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Jesús Timoteo Álvarez



 ONESTÁ É SVILUPPO


      Credibilità e Fiducia nella
Crisi del Capitalismo Reputazionale


Con una digressione sull’importanza del maiale
    (PIIGS Factor) nell’economia europea




                      1
© Jesús Timoteo Álvarez

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www. Thinkcom.es

Gennaio 2012

Traduzione: Marco Nurra
Impresión: Emelar Artes Gráficas, S.L.
Jesús Timoteo Álvarez


     ONESTÁ É SVILUPPO

         Credibilità e Fiducia nella
   Crisi del Capitalismo Reputazionale


Con una digressione sull’importanza del maiale
    (PIIGS Factor) nell’economia europea
La crisi attuale si legge come crisi finanziaria, in-
nanzitutto, e dopo come crisi di credibilità, facen-
do normalmente dipendere la seconda dalla prima.
L’argomentazione che si utilizza termina essendo
contraddittoria, un ossimoro. Con le mie risorse
sempre scarse (finanze) posso permettermi solamen-
te il lusso di comprare a un fornitore che sia assolu-
tamente affidabile; le perdite che posso soffrire pres-
tando denaro a un debitore disonesto sono molto
maggiori che l’ipotetico profitto che può derivare da
un prestito a un debitore onesto. È giusto. Però cosa
viene prima, la fiducia e l’onestà del fornitore e del

                          9
debitore o la qualità del prodotto e la capacità reale
di restituire il prestito? Il problema, insomma, è se
sia più importante la fiducia o l’economia reale e la
qualità del prodotto1.

Quello che ci interessa adesso è risolvere il para-
dosso, la funzione della credibilità nell’attuale crisi
economica. Per far ciò, dividiamo il lavoro secondo
una sequenza lineare stabilendo: primo, cosa signifi-
ca credibilità nel capitalismo attuale, che definiamo
come capitalismo reputazionale; secondo, come possia-
mo comprendere l’attuale crisi economica dal punto
di vista della fiducia; terzo, quali sono le tendenze
e uscite dall’attuale crisi economica che, sempre dal
punto di vista della reputazione, si stanno sperimen-
tando. Infine, facendo riferimento all’abitudine dei
paesi anglosassoni di chiamare “PIIGS” quei paesi
europei con maggiori problemi di credibilità, ag-
giungiamo come complemento al presente lavoro
un’ipotetica e ironica proposta di utilizzare l’Indice
di Maiale pro Capite (IMC) come garanzia di una
credibilità realista, sostituendo Moody’s Standard &
Poor’s o Fitch.



                           10
1. IL CAPITALISMO REPUTAZIONALE

L’analisi finanziaria della crisi è opprimente. Ci si
dedicano migliaia di economisti e politici intenti a
quadrare indici macroeconomici poco intelligibi-
li per il cittadino. Gli esperti operano su tre indici
macro basici: la crescita del Prodotto Interno Lordo
(PIL), il tasso di crescita dell’inflazione e l’aumento
del debito rispetto al PIL. Incrociano questi tre indici
con una quantità quasi incontrollabile di altri indici:
percentuali di disoccupazione, ingressi/perdite della
previdenza sociale, abbandono o successo scolastico,
cifre di import/export, demografia, immigrazione/
emigrazione, produttività, liquidità bancaria, bilan-
ci di Stato, liquidità dello Stato, il prezzo dei titoli di
Stato in relazione a quelli tedeschi, etc. In ogni caso si
tratta di analisi supportate da statistiche e dalla teo-
ria e storia economica. Il loro unico problema è che
sono state fatte a posteriori e non hanno avuto alcuna
capacità di prevedere quando e come la crisi sarebbe
accaduta.

Riguardo al fattore “credibilità” nella crisi, però, non
si va oltre al generalismo o ad interpretazioni deriva-
te dalla propria analisi finanziaria o dall’applicazione
                           11
secondo manuale degli abbondanti indici economici.
In realtà, il reiterato concetto di credibilità con cui si
giustifica la crisi, e a partire del quale si castigano de-
gli attori o stati piuttosto che altri, è un concetto vago
e per niente specifico. Cercheremo di chiarire ques-
to concetto e proporre alcune derivate e possibilità
d’utilizzo.

Riguardo al ruolo della credibilità o della fiducia
nella vita economica, non esiste nessuna teoria radi-
cata. L’economia classica ammette che detta credi-
bilità giochi un ruolo importante seguendo il punto
di vista per cui talune attività economiche rendono
l’attore più vulnerabile alla concorrenza2. Esistono, di
conseguenza, determinati settori economici nei quali
la credibilità è fondamentale: le banche e molte isti-
tuzioni finanziarie, o il debito degli Stati, per esempio.
La gestione della fiducia in quei settori è decisiva e,
per questo motivo, è sicuro che l’evolversi delle crisi
finanziaria è determinato dalla posizione degli indici
di fiducia3. In ogni caso e nello specifico in questa crisi
attuale, ambi fattori, finanza e credibilità, sembrano
andare inesorabilmente uniti. Sono due pilastri basi-
lari dell’attuale capitalismo.


                             12
Il capitalismo ha maturato un nuovo stadio nella sua
evoluzione a partire dalla decada del 1980. “Un gran-
de speculatore, George Soros, dice che il capitalismo
moderno è un gioco di specchi nel quale non si riesce
a distinguere la realtà dalle sue immagini: non si sa
se è il diavolo a muovere la coda o la coda a muove-
re il diavolo. Un capitalismo fatto di segni più che di
ricchezza reale”4. La dottrina ortodossa ama definire
questo capitalismo come capitalismo finanziario e la sua
esplosione fu dovuta a quattro grandi cause5. La pri-
ma è una rivoluzione tecnologica con l’applicazione sis-
tematica di innovazioni immateriali (elettronica e in-
formatica) al processo produttivo, cercando maggiore
produttività e costi minori. Suppone la fine dell’era
industriale fordista, omogenea, massiva e di catena,
a favore di una produzione differenziata, alla carta
e istantanea. La seconda è la liberalizzazione del mo-
vimento dei capitali, la possibilità di muovere ingenti
quantità di denaro con un clic elettronico tra le diver-
se borse del mondo, creando un potere discrezionale,
al di là delle decisioni politiche “democratiche” dei
governi, con la capacità di determinare tali decisioni.
La terza ha a che vedere con la deregolamentazione, le
privatizzazioni e, soprattutto, con una controrivoluzione
culturale che sostituisce le premesse keynesiane inter-
                          13
venzioniste del dopoguerra, della socialdemocrazia e
del neocapitalismo con una credenza “neoliberale” e
monetarista. Una credenza che si oppone alle inter-
ferenze dello Stato nel Mercato (in linea con Milton
Friedman) e stabilisce la fede assoluta nella capacità
di autoregolamento che detto mercato avrebbe. La
quarta causa ha a che vedere con la globalizzazione, che
significa in definitiva il travaso delle decisioni strate-
giche fondamentali dall’area d’influenza della demo-
crazia politica a quella degli accumulatori di capitale
finanziario: agli stati rimangono poche possibilità di
dirigere la politica finanziaria, i governi (quotati in
borsa) vengono giornalmente giudicati dal mercato, le
grandi corporazioni hanno potere di ricatto di fron-
te alle pretese fiscali degli stati incapaci di frenare i
movimenti speculativi frenetici in tutto il mondo6. Per
questo il nome di capitalismo finanziario e i giochi di
ingegneria finanziaria, come Soros riassume, conver-
tono il capitalismo in un gioco di specchi e illusioni
dove appena si distingue l’economia reale.

In assoluto parallelismo con quel salto a una fase fi-
nanziaria, il capitalismo degli ultimi trent’anni ha
sviluppato, per le stesse cause, uno stadio decisamen-
te meno conosciuto sebbene parallelo e inseparabile,
                            14
che definiamo capitalismo reputazionale. Le tecnologie
(TIC), le privatizzazioni, la globalizzazione e la li-
beralizzazione nel movimento di risorse intangibili
han fatto che, durante gli anni ottanta, entrasse come
fattore decisivo, nel cuore stesso del sistema econo-
mico, un pacchetto fondamentale di asset immate-
riali relazionati con la rappresentazione, la comuni-
cazione, l’immagine e, in definitiva, la credibilità e
la fiducia. Le grandi corporazioni che si muovono in
un mercato globale necessitano potenziare la marca,
conoscere i mercati locali, stabilire reti di franchising
quando le considerano proficue, sottomettere tutta la
loro strategia – inclusa quella di marketing – alle rela-
zioni con i clienti e allo sviluppo di punti di customer-
interface (“i prodotti abbondano, mancano i clienti”
gridava Kotler7 negli anni novanta). E così la comuni-
cazione con i suoi prodotti e asset intangibili (marca,
brevetti, franchising, segreti industriali, informazio-
ne privilegiata, informazione specializzata, sviluppo
tecnologico, etc.) diventa, insieme alle finanze, il su-
pporto fondamentale delle strategie imprenditoriali8.
Consapevoli di essere permanentemente sottomesse
all’opinione pubblica e degli utenti o clienti, le Cor-
porazioni sentirono la necessità di “avere un’anima”.
E decisero che l’unica forma di avere un’anima era
                          15
comprarla: dotarsi di una marca (brand) attraverso la
pubblicità (negli anni ottanta) e, più tardi, le sue alter-
native. La marca è la personalità originale e attrattiva
una Corporazione, però la marca è normalmente un
prodotto di marketing. E con la marca fabbricarono
anche gli altri intangibili9.

La gestione di tali intangibili risponde, com’è logico,
a regole proprie sebbene probabilmente molto simili
alla gestione delle risorse finanziarie, sempre più “in-
tangibili” nel mondo globalizzato10. Queste regole a sé
stanti cercano un obiettivo dichiarato che definiamo
come reputazione e derivano dal più classico pensiero
economico, semplificato nel principo secondo cui il
valore finale e il prezzo di mercato di un bene, ser-
vizio o prodotto qualsiasi, di una corporazione o im-
presa, è determinato: dalla sua utilità (valore d’uso)
per il consumatore o utente; dal mercato; dal suo va-
lore immateriale, di simboli o equivalente, di marca,
di intangibile. Reputazione è un eccellente e utilissimo
concetto. Risponde alla definitiva riscoperta del clien-
te come entità finale, oggetto di qualsiasi iniziativa,
che porta a focalizzare tutta l’attività delle istituzioni
e imprese sul cliente finale. La reputazione è la rispos-
ta che l’individuo, il gruppo, il mercato, l’opinione,
                             16
danno in qualità di interlocurori alla posizone di una
corporazione nella società. Inoltre, la reputazione ag-
giunge un ulteriore importante valore. È l’indicatore
che permette di misurare e quantificare il peso di tali
valori intangibili nei risultati contabili ed economici
finali di un’entità o corporazione. Per questo parlia-
mo di capitalismo reputazionale e intendiamo per tale la
fase del capitalismo stabilitasi in occidente nell’ultimo
terzo del XX secolo e inizi del XXI secolo11.

Concettualmente gli asset intangibili formano parte
dei beni di un’organizzazione o impresa assieme ai
beni materiali, le risorse umane e i beni finanziari. I
Piani di Contabilità raccolgono i beni intangibili sotto
il nome di “Asset Intangibili” ed elencano esplicita-
mente tra loro licenze, marche, franchising, etc, che
tradotto nel linguaggio comune equivale a raccogliere
tutte quelle attività che un’impresa mette in piedi per
informare, fidelizzare, occupare uno spazio pubblico,
di responsabilità sociale corporativa, patrocini, cultu-
ra d’impresa, conoscenza propria (banche dati, know
how) protetta o diffusa, etc.

Sebbene l’esistenza degli asset intangibili come ele-
mento di valore economico è tanto antica quanto
                          17
l’economia e il capitalismo, la sua valorazione comin-
ciò a svilupparsi al principio degli anni ottanta intor-
no al valore della marca (come abbiamo sottolineato
in precedenza), con lo scopo di fissare il valore reale
delle imprese a medio termine, pensando nelle opera-
zioni di acquisto/vendita, offerte pubbliche di azioni
o simili12, o pensando a come giustificare le spese di
promozione e rappresentanza che sembravano im-
prescindibili e nuove in quegli anni ottanta, in spe-
cial modo le spese e investimenti pubblicitari13. Per
questi motivi la questione del valore della marca iniziò
ad acquisire un crescente interesse nella letteratura di
marketing e per gli stessi motivi il suo studio adottò
sin dall’inizio differenti prospettive d’analisi. Una fi-
nanziaria, un’altra di risposta e reazione del mercato
e una terza più corporativa, globale o d’insieme14.

La prospettiva finanziaria enfatizza il ruolo della marca
come bene impresariale capace di influire nei flussi di
cassa dell’impresa, nel valore delle sue azioni e/o nel
suo prezzo di vendita (in caso di acquisizione, assor-
bimento o fusione con altre entità). La marca si valuta
in funzione dei profitti aggiunti che ottiene l’impresa
per il fatto di commercalizzare i suoi prodotti sotto
una determinata marca. Le variabili che si prendono
                            18
in considerazione in questa valutazione dipendono
molto dall’impresa. In alcuni casi si assimila il valore
della marca con le previsioni economiche dei profitti
futuri; in altri casi si considera il valore della marca
come il valore aggiunto che raggiunge l’impresa, al di
là del valore dei suoi beni materiali, in funzione alla
posizione che la marca ha nel mercato e alla possibili-
tà di estendere la stessa ad altre categorie di prodotti
e/o mercati. In altre occasioni il valore di una mar-
ca è il valore economico derivato dal grado con cui
il nome della marca favorisce le transazioni o scambi
(attuali e futuri) tra l’impresa e i suoi clienti. Può an-
che essere la differenza tra i flussi di cassa ottenuti da
un prodotto di marca e i flussi di cassa risultanti nel
caso tale prodotto si vendesse senza marca15.

La seconda prospettiva, che mette al centro il consuma-
tore, è quella che ha dato origine all’importanza de-
lla Reputazione. Ritiene che la marca possa generare
valore competitivo per l’impresa se apporta valore a
un importante segmento di consumatori. Ritiene che
la marca aggiunga un fattore distinto dagli attributi
del prodotto e che questo fattore differenziale si rag-
giunga mediante le attività di promozione e marke-
ting, lavorando con le percezioni del consumatore16.
                           19
Seguendo questa linea, il valore della marca si ottiene
attraverso le percezioni (attributi, benefici e attitudi-
ni), le preferenze o i comportamenti dei consumato-
ri verso essa. Si gioca qui con i concetti di notorietà o
conoscenza che il mercato ha della marca; di posizio-
namento o percezione, positiva o negativa o neutrale,
che il consumatore stesso e il mercato hanno di essa;
con il comportamento del consumatore o le sue decisio-
ni d’acquisto; con le attività di marketing e le guerre
di concorrenza tra marche affini, etc17.

In terzo luogo, in una visione d’insieme, il valore della
marca prende in considerazione le attitudini e le con-
dotte di tutti gli attori suscettibili di interagire con la
marca, ossia, l’impresa stessa, i consumatori, i distri-
butori e i mercati finanziari18. Diciamo che “il valore
di una marca rappresenta l’insieme di associazioni e
condotte dei consumatori, dei membri del canale di
distribuzione e della direzione dell’impresa che per-
mette al prodotto vincolato con la marca di ottenere
un maggior margine di profitto, volume di vendita o
quota di mercato, rispetto a quello che otterrebbe sen-
za nessun nome di marca, favorendo in questo modo
il raggiungimento di un vantaggio competitivo solido,
differenziale e sostenibile nel lungo periodo”19. Ques-
                             20
ta visione globale, che implica nel valore della marca
tanti e diversi attori, è servita da piattaforma per dare
il salto dal concetto di marca al concetto di asset intan-
gibili, più utilizzato e comune ai giorni nostri.

Così come il capitalismo finanziario ebbe effetti colla-
terali sulla politica (che terminò soggiogando), sul
sistema di produzione, o sul mercato, il capitalismo
reputazionale ebbe effetti simili su tutte le attività pub-
bliche: la politica, per esempio, diventò predominan-
temente marketing e iniziò a evolversi soprattutto die-
tro lo schermo della televisione; i politici smisero di
essere gestori della cosa pubblica per diventare attori
e venditori di marca, avversari nel mercato del voto
per il successivo appuntamento elettorale; lo stesso
successe con la distribuzione, per esempio, che roves-
cia il suo proprio sistema e passa dall’essere dominata
dall’offerta dei prodotti ad essere definita dal mercato
finale, modellato dalla pubblicità e dalla televisione.
E così in quasi tutti gli ambiti del procedere umano
dove è più importante l’apparire che l’essere: uno
non esiste se non occupa un piccolo spazio nel picco-
lo schermo degli apparati televisivi, diventati i punti
vendita finali (un punto vendita in ogni casa)20. Così
abbiamo definito la società di questi decenni come
                           21
“società dell’informazione”, “società rete”, “società
digitale”, etc., società nella quale gli asset intangibili
sono fattori determinanti nei risultati delle imprese.

Arrivati all’anno 2000, questo capitalismo reputazio-
nale aveva già raggiunto una certa maturità, sufficien-
te per conoscere la sua prima fase ciclica, nel 2003, con
la crisi delle puntocom, ossia la crisi della new economy.
Questa maturità è evidente nell’interesse che ebbero
le corporazioni per presentare risultati degli asset in-
tangibili in parallelo ai risultati contabili. Un esempio
molto noto sono i Rapporti RSC (Responsabilità Socia-
le Corporativa). Questi rapporti pretendono portare
a conoscenza dei gruppi d’interesse tutto il peso che
gli intangibili hanno nella compagnia e il valore degli
stessi nel futuro successo aziendale.

Non possiamo affidarci, però, a una metodologia in-
ternazionalmente riconosciuta per l’elaborazione di
tali risultati reputazionali o intangibili21, e nemmeno a
metodi di valutazione, analisi e misura degli elemen-
ti che costituiscono tali asset intangibili, tra i quali si
trova la reputazione corporativa22. Nonostante ciò,
la gestione della reputazione e degli intangibili si è
ormai diffusa. Consulenti, revisori e buisness school
                             22
(Ernst & Young, KPMG, MorganStanley, Deloitte, IESE,
Instituto de Empresa, EOI, London Business School, etc.)
la gestiscono mediante verifiche e sviluppando le
proprie metodologie di valutazione, sempre in accor-
do con le norme internazionali di contabilità (NIC).
Queste entità sono solite avere in comune il ricorso
a indicatori complementari agli indicatori finanziari
(financial ratio), per esempio: la lealtà degli impiegati e
l’esperienza professionale che apportano le nuove as-
sunzioni quando si tratta di valutare il capitale uma-
no; il numero di progetti di R&S (Ricerca e Sviluppo)
come capitale di innovazione; etc. Il loro principale
obiettivo è realizzare un’analisi comparativa che per-
metta di osservare la tendenza nella sua evoluzione.
In parallelo hanno proliferato in una propria nicchia
differenti indici di valutazione diretta degli intangibi-
li, tra i quali spiccano gli indici di valorazione esterna
delle marche e della loro reputazione23. Esistono in-
dici simili anche negli ambiti di analisti e consulenti
di comunicazione, che annualmente sono raccolti dai
mezzi di comunicazione mondiali. I più conosciuti:
Global Most Admired Companies di Hay Group per la
rivista Fortune, Reputation Quotient di Harris Interac-
tive, Global RepTrakTM Pulse del Reputation Institute,
il BrandzTM Top 100 di MillwardBrown, World´s Most
                           23
Respected Companies di Barron per il Finantial Times,
e in Spagna e paesi iberoamericani il Merco (Moni-
tor Empresarial de Reputación Corporativa) che elabora
l’impresa “Análisis e Investigación” per Villafañe y
Asociados in collaborazione con il gruppo Vocento.



2. CRISI DEL CAPITALISMO REPUTAZIONALE

Abbiamo visto come la credibilità e la fiducia siano
i ventricoli del cuore della crisi attuale. Crisi che è
esplosa tanto nel capitalismo reputazionale quanto in
quello finanziario. Sotto gli occhi di tutti: i paesi con-
cettualizzati dal The Economist come “PIIGS” o della
“Cintura d’Aglio” subiscono, in linea di principio,
un trattamento negativo da parte degli investitori,
mercati, politici e opinione pubblica. A priori, un in-
vestitore tedesco è maggiormente disposto ad aiutare
Belgio piuttosto che Grecia, Portogallo o Italia, e aiu-
tare Danimarca piuttosto che Spagna. Naturalmente,
a posteriori, si cercano spiegazioni: i greci mentiro-
no riguardo i risultati economici; italiani e spagnoli
non avevano governi affidabili (Berlusconi o Zapa-
tero). Però il castigo arriva prima. E si spiega con la
“mancanza di credibilità”, ossia, di reputazione. La
                            24
mancanza di credibilità è fonte di ottimi affari per i
compratori di debito nazionale a breve e medio pe-
riodo: nella seconda settimana del novembre 2011 lo
Stato Italiano è arrivato a pagare oltre il 7% di inte-
ressi nel debito a un anno. Lo stesso è successo allo
Stato Spagnolo nella terza settimana di novembre. E
la mancanza di credibilità è allo stesso tempo fonte di
seri problemi di finanziamento per gli stati, corpora-
zioni e cittadini.

Perché queste differenze? Come si fissa oggi la cre-
dibilità di un fornitore o di un emissore di debito, di
un’entità, di uno stato o di una persona? Secondo la
mia opinione esistono tre ragioni principali:

1.	La fragilità delle basi morali del capitalismo reputazio-
   nale. Il problema originario di questo capitalismo
   reputazionale è che si era creduto capace di stabilire
   un proprio sistema, sviluppando le sue regole, così
   come il capitalismo finanziario creò le proprie linee
   guida di ingegneria finanziaria. La fragilità sta in
   quella concezione della credibilità come prodotto
   creato secondo gli schemi con cui si sviluppano
   i prodotti nel consumo di massa, come un asset
   intangibile da sviluppare con tecniche moderne
                           25
di marketing e non etico rispetto a quei compor-
tamenti reali degli attori che potenziavano quella
credibilità commercializzata24. La realtà inventata,
che cercava di convertire la reputazione e gli asset
intangibili in denaro sonante e in valori contabili,
si scontrò contro la realtà di tutti i giorni dei direttivi
delle stesse corporazioni. Furoni i fatti a rompere
l’incantesimo, i sortilegi e le capacità delle tecniche
di marketing. Durante gli ultimi dieci anni sono via
via cadute imponenti entità di prestigio con prove
penali, scandalose appropriazioni, indescrivibili
dimostrazioni di megalomania e usura. Casi come
Enron, Madoff, Parmalat, Lehman Brothers e tanti altri
a livello mondiale e locale (basti ricordare i recenti
casi in Spagna – nel 2011 – di Casse di Risparmio
in vendita e fallimento) nei quali i dirigenti respon-
sabili del fallimento delle proprie imprese si orga-
nizzavano lussuosi ritiri multimilionari. La gente
scoprì che in modo sistematico questi fabbricanti
di anime (marche e intangibili) che si riempivano
la bocca di “responsabilità sociale”, falsavano i bi-
lanci, ingannavano nei risultati, creavano società
off shore per evadere le tasse, organizzavano liqui-
dazioni senza limiti per i responsabili di disastri
finanziari che rovinavano migliaia di investitori e
                           26
lavoratori e inoltre si comportavano con presun-
  zione e spacconaggine senza limiti. La finzione di
  una credibilità forzata a base di tecniche di marke-
  ting fracassò.

2.	Il peccato originale di affidare la valutazione della credi-
   bilità e della fiducia (la reputazione) ad agenzie private
   di “rating” (Moody´s, Standard & Poor´s, Fitch), e di
   dare valore di libri sacri ad alcuni, pochi, media globali
   e anglosassoni specializzati in informazione economica
   (The Economist, WSJ, Financial Times). Le agenzie
   che con il permesso del Governo USA valutano
   periodicamente, secondo una scala da loro sta-
   blita, governi, istituzioni o imprese non sono per
   niente innocenti. Vivono in permanenti conflitti
   d’interessi e si dedicano in maniera predominante
   a esercitare da lobbisti con le autorità di Washing-
   ton, che potrebbero promuoverle o ridurle. Vari
   rapporti di un istituto chiamato Sunlight Founda-
   tion lo dimostrano25. Warren Buffet, il legendario
   speculatore, è il primo azionista di Moody’s con
   il 12,47% attraverso Berkshire Hathaway Inc: un
   agglomerato che agglutina imprese vincolate con il
   settore energetico, le telecomunicazioni, l’edilizia,
   le assicurazioni e, soprattutto, prodotti finanziari;
                             27
David Rockfeller, patriarca della nota famiglia di
banchieri, è l’azionista di riferimento di McGraw
Hill attraverso la società Capital World Investor, pri-
mo investitore di Standard & Poor’s (12,31%) e se-
condo azionista di Moody’s (12,38%). Si calcolano
73 agenzie di rating distribuite per tutto il mondo,
però le tre grandi qui elencate coprono il 98% del
mercato mondiale con un cifra di affari prossima
ai 46.000 milioni di dollari americani nel 2011. In
un certo senso, le agenzie che valutano la capacità
di credito delle più importanti entità del mondo,
Stati inclusi, sono nelle mani di investitori con no-
tevole e dimostrata capacita speculativa: possono
di conseguenza giocare con le note di valutazione
a vantaggio dei loro propri interessi speculativi.
Non sembra, inoltre, che abbiano molta capacità di
predizione dato che hanno commesso grandi errori
come la valorazione massima, tripla A, dell’impresa
Enron alla vigilia della sua caduta. Gli esperti li ac-
cusano, anche, di leggerezza e poco successo nel
qualificare i prodotti finanziari non riflettendo con
frequenza il rischio degli investimenti. Negli ultimi
dieci anni questa trinità di capitali incrociati che ha
per azionisti persone, fondi e imprese che figurano
tra gli speculatori mondiali, investì oltre 16 milio-
                         28
ni di dollari americani in attività di lobbying verso
i legislatori nordamericani. Standard & Poor´s, per
esempio, ha fatto donazioni ai partiti per circa mez-
zo milione di dollari, il 65% ai democratici. Anche
Moody’s preferì i democratici a cui diede il 64% dei
113 mila dollari che donò ai partiti. Ambe società
hanno contrattato i migliori lobbisti disponibili per
operare nel Congresso e nel Senato: Tony Podes-
tà, lobbista ufficiale di grandi banche come Wells
Fargo e Bank of America, e Douglas Nappi, lobbis-
ta ufficiale dei gruppi di investitori come Freddie
Mac26. Hanno ottenuto che nella legge di riforma
finanziaria Dodd-Frank non appaiano le due misu-
re che, richieste dalla Securities and Exchange Comi-
sion (SEC) (la commissione della Borsa americana),
avrebbero dovuto riorganizzare il ruolo delle agen-
zie, considerate complici dirette della crisi del 2008:
la prima consisterebbe nell’obbligo di pagare per
negligenza nel caso di valutazioni manifestamente
sbagliate; la seconda sarebbe l’obbligo di far conos-
cere in tempo reale tutte le informazioni in suo po-
tere per evitare le informazioni privilegiate. Stiamo
parlando, in conclusione, di imprese con interessi
incrociati e obiettivi economici propri che godono
il privilegio di valutare stati, corporazioni e fisco, e
                        29
si muovono come debitori o creditori nel mercato
finanziario globale.

L’Autorità Europea dei Mercati (ESMA) a Parigi sta
studiando la forma di qualificare le agenzie di ra-
ting, specialmente le tre grandi (Standard & Poor´s,
Fitch y Moody´s) in un verdetto che si farà pubblico
ad aprile 2012. Sospettano irregolarità e proporran-
no, mediante un accordo politico UE e USA, il cam-
bio della normativa che riguarda tali agenzie per
limitare il loro potere27.

Qualcosa di simile succede con i gruppi editoria-
li. È da anni che i media si sono lasciati alle spalle
la responsabilità sociale e si muovono per i propri
obiettivi di redditività. È ovvio che per raggiun-
gere questi obiettivi devono affidarsi a metodolo-
gie d’informazione stabili e analisi inquadrate nel
giornalismo classico “di precisione”, ossia, di dati,
cifre e statistiche. I grandi media (The Economist
in primo luogo) operano fondandosi su pacchetti
di indici che il sistema da per validi, e dalla con-
giunzione e intersezione di tali indici pontificano,
giudicano, danno lettere di raccomandazione, umi-
liano o scartano alcuni e premiano altri. Il valore
                         30
reale di quegli indici è, però, interdetto. Il caso più
  discusso è quello del PIL (Prodotto Interno Lordo).
  Il PIL è una misura utile per valutare la potenza di
  un’economia monetaria però è suscettibile di esse-
  re facilmente ingannato: un disastro naturale, per
  esempio, che riduce il patrimonio però incrementa
  l’attività produttiva, aumenta il PIL, per cui questo
  indice in quel caso testimonierebbe l’incremento del
  benessere, ma occulterebbe il malessere e le perdite
  dovute al disastro. Esiste per questo motivo la ri-
  chiesta costante di nuovi indici capaci di raccoglie-
  re non solo la ricchezza monetaria ma anche l’uso
  che si fa di essa, che permettano di distinguere lo
  sviluppo sostenibile nel bene e nel male28.

3.	Il problema di essere “Maiali” (il “PIIGS Factor”): la ri-
   correnza di vecchie posizioni d’opinione che gli europei
   hanno gli uni degli altri; la permanenza di stereotipi che
   definiscono da secoli la reputazione delle diverse genti
   d’Europa. L’attuale struttura culturale degli europei
   nacque con il Rinascimento e si è mantenuta quasi in-
   colume nelle sue linee strutturali basiche, giusto fino
   al cambiamento che stiamo vivendo ai giorni nostri.
   Durante i due secoli di Rinascimento (1300-1500)
   l’Europa diede una svolta radicale ai suoi punti di
                            31
riferimento vitali. Dovette superare la perdita di fi-
ducia nelle istituzioni che aveva appoggiato durante
i dieci secoli anteriori, ossia, la perdita di credibilità
nella Chiesa Cattolica del suo tempo e nel sistema
teocratico da essa stabilito. I grandi titani del Ri-
nascimento si videro obbligati a cercare certezze e
punti di riferimento nuovi. Li incontrarono, da un
lato, nell’Umanesimo (Erasmo, Moro, Croce, della
Mirandola, Macchiavelli, etc.) e nell’individuo, que-
llo creato da Dio come creatura distinta e superiore a
tutta la natura, descritto da Pico della Mirandola (nel
“De Hominis Dignitate”)29. Dall’altro lato, cercando
la formulazione delle leggi fisiche dell’universo e de-
lla natura (Galileo, Copernico, etc.), trovando nuo-
ve certezze e punti di riferimento in un linguaggio
scientifico, nuovo, non teologico, matematico, nella
scoperta delle leggi dimostrabili, nello stabilire mas-
sime sui significati di tempo, spazio e movimento30.
E, infine, nella riformulazione delle “leggi naturali”
del Potere Politico: Macchiavelli propone Il Principe
come mito universale adattato a un’epoca di versati-
li commercianti e prepotenti signorie e re.

I primi punti di riferimento per la formazione della
reputazione degli europei hanno a che vedere con
                           32
la Riforma Protestante e la Controriforma Cattoli-
ca. È in questo scontro che si situa la prima fase nella
quale nasce la coscienza PIIGS. Le differenti mo-
narchie europee intervennero a pieno nei conflitti
religiosi (senza di loro non ci sarebbero state né la
Riforma Protestante né le guerre di religione) si-
tuandosi in differenti schieramenti: da una parte la
allora più potente, la monarchia ispano-germanica
dei Re Cattolici, insieme agli Austrias, che si allea-
rono con la Chiesa Cattolica e agirono decisamen-
te in suo favore. Dall’altra parte si situarono tutti
gli altri che avevano fatto sparire la Chiesa come
potere autonomo e potenziale avversario della co-
rona. In queste guerre di religione la propaganda
fu l’arma decisiva31. Da lì abbiamo ereditato un
buon numero di stereotipi. L’idea che la conquista
spagnola o portoghese in America fu uno stermi-
nio mentre quella inglese o francese no; l’idea che
l’Inquisizione fosse qualcosa intrinseco nella natura
degli spagnoli e non avesse nulla a che vedere con i
calvinisti o i protestanti (nonostante i francesi cele-
brino Santa Giovanna d’Arco); l’idea che è meglio un
re come Enrique VIII d’Inghilterra che abolisce la
libertà religiosa e manda alla forca tutto ciò che non
si sommette al suo potere assoluto, piuttosto che i
                        33
Re Cattolici che devono “sopportare” – e utilizza-
re – frati di tutti i tipi inviandogli lettere e reclami
sui diritti degli indios, abusi da parte dei rappre-
sentanti del re, etc.; l’idea che le truppe spagnole
dell’epoca erano assassini di bambini mentre i pira-
ti, bucanieri e trafficanti di schiavi inglesi meritava-
no l’onore del Re e sono considerati prototipi della
nazione inglese. E così via32.

Una seconda fase nel consolidamento della reputa-
zione europea ha luogo alla fine del XVIII secolo
con l’Illuminismo e la conseguente esplosione delle
Rivoluzioni Atlantiche. Questi movimenti politici
operano sul principio della razionalità. La ragione
– il linguaggio logico-scientifico considerato “natu-
rale” – è l’asse di riferimento e fonte di credibilità.
La rivoluzione industriale ha come protagonisti i
paesi anglosassoni e protestanti e la loro religione
razionalista rafforza il loro ambiente sociale scon-
trandosi con il “fanatismo” di altre religioni (le
tradizioniali), impersonate, ovviamente, dai paesi
dell’Europa meridionale (i cosidetti “PIIGS”).
L’etica del capitalismo industriale è finalista (impor-
tano di più i risultati dei principi), si adatta molto
bene alla rigidezza morale del calvinismo e al ri-
                          34
gore dell’ebraismo e opera fantasticamente con un
amoralismo metodologico che elimina semplicemente
il problema della responsabilità morale, giustifica-
to dalla teoria economica classica: la legittimazione
morale rimane esternalizzata, soggetta al diritto e
ad agenzie di valutazione di obiettività riconosciu-
ta, ossia, concordata . È più importante “apparire”
che “essere”34. È in quegli anni, a cavallo tra il XVIII
e il XIX secolo, che vengono brevettate da viaggiatori
francesi e inglesi le immagini della Spagna onnipre-
senti nel subconscio europeo: la Spagna è ballerini
di flamenco, gitani, Carmen, inquisitori, briganti di
strada, vecchie mangiatrici d’aglio, processioni re-
ligiose... immagini esattamente antitetiche rispetto
ai principi razionali e allo sviluppo industriale do-
minante, “progressista” e “del futuro”35.

Una terza fase di consolidamento delle reputazioni
ebbe luogo alla fine del XIX secolo con il nazionalis-
mo, le unioni nazionali di ampi territori europei e il
derivante colonialismo. La creazione di una nuova
nazione o l’integrazione di territori nuovi in uno
Stato ha bisogno ovviamente della creazione di una
coscienza. E la coscienza nazionale o coloniale del
XIX secolo (così come le marche nel XX) stabilisce
                        35
soprattutto le differenze, una nicchia differenziale.
Lo strumento decisivo per la creazione di questo
spirito diverso e d’integrazione è nuovamente la
propaganda, modernizzata adesso con media e
prodotti culturali di massa. Gli attori nazionalisti e
soprattutto gli stati si affidarono all’istruzione ob-
bligatoria e gratuita già stabilita, i giornali di mas-
sa, lo sport, la musica e presto il cinema, gli spetta-
coli di massa, etc36.

Queste tre fasi sovrapposte hanno riempito
l’Europa d’idee prefabbricate, di stereotipi riferi-
ti ai secoli passati dove dei popoli si sentono su-
periori ad altri e sono capaci di creare un mix di
illusione e disprezzo, attrazione e repulsione, im-
magini contraddittorie. Lo raccontava Goethe nel
1821 invidiando la nuova America: “Meglio stai tu,
America // che il nostro continente, il vecchio. // Senza
castelli caduti, // ne basalto da contemplare. // La vostra
mente non si preoccupa // da sempre fino alla vita quo-
tidiana // per ricordi inutili // e lotte infruttuose. // Usa
bene il presente e abbi fortuna // e quando i tuoi figli
comincino a scrivere poesia, // che in tutti i loro atti si
guardino bene // dalle storie dei cavalieri, // bandoleros
y fantasmi.”37
                            36
3. VIE D’USCITA ALLA CRISI DEL CAPITALIS-
MO REPUTAZIONALE.

A livello globale la crisi che scoppiò tra il 2007 e 2008
ha messo allo scoperto l’incapacità di gestione tanto
della socialdemocrazia quanto del neoliberismo. En-
trambi hanno tentato, per cavalcare il nuovo e potente
capitalismo globale, di smantellare a partire dalla metà
degli ottanta il “sistema misto” pubblico-privato, e di
conseguenza le istutizioni che sostenevano lo stato di
benessere (welfare), con il risultato di debilitare tutte le
strutture e nervi delle società avanzate38, e dar luogo a
un potere diluito senza alcuna rappresentazione effi-
cace39. Molte corporazioni, anche pubbliche però so-
prattutto private, si sono accorte di questa situazione
già da qualche anno. E hanno messo in moto strate-
gie di fuga o soluzioni molto diverse. Ritengo che sia
bene prendere in considerazione le quattro seguenti.

Verso un “Capitalismo Sociale”: cambiamenti ne-
lla percezione di Intangibili e Reputazione: più
gestione, più virtù e meno marketing. Il caso della
RSI (Responsabilità Sociale delle Imprese) a com-
parazione con la RSC (Responsabilità Sociale Cor-
porativa).
                            37
Il concetto di responsabilità, di onore, è un principio
originario della civilizzazione occidentale: basti vede-
re l’Iliade o alcune tragedie classiche. La prima formu-
lazione del concetto di “onore” appare nella Retorica di
Aristotele e, soprattutto, in Etica a Nicomaco. Definisce
l’onore come l’opinione che gli altri hanno del nostro
valore e della nostra dignità ed è il fattore che sta alla
base della partecipazione alla vita politica e pubbli-
ca; per questo motivo lo presenta come “il migliore
dei beni esterni”. Ciò nonostante, quest’opinione al-
trui non è niente se non è accompagnata dalla virtù.
L’opinione reale, quella che conta, non si limita alle
apparenze ma personifica la natura stessa dell’uomo,
l’onore costituisce il “premio alla virtù”40. Questa idea
di “onore come premium virtutis” (tradotto al latino da
Cicerone) ricorre in tutta la storia della filosofia: San
Tommaso d’Aquino presenta la virtù come causa uni-
ca dell’onore (“sola virtus est debita causa honoris”41),
così come è sua l’idea raccolta da Calderón che essen-
do la virtù qualcosa di spirituale, lo è anche l’onore,
“patrimonio dell’anima”. La stessa idea atraversa
tutto il medioevo, arriva all’Enciclopedia di Diderot
e D’Alambert, passa per Hobbes, Hume, Cartesio e
Kant. E soprattutto per Schopenhauer42. Nel suo breve
trattato Schopenhauer parla dell’Onore Cavalleresco
                            38
però parla soprattutto dell’Onore come opinione che
gli altri hanno di qualcuno. Costituisce il principio
basico delle relazioni della persona con i suoi simili
e, nelle sue diverse sottospecie, corrisponde sempre
ed esclusivamente allo sviluppo delle virtù persona-
li43. Virtù è realtà, fatti, risultati visibili e dimostrabili.
Comportamenti degni, per esempio. Questo è virtù:
più fatti, più gestione e meno marketing.

L’esaltazione della virtù come fondamento “spiri-
tuale” degli intangibili e causa esclusiva della repu-
tazione e dell’onore, comincia ad essere posta come
manifesto del potenziamento di un nuovo tipo di ca-
pitalismo sociale che si definisce come “impresa socia-
le” o Responsabilità Sociale delle Imprese (RSI). Questo
concetto e formula va molto oltre la Responsabilità
Sociale Corporativa (RSC), che fu più un prodotto del
marketing promozionale delle istituzioni. Si tratta di
un nuovo tipo d’impresa e di capitalismo fondato sui
seguenti principi:

1.	Si accetta che il profitto sia il principio basico e fon-
   damentale del capitalismo e dell’impresa però non
   è l’unico obiettivo, com’è successo negli ultimi 20
   anni di turbocapitalismo o capitalismo finanziario,
                             39
il quale ha inteso il risultato e la redditività a breve
  periodo come sua unica motivazione.

2.	Il capitalismo sociale che verrà potrà raggiungere
   profitti solo se si attiene a un secondo principio
   fondamentale, come premessa al primo (quello del
   profitto), che è quello di rispondere ad una reddi-
   tività sociale evidente e riconosciuta dagli utenti e
   dal mercato. Solo se è ecologico, solo se si produce
   con materiali e forme che non generino danno so-
   ciale (in salute, sicurezza, etc.), solo se offre pro-
   dotti e servizi di qualità standard a un prezzo com-
   petitivo e quindi socialmente stimabile, solo se si
   preoccupa del fatto che la sua offerta sia socialmen-
   te accettata, solo a quelle condizioni raggiungerà
   il primo obiettivo, quello del profitto. Capitalismo
   sociale o impresa sociale sarà quindi ciò che per ot-
   tenere profitto includerà come componente intrin-
   seca fattori di interesse sociale evidenti di diverso
   tipo: qualità riconosciuta, sicurezza, formazione,
   salute, comportamento individuale e ambientale,
   etc. Devono soddisfare la condizione che tali fattori
   di interesse sociale siano utili, visibili e suscettibili
   di essere misurati.


                             40
Esiste ovunque nell’Unione Europea una corrente
orientata verso questa direzione. In Spagna in concreto
è stato creato, con data 20 gennaio 2009, il Consiglio Sta-
tale della Responsabilità Sociale delle Imprese, allo scopo di
sviluppare nuove forme di collaborazione tra gli attori
sociali per rispondere alle sfide economiche, sociali e
ambientali che la crisi ha lasciato alle intemperie44. Ne-
lla stessa prospettiva, sempre in Spagna, ci sono inizia-
tive pubbliche e private interessanti come la creazione
delle Reti dei Territori Socialmente Responsabili (RETOS)
che cercano di attenersi a questa responsabilità sociale,
o come la recente Ley de Ciudadania Corporativa promos-
sa dalle tre Consejerías Sociales della Generalitat Valencia-
na (Immigrazione e cittadinanza, Benessere Sociale e
Commercio, Innovazione). Queste iniziative e linee di
sviluppo hanno, però, un problema basico: la mancan-
za di chiarezzza concettuale e di programmi visibili ed
efficaci di applicazione delle stesse45.

Recupero dell’Informazione come prodotto tangibi-
le o monetizzazione degli intangibili non finanziari:
brevetti e R&S.

Nella seconda settimana di novembre del 2011 la ON-
CIX, Office of the National Counterintelligence Executive
                             41
(Dipartimento USA di contro-intelligence), presenta
al Senato un rapporto nel quale accusa formalmente i
russi e i cinesi di spionaggio cibernetico46. Cinesi e rus-
si sono, secondo il rapporto, collezionisti aggressivi e
in concorrenza tra loro d’informazioni economiche e
tecnologiche, ottenute soprattutto attraverso il cybers-
pazio. L’obiettivo e l’interesse delle spie sta nelle atti-
vità di R&S (Ricerca e Sviluppo) negli USA, stimate
per un valore complessivo annuale di 400 miliardi di
dollari. Se venissero rubate le applicazioni e i brevetti
di queste attività di ricerca, la capacità d’innovazione
dell’industria americana diminuirebbe notevolmente
e, con essa, anche la sua competitività e produttività.

Quest’avvenimento segna una tendenza sempre più
visibile: la guerra per i brevetti e i risultati della R&S.
Credo che è oggi la guerra più impressionante tra le
corporazioni che giocano nel Campionato Mondiale:

1.	Guerra di Brevetti per il predominio nei contenuti per
   cellulari47.
   •	Processi legali in corso tra Apple, Nokia, Google,
     Microsoft, Sasmsung, Htc, Sony, etc.
   •	Google ha comprato Motorola (2011) per 12,5
     mila milioni di dollari: 17.000 brevetti più 7.500
                             42
in via di autorizzazione. In aggiunta ricevettero
    “anche una fabbrica di telefoni in regalo”.
  •	Novell (software) ha venduto (2010) 822 brevetti
    a 450 milioni di dollari (547 mila dollari l’uno).
  •	InterDigital, proprietaria di 1.700 brevetti di tele-
    fonia è nel mirino di Nokia e Apple.
  •	Kodak, fuori dal mercato digitale però con asset
    di proprietà intellettuale molto importanti, sta
    crescendo al 40% in borsa negli ultimi mesi e vale
    800 milioni di dollari.
  •	Alcatel-Lucent proprietaria di Bell Labs con 4.200
    brevetti, e motore dell’innovazione nelle teleco-
    municazioni dal 1920 si trova nella stessa situa-
    zione.
  •	La star è Qualcomm (California) astro dei chips
    per cellulari Android: un impresa “fabless”, sen-
    za fabbriche, solo proprietà intellettuale. Vale in
    Nasdaq 78 milioni di dollari.
  •	E naturalmente IBM: 40.000 brevetti attivi, a cui
    riconoscono 23 brevetti al giorno (poche settima-
    ne fa ha venduto a Google 1.000 brevetti per una
    cifra sconosciuta).


2.	Cambio nella natura e nell’importanza della Proprietà
   Intellettuale: Guerra per R&S.
                          43
La R&S genera TRE linee di profitto e di asset con-
solidati. Una è la sua prevedibile traduzione in
brevetti per un futuro sfruttamento economico. La
seconda è il consolidamento della credibilità dello
stato come centro di fonti dominanti di riferimento
e la sua conseguente traduzione in prestigio, repu-
tazione e fiducia. La terza è il buisness netto delle
fonti che accumulano conoscenza con tutte le pos-
sibilità di guadagno futuro e, inoltre e solitamente,
fanno pagare i ricercatori per la pubblicazione dei
loro lavori, giustificandosi con il valore aggiunto
che nei loro curriculum comporta la pubblicazione
in tali fonti di riferimento. È così che si spiega l’alto
interesse che sta acquisendo la R&S48:

•	La quota di citazioni scientifiche di origine USA
  è stata del 26% (2009) e del 21% (2010); Cina del
  4% (2001) e dell’11% (2010); UK del 7,1% (2009)
  e 6,5% (2010); l’Unione Europea del 28% (2009) e
  19% (2010).
•	I cinesi investirono nel 2001 l’1,44% del loro PIL
  e contavano con 890 mila laureati/anno; nel 2010
  il 2,5% del PIL e 1,7 milioni di laureati/anno. Ha
  superato il Giappone e UK per numero di pubbli-
  cazioni scientifiche ed è la seconda dietro USA,
                          44
che supererà nei prossimi anni.
  •	Considerando la frequenza con cui sono citati
    dagli altri studi scientifici, i cinesi retrocedono al
    sesto posto, alla pari con Canada o Italia.

Questa attitudine delle grandi corporazioni
dell’Industria e della Comunicazione annuncia il cam-
biamento che questa industria sta dando verso i
contenuti e la sua gestione e verso l’uso dominante
di piattaforme, canali e dispositivi orientati alla mo-
bilità. La parola d’ordine è “contenuti per dispositivi
mobili”. Però manifesta anche l’attitudine, che ci inte-
ressa maggiormente risaltare, verso la ricerca a ogni
costo di progetti, programmi, ricerche, proposte e
prodotti brevettati, ossia, con capacità evidente di es-
sere industrialmente e commercialmente sfruttati. Si
tratta di fare tangibili, redditizi, convertiti in moneta,
derivati dalla conoscenza e dall’informazione struttu-
rata. E questo, oltrettutto, non solo dentro il settore
della comunicazione ma coinvolgendo tutti i settori
industriali49.

Qualsiasi agente di beni e servizi intuisce che, per
superare la situazione attuale, deve investire in strut-
ture pensate e destinate ad interfacce e dispositivi
                           45
portatili, che permettano l’interazione attraverso le
Reti Sociali, la vendita attraverso il commercio elet-
tronico, l’apertura a tutte le possibilità offerte dalla
banda larga e il contatto diretto con l’utente finale.
Sono consapevoli di dover giocare in un territorio
controllato dagli operatori (provider) di banda larga e
sottomettersi all’oligopolio globale delle compagnie
di telecomunicazioni e alla capacità regolatrice delle
differenti autorità di controllo e intervento. Allo stes-
so tempo intuiscono che la gestione del loro buisness
si sta orientando verso la gestione dei contenuti, lo
sfruttamento delle piattaforme mobili e l’adattamento
di ogni tipo di prodotto creativo, d’intrattenimento e
informazione, alle possibilità offerte dai nuovi ter-
minali. D’altronde è impressionante il peso che, con
questa prospettiva, raggiunge l’informazione econo-
mica e scientifico-tecnica con implicazioni sociali e di
mercato maggioritario (pensiamo a salute, sicurezza,
educazione, trasporti, logistica, etc.). Si trasformano
(attraverso i brevetti e la R&S) nel primo asset intengi-
bile però tangibilizzato (brevetti) e monetizzabile facil-
mente (royalties e diritti d’uso). Queste informazioni
sono in realtà il risultato della gestione dei contenuti
nell’infinita abbondanza di dati, notizie, commenti
e opinioni che inondano la rete in modo tale che la
                            46
gestione delle informazioni tende a essere l’attività
dominante in ogni corporazione di ogni settore eco-
nomico.

Però questa tendenza incuba un fenomeno che va più
in là della tecnologia e ha a che vedere con il recupero
della conoscenza e dell’informazione come elemento
primordiale dello sviluppo. È la gestione della conos-
cenza e la sua offerta in prodotti tangibili monetizza-
ti, come lo sono le patenti o i programmi di ricerca e
sviluppo applicati. L’ipotesi é che la conoscenza sia
il principio basico dello sviluppo e l’informazione la
materia prima dello sviluppo economico della nuova
era. L’idea è avallata dalle ricerche in neurobiologia.
La gestione e la cura efficiente della vita è determina-
ta dall’informazione: persino gli organismi unicellu-
lari hanno capacità decisionali guidate da sensazioni
primordiali di piacere e dolore che generano informa-
zione. Negli organismi più complessi come l’umano,
il responsabile della gestione della vita è una cellula
nervosa denominata “neurone” che è capace di pro-
durre segnali elettrici e influire sulle altre cellule. Il
processo di gestione dei neuroni segue tre fasi: prima
si informano, dopo rispondono (con il movimento e
l’azione); nel mentre creano mappe del proprio corpo
                           47
e del mondo esterno, ossia, informazione organizzata,
ossia, conoscenza50. L’informazione è quindi il prin-
cipio della vita. Contrariamente a quello che abbia-
mo creduto per secoli sugli istinti basici dell’essere
umano (la sopravvivenza con l’uso della violenza, o
il sesso), il primo istinto è conoscere per sopravvivere
e gestire la propria sopravvivenza. Provocare quindi
quell’istinto, il conoscere, deve per forza essere il prin-
cipio dell’attività economica e di ogni attività sociale.
Però questa informazione primitiva è inseparabile dal
piacere (o dal dolore). Alla mente interessa solo ciò
che le produce allegria. Volontariamente l’individuo
aspira alla conoscienza perché, essendo parte della
sua composizione biologica, gli produce piacere (o
involontariamente si vede obbligato a sviluppare lo
stesso processo assediato dal dolore)51.

Lo “Slow” (Slow Life, Slow Communication)
come alternativa al concetto “Fast” dominante
nell’economia.

Osserviamo il settore dietetico. Pochi anni fa era do-
minato in modo assoluto da un’industria globale ne-
lla quale McDonald’s o Coca Cola erano le star. Era il
dominio della mentalità Fast Food. Questo settore è
                             48
oggi, però, molto diversificato incluso nel mondo glo-
bale: alternative naturali di erbe, di barrette o bevan-
de energetiche, di alimenti o bevande senza zucchero,
etc. È molto attaccato dall’offerta settoriale e locale tra
le quali spiccano la “cucina molecolare” (El Bulli) e,
soprattutto, la “cucina mediterranea”. Quest’ultima
è quella che ci interessa mettere in risalto. Perché la
cucina mediterranea è un’alternativa talmente distin-
ta al Fast Food al punto da proporsi come Slow Food.
Il Manifesto Slow Food (Slow Life) suggerisce, contro
la “pazzia universale della Fast Life”, di recuperare la
“ricchezza degli aromi della cucina locale” e propo-
ne come avanguardia “lo sviluppo del gusto e non il
suo impoverimento, la vera cultura come intercambio
internazionale nella storia, nella conoscenza e nei pro-
getti”52. Lo Slow Food corrisponde alla Slow Life, uno
stile di vita che proviene dal locale, dalle vecchie abi-
tudini territoriali, dal rispetto dei cicli naturali e delle
persone. E lo Slow Food sta avendo un successo a live-
llo globale che non ha tardato a passare ad altri am-
biti e abitudini umane come nel caso della Slow Life e
anche della Slow Communication. Anche questa ha un
suo Manifesto53 nel quale si introduce come elemento
di riferimento “l’attenzione”, della quale parleremo
più avanti. Sostiene Freeman che: “There is a paradox
                            49
here, though. The Internet has provided us with an almost
unlimited amount of information, but the speed at which
it works has deprived us of its benefits. Attention is one of
the most valuable modern resources. If we waste it on fri-
volous communication, we will have nothing left when we
really need it”. La “vita tranquilla”, la “comunicazione
tranquilla” sono l’antitesi della frivolezza, dei mondi
virtuali che non si fondano su realtà, dell’esperienza
personale contro la vita “nella nube”. Quest’idea de-
llo “Slow Journalism” si sta facendo spazio tra i media
d’elite. Il direttore del New Yorker, David Remnick,
presenta la sua rivista come esponente di questo Slow
Journalism, come antitesi di coloro che si occupano so-
prattutto di identificarsi con i risultati delle inchies-
te ai loro lettori e con gli interessi dei propri annun-
cianti: “se qualcuno mi dicesse che sa esattamente
quello che vogliono i lettori, gli pregherei di tenersi
quell’informazione per sé. Non mi interessa. Parla-
re di lettori non ha molto senso, perché dovremmo
considerarli uno a uno [...] Io spero che ogni numero
del New Yorker trovi il favore del maggior numero
possibile di lettori. Non perché abbiamo scritto quello
che loro aspettavano ma perché li abbiamo sorpresi,
appassionato, anche arrabbiato [...] (Vogliamo) offrir-
gli una visione nuova dei problemi, aprire, chissà,
                              50
qualche finestra nella loro mente, forse cambiare la
loro vita nel senso di visione, posizionamento [...]”54.

Si tratta di un modello imitabile nelle questioni che
stiamo trattando. È la “cultura del maiale” che permet-
te di rivendicare con giustizia il valore dell’Europa
meridionale.

Per tanto, tecnicamente, al parlare di “Slow” ci stiamo
riferendo a due aspetti che considero fattori essenziali
per lo sviluppo di una strategia locale che permetta
all’immensa maggioranza (che non compete nel Cam-
pionato Mondiale) di cercare delle vie d’uscita alla cri-
si. Un aspetto ha a che vedere con la riscoperta degli
altri, dell’intorno, di una vita condivisa con la calma
necessaria, senza dimenticare le possibilità che, nello
sviluppo di tale nicchia quasi uterina, le reti globali
possono offrire. L’altro aspetto ha a che vedere con la
gestione dell’informazione e della conoscienza.

Partendo da questa premessa si tratta di recuperare,
o creare, nicchie di azione basate su informazioni o
conoscenze specifiche. Esistono molti casi di impre-
se di successo che hanno seguito questo processo. Le
troviamo nel mondo dell’alimentazione o della moda,
                          51
ma anche nell’offerta di tuberie per la canalizzazione
dell’acqua o in tanti altri settori. Imprese che nascono
da una tradizione o da una ricerca che migliora aspet-
ti concreti di un’attività tradizionale e la offrono con
notevole successo.

L’uso della “attenzione” come fattore essenziale ne-
lle relazioni con gli utenti e clienti e come alternati-
va alla prepotenza della tecnologia IC (informazio-
ne e comunicazione).

L’importanza, il salto in primo piano, del concetto di
attenzione ha a che vedere con la sovrabbondanza de-
lle informazioni proporzionate dalla Rete. La grande
quantità d’informazione esistente fa sì che l’attenzione
sia la risorsa più scarsa nel mondo del buisness, più
scarsa del talento o della tecnologia55. Questa idea è il
fondamento del concetto di Slow Communication, cui
ci siamo riferiti prima56. È un fatto inconfutabile che
uno dei problemi fondamentali dell’attuale comuni-
cazione esterna e delle relazioni con gli utenti finali e
consumatori sta nell’interfaccia, nel punto di contatto
tra l’offerta e la domanda. Per questo il concetto di
attenzione si situa come fattore di maggior importanza
rispetto al semplice lavoro di selezione ed edizione
                            52
di tutto quello che inonda la Rete giornalmente. Per
questo considero che analizzando cosa sia l’attenzione
possiamo stabilire le caratteristiche di un’interfaccia
realistica tra i diversi attori che operano dentro e fuori
dalla Rete.

Prendendo come punto di riferimento Monticelli, che
fa una lunga digressione sulla presenza del concetto
attenzione nella filosodia occidentale57, possiamo defi-
nire l’attenzione come “la predisposizione interiore di
colui la cui intelligenza e cuore si trovano concentrati
nell’atto di fede viva, di adesione di tutto se stesso
alla comprensione e senso di ciò che percepisce”58. E
sono sue caratteristiche:
   •	La vigilanza o predisposizione a percepire tutto
     ciò che nel proprio intorno possa incrementare
     l’informazione e la conoscenza o essere utile alla
     soluzione di problemi o questioni non comprese
     fino a quel momento.
   •	La concentrazione, o capacità di selezione e sem-
     plificazione di concetti e la determinazione della
     mente nell’intellezione dell’essenziale
   •	La pazienza, o perseveranza, o capacità di as-
     pettare che l’intuizione diventi esplicita e che il
     nodo del semplice arrivi a sciogliersi e a essere
                           53
compreso. È il contrario della velleità, del lasciar-
    si trasportare dal vento, dell’attitudine oggi do-
    minante nell’uso della Rete e dell’informazione,
    che impedisce di arrivare alla conoscienza.
  •	Lontana da ogni “ismo” prefissato o ideologia.
    La capacità della mente di muoversi in qualsia-
    si direzione, senza limiti stabiliti da apriorismi
    ideologici o fanatismo spirituale.
  •	In una certa misura un dono che alcune persone
    possiedono. Secondo Leibniz, “atentio vera, do-
    num gratiae” e per Malebranche, “l’attenzione è
    la silenziosa preghiera del cuore”, “la capacità di
    concentrare l’interesse della mente nel cuore”59.

L’attenzione si contrappone a tutta una serie di per-
versioni60. Una perversione motivazionale che ci porta
a considerare ciò che è emotivamente vicino come
prioritario, durante le nostre analisi mentali. Una per-
versione dei comportamenti che ci porta a dare priorità
a ciò che è universalmente accettato dalla maggioran-
za, al politicamente corretto; Hannah Arendt etichetta
questa perversione come la “banalità del male” e il
“vuoto del pensiero” che si trova con frequenza nei
comportamenti umani più mostruosi. Una terza, la
perversione dell’amore o dissipatio mentis, che impone il
                            54
breve termine, un presunto profitto o piacere (amore)
immediato ed egoista (“esse diminutum” lo definisce
Sant’Agostino), rispetto agli interessi e benefici (amo-
re) consistenti e a medio/lungo periodo, unici capaci
di ordinare ed orientare una vita (“esse absolutum”).
Cipolla nel suo Trattato sulla Stupidità indica questa
perversione come il culmine, la cima, della stupidità
umana che consiste nel danneggiare se stessi e gli al-
tri per un motivo immediato, egoista e senza consis-
tenza61. L’attenzione è il contrario della dissipazione,
della dispersione, della distrazione della mente, di
tutto quello che trasforma la vita in una successione
continua di avvenimenti minori. L’attenzione è con-
centrazione.

                   CONCLUSIONI

La credibilità è qualcosa di radicato. Non è facile
cambiarla. Non è facile che i “Paesi Maiali” (i PIIGS
del The Economist) possano togliersi di dosso la repu-
tazione di poco affidabili rispetto ai paesi protestan-
ti dell’Europa settentrionale. Sempre che gli venga
bene, questi ricorreranno a vecchi stereotipi con i qua-
li si sentono comodi. Anche se convivere con questa
reputazione non può bloccarci. Per questo servono, io
                          55
credo, le proposte che abbiamo analizzato:
   •	Trasformare la Reputazione in Virtù. La Virtù in
     Azione, in fatti visibili e dimostrabili. Proporre
     fatti e risultati tangibili, prima, e solo in un secon-
     do momento passare al marketing.
   •	Lavorare dall’informazione organizzata, ossia,
     dalla conoscienza. Auspicandosi che questa pos-
     sa diventare asset intangibile che si converte in
     brevetti, banche dati, prodotti di R&S registrati e
     utilizzabili come innovazione e fattore di produt-
     tività ed efficacia.
   •	La sostituzione di comportamenti Fast propri
     dell’economia globale con comportamenti Slow,
     che corrispondono a uno stile di vita che parte
     dal locale, dalla conoscenza e dall’informazione
     ereditata dalle vecchie abitudini, dalla prossimi-
     tà, dal rispetto dei cicli della natura e dalla vita
     delle persone.
   •	Il ricorso all’attenzione come interfaccia efficiace.
     L’attenzione è il contrario della dissipazione, della
     dispersione, della distrazione della mente che tras-
     forma la vita in una sucessione continua di avve-
     nimenti minori. L’attenzione è concentrazione.
Soddisfando determinate condizioni, quindi, i “Paesi
PIIGS” possono riorientare il proprio futuro colletti-
                             56
vo. Secondo la mia opinione, queste condizioni, riferi-
te alla credibilità, all’onore, alla reputazione, alla fidu-
cia, devono fondarsi su radici antiche, non rinunciare
a ciò che si è stati e proiettarsi, a partire da nicchie
sicure di cose che sappiamo fare, verso un mondo e
un mercato con possibilità crescenti fino ad arrivare
in molti casi ad essere globali.

È l’intenzione di quest’analisi e di queste previsioni.

                         ANEXO

Digressione sull’importanza del maiale (PIIGS
Factor) e dell’Indice di Maiale pro Capite (IMC)
nell’economia europea e come punto di riferimento
nell’attuale crisi economica.

Grazie a Dio per aver creato il maiale, un animale utile a
tutti, nato per trasformare gli avanzi e i residui in mera-
vigliosi piatti, per essere universale e per niente classis-
ta, per essere ecologico, per niente razzista, e per essere
democratico e ottenere che in lui tutto sia utilizzabile.

È impossibile comprendere l’evoluzione economica
dell’Europa senza il maiale. Un maiale manteneva
                            57
a una famiglia durante un anno: un maiale era una
famiglia. Vari maiali rendevano una famiglia sicu-
ra, ricca e rispettabile. Le permettevano comprare
una vacca e un cavallo e comprare della terra. Non
sarebbe difficile stabilire una relazione statistica tra
“l’Indice di Maiale pro Capite” (IMC) e il Prodotto
Interno Lordo (PIL) di una famiglia, prima, di una co-
munità, poi, e di un regno o un impero, più tardi. Non
sarebbe difficile derivare dall’IMC l’accumulazione
dei beni e la trasformazione delle famiglie campesine
in borghesi. Né seguire l’evoluzione dell’IMC attra-
verso mattatoi, macellai e macellerie (punti vendita)
per marcare, partendo dal maiale, lo sviluppo delle
società urbane e di massa: non è forse stata la carne
di maiale, competendo con quella di pollo, l’alimento
proteinico popolare per eccellenza? La metodologia
di questa dimostrazione è consolidata62.

Però il maiale è molto più che un IMC. È l’animale
totem dell’Europa e della cultura di matrice europea,
del classicismo e del cristianesimo. La sua esistenza,
cura, riti d’attenzione, morte e preparazione di deri-
vati ci differenzia radicalmente dalle altre religioni
monoteiste, dai musulmani e dagli ebrei. È l’animale
di sostentamento degli dei63 e, allo stesso tempo, man-
                           58
tenimento basico dei pellegrini e punto di riferimento
per il ritorno a casa, per la fine del tragitto. L’Antico
Testamento lo denigra64 però il Nuovo Testamento
è la Nuova Legge (“Non è fatto l’uomo per la legge,
ma la Legge per l’Uomo”) e le sue norme di condotta
hanno a che vedere con le “beatitudini”65 più che con
il commercio alimentario.

È così che, a partire soprattutto dal Rinascimento, il
capitalismo stabilitosi come uno degli elementi che
definiscono la società occidentale integrò senza diffi-
coltà l’economia del maiale, e l’IMC sarebbe potuto
essere il suo indice di riferimento. Il capitalismo era di
fatto il prolungamento dell’economia e della società
del “libero arbitrio” o libertà individuale che gli uo-
mini, in diritto naturale, ricevevano in quanto figli di
Dio. La proprietà, la libertà di commercio, produzione
di beni, negoziazione, circolazione e mercato, la liber-
tà d’espressione, riunione, intercambio, distribuzione
e vendita, sono tutte prolungamenti dell’individuale
libertà66. È un errore comune negli economisti che stu-
diano l’età moderna non fare riferimento all’IMC67,
solo giustificabile con le influenze che su di loro ha
avuto l’evoluzione posteriore del capitalismo.


                           59
Il capitalismo ha sempre avuto la necessità di indici di
riferimento, di una giustificazione etica e di riferimenti
e strumenti di concretazione e misura. Sarebbe potuto
esserlo l’IMC. Il capitalismo stabilì con il cristianesimo
un compromesso semplice, risolvendo razionalmente
la questione critica dei tipi d’interesse (condannando
l’usura, propria delle tradizioni distanti dal maiale)
e stabilendo una relazione d’interesse non teologico
(donazioni o tributi), o teologico (indulgenze), con la
Chiesa di Roma. In questa tradizione l’IMC sarebbe
potuto essere un indice basico di riferimento e sugge-
riamo ai ricercatori di econometria che lo prendano in
considerazione68.

La prima alternativa a una possibile supremazia
dell’Indice di Maiale pro Capite (IMC) arrivò con la
Riforma e col Calvinismo. Forse Weber ha esagera-
to nel considerare il calvinismo come fattore decisivo
per lo sviluppo del capitalismo moderno però è certo
che la morale mercantile del protestantesimo radica-
le diede al capitalismo dei paesi dell’Europa setten-
trionale una formidabile legittimazione etica. Questa
legittimazione si plasma nella pratica in un’evidente
ipocrisia sociale e nel cinismo secondo cui le sofferen-
ze causate dal lavoro nelle fabbriche o nelle miniere
                            60
sono prova della grazia divina e garanzia di salvezza
eterna. O, in un passo più avanti: “non è necessario che
l’attore economico sia motivato da convinzioni mora-
li: è sufficiente che si comporti come se tali convinzio-
ni esistessero”69. Un esempio chiaro di questo cinismo
si vive oggi in Olanda: con una coscienza indubitabi-
le che i paesi dell’Europa meridionale siano “maia-
li” poco affidabili (la “cintura d’aglio”), gli olandesi
mantengono la produzione di maiale come supporto
basico della loro economia nazionale a tal punto da
avere seri problemi (di costi) con l’inquinamento del
suo piccolo territorio di purina, ammoniaca e cattivi
odori (accumulazione di merda di maiale)70.

Una seconda alternativa alle frustrate possibilità
dell’IMC come indicatore dello sviluppo sostenibile
è venuta dagli Stati Uniti dove la rigidezza morale
calvinista, propria dei primi immigrati si sommò allo
spietato rigore della minoranza ebraica, fuse ambe
tendenze nel culto comune del vecchio testamento.
Questa fusione diede luogo a un’etica capitalista di
taglio fordista e finalista: l’etica si misura attraverso
i risultati e il processo di misura con regole e norme
avallate da un’autorità esterna. In questa linea ha pre-
valso la teoria economica classica, da Adam Smith
                          61
a Walras o Pareto un amoralismo metodologico che
elimina semplicemente il problema della responsabi-
lità morale. La legittimazione etica del capitalismo sta
nella motivazione individuale (“la felicità dell’uomo
sembra sia stato l’obiettivo originale dell’Autore de-
lla natura” giustificò Adam Smith). La legittimazione
morale rimane esternalizzata, soggetta al diritto e alle
agenzie di valutazione d’obiettività riconosciuta, os-
sia, accordata71.

Sostiene Paul Krugman, nella sua critica
all’amministrazione Bush, che negli anni novanta
questa posizione portò a un capitalismo estremamen-
te immorale, che si diffuse invadendo tutti i settori
sociali e inondando tutta la coscienza sociale, influen-
do nella scomparsa di qualsiasi regola di decenza nei
comportamenti, eliminando inibizioni e credenze,
dando per antiquato e conformista tutto ciò che ha a
che vedere con il rispetto degli altri e il comportamen-
to civico72.

E così siamo arrivati alla situazione attuale. Il maia-
le continua ad essere in Europa l’animale totem: è la
carne preferita degli europei nella sua totalità73. Non
si capisce perché non appaia come simbolo della ban-
                           62
diera europea e non si capisce perché gli economisti
non considerino l’IMC (Indice di Maiale pro Capite)
come fattore decisivo dello sviluppo sostenibile e, so-
prattutto, come fattore di credibilità. Inoltre i paesi
ufficialmente non cattolidi dell’Europa settentrionale
sono produttori di maiale per eccellenza: Germania
aveva censito nel 2009 casi 27 milioni di unità suine,
equivalenti al 18,3% di tutta la produzione europea;
Olanda – un caso insolito per via della sua dimensio-
ne e per i problemi con la merda di maiale – aveva
in quella data più di 12 milioni di unità, equivalenti
all’8,5% di tutta la produzione europea. Ciò nonos-
tante, i grandi paesi cattolici (Spagna, Italia, Porto-
gallo, Irlanda e includiamo Grecia per completare)
arrivavano nel 2009 a un totale di 37 milioni di unità,
equivalenti appena al 26% del censo totale europeo74.
Poco per essere dei “PIIGS”.

E con queste cifre e cinismo, i portavoce dominanti
dell’economia mondiale chiamando “maiali” i paesi
europei cattolici del sud, col significato di “poco affi-
dabili”, meno degni di essere comprati (o mangiati),
con poco futuro, ai quali bisogna prestare il denaro
con un interesse più alto, nonostante il suo debito es-
tero sia inferiore ai cosidetti paesi “waps” (per modo
                          63
di dire). Parlando del debito estero, e ad eccezione di
Grecia e Italia le cui cifre sono al di sopra del 100%
del proprio PIL, il resto dei paesi europei si mantiene
su cifre controllabili, però Francia, Alemania, Regno
Unito o Olanda mantengono le proprie percentuali
un 10% superiori al debito spagnolo75.

Lo smantellamento morale ha dabilitato le difese del
capitalismo che gioca esclusivamente con indici di
fiducia lontani dalla realtà. Con la credibilità (“cre-
do”) e la fiducia si può fare qualsiasi cosa: la crisi del
“credo” sta comportando l’inverno dell’economia
occidentale, sotterrata da enormi scandali conosciuti
e basati sulla fiducia: Lehman Brothers, Enrom, Par-
malat e tanti altri.

Per questo rivendichiamo l’ICM (Indice di Maiale pro
Capite) come indice di credibilità alternativo e di fi-
ducia crescente.

Confido che siate d’accordo con me.



                                            Grazie mille


                            64
NOTE
1 Secondo uno studio pubblicato dal Real Instituto Elcano e basato nei
dati del rapporto Reputation Institute per il 2011, la marca España avrebbe
perso, tra il 2009 e 2011 (specialmente in quest’ultimo anno), la metà del suo
valore sui mercati. Il deterioramento della “marca” España è simile a quello
sofferto da Irlanda e Portogallo, paesi che son dovuti essere riscattati dalla
UE. In questo senso, gli autori dello studio concludono che questa sfortuna
non si basa tanto sui fatti palpabili, quanto sull’evoluzione delle agenzie
di rating Moody’s, Fitch e Standard & Poor’s, e, ancora di più, sull’effetto
contagio dell’etichetta PIIGS. L’etichetta PIIGS è parte del problema,
essendosi trasformata in“ una profezia che autodetermina”. Letto in http://
www.ipmark.com/noticia/11592/EMPRESAS/marca-espa?a-torpedeada-
etiqueta-piigs.html (consultato il 12 /12/2011).
2 KEYNES,J.M., Teoría General sobre el Empleo, el Interés y la Moneda (The
General Theory of Employment, Interest and Money, Macmillan, Londres), 1936,
cap. 12; SIMMEL, G., The Philosophy of Money, Routledge, Londres, 1978,
pp.178-9 y 480.
3 SOROS, G., The Crash of 2008 and What It Means, Public Affaris, Nueva
York, 2009; STIGLITZ, J., To Choose Austerity is to Bet It All on the Confidence
Fairy in http://www.guardian.co.uk/commentisfree/cifamerica/2010/
oct/19 (consultato il 24/10/2010).
4 RUFFOLO, G., Lo specchio del diavolo: la storia dell’economia dal Paradiso
terrestre all´Inferno della finanza, Ed. Einaudi, Turín, 2006, V.
5 STIGLITZ, J.E., Los felices 90. La semilla de la destrucción, Taurus, Madrid,
2003; KRUGMAN, P., La deriva americana, Laterza, Roma, 2004.
6 GREENSPAN,A., The Age of Turbolence: Aventures in a New World, Penguin
Press, Londres, 2007; GALBRAITH, J.K., Breve Historia de la euforia financiera,
Ariel, Barcelona, 2011; PEYRELEVADE, J., Le capitalisme total, Ed. Seuil,
Paris, 2005.
7 KOTLER, Ph., Los 10 principios del nuevo marketing in http://www.slideshare.
net/oliver.barreto/philip-kotler-los-10-principios-del-nuevo-marketing-presentation
(consultato il 20/10/2011).
8 Un’analisi dettagliata di questo processo in: TIMOTEO Álvarez, J., Il potere
diluito, chi governa la società di massa, Rubbettino, Bari, 2007.
9 MINC, A., La mondialisation hereuse, Plon, Paris, 1997.
10 ROGGERO,G.A.(ed.), Le Relazioni Pubbliche, FrancoAngeli, Milano, 2002;
VECCHIATO,G.,(ed.), Relazione Pubbliche e Comunicazione, FrancoAngeli,
Milano, 2003.
11 MOORE,P., «Rethinking the Idea of Profit in Professional Communication and
Cultural Capitalism», Journal of Business and Technical Communication,


                                       65
April 2004, viol.18, nº 2: 233-246.
12 MARTIN, G.S. y BROWN, T.J., «In search of brand equity: The
conceptualization and measurement of the brand impression construct»; Marketing
Theory and Applications ; vol.2 (1990) pp. 431-438; BARWISE, P.; HIGSON,
C.; LIKIERMAN, A. y MARSH, P.: «Brands as separable assets»; Business
Strategy Review; ( 1990); pp. 43-59; AMBLER, T. y STYLES,C. «Brand equity:
Towards measures that matter»; PAN’AGRA Working Paper, London Business
School (1995), n.º 902.
13 FELDWICK, P., «Do we really need ‘brand equity?»; Journal of Brand
Management; vol.4 (1996),nº 1, pp.9-29.
14 CZELLAR, S., «Capital de marque: Concepts, construits et mesures»; Cahier
de recherche, 97/16 (1997), Section des Hautes Etudes Commerciales,
Université de Genève; RIO, A.B., VAZQUEZ,R., IGLESIAS,V., «El valor de
marca: perspectivas de análisis y criterios de estimación» Cuadernos de Gestión
Vol. 1. N.º 2 (2002),PP.87-102.
15 SIMON, C.J. y SULLIVAN, M.W.,«The measurement and determinants of
brand equity:A financial approach»; Marketing Science; vol. 12, (nov.1993),
pp. 28-52; MURPHY,J., (ed), Brand Valuation:Establishing a Truth and Fair
View,The Interbrand Group, Londres, 1993.
16 KELLER, K.L., «Strategic brand management. Building, measuring and
managing brand equity»; Prentice Hall, New Jersey, 1998; ERDEM, T. y SWAIT,
«Brand equity as a signalling phenomenon»; Journal of Consumer Psychology;
vol. 7,(1998) n.º 2; pp. 131-157.
17 RIO, A.B., VAZQUEZ,R., IGLESIAS,V., «El valor de marca: perspectivas de
análisis y criterios de estimación », Cuadernos de Gestión Vol. 1. N.º 2 (2002),
pp.87-102.
18 CHAY, R.F., «How marketing researchers can harness the power of brand
equity»; Marketing Research; 9 (1991); pp. 30-37.
19 RIO,A.B., art cit. p.92.
20 Ibidem, TIMOTEO Álvarez, J., Il potere diluito, chi governa la società di massa,
Rubbettino, Bari, 2007.
21 Attualmente il Global Reporting Initiative sta lavorando all’integrazione
dell’informazione financiaría e la non financiaría in un unico documento.
Per questo motivo ci si aspettava che durante la riunione del G-20 in Cannes
(novembre 2011) venisse presentato una prima bozza peri il primo disegno
dell’informazione corporativa in questo senso. Non è stato presentato.
22 Il Monitor Europeo di Comunicazione 2010 pone come manifesto che
solo un quarto dei responsabili europei della comunicazione controllino
l’impatto delle attività di comunicazione sui pubblici strategici. Tenendo in
considerazione anche il fatto che con molta frequenza i rapporti vengono
elaborati dalle imprese stesse. Sembra evidente che il sistema di misura è
molto lontano dall’ideale.

                                         66
23 Indicatori specifici finanziari, indicatori d’impiego, di sostenibilità e
RSC come il Dow Jones Sustainability Index, l’indice IBEX RSC di KPMG,
il rapporto di Forética, The Great Place to Work de TGPW Institute, etc., che
non terremo qui in considerazione per via della sua specificità rispetto agli
indicio di reputazione e valore di marca che considerano gli intangibili in
maniera più globale.
24 FERGUSON, N., Dinero y Poder en el mundo moderno 1700-2000, Ed. Taurus,
Madrid, 2001, pp. 467ss. Dagli anni 60 circola una letteratura nella quale la
reputazione è il valore attivo dominante: Howard L. Myers, All around the
Universe; Iain M. Banks, The Algebraist; Jack Vance, The Moon Moth. Il caso più
interessante è quello di Cory Doctorow che nel suo romanzo del 2003 Down
and Out in the Magic Kingdom, ha teorizzato l’arrivo di “whuffie”. Whuffie è
un sistema di valutazione reputazionale che sostituisce la moneta e permette
beni e servizi di alto livello.
25 http://reporting.sunlightfoundation.com/2011/credit-rating-agencies/
(consultato in ottobre 2011).
26 Anupama Narayanswamy, Dodd Frank: How rating agencies constributed
to the financial crisis, Sunlight Foundation Repporting Group, 15 novembre
2011.
27 Il 6 dicembre 2011, un paio di giorni prima che si riunissero i leader dei
paesi dell’Eurozona per presentare una strategia congiunta di uscita dalla
crisi, Standard & Poor’s minaccio a 15 dei 17 paesi d’Europa con ribassar loro
la classificazione. Questo annuncio in quella data è stato considerato per gli
europei come un’azione politica, un’intervento disinformatore e inaccettabile.
L’agenzia cerca in questo modo di farsi notare e farsi pubblicità, ossia,
salvaguardare i propri interessi danneggiando a terzi. Vedere i quotidiani
del 7 dicembre 2011.
28 Il gruppo Beyond-Gdp si dedica nell’Unione Europea a sviluppare, tra altre
cose, sistemi di misurazione del benessere (“progress, true wealth, well-being
of nations”) dall’anno 2007. Nel novembre di quest’anno ebbero una prima
riunione durante la quale riconobbero che “il PIL in aumento può occultare
considerevoli perdite di ricchezza e benessere”; menzionarono come esempio
l’aumento di produzione che può ottenere uno stato dove sia permesso il
lavoro infantile. O il riflesso positivo che un disastro naturale può avere sulle
statistiche di crescita grazie ai lavori di ricostruzione. (www.beyond-gdp.eu)
(consultato il 20/10/2011).
29 Dio ad Adamo: “Non ti ho dato o Adamo né un posto determinato, né un
aspetto proprio, né alcuna prerogativa tua, perché quel posto, quell’aspetto, quelle
prerogative che tu desidererai, tutto secondo il tuo voto e il tuo consiglio tu ottenga
e conservi.
La natura determinata degli altri è contenuta entro leggi da me prescritte. Tu
determinerai la tua natura da nessuna barriera costretto, secondo il tuo arbitrio,

                                         67
alla cui potestà ti consegnai. Ti posi nel mezzo del mondo perché di là meglio tu
scorgessi tutto ciò che è nel mondo. Non ti ho fatto né celeste né terreno, né mortale
né immortale, perché di te stesso quasi libero e sovrano artefice ti plasmassi e ti
scolpissi nella forma che avresti prescelto. Tu potrai degenerare nelle cose inferiori
che sono i bruti; tu potrai secondo il tuo volere rigenerarti nelle cose superiori che
sono divine”.
30 FLETCHER,A., Time, Space and Motion in the Age of Shakespeare, Harvard
Univ. Press, Londres, 2007.
31 SCHULZE, I., La Leyenda Negra de España: Propaganda en la Guerra de
Flandes 1566-1584. Ed. Complutense, Madrid, 2008.
32 BARZUN,J., Del amanecer a la decadencia: quinientos años de vida cultural en
Occidente. Ed. Taurus, Madrid, 2001, pp.29-157.
33 STIGLITZ, J. E. Los felices 90. La semilla de la destrucción. Taurus, Madrid,
2003
34 HIRSCHMAN,E.C., «Aesthetics, Ideologies and the Limits of the Marketing
Concept», in Journal of Marketing, XLVII, 1983, nº 3, pp.45-55.
35 BARZUN, J., Del amanecer a la decadencia. pp.537.
36 MOSSE, G.L., La nacionalización de las masas: simbolismo político y movimientos
de masas en Alemania desde las Guerras Napoleónicas al Tercer Reich, Marcial
Pons Ed., Madrid, 2005; MACKENZIE, J.M.,(ed.), Imperialism and Popular
Culture, Manchester University Press, 1986.
37 Recogido por BARZUN, J., Del amanecer a la decadencia, p.750.
38 BERTA,G., Eclisse della socialdemocrazia, Il Mulino, Milano, 2009.
39 TIMOTEO, Álvarez, J., Il potere diluito, chi governa la società di massa,
Rubbettino, Bari, 2007, pp.248-291.
40 ARISTÓTELES, Etica a Nicómaco, IV, 7, 1123 b, 20-21 y 35.
41 Summa Teologica, II, ii,q.63,a.3.
42 SCHOPENHAUER, A., El arte de hacerse respetar expuesto en 14 máximas o
Tratado sobre el Honor, Alianza Ed., 2004.
43 Schopenhauer usa come premessa al suo Trattato una massima di Baltasar
Gracián che raccoglie perfettamente la definizione: “Lo bueno, si breve, dos
veces bueno; // y aún lo malo, si poco, no tan malo: // más obran quintas esencias,
que fárragos”.
44 Il CERSE è costituito da vari ministeri ed integrato con organizzazioni
sociali: patronali, sindacati, ogn, etc. Il suo capo è il direttore generale di
Economia Sociale e RSI del Ministero del Lavoro.
45 Un chiaro esempio di questa confusione si trova nel dossier «La
Responsabilidad Social Corporativa en la encrucijada» pubblicato su
Telos:Cuadernos de Comunicación e Innovación, Fundación Telefónica, nº
19 (abril-junio 2009), pp.50-143.
46 ONCIX (Office of the National Counterintelligence Executive), Foreing
Spies stealing US Economics secrets in Cyberspace. Report to Congress 2009-2011.

                                          68
October 2011.
47 Le informazioni qui raccolte sono apparse nei media economici.
Come riassunto fare riferimento: http://www.bbc.co.uk/mundo/
noticias/2011/10/111024_celulares_guerra_patentes_apple_microsoft_
samsung_iphone_nokia_jg.shtml (consultato 10/11/2011); http://www.
elpais.com/articulo/primer/plano/Guerra/patentes/elpepueconeg/20110
821elpneglse_1/Tes. (consultato 10/11/2011).
48 ROYAL SOCIETY: “The Scientific Century: Securing our future Prosperity”.
Londres, Marzo 2010. http://royalsociety.org/policy/publications/2010/
scientific-century/ (consultato 12/11/2011).
49 Tim O´Reilly, Economía y Ecosistema de Contenidos nella FICOD (Feria
Inernacional de Contenidos: novembre 2011) in http://www.ficod.es/
ficod/sesion-prenaria/inauguraci-n-ficod-2011-tim-o-reilly-econom-y-
ecosistemas-de-contenidos?t=1321971005533 .
50 DAMASIO, A., Y el Cerebro creó al Hombre, Ed. Destino, Madrid, pp.
61-112.
51 Si tratta di un vecchio aforisma platonico: “In quippe animus pascitur, unde
laetatur” (S. Agustín, Confesiones, XIII, 27.42); “la mente si nutre di ciò che la
rallegra”.
52 http://slowfood.es/manifesto-de-slow-food/ (consultato il 10/11/2011).
53 FREEMAN, J., Not So Fast: a Manifesto for Slow Communication, TWSJ,
Ausgust, 21, 2009.
54 Intervista ne Il Sole 24 Ore, 24 Abril 2011, n.17. New Yorker vende (Abril
2011) 1.024.882 copie alla settimana: 994.274 per abbonamento e 32.608 nelle
edicole, con 2.5 millones di visite online al mese.
55 DAVENPORT, T.; BECK, J., The Attention Economy: Understanding the New
Currency of Business, Harvard Business School Press, 2001
56 FREEMAN, J., Not So Fast: a Manifesto for Slow Communication, TWSJ,
Ausgust, 21, 2009.
57 MONTICELLI, R. L´Allegria della Mente: Dialongando con Agostino,
Mondadori, Milán, 2004, pp.151-183.
58 Citato da Monticelli, o.c., pp.157, riferito al libro di P.Michel, Lessico del
deserto.
59 MONTICELLI, R. L´Allegria della Mente: Dialongando con Agostino o.c.,
pp.159.
60 MONTICELLI,R. L´Allegria della Mente: Dialongando con Agostino
o.c.pp.162.
61 CIPOLLA, C.M., Allegro ma non troppo, Ed. Crítica, Barcelona, 2007: “Las
leyes fundamentales de la estupidez humana” (pp. 57-103).
62 Basta seguire il metodo santificato da CIPOLLA, C.M., Allegro ma non
troppo, Ed. Crítica, Barcelona, 2007: “Il ruolo delle spezie (e del pepe in
particolare) nello sviluppo economico del medioevo” (pp.13-57).

                                      69
63 Homero, Odisea, Canto XIV: ”Ei, la riva lasciata, entrò in un’aspra Strada,
e per gioghi e per silvestri lochi Là si rivolse, dove Palla môstro Gli avea
l’inclito Eumèo, di cui fra tutti D’Ulisse i miglior servi alcun non era, Che i
beni del padron meglio guardasse. Trovollo assiso nella prima entrata D’un
ampio e bello ed altamente estrutto Recinto, a un colle solitario in cima. Il
fabbricava Eumèo con pietre tolte Da una cava propinqua, e mentre lungi
Stavasi Ulisse, e senz’alcun dal veglio Laerte, o da Penelope, soccorso:
D’un’irta siepe ricingealo, e folti Di bruna, che spezzò, quercia scorzata
Pali frequenti vi piantava intorno. Dodici v’eran dentro, una appo l’altra,
Comode stalle, che cinquanta a sera Madri feconde ricevean ciascuna. I
maschi dormìan fuor, molto più scarsi, Perché scemati dall’ingordo dente
De’ proci, a cui mandar sempre dovea L’ottimo della greggia il buon custode.
Trecento ne contava egli, e sessanta […]”.
64 Deuteronomio 14:3-8 : “Non mangerai cosa alcuna abominevole. Questi sono gli
animali dei quali potrete mangiare: il bue, la pecora e la capra; il cervo, la gazzella,
il daino, lo stambecco, l’antilope, il capriolo e il camoscio. otrete mangiare d’ogni
animale che ha l’unghia spartita, il piè forcuto, e che rumina. Ma non mangerete [...]
il porco, che ha l’unghia spartita ma non rumina; lo considererete come impuro. Non
mangerete della loro carne, e non toccherete i loro corpi morti. […]”.
65 SAN MATTEO 5, 3-10: “Beati i poveri in ispirito, perché di loro è il regno
de’ cieli. Beati quelli che fanno cordoglio, perché essi saranno consolati. Beati
i mansueti, perché essi erederanno la terra. Beati quelli che sono affamati
ed assetati della giustizia, perché essi saranno saziati. Beati i misericordiosi,
perché a loro misericordia sarà fatta. Beati i puri di cuore, perché essi
vedranno Iddio. Beati quelli che s’adoperano alla pace, perché essi saran
chiamati figliuoli di Dio. Beati i perseguitati per cagion di giustizia, perché
di loro è il regno dei cieli”.
66 CERVANTES, Don Quijote: II, 58: “La libertà, Sancho, è uno dei più
preziosi doni che agli uomini diedero i cieli; con essa non possono igualarsi
i tesori que nasconde la terra o ricopre il mare; per la libertà, così come per
l’onore, si può e si deve avventurare la vita, e, contrariamente, la prigionia è
il maggior male che possa venire agli uomini”.
67 BRAUDEL, F., (1979) Civilización material, economía y capitalismo, Madrid,
1984 Alianza Editorial, 3 vols.; POLANYI, K. (1944): La gran transformación,
Fondo de Cultura Económica, México,.1991.
68 La teorizzazione della simbiosi tra cattolicesimo e capitalismo si attribuisce
a Jean Bodin, consigliere del Re Enrique II nel secolo XV: “extraño hijo de un
tiempo maquiavélico, un espíritu antiguo que observa el presente para escrutar el
futuro. Y el futuro es un mundo en el que el trabajo se someterá a objetivos de riqueza.
Se llamará capitalismo. Para que este proceso tenga lugar hay que liberarlo de todo
impacto del pasado: la tradición (la moral), los sentimientos, las pretensiones de los
hombres de controlar su destino: es necesario someterse a las leyes soberanas del

                                           70
Mercado […]”. Erano anni di terribili guerre di religione e in esse “el terrible
dios tirano de los calvinistas no es otra cosa que la resurrección del viejo
dios hebraico del Exodo”. RUFFOLO, G., Il capitalismo ha i secoli contati,
Einaudi, Turín, 2006,pp.255ss.
69 HIRSCH, F., Los límites sociales al crecimiento, Fondo de Cultura Económica,
Mexico 1985.
70 In Olanda la produzione del maiale contribuisce in maniera sostanziosa
all’economia nazionale in termini di impiego ed esportazione di prodotti.
Nel 2009 la popolazione totale di maiali era di 12.108.000. Esistono circa
3.500 allevamenti di maiali (dato Eurostat 2007), concentrate in maggioranza
nell’est e nel sud del paese, generando gravi problemi di stanziamento di
purina, emissioni ammoniache e cattivi odori, e controllo della salute e
benessere animale. Cfr. SANCHEZ ORTEGA, A., Modelización de un sistema
de compostaje y evaporación de purines de cerdo, Escuela Técnica Superior de
Ingenieros Agrónomos, Universidad Pública de Navarra, Febrero 2011.
71 STIGLITZ, J.E., Los felices 90. La semilla de la destrucción, Taurus, Madrid,
2003.
72 KRUGMAN, P., La deriva americana, Laterza, Roma, 2004.
73 Il consumo di carne suina rappresenta circa il 50% del totale della UE-25,
con un livello individuale di 42,2 kg. È diminuito di oltre un 2% tra il 2003 e
il 2005. Nei paesi della ex UE-15, oscilla intorno ai 43 kg dal 1999, influenzato
principalmente dalle fluttuazioni del ciclo di produzione suina. Si trova in
fase di recessione dal 2004, e si situa oggi su un 3% meno, rispetto al suo
livello massimo del 1999. Dal 1999 sta retrocedendo in Francia, Germania
e, in misura minore, in Spagna, mentre in Regno Unito e specialmente in
Italia è aumentato. Nei nuovi membri il livello medio di consumo è quasi
paragonabile a quello della ex UE-15 (41,5 kg). Si trova in aumento da due
anni, in particolare, in Polonia il cui ampliamento ha ridotto leggermente la
tendenza al ribasso nella UE. Vedere: www.3tres3.com/buscando/consumo-
de-carne-en-europa_1658/ (consultato il 20/10/2011).
74 El Sector Cárnico en Cifras. Dirección General de Agricultura. Generalitat
de Cataluña, 2010. Ver: www20gencat.cat. (consultato il 20/10/2011) .
75 Debito estero dei paesi europei: http://www.deudaexterna.es/los-paises-
europeos-con-mas-deuda/ (consultato il 20/10/2011).




                                      71
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Onestà è Sviluppo - Jesús Timoteo Álvarez

  • 1. Jesús Timoteo Álvarez ONESTÁ É SVILUPPO Credibilità e Fiducia nella Crisi del Capitalismo Reputazionale Con una digressione sull’importanza del maiale (PIIGS Factor) nell’economia europea 1
  • 2.
  • 3.
  • 4.
  • 5.
  • 6. © Jesús Timoteo Álvarez Consultores Quantumleap & Partners C/ Velázquez 31, 5º derecha 28001 Madrid - España Tel: (+34) 91 781 80 90 Fax: (+34) 91 781 80 91 cqlp@cqlp.es www.cqlp.es ThinkCom Instituto de Pensamiento Estratégico Ciencias de la Información. Universidad Complutense Avda. Complutense s/n Ciudad Universitaria: 28014 Madrid Tel. 913942131 / 609232196. Contacto: Jesús Timoteo www. Thinkcom.es Gennaio 2012 Traduzione: Marco Nurra Impresión: Emelar Artes Gráficas, S.L.
  • 7. Jesús Timoteo Álvarez ONESTÁ É SVILUPPO Credibilità e Fiducia nella Crisi del Capitalismo Reputazionale Con una digressione sull’importanza del maiale (PIIGS Factor) nell’economia europea
  • 8.
  • 9. La crisi attuale si legge come crisi finanziaria, in- nanzitutto, e dopo come crisi di credibilità, facen- do normalmente dipendere la seconda dalla prima. L’argomentazione che si utilizza termina essendo contraddittoria, un ossimoro. Con le mie risorse sempre scarse (finanze) posso permettermi solamen- te il lusso di comprare a un fornitore che sia assolu- tamente affidabile; le perdite che posso soffrire pres- tando denaro a un debitore disonesto sono molto maggiori che l’ipotetico profitto che può derivare da un prestito a un debitore onesto. È giusto. Però cosa viene prima, la fiducia e l’onestà del fornitore e del 9
  • 10. debitore o la qualità del prodotto e la capacità reale di restituire il prestito? Il problema, insomma, è se sia più importante la fiducia o l’economia reale e la qualità del prodotto1. Quello che ci interessa adesso è risolvere il para- dosso, la funzione della credibilità nell’attuale crisi economica. Per far ciò, dividiamo il lavoro secondo una sequenza lineare stabilendo: primo, cosa signifi- ca credibilità nel capitalismo attuale, che definiamo come capitalismo reputazionale; secondo, come possia- mo comprendere l’attuale crisi economica dal punto di vista della fiducia; terzo, quali sono le tendenze e uscite dall’attuale crisi economica che, sempre dal punto di vista della reputazione, si stanno sperimen- tando. Infine, facendo riferimento all’abitudine dei paesi anglosassoni di chiamare “PIIGS” quei paesi europei con maggiori problemi di credibilità, ag- giungiamo come complemento al presente lavoro un’ipotetica e ironica proposta di utilizzare l’Indice di Maiale pro Capite (IMC) come garanzia di una credibilità realista, sostituendo Moody’s Standard & Poor’s o Fitch. 10
  • 11. 1. IL CAPITALISMO REPUTAZIONALE L’analisi finanziaria della crisi è opprimente. Ci si dedicano migliaia di economisti e politici intenti a quadrare indici macroeconomici poco intelligibi- li per il cittadino. Gli esperti operano su tre indici macro basici: la crescita del Prodotto Interno Lordo (PIL), il tasso di crescita dell’inflazione e l’aumento del debito rispetto al PIL. Incrociano questi tre indici con una quantità quasi incontrollabile di altri indici: percentuali di disoccupazione, ingressi/perdite della previdenza sociale, abbandono o successo scolastico, cifre di import/export, demografia, immigrazione/ emigrazione, produttività, liquidità bancaria, bilan- ci di Stato, liquidità dello Stato, il prezzo dei titoli di Stato in relazione a quelli tedeschi, etc. In ogni caso si tratta di analisi supportate da statistiche e dalla teo- ria e storia economica. Il loro unico problema è che sono state fatte a posteriori e non hanno avuto alcuna capacità di prevedere quando e come la crisi sarebbe accaduta. Riguardo al fattore “credibilità” nella crisi, però, non si va oltre al generalismo o ad interpretazioni deriva- te dalla propria analisi finanziaria o dall’applicazione 11
  • 12. secondo manuale degli abbondanti indici economici. In realtà, il reiterato concetto di credibilità con cui si giustifica la crisi, e a partire del quale si castigano de- gli attori o stati piuttosto che altri, è un concetto vago e per niente specifico. Cercheremo di chiarire ques- to concetto e proporre alcune derivate e possibilità d’utilizzo. Riguardo al ruolo della credibilità o della fiducia nella vita economica, non esiste nessuna teoria radi- cata. L’economia classica ammette che detta credi- bilità giochi un ruolo importante seguendo il punto di vista per cui talune attività economiche rendono l’attore più vulnerabile alla concorrenza2. Esistono, di conseguenza, determinati settori economici nei quali la credibilità è fondamentale: le banche e molte isti- tuzioni finanziarie, o il debito degli Stati, per esempio. La gestione della fiducia in quei settori è decisiva e, per questo motivo, è sicuro che l’evolversi delle crisi finanziaria è determinato dalla posizione degli indici di fiducia3. In ogni caso e nello specifico in questa crisi attuale, ambi fattori, finanza e credibilità, sembrano andare inesorabilmente uniti. Sono due pilastri basi- lari dell’attuale capitalismo. 12
  • 13. Il capitalismo ha maturato un nuovo stadio nella sua evoluzione a partire dalla decada del 1980. “Un gran- de speculatore, George Soros, dice che il capitalismo moderno è un gioco di specchi nel quale non si riesce a distinguere la realtà dalle sue immagini: non si sa se è il diavolo a muovere la coda o la coda a muove- re il diavolo. Un capitalismo fatto di segni più che di ricchezza reale”4. La dottrina ortodossa ama definire questo capitalismo come capitalismo finanziario e la sua esplosione fu dovuta a quattro grandi cause5. La pri- ma è una rivoluzione tecnologica con l’applicazione sis- tematica di innovazioni immateriali (elettronica e in- formatica) al processo produttivo, cercando maggiore produttività e costi minori. Suppone la fine dell’era industriale fordista, omogenea, massiva e di catena, a favore di una produzione differenziata, alla carta e istantanea. La seconda è la liberalizzazione del mo- vimento dei capitali, la possibilità di muovere ingenti quantità di denaro con un clic elettronico tra le diver- se borse del mondo, creando un potere discrezionale, al di là delle decisioni politiche “democratiche” dei governi, con la capacità di determinare tali decisioni. La terza ha a che vedere con la deregolamentazione, le privatizzazioni e, soprattutto, con una controrivoluzione culturale che sostituisce le premesse keynesiane inter- 13
  • 14. venzioniste del dopoguerra, della socialdemocrazia e del neocapitalismo con una credenza “neoliberale” e monetarista. Una credenza che si oppone alle inter- ferenze dello Stato nel Mercato (in linea con Milton Friedman) e stabilisce la fede assoluta nella capacità di autoregolamento che detto mercato avrebbe. La quarta causa ha a che vedere con la globalizzazione, che significa in definitiva il travaso delle decisioni strate- giche fondamentali dall’area d’influenza della demo- crazia politica a quella degli accumulatori di capitale finanziario: agli stati rimangono poche possibilità di dirigere la politica finanziaria, i governi (quotati in borsa) vengono giornalmente giudicati dal mercato, le grandi corporazioni hanno potere di ricatto di fron- te alle pretese fiscali degli stati incapaci di frenare i movimenti speculativi frenetici in tutto il mondo6. Per questo il nome di capitalismo finanziario e i giochi di ingegneria finanziaria, come Soros riassume, conver- tono il capitalismo in un gioco di specchi e illusioni dove appena si distingue l’economia reale. In assoluto parallelismo con quel salto a una fase fi- nanziaria, il capitalismo degli ultimi trent’anni ha sviluppato, per le stesse cause, uno stadio decisamen- te meno conosciuto sebbene parallelo e inseparabile, 14
  • 15. che definiamo capitalismo reputazionale. Le tecnologie (TIC), le privatizzazioni, la globalizzazione e la li- beralizzazione nel movimento di risorse intangibili han fatto che, durante gli anni ottanta, entrasse come fattore decisivo, nel cuore stesso del sistema econo- mico, un pacchetto fondamentale di asset immate- riali relazionati con la rappresentazione, la comuni- cazione, l’immagine e, in definitiva, la credibilità e la fiducia. Le grandi corporazioni che si muovono in un mercato globale necessitano potenziare la marca, conoscere i mercati locali, stabilire reti di franchising quando le considerano proficue, sottomettere tutta la loro strategia – inclusa quella di marketing – alle rela- zioni con i clienti e allo sviluppo di punti di customer- interface (“i prodotti abbondano, mancano i clienti” gridava Kotler7 negli anni novanta). E così la comuni- cazione con i suoi prodotti e asset intangibili (marca, brevetti, franchising, segreti industriali, informazio- ne privilegiata, informazione specializzata, sviluppo tecnologico, etc.) diventa, insieme alle finanze, il su- pporto fondamentale delle strategie imprenditoriali8. Consapevoli di essere permanentemente sottomesse all’opinione pubblica e degli utenti o clienti, le Cor- porazioni sentirono la necessità di “avere un’anima”. E decisero che l’unica forma di avere un’anima era 15
  • 16. comprarla: dotarsi di una marca (brand) attraverso la pubblicità (negli anni ottanta) e, più tardi, le sue alter- native. La marca è la personalità originale e attrattiva una Corporazione, però la marca è normalmente un prodotto di marketing. E con la marca fabbricarono anche gli altri intangibili9. La gestione di tali intangibili risponde, com’è logico, a regole proprie sebbene probabilmente molto simili alla gestione delle risorse finanziarie, sempre più “in- tangibili” nel mondo globalizzato10. Queste regole a sé stanti cercano un obiettivo dichiarato che definiamo come reputazione e derivano dal più classico pensiero economico, semplificato nel principo secondo cui il valore finale e il prezzo di mercato di un bene, ser- vizio o prodotto qualsiasi, di una corporazione o im- presa, è determinato: dalla sua utilità (valore d’uso) per il consumatore o utente; dal mercato; dal suo va- lore immateriale, di simboli o equivalente, di marca, di intangibile. Reputazione è un eccellente e utilissimo concetto. Risponde alla definitiva riscoperta del clien- te come entità finale, oggetto di qualsiasi iniziativa, che porta a focalizzare tutta l’attività delle istituzioni e imprese sul cliente finale. La reputazione è la rispos- ta che l’individuo, il gruppo, il mercato, l’opinione, 16
  • 17. danno in qualità di interlocurori alla posizone di una corporazione nella società. Inoltre, la reputazione ag- giunge un ulteriore importante valore. È l’indicatore che permette di misurare e quantificare il peso di tali valori intangibili nei risultati contabili ed economici finali di un’entità o corporazione. Per questo parlia- mo di capitalismo reputazionale e intendiamo per tale la fase del capitalismo stabilitasi in occidente nell’ultimo terzo del XX secolo e inizi del XXI secolo11. Concettualmente gli asset intangibili formano parte dei beni di un’organizzazione o impresa assieme ai beni materiali, le risorse umane e i beni finanziari. I Piani di Contabilità raccolgono i beni intangibili sotto il nome di “Asset Intangibili” ed elencano esplicita- mente tra loro licenze, marche, franchising, etc, che tradotto nel linguaggio comune equivale a raccogliere tutte quelle attività che un’impresa mette in piedi per informare, fidelizzare, occupare uno spazio pubblico, di responsabilità sociale corporativa, patrocini, cultu- ra d’impresa, conoscenza propria (banche dati, know how) protetta o diffusa, etc. Sebbene l’esistenza degli asset intangibili come ele- mento di valore economico è tanto antica quanto 17
  • 18. l’economia e il capitalismo, la sua valorazione comin- ciò a svilupparsi al principio degli anni ottanta intor- no al valore della marca (come abbiamo sottolineato in precedenza), con lo scopo di fissare il valore reale delle imprese a medio termine, pensando nelle opera- zioni di acquisto/vendita, offerte pubbliche di azioni o simili12, o pensando a come giustificare le spese di promozione e rappresentanza che sembravano im- prescindibili e nuove in quegli anni ottanta, in spe- cial modo le spese e investimenti pubblicitari13. Per questi motivi la questione del valore della marca iniziò ad acquisire un crescente interesse nella letteratura di marketing e per gli stessi motivi il suo studio adottò sin dall’inizio differenti prospettive d’analisi. Una fi- nanziaria, un’altra di risposta e reazione del mercato e una terza più corporativa, globale o d’insieme14. La prospettiva finanziaria enfatizza il ruolo della marca come bene impresariale capace di influire nei flussi di cassa dell’impresa, nel valore delle sue azioni e/o nel suo prezzo di vendita (in caso di acquisizione, assor- bimento o fusione con altre entità). La marca si valuta in funzione dei profitti aggiunti che ottiene l’impresa per il fatto di commercalizzare i suoi prodotti sotto una determinata marca. Le variabili che si prendono 18
  • 19. in considerazione in questa valutazione dipendono molto dall’impresa. In alcuni casi si assimila il valore della marca con le previsioni economiche dei profitti futuri; in altri casi si considera il valore della marca come il valore aggiunto che raggiunge l’impresa, al di là del valore dei suoi beni materiali, in funzione alla posizione che la marca ha nel mercato e alla possibili- tà di estendere la stessa ad altre categorie di prodotti e/o mercati. In altre occasioni il valore di una mar- ca è il valore economico derivato dal grado con cui il nome della marca favorisce le transazioni o scambi (attuali e futuri) tra l’impresa e i suoi clienti. Può an- che essere la differenza tra i flussi di cassa ottenuti da un prodotto di marca e i flussi di cassa risultanti nel caso tale prodotto si vendesse senza marca15. La seconda prospettiva, che mette al centro il consuma- tore, è quella che ha dato origine all’importanza de- lla Reputazione. Ritiene che la marca possa generare valore competitivo per l’impresa se apporta valore a un importante segmento di consumatori. Ritiene che la marca aggiunga un fattore distinto dagli attributi del prodotto e che questo fattore differenziale si rag- giunga mediante le attività di promozione e marke- ting, lavorando con le percezioni del consumatore16. 19
  • 20. Seguendo questa linea, il valore della marca si ottiene attraverso le percezioni (attributi, benefici e attitudi- ni), le preferenze o i comportamenti dei consumato- ri verso essa. Si gioca qui con i concetti di notorietà o conoscenza che il mercato ha della marca; di posizio- namento o percezione, positiva o negativa o neutrale, che il consumatore stesso e il mercato hanno di essa; con il comportamento del consumatore o le sue decisio- ni d’acquisto; con le attività di marketing e le guerre di concorrenza tra marche affini, etc17. In terzo luogo, in una visione d’insieme, il valore della marca prende in considerazione le attitudini e le con- dotte di tutti gli attori suscettibili di interagire con la marca, ossia, l’impresa stessa, i consumatori, i distri- butori e i mercati finanziari18. Diciamo che “il valore di una marca rappresenta l’insieme di associazioni e condotte dei consumatori, dei membri del canale di distribuzione e della direzione dell’impresa che per- mette al prodotto vincolato con la marca di ottenere un maggior margine di profitto, volume di vendita o quota di mercato, rispetto a quello che otterrebbe sen- za nessun nome di marca, favorendo in questo modo il raggiungimento di un vantaggio competitivo solido, differenziale e sostenibile nel lungo periodo”19. Ques- 20
  • 21. ta visione globale, che implica nel valore della marca tanti e diversi attori, è servita da piattaforma per dare il salto dal concetto di marca al concetto di asset intan- gibili, più utilizzato e comune ai giorni nostri. Così come il capitalismo finanziario ebbe effetti colla- terali sulla politica (che terminò soggiogando), sul sistema di produzione, o sul mercato, il capitalismo reputazionale ebbe effetti simili su tutte le attività pub- bliche: la politica, per esempio, diventò predominan- temente marketing e iniziò a evolversi soprattutto die- tro lo schermo della televisione; i politici smisero di essere gestori della cosa pubblica per diventare attori e venditori di marca, avversari nel mercato del voto per il successivo appuntamento elettorale; lo stesso successe con la distribuzione, per esempio, che roves- cia il suo proprio sistema e passa dall’essere dominata dall’offerta dei prodotti ad essere definita dal mercato finale, modellato dalla pubblicità e dalla televisione. E così in quasi tutti gli ambiti del procedere umano dove è più importante l’apparire che l’essere: uno non esiste se non occupa un piccolo spazio nel picco- lo schermo degli apparati televisivi, diventati i punti vendita finali (un punto vendita in ogni casa)20. Così abbiamo definito la società di questi decenni come 21
  • 22. “società dell’informazione”, “società rete”, “società digitale”, etc., società nella quale gli asset intangibili sono fattori determinanti nei risultati delle imprese. Arrivati all’anno 2000, questo capitalismo reputazio- nale aveva già raggiunto una certa maturità, sufficien- te per conoscere la sua prima fase ciclica, nel 2003, con la crisi delle puntocom, ossia la crisi della new economy. Questa maturità è evidente nell’interesse che ebbero le corporazioni per presentare risultati degli asset in- tangibili in parallelo ai risultati contabili. Un esempio molto noto sono i Rapporti RSC (Responsabilità Socia- le Corporativa). Questi rapporti pretendono portare a conoscenza dei gruppi d’interesse tutto il peso che gli intangibili hanno nella compagnia e il valore degli stessi nel futuro successo aziendale. Non possiamo affidarci, però, a una metodologia in- ternazionalmente riconosciuta per l’elaborazione di tali risultati reputazionali o intangibili21, e nemmeno a metodi di valutazione, analisi e misura degli elemen- ti che costituiscono tali asset intangibili, tra i quali si trova la reputazione corporativa22. Nonostante ciò, la gestione della reputazione e degli intangibili si è ormai diffusa. Consulenti, revisori e buisness school 22
  • 23. (Ernst & Young, KPMG, MorganStanley, Deloitte, IESE, Instituto de Empresa, EOI, London Business School, etc.) la gestiscono mediante verifiche e sviluppando le proprie metodologie di valutazione, sempre in accor- do con le norme internazionali di contabilità (NIC). Queste entità sono solite avere in comune il ricorso a indicatori complementari agli indicatori finanziari (financial ratio), per esempio: la lealtà degli impiegati e l’esperienza professionale che apportano le nuove as- sunzioni quando si tratta di valutare il capitale uma- no; il numero di progetti di R&S (Ricerca e Sviluppo) come capitale di innovazione; etc. Il loro principale obiettivo è realizzare un’analisi comparativa che per- metta di osservare la tendenza nella sua evoluzione. In parallelo hanno proliferato in una propria nicchia differenti indici di valutazione diretta degli intangibi- li, tra i quali spiccano gli indici di valorazione esterna delle marche e della loro reputazione23. Esistono in- dici simili anche negli ambiti di analisti e consulenti di comunicazione, che annualmente sono raccolti dai mezzi di comunicazione mondiali. I più conosciuti: Global Most Admired Companies di Hay Group per la rivista Fortune, Reputation Quotient di Harris Interac- tive, Global RepTrakTM Pulse del Reputation Institute, il BrandzTM Top 100 di MillwardBrown, World´s Most 23
  • 24. Respected Companies di Barron per il Finantial Times, e in Spagna e paesi iberoamericani il Merco (Moni- tor Empresarial de Reputación Corporativa) che elabora l’impresa “Análisis e Investigación” per Villafañe y Asociados in collaborazione con il gruppo Vocento. 2. CRISI DEL CAPITALISMO REPUTAZIONALE Abbiamo visto come la credibilità e la fiducia siano i ventricoli del cuore della crisi attuale. Crisi che è esplosa tanto nel capitalismo reputazionale quanto in quello finanziario. Sotto gli occhi di tutti: i paesi con- cettualizzati dal The Economist come “PIIGS” o della “Cintura d’Aglio” subiscono, in linea di principio, un trattamento negativo da parte degli investitori, mercati, politici e opinione pubblica. A priori, un in- vestitore tedesco è maggiormente disposto ad aiutare Belgio piuttosto che Grecia, Portogallo o Italia, e aiu- tare Danimarca piuttosto che Spagna. Naturalmente, a posteriori, si cercano spiegazioni: i greci mentiro- no riguardo i risultati economici; italiani e spagnoli non avevano governi affidabili (Berlusconi o Zapa- tero). Però il castigo arriva prima. E si spiega con la “mancanza di credibilità”, ossia, di reputazione. La 24
  • 25. mancanza di credibilità è fonte di ottimi affari per i compratori di debito nazionale a breve e medio pe- riodo: nella seconda settimana del novembre 2011 lo Stato Italiano è arrivato a pagare oltre il 7% di inte- ressi nel debito a un anno. Lo stesso è successo allo Stato Spagnolo nella terza settimana di novembre. E la mancanza di credibilità è allo stesso tempo fonte di seri problemi di finanziamento per gli stati, corpora- zioni e cittadini. Perché queste differenze? Come si fissa oggi la cre- dibilità di un fornitore o di un emissore di debito, di un’entità, di uno stato o di una persona? Secondo la mia opinione esistono tre ragioni principali: 1. La fragilità delle basi morali del capitalismo reputazio- nale. Il problema originario di questo capitalismo reputazionale è che si era creduto capace di stabilire un proprio sistema, sviluppando le sue regole, così come il capitalismo finanziario creò le proprie linee guida di ingegneria finanziaria. La fragilità sta in quella concezione della credibilità come prodotto creato secondo gli schemi con cui si sviluppano i prodotti nel consumo di massa, come un asset intangibile da sviluppare con tecniche moderne 25
  • 26. di marketing e non etico rispetto a quei compor- tamenti reali degli attori che potenziavano quella credibilità commercializzata24. La realtà inventata, che cercava di convertire la reputazione e gli asset intangibili in denaro sonante e in valori contabili, si scontrò contro la realtà di tutti i giorni dei direttivi delle stesse corporazioni. Furoni i fatti a rompere l’incantesimo, i sortilegi e le capacità delle tecniche di marketing. Durante gli ultimi dieci anni sono via via cadute imponenti entità di prestigio con prove penali, scandalose appropriazioni, indescrivibili dimostrazioni di megalomania e usura. Casi come Enron, Madoff, Parmalat, Lehman Brothers e tanti altri a livello mondiale e locale (basti ricordare i recenti casi in Spagna – nel 2011 – di Casse di Risparmio in vendita e fallimento) nei quali i dirigenti respon- sabili del fallimento delle proprie imprese si orga- nizzavano lussuosi ritiri multimilionari. La gente scoprì che in modo sistematico questi fabbricanti di anime (marche e intangibili) che si riempivano la bocca di “responsabilità sociale”, falsavano i bi- lanci, ingannavano nei risultati, creavano società off shore per evadere le tasse, organizzavano liqui- dazioni senza limiti per i responsabili di disastri finanziari che rovinavano migliaia di investitori e 26
  • 27. lavoratori e inoltre si comportavano con presun- zione e spacconaggine senza limiti. La finzione di una credibilità forzata a base di tecniche di marke- ting fracassò. 2. Il peccato originale di affidare la valutazione della credi- bilità e della fiducia (la reputazione) ad agenzie private di “rating” (Moody´s, Standard & Poor´s, Fitch), e di dare valore di libri sacri ad alcuni, pochi, media globali e anglosassoni specializzati in informazione economica (The Economist, WSJ, Financial Times). Le agenzie che con il permesso del Governo USA valutano periodicamente, secondo una scala da loro sta- blita, governi, istituzioni o imprese non sono per niente innocenti. Vivono in permanenti conflitti d’interessi e si dedicano in maniera predominante a esercitare da lobbisti con le autorità di Washing- ton, che potrebbero promuoverle o ridurle. Vari rapporti di un istituto chiamato Sunlight Founda- tion lo dimostrano25. Warren Buffet, il legendario speculatore, è il primo azionista di Moody’s con il 12,47% attraverso Berkshire Hathaway Inc: un agglomerato che agglutina imprese vincolate con il settore energetico, le telecomunicazioni, l’edilizia, le assicurazioni e, soprattutto, prodotti finanziari; 27
  • 28. David Rockfeller, patriarca della nota famiglia di banchieri, è l’azionista di riferimento di McGraw Hill attraverso la società Capital World Investor, pri- mo investitore di Standard & Poor’s (12,31%) e se- condo azionista di Moody’s (12,38%). Si calcolano 73 agenzie di rating distribuite per tutto il mondo, però le tre grandi qui elencate coprono il 98% del mercato mondiale con un cifra di affari prossima ai 46.000 milioni di dollari americani nel 2011. In un certo senso, le agenzie che valutano la capacità di credito delle più importanti entità del mondo, Stati inclusi, sono nelle mani di investitori con no- tevole e dimostrata capacita speculativa: possono di conseguenza giocare con le note di valutazione a vantaggio dei loro propri interessi speculativi. Non sembra, inoltre, che abbiano molta capacità di predizione dato che hanno commesso grandi errori come la valorazione massima, tripla A, dell’impresa Enron alla vigilia della sua caduta. Gli esperti li ac- cusano, anche, di leggerezza e poco successo nel qualificare i prodotti finanziari non riflettendo con frequenza il rischio degli investimenti. Negli ultimi dieci anni questa trinità di capitali incrociati che ha per azionisti persone, fondi e imprese che figurano tra gli speculatori mondiali, investì oltre 16 milio- 28
  • 29. ni di dollari americani in attività di lobbying verso i legislatori nordamericani. Standard & Poor´s, per esempio, ha fatto donazioni ai partiti per circa mez- zo milione di dollari, il 65% ai democratici. Anche Moody’s preferì i democratici a cui diede il 64% dei 113 mila dollari che donò ai partiti. Ambe società hanno contrattato i migliori lobbisti disponibili per operare nel Congresso e nel Senato: Tony Podes- tà, lobbista ufficiale di grandi banche come Wells Fargo e Bank of America, e Douglas Nappi, lobbis- ta ufficiale dei gruppi di investitori come Freddie Mac26. Hanno ottenuto che nella legge di riforma finanziaria Dodd-Frank non appaiano le due misu- re che, richieste dalla Securities and Exchange Comi- sion (SEC) (la commissione della Borsa americana), avrebbero dovuto riorganizzare il ruolo delle agen- zie, considerate complici dirette della crisi del 2008: la prima consisterebbe nell’obbligo di pagare per negligenza nel caso di valutazioni manifestamente sbagliate; la seconda sarebbe l’obbligo di far conos- cere in tempo reale tutte le informazioni in suo po- tere per evitare le informazioni privilegiate. Stiamo parlando, in conclusione, di imprese con interessi incrociati e obiettivi economici propri che godono il privilegio di valutare stati, corporazioni e fisco, e 29
  • 30. si muovono come debitori o creditori nel mercato finanziario globale. L’Autorità Europea dei Mercati (ESMA) a Parigi sta studiando la forma di qualificare le agenzie di ra- ting, specialmente le tre grandi (Standard & Poor´s, Fitch y Moody´s) in un verdetto che si farà pubblico ad aprile 2012. Sospettano irregolarità e proporran- no, mediante un accordo politico UE e USA, il cam- bio della normativa che riguarda tali agenzie per limitare il loro potere27. Qualcosa di simile succede con i gruppi editoria- li. È da anni che i media si sono lasciati alle spalle la responsabilità sociale e si muovono per i propri obiettivi di redditività. È ovvio che per raggiun- gere questi obiettivi devono affidarsi a metodolo- gie d’informazione stabili e analisi inquadrate nel giornalismo classico “di precisione”, ossia, di dati, cifre e statistiche. I grandi media (The Economist in primo luogo) operano fondandosi su pacchetti di indici che il sistema da per validi, e dalla con- giunzione e intersezione di tali indici pontificano, giudicano, danno lettere di raccomandazione, umi- liano o scartano alcuni e premiano altri. Il valore 30
  • 31. reale di quegli indici è, però, interdetto. Il caso più discusso è quello del PIL (Prodotto Interno Lordo). Il PIL è una misura utile per valutare la potenza di un’economia monetaria però è suscettibile di esse- re facilmente ingannato: un disastro naturale, per esempio, che riduce il patrimonio però incrementa l’attività produttiva, aumenta il PIL, per cui questo indice in quel caso testimonierebbe l’incremento del benessere, ma occulterebbe il malessere e le perdite dovute al disastro. Esiste per questo motivo la ri- chiesta costante di nuovi indici capaci di raccoglie- re non solo la ricchezza monetaria ma anche l’uso che si fa di essa, che permettano di distinguere lo sviluppo sostenibile nel bene e nel male28. 3. Il problema di essere “Maiali” (il “PIIGS Factor”): la ri- correnza di vecchie posizioni d’opinione che gli europei hanno gli uni degli altri; la permanenza di stereotipi che definiscono da secoli la reputazione delle diverse genti d’Europa. L’attuale struttura culturale degli europei nacque con il Rinascimento e si è mantenuta quasi in- colume nelle sue linee strutturali basiche, giusto fino al cambiamento che stiamo vivendo ai giorni nostri. Durante i due secoli di Rinascimento (1300-1500) l’Europa diede una svolta radicale ai suoi punti di 31
  • 32. riferimento vitali. Dovette superare la perdita di fi- ducia nelle istituzioni che aveva appoggiato durante i dieci secoli anteriori, ossia, la perdita di credibilità nella Chiesa Cattolica del suo tempo e nel sistema teocratico da essa stabilito. I grandi titani del Ri- nascimento si videro obbligati a cercare certezze e punti di riferimento nuovi. Li incontrarono, da un lato, nell’Umanesimo (Erasmo, Moro, Croce, della Mirandola, Macchiavelli, etc.) e nell’individuo, que- llo creato da Dio come creatura distinta e superiore a tutta la natura, descritto da Pico della Mirandola (nel “De Hominis Dignitate”)29. Dall’altro lato, cercando la formulazione delle leggi fisiche dell’universo e de- lla natura (Galileo, Copernico, etc.), trovando nuo- ve certezze e punti di riferimento in un linguaggio scientifico, nuovo, non teologico, matematico, nella scoperta delle leggi dimostrabili, nello stabilire mas- sime sui significati di tempo, spazio e movimento30. E, infine, nella riformulazione delle “leggi naturali” del Potere Politico: Macchiavelli propone Il Principe come mito universale adattato a un’epoca di versati- li commercianti e prepotenti signorie e re. I primi punti di riferimento per la formazione della reputazione degli europei hanno a che vedere con 32
  • 33. la Riforma Protestante e la Controriforma Cattoli- ca. È in questo scontro che si situa la prima fase nella quale nasce la coscienza PIIGS. Le differenti mo- narchie europee intervennero a pieno nei conflitti religiosi (senza di loro non ci sarebbero state né la Riforma Protestante né le guerre di religione) si- tuandosi in differenti schieramenti: da una parte la allora più potente, la monarchia ispano-germanica dei Re Cattolici, insieme agli Austrias, che si allea- rono con la Chiesa Cattolica e agirono decisamen- te in suo favore. Dall’altra parte si situarono tutti gli altri che avevano fatto sparire la Chiesa come potere autonomo e potenziale avversario della co- rona. In queste guerre di religione la propaganda fu l’arma decisiva31. Da lì abbiamo ereditato un buon numero di stereotipi. L’idea che la conquista spagnola o portoghese in America fu uno stermi- nio mentre quella inglese o francese no; l’idea che l’Inquisizione fosse qualcosa intrinseco nella natura degli spagnoli e non avesse nulla a che vedere con i calvinisti o i protestanti (nonostante i francesi cele- brino Santa Giovanna d’Arco); l’idea che è meglio un re come Enrique VIII d’Inghilterra che abolisce la libertà religiosa e manda alla forca tutto ciò che non si sommette al suo potere assoluto, piuttosto che i 33
  • 34. Re Cattolici che devono “sopportare” – e utilizza- re – frati di tutti i tipi inviandogli lettere e reclami sui diritti degli indios, abusi da parte dei rappre- sentanti del re, etc.; l’idea che le truppe spagnole dell’epoca erano assassini di bambini mentre i pira- ti, bucanieri e trafficanti di schiavi inglesi meritava- no l’onore del Re e sono considerati prototipi della nazione inglese. E così via32. Una seconda fase nel consolidamento della reputa- zione europea ha luogo alla fine del XVIII secolo con l’Illuminismo e la conseguente esplosione delle Rivoluzioni Atlantiche. Questi movimenti politici operano sul principio della razionalità. La ragione – il linguaggio logico-scientifico considerato “natu- rale” – è l’asse di riferimento e fonte di credibilità. La rivoluzione industriale ha come protagonisti i paesi anglosassoni e protestanti e la loro religione razionalista rafforza il loro ambiente sociale scon- trandosi con il “fanatismo” di altre religioni (le tradizioniali), impersonate, ovviamente, dai paesi dell’Europa meridionale (i cosidetti “PIIGS”). L’etica del capitalismo industriale è finalista (impor- tano di più i risultati dei principi), si adatta molto bene alla rigidezza morale del calvinismo e al ri- 34
  • 35. gore dell’ebraismo e opera fantasticamente con un amoralismo metodologico che elimina semplicemente il problema della responsabilità morale, giustifica- to dalla teoria economica classica: la legittimazione morale rimane esternalizzata, soggetta al diritto e ad agenzie di valutazione di obiettività riconosciu- ta, ossia, concordata . È più importante “apparire” che “essere”34. È in quegli anni, a cavallo tra il XVIII e il XIX secolo, che vengono brevettate da viaggiatori francesi e inglesi le immagini della Spagna onnipre- senti nel subconscio europeo: la Spagna è ballerini di flamenco, gitani, Carmen, inquisitori, briganti di strada, vecchie mangiatrici d’aglio, processioni re- ligiose... immagini esattamente antitetiche rispetto ai principi razionali e allo sviluppo industriale do- minante, “progressista” e “del futuro”35. Una terza fase di consolidamento delle reputazioni ebbe luogo alla fine del XIX secolo con il nazionalis- mo, le unioni nazionali di ampi territori europei e il derivante colonialismo. La creazione di una nuova nazione o l’integrazione di territori nuovi in uno Stato ha bisogno ovviamente della creazione di una coscienza. E la coscienza nazionale o coloniale del XIX secolo (così come le marche nel XX) stabilisce 35
  • 36. soprattutto le differenze, una nicchia differenziale. Lo strumento decisivo per la creazione di questo spirito diverso e d’integrazione è nuovamente la propaganda, modernizzata adesso con media e prodotti culturali di massa. Gli attori nazionalisti e soprattutto gli stati si affidarono all’istruzione ob- bligatoria e gratuita già stabilita, i giornali di mas- sa, lo sport, la musica e presto il cinema, gli spetta- coli di massa, etc36. Queste tre fasi sovrapposte hanno riempito l’Europa d’idee prefabbricate, di stereotipi riferi- ti ai secoli passati dove dei popoli si sentono su- periori ad altri e sono capaci di creare un mix di illusione e disprezzo, attrazione e repulsione, im- magini contraddittorie. Lo raccontava Goethe nel 1821 invidiando la nuova America: “Meglio stai tu, America // che il nostro continente, il vecchio. // Senza castelli caduti, // ne basalto da contemplare. // La vostra mente non si preoccupa // da sempre fino alla vita quo- tidiana // per ricordi inutili // e lotte infruttuose. // Usa bene il presente e abbi fortuna // e quando i tuoi figli comincino a scrivere poesia, // che in tutti i loro atti si guardino bene // dalle storie dei cavalieri, // bandoleros y fantasmi.”37 36
  • 37. 3. VIE D’USCITA ALLA CRISI DEL CAPITALIS- MO REPUTAZIONALE. A livello globale la crisi che scoppiò tra il 2007 e 2008 ha messo allo scoperto l’incapacità di gestione tanto della socialdemocrazia quanto del neoliberismo. En- trambi hanno tentato, per cavalcare il nuovo e potente capitalismo globale, di smantellare a partire dalla metà degli ottanta il “sistema misto” pubblico-privato, e di conseguenza le istutizioni che sostenevano lo stato di benessere (welfare), con il risultato di debilitare tutte le strutture e nervi delle società avanzate38, e dar luogo a un potere diluito senza alcuna rappresentazione effi- cace39. Molte corporazioni, anche pubbliche però so- prattutto private, si sono accorte di questa situazione già da qualche anno. E hanno messo in moto strate- gie di fuga o soluzioni molto diverse. Ritengo che sia bene prendere in considerazione le quattro seguenti. Verso un “Capitalismo Sociale”: cambiamenti ne- lla percezione di Intangibili e Reputazione: più gestione, più virtù e meno marketing. Il caso della RSI (Responsabilità Sociale delle Imprese) a com- parazione con la RSC (Responsabilità Sociale Cor- porativa). 37
  • 38. Il concetto di responsabilità, di onore, è un principio originario della civilizzazione occidentale: basti vede- re l’Iliade o alcune tragedie classiche. La prima formu- lazione del concetto di “onore” appare nella Retorica di Aristotele e, soprattutto, in Etica a Nicomaco. Definisce l’onore come l’opinione che gli altri hanno del nostro valore e della nostra dignità ed è il fattore che sta alla base della partecipazione alla vita politica e pubbli- ca; per questo motivo lo presenta come “il migliore dei beni esterni”. Ciò nonostante, quest’opinione al- trui non è niente se non è accompagnata dalla virtù. L’opinione reale, quella che conta, non si limita alle apparenze ma personifica la natura stessa dell’uomo, l’onore costituisce il “premio alla virtù”40. Questa idea di “onore come premium virtutis” (tradotto al latino da Cicerone) ricorre in tutta la storia della filosofia: San Tommaso d’Aquino presenta la virtù come causa uni- ca dell’onore (“sola virtus est debita causa honoris”41), così come è sua l’idea raccolta da Calderón che essen- do la virtù qualcosa di spirituale, lo è anche l’onore, “patrimonio dell’anima”. La stessa idea atraversa tutto il medioevo, arriva all’Enciclopedia di Diderot e D’Alambert, passa per Hobbes, Hume, Cartesio e Kant. E soprattutto per Schopenhauer42. Nel suo breve trattato Schopenhauer parla dell’Onore Cavalleresco 38
  • 39. però parla soprattutto dell’Onore come opinione che gli altri hanno di qualcuno. Costituisce il principio basico delle relazioni della persona con i suoi simili e, nelle sue diverse sottospecie, corrisponde sempre ed esclusivamente allo sviluppo delle virtù persona- li43. Virtù è realtà, fatti, risultati visibili e dimostrabili. Comportamenti degni, per esempio. Questo è virtù: più fatti, più gestione e meno marketing. L’esaltazione della virtù come fondamento “spiri- tuale” degli intangibili e causa esclusiva della repu- tazione e dell’onore, comincia ad essere posta come manifesto del potenziamento di un nuovo tipo di ca- pitalismo sociale che si definisce come “impresa socia- le” o Responsabilità Sociale delle Imprese (RSI). Questo concetto e formula va molto oltre la Responsabilità Sociale Corporativa (RSC), che fu più un prodotto del marketing promozionale delle istituzioni. Si tratta di un nuovo tipo d’impresa e di capitalismo fondato sui seguenti principi: 1. Si accetta che il profitto sia il principio basico e fon- damentale del capitalismo e dell’impresa però non è l’unico obiettivo, com’è successo negli ultimi 20 anni di turbocapitalismo o capitalismo finanziario, 39
  • 40. il quale ha inteso il risultato e la redditività a breve periodo come sua unica motivazione. 2. Il capitalismo sociale che verrà potrà raggiungere profitti solo se si attiene a un secondo principio fondamentale, come premessa al primo (quello del profitto), che è quello di rispondere ad una reddi- tività sociale evidente e riconosciuta dagli utenti e dal mercato. Solo se è ecologico, solo se si produce con materiali e forme che non generino danno so- ciale (in salute, sicurezza, etc.), solo se offre pro- dotti e servizi di qualità standard a un prezzo com- petitivo e quindi socialmente stimabile, solo se si preoccupa del fatto che la sua offerta sia socialmen- te accettata, solo a quelle condizioni raggiungerà il primo obiettivo, quello del profitto. Capitalismo sociale o impresa sociale sarà quindi ciò che per ot- tenere profitto includerà come componente intrin- seca fattori di interesse sociale evidenti di diverso tipo: qualità riconosciuta, sicurezza, formazione, salute, comportamento individuale e ambientale, etc. Devono soddisfare la condizione che tali fattori di interesse sociale siano utili, visibili e suscettibili di essere misurati. 40
  • 41. Esiste ovunque nell’Unione Europea una corrente orientata verso questa direzione. In Spagna in concreto è stato creato, con data 20 gennaio 2009, il Consiglio Sta- tale della Responsabilità Sociale delle Imprese, allo scopo di sviluppare nuove forme di collaborazione tra gli attori sociali per rispondere alle sfide economiche, sociali e ambientali che la crisi ha lasciato alle intemperie44. Ne- lla stessa prospettiva, sempre in Spagna, ci sono inizia- tive pubbliche e private interessanti come la creazione delle Reti dei Territori Socialmente Responsabili (RETOS) che cercano di attenersi a questa responsabilità sociale, o come la recente Ley de Ciudadania Corporativa promos- sa dalle tre Consejerías Sociales della Generalitat Valencia- na (Immigrazione e cittadinanza, Benessere Sociale e Commercio, Innovazione). Queste iniziative e linee di sviluppo hanno, però, un problema basico: la mancan- za di chiarezzza concettuale e di programmi visibili ed efficaci di applicazione delle stesse45. Recupero dell’Informazione come prodotto tangibi- le o monetizzazione degli intangibili non finanziari: brevetti e R&S. Nella seconda settimana di novembre del 2011 la ON- CIX, Office of the National Counterintelligence Executive 41
  • 42. (Dipartimento USA di contro-intelligence), presenta al Senato un rapporto nel quale accusa formalmente i russi e i cinesi di spionaggio cibernetico46. Cinesi e rus- si sono, secondo il rapporto, collezionisti aggressivi e in concorrenza tra loro d’informazioni economiche e tecnologiche, ottenute soprattutto attraverso il cybers- pazio. L’obiettivo e l’interesse delle spie sta nelle atti- vità di R&S (Ricerca e Sviluppo) negli USA, stimate per un valore complessivo annuale di 400 miliardi di dollari. Se venissero rubate le applicazioni e i brevetti di queste attività di ricerca, la capacità d’innovazione dell’industria americana diminuirebbe notevolmente e, con essa, anche la sua competitività e produttività. Quest’avvenimento segna una tendenza sempre più visibile: la guerra per i brevetti e i risultati della R&S. Credo che è oggi la guerra più impressionante tra le corporazioni che giocano nel Campionato Mondiale: 1. Guerra di Brevetti per il predominio nei contenuti per cellulari47. • Processi legali in corso tra Apple, Nokia, Google, Microsoft, Sasmsung, Htc, Sony, etc. • Google ha comprato Motorola (2011) per 12,5 mila milioni di dollari: 17.000 brevetti più 7.500 42
  • 43. in via di autorizzazione. In aggiunta ricevettero “anche una fabbrica di telefoni in regalo”. • Novell (software) ha venduto (2010) 822 brevetti a 450 milioni di dollari (547 mila dollari l’uno). • InterDigital, proprietaria di 1.700 brevetti di tele- fonia è nel mirino di Nokia e Apple. • Kodak, fuori dal mercato digitale però con asset di proprietà intellettuale molto importanti, sta crescendo al 40% in borsa negli ultimi mesi e vale 800 milioni di dollari. • Alcatel-Lucent proprietaria di Bell Labs con 4.200 brevetti, e motore dell’innovazione nelle teleco- municazioni dal 1920 si trova nella stessa situa- zione. • La star è Qualcomm (California) astro dei chips per cellulari Android: un impresa “fabless”, sen- za fabbriche, solo proprietà intellettuale. Vale in Nasdaq 78 milioni di dollari. • E naturalmente IBM: 40.000 brevetti attivi, a cui riconoscono 23 brevetti al giorno (poche settima- ne fa ha venduto a Google 1.000 brevetti per una cifra sconosciuta). 2. Cambio nella natura e nell’importanza della Proprietà Intellettuale: Guerra per R&S. 43
  • 44. La R&S genera TRE linee di profitto e di asset con- solidati. Una è la sua prevedibile traduzione in brevetti per un futuro sfruttamento economico. La seconda è il consolidamento della credibilità dello stato come centro di fonti dominanti di riferimento e la sua conseguente traduzione in prestigio, repu- tazione e fiducia. La terza è il buisness netto delle fonti che accumulano conoscenza con tutte le pos- sibilità di guadagno futuro e, inoltre e solitamente, fanno pagare i ricercatori per la pubblicazione dei loro lavori, giustificandosi con il valore aggiunto che nei loro curriculum comporta la pubblicazione in tali fonti di riferimento. È così che si spiega l’alto interesse che sta acquisendo la R&S48: • La quota di citazioni scientifiche di origine USA è stata del 26% (2009) e del 21% (2010); Cina del 4% (2001) e dell’11% (2010); UK del 7,1% (2009) e 6,5% (2010); l’Unione Europea del 28% (2009) e 19% (2010). • I cinesi investirono nel 2001 l’1,44% del loro PIL e contavano con 890 mila laureati/anno; nel 2010 il 2,5% del PIL e 1,7 milioni di laureati/anno. Ha superato il Giappone e UK per numero di pubbli- cazioni scientifiche ed è la seconda dietro USA, 44
  • 45. che supererà nei prossimi anni. • Considerando la frequenza con cui sono citati dagli altri studi scientifici, i cinesi retrocedono al sesto posto, alla pari con Canada o Italia. Questa attitudine delle grandi corporazioni dell’Industria e della Comunicazione annuncia il cam- biamento che questa industria sta dando verso i contenuti e la sua gestione e verso l’uso dominante di piattaforme, canali e dispositivi orientati alla mo- bilità. La parola d’ordine è “contenuti per dispositivi mobili”. Però manifesta anche l’attitudine, che ci inte- ressa maggiormente risaltare, verso la ricerca a ogni costo di progetti, programmi, ricerche, proposte e prodotti brevettati, ossia, con capacità evidente di es- sere industrialmente e commercialmente sfruttati. Si tratta di fare tangibili, redditizi, convertiti in moneta, derivati dalla conoscenza e dall’informazione struttu- rata. E questo, oltrettutto, non solo dentro il settore della comunicazione ma coinvolgendo tutti i settori industriali49. Qualsiasi agente di beni e servizi intuisce che, per superare la situazione attuale, deve investire in strut- ture pensate e destinate ad interfacce e dispositivi 45
  • 46. portatili, che permettano l’interazione attraverso le Reti Sociali, la vendita attraverso il commercio elet- tronico, l’apertura a tutte le possibilità offerte dalla banda larga e il contatto diretto con l’utente finale. Sono consapevoli di dover giocare in un territorio controllato dagli operatori (provider) di banda larga e sottomettersi all’oligopolio globale delle compagnie di telecomunicazioni e alla capacità regolatrice delle differenti autorità di controllo e intervento. Allo stes- so tempo intuiscono che la gestione del loro buisness si sta orientando verso la gestione dei contenuti, lo sfruttamento delle piattaforme mobili e l’adattamento di ogni tipo di prodotto creativo, d’intrattenimento e informazione, alle possibilità offerte dai nuovi ter- minali. D’altronde è impressionante il peso che, con questa prospettiva, raggiunge l’informazione econo- mica e scientifico-tecnica con implicazioni sociali e di mercato maggioritario (pensiamo a salute, sicurezza, educazione, trasporti, logistica, etc.). Si trasformano (attraverso i brevetti e la R&S) nel primo asset intengi- bile però tangibilizzato (brevetti) e monetizzabile facil- mente (royalties e diritti d’uso). Queste informazioni sono in realtà il risultato della gestione dei contenuti nell’infinita abbondanza di dati, notizie, commenti e opinioni che inondano la rete in modo tale che la 46
  • 47. gestione delle informazioni tende a essere l’attività dominante in ogni corporazione di ogni settore eco- nomico. Però questa tendenza incuba un fenomeno che va più in là della tecnologia e ha a che vedere con il recupero della conoscenza e dell’informazione come elemento primordiale dello sviluppo. È la gestione della conos- cenza e la sua offerta in prodotti tangibili monetizza- ti, come lo sono le patenti o i programmi di ricerca e sviluppo applicati. L’ipotesi é che la conoscenza sia il principio basico dello sviluppo e l’informazione la materia prima dello sviluppo economico della nuova era. L’idea è avallata dalle ricerche in neurobiologia. La gestione e la cura efficiente della vita è determina- ta dall’informazione: persino gli organismi unicellu- lari hanno capacità decisionali guidate da sensazioni primordiali di piacere e dolore che generano informa- zione. Negli organismi più complessi come l’umano, il responsabile della gestione della vita è una cellula nervosa denominata “neurone” che è capace di pro- durre segnali elettrici e influire sulle altre cellule. Il processo di gestione dei neuroni segue tre fasi: prima si informano, dopo rispondono (con il movimento e l’azione); nel mentre creano mappe del proprio corpo 47
  • 48. e del mondo esterno, ossia, informazione organizzata, ossia, conoscenza50. L’informazione è quindi il prin- cipio della vita. Contrariamente a quello che abbia- mo creduto per secoli sugli istinti basici dell’essere umano (la sopravvivenza con l’uso della violenza, o il sesso), il primo istinto è conoscere per sopravvivere e gestire la propria sopravvivenza. Provocare quindi quell’istinto, il conoscere, deve per forza essere il prin- cipio dell’attività economica e di ogni attività sociale. Però questa informazione primitiva è inseparabile dal piacere (o dal dolore). Alla mente interessa solo ciò che le produce allegria. Volontariamente l’individuo aspira alla conoscienza perché, essendo parte della sua composizione biologica, gli produce piacere (o involontariamente si vede obbligato a sviluppare lo stesso processo assediato dal dolore)51. Lo “Slow” (Slow Life, Slow Communication) come alternativa al concetto “Fast” dominante nell’economia. Osserviamo il settore dietetico. Pochi anni fa era do- minato in modo assoluto da un’industria globale ne- lla quale McDonald’s o Coca Cola erano le star. Era il dominio della mentalità Fast Food. Questo settore è 48
  • 49. oggi, però, molto diversificato incluso nel mondo glo- bale: alternative naturali di erbe, di barrette o bevan- de energetiche, di alimenti o bevande senza zucchero, etc. È molto attaccato dall’offerta settoriale e locale tra le quali spiccano la “cucina molecolare” (El Bulli) e, soprattutto, la “cucina mediterranea”. Quest’ultima è quella che ci interessa mettere in risalto. Perché la cucina mediterranea è un’alternativa talmente distin- ta al Fast Food al punto da proporsi come Slow Food. Il Manifesto Slow Food (Slow Life) suggerisce, contro la “pazzia universale della Fast Life”, di recuperare la “ricchezza degli aromi della cucina locale” e propo- ne come avanguardia “lo sviluppo del gusto e non il suo impoverimento, la vera cultura come intercambio internazionale nella storia, nella conoscenza e nei pro- getti”52. Lo Slow Food corrisponde alla Slow Life, uno stile di vita che proviene dal locale, dalle vecchie abi- tudini territoriali, dal rispetto dei cicli naturali e delle persone. E lo Slow Food sta avendo un successo a live- llo globale che non ha tardato a passare ad altri am- biti e abitudini umane come nel caso della Slow Life e anche della Slow Communication. Anche questa ha un suo Manifesto53 nel quale si introduce come elemento di riferimento “l’attenzione”, della quale parleremo più avanti. Sostiene Freeman che: “There is a paradox 49
  • 50. here, though. The Internet has provided us with an almost unlimited amount of information, but the speed at which it works has deprived us of its benefits. Attention is one of the most valuable modern resources. If we waste it on fri- volous communication, we will have nothing left when we really need it”. La “vita tranquilla”, la “comunicazione tranquilla” sono l’antitesi della frivolezza, dei mondi virtuali che non si fondano su realtà, dell’esperienza personale contro la vita “nella nube”. Quest’idea de- llo “Slow Journalism” si sta facendo spazio tra i media d’elite. Il direttore del New Yorker, David Remnick, presenta la sua rivista come esponente di questo Slow Journalism, come antitesi di coloro che si occupano so- prattutto di identificarsi con i risultati delle inchies- te ai loro lettori e con gli interessi dei propri annun- cianti: “se qualcuno mi dicesse che sa esattamente quello che vogliono i lettori, gli pregherei di tenersi quell’informazione per sé. Non mi interessa. Parla- re di lettori non ha molto senso, perché dovremmo considerarli uno a uno [...] Io spero che ogni numero del New Yorker trovi il favore del maggior numero possibile di lettori. Non perché abbiamo scritto quello che loro aspettavano ma perché li abbiamo sorpresi, appassionato, anche arrabbiato [...] (Vogliamo) offrir- gli una visione nuova dei problemi, aprire, chissà, 50
  • 51. qualche finestra nella loro mente, forse cambiare la loro vita nel senso di visione, posizionamento [...]”54. Si tratta di un modello imitabile nelle questioni che stiamo trattando. È la “cultura del maiale” che permet- te di rivendicare con giustizia il valore dell’Europa meridionale. Per tanto, tecnicamente, al parlare di “Slow” ci stiamo riferendo a due aspetti che considero fattori essenziali per lo sviluppo di una strategia locale che permetta all’immensa maggioranza (che non compete nel Cam- pionato Mondiale) di cercare delle vie d’uscita alla cri- si. Un aspetto ha a che vedere con la riscoperta degli altri, dell’intorno, di una vita condivisa con la calma necessaria, senza dimenticare le possibilità che, nello sviluppo di tale nicchia quasi uterina, le reti globali possono offrire. L’altro aspetto ha a che vedere con la gestione dell’informazione e della conoscienza. Partendo da questa premessa si tratta di recuperare, o creare, nicchie di azione basate su informazioni o conoscenze specifiche. Esistono molti casi di impre- se di successo che hanno seguito questo processo. Le troviamo nel mondo dell’alimentazione o della moda, 51
  • 52. ma anche nell’offerta di tuberie per la canalizzazione dell’acqua o in tanti altri settori. Imprese che nascono da una tradizione o da una ricerca che migliora aspet- ti concreti di un’attività tradizionale e la offrono con notevole successo. L’uso della “attenzione” come fattore essenziale ne- lle relazioni con gli utenti e clienti e come alternati- va alla prepotenza della tecnologia IC (informazio- ne e comunicazione). L’importanza, il salto in primo piano, del concetto di attenzione ha a che vedere con la sovrabbondanza de- lle informazioni proporzionate dalla Rete. La grande quantità d’informazione esistente fa sì che l’attenzione sia la risorsa più scarsa nel mondo del buisness, più scarsa del talento o della tecnologia55. Questa idea è il fondamento del concetto di Slow Communication, cui ci siamo riferiti prima56. È un fatto inconfutabile che uno dei problemi fondamentali dell’attuale comuni- cazione esterna e delle relazioni con gli utenti finali e consumatori sta nell’interfaccia, nel punto di contatto tra l’offerta e la domanda. Per questo il concetto di attenzione si situa come fattore di maggior importanza rispetto al semplice lavoro di selezione ed edizione 52
  • 53. di tutto quello che inonda la Rete giornalmente. Per questo considero che analizzando cosa sia l’attenzione possiamo stabilire le caratteristiche di un’interfaccia realistica tra i diversi attori che operano dentro e fuori dalla Rete. Prendendo come punto di riferimento Monticelli, che fa una lunga digressione sulla presenza del concetto attenzione nella filosodia occidentale57, possiamo defi- nire l’attenzione come “la predisposizione interiore di colui la cui intelligenza e cuore si trovano concentrati nell’atto di fede viva, di adesione di tutto se stesso alla comprensione e senso di ciò che percepisce”58. E sono sue caratteristiche: • La vigilanza o predisposizione a percepire tutto ciò che nel proprio intorno possa incrementare l’informazione e la conoscenza o essere utile alla soluzione di problemi o questioni non comprese fino a quel momento. • La concentrazione, o capacità di selezione e sem- plificazione di concetti e la determinazione della mente nell’intellezione dell’essenziale • La pazienza, o perseveranza, o capacità di as- pettare che l’intuizione diventi esplicita e che il nodo del semplice arrivi a sciogliersi e a essere 53
  • 54. compreso. È il contrario della velleità, del lasciar- si trasportare dal vento, dell’attitudine oggi do- minante nell’uso della Rete e dell’informazione, che impedisce di arrivare alla conoscienza. • Lontana da ogni “ismo” prefissato o ideologia. La capacità della mente di muoversi in qualsia- si direzione, senza limiti stabiliti da apriorismi ideologici o fanatismo spirituale. • In una certa misura un dono che alcune persone possiedono. Secondo Leibniz, “atentio vera, do- num gratiae” e per Malebranche, “l’attenzione è la silenziosa preghiera del cuore”, “la capacità di concentrare l’interesse della mente nel cuore”59. L’attenzione si contrappone a tutta una serie di per- versioni60. Una perversione motivazionale che ci porta a considerare ciò che è emotivamente vicino come prioritario, durante le nostre analisi mentali. Una per- versione dei comportamenti che ci porta a dare priorità a ciò che è universalmente accettato dalla maggioran- za, al politicamente corretto; Hannah Arendt etichetta questa perversione come la “banalità del male” e il “vuoto del pensiero” che si trova con frequenza nei comportamenti umani più mostruosi. Una terza, la perversione dell’amore o dissipatio mentis, che impone il 54
  • 55. breve termine, un presunto profitto o piacere (amore) immediato ed egoista (“esse diminutum” lo definisce Sant’Agostino), rispetto agli interessi e benefici (amo- re) consistenti e a medio/lungo periodo, unici capaci di ordinare ed orientare una vita (“esse absolutum”). Cipolla nel suo Trattato sulla Stupidità indica questa perversione come il culmine, la cima, della stupidità umana che consiste nel danneggiare se stessi e gli al- tri per un motivo immediato, egoista e senza consis- tenza61. L’attenzione è il contrario della dissipazione, della dispersione, della distrazione della mente, di tutto quello che trasforma la vita in una successione continua di avvenimenti minori. L’attenzione è con- centrazione. CONCLUSIONI La credibilità è qualcosa di radicato. Non è facile cambiarla. Non è facile che i “Paesi Maiali” (i PIIGS del The Economist) possano togliersi di dosso la repu- tazione di poco affidabili rispetto ai paesi protestan- ti dell’Europa settentrionale. Sempre che gli venga bene, questi ricorreranno a vecchi stereotipi con i qua- li si sentono comodi. Anche se convivere con questa reputazione non può bloccarci. Per questo servono, io 55
  • 56. credo, le proposte che abbiamo analizzato: • Trasformare la Reputazione in Virtù. La Virtù in Azione, in fatti visibili e dimostrabili. Proporre fatti e risultati tangibili, prima, e solo in un secon- do momento passare al marketing. • Lavorare dall’informazione organizzata, ossia, dalla conoscienza. Auspicandosi che questa pos- sa diventare asset intangibile che si converte in brevetti, banche dati, prodotti di R&S registrati e utilizzabili come innovazione e fattore di produt- tività ed efficacia. • La sostituzione di comportamenti Fast propri dell’economia globale con comportamenti Slow, che corrispondono a uno stile di vita che parte dal locale, dalla conoscenza e dall’informazione ereditata dalle vecchie abitudini, dalla prossimi- tà, dal rispetto dei cicli della natura e dalla vita delle persone. • Il ricorso all’attenzione come interfaccia efficiace. L’attenzione è il contrario della dissipazione, della dispersione, della distrazione della mente che tras- forma la vita in una sucessione continua di avve- nimenti minori. L’attenzione è concentrazione. Soddisfando determinate condizioni, quindi, i “Paesi PIIGS” possono riorientare il proprio futuro colletti- 56
  • 57. vo. Secondo la mia opinione, queste condizioni, riferi- te alla credibilità, all’onore, alla reputazione, alla fidu- cia, devono fondarsi su radici antiche, non rinunciare a ciò che si è stati e proiettarsi, a partire da nicchie sicure di cose che sappiamo fare, verso un mondo e un mercato con possibilità crescenti fino ad arrivare in molti casi ad essere globali. È l’intenzione di quest’analisi e di queste previsioni. ANEXO Digressione sull’importanza del maiale (PIIGS Factor) e dell’Indice di Maiale pro Capite (IMC) nell’economia europea e come punto di riferimento nell’attuale crisi economica. Grazie a Dio per aver creato il maiale, un animale utile a tutti, nato per trasformare gli avanzi e i residui in mera- vigliosi piatti, per essere universale e per niente classis- ta, per essere ecologico, per niente razzista, e per essere democratico e ottenere che in lui tutto sia utilizzabile. È impossibile comprendere l’evoluzione economica dell’Europa senza il maiale. Un maiale manteneva 57
  • 58. a una famiglia durante un anno: un maiale era una famiglia. Vari maiali rendevano una famiglia sicu- ra, ricca e rispettabile. Le permettevano comprare una vacca e un cavallo e comprare della terra. Non sarebbe difficile stabilire una relazione statistica tra “l’Indice di Maiale pro Capite” (IMC) e il Prodotto Interno Lordo (PIL) di una famiglia, prima, di una co- munità, poi, e di un regno o un impero, più tardi. Non sarebbe difficile derivare dall’IMC l’accumulazione dei beni e la trasformazione delle famiglie campesine in borghesi. Né seguire l’evoluzione dell’IMC attra- verso mattatoi, macellai e macellerie (punti vendita) per marcare, partendo dal maiale, lo sviluppo delle società urbane e di massa: non è forse stata la carne di maiale, competendo con quella di pollo, l’alimento proteinico popolare per eccellenza? La metodologia di questa dimostrazione è consolidata62. Però il maiale è molto più che un IMC. È l’animale totem dell’Europa e della cultura di matrice europea, del classicismo e del cristianesimo. La sua esistenza, cura, riti d’attenzione, morte e preparazione di deri- vati ci differenzia radicalmente dalle altre religioni monoteiste, dai musulmani e dagli ebrei. È l’animale di sostentamento degli dei63 e, allo stesso tempo, man- 58
  • 59. tenimento basico dei pellegrini e punto di riferimento per il ritorno a casa, per la fine del tragitto. L’Antico Testamento lo denigra64 però il Nuovo Testamento è la Nuova Legge (“Non è fatto l’uomo per la legge, ma la Legge per l’Uomo”) e le sue norme di condotta hanno a che vedere con le “beatitudini”65 più che con il commercio alimentario. È così che, a partire soprattutto dal Rinascimento, il capitalismo stabilitosi come uno degli elementi che definiscono la società occidentale integrò senza diffi- coltà l’economia del maiale, e l’IMC sarebbe potuto essere il suo indice di riferimento. Il capitalismo era di fatto il prolungamento dell’economia e della società del “libero arbitrio” o libertà individuale che gli uo- mini, in diritto naturale, ricevevano in quanto figli di Dio. La proprietà, la libertà di commercio, produzione di beni, negoziazione, circolazione e mercato, la liber- tà d’espressione, riunione, intercambio, distribuzione e vendita, sono tutte prolungamenti dell’individuale libertà66. È un errore comune negli economisti che stu- diano l’età moderna non fare riferimento all’IMC67, solo giustificabile con le influenze che su di loro ha avuto l’evoluzione posteriore del capitalismo. 59
  • 60. Il capitalismo ha sempre avuto la necessità di indici di riferimento, di una giustificazione etica e di riferimenti e strumenti di concretazione e misura. Sarebbe potuto esserlo l’IMC. Il capitalismo stabilì con il cristianesimo un compromesso semplice, risolvendo razionalmente la questione critica dei tipi d’interesse (condannando l’usura, propria delle tradizioni distanti dal maiale) e stabilendo una relazione d’interesse non teologico (donazioni o tributi), o teologico (indulgenze), con la Chiesa di Roma. In questa tradizione l’IMC sarebbe potuto essere un indice basico di riferimento e sugge- riamo ai ricercatori di econometria che lo prendano in considerazione68. La prima alternativa a una possibile supremazia dell’Indice di Maiale pro Capite (IMC) arrivò con la Riforma e col Calvinismo. Forse Weber ha esagera- to nel considerare il calvinismo come fattore decisivo per lo sviluppo del capitalismo moderno però è certo che la morale mercantile del protestantesimo radica- le diede al capitalismo dei paesi dell’Europa setten- trionale una formidabile legittimazione etica. Questa legittimazione si plasma nella pratica in un’evidente ipocrisia sociale e nel cinismo secondo cui le sofferen- ze causate dal lavoro nelle fabbriche o nelle miniere 60
  • 61. sono prova della grazia divina e garanzia di salvezza eterna. O, in un passo più avanti: “non è necessario che l’attore economico sia motivato da convinzioni mora- li: è sufficiente che si comporti come se tali convinzio- ni esistessero”69. Un esempio chiaro di questo cinismo si vive oggi in Olanda: con una coscienza indubitabi- le che i paesi dell’Europa meridionale siano “maia- li” poco affidabili (la “cintura d’aglio”), gli olandesi mantengono la produzione di maiale come supporto basico della loro economia nazionale a tal punto da avere seri problemi (di costi) con l’inquinamento del suo piccolo territorio di purina, ammoniaca e cattivi odori (accumulazione di merda di maiale)70. Una seconda alternativa alle frustrate possibilità dell’IMC come indicatore dello sviluppo sostenibile è venuta dagli Stati Uniti dove la rigidezza morale calvinista, propria dei primi immigrati si sommò allo spietato rigore della minoranza ebraica, fuse ambe tendenze nel culto comune del vecchio testamento. Questa fusione diede luogo a un’etica capitalista di taglio fordista e finalista: l’etica si misura attraverso i risultati e il processo di misura con regole e norme avallate da un’autorità esterna. In questa linea ha pre- valso la teoria economica classica, da Adam Smith 61
  • 62. a Walras o Pareto un amoralismo metodologico che elimina semplicemente il problema della responsabi- lità morale. La legittimazione etica del capitalismo sta nella motivazione individuale (“la felicità dell’uomo sembra sia stato l’obiettivo originale dell’Autore de- lla natura” giustificò Adam Smith). La legittimazione morale rimane esternalizzata, soggetta al diritto e alle agenzie di valutazione d’obiettività riconosciuta, os- sia, accordata71. Sostiene Paul Krugman, nella sua critica all’amministrazione Bush, che negli anni novanta questa posizione portò a un capitalismo estremamen- te immorale, che si diffuse invadendo tutti i settori sociali e inondando tutta la coscienza sociale, influen- do nella scomparsa di qualsiasi regola di decenza nei comportamenti, eliminando inibizioni e credenze, dando per antiquato e conformista tutto ciò che ha a che vedere con il rispetto degli altri e il comportamen- to civico72. E così siamo arrivati alla situazione attuale. Il maia- le continua ad essere in Europa l’animale totem: è la carne preferita degli europei nella sua totalità73. Non si capisce perché non appaia come simbolo della ban- 62
  • 63. diera europea e non si capisce perché gli economisti non considerino l’IMC (Indice di Maiale pro Capite) come fattore decisivo dello sviluppo sostenibile e, so- prattutto, come fattore di credibilità. Inoltre i paesi ufficialmente non cattolidi dell’Europa settentrionale sono produttori di maiale per eccellenza: Germania aveva censito nel 2009 casi 27 milioni di unità suine, equivalenti al 18,3% di tutta la produzione europea; Olanda – un caso insolito per via della sua dimensio- ne e per i problemi con la merda di maiale – aveva in quella data più di 12 milioni di unità, equivalenti all’8,5% di tutta la produzione europea. Ciò nonos- tante, i grandi paesi cattolici (Spagna, Italia, Porto- gallo, Irlanda e includiamo Grecia per completare) arrivavano nel 2009 a un totale di 37 milioni di unità, equivalenti appena al 26% del censo totale europeo74. Poco per essere dei “PIIGS”. E con queste cifre e cinismo, i portavoce dominanti dell’economia mondiale chiamando “maiali” i paesi europei cattolici del sud, col significato di “poco affi- dabili”, meno degni di essere comprati (o mangiati), con poco futuro, ai quali bisogna prestare il denaro con un interesse più alto, nonostante il suo debito es- tero sia inferiore ai cosidetti paesi “waps” (per modo 63
  • 64. di dire). Parlando del debito estero, e ad eccezione di Grecia e Italia le cui cifre sono al di sopra del 100% del proprio PIL, il resto dei paesi europei si mantiene su cifre controllabili, però Francia, Alemania, Regno Unito o Olanda mantengono le proprie percentuali un 10% superiori al debito spagnolo75. Lo smantellamento morale ha dabilitato le difese del capitalismo che gioca esclusivamente con indici di fiducia lontani dalla realtà. Con la credibilità (“cre- do”) e la fiducia si può fare qualsiasi cosa: la crisi del “credo” sta comportando l’inverno dell’economia occidentale, sotterrata da enormi scandali conosciuti e basati sulla fiducia: Lehman Brothers, Enrom, Par- malat e tanti altri. Per questo rivendichiamo l’ICM (Indice di Maiale pro Capite) come indice di credibilità alternativo e di fi- ducia crescente. Confido che siate d’accordo con me. Grazie mille 64
  • 65. NOTE 1 Secondo uno studio pubblicato dal Real Instituto Elcano e basato nei dati del rapporto Reputation Institute per il 2011, la marca España avrebbe perso, tra il 2009 e 2011 (specialmente in quest’ultimo anno), la metà del suo valore sui mercati. Il deterioramento della “marca” España è simile a quello sofferto da Irlanda e Portogallo, paesi che son dovuti essere riscattati dalla UE. In questo senso, gli autori dello studio concludono che questa sfortuna non si basa tanto sui fatti palpabili, quanto sull’evoluzione delle agenzie di rating Moody’s, Fitch e Standard & Poor’s, e, ancora di più, sull’effetto contagio dell’etichetta PIIGS. L’etichetta PIIGS è parte del problema, essendosi trasformata in“ una profezia che autodetermina”. Letto in http:// www.ipmark.com/noticia/11592/EMPRESAS/marca-espa?a-torpedeada- etiqueta-piigs.html (consultato il 12 /12/2011). 2 KEYNES,J.M., Teoría General sobre el Empleo, el Interés y la Moneda (The General Theory of Employment, Interest and Money, Macmillan, Londres), 1936, cap. 12; SIMMEL, G., The Philosophy of Money, Routledge, Londres, 1978, pp.178-9 y 480. 3 SOROS, G., The Crash of 2008 and What It Means, Public Affaris, Nueva York, 2009; STIGLITZ, J., To Choose Austerity is to Bet It All on the Confidence Fairy in http://www.guardian.co.uk/commentisfree/cifamerica/2010/ oct/19 (consultato il 24/10/2010). 4 RUFFOLO, G., Lo specchio del diavolo: la storia dell’economia dal Paradiso terrestre all´Inferno della finanza, Ed. Einaudi, Turín, 2006, V. 5 STIGLITZ, J.E., Los felices 90. La semilla de la destrucción, Taurus, Madrid, 2003; KRUGMAN, P., La deriva americana, Laterza, Roma, 2004. 6 GREENSPAN,A., The Age of Turbolence: Aventures in a New World, Penguin Press, Londres, 2007; GALBRAITH, J.K., Breve Historia de la euforia financiera, Ariel, Barcelona, 2011; PEYRELEVADE, J., Le capitalisme total, Ed. Seuil, Paris, 2005. 7 KOTLER, Ph., Los 10 principios del nuevo marketing in http://www.slideshare. net/oliver.barreto/philip-kotler-los-10-principios-del-nuevo-marketing-presentation (consultato il 20/10/2011). 8 Un’analisi dettagliata di questo processo in: TIMOTEO Álvarez, J., Il potere diluito, chi governa la società di massa, Rubbettino, Bari, 2007. 9 MINC, A., La mondialisation hereuse, Plon, Paris, 1997. 10 ROGGERO,G.A.(ed.), Le Relazioni Pubbliche, FrancoAngeli, Milano, 2002; VECCHIATO,G.,(ed.), Relazione Pubbliche e Comunicazione, FrancoAngeli, Milano, 2003. 11 MOORE,P., «Rethinking the Idea of Profit in Professional Communication and Cultural Capitalism», Journal of Business and Technical Communication, 65
  • 66. April 2004, viol.18, nº 2: 233-246. 12 MARTIN, G.S. y BROWN, T.J., «In search of brand equity: The conceptualization and measurement of the brand impression construct»; Marketing Theory and Applications ; vol.2 (1990) pp. 431-438; BARWISE, P.; HIGSON, C.; LIKIERMAN, A. y MARSH, P.: «Brands as separable assets»; Business Strategy Review; ( 1990); pp. 43-59; AMBLER, T. y STYLES,C. «Brand equity: Towards measures that matter»; PAN’AGRA Working Paper, London Business School (1995), n.º 902. 13 FELDWICK, P., «Do we really need ‘brand equity?»; Journal of Brand Management; vol.4 (1996),nº 1, pp.9-29. 14 CZELLAR, S., «Capital de marque: Concepts, construits et mesures»; Cahier de recherche, 97/16 (1997), Section des Hautes Etudes Commerciales, Université de Genève; RIO, A.B., VAZQUEZ,R., IGLESIAS,V., «El valor de marca: perspectivas de análisis y criterios de estimación» Cuadernos de Gestión Vol. 1. N.º 2 (2002),PP.87-102. 15 SIMON, C.J. y SULLIVAN, M.W.,«The measurement and determinants of brand equity:A financial approach»; Marketing Science; vol. 12, (nov.1993), pp. 28-52; MURPHY,J., (ed), Brand Valuation:Establishing a Truth and Fair View,The Interbrand Group, Londres, 1993. 16 KELLER, K.L., «Strategic brand management. Building, measuring and managing brand equity»; Prentice Hall, New Jersey, 1998; ERDEM, T. y SWAIT, «Brand equity as a signalling phenomenon»; Journal of Consumer Psychology; vol. 7,(1998) n.º 2; pp. 131-157. 17 RIO, A.B., VAZQUEZ,R., IGLESIAS,V., «El valor de marca: perspectivas de análisis y criterios de estimación », Cuadernos de Gestión Vol. 1. N.º 2 (2002), pp.87-102. 18 CHAY, R.F., «How marketing researchers can harness the power of brand equity»; Marketing Research; 9 (1991); pp. 30-37. 19 RIO,A.B., art cit. p.92. 20 Ibidem, TIMOTEO Álvarez, J., Il potere diluito, chi governa la società di massa, Rubbettino, Bari, 2007. 21 Attualmente il Global Reporting Initiative sta lavorando all’integrazione dell’informazione financiaría e la non financiaría in un unico documento. Per questo motivo ci si aspettava che durante la riunione del G-20 in Cannes (novembre 2011) venisse presentato una prima bozza peri il primo disegno dell’informazione corporativa in questo senso. Non è stato presentato. 22 Il Monitor Europeo di Comunicazione 2010 pone come manifesto che solo un quarto dei responsabili europei della comunicazione controllino l’impatto delle attività di comunicazione sui pubblici strategici. Tenendo in considerazione anche il fatto che con molta frequenza i rapporti vengono elaborati dalle imprese stesse. Sembra evidente che il sistema di misura è molto lontano dall’ideale. 66
  • 67. 23 Indicatori specifici finanziari, indicatori d’impiego, di sostenibilità e RSC come il Dow Jones Sustainability Index, l’indice IBEX RSC di KPMG, il rapporto di Forética, The Great Place to Work de TGPW Institute, etc., che non terremo qui in considerazione per via della sua specificità rispetto agli indicio di reputazione e valore di marca che considerano gli intangibili in maniera più globale. 24 FERGUSON, N., Dinero y Poder en el mundo moderno 1700-2000, Ed. Taurus, Madrid, 2001, pp. 467ss. Dagli anni 60 circola una letteratura nella quale la reputazione è il valore attivo dominante: Howard L. Myers, All around the Universe; Iain M. Banks, The Algebraist; Jack Vance, The Moon Moth. Il caso più interessante è quello di Cory Doctorow che nel suo romanzo del 2003 Down and Out in the Magic Kingdom, ha teorizzato l’arrivo di “whuffie”. Whuffie è un sistema di valutazione reputazionale che sostituisce la moneta e permette beni e servizi di alto livello. 25 http://reporting.sunlightfoundation.com/2011/credit-rating-agencies/ (consultato in ottobre 2011). 26 Anupama Narayanswamy, Dodd Frank: How rating agencies constributed to the financial crisis, Sunlight Foundation Repporting Group, 15 novembre 2011. 27 Il 6 dicembre 2011, un paio di giorni prima che si riunissero i leader dei paesi dell’Eurozona per presentare una strategia congiunta di uscita dalla crisi, Standard & Poor’s minaccio a 15 dei 17 paesi d’Europa con ribassar loro la classificazione. Questo annuncio in quella data è stato considerato per gli europei come un’azione politica, un’intervento disinformatore e inaccettabile. L’agenzia cerca in questo modo di farsi notare e farsi pubblicità, ossia, salvaguardare i propri interessi danneggiando a terzi. Vedere i quotidiani del 7 dicembre 2011. 28 Il gruppo Beyond-Gdp si dedica nell’Unione Europea a sviluppare, tra altre cose, sistemi di misurazione del benessere (“progress, true wealth, well-being of nations”) dall’anno 2007. Nel novembre di quest’anno ebbero una prima riunione durante la quale riconobbero che “il PIL in aumento può occultare considerevoli perdite di ricchezza e benessere”; menzionarono come esempio l’aumento di produzione che può ottenere uno stato dove sia permesso il lavoro infantile. O il riflesso positivo che un disastro naturale può avere sulle statistiche di crescita grazie ai lavori di ricostruzione. (www.beyond-gdp.eu) (consultato il 20/10/2011). 29 Dio ad Adamo: “Non ti ho dato o Adamo né un posto determinato, né un aspetto proprio, né alcuna prerogativa tua, perché quel posto, quell’aspetto, quelle prerogative che tu desidererai, tutto secondo il tuo voto e il tuo consiglio tu ottenga e conservi. La natura determinata degli altri è contenuta entro leggi da me prescritte. Tu determinerai la tua natura da nessuna barriera costretto, secondo il tuo arbitrio, 67
  • 68. alla cui potestà ti consegnai. Ti posi nel mezzo del mondo perché di là meglio tu scorgessi tutto ciò che è nel mondo. Non ti ho fatto né celeste né terreno, né mortale né immortale, perché di te stesso quasi libero e sovrano artefice ti plasmassi e ti scolpissi nella forma che avresti prescelto. Tu potrai degenerare nelle cose inferiori che sono i bruti; tu potrai secondo il tuo volere rigenerarti nelle cose superiori che sono divine”. 30 FLETCHER,A., Time, Space and Motion in the Age of Shakespeare, Harvard Univ. Press, Londres, 2007. 31 SCHULZE, I., La Leyenda Negra de España: Propaganda en la Guerra de Flandes 1566-1584. Ed. Complutense, Madrid, 2008. 32 BARZUN,J., Del amanecer a la decadencia: quinientos años de vida cultural en Occidente. Ed. Taurus, Madrid, 2001, pp.29-157. 33 STIGLITZ, J. E. Los felices 90. La semilla de la destrucción. Taurus, Madrid, 2003 34 HIRSCHMAN,E.C., «Aesthetics, Ideologies and the Limits of the Marketing Concept», in Journal of Marketing, XLVII, 1983, nº 3, pp.45-55. 35 BARZUN, J., Del amanecer a la decadencia. pp.537. 36 MOSSE, G.L., La nacionalización de las masas: simbolismo político y movimientos de masas en Alemania desde las Guerras Napoleónicas al Tercer Reich, Marcial Pons Ed., Madrid, 2005; MACKENZIE, J.M.,(ed.), Imperialism and Popular Culture, Manchester University Press, 1986. 37 Recogido por BARZUN, J., Del amanecer a la decadencia, p.750. 38 BERTA,G., Eclisse della socialdemocrazia, Il Mulino, Milano, 2009. 39 TIMOTEO, Álvarez, J., Il potere diluito, chi governa la società di massa, Rubbettino, Bari, 2007, pp.248-291. 40 ARISTÓTELES, Etica a Nicómaco, IV, 7, 1123 b, 20-21 y 35. 41 Summa Teologica, II, ii,q.63,a.3. 42 SCHOPENHAUER, A., El arte de hacerse respetar expuesto en 14 máximas o Tratado sobre el Honor, Alianza Ed., 2004. 43 Schopenhauer usa come premessa al suo Trattato una massima di Baltasar Gracián che raccoglie perfettamente la definizione: “Lo bueno, si breve, dos veces bueno; // y aún lo malo, si poco, no tan malo: // más obran quintas esencias, que fárragos”. 44 Il CERSE è costituito da vari ministeri ed integrato con organizzazioni sociali: patronali, sindacati, ogn, etc. Il suo capo è il direttore generale di Economia Sociale e RSI del Ministero del Lavoro. 45 Un chiaro esempio di questa confusione si trova nel dossier «La Responsabilidad Social Corporativa en la encrucijada» pubblicato su Telos:Cuadernos de Comunicación e Innovación, Fundación Telefónica, nº 19 (abril-junio 2009), pp.50-143. 46 ONCIX (Office of the National Counterintelligence Executive), Foreing Spies stealing US Economics secrets in Cyberspace. Report to Congress 2009-2011. 68
  • 69. October 2011. 47 Le informazioni qui raccolte sono apparse nei media economici. Come riassunto fare riferimento: http://www.bbc.co.uk/mundo/ noticias/2011/10/111024_celulares_guerra_patentes_apple_microsoft_ samsung_iphone_nokia_jg.shtml (consultato 10/11/2011); http://www. elpais.com/articulo/primer/plano/Guerra/patentes/elpepueconeg/20110 821elpneglse_1/Tes. (consultato 10/11/2011). 48 ROYAL SOCIETY: “The Scientific Century: Securing our future Prosperity”. Londres, Marzo 2010. http://royalsociety.org/policy/publications/2010/ scientific-century/ (consultato 12/11/2011). 49 Tim O´Reilly, Economía y Ecosistema de Contenidos nella FICOD (Feria Inernacional de Contenidos: novembre 2011) in http://www.ficod.es/ ficod/sesion-prenaria/inauguraci-n-ficod-2011-tim-o-reilly-econom-y- ecosistemas-de-contenidos?t=1321971005533 . 50 DAMASIO, A., Y el Cerebro creó al Hombre, Ed. Destino, Madrid, pp. 61-112. 51 Si tratta di un vecchio aforisma platonico: “In quippe animus pascitur, unde laetatur” (S. Agustín, Confesiones, XIII, 27.42); “la mente si nutre di ciò che la rallegra”. 52 http://slowfood.es/manifesto-de-slow-food/ (consultato il 10/11/2011). 53 FREEMAN, J., Not So Fast: a Manifesto for Slow Communication, TWSJ, Ausgust, 21, 2009. 54 Intervista ne Il Sole 24 Ore, 24 Abril 2011, n.17. New Yorker vende (Abril 2011) 1.024.882 copie alla settimana: 994.274 per abbonamento e 32.608 nelle edicole, con 2.5 millones di visite online al mese. 55 DAVENPORT, T.; BECK, J., The Attention Economy: Understanding the New Currency of Business, Harvard Business School Press, 2001 56 FREEMAN, J., Not So Fast: a Manifesto for Slow Communication, TWSJ, Ausgust, 21, 2009. 57 MONTICELLI, R. L´Allegria della Mente: Dialongando con Agostino, Mondadori, Milán, 2004, pp.151-183. 58 Citato da Monticelli, o.c., pp.157, riferito al libro di P.Michel, Lessico del deserto. 59 MONTICELLI, R. L´Allegria della Mente: Dialongando con Agostino o.c., pp.159. 60 MONTICELLI,R. L´Allegria della Mente: Dialongando con Agostino o.c.pp.162. 61 CIPOLLA, C.M., Allegro ma non troppo, Ed. Crítica, Barcelona, 2007: “Las leyes fundamentales de la estupidez humana” (pp. 57-103). 62 Basta seguire il metodo santificato da CIPOLLA, C.M., Allegro ma non troppo, Ed. Crítica, Barcelona, 2007: “Il ruolo delle spezie (e del pepe in particolare) nello sviluppo economico del medioevo” (pp.13-57). 69
  • 70. 63 Homero, Odisea, Canto XIV: ”Ei, la riva lasciata, entrò in un’aspra Strada, e per gioghi e per silvestri lochi Là si rivolse, dove Palla môstro Gli avea l’inclito Eumèo, di cui fra tutti D’Ulisse i miglior servi alcun non era, Che i beni del padron meglio guardasse. Trovollo assiso nella prima entrata D’un ampio e bello ed altamente estrutto Recinto, a un colle solitario in cima. Il fabbricava Eumèo con pietre tolte Da una cava propinqua, e mentre lungi Stavasi Ulisse, e senz’alcun dal veglio Laerte, o da Penelope, soccorso: D’un’irta siepe ricingealo, e folti Di bruna, che spezzò, quercia scorzata Pali frequenti vi piantava intorno. Dodici v’eran dentro, una appo l’altra, Comode stalle, che cinquanta a sera Madri feconde ricevean ciascuna. I maschi dormìan fuor, molto più scarsi, Perché scemati dall’ingordo dente De’ proci, a cui mandar sempre dovea L’ottimo della greggia il buon custode. Trecento ne contava egli, e sessanta […]”. 64 Deuteronomio 14:3-8 : “Non mangerai cosa alcuna abominevole. Questi sono gli animali dei quali potrete mangiare: il bue, la pecora e la capra; il cervo, la gazzella, il daino, lo stambecco, l’antilope, il capriolo e il camoscio. otrete mangiare d’ogni animale che ha l’unghia spartita, il piè forcuto, e che rumina. Ma non mangerete [...] il porco, che ha l’unghia spartita ma non rumina; lo considererete come impuro. Non mangerete della loro carne, e non toccherete i loro corpi morti. […]”. 65 SAN MATTEO 5, 3-10: “Beati i poveri in ispirito, perché di loro è il regno de’ cieli. Beati quelli che fanno cordoglio, perché essi saranno consolati. Beati i mansueti, perché essi erederanno la terra. Beati quelli che sono affamati ed assetati della giustizia, perché essi saranno saziati. Beati i misericordiosi, perché a loro misericordia sarà fatta. Beati i puri di cuore, perché essi vedranno Iddio. Beati quelli che s’adoperano alla pace, perché essi saran chiamati figliuoli di Dio. Beati i perseguitati per cagion di giustizia, perché di loro è il regno dei cieli”. 66 CERVANTES, Don Quijote: II, 58: “La libertà, Sancho, è uno dei più preziosi doni che agli uomini diedero i cieli; con essa non possono igualarsi i tesori que nasconde la terra o ricopre il mare; per la libertà, così come per l’onore, si può e si deve avventurare la vita, e, contrariamente, la prigionia è il maggior male che possa venire agli uomini”. 67 BRAUDEL, F., (1979) Civilización material, economía y capitalismo, Madrid, 1984 Alianza Editorial, 3 vols.; POLANYI, K. (1944): La gran transformación, Fondo de Cultura Económica, México,.1991. 68 La teorizzazione della simbiosi tra cattolicesimo e capitalismo si attribuisce a Jean Bodin, consigliere del Re Enrique II nel secolo XV: “extraño hijo de un tiempo maquiavélico, un espíritu antiguo que observa el presente para escrutar el futuro. Y el futuro es un mundo en el que el trabajo se someterá a objetivos de riqueza. Se llamará capitalismo. Para que este proceso tenga lugar hay que liberarlo de todo impacto del pasado: la tradición (la moral), los sentimientos, las pretensiones de los hombres de controlar su destino: es necesario someterse a las leyes soberanas del 70
  • 71. Mercado […]”. Erano anni di terribili guerre di religione e in esse “el terrible dios tirano de los calvinistas no es otra cosa que la resurrección del viejo dios hebraico del Exodo”. RUFFOLO, G., Il capitalismo ha i secoli contati, Einaudi, Turín, 2006,pp.255ss. 69 HIRSCH, F., Los límites sociales al crecimiento, Fondo de Cultura Económica, Mexico 1985. 70 In Olanda la produzione del maiale contribuisce in maniera sostanziosa all’economia nazionale in termini di impiego ed esportazione di prodotti. Nel 2009 la popolazione totale di maiali era di 12.108.000. Esistono circa 3.500 allevamenti di maiali (dato Eurostat 2007), concentrate in maggioranza nell’est e nel sud del paese, generando gravi problemi di stanziamento di purina, emissioni ammoniache e cattivi odori, e controllo della salute e benessere animale. Cfr. SANCHEZ ORTEGA, A., Modelización de un sistema de compostaje y evaporación de purines de cerdo, Escuela Técnica Superior de Ingenieros Agrónomos, Universidad Pública de Navarra, Febrero 2011. 71 STIGLITZ, J.E., Los felices 90. La semilla de la destrucción, Taurus, Madrid, 2003. 72 KRUGMAN, P., La deriva americana, Laterza, Roma, 2004. 73 Il consumo di carne suina rappresenta circa il 50% del totale della UE-25, con un livello individuale di 42,2 kg. È diminuito di oltre un 2% tra il 2003 e il 2005. Nei paesi della ex UE-15, oscilla intorno ai 43 kg dal 1999, influenzato principalmente dalle fluttuazioni del ciclo di produzione suina. Si trova in fase di recessione dal 2004, e si situa oggi su un 3% meno, rispetto al suo livello massimo del 1999. Dal 1999 sta retrocedendo in Francia, Germania e, in misura minore, in Spagna, mentre in Regno Unito e specialmente in Italia è aumentato. Nei nuovi membri il livello medio di consumo è quasi paragonabile a quello della ex UE-15 (41,5 kg). Si trova in aumento da due anni, in particolare, in Polonia il cui ampliamento ha ridotto leggermente la tendenza al ribasso nella UE. Vedere: www.3tres3.com/buscando/consumo- de-carne-en-europa_1658/ (consultato il 20/10/2011). 74 El Sector Cárnico en Cifras. Dirección General de Agricultura. Generalitat de Cataluña, 2010. Ver: www20gencat.cat. (consultato il 20/10/2011) . 75 Debito estero dei paesi europei: http://www.deudaexterna.es/los-paises- europeos-con-mas-deuda/ (consultato il 20/10/2011). 71
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