mi sono unita al gruppo progetto ho partecipato alla raccolta di indicazioni e messaggi sul funzionamento di diversi modelli ospedalieri, delle diverse reti ospedaliere e sull’organizzazione dei diversi sistemi sanitari. Questa è stata la prima volta in Italia che ad un gruppo di Progetto ha partecipato fin dalla fase di realizzazione una figura infermieristica, di solito le figure infermieristiche vengono coinvolte nella fase di selezione delle risorse ed organizzazione dei reparti, mentre in questo caso il coinvolgimento c’è stato già nella fase delle scelte strutturali, di flusso dei pazienti, percorsi e procedure. (M. Mussi) Rispetto al consenso al progetto che si è dovuto cercare per ottenere un coinvolgimento in particolare di medici e infermieri la dott.sa Mussi si esprime così: “[…] Sono state fatte azioni sui medici, per farli entrare in una logica di condivisione di spazi e risorse, che era completamente diversa rispetto alle logiche tradizionali. Quasi tutti i medici provenivano da realtà 8
  • 9. ospedaliere pubbliche in cui il primario aveva il suo regno, le sue cose, la sua sala operatoria. C’era proprio da spiegare un modello di condivisione di posti letto, sale operatorie e risorse e di flessibilità completamente diverso. Per il personale infermieristico, all’inizio facevo i colloqui di selezione con un album di fotografie del cantiere di Humanitas nel cassetto, che tiravo fuori per spiegare che l’ospedale ci sarebbe stato e com’era fatto. Loro cercavano un cambiamento in una realtà che presentava del potenziale: il fatto di proporre delle degenze multi specialistiche per gli infermieri è stata da subito un’innovazione interessante, perché voleva dire non annoiarsi nella routine. C’era tanta carica in quella fase di progetto, per cui si diventa convincenti nel portare un messaggio di cambiamento. L’idea di autonomia dell’infermiere già 13 anni fa era una cosa richiesta, non avevamo ancora l’università ma era un concetto che si stava affermando. Le capo sala più autonome e riconosciute nella gestione e non dipendenti dai primari è stata una proposta di forte richiamo per i capo sala, la non dipendenza clinica, la valorizzazione dell’esperienza professionale. Gli infermieri erano attratti dalla novità, dal fatto di uscire da strutture vecchie, da tutti i punti di vista, organizzativi e strutturali. (M. Mussi) Valutazione e sostenibilità del progetto Io credo che la sostenibilità nel tempo di questo progetto si sia già dimostrata e la storia stessa lo dimostra, certamente occorre che ci siano e che si mantengano alcune condizioni esterne che sono quelle del riconoscimento della complessità dell’attività e del livello di qualità dell’attività in relazione alle risorse economiche che sono destinate. Perché, se certamente in questi ultimi anni si vede una progressiva forbice che si sta stringendo da questo punto di vista, è necessario che cresca all’interno della struttura la consapevolezza che è finita la fase della grande crescita e che la fase di mantenimento è una fase nella quale, paradossalmente, ci sono altre capacità da mettere in campo. In particolare ci deve essere il mantenimento di una tensione al miglioramento continuo, senza la quale si rischia poi di “sedersi”. Quindi questo passaggio è necessario, ma lo è per qualunque impresa di questo mondo, quindi non è tanto una questione di sostenibilità del modello, quanto la capacità degli uomini che lo portano sulle loro spalle di farlo vivere. (P. Melodia) La visione di chi, nell’equipe iniziale, ha avuto una logica di progettazione fatta per processi, è stata una visione corretta e vincente, anche se non era innovativa per il mondo in generale, ma per l’Italia lo era. C’erano già dei modelli di questo genere, pochi in Europa molti negli Stati Uniti, ma si pensava che quei modelli non fossero realizzabili in Europa, per via della cultura e di altre cose, invece non è assolutamente vero ed un processo di razionalizzazione della sanità è possibile. (I. Colombo) Il sistema così gestito, permette anche di governare la qualità perché noi abbiamo sempre visto che, monitorando quello che avviene all’interno attraverso gli indicatori di qualità, partendo dalla customer satisfaction che è la prima informazione pur macroscopica che proviene dal paziente, i cambiamenti possono essere fatti repentinamente in funzione dell’osservazione degli indicatori e dell’informazione che il paziente fornisce. (I. Colombo) Il vantaggio dell’efficienza è sia sulla cura del paziente, sia nel fatto di poter dare delle risposte dal punto di vista di logistica e tempi, corrette. Dal punto di vista logistico organizzativo, abbiamo dei ritorni che noi consideriamo positivi dalla customer satisfaction. Da un punto di vista degli outcome clinici mi astengo da qualsiasi tipo di giudizio, nel senso che ci sono delle valutazioni regionali che hanno visto ben la bontà del modello, ma la bontà del modello è nella bontà dei medici. Alla fine dei conti, non dimentichiamoci che il primo elemento vincente è la squadra dei medici che è capace di essere all’altezza della situazione per quanto riguarda il governo clinico. Il modello è un modello, ma la qualità clinica la fa il medico, l’organizzazione aiuta il medico è però evidente che la nostra esperienza è uguale a quella di tutti gli ospedali. (I. Colombo) 9
  • 10. 2.2 Modello Humanitas 2.2.1 Descrizione del modello gestionale Il modello gestionale utilizzato in Humanitas è frutto dell’idea iniziale con cui il progetto di realizzazione del nuovo ospedale è nato, cioè l’idea di poter coniugare la logica della gestione ospedaliera con una logica di gestione aziendale, avendo a riferimento le finalità espresse dalla mission: • efficacia della cura • umanizzazione dell’assistenza • efficienza della gestione • innovazione della ricerca scientifica • sviluppo professionale degli operatori • formazione e didattica per le professioni sanitarie. Il modello manageriale di ICH è una transazione del modello industriale: l’ospedale è governato per processi (il processo ricovero ordinario, il processo ricovero day hospital, etc.) con un’attenta programmazione dei fattori produttivi: le risorse umane (operatori sanitari), quelle strutturali (letti, sale operatorie e ambulatori) e tecnologiche (RMN, TAC, RX etc.). Il grafico sottostante sintetizza e rappresenta il modello gestionale di Humanitas. Modello di gestione • Risorse umane (medici, infermieri) • Tempi più brevi • Strutture (letti, sale operatorie, • Costi certi ambulatori • Sinergia ricerca/clinica • Nuove conoscenze scientifiche • Applicazione dei risultati della • Terapie personalizzate ricerca • Attrezzature (laboratorio analisi, radiologia, ricerca, ...) Produttività ed efficienza Qualità e CENTRALITA’ disponibilità DEL PAZIENTE delle risorse Modello organizzativo gestionale • Sistema informativo integrato • Gestione per progetti e processi • Controllo di gestione di tipo aziendale • Contiguità di clinici e ricercatori • Centralizzazione dei servizi diagnostico-terapeutici • Condivisione dei servizi avanzati L’amministratore delegato così si esprime descrivendo le caratteristiche del modello: 10
  • 11. La particolarità del modello è fatta da due principi sostanziali. Il primo principio è quello che le risorse che devono essere impegnate in un processo, sia mediche, di personale, sia tecnologiche devono essere coerenti al processo stesso. Per cui, ad esempio, in un momento di carenza di personale infermieristico, non ha nessun senso prendere il personale infermieristico e fargli svolgere una mansione amministrativa, quando un personale amministrativo ben addestrato, può fare quel tipo di compito. Quindi si tratta di fare in modo che tutti quelli che lavorano all’interno di Humanitas, lavorino per le loro competenze professionali. È questo il grande assioma generale che permette anche una maggiore flessibilità al sistema stesso. (I. Colombo) Il nostro compito è stato quello di dare le funzioni di natura più manageriale a chi, all’interno dei processi, aveva delle responsabilità di comando e di controllo. Quindi, per la parte amministrativa accogliere 4000 pazienti al giorno e rispondere a 4000 telefonate al giorno è un onere gravoso e ci deve essere qualcuno che lo sappia fare professionalmente, altrimenti il servizio non può funzionare. Per quanto riguarda la parte assistenziale, essere dentro un policlinico plurispecialistico è un compito gravoso e si è scelto di destinare delle risorse per il controllo della parte assistenziale, dando responsabilità alle caposala o aggregazioni di caposala. Questo ha voluto dire dare delle competenze non soltanto cliniche, che sono le prime da dare nella formazione e nell’addestramento del personale, ma anche manageriali, perché in questa maniera tutti cominciano a parlare lo stesso tipo di linguaggio dal punto di vista gestionale. Il compito è stato quello di non caricare la parte infermieristica o la parte medica di informazione amministrativa, facendogli il master in economia, ma di dare le informazioni essenziali con cui si potessero orientare in un sistema, che si stava impostando in Humanitas. (I. Colombo) Quello che si è privilegiato come modello, è stato quello di usare sempre in maniera intensiva le risorse, intese come risorse tecnologiche. Per cui la tecnologia è stata sempre installata in funzione dell’uso reale, non in funzione di quello che era un’idea astratta. Sia la tecnologia radiologica, sia la tecnologia della radioterapia, sia la tecnologia nelle sale operatorie, sia tutte le altre tecnologie possibili, sono sempre state valutate e vengono valutate in funzione di quella che è l’esigenza per la cura del paziente, considerando le nuove metodiche che volta per volta emergono perché, essendo un ospedale policlinico, si cerca di affrontare le patologie con le terapie o le cure più all’avanguardia. Quindi il modello è quello di “far fare ad ognuno quello che sa fare” garantendo una flessibilità che deve essere governata dall’interno del sistema e che si ottiene con una buona funzionalità nelle singole aree. (I. Colombo) Il progetto fisico è sempre stato basato sul progetto gestionale, andando sempre a organizzare i flussi in modo tale che potessero essere adeguati all’uso dell’ospedale in funzione dell’intensità di cura e del percorso. In tutte le fasi della strutturazione di Humanitas si è pensato alla gestione dei flussi in modo tale che si separasse sempre il flusso dei pazienti, dal flusso dell’operatore. (I. Colombo) La particolarità più interessante è l’esistenza di una funzione specifica, la Gestiona Operativa, il cui compito è quello di programmare gli asset ospedalieri: sale operatorie, posti letto e ambulatori. Una tale funzione, non presente in altre realtà ospedaliere, porta a numerosi vantaggi anche se si scontra con una cultura da parte dei medici non abituata a considerarne l’esistenza, il responsabile della funzione così commenta il momento della sua introduzione: “[…] C’erano molte resistenze culturali. Contemporaneamente, ho visto che, una volta che il medico apprezza il beneficio di questo modello, che porta a non avere limiti sulle reali esigenze che vengono poste dalla sua Unità Operativa, e che pur non avendo i “suoi” letti, la “sua” sala operatoria, ecc., che non è vero, perché un certo numero di letti viene sempre occupato da loro e un certo numero di sale operatorie viene sempre occupato da loro, ha una flessibilità che in altre strutture non c’è, non ha nulla da obiettare. Quando il medico capisce che non viene tolto nulla di quello che gli sembrava di avere prima, se non una percezione psicologica di potere, e che riceve anche più di quello che altri gli davano, non ha ragioni per obiettare. (D. Lenoci) Il Direttore Sanitario spiega ancora più approfonditamente il modello e le differenze rispetto agli altri ospedali “[…] Si è rivisto radicalmente il modello reparto-centrico in uso normalmente negli ospedali, che in alcuni casi arriva ad avere anche sale operatorie legate o dedicate a ciascun reparto. Questo comporta come vantaggio (forse) una certa specializzazione del personale infermieristico, ma come svantaggio sicuramente un utilizzo di un numero spropositato di persone. Nel nostro modello tutto è centralizzato,vi è la centralizzazione dei servizi e condivisione delle attrezzature di alta specialità e quindi ad alto costo. Ogni reparto è visto come un reparto a se stante, con più specialità, governato da una capo sala, da cui dipende un numero di infermieri proporzionato alle esigenze delle unità operative assegnate a questo reparto. 11
  • 12. La stessa cosa vale per le sale operatorie, ogni blocco operatorio è governato da una capo sala e, per quanto riguarda la parte medica, dal responsabile degli anestesisti e porta ad un miglior utilizzo delle sale nel corso della giornata e a un miglior utilizzo del personale infermieristico. Non abbiamo più l’infermiera strumentista dedicata ad una singola specialità, ma abbiamo che ogni strumentista sa strumentare dalle due alle tre specialità, quindi c’è anche una migliore qualificazione del personale. Questo comporta vantaggi nella gestione della reperibilità e nella gestione delle sale operatorie, quindi maggior flessibilità ed elasticità nell’uso delle risorse sia umane sia tecnologiche. Per far funzionare questo meccanismo, come ho detto prima, c’è una struttura particolare di tipo gestionale che è la Gestione Operativa, che gestisce nel modo più efficiente, le risorse letto, sala operatoria e ambulatorio. (N. Silvestri) Nel box sottostante sono riportati i principi chiave del modello gestionale di Humanitas come descritti da Richard M. J. Bohmer, professore della Harvard Business School, che ha scritto tre casi di studio su Humanitas. Principi chiave del Modello di gestione di Humanitas Flusso dei pazienti Puntuale gestione del flusso di ammissione/dimissione dei pazienti, attraverso la pianificazione degli ingressi e la programmazione delle attività dei blocchi operatori. Le degenze multidisciplinari permettono l’ottimizzazione dell’utilizzo dei posti letto. Allineamento degli incentivi Incentivazione del personale medico tramite la quota variabile dello stipendio agli obiettivi aziendali di efficienza e qualità (50% e 50%), misurati attraverso un sistema di indicatori gestionali, economici e qualitativi. Layout fisico Edificio fisico specificatamente disegnato per supportare le attività, in modo versatile e ridurre al minimo i tempi di collegamento e gli spostamenti per pazienti e personale Sistema informativo e report di monitoraggio gestionale Sistema informativo in grado di supportare la gestione quotidiana del flusso dei pazienti, ottimizzando la disponibilità dei posti letto nelle degenze multidisciplinari. Report dettagliati sull’occupazione dei posti letto e sull’utilizzo delle sedute operatorie (quotidiani, settimanali, mensili, condivisi con il personale sanitario). (tratto da “Istituto Clinico Humanitas” Richard M. J. Bohmer Harvard Business School) 2.2.1.1 Modello gestionale, professioni e percorsi di cura Con un modello gestionale differente dagli altri ospedali anche il modo di approcciare il proprio ruolo all’interno dell’ospedale risulta differente da parte dei vari professionisti, il Direttore del personale descrive in questo modo la novità di Humanitas: “[…] Credo che, nel lavoro del medico, Humanitas abbia promosso una cultura e per alcuni aspetti sgombrato il campo da alcuni equivoci. Humanitas ha promosso nel mondo medico l’idea di un fare finalizzato al mestiere e all’obiettivo proprio del medico, che è quello di curare le persone, fornendo, da una parte, una serie di servizi nella gestione organizzata, ma dall’altro chiedendo al medico di assumersi le responsabilità dal punto di vista del percorso clinico senza vincoli posti dall’esterno, ponendo quindi i termini dell’efficienza clinica e, ancora una volta, della qualità clinica, come parametri di riferimento rispetto ai quali la professione dovesse esercitarsi a dare il meglio di se. Si è sgombrato quindi il campo, secondo me, dal fatto che il medico deve essere anche manager, il medico non deve essere manager. Il medico deve essere un medico ospedaliero che è consapevole del fatto che la sua attività si colloca, sempre di più, in processi complessi, nei quali, oltre alla competenza professionale e specifica, occorre un’integrazione di competenze e con più funzioni, nella quale si gioca la partita del mettere insieme qualità ed efficienza. 12
  • 13. Per quanto riguarda gli infermieri, avendo noi teorizzato il modello polispecialistico nelle degenze, abbiamo fin da subito esercitato una sollecitazione verso le competenze professionali più articolate e più complesse e soprattutto una sollecitazione verso interazioni organizzative e relazionali più complesse. Questo secondo me è un ambito nel quale c’è ancora molto da lavorare, sia in relazione al modo di gestire e organizzare le attività, sia in relazione alla formazione universitaria. Secondo me, la formazione universitaria è ancora un’opportunità che va maggiormente colta. Soprattutto il nostro modello, nella crescita infermieristica, deve fare ancora una serie di passi avanti nella consapevolezza e nella motivazione degli infermieri. (P. Melodia) e sul livello di integrazione che si è raggiunto a distanza di quasi 13 anni da quando ha aperto l’ospedale, prosegue: “[…] Il livello di integrazione è più che buono, paradossalmente, nel momento in cui ci si accorge che l’integrazione va migliorata è perché si sono fatti dei passi molto importanti di integrazione fra mondi, culture, professioni che viceversa si “ignoravano”. Io credo veramente che il successo fondamentale di Humanitas sia stato, pur fra difficoltà e miglioramenti sempre necessari, la capacità di integrare molto. Inoltre, l’integrazione è partita dall’aspetto fisico perché che i reparti fossero multidisciplinari e che gli uffici dei medici fossero tutti da una parte, oppure che il management vivesse nell’ospedale, molto coinvolto in attività gestionali e organizzative, o ancora che ci fossero delle funzioni che sono nate proprio con l’idea di integrare sui processi le diverse componenti professionali, secondo me, è stato uno degli elementi e forse l’elemento di maggiore forza di Humanitas. (P. Melodia) e infine sulle difficoltà che si sono dovute affrontare: “[…] Io credo che le difficoltà maggiori siano legate allo sforzo di tenere assieme i due elementi che dicevo, quindi la difficoltà di realizzare in concreto la qualità e l’efficienza come risultato di una tensione positiva, convergente da parte di tutti. Allora poiché i punti di vista sono tanti e legittimi, la realizzazione di questo obiettivo comporta una consapevolezza crescente dei reciproci condizionamenti e delle reciproche esigenze. E’ chiaro che dove il contesto economico diventa più pesante, questa integrazione sconta una serie di difficoltà in più. Quindi io credo che in una prima fase, che potremmo collocare, sia pure con andamenti un po’ altalenanti, fino alla costruzione del Centro Cascina Perseghetto c’è stato un continuo porre in avanti obiettivi di crescita. E sicuramente la fase ancora più significativa, da questo punto di vista, è stata la crescita all’ospedale fino all’apertura del pronto soccorso, quindi il periodo che va dal ‘96 al 2003, che è stato il periodo della grande crescita fisica, quindi anche strutturale e organizzativa delle persone. In questo contesto, paradossalmente, ci sono difficoltà molto evidenti, che sono quelle di far partire una struttura, che si superano anche con forte slancio, mentre, una volta finita questa fase ”eroica”, rimane la gestione quotidiana che si porta dietro, evidentemente, più difficoltà. (P. Melodia) Il Direttore Sanitario specifica meglio quali sono stati i passaggi fatti per introdurre il nuovo modello ai medici e poter garantire la continuità assistenziale e la comunicazione tra i differenti professionisti: “[…] Il primo passaggio è stato far capire al personale che tutto quello che fai è descrivibile in un processo. Noi lavoriamo per processi, come se fosse, detto brutalmente, una catena di montaggio: sono piccole tappe, che i vari responsabili. hanno disegnato, descrivendo cosa viene fatto in ciascuna giornata di ricovero. Essere consci di questo sistema e del concetto di processo, ha permesso di ottenere due risultati: il primo è la comprensione che le varie fasi del processo possono essere modificate, senza cambiare tutto e il secondo è la consapevolezza della necessità e dell’uso che viene fatto delle risorse (risorse tempo, personale, farmaci, ecc). (N. Silvestri) “[…] l’idea è stata di costruire un ospedale con la massima efficienza. Il raggiungimento dell’efficienza avrebbe portato anche al raggiungimento dell’efficacia, cioè che facendo un ospedale efficiente avremmo garantito anche la qualità. Esiste una corrispondenza biunivoca, per cui efficienza ed efficacia vengono a coincidere. Ad esempio, il fattore tempo è fondamentale: se servono tre giorni per un ricovero non val la pena tener i pazienti per quattro: faremmo del male al paziente stesso, all’ospedale e al sistema, che vedrebbe allungarsi le liste di attesa. La modalità di lavoro deve essere nota, esplicitata e standardizzata tra le diverse unità operative, così che anche la Gestione operativa riesce a lavorare e distribuire i letti. Per quanto riguarda la comunicazione, a livello di progettazione si era detto: dobbiamo trovare un sistema per cui i medici si parlino tra di loro, un sistema per cui si vedano tutti i giorni e si confrontino. Abbiamo tolto lo studio (tra le altre cose insite nella tradizione c’era anche lo studio in reparto) e abbiamo creato gli open space perché in open space ciascuno è avvantaggiato nel parlare con il vicino, confrontandosi e chiarendo i problemi. (N. Silvestri) 13
  • 14. 2.2.1.2 Prospettive di sviluppo Questo ultimo paragrafo contiene le riflessioni dell’Amministratore Delegato, del Direttore del Personale e del Responsabile della Gestione Operativa riguardo alle prospettive di sviluppo del modello. Emerge chiaramente una direzione che porti a sviluppare una migliore integrazione tra i vari interlocutori e professionisti che operano in ospedale, procedendo anche nell’opera di dipartimentalizzazione cominciata. “[…] Perché nato questo modello? Perché la sanità aveva un problema di erogazione di servizi e di costo dei servizi, negli anni ‘80 e un certo tipo di modello rendeva più efficiente la sanità. Perché da un certo punto in poi quello che governa è il piano clinico, quindi l’efficienza era di natura gestionale e non poteva essere un’efficienza clinica di per sé, l’efficienza clinica era quasi indotta ma non era quello il problema. Ora la sanità, per me, sta vivendo una seconda fase di crisi, che non è legata, tanto, alla crisi economica, mentre, per esempio, all’allungamento della vita media che introduce degli elementi che soltanto 15 anni fa non erano pensabili. Quindi il modello, a questo punto, deve evolvere perché è necessario interpretare quelli che sono i bisogni dell’esterno. Abbiamo delle idee per quanto riguarda l’evoluzione del modello, ma c’è anche la necessità che dall’esterno ci siano delle risposte più adeguate, parlo dei sistemi regionali, a quelli che sono i limiti che si vogliono dare al servizio e questo aspetto è assolutamente necessario e comunque le due cose vanno assieme. Nel modello che si vede oggi applicato ad un ospedale come Humanitas che ha 600 posti letto operativi, il governo e la logica di gestione è qualcosa che diventa sempre più difficoltoso, a causa delle specializzazioni che ci sono nell’organizzazione, del numero di pazienti, dei flussi, dell’attività di day hospital che è un’attività molto intensa, della day surgery che è diventata una realtà in tutti gli ospedali, che portano alla conseguenza di complicare i sistemi. Un sistema che si complica deve avere la capacità di semplificarsi e perché si semplifichi è necessario che si identifichino, all’interno del sistema, delle sottoaree con delle responsabilità autonome di governo, sia “logistico”, sia clinico. Questa è l’evoluzione che noi abbiamo visto, per la prima volta, all’interno del mondo del pronto soccorso, dove è stato creato il modello “ospedale nell’ospedale”, che è ancora in fase testing e nell’ambito riabilitativo in cui si è fatto un modello di gestione che è differente rispetto a quello della parte acuta. Per la parte acuta può essere utilizzata la logica, che è già stata introdotta nell’ambito del pubblico, della dipartimentalizzazione ed è una delle logiche che si sta studiando e che si porteranno avanti. L’obiettivo è quello di ottenere che ci sia quella capacità di flessibilità che oggi deve essere governata all’interno del cambiamento della cura, perché il cambiamento della cura, tante volte, è assolutamente repentino. Ad esempio in oncologia abbiamo visto dei cambiamenti talmente veloci, per cui è necessario un’attività coordinata della fase gestionale e di quella clinica. Il modello non può più prescindere da questa relazione, mentre all’inizio o un po’ di anni fa, i due fronti erano molto separati, la parte clinica andava per conto suo e la parte gestionale – amministrativa andava per conto suo, perché l’unica interferenza era la gestione dei servizi di base. Invece adesso le cose diventano più complesse e quindi il modello è quello di riuscire a governare una complessità, semplificandola. (I. Colombo) “[…] E’ necessaria una capacità di crescere in modo sempre più profondo in termini di integrazione, passando da una logica di una gestione efficiente degli asset, a una logica di processi clinici, che si porta dietro un coinvolgimento certamente dei clinici e della direzione sanitaria, ma anche delle funzioni di management. Io sono sempre convinto, che a mano, a mano che si scende nell’approfondimento dei processi clinici, l’assunto iniziale della possibilità di convergenza delle due tematiche, qualità ed efficienza, risulta confermato. E’ chiaro che bisogna avere la consapevolezza che è necessario abbattere degli schemi. Faccio un esempio sulla direzione del personale; se la direzione del personale avesse ragionato unicamente sul contenimento dei costi del personale in valore assoluto, senza tenere conto di come questi dovessero evolvere nel relazionarsi con lo sviluppo della struttura, avremmo fatto molta fatica ad arrivare fin qui. E’ chiaro che gli schemi, anche nelle reciproche relazioni, devono essere visti in modo aperto. Ad esempio, fra direzione sanitaria e gestione operativa sono necessarie delle forme di integrazione maggiori, volendo andare a lavorare sui processi clinici, rispetto al periodo in cui uno pensava soltanto al più efficiente utilizzo dei diversi asset. Secondo me, sono questi gli strumenti che dobbiamo mettere in campo per affrontare i problemi che si pongo adesso. (P. Melodia) “[…] Si tratta, fondamentalmente, di percorrere una strada, che è già segnata, che è quella dell’integrazione. L’evoluzione di questo modello è sempre più nel modello di integrazione tra le diverse funzioni aziendali e con la parte medica e assistenziale. Mi sembra che percorrendo questa strada ci si possa arricchire ulteriormente dei benefici di questo modello. (D. Lenoci) 14
  • 15. 2.2.2 Degenze multidisciplinari Tutte le degenze di Humanitas sono configurate come unità multispecialistiche: ogni degenza ha un numero di posti letto assegnati a più UOC ed un numero di letti non assegnati definiti pool. Le degenze sono infatti denominate per numero di piano e di collocazione logistica, non per specialità clinica. Le attribuzioni di posti letto alle UOC variano ogni anno, attraverso uno strumento definito lay out. Questo modello, che si caratterizza per la rottura del binomio unità operativa/reparto, permette una grande variabilità nella programmazione dei ricoveri consentendo sia di mantenere basse le liste di attesa, sia di garantire la flessibilità nell’utilizzo dei letti, così da assorbire eventuali picchi di accessi da pronto soccorso, con le variazioni epidemiologiche stagionali (epidemia influenzale in inverno; poli-traumatismi estivi). Il sistema, da questo punto di vista, è stato mutuato da quello sviluppato dalla logica ospedaliera americana. Il concetto di fondo è sempre quello di poter seguire il paziente nel modo più adeguato, limitando l’ospedalizzazione laddove non è necessaria e creando dei sistemi flessibili. Ciò vuol dire che per primi, nel ‘97/’98, si è avviato il pre – ricovero, in un’epoca in cui il pre – ricovero non era necessario e non era richiesto come requisito. In questo modo si recuperano almeno due o tre giorni di degenza in cui il paziente non faceva nulla all’interno dell’ospedale se non esami diagnostici o pre – operatori, in funzione della condizione del paziente. Assegnare 20 letti, 30 letti, 40 letti a priori, non aveva nessun senso, in funzione dell’attività che un’unità faceva c’era l’uso flessibile dei letti. Si è quindi stabilito che i nostri reparti potessero essere equivalenti tra di loro e con un numero standard di letti tra 40 e 50, ritenendo che questo numero sia l’ottimale per la gestione infermieristica che è stato il primo aspetto che è stato analizzato. E’ chiaro che 40 letti devono essere occupati da 2/3 discipline e la presenza di più discipline implica un cambiamento del modello di organizzazione del medico. Si è così pensato, nel modello, di separare la location in cui il medico svolge la sua attività di ricerca o di formazione, dal reparto clinico. Nel reparto rimane la guardia, il presidio medico e quello che è necessario per il paziente, mentre ad una distanza di 30/40 metri i medici hanno il loro spazio in cui poter usare l’informazione clinica online e anche relazionarsi tra equipe ed equipe, quindi con la possibilità di scambiarsi informazioni. (I.Colombo – Amministratore Delegato) Nell’ospedale pubblico al primario è, almeno sulla carta, affidato il reparto, con i suoi medici, i suoi infermieri, la sua segretaria, la sua capo sala, la sua sala operatoria, la sua scrivania, ecc. Stupisce il fatto che qui non esista l’aggettivo possessivo, ed è il punto che si ritiene più difficile da applicare quando si pensa di adattare il modello alla realtà pubblica. Le aree multidisciplinari sono governate dalla capo sala e non dal primario, la modalità di gestione del reparto è svincolata dal primario, che invece dedica tutte le sue forze e le sue capacità alla cura dei pazienti, alla didattica ed alla ricerca. (N. Silvestri – Direttore Sanitario) Questo modello si caratterizza quindi, dal punto di vista gestionale, per la flessibilità nella gestione delle risorse, l’integrazione fisica ed organizzativa e la versatilità strutturale, mentre, dal punto di vista clinico e assistenziale, punta all’integrazione dei percorsi di cura e alla personalizzazione dell’assistenza, allo sviluppo di eccellenti competenze da parte del personale infermieristico e allo sviluppo di strumenti e meccanismi di integrazione tra i diversi professionisti sanitari. Dal punto di vista della gestione medica, infatti, la condivisione della stessa area di degenza tra più UOC determina la creazione di sinergie tra clinici, favorendo l’approccio multi-disciplinare al paziente. Al contempo questo modello implica che lo staff infermieristico, che gestisce la degenza, debba assolvere a compiti organizzativi e gestionali, oltre che assistenziali, e debba quindi possedere competenze multi-specialistiche ed essere continuamente formato nella gestione di pazienti con differenti livelli di intensità assistenziale. Costituendo il pilastro organizzativo del processo ricovero, lo staff infermieristico deve essere valorizzato e fidelizzato poiché un alto livello di turnover degli operatori può avere un impatto significativo sull’attività. Penso che il fatto di avere la multidisciplinarietà all’interno della stessa degenza sia un fattore di forza. E’ un fattore di forza perché comunque tiene in tensione: è faticoso ma contemporaneamente permette di avere anche altissime motivazioni, perché comunque non c’è la routine. E poi alla fine le conoscenze che si vengono ad acquisire per poi poterle spendere sul campo sono molteplici. Certo che il ruolo del coordinatore 15
  • 16. diventa fondamentale, per tenere ordinati i processi, le persone, i comportamenti e controllare i risultati. (P.Tomasin – RAA area EAS) Il tema delle degenze poli-specialistiche è nato con il progetto originario di Humanitas. Ci siamo posti il problema di come garantire l’assistenza a più specialità e abbiamo elaborato un modello di assistenza infermieristica, un modello di riferimento teorico, perché avevamo considerato che non potevamo lavorare per compiti in una degenza multispecialistica e quindi abbiamo iniziato a ragionare su come si organizza il lavoro degli infermieri in questo contesto. Sicuramente non per compiti, cioè non che tutte le mattine si fa il giro letti, si fa il giro prelievi, ecc, ma cominciando ad identificare gruppi di pazienti per infermiere ai quali si fa un’assistenza più personalizzata, in modo che quell’infermieri per quel giorno conoscesse tutto di quel paziente. Abbiamo fatto un lavoro di descrizione delle attività nelle degenze, sui tre turni, in cui descrivevamo l’organizzazione degli infermieri e degli ausiliari, rispetto anche alle altre caratteristiche di humanitas, che erano avere un sistema informatizzato, avere i servizi in outsourcing, avere il supporto amministrativo del servizio clienti; cose che in altri ospedali non c’erano ancora e che hanno orientato la descrizione delle attività specifiche nell’ambito dell’organizzazione e dei piani di attività nelle degenze. La scelta che ci ha permesso di garantire un’assistenza su più fronti è stata di aver abolito un’organizzazione per compiti e di aver privilegiato un’organizzazione in cui gruppi di pazienti erano assegnati a uno o due infermieri, a seconda del numero di specialità presenti. E in questo abbiamo utilizzato già da allora strumenti di integrazione con i medici, che sono stati la documentazione infermieristica (che non è quella di oggi, perché l’abbiamo modificata nel corso del percorso di accreditamento con Joint Commission), ma fin dal primo paziente ricoverato nel ‘96, abbiamo posto un tema di cartella infermieristica integrata alla documentazione clinica, c’era una valutazione infermieristica, un diario infermieristico, la raccolta dei parametri e il foglio terapia. (M. Mussi - Responsabile Servizi Assistenziali) La programmazione e la gestione del flusso dei pazienti attraverso le degenze ospedaliere e i servizi medici è compito della gestione operativa (GO), una funzione aziendale in staff alla Direzione Generale, che programma settimanalmente i ricoveri, in funzione dell’occupazione delle degenze, cui è dedicato il paragrafo 2.3.2 L’obiettivo del costante governo ed analisi dell’andamento dell’occupazione è mantenere un tasso di occupazione compreso tra l’85 ed il 95%, garantendo un adeguato pool di letti all’EAS. Lay out attuale delle degenze Dal momento della sua apertura ad oggi ICH ha cambiato numerosi lay out (più di 15) per adattarsi all’apertura di nuove linee produttive e alla modificazione dell’epidemiologia dei pazienti. Humanitas è nato con un’impostazione di degenze multispecialistiche, per cui uno spazio fisico composto tendenzialmente da 40 posti letto. Nella loro suddivisione è sempre stato utilizzato come criterio, l’identificazione di specialità simili, e compatibili/complementari. Cioè, ad una specialità chirurgica veniva associata l’unità internistica “parallela”. Esemplifico, alla chirurgia addominale a caratterizzazione oncologica è sempre stata associata la gastroenterologia o alla neurochirurgia, la neurologia. Per cui si è cercato di rendere simile la tipologia di utenza all’interno della degenza come espressione del bisogno infermieristico. Simile perché, a prescindere dalla ragione della manifestazione di un deficit, un atto chirurgico o un atto neurologico, per quanto riguarda l’aspetto assistenziale, la manifestazione di quel bisogno è sempre assolutamente similare. (B. Miclini – RAA area neuroscienze) I criteri di aggregazione delle specialità nelle degenze sono variati nel tempo, al crescere della complessità clinica ed assistenziale ha corrisposto un crescente bisogno di far convivere specialità affini per processi clinici o per complessità assistenziale. Nella progettazione, intendendo per progettazione sia quella fisica che quella organizzativa, perché le due cose non possono essere disgiunte, si è messo al centro del sistema il paziente. Nella realizzazione delle degenze si è tenuto conto delle esigenze del paziente, cercando di fare in modo, ad esempio, che i trasferimenti fossero ridotti al minimo. Si è rotta l’equazione degenza = reparto= unità operativa, ma tutte le degenze sono diventate identiche e destinate a più unità operative in contemporanea. Nelle degenze plurispecialistiche la distribuzione dei letti risponde ad una logica di comunanza tra le varie specialità, che è andata affinandosi nel corso degli anni. La gestione del reparto era unica, con un’unica caposala. I pazienti afferivano ai blocchi operatori direttamente sui loro letti, senza trasferimenti. I percorsi sono brevi, il più lungo è sui 100 metri, e questo per motivi di sicurezza del paziente e del personale. (N. Silvestri – Direttore Sanitario) 16
  • 17. L’ultima rivisitazione sostanziale del lay out risale all’agosto 2008, con la configurazione di aree di degenza coerenti con il nuovo modello di organizzazione dei servizi infermieristici (aree infermieristiche, (paragrafo 2.2.5) e con i dipartimenti medici, così da realizzare la migliore coincidenza tra dipartimenti medici (discipline mediche afferenti), governo infermieristico (responsabili di area assistenziale) e lay out fisico. Il nuovo modello è stato elaborato nel 2007, a maggio 2007 sono partite le prime 5 aree, e il modello è stato pienamente realizzato nel 2008. L’aver fatto ordine nell’aggregazione di aree con logiche di omogeneità e aggregazione anche di vicinanza fisica, ha permesso di stabilizzare le specialità nelle aree con un recupero in termini di formazione, esperienza e stabilità dei gruppi infermieristici. (M. Mussi - Responsabile Servizi Assistenziali) Al terzo piano sono collocate 3 degenze per l’attività libero professionale con 60 posti letto e la degenza D3, di 50 posti letto, quale area di medicina generale e d’urgenza. Al secondo piano le degenze di area cardiovascolare (A2 – B2), limitrofe al blocco operatorio B, all’UCC e alla terapia intensiva cardio, e le degenze di neuroscienze (C2 e D2). In queste due aree è integrata anche la prima parte del percorso di cura riabilitativo: riabilitazione cardiologica, neuromotoria e pediatrica (posti letto e palestre). Al primo piano è presente la degenza ortopedica (A1), le U.O. afferenti al dipartimento oncologico, che, accolgono anche i pazienti oncologici provenienti dall’EAS (C1 e D1) e una delle due degenze di area gastroenterologica (B1), ben collegata al blocco operatorio e all’endoscopia digestiva. Al piano terra è sita l’altra degenza di area gastroenterologica (C0), e le degenze chirurgiche (A0 e D0), di cui una destinata alla chirurgia breve (week surgery). Sono raffigurate nel lay out anche le degenze riabilitative E, corrispondenti a Cascina Perseghetto Building 8 – CCP) 17
  • 18. Le degenze monospecialistiche hanno un vantaggio in termini di semplicità nell’organizzazione dell’attività (un’équipe sola, quindi molti meno interlocutori a cui fare riferimento) e di specificità di competenza da parte degli infermieri, dovuta all’esperienza che l’infermiere si fa avendo tutti i pazienti della stessa specialità, quindi con la stessa patologia, più o meno. Nella degenza multi specialistica l’esperienza non è più monospecialistica, si allarga, quindi ovviamente le competenze senz’altro non sono così approfondite però sono più allargate, perché se pensate ad infermieri che lavoravano vent’anni in cardiologia, quando uscivano da quel reparto erano spaesati. Non riesci più ad avere quei meccanismi, quell’elasticità mentale che ti permette di avere l’occhio su altre cose che non sono solo il cardiogramma e altre cose specifiche per quel reparto. Il vantaggio è senz’altro questo, senz’altro è un arricchimento, però è un peso in termini organizzativi, di risorse, non indifferente. In A2, esempio, ci sono quattro specialità diverse, e di un certo tipo: due vascolari, un’elettrofisiologia e un’emodinamica, due mediche e due chirurgiche. Se lavorano per specialità, se gli infermieri sono in numero sufficiente, riusciamo ad abbinare ogni infermiere a una specialità, c’è quell’infermiere che ha un carico assistenziale maggiore, perché se ha in quella giornata interventi di un certo peso, o comunque complicanze post operatorie, eccetera, eccetera, può avere un certo peso assistenziale, che magari non ha nello stesso momento l’infermiera che segue pazienti di emodinamica: alcune volte si può creare questo divario, all’interno della stessa degenza, di carichi assistenziali diversi. Invece se lavorano per numero di pazienti, ovvero si dividono le camere, in queste camere possono trovare tutte e quattro le specialità. Quindi il vantaggio è che viene più spalmato il carico assistenziale, il disagio è che aumentano gli interlocutori medici. Il fatto che sono degenze multi specialistiche, e quindi che i letti non appartengono ad unità operativa, senz’altro permette una flessibilità nell’utilizzo di questi letti. E quindi mantiene una percentuale di occupazione costante nel tempo, in cui non ci sono picchi di letti liberi, oppure l’overbooking: Il vantaggio può essere, anche in termini di risorse, che ci possono essere alcune apparecchiature condivise tra più unità operative (S. Semplici – RAA area cardio vascolare) 2.2.2.1 Percorsi formativi La degenza multidisciplinare comporta che il personale infermieristico debba possedere competenze multi-specialistiche ed essere continuamente formato nella gestione di pazienti con differenti livelli di intensità assistenziale. Il percorso di formazione del personale infermieristico è stato chiave nel percorso di crescita e sviluppo di Humanitas nel corso degli anni, sia a livello di ospedale, sia all’interno di ciascuna area di degenza. All’inizio il percorso di formazione è stato assolutamente presidiato e garantito. Noi avevamo una popolazione infermieristica molto giovane, tranne i capo sala, con poca esperienza professionale, ma con voglia di mettersi in gioco e motivata. La formazione, in termini di arricchimento clinico, è stata molto intensa. Nel primo anno assumevamo gruppi di persone con notevole anticipo rispetto all’avvio delle attività, fino a 15 giorni, e le mettevamo in un percorso di formazione strutturata, supportato anche da una società esterna e gestita dai medici per la parte più clinica. Nel tempo, ovviamente, man mano abbiamo utilizzato il personale più bravo ed esperto per aprire nuove realtà, così da trasferire soprattutto le conoscenze organizzative, connesse al modello. Questo sistema ci ha permesso di avere uno sviluppo molto rapido. (M. Mussi - Responsabile Servizi Assistenziali) La formazione è il tasto dolente perché deve essere molto più ampia, deve abbracciare più specialità, e perché lavorando in una logica di mobilità interdipartimentale delle risorse umane, devi poi arricchirti di ulteriori informazioni e competenze che riguardano più magari le specialità dell’altra degenza. La situazione è peggiorata dal turnover di personale. (S. Semplici – RAA area cardio vascolare) Per il lato assistenziale infermieristico abbiamo delle procedure e per gli OSS ho un piano di lavoro. Il piano di lavoro è tarato però sulla complessità, come si può dire, a livello orizzontale di tutte le discipline, poi nello specifico a livello di formazione individuale, ogni infermiere conosce la complessità della tipologia del paziente. Allora l’optimum per lavorare meglio, con la multidisciplinarietà, sarebbe avere dei settori in cui i pazienti sono tutti della medicina, tutti della pneumologia, tutti dell’oncologia. E invece noi abbiamo un mix, però, con la fortuna che gli infermieri sono formati sia sull’area specialistica che sul campo e quindi soddisfano la complessità dei bisogni e il presidio del singolo bisogno, che sia di una specialità che sia dell’altra. All’interno di Humanitas sono attivati numerosi corsi per il personale: il corso delle telemetrie, il corso BLSD, ecc. C’è poi la formazione specifica dell’area: quando abbiamo un neoassunto istituiamo un mini-corso 18
  • 19. personalizzato fatto da due infermieri esperti che per almeno 4 ore addestrano il neoassunto all’utilizzo per esempio, di tutte le apparecchiature elettromedicali specifiche (la CPAP per i problemi respiratori, la cardiolina, le pompe volumetriche ecc.); abbiamo fatto anche discussione di casi clinici, ad esempio con la pneumologia (P.Tomasin – RAA area EAS) 2.2.2.2 Percorsi clinico-assistenziali - Area cardiovascolare e neuroscienze I percorsi clinico assistenziali più completi e complessi nel contesto delle degenze sono quelli attivati nelle degenze di area cardiovascolare (A2 – B2) e di neuroscienze (C2 e D2). Il percorso del paziente con IMA o cardiochirurgico, dall’alta intensità (unità di cura coronarica e terapia intensiva cardiochirurgica) fino alla riabilitazione sono ben strutturati e consolidati. Noi abbiamo dei protocolli infermieristici specifici per le singole unità operative. Faccio un esempio: noi abbiamo protocollo pazienti di elettrofisiologia, che abbraccia un po’ tutte le tipologie di pazienti dell’elettrofisiologia, quindi dall’impianto del defibrillatore, piuttosto che quello del pace maker, piuttosto che l’ablazione, e traccia, dettaglia, proprio il percorso che fa il paziente una volta ricoverato, e quello che l’infermiere deve attuare sul paziente, dall’ingresso, dalla raccolta dati, alla tipologia di prelievi che deve essere fatta, ogni quanto devono essere rilevati i parametri dopo la procedura, come deve essere posizionata l’agocannula rispetto all’impianto, a destra piuttosto che a sinistra. Abbiamo questi protocolli, queste procedure, molto dettagliati, sono un documento che guida le infermiere e le orienta verso questo tipo di assistenza. La valutazione del peso assistenziale e del tipo di attività che richiede un singolo paziente viene fatta sulla base di quello che dice il medico, cioè la diagnosi fatta dal medico indirizza l’infermiere: se, ad esempio, entra un paziente con un grave scompenso cardiaco, questo innesca tutta una serie di attività,dalla rilevazione parametri più ravvicinata, al monitoraggio. La gestione nasce da quello che dice il medico e da quello che definisce l’infermiere, guidata dai protocolli, che aiutano a far sì che tutti gli infermieri lavorino in un certo modo: penso che in un paziente che torna da un’unità coronarica si sa che ogni giorno deve fare l’elettrocardiogramma, deve avere il bilancio idrico e ogni quattro ore devono essere rilevati i parametri. (S. Semplici – RAA area cardio vascolare) Più recentemente dall’apertura dei letti di stroke unit in degenza D2, si è definito il percorso di cura del paziente con ictus, dal pronto soccorso fino alla neuro riabilitazione. In area neuroscienze, in degenza C2, sono attivi il percorso neuro-ortopedico e riabilitativo pediatrico, per i pazienti ricoverati nell’ambito delle unità operative di ortopedia pediatrica e neurorabilitazione e il recente progetto che prevede l’attivazione di un’Unità di Ortogeriatria, nel contesto della Traumatologia, per la gestione dell’anziano con frattura di femore. L’area neuroscienze è spazialmente costituita da 2 degenze, una di 50 posti letto (D2) e una di 40 posti letto (C2), poste su un unico piano, per cui si mantiene il criterio della vicinanza sul percorso orizzontale. In quest’area ci sono le seguenti Unità Operative: l’Otorinolaringoiatria, la Neurochirurgia, la Neurologia, la Stroke Unit, con un’area dedicata e alcuni letti dedicati alla Neurologia non di emergenza, la Traumatologia e alcuni letti di Neuroriabilitazione. Questi ultimi sono dedicati a quegli ammalati che passano ad una fase di stabilizzazione, prima di passare al secondo e al terzo step riabilitativo. Da questo fatto si capisce che c’è un’aggregazione di malati non solo per specialità, ma che c’è anche una scelta di locazione degli ammalati rispetto alla complessità assistenziale, all’intensità di prestazione, al monitoraggio e alle cure da erogare. […] Dal pronto soccorso il paziente entra in Stroke Unit dove rimane 5/6 giorni, viene fortemente “aggredito”, dal punto di vista diagnostico-terapeutico e dal punto di vista assistenziale, con monitoraggio elevato del tracciato elettrocardiografico, della pressione arteriosa, della saturazione, con presenza di videosorveglianza, e fin dalla prima giornata del ricovero con il trattamento congiunto fisioterapico - infermieristico. Finito questo percorso molto intenso c’è subito il passaggio, se l’ammalato è in condizioni di stabilità, in fisiatria presso la C2. Altrimenti c’è un passaggio intermedio nei letti che si trovano all’esterno della Stroke Unit, in degenza D2, e successivamente in C2. Molto raramente, avviene un passaggio diretto dalla D2 a CCP. Sempre in D2 c’è un altro percorso, sugli ammalati neurochirurgici, che hanno un tempo di degenza molto più prolungato a causa delle problematiche meno compatibili con un’accoglienza immediata in un reparto di riabilitazione. Il percorso diagnostico-terapeutico è diverso e i pazienti vengono affidati alla Neuroriabilitazione, rimanendo però in degenza D2, e a stabilizzazione avvenuta, che di solito coincide con la rimozione dei presidi di tutorizzazione delle vie vitali, vengono mandati o in strutture esterne o al centro riabilitativo. La neuro riabilitazione può prevedere fino a tre passaggi di degenza, due dei quali all’interno delle degenze (D2 e C2) di cui sono responsabile e il terzo, che è il passaggio di stabilizzazione e di 19
  • 20. preparazione al rientro al domicilio, avviene presso la riabilitazione del Centro Cascina Perseghetto (CCP). (B. Miclini – RAA area neuroscienze) Dove manca un’area geograficamente delimitata si deve far fronte con l’impostazione programmatica di processi di operatività rivolti a quel particolare tipo di paziente: se io non ho regole precise di approccio al paziente con patologia neurologica, non lo posso mettere vicino ad un paziente con patologia otorinolaringoiatrica per ovvie ragioni, perché non avrò mai un’adeguata specializzazione, non dico medica ovviamente, ma sostanzialmente infermieristica, che poi è il grosso dell’assistenza ospedaliera. Nell’area di neuroscienze il paziente neurochirurgico può essere accanto al paziente otorino, piuttosto che non al paziente neurologico. In questo caso ci devono essere, e ci sono effettivamente, protocolli distinti per ciascun paziente, per tutti quegli aspetti che possono essere anche sostanzialmente diversi per i pazienti neurologici rispetto a quelli della neurochirurgia. Ovviamente cerchiamo di adattare l’organizzazione anche in funzione del personale infermieristico, in modo che ci sia diciamo, chi segue specificatamente i pazienti di neurochirurgia e chi segue specificatamente quelli di neurologia. (G. Micieli - Responsabile Stroke Unit) Stroke unit e sub intensiva neurochirurgica In D2, dei 50 posti letto, solo quelli della Stroke Unit hanno un’identificazione di spazio, con un’area di monitoraggio dedicata e con una porta dedicata che la separa dal resto della degenza. In quell’area vi è un’identificazione di subintensività dichiarata e riconosciuta, clinicamente e assistenzialmente, esiste una necessità di subintensività anche all’esterno poiché riceviamo tutti gli ammalati neurochirurgici provenienti da terapia intensiva e anche i pazienti di otorinolaringoiatria come casistica cranica, sempre provenienti dalla terapia intensiva. Gli infermieri si dividono rispetto alla presa in carico degli ammalati. Per cui c’è un infermiere che segue la Stroke Unit, uno/due infermieri la neurochirurgia e l’otorinolaringoiatria, un infermiere che segue le altre specialità, malati che entrano per fare diagnostica e trattamenti farmacologici e i malati di riabilitazione. Abbiamo due centrali di monitorizzazione, una all’interno della stroke unit, dove ci sono 8 postazioni di monitoraggio fisso, con la possibilità di usare però tutte e 12 le postazioni, perché i monitor sono flessibili e tutta l’area è cablata. Esternamente abbiamo una seconda centrale, posizionata al centro della degenza, dove tutte le altre stanze hanno la possibilità di avere un monitor multiparametrico portatile, posizionabile al letto del malato, con pressione, tracciato cardiaco e saturazione d’ossigeno. L’osservazione e il livello di monitoraggio del paziente che arriva dalla terapia intensiva in reparto, avviene sempre con un passaggio di informazioni sia verbale, che scritto, sia per l’equipe infermieristica che, in parallelo, per l’equipe medica. Quando viene programmata la dimissione dalla terapia intensiva, viene data comunicazione al reparto, l’infermiere si reca in terapia intensiva con il letto di degenza, accoglie e prende in carico il malato con tutta la documentazione, ma, in particolare con una scheda sintetica per l’equipe assistenziale del reparto. Il livello di monitoraggio è condiviso, avendo creato un protocollo con il materiale necessario per creare un’unità di base per l’ammalato uscente dalla terapia intensiva, e i livelli di monitoraggio vengono prescritti dal neurochirurgo che prende in carico il paziente in base anche al trend di monitoraggio della terapia intensiva. (B. Miclini – RAA area neuroscienze) La Stroke Unit è una struttura intensiva in un contesto in cui si vuole salvaguardare i due concetti, cioè quello della multidisciplinarietà di un’area, in un modello dipartimentale come siamo noi, con l’intensità di cura. Il livello assistenziale è sicuramente da contesto intensivo/semi intensivo e quindi siamo al di sopra della degenza ordinaria come intensità di cura. In quell’ambito ovviamente i processi sono molto meglio definiti: il principio è in sostanza che se identifico precocemente una complicanza e la tratto con personale infermieristico e medico adeguato, la complicanza mi dura di meno, e la degenza mi dura di meno, e il paziente campa di più, con meno handicap, con meno reliquati. La connotazione fisica significa intensità di cura, significa anche maggior numero di personale e quindi maggiore intensità di cura: non è solo il monitor, ma anche il fatto che questo monitor sia sorvegliato e il paziente sia sorvegliato in modo pressoché continuativo. Questa è una fase che può durare molto poco, può durare molto a lungo, a seconda delle necessità, poi avviene il passaggio nella degenza ordinaria, che appunto ha un carattere della multidisciplinarietà, e questa persona viene seguita ancora in modalità un po’ più lasca, avendo bisogno di meno intensità di cure. (G. Micieli - Responsabile Stroke Unit) La costruzione del percorso Quando abbiamo iniziato a pensare che era necessario costruire un percorso per il paziente con ictus, appena iniziata in Humanitas la Neurologia d’urgenza, per una disciplina internistica che noi avevamo già avuto ma che doveva però cambiare i tempi e le modalità di erogazione delle prestazioni, ci siamo resi conto che questo tipo di prestazioni coinvolgevano diversi settori dell’ospedale. È stato quindi fatto un lavoro congiunto tra l’equipe medica, la Direzione Sanitaria, e l’equipe assistenziale, con un coinvolgimento in 20
  • 21. seconda battuta dell’equipe di riabilitazione, fisiatri e fisioterapisti. Il lavoro svolto è stato quello di disegnare, passo dopo passo, il percorso dell’ammalato tipo: all’arrivo in Pronto Soccorso il paziente deve trovare un certo pacchetto di prestazioni diagnostiche, terapeutiche e assistenziali; all’arrivo in reparto un altro pacchetto, descritto, di prestazioni che deve ricevere, con una tempistica definita, da parte dell’infermiere, del fisioterapista e del medico; sempre in reparto si procede decidendo quali altri passaggi deve fare l’ammalato. (B. Miclini – RAA area neuroscienze) Il nostro livello di integrazione è con le specialità che afferiscono al problema specifico del malato cerebrovascolare, che spesso è anche cardiovascolare. Allora avremo le nostre interazioni con specialisti soprattutto della parte urgente e di urgenza, che ovviamente sono i neurochirurghi per la parte delle emorragie piuttosto che degli aneurismi, con i chirurghi vascolari per la parte che riguarda la chirurgia di carotide piuttosto che non con gli interventisti endovascolari, quando questo è necessario e con la cardiologia, perché spesso ovviamente l’ictus è o il prodotto di una patologia cardiaca oppure determina una patologia cardiaca. Riteniamo inoltre fondamentale l’integrazione della parte assistenziale, non può esistere una gestione medica senza gestione infermieristica e di fisioterapia, insomma, forse possiamo fare a meno dello psicologo, ma sicuramente dell’infermiere non possiamo fare a meno. Il concetto dell’infermieristica è così rilevante che i protocolli vengono stabiliti insieme, poi è l’infermiere che se li gestisce, l’infermiere stesso deve integrarsi con il fisioterapista perché nella mobilizzazione del malato con disabilità funzionale, paresi e plegie degli arti, la mobilizzazione fatta dall’infermiere va bene, ma deve essere fatta anche sulla base di criteri che in qualche modo sono suggeriti anche dal fisioterapista, l’approccio infermieristico non può prescindere da questi collegamenti anche con gli altri. Dall’altra parte l’infermiere deve conoscere benissimo quelle che sono le figure mediche, quindi deve sapere di cosa parlo io, e deve sapere anche cosa farà il fisioterapista, quindi il tutto è molto integrato. (G. Micieli - Responsabile Stroke Unit) Riabilitazione e continuità delle cure La conclusione del ricovero acuto conclude un percorso anche assistenziale del malato, per cui l’ammalato viene dimesso dall’infermiere e viene compilata una scheda di valutazione conclusiva, che contiene le attività e i miglioramenti raggiunti durante i 5, 6, 7 giorni di assistenza infermieristica. A questo punto, concluso il percorso assistenziale del malato, si chiude anche la documentazione infermieristica e viene data informativa, con una lettera di trasferimento interno, ai colleghi che prenderanno in carico il paziente, di quali sono i livelli dei bisogni raggiunti, o non raggiunti, da parte del malato. (B. Miclini – RAA area neuroscienze) La continuità assistenziale significa il passaggio in una gestione con un livello diverso di intensità di cura, come può essere la riabilitazione, ma con un approccio programmatico di intervento medico che è continuativo rispetto a quello che è stato fatto in precedenza. Ora, nell’insieme questo è molto facile ovviamente nell’ambito della stessa struttura, dove c’è un contatto diretto, e quindi c’è un protocollo stabilito con i riabilitatori e i fisioterapisti, lo è un pochettino meno, quando la struttura non ha riabilitazione, allora anche in questo caso bisognerebbe trovare delle modalità di comunicazione. Il riabilitatore è nostro interlocutore più cronico, come possiamo dire più persistente, nel senso che è quello che potrebbe essere più stabile nel tempo. Perché noi saldiamo questo concetto di percorso diagnostico terapeutico con la riabilitazione iniziando veramente già in fase acuta il momento di recupero funzionale insieme al riabilitatore: fino a quando il paziente non è stabile, si ferma in stroke unit, quando comincia ad essere stabile rimane nell’ambito multidisciplinare per passare poi alla riabilitazione di fatto, che poi corrisponde come intensità di cura a quello della degenza ordinaria multidisciplinare o ancora inferiore a questo, perché di fatto l’intensità di cura è ancora più bassa. (G. Micieli - Responsabile Stroke Unit) E’ emerso un bisogno riguardante la dimissione protetta al domicilio o in altre strutture diverse dall’ospedale per acuti, dei nostri malati. Il Servizio Continuità delle Cure, in seno alla Direzione Sanitaria, diventa un’interfaccia che opera come facilitatore del processo di accompagnamento del malato e del suo entourage familiare al domicilio, con l’attivazione di una serie di prestazioni sanitarie e sociali, oppure verso una struttura riabilitativa o di lungo degenza. Questo è il primo ramo del percorso finale del paziente, il secondo vede come facilitatore del processo la segreteria del CCP, che raccoglie i flussi dei pazienti che sono stati segnalati e identificati in quanto stabili e che possono passare da un reparto all’altro. La segnalazione viene fatta dopo un briefing tra il medico della riabilitazione, che prende in carico il paziente, e il referente assistenziale, che essendo fisicamente in reparto propone una lista di candidati che, per caratteristiche cliniche – assistenziali, possono trovare un’adeguata collocazione in CCP. La scelta dei pazienti da mandare è fatta anche dialogando con il personale del CCP guardando sia le caratteristiche dei 21