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Le figure professionali nei
servizi educativi 0-6 anni
Comune di Firenze 15 gennaio 2022
Nice Terzi – Marco Fibrosi
ZeroseiUP
Le figure professionali nei servizi educativi 0-6 anni
L’architettura istituzionale e le interconnessioni
I documenti di indirizzo pedagogici (il quadro concettuale)
i ruoli e le funzioni delle figure professionali
Il gruppo di lavoro (la competenza comunicativa)
Essere consapevoli del proprio stile relazionale,
La competenza comunicativa con i bambini (cura e educazione)
Imparare a comprendere meglio gli altri
L’architettura istituzionale
Lo Stato
Le Regione
Gli Enti Locali (Comuni)
I Servizi Educativi (pubblici e privati)
(Il sistema integrato 0-6)
lo Stato ha legislazione esclusiva in una serie definita di materie, tra le quali rientrano la definizione delle
norme generali sull’istruzione (…) devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale;
All’interno del Governo, il Ministero dell’istruzione (MI) è competente per il sistema di istruzione, dalla prima
infanzia (sistema integrato 0-6) a tutta l’istruzione scolastica, mentre il Ministero dell’università e della
ricerca (MUR), è responsabile per il settore dell’istruzione terziaria e per la ricerca.
Le Regioni
le Regioni hanno la potestà di legislazione esclusiva per tutte le materie che la Costituzione non riserva
espressamente alla legislazione dello Stato. Fra queste, l’istruzione e la formazione professionale;
rispetto ad alcune materie, tassativamente elencate, le Regioni hanno una potestà di legislazione
concorrente, nel senso che possono legiferare salvo che per la determinazione dei principi fondamentali,
riservata alla legislazione dello Stato. Tra le materie riservate alla legislazione concorrente vi è l’istruzione.
Amministrazioni Locali: I Comuni
Il Comune è l’ente territoriale di base, a contatto diretto con i bisogni della popolazione.
Il Comune delibera, nel rispetto delle leggi nazionali e regionali, per tutti i provvedimenti relativi alla
organizzazione dei servizi di competenza
L’architettura istituzionale NO
STATO LEGGE n. 107/2015,
Riforma del sistema nazionale di istruzione e formazione e delega per il riordino delle disposizioni legislative vigenti.
Al comma 180 prevede che il Governo “è delegato ad adottare, (…) uno o più decreti legislativi al fine di provvedere al riordino, alla semplificazione e alla codificazione
delle disposizioni legislative in materia di istruzione”.
Al comma 181 lettera e Istituzione del sistema integrato di educazione e di istruzione 0/6 anni.
DECRETO LEGISLATIVO n. 65/2017
Sistema integrato 0-6 Il Sistema integrato di educazione e di istruzione garantisce a tutte le bambine e i bambini, dalla nascita ai sei anni, pari opportunità di
sviluppare le proprie potenzialità di relazione, autonomia, creatività e apprendimento per superare disuguaglianze, barriere territoriali, economiche, etniche e culturali
Il Sistema 0-6 comprende:
i servizi educativi per l’infanzia, gestiti dagli Enti locali, direttamente o attraverso la stipula di convenzioni, da altri enti pubblici o dai privati, articolati in:
sezioni primavera, che accolgono i bambini tra i 24 e i 36 mesi e sono aggregate alle scuole dell’infanzia statali o paritarie o ai nidi
servizi integrativi, spazi gioco per bambini da 12 a 36 mesi,
centri per bambini e famiglie che accolgono bambini dai primi mesi di vita insieme a un adulto accompagnatore,
servizi educativi in contesto domiciliare per un numero ridotto di bambini da 3 a 36 mesi
le scuole dell’infanzia, che possono essere statali o paritarie a gestione pubblica o privata.
i Poli per l’infanzia, che accolgono in un unico edificio o in edifici vicini strutture sia del segmento 0-3 sia del segmento 3-6 per un migliore utilizzo delle risorse
attraverso la condivisione di servizi, spazi e risorse.
I documenti pedagogici
Indicazioni Nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo di istruzione (2012)
(2018)
Quality framework Quadro di qualità (Proposta di principi chiave di un quadro di qualità per
l'educazione e la cura della prima infanzia. Relazione del gruppo di lavoro sull'educazione e la cura
della prima infanzia sotto gli auspici della Commissione europea) (2014)
Orientamenti Nazionali Per I Servizi Educativi Per L’infanzia
Commissione nazionale per il sistema integrato di educazione e di istruzione (art. 10 decreto
legislativo 13 aprile 2017, n. 65)
Orientamenti nazionali per i servizi educativi per l'infanzia 0-3.
Documento M.I. 06.12.2021
Il concetto di professionalità
L’intervento individuale nelle sue articolazioni (bambini, famiglie, colleghe) è una
dimensione soggettiva importante ma non basta deve essere vincolato a :
Quadro concettuale di contenuti
La competenza comunicativa (chi la possiede? Come si costruisce?)
E’ una dimensione che si apprende e che deve essere appresa che è data dal sapere
e dal confronto.
Quindi va dall’individuale al collettivo
La cornice di senso è quello di appartenere e rappresentare l’istituzione
La professionalità
L’intervento individuale è una dimensione soggettiva importante ma non basta
deve essere vincolato a:
Confronto con il gruppo di lavoro
Discussa confrontata condivisa perché ci sia una coerenza del gruppo che è anche
istituzionale e quindi coerente con le indicazioni (quadri concettuali)
L’intervento che fai come educatrice o operatrice non lo fai a titolo personale ma lo
fai nella consapevolezza di un portato che va oltre. Tu rappresenti in quel momento
l’istituzione (es: il passaparola del nido migliore o della scuola dove si sta bene dove
si è percepiti come accoglienti competenti ecc.: vuole dire che hai rappresentato
una modalità di lavoro)
Tu sei l’immagine dell’istituzione puoi sentirlo come vincolo ma è nello stesso
valore.
Il tuo intervento è interconnesso con la storia e lo sviluppo dei servizi, del pensiero
pedagogico, della ricerca universitaria non è quindi autoreferenziale.
La coerenza
Il tuo comportamento individuale è quindi è un punto di partenza che non è
“io faccio così” ma si muove dalle tue caratteristiche personali per diventare
coerente che non vuole dire tutti uguali ma diversi con una stessa modalità
(es educatrici Pikler che condividono e fanno propri un pensiero dei concetti
e dei criteri che si traducono in azioni)
E’ la cornice in cui si muovono i ruoli pur nei diversi servizi 0-3 e 3.6 (es
differenza funzione operatori nel nido e nella scuola rispetto al bagno ma
anche se l’organizzazione è differente si può pensare a una modalità di
passaggio di consegna tra insegnante e operatrice?)
Coerenza tra progetto pedagogico nido e indicazioni nazionali
Non continuità ma coerenza si vedano le interconnessioni tra i diversi
documenti. L’elemento che li connette è la coerenza nella traduzione dei
valori di fondo
LA PROFESSIONALITA’ I ruoli e le funzioni
(spunti dalla Carta dei servizi Comune di Firenze)
La professionalità del personale:
Ruoli e funzioni sono dimensioni interconnesse interdipendenti
il gruppo di lavoro
Il gruppo di lavoro di ogni servizio è costituito da figure professionali con differenti funzioni.
Le figure professionali presenti nei servizi educativi del sistema integrato possono essere diversamente
denominate, ma la funzione di cura e educazione è comune e trasversale ai diversi ruoli.
Personale educativo/educatori
- hanno funzioni educative e di cura, la promozione dello sviluppo psicofisico e sociale, l’igiene
personale, l’alimentazione, i rapporti con le famiglie e le strutture sociali;
- realizzano il progetto educativo in collaborazione con il gruppo di lavoro e le famiglie, con la
supervisione del Coordinamento pedagogico;
- gestiscono la quotidianità favorendo il benessere del bambino e relazionandosi con le famiglie al fine
di condividere la responsabilità educativa nel rispetto delle scelte genitoriali;
- curano la documentazione, partecipano alle attività di formazione, programmazione e organizzazione
del lavoro educativo.
Esecutori/operatori
- favoriscono il benessere dei bambini collaborando con gli educatori in alcuni momenti della
giornata soprattutto durante il pranzo e il risveglio;
- garantiscono la cura e la pulizia degli spazi e degli ambienti interni ed esterni e il rispetto delle
norme di sicurezza;
- contribuiscono alla realizzazione del progetto educativo in collaborazione con il gruppo di lavoro e
le famiglie, con la supervisione del Coordinamento pedagogico;
- collaborano con l’operatore cuciniere alla preparazione dei pasti;
- partecipano alle attività di formazione, programmazione e organizzazione del lavoro educativo.
Operatori cucinieri/cuochi
- preparano i pasti nel rispetto dei principi dietetici e delle indicazioni dei LARN2;
- sono addetti all’approvvigionamento di prodotti e alimenti per la preparazione dei pasti e alla
pulizia e riordino delle attrezzature e dei luoghi di lavoro afferenti alla conservazione e alla
preparazione dei cibi;
- contribuiscono alla realizzazione del progetto educativo in collaborazione con il gruppo di lavoro e
le famiglie, con la supervisione del Coordinamento pedagogico;
- partecipano alle attività di formazione, programmazione e organizzazione del lavoro educativo.
I ruoli
Coordinatore pedagogico
- promuove la coerenza del progetto pedagogico e del progetto educativo di ciascun servizio con le Linee
guida, così da garantire la qualità dell’offerta;
- sostiene la progettualità dei gruppi di lavoro;
- realizza progetti di formazione per il personale dei servizi verificandone la ricaduta sul lavoro educativo;
- ha il compito di sostenere accompagnare e promuovere le competenze del gruppo di lavoro
- necessità di presidiare i servizi, garante della qualità e della coerenza del progetto educativo in relazione al
progetto pedagogico (assonanza e non dissonanza) e tenendo conto dei bambini reali presenti e non
supposti
I ruoli
Il Coordinamento pedagogico
Il Coordinamento pedagogico ha un ruolo di promozione, sostegno, monitoraggio, verifica e
valutazione delle strategie messe in atto nei progetti educativi dei servizi favorendo la continuità
educativa con le famiglie, la scuola dell’infanzia e le istituzioni socio-sanitarie del territorio.
La recente normativa regionale conferma e sottolinea la sua funzione fondamentale anche in
relazione alla complessità del sistema integrato indicando specifiche modalità di intervento per il
miglioramento della qualità dell’offerta educativa.
Il Coordinamento pedagogico comunale, in particolare, oltre al coordinamento diretto dei propri
servizi, ha il compito di collegare tra loro le diverse realtà gestionali anche attraverso la
pianificazione della formazione rivolta al personale di tutti i servizi.
Domande
• cosa ne pensate?
• Ci sono aspetti che condividete o meno?
• Evidenziate delle criticità nelle funzioni o nella comunicazioni tra
ruoli? perché le comunicazioni tra adulti non sono sempre facili.
Perché parlare del gruppo di lavoro e della comunicazione?
In sezione nei corridoi si parla ma in una condizione informale
Nel gruppo di lavoro si moltiplicano le occasioni per una evoluzione e di sviluppo delle competenze
del servizio o si moltiplicano le occasioni per una destrutturazione e un impasse di pensiero e
operative.
Questo ci porta al tema della comunicazione tra adulti nel servizio e degli spazi preposti. Il tema
della comunicazione è tema trasversale ovviamente anche nel rapporto con le famiglie e con i
bambini.
Partiamo dalla pragmatica della comunicazione 1 e 2 assioma
Pragmatica della comunicazione umana. Studio dei
modelli interattivi, delle patologie e dei paradossi
autori: Paul Watzlawick, J. H. Beavin, D. D. Jackson
Un assioma, in epistemologia, è una proposizione o un principio che è assunto come vero perché ritenuto evidente o perché fornisce il punto di
partenza di un quadro teorico di riferimento.
Primo assioma
«Non si può non comunicare»
Paul Waztlawick e i suoi colleghi si riferivano al fatto che tutti i comportamenti sono una
forma di comunicazione, sia a livello implicito che esplicito. Persino stare in silenzio
trasmette un’informazione o un messaggio, di conseguenza risulta impossibile non
comunicare. La non-comunicazione non è esiste.
Anche quando non facciamo niente, a livello verbale o meno, trasmettiamo qualcosa. Forse
non siamo interessati a quello che ci dicono o semplicemente preferiamo non
commentare. La questione è che il “messaggio” contiene più informazioni delle parole in
senso stretto.
Quindi comportamento ha valore di messaggio e ogni tentativo di astenersi dal
comunicare, l’inattività, il silenzio, ha valore di comunicazione, quindi non si può non
comunicare.
Es: «L’uomo che guarda fisso davanti a sé mentre fa colazione in una tavola calda affollata,
o il passeggero d’aereo che siede con gli occhi chiusi, stanno entrambi comunicando che
non vogliono parlare con nessuno né vogliono che si rivolga loro la parola, e i vicini di solito
“afferrano il messaggio” e rispondono in modo adeguato lasciandoli in pace. Questo,
ovviamente, è proprio uno scambio di comunicazione nella stessa misura in cui lo è una
discussione animata» (p. 42)
Secondo assioma
«Ogni comunicazione ha un aspetto di contenuto e di
uno relazione»
L’aspetto del contenuto corrisponde a ciò che trasmettiamo
verbalmente,
l’aspetto relazionale fa riferimento alla modalità in cui
comunichiamo il messaggio, vale a dire il tono di voce,
l’espressione facciale, che possono confermare o disconoscere
quanto viene detto.
E’ quest’ultimo aspetto quello che determina e influenza il
primo dato. Il messaggio sarà ricevuto in un modo o nell’altro
in base al tono o all’espressione che utilizziamo.
come questi aspetti entrano nelle vicende del vostro lavoro e
incidono sulle relazioni e le determinano.
Ci sono comunicazioni quotidiane tra educatrici e educatrici o insegnanti più o meno informali e ci sono
comunicazioni formali es. arriva la mamma che fa storie poi arriva l’altra educatrice a cui racconta l’accaduto e
la collega le dirà “è la solita….” Che effetto ha questo tipo di comunicazione informale e fuori da un setting
previsto? Non interrogarsi e cercare di capire le motivazioni del genitore confermano la diffidenza e il
pregiudizio.
Nella situazione formalizzata del setting incontro di sezione esprimere il fastidio e l’irritazione comprensibile
può comportare nella/e colleghe che mi ascoltano sicuramente la comprensione del mio stato d’animo e la
solidarietà per la fatica che sto facendo ma può darsi anche che conoscendo sia la mamma che la collega ed
essendo meno coinvolte possano promuovere gli aspetti di riflessione su: come mai ha detto così.
Possano diventare uno spunto per aprire delle domande.
Il setting consente di approfondire di raccontare di rendere comprensibile e che l’altro sia in aiuto e non in una
condizione di accondiscendenza. Ma il setting da solo non è sufficiente bisogna essere nella disponibilità di
essere riflessivi e in una dimensione professionale.
Questo vale anche nel gruppo di lavoro
Il passaggio da essere in un gruppo e riuscire a lavorare e pensare in gruppo è un risultato non è un dato
organizzativo.
E’ importante che ci siano figure che garantiscano il funzionamento, le regole es. il coordinatore pedagogico ma
allo stesso modo chi partecipa metta in campo la capacità di facilitare il lavoro di gruppo.
Cosa vuole dire facilitare il lavoro?
Autorizzare il pensiero
• vuole dire dare spazio alla potenzialità dei pensieri e non è scontata se
pensiamo al lavoro di gruppo e alla relazione con i genitori. Riuscire a
pensare insieme non è facile è un risultato. Bisogna che ci siano figure che
garantiscano precise condizioni affinché le persone possano davvero
esprimersi. Pensare, potere esprimere i propri pensieri significa cominciare
a pensare che gli altri non sono lì per giudicare bensì in una condizione di
ascolto costruttivo e di condivisione delle problematiche espresse.
Potremo raccontare le ns esperienze e le nostre riflessioni se sappiamo che
per esperienza ripetuta in quel contesto e con quelle persone possiamo
aprirci e aspettarci collaborazione e ricerca di significati, oppure se viviamo
un’esperienza ripetuta in cui ci si sente a margine e non ascoltati non si
interverremo più)
• Lo spazio mentale che in tal modo si viene a costruire …..
Il gruppo di lavoro
Questioni comunicative: di struttura e relazionali
Maggioranza e minoranza -Consenso dissenso
Le sette regole dell’arte di ascoltare
Marianella Sclavi
1
Non avere fretta di arrivare a delle conclusioni. Le conclusioni sono la parte più effimera della ricerca.
2
Quel che vedi dipende dalla prospettiva in cui ti trovi. Per riuscire a vedere la tua prospettiva, devi cambiare prospettiva.
3
Se vuoi comprendere quel che un altro sta dicendo, devi assumere che ha ragione e chiedergli di aiutarti a capire come e
perché.
4
Le emozioni sono degli strumenti conoscitivi fondamentali se sai comprendere il loro linguaggio. Non ti informano su cosa
vedi, ma su come guardi. Il loro codice è relazionale e analogico.
5
Un buon ascoltatore è un esploratore di mondi possibili.
I segnali più importanti per lui sono quelli che si presentano alla coscienza come al tempo stesso trascurabili e fastidiosi,
marginali e irritanti perché incongruenti con le proprie certezze.
6
Un buon ascoltatore accoglie volentieri i paradossi del pensiero e della comunicazione.
Affronta i dissensi come occasioni per esercitarsi in un campo che lo appassiona: la gestione creativa dei conflitti.
7
Per divenire esperto nell’arte di ascoltare devi adottare una metodologia umoristica.
Ma quando hai imparato ad ascoltare, l’umorismo viene da sé.
In generale quando uno ascolta sta già pensando a come rispondere e non sta su quello che l’altro sta dicendo.
Comunicare
tra adulti e bambini
Il corpo come unità dell’esperienza
Un corpo non esiste se non all’interno
di una relazione
La comunicazione umana
• La comunicazione umana non si sviluppa da sola per esistere ha necessità
che esista un altro da sé.
• Un bambino appena nato ha delle dotazioni naturali potenziali (udito, vista,
prensione, riflessi, ecc.) che per potere esplicarsi necessitano di azione.
L’azione è il promotore dello sviluppo. Il pesnisero segue l’azione e non
viceversa.
• Un atto perché abbia senso deve essere riconosciuto. Va dall’esterno
all’interno e si realizza in un contesto sociale –relazionale.
• all’inizio c’è la relazione sociale, il rapporto fra esseri umani, ed in
particolare c’è un piccolo della specie Homo sapiens che comincia il suo
percorso di individuazione.
Proviamo a seguire questo processo con un esempio determinato, la storia
naturale (che è insieme storia ma anche naturale) del gesto con cui il bambino
impara ad indicare ad un altro qualcosa che ha attirato la sua attenzione. Si tratta
intanto di sgombrare il campo di ogni presupposizione mentalista. All’inizio c’è una
operazione automatica: lo sguardo del bambino è attirato da qualcosa, e quindi,
naturalmente, prova ad afferrare ciò che l’ha interessato:
«il gesto dell’indicazione», allora, «rappresenta originariamente un semplice
movimento incompiuto volto ad afferrare l’oggetto, e che sta appunto a indicare
l’azione. Il bambino tenta di afferrare un oggetto che è collocato troppo lontano, le
sue mani sono protese verso l’oggetto, e restano sospese nell’aria, le dita
compiono movimenti di presa: tale situazione è punto di partenza per ogni
successivo sviluppo» [[L. S. Vygotskij, Storia delle funzioni superiori, p. 199].
All’inizio c’è l’azione. In questo caso un’azione trainata dalla percezione. Qui non
c’è nessuna intenzione comunicativa, c’è un riflesso scatenato dalla vista di un
oggetto interessante. Propriamente, proprio perché si tratta di un riflesso, non c’è
nemmeno pensiero. Quel gesto, però, accade in un contesto transindividuale,
perché ci sono delle persone presenti, anche se il gesto del piccolo umano non era
diretto a loro.
Infatti
«la madre giunge in aiuto del bambino e concettualizza il suo movimento come un’indicazione» [Ivi].
dal prendere all’indicare
L’intenzione, che non è nel gesto del bambino, che in realtà è un atto incompiuto, viene attribuita al bambino
dalla madre. È la madre che vede in quel movimento uno scopo, raggiungere l’oggetto, e che quindi lo
trasforma in azione mirata, in segnale per attirare la sua attenzione: così ora «la situazione muta
completamente. Il gesto dell’indicazione» – in realtà ancora soltanto supposta – «diventa un gesto per gli altri».
È allora il contesto transindividuale a trasformare un riflesso in un gesto, in un segnale comunicativo, in una
indicazione. A questo punto la reazione della madre si riflette sul comportamento del bambino, che ora
scopre che quel movimento può assumere tutt’altro valore. Qui vediamo il congiungersi della linea di
sviluppo naturale – l’oggetto che attira lo sguardo e l’immediato tentativo di afferrarlo – con quella culturale,
cioè con l’attribuzione di un valore comunicativo da parte di un altro essere umano: così il suo gesto
«viene ricollegato dal bambino con tutta la situazione oggettiva» e quindi lo stesso bambino «comincia a
considerare questo stesso movimento come un’indicazione. Avviene così una modificazione della funzione del
movimento stesso: da movimento rivolto verso l’oggetto diventa movimento rivolto verso un’altra persona
attraverso un mezzo di comunicazione: la prensione si trasforma in indicazione».
Si parte dalla relazione sociale, a cui in realtà uno dei due partecipanti non sa, ancora, di partecipare; ne
basta uno, purché anche l’altro sia capace di accorgersi del comportamento altrui. Dal transindividuale
emerge l’individuo, perché alla fine «il bambino giunge […] alla consapevolezza del proprio gesto» [Ivi, p.
200].
Prima allora la relazione ‘interpsichica’, cioè appunto il transindividuale, poi quella ‘intrapsichica’, cioè quella
mentale individuale. L’operatore storico-sociale della individuazione, l’operatore che media fra questi due
momenti è la ‘interiorizzazione’, cioè la «ricostruzione interna di una operazione esterna»[L. S. Vygotskij, Il
processo cognitivo, trad. it. 1978, p. 86] sociale.
Fin dall’inizio in questo modello prevale il rapporto fra esseri umani, la relazione sociale. È la prima mossa del
materialismo di Vygotskij, partire dalla realtà dei fenomeni umani
La struttura gerarchica
Figura primaria di attaccamento
Figura secondaria di attaccamento
In assenza temporanea della figura primaria di attaccamento il
bambino effettua una “riconversione” temporanea nei confronti di
un adulto collaudato (secondario)
caratteristiche salienti con cui è possibile descrivere la scala
gerarchica sono:
•la presenza di un adulto a cui il bambino si rivolge per ottenere le
risposte ai bisogni primari tra cui la sicurezza;
•il riconoscimento di altre figure adulte che possono essere definite
“secondarie”;
•una attività di monitoraggio (tenere sotto controllo) costante nei
confronti della presenza -accessibilità dell’adulto “al vertice”;
• la necessità, in caso di assenza dell’adulto primario, di mettere “al
vertice” un’altro adulto sufficientemente collaudato e presente nella
scala (secondario).
L’attaccamento
«Il comportamento di attaccamento è quella forma di comportamento che si
manifesta in una persona che consegue o mantiene una prossimità nei
confronti di un'altra, chiaramente identificata, ritenuta in grado di affrontare il
mondo in modo adeguato. Questo comportamento diventa evidente ogni volta
che la persona è spaventata, affaticata o malata, e si attenua quando si
ricevono conforto e cure» (J.Bowlby).
« La dipendenza sicura fornisce le basi per una fiducia in se stessi tale da
permettere una sicura autonomia dai genitori, che successivamente dovrebbe
essere sostituita da una dipendenza sicura dai pari (...) (J.Bowlby).
L’ACCESSIBILITA’ della figura di attaccamento
Già si è osservato che, parlando di una figura d’attaccamento, la presenza va intesa come una
facile accessibilità piuttosto che come una presenza reale e immediata, mentre l’assenza va intesa
come inaccessibilità.
Occorre però un’estensione maggiore del termine, perché l’accessibilità in sé stessa non è
sufficiente. Non basta che la figura di attaccamento sia accessibile, essa deve avere anche la
volontà di rispondere in modo appropriato; nei confronti di una persona che ha paura, per
esempio ciò significa la volontà di agire come consolatore e protettore.
Solo se la figura di attaccamento oltre che accessibile è potenzialmente disposta a rispondere
positivamente, la si può veramente definire come disponibile. Pertanto da questo momento in poi
la parola disponibilità va intesa nel senso che una figura di attaccamento è, oltre che accessibile,
anche disposta a rispondere in modo appropriato. (J. Bowlby)
con la madre.
RESPONSIVITA’
la responsività è considerata come la capacità materna di condividere affetti negativi e positivi del proprio
bambino (Winnicott Stern)
Le “sicure” sono adatte a rispondere in modo adeguato ai diversi stati emotivi esternalizzati dal bambino,
Le “distanzianti” risultano essere incapaci di sintonizzarsi con le emozioni negative, non riuscendo ad
accogliere le richieste di consolazione del proprio bambino, ma al contrario sono efficaci nel rispondere ad
emozioni di tipo positivo.
Le “preoccupate” dimostrano di essere in grado di rispondere a richieste di consolazione, ma incapaci di
rispecchiare le richieste di autonomia dei propri figli.
La responsività dunque, acquista qualità relazionali che caratterizzano la reciproca attività comunicativa
espressa dalla diade madre-bambino; esistono però altri fattori in grado di influenzare la responsività
materna, come quelli contestuali, tra cui ritroviamo il grado di coinvolgimento paterno nella relazione
la sintonizzazione affettiva
• Il bambino come interlocutore
• Accorgersi dei suoi cambiamenti di umore e farglielo sapere.
• Non può però diventare una routine/procedura: ah sei arrabbiato.
• Averlo come interlocutore vuole dire: aspettare una risposta (il gesto
interrotto della Pikler).
• Parlare con il bambino e non sopra il bambino.
E’ necessario ribadire che la relazione con un bambino non è un fatto astratto ma si
sostanzia di gesti e atti concreti e quindi i presupposti di una relazione educativa sono la
qualità del gesto, il tono della voce, lo sguardo, ecc.
La cura nella sua accezione ampia quindi va intesa come atteggiamento di pensiero.
Lo scambio sociale inizia quando l'adulto aspetta, riconosce e risponde ai comportamenti
del bambino, quando aspetta, ad esempio, prima di prendere il bambino dal lettino o dal
tappeto, che egli manifesti di essere pronto all'operazione.
E le cure si presentano in una visione olistica dove cura e educazione sono inscindibili.
L’autonomia (dipendenza /autonomia - attaccamento / esplorazione)
• Anche se il bambino è dipendente totalmente per la sua sopravvivenza fisica, per
il soddisfacimento dei suoi bisogni fisici, è fondamentale che l’adulto non si
sostituisca al b.
• Le prime esperienze di autonomia iniziano con la prima iniziativa che un bambino
prende, con la prima attività iniziata da lui senza un intervento diretto dell’adulto
e orientata al piacere di agire. Questo agire è fonte di soddisfazione e
apprendimenti cognitivi e sociali. L’attività autonoma del b. è una dinamo che
alimenta la voglia di fare. Nasce dalla voglia di fare e aumenta la voglia di fare.
• Non può essere insegnata o suggerita. L’autonomia è una spinta, è un
orientamento ed ha a che fare con lo sviluppo e la maturazione. La responsabilità
dell’educatore è quella di accompagnare questa spinta. Attraverso l’attività
autonoma il bambino impara a controllare i propri movimenti acquisisce la
conoscenza su di sé su quello che sa fare e sull’ambiente e impara a regolarsi.
Questo è un punto importante che ha a che fare con l’autonomia come piacere di
fare.
Un equivoco: attività e routines
La terminologia ancora spesso in uso nei nostri servizi, ha per lungo
tempo mantenuto una presunta e non giustificata separazione tra i
diversi momenti della giornata indicando genericamente col termine
attività tutte le situazioni di gioco o di proposte dell'adulto, e col termine
routine tutte quelle situazioni, quali cambio, pasto, sonno, ecc. che
ripetendosi sempre simili scandiscono regolarmente la giornata del
bambino.
• Tale uso dei termini, usato ancora correntemente e superficialmente in
molte realtà, rischia di essere fuorviante e di consolidare false opinioni,
che, seppur non condivise razionalmente, rischiano dì condizionare il
nostro operato.
• Infatti, se da un lato è comprensibile l'uso del termine routine ad indicare
momenti che si ripetono abitualmente, è molto difficile e rischioso definire
cosa è attività e soprattutto cosa non lo è per il bambino, quali momenti
sono o non sono attività, e in che senso possiamo definire il suo fare,
partecipare, essere in rapporto, una non attività. Dove al termine attività
diamo il significato di protagonista del suo agire.
I bambini mettono in scena...
I bambini mettono in scena dei disagi e sofferenze attraverso i comportamenti che
ci sembrano incomprensibili che però sono tutti diretti a noi
Traducono le emozioni in comportamenti che si impongono e sono in risposta a
quelli degli adulti
Gli adulti devono riconoscere che emozione/sentimento muove quei
comportamenti e riconoscere che emozioni muovono in noi quei comportamenti.
La prima e inevitabile condizione è che questi comportamenti (cioè i segnali
comunicativi) siano riconosciuti come tali, ma un segnale diventa comunicativo se
è visto da un adulto. Se non è visto e lasciato cadere apre un problema.
Ma è più facile sfuggire, prendere le distanze rispetto a delle emozioni scomode.
Alle educatrici è necessario un lavoro e un tempo perché le emozioni dei bambini
si traducano in sentimenti acquistando così significati veri.
Le parole chiave
Riconoscere
Accogliere
gestione educativa
La relazione
Ascolto e osservazione
La comunicazione
Riconoscere & Accogliere: leggere i segnali comunicativi
La relazione: si tratta della capacità di stare in contatto con quelle emozioni e di fare in modo che
trovino un senso nella nostra mente... Ma per trovare un senso devi ascoltare le informazioni che ti
danno le tue emozioni. Questa capacità di ascolto consente che emozioni invadenti diventino piano
piano pensabili e riconoscibili. Questo ne consente l’evoluzione in sentimenti.
Questa competenza dunque mette in campo 2 poli:
- La mente e l’emozione del bambino
- La mente e l’emozione dell’adulto
Tutto questo è RICONOSCERE E ACCOGLIERE. Ma è necessario darsi un tempo perché ....
RICONOSCERE E ACCOGLIERE sono due momenti diversi ma correlati tra loro
Riconoscere – cosa penso di quel comportamento, come lo leggo, quali sono i segnali comunicativi.
Riconoscere un segnale è già una parte di accoglienza. Richiede un tempo e un atteggiamento mentale
Accogliere – la prima azione è non espellerlo, provare a guardarlo. Guardarlo vuole dire rendersi conto
delle emozioni che lui trasmette e che io provo. Vedere le emozioni sue e mie e leggere cosa mi chiede
e come.
la gestione educativa (1)
• Noi facciamo nel servizio interventi educativi.
• Nella quotidianità del nostro intervento abbiamo tutti i bambini in un
dialogo che si articola su diversi piani (spazi, materiali, e le nostre iniziative)
• Come mi muovo all’interno di un contesto che è formato da un gruppo di
bambini?
• Gestione educativa vuole dire come la mia comprensione di un suo
disagio/bisogno/richiesta può incidere-modificare la mia gestione
quotidiana che deve avere una funzione trasformativa. In caso contrario il
bambino si dovrà solo adattare (normalizzazione).
la gestione educativa (2)
• Se un bambino morsica tu hai in mente che non deve succedere
• Ma se ti fermi a questo farai solo interventi censori e non crei una
condizione per una trasformazione.
• Gestione educativa vuole dire che quando c’è un comportamento, un
evento dirompente, l’obiettivo non è normalizzare la situazione,
riportarla a ordine (che è una necessità) non è sufficiente. Non basta
dire no. Si tratta di «accogliere la domanda» perché diversamente hai
fatto solo interventi censori, continui a promuovere lo stesso gesto. Al
bambino non resta che adattarsi !!!
• .... cosa è successo? (il bambino che morsica)
• Cosa è successo (prima , durante …) per motivare quella reazione (emozione)?
• Questo richiama la tua attenzione - responsabilità rispetto alle relazioni interne al
gruppo dei bambini e tra te e ciascuno di loro.
• Ciò che è successo inoltre non riguarda solo quel bambino e l’altro e te educatrice, ma
anche gli altri bambini, riguarda te e le tue colleghe (l’aspettativa della tua collega
modifica la libertà e la tranquillità con cui pensi di poter agire)
• La lettura delle emozioni e la possibilità di empatia si basa (empatia ragionata) su
osservazioni, riflessioni, analisi delle situazioni, intenzioni educative.
• Più le situazioni sono pregnanti emotivamente più è forte la necessità di renderle
comprensibili e traducibili in comportamenti
La gestione educativa (3)
la gestione educativa (4)
Se i tempi di attenzione, il bisogno di vicinanza richiedono tempi diversi si
possono articolare diversamente l’organizzazione degli spazi, la
distribuzione dei tempi, il modo di stare in situazione. Quello che è
trasformativo è l’osservazione dei comportamenti, la riflessione e la
riprogettazione a partire dai significati:
(..... a lui piace guardare, sta facendo una cosa, non è che non sta
facendo niente..... ) Rendo leggibile agli altri bambini e a me stesso il
senso del suo fare. (... gli altri bambini lo capiscono e lo imparano e gli
attribuiscono un senso).
Spesso si dice «ne ho tanti e se ne guardo uno mi perdo gli altri» E‘ una
parte della ragione...
.....ma se hai chiarito almeno un po’ cosa fare (tenertelo vicino, dargli
valore...) non è importante che tu lo faccia sempre, importante è che tu
abbia dei momenti anche per lui. E’ dare Riconoscimento.
La mappa mentale, l’individuo e il gruppo
Cos’è la mappa mentale? È la costruzione nella mente dell’educatrice del funzionamento
individuale del singoli bambini e del gruppo dei bambini.
L ’educatrice pian piano si costruisce una mappa del gruppo, di ogni singolo bambino e cioè
coglie:
• quanto stanno da soli,
• quanto e quando si avvicinano,
• in che relazione stanno con lei e con gli altri,
• come comunicano, cosa comunicano,
• quali oggetti e materiali prediligono, quali sono i suoi interessi,
• qual è il grado di tolleranza relativo alla vicinanza e/o alla distanza dall’adulto,
• quali sono i segnali che ci rimanda in ordine alle espressioni corporee, ecc.
La mappa mentale è la capacità di leggere i segnali nel qui ed ora del comportamento
del bambino in risposta al comportamento dell’adulto o a quello dei pari.
le parole chiave nei 2 servizi educativi
Nel nido d'infanzia :
cura, relazione, gioco, corpo, accoglienza, contesto (dai progetti
pedagogici)
Nella scuola dell'infanzia:
competenza, apprendimento, campi di esperienza, sviluppo,
linguaggi, saperi (dalle Indicazioni nazionali 2012 )
In apparenza questi diversi concetti (nei due ordini di servizi)
sembrano differenziarsi e/o contrapporsi, non essere visti in
integrazione............
La dimensione olistica (Bondioli-Savio)
Approccio olistico: riconoscimento che educazione, istruzione, cura relazione/socializzazione sono
dimensioni intrecciate e inseparabili
• Riconoscimento del gioco come modo tipico ed esclusivo dell’infanzia di stare al mondo e nel mondo
Il far riferimento in modo così intrecciato a educazione, istruzione, cura, relazione, rimanda a un
• L’approccio educativo olistico, non spezzetta l’azione educativa né il bambino, riconoscendone la
realtà di sistemi complessi in cui ogni scambio ha riverberi su più dimensioni (cognitive, emotive,
sociali)
• Centralità del bambino
• Bambino come costruttore del suo apprendimento (doc europei e nazionali)
• Bambino che partecipa ai processi decisionali che lo coinvolgono
• Valore della corporeità
• Valore del gioco
• I tempi soggettivi dei bambini
Prendiamo il termine "cura": richiama l'attenzione ai bisogni primari del bambino, di cura del
corpo, di protezione e vicinanza fisica, di sicurezza delle routine della vita quotidiana, ma il
prendersi cura rimanda anche ad un più profondo messaggio psicologico, di relazione, di
presenza educativa, orientato a promuovere l'autonomia e l'apprendimento del bambino.
Cura è dunque un dispositivo pedagogico decisivo anche per la scuola dell'infanzia.
Allo stesso modo, il termine "campo di esperienza" non può essere equiparato all'idea di
"disciplina" di studio, cioè di un corpo definito di saperi e conoscenze da trasmettere, ma
piuttosto ad un contesto educativo intenzionale, organizzato dai docenti, capace di far
evolvere le azioni e l'operatività dei bambini in rappresentazioni, linguaggi, apprendimenti.
Questo processo è decisivo al nido per stimolare e incoraggiare l'intelligenza e la curiosità dei
piccoli, ma lo è altrettanto per le età successive. Il dizionario pedagogico' che accomuna nidi
e scuole dell'infanzia diventa generativo di buon apprendimento lungo tutto il percorso
scolastico ed aiuta lo "zero-tre" e il "tre- sei" a consolidare le proprie specifiche identità,
senza tradirle.
Giancarlo Cerini
Si apprende dall’esperienza e dalla
riflessione sull’esperienza.

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Le figure professionali nei servizi educativi 0-6 anni

  • 1. Le figure professionali nei servizi educativi 0-6 anni Comune di Firenze 15 gennaio 2022 Nice Terzi – Marco Fibrosi ZeroseiUP
  • 2. Le figure professionali nei servizi educativi 0-6 anni L’architettura istituzionale e le interconnessioni I documenti di indirizzo pedagogici (il quadro concettuale) i ruoli e le funzioni delle figure professionali Il gruppo di lavoro (la competenza comunicativa) Essere consapevoli del proprio stile relazionale, La competenza comunicativa con i bambini (cura e educazione) Imparare a comprendere meglio gli altri
  • 3. L’architettura istituzionale Lo Stato Le Regione Gli Enti Locali (Comuni) I Servizi Educativi (pubblici e privati) (Il sistema integrato 0-6)
  • 4. lo Stato ha legislazione esclusiva in una serie definita di materie, tra le quali rientrano la definizione delle norme generali sull’istruzione (…) devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale; All’interno del Governo, il Ministero dell’istruzione (MI) è competente per il sistema di istruzione, dalla prima infanzia (sistema integrato 0-6) a tutta l’istruzione scolastica, mentre il Ministero dell’università e della ricerca (MUR), è responsabile per il settore dell’istruzione terziaria e per la ricerca. Le Regioni le Regioni hanno la potestà di legislazione esclusiva per tutte le materie che la Costituzione non riserva espressamente alla legislazione dello Stato. Fra queste, l’istruzione e la formazione professionale; rispetto ad alcune materie, tassativamente elencate, le Regioni hanno una potestà di legislazione concorrente, nel senso che possono legiferare salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato. Tra le materie riservate alla legislazione concorrente vi è l’istruzione. Amministrazioni Locali: I Comuni Il Comune è l’ente territoriale di base, a contatto diretto con i bisogni della popolazione. Il Comune delibera, nel rispetto delle leggi nazionali e regionali, per tutti i provvedimenti relativi alla organizzazione dei servizi di competenza
  • 5. L’architettura istituzionale NO STATO LEGGE n. 107/2015, Riforma del sistema nazionale di istruzione e formazione e delega per il riordino delle disposizioni legislative vigenti. Al comma 180 prevede che il Governo “è delegato ad adottare, (…) uno o più decreti legislativi al fine di provvedere al riordino, alla semplificazione e alla codificazione delle disposizioni legislative in materia di istruzione”. Al comma 181 lettera e Istituzione del sistema integrato di educazione e di istruzione 0/6 anni. DECRETO LEGISLATIVO n. 65/2017 Sistema integrato 0-6 Il Sistema integrato di educazione e di istruzione garantisce a tutte le bambine e i bambini, dalla nascita ai sei anni, pari opportunità di sviluppare le proprie potenzialità di relazione, autonomia, creatività e apprendimento per superare disuguaglianze, barriere territoriali, economiche, etniche e culturali Il Sistema 0-6 comprende: i servizi educativi per l’infanzia, gestiti dagli Enti locali, direttamente o attraverso la stipula di convenzioni, da altri enti pubblici o dai privati, articolati in: sezioni primavera, che accolgono i bambini tra i 24 e i 36 mesi e sono aggregate alle scuole dell’infanzia statali o paritarie o ai nidi servizi integrativi, spazi gioco per bambini da 12 a 36 mesi, centri per bambini e famiglie che accolgono bambini dai primi mesi di vita insieme a un adulto accompagnatore, servizi educativi in contesto domiciliare per un numero ridotto di bambini da 3 a 36 mesi le scuole dell’infanzia, che possono essere statali o paritarie a gestione pubblica o privata. i Poli per l’infanzia, che accolgono in un unico edificio o in edifici vicini strutture sia del segmento 0-3 sia del segmento 3-6 per un migliore utilizzo delle risorse attraverso la condivisione di servizi, spazi e risorse.
  • 6. I documenti pedagogici Indicazioni Nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo di istruzione (2012) (2018) Quality framework Quadro di qualità (Proposta di principi chiave di un quadro di qualità per l'educazione e la cura della prima infanzia. Relazione del gruppo di lavoro sull'educazione e la cura della prima infanzia sotto gli auspici della Commissione europea) (2014) Orientamenti Nazionali Per I Servizi Educativi Per L’infanzia Commissione nazionale per il sistema integrato di educazione e di istruzione (art. 10 decreto legislativo 13 aprile 2017, n. 65) Orientamenti nazionali per i servizi educativi per l'infanzia 0-3. Documento M.I. 06.12.2021
  • 7. Il concetto di professionalità L’intervento individuale nelle sue articolazioni (bambini, famiglie, colleghe) è una dimensione soggettiva importante ma non basta deve essere vincolato a : Quadro concettuale di contenuti La competenza comunicativa (chi la possiede? Come si costruisce?) E’ una dimensione che si apprende e che deve essere appresa che è data dal sapere e dal confronto. Quindi va dall’individuale al collettivo La cornice di senso è quello di appartenere e rappresentare l’istituzione
  • 8. La professionalità L’intervento individuale è una dimensione soggettiva importante ma non basta deve essere vincolato a: Confronto con il gruppo di lavoro Discussa confrontata condivisa perché ci sia una coerenza del gruppo che è anche istituzionale e quindi coerente con le indicazioni (quadri concettuali) L’intervento che fai come educatrice o operatrice non lo fai a titolo personale ma lo fai nella consapevolezza di un portato che va oltre. Tu rappresenti in quel momento l’istituzione (es: il passaparola del nido migliore o della scuola dove si sta bene dove si è percepiti come accoglienti competenti ecc.: vuole dire che hai rappresentato una modalità di lavoro) Tu sei l’immagine dell’istituzione puoi sentirlo come vincolo ma è nello stesso valore. Il tuo intervento è interconnesso con la storia e lo sviluppo dei servizi, del pensiero pedagogico, della ricerca universitaria non è quindi autoreferenziale.
  • 9. La coerenza Il tuo comportamento individuale è quindi è un punto di partenza che non è “io faccio così” ma si muove dalle tue caratteristiche personali per diventare coerente che non vuole dire tutti uguali ma diversi con una stessa modalità (es educatrici Pikler che condividono e fanno propri un pensiero dei concetti e dei criteri che si traducono in azioni) E’ la cornice in cui si muovono i ruoli pur nei diversi servizi 0-3 e 3.6 (es differenza funzione operatori nel nido e nella scuola rispetto al bagno ma anche se l’organizzazione è differente si può pensare a una modalità di passaggio di consegna tra insegnante e operatrice?) Coerenza tra progetto pedagogico nido e indicazioni nazionali Non continuità ma coerenza si vedano le interconnessioni tra i diversi documenti. L’elemento che li connette è la coerenza nella traduzione dei valori di fondo
  • 10. LA PROFESSIONALITA’ I ruoli e le funzioni (spunti dalla Carta dei servizi Comune di Firenze) La professionalità del personale: Ruoli e funzioni sono dimensioni interconnesse interdipendenti il gruppo di lavoro Il gruppo di lavoro di ogni servizio è costituito da figure professionali con differenti funzioni. Le figure professionali presenti nei servizi educativi del sistema integrato possono essere diversamente denominate, ma la funzione di cura e educazione è comune e trasversale ai diversi ruoli. Personale educativo/educatori - hanno funzioni educative e di cura, la promozione dello sviluppo psicofisico e sociale, l’igiene personale, l’alimentazione, i rapporti con le famiglie e le strutture sociali; - realizzano il progetto educativo in collaborazione con il gruppo di lavoro e le famiglie, con la supervisione del Coordinamento pedagogico; - gestiscono la quotidianità favorendo il benessere del bambino e relazionandosi con le famiglie al fine di condividere la responsabilità educativa nel rispetto delle scelte genitoriali; - curano la documentazione, partecipano alle attività di formazione, programmazione e organizzazione del lavoro educativo.
  • 11. Esecutori/operatori - favoriscono il benessere dei bambini collaborando con gli educatori in alcuni momenti della giornata soprattutto durante il pranzo e il risveglio; - garantiscono la cura e la pulizia degli spazi e degli ambienti interni ed esterni e il rispetto delle norme di sicurezza; - contribuiscono alla realizzazione del progetto educativo in collaborazione con il gruppo di lavoro e le famiglie, con la supervisione del Coordinamento pedagogico; - collaborano con l’operatore cuciniere alla preparazione dei pasti; - partecipano alle attività di formazione, programmazione e organizzazione del lavoro educativo. Operatori cucinieri/cuochi - preparano i pasti nel rispetto dei principi dietetici e delle indicazioni dei LARN2; - sono addetti all’approvvigionamento di prodotti e alimenti per la preparazione dei pasti e alla pulizia e riordino delle attrezzature e dei luoghi di lavoro afferenti alla conservazione e alla preparazione dei cibi; - contribuiscono alla realizzazione del progetto educativo in collaborazione con il gruppo di lavoro e le famiglie, con la supervisione del Coordinamento pedagogico; - partecipano alle attività di formazione, programmazione e organizzazione del lavoro educativo.
  • 12. I ruoli Coordinatore pedagogico - promuove la coerenza del progetto pedagogico e del progetto educativo di ciascun servizio con le Linee guida, così da garantire la qualità dell’offerta; - sostiene la progettualità dei gruppi di lavoro; - realizza progetti di formazione per il personale dei servizi verificandone la ricaduta sul lavoro educativo; - ha il compito di sostenere accompagnare e promuovere le competenze del gruppo di lavoro - necessità di presidiare i servizi, garante della qualità e della coerenza del progetto educativo in relazione al progetto pedagogico (assonanza e non dissonanza) e tenendo conto dei bambini reali presenti e non supposti
  • 13. I ruoli Il Coordinamento pedagogico Il Coordinamento pedagogico ha un ruolo di promozione, sostegno, monitoraggio, verifica e valutazione delle strategie messe in atto nei progetti educativi dei servizi favorendo la continuità educativa con le famiglie, la scuola dell’infanzia e le istituzioni socio-sanitarie del territorio. La recente normativa regionale conferma e sottolinea la sua funzione fondamentale anche in relazione alla complessità del sistema integrato indicando specifiche modalità di intervento per il miglioramento della qualità dell’offerta educativa. Il Coordinamento pedagogico comunale, in particolare, oltre al coordinamento diretto dei propri servizi, ha il compito di collegare tra loro le diverse realtà gestionali anche attraverso la pianificazione della formazione rivolta al personale di tutti i servizi.
  • 14. Domande • cosa ne pensate? • Ci sono aspetti che condividete o meno? • Evidenziate delle criticità nelle funzioni o nella comunicazioni tra ruoli? perché le comunicazioni tra adulti non sono sempre facili.
  • 15. Perché parlare del gruppo di lavoro e della comunicazione? In sezione nei corridoi si parla ma in una condizione informale Nel gruppo di lavoro si moltiplicano le occasioni per una evoluzione e di sviluppo delle competenze del servizio o si moltiplicano le occasioni per una destrutturazione e un impasse di pensiero e operative. Questo ci porta al tema della comunicazione tra adulti nel servizio e degli spazi preposti. Il tema della comunicazione è tema trasversale ovviamente anche nel rapporto con le famiglie e con i bambini. Partiamo dalla pragmatica della comunicazione 1 e 2 assioma
  • 16. Pragmatica della comunicazione umana. Studio dei modelli interattivi, delle patologie e dei paradossi autori: Paul Watzlawick, J. H. Beavin, D. D. Jackson Un assioma, in epistemologia, è una proposizione o un principio che è assunto come vero perché ritenuto evidente o perché fornisce il punto di partenza di un quadro teorico di riferimento.
  • 17. Primo assioma «Non si può non comunicare» Paul Waztlawick e i suoi colleghi si riferivano al fatto che tutti i comportamenti sono una forma di comunicazione, sia a livello implicito che esplicito. Persino stare in silenzio trasmette un’informazione o un messaggio, di conseguenza risulta impossibile non comunicare. La non-comunicazione non è esiste. Anche quando non facciamo niente, a livello verbale o meno, trasmettiamo qualcosa. Forse non siamo interessati a quello che ci dicono o semplicemente preferiamo non commentare. La questione è che il “messaggio” contiene più informazioni delle parole in senso stretto. Quindi comportamento ha valore di messaggio e ogni tentativo di astenersi dal comunicare, l’inattività, il silenzio, ha valore di comunicazione, quindi non si può non comunicare. Es: «L’uomo che guarda fisso davanti a sé mentre fa colazione in una tavola calda affollata, o il passeggero d’aereo che siede con gli occhi chiusi, stanno entrambi comunicando che non vogliono parlare con nessuno né vogliono che si rivolga loro la parola, e i vicini di solito “afferrano il messaggio” e rispondono in modo adeguato lasciandoli in pace. Questo, ovviamente, è proprio uno scambio di comunicazione nella stessa misura in cui lo è una discussione animata» (p. 42)
  • 18. Secondo assioma «Ogni comunicazione ha un aspetto di contenuto e di uno relazione» L’aspetto del contenuto corrisponde a ciò che trasmettiamo verbalmente, l’aspetto relazionale fa riferimento alla modalità in cui comunichiamo il messaggio, vale a dire il tono di voce, l’espressione facciale, che possono confermare o disconoscere quanto viene detto. E’ quest’ultimo aspetto quello che determina e influenza il primo dato. Il messaggio sarà ricevuto in un modo o nell’altro in base al tono o all’espressione che utilizziamo.
  • 19. come questi aspetti entrano nelle vicende del vostro lavoro e incidono sulle relazioni e le determinano. Ci sono comunicazioni quotidiane tra educatrici e educatrici o insegnanti più o meno informali e ci sono comunicazioni formali es. arriva la mamma che fa storie poi arriva l’altra educatrice a cui racconta l’accaduto e la collega le dirà “è la solita….” Che effetto ha questo tipo di comunicazione informale e fuori da un setting previsto? Non interrogarsi e cercare di capire le motivazioni del genitore confermano la diffidenza e il pregiudizio. Nella situazione formalizzata del setting incontro di sezione esprimere il fastidio e l’irritazione comprensibile può comportare nella/e colleghe che mi ascoltano sicuramente la comprensione del mio stato d’animo e la solidarietà per la fatica che sto facendo ma può darsi anche che conoscendo sia la mamma che la collega ed essendo meno coinvolte possano promuovere gli aspetti di riflessione su: come mai ha detto così. Possano diventare uno spunto per aprire delle domande. Il setting consente di approfondire di raccontare di rendere comprensibile e che l’altro sia in aiuto e non in una condizione di accondiscendenza. Ma il setting da solo non è sufficiente bisogna essere nella disponibilità di essere riflessivi e in una dimensione professionale. Questo vale anche nel gruppo di lavoro Il passaggio da essere in un gruppo e riuscire a lavorare e pensare in gruppo è un risultato non è un dato organizzativo. E’ importante che ci siano figure che garantiscano il funzionamento, le regole es. il coordinatore pedagogico ma allo stesso modo chi partecipa metta in campo la capacità di facilitare il lavoro di gruppo. Cosa vuole dire facilitare il lavoro?
  • 20. Autorizzare il pensiero • vuole dire dare spazio alla potenzialità dei pensieri e non è scontata se pensiamo al lavoro di gruppo e alla relazione con i genitori. Riuscire a pensare insieme non è facile è un risultato. Bisogna che ci siano figure che garantiscano precise condizioni affinché le persone possano davvero esprimersi. Pensare, potere esprimere i propri pensieri significa cominciare a pensare che gli altri non sono lì per giudicare bensì in una condizione di ascolto costruttivo e di condivisione delle problematiche espresse. Potremo raccontare le ns esperienze e le nostre riflessioni se sappiamo che per esperienza ripetuta in quel contesto e con quelle persone possiamo aprirci e aspettarci collaborazione e ricerca di significati, oppure se viviamo un’esperienza ripetuta in cui ci si sente a margine e non ascoltati non si interverremo più) • Lo spazio mentale che in tal modo si viene a costruire …..
  • 21. Il gruppo di lavoro Questioni comunicative: di struttura e relazionali Maggioranza e minoranza -Consenso dissenso
  • 22. Le sette regole dell’arte di ascoltare Marianella Sclavi 1 Non avere fretta di arrivare a delle conclusioni. Le conclusioni sono la parte più effimera della ricerca. 2 Quel che vedi dipende dalla prospettiva in cui ti trovi. Per riuscire a vedere la tua prospettiva, devi cambiare prospettiva. 3 Se vuoi comprendere quel che un altro sta dicendo, devi assumere che ha ragione e chiedergli di aiutarti a capire come e perché. 4 Le emozioni sono degli strumenti conoscitivi fondamentali se sai comprendere il loro linguaggio. Non ti informano su cosa vedi, ma su come guardi. Il loro codice è relazionale e analogico. 5 Un buon ascoltatore è un esploratore di mondi possibili. I segnali più importanti per lui sono quelli che si presentano alla coscienza come al tempo stesso trascurabili e fastidiosi, marginali e irritanti perché incongruenti con le proprie certezze. 6 Un buon ascoltatore accoglie volentieri i paradossi del pensiero e della comunicazione. Affronta i dissensi come occasioni per esercitarsi in un campo che lo appassiona: la gestione creativa dei conflitti. 7 Per divenire esperto nell’arte di ascoltare devi adottare una metodologia umoristica. Ma quando hai imparato ad ascoltare, l’umorismo viene da sé. In generale quando uno ascolta sta già pensando a come rispondere e non sta su quello che l’altro sta dicendo.
  • 24. Il corpo come unità dell’esperienza Un corpo non esiste se non all’interno di una relazione
  • 25. La comunicazione umana • La comunicazione umana non si sviluppa da sola per esistere ha necessità che esista un altro da sé. • Un bambino appena nato ha delle dotazioni naturali potenziali (udito, vista, prensione, riflessi, ecc.) che per potere esplicarsi necessitano di azione. L’azione è il promotore dello sviluppo. Il pesnisero segue l’azione e non viceversa. • Un atto perché abbia senso deve essere riconosciuto. Va dall’esterno all’interno e si realizza in un contesto sociale –relazionale. • all’inizio c’è la relazione sociale, il rapporto fra esseri umani, ed in particolare c’è un piccolo della specie Homo sapiens che comincia il suo percorso di individuazione.
  • 26. Proviamo a seguire questo processo con un esempio determinato, la storia naturale (che è insieme storia ma anche naturale) del gesto con cui il bambino impara ad indicare ad un altro qualcosa che ha attirato la sua attenzione. Si tratta intanto di sgombrare il campo di ogni presupposizione mentalista. All’inizio c’è una operazione automatica: lo sguardo del bambino è attirato da qualcosa, e quindi, naturalmente, prova ad afferrare ciò che l’ha interessato: «il gesto dell’indicazione», allora, «rappresenta originariamente un semplice movimento incompiuto volto ad afferrare l’oggetto, e che sta appunto a indicare l’azione. Il bambino tenta di afferrare un oggetto che è collocato troppo lontano, le sue mani sono protese verso l’oggetto, e restano sospese nell’aria, le dita compiono movimenti di presa: tale situazione è punto di partenza per ogni successivo sviluppo» [[L. S. Vygotskij, Storia delle funzioni superiori, p. 199]. All’inizio c’è l’azione. In questo caso un’azione trainata dalla percezione. Qui non c’è nessuna intenzione comunicativa, c’è un riflesso scatenato dalla vista di un oggetto interessante. Propriamente, proprio perché si tratta di un riflesso, non c’è nemmeno pensiero. Quel gesto, però, accade in un contesto transindividuale, perché ci sono delle persone presenti, anche se il gesto del piccolo umano non era diretto a loro.
  • 27. Infatti «la madre giunge in aiuto del bambino e concettualizza il suo movimento come un’indicazione» [Ivi]. dal prendere all’indicare L’intenzione, che non è nel gesto del bambino, che in realtà è un atto incompiuto, viene attribuita al bambino dalla madre. È la madre che vede in quel movimento uno scopo, raggiungere l’oggetto, e che quindi lo trasforma in azione mirata, in segnale per attirare la sua attenzione: così ora «la situazione muta completamente. Il gesto dell’indicazione» – in realtà ancora soltanto supposta – «diventa un gesto per gli altri». È allora il contesto transindividuale a trasformare un riflesso in un gesto, in un segnale comunicativo, in una indicazione. A questo punto la reazione della madre si riflette sul comportamento del bambino, che ora scopre che quel movimento può assumere tutt’altro valore. Qui vediamo il congiungersi della linea di sviluppo naturale – l’oggetto che attira lo sguardo e l’immediato tentativo di afferrarlo – con quella culturale, cioè con l’attribuzione di un valore comunicativo da parte di un altro essere umano: così il suo gesto «viene ricollegato dal bambino con tutta la situazione oggettiva» e quindi lo stesso bambino «comincia a considerare questo stesso movimento come un’indicazione. Avviene così una modificazione della funzione del movimento stesso: da movimento rivolto verso l’oggetto diventa movimento rivolto verso un’altra persona attraverso un mezzo di comunicazione: la prensione si trasforma in indicazione». Si parte dalla relazione sociale, a cui in realtà uno dei due partecipanti non sa, ancora, di partecipare; ne basta uno, purché anche l’altro sia capace di accorgersi del comportamento altrui. Dal transindividuale emerge l’individuo, perché alla fine «il bambino giunge […] alla consapevolezza del proprio gesto» [Ivi, p. 200]. Prima allora la relazione ‘interpsichica’, cioè appunto il transindividuale, poi quella ‘intrapsichica’, cioè quella mentale individuale. L’operatore storico-sociale della individuazione, l’operatore che media fra questi due momenti è la ‘interiorizzazione’, cioè la «ricostruzione interna di una operazione esterna»[L. S. Vygotskij, Il processo cognitivo, trad. it. 1978, p. 86] sociale. Fin dall’inizio in questo modello prevale il rapporto fra esseri umani, la relazione sociale. È la prima mossa del materialismo di Vygotskij, partire dalla realtà dei fenomeni umani
  • 28. La struttura gerarchica Figura primaria di attaccamento Figura secondaria di attaccamento In assenza temporanea della figura primaria di attaccamento il bambino effettua una “riconversione” temporanea nei confronti di un adulto collaudato (secondario)
  • 29. caratteristiche salienti con cui è possibile descrivere la scala gerarchica sono: •la presenza di un adulto a cui il bambino si rivolge per ottenere le risposte ai bisogni primari tra cui la sicurezza; •il riconoscimento di altre figure adulte che possono essere definite “secondarie”; •una attività di monitoraggio (tenere sotto controllo) costante nei confronti della presenza -accessibilità dell’adulto “al vertice”; • la necessità, in caso di assenza dell’adulto primario, di mettere “al vertice” un’altro adulto sufficientemente collaudato e presente nella scala (secondario).
  • 30. L’attaccamento «Il comportamento di attaccamento è quella forma di comportamento che si manifesta in una persona che consegue o mantiene una prossimità nei confronti di un'altra, chiaramente identificata, ritenuta in grado di affrontare il mondo in modo adeguato. Questo comportamento diventa evidente ogni volta che la persona è spaventata, affaticata o malata, e si attenua quando si ricevono conforto e cure» (J.Bowlby). « La dipendenza sicura fornisce le basi per una fiducia in se stessi tale da permettere una sicura autonomia dai genitori, che successivamente dovrebbe essere sostituita da una dipendenza sicura dai pari (...) (J.Bowlby).
  • 31. L’ACCESSIBILITA’ della figura di attaccamento Già si è osservato che, parlando di una figura d’attaccamento, la presenza va intesa come una facile accessibilità piuttosto che come una presenza reale e immediata, mentre l’assenza va intesa come inaccessibilità. Occorre però un’estensione maggiore del termine, perché l’accessibilità in sé stessa non è sufficiente. Non basta che la figura di attaccamento sia accessibile, essa deve avere anche la volontà di rispondere in modo appropriato; nei confronti di una persona che ha paura, per esempio ciò significa la volontà di agire come consolatore e protettore. Solo se la figura di attaccamento oltre che accessibile è potenzialmente disposta a rispondere positivamente, la si può veramente definire come disponibile. Pertanto da questo momento in poi la parola disponibilità va intesa nel senso che una figura di attaccamento è, oltre che accessibile, anche disposta a rispondere in modo appropriato. (J. Bowlby) con la madre.
  • 32. RESPONSIVITA’ la responsività è considerata come la capacità materna di condividere affetti negativi e positivi del proprio bambino (Winnicott Stern) Le “sicure” sono adatte a rispondere in modo adeguato ai diversi stati emotivi esternalizzati dal bambino, Le “distanzianti” risultano essere incapaci di sintonizzarsi con le emozioni negative, non riuscendo ad accogliere le richieste di consolazione del proprio bambino, ma al contrario sono efficaci nel rispondere ad emozioni di tipo positivo. Le “preoccupate” dimostrano di essere in grado di rispondere a richieste di consolazione, ma incapaci di rispecchiare le richieste di autonomia dei propri figli. La responsività dunque, acquista qualità relazionali che caratterizzano la reciproca attività comunicativa espressa dalla diade madre-bambino; esistono però altri fattori in grado di influenzare la responsività materna, come quelli contestuali, tra cui ritroviamo il grado di coinvolgimento paterno nella relazione
  • 33. la sintonizzazione affettiva • Il bambino come interlocutore • Accorgersi dei suoi cambiamenti di umore e farglielo sapere. • Non può però diventare una routine/procedura: ah sei arrabbiato. • Averlo come interlocutore vuole dire: aspettare una risposta (il gesto interrotto della Pikler). • Parlare con il bambino e non sopra il bambino.
  • 34. E’ necessario ribadire che la relazione con un bambino non è un fatto astratto ma si sostanzia di gesti e atti concreti e quindi i presupposti di una relazione educativa sono la qualità del gesto, il tono della voce, lo sguardo, ecc. La cura nella sua accezione ampia quindi va intesa come atteggiamento di pensiero. Lo scambio sociale inizia quando l'adulto aspetta, riconosce e risponde ai comportamenti del bambino, quando aspetta, ad esempio, prima di prendere il bambino dal lettino o dal tappeto, che egli manifesti di essere pronto all'operazione. E le cure si presentano in una visione olistica dove cura e educazione sono inscindibili.
  • 35. L’autonomia (dipendenza /autonomia - attaccamento / esplorazione) • Anche se il bambino è dipendente totalmente per la sua sopravvivenza fisica, per il soddisfacimento dei suoi bisogni fisici, è fondamentale che l’adulto non si sostituisca al b. • Le prime esperienze di autonomia iniziano con la prima iniziativa che un bambino prende, con la prima attività iniziata da lui senza un intervento diretto dell’adulto e orientata al piacere di agire. Questo agire è fonte di soddisfazione e apprendimenti cognitivi e sociali. L’attività autonoma del b. è una dinamo che alimenta la voglia di fare. Nasce dalla voglia di fare e aumenta la voglia di fare. • Non può essere insegnata o suggerita. L’autonomia è una spinta, è un orientamento ed ha a che fare con lo sviluppo e la maturazione. La responsabilità dell’educatore è quella di accompagnare questa spinta. Attraverso l’attività autonoma il bambino impara a controllare i propri movimenti acquisisce la conoscenza su di sé su quello che sa fare e sull’ambiente e impara a regolarsi. Questo è un punto importante che ha a che fare con l’autonomia come piacere di fare.
  • 36. Un equivoco: attività e routines La terminologia ancora spesso in uso nei nostri servizi, ha per lungo tempo mantenuto una presunta e non giustificata separazione tra i diversi momenti della giornata indicando genericamente col termine attività tutte le situazioni di gioco o di proposte dell'adulto, e col termine routine tutte quelle situazioni, quali cambio, pasto, sonno, ecc. che ripetendosi sempre simili scandiscono regolarmente la giornata del bambino.
  • 37. • Tale uso dei termini, usato ancora correntemente e superficialmente in molte realtà, rischia di essere fuorviante e di consolidare false opinioni, che, seppur non condivise razionalmente, rischiano dì condizionare il nostro operato. • Infatti, se da un lato è comprensibile l'uso del termine routine ad indicare momenti che si ripetono abitualmente, è molto difficile e rischioso definire cosa è attività e soprattutto cosa non lo è per il bambino, quali momenti sono o non sono attività, e in che senso possiamo definire il suo fare, partecipare, essere in rapporto, una non attività. Dove al termine attività diamo il significato di protagonista del suo agire.
  • 38. I bambini mettono in scena... I bambini mettono in scena dei disagi e sofferenze attraverso i comportamenti che ci sembrano incomprensibili che però sono tutti diretti a noi Traducono le emozioni in comportamenti che si impongono e sono in risposta a quelli degli adulti Gli adulti devono riconoscere che emozione/sentimento muove quei comportamenti e riconoscere che emozioni muovono in noi quei comportamenti. La prima e inevitabile condizione è che questi comportamenti (cioè i segnali comunicativi) siano riconosciuti come tali, ma un segnale diventa comunicativo se è visto da un adulto. Se non è visto e lasciato cadere apre un problema. Ma è più facile sfuggire, prendere le distanze rispetto a delle emozioni scomode. Alle educatrici è necessario un lavoro e un tempo perché le emozioni dei bambini si traducano in sentimenti acquistando così significati veri.
  • 39. Le parole chiave Riconoscere Accogliere gestione educativa La relazione Ascolto e osservazione
  • 40. La comunicazione Riconoscere & Accogliere: leggere i segnali comunicativi La relazione: si tratta della capacità di stare in contatto con quelle emozioni e di fare in modo che trovino un senso nella nostra mente... Ma per trovare un senso devi ascoltare le informazioni che ti danno le tue emozioni. Questa capacità di ascolto consente che emozioni invadenti diventino piano piano pensabili e riconoscibili. Questo ne consente l’evoluzione in sentimenti. Questa competenza dunque mette in campo 2 poli: - La mente e l’emozione del bambino - La mente e l’emozione dell’adulto Tutto questo è RICONOSCERE E ACCOGLIERE. Ma è necessario darsi un tempo perché .... RICONOSCERE E ACCOGLIERE sono due momenti diversi ma correlati tra loro Riconoscere – cosa penso di quel comportamento, come lo leggo, quali sono i segnali comunicativi. Riconoscere un segnale è già una parte di accoglienza. Richiede un tempo e un atteggiamento mentale Accogliere – la prima azione è non espellerlo, provare a guardarlo. Guardarlo vuole dire rendersi conto delle emozioni che lui trasmette e che io provo. Vedere le emozioni sue e mie e leggere cosa mi chiede e come.
  • 41. la gestione educativa (1) • Noi facciamo nel servizio interventi educativi. • Nella quotidianità del nostro intervento abbiamo tutti i bambini in un dialogo che si articola su diversi piani (spazi, materiali, e le nostre iniziative) • Come mi muovo all’interno di un contesto che è formato da un gruppo di bambini? • Gestione educativa vuole dire come la mia comprensione di un suo disagio/bisogno/richiesta può incidere-modificare la mia gestione quotidiana che deve avere una funzione trasformativa. In caso contrario il bambino si dovrà solo adattare (normalizzazione).
  • 42. la gestione educativa (2) • Se un bambino morsica tu hai in mente che non deve succedere • Ma se ti fermi a questo farai solo interventi censori e non crei una condizione per una trasformazione. • Gestione educativa vuole dire che quando c’è un comportamento, un evento dirompente, l’obiettivo non è normalizzare la situazione, riportarla a ordine (che è una necessità) non è sufficiente. Non basta dire no. Si tratta di «accogliere la domanda» perché diversamente hai fatto solo interventi censori, continui a promuovere lo stesso gesto. Al bambino non resta che adattarsi !!!
  • 43. • .... cosa è successo? (il bambino che morsica) • Cosa è successo (prima , durante …) per motivare quella reazione (emozione)? • Questo richiama la tua attenzione - responsabilità rispetto alle relazioni interne al gruppo dei bambini e tra te e ciascuno di loro. • Ciò che è successo inoltre non riguarda solo quel bambino e l’altro e te educatrice, ma anche gli altri bambini, riguarda te e le tue colleghe (l’aspettativa della tua collega modifica la libertà e la tranquillità con cui pensi di poter agire) • La lettura delle emozioni e la possibilità di empatia si basa (empatia ragionata) su osservazioni, riflessioni, analisi delle situazioni, intenzioni educative. • Più le situazioni sono pregnanti emotivamente più è forte la necessità di renderle comprensibili e traducibili in comportamenti La gestione educativa (3)
  • 44. la gestione educativa (4) Se i tempi di attenzione, il bisogno di vicinanza richiedono tempi diversi si possono articolare diversamente l’organizzazione degli spazi, la distribuzione dei tempi, il modo di stare in situazione. Quello che è trasformativo è l’osservazione dei comportamenti, la riflessione e la riprogettazione a partire dai significati: (..... a lui piace guardare, sta facendo una cosa, non è che non sta facendo niente..... ) Rendo leggibile agli altri bambini e a me stesso il senso del suo fare. (... gli altri bambini lo capiscono e lo imparano e gli attribuiscono un senso). Spesso si dice «ne ho tanti e se ne guardo uno mi perdo gli altri» E‘ una parte della ragione... .....ma se hai chiarito almeno un po’ cosa fare (tenertelo vicino, dargli valore...) non è importante che tu lo faccia sempre, importante è che tu abbia dei momenti anche per lui. E’ dare Riconoscimento.
  • 45. La mappa mentale, l’individuo e il gruppo Cos’è la mappa mentale? È la costruzione nella mente dell’educatrice del funzionamento individuale del singoli bambini e del gruppo dei bambini. L ’educatrice pian piano si costruisce una mappa del gruppo, di ogni singolo bambino e cioè coglie: • quanto stanno da soli, • quanto e quando si avvicinano, • in che relazione stanno con lei e con gli altri, • come comunicano, cosa comunicano, • quali oggetti e materiali prediligono, quali sono i suoi interessi, • qual è il grado di tolleranza relativo alla vicinanza e/o alla distanza dall’adulto, • quali sono i segnali che ci rimanda in ordine alle espressioni corporee, ecc. La mappa mentale è la capacità di leggere i segnali nel qui ed ora del comportamento del bambino in risposta al comportamento dell’adulto o a quello dei pari.
  • 46. le parole chiave nei 2 servizi educativi Nel nido d'infanzia : cura, relazione, gioco, corpo, accoglienza, contesto (dai progetti pedagogici) Nella scuola dell'infanzia: competenza, apprendimento, campi di esperienza, sviluppo, linguaggi, saperi (dalle Indicazioni nazionali 2012 ) In apparenza questi diversi concetti (nei due ordini di servizi) sembrano differenziarsi e/o contrapporsi, non essere visti in integrazione............
  • 47. La dimensione olistica (Bondioli-Savio) Approccio olistico: riconoscimento che educazione, istruzione, cura relazione/socializzazione sono dimensioni intrecciate e inseparabili • Riconoscimento del gioco come modo tipico ed esclusivo dell’infanzia di stare al mondo e nel mondo Il far riferimento in modo così intrecciato a educazione, istruzione, cura, relazione, rimanda a un • L’approccio educativo olistico, non spezzetta l’azione educativa né il bambino, riconoscendone la realtà di sistemi complessi in cui ogni scambio ha riverberi su più dimensioni (cognitive, emotive, sociali) • Centralità del bambino • Bambino come costruttore del suo apprendimento (doc europei e nazionali) • Bambino che partecipa ai processi decisionali che lo coinvolgono • Valore della corporeità • Valore del gioco • I tempi soggettivi dei bambini
  • 48. Prendiamo il termine "cura": richiama l'attenzione ai bisogni primari del bambino, di cura del corpo, di protezione e vicinanza fisica, di sicurezza delle routine della vita quotidiana, ma il prendersi cura rimanda anche ad un più profondo messaggio psicologico, di relazione, di presenza educativa, orientato a promuovere l'autonomia e l'apprendimento del bambino. Cura è dunque un dispositivo pedagogico decisivo anche per la scuola dell'infanzia. Allo stesso modo, il termine "campo di esperienza" non può essere equiparato all'idea di "disciplina" di studio, cioè di un corpo definito di saperi e conoscenze da trasmettere, ma piuttosto ad un contesto educativo intenzionale, organizzato dai docenti, capace di far evolvere le azioni e l'operatività dei bambini in rappresentazioni, linguaggi, apprendimenti. Questo processo è decisivo al nido per stimolare e incoraggiare l'intelligenza e la curiosità dei piccoli, ma lo è altrettanto per le età successive. Il dizionario pedagogico' che accomuna nidi e scuole dell'infanzia diventa generativo di buon apprendimento lungo tutto il percorso scolastico ed aiuta lo "zero-tre" e il "tre- sei" a consolidare le proprie specifiche identità, senza tradirle. Giancarlo Cerini
  • 49. Si apprende dall’esperienza e dalla riflessione sull’esperienza.

Notas del editor

  1. -esempio Faella
  2. (questo è da dire con chiarezza durante l’incontro)
  3. Esempio della Giorgia - disponibilità accessibilità o esempio più forte (bambino che calcia, urla, morde) morso di rabbia e non normalizzare
  4. Esempio ricer ca Pistoia (attraverso l’osservazione sono stati cambiati alcuni aspetti delle routine) Nel video di F. vedi degli esempi.
  5. la didattica fondata sul gioco e sulla relazione adulto bambino e bambino.