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Di Redazione
09 febbraio 2021
di Francesco Priore
Le leggi seguono il mercato, così come la grammatica segue la lingua.
Nel nostro paese, per merito dei consulenti finanziari di Fideuram e
della Dival, i fondi d‘investimento dopo 15 anni dall’avvento dell’IOS in
Italia iniziavano ad essere considerati un canale importante per
l’investimento del risparmio. I Fondi collocati erano di diritto
lussemburghese perché le leggi italiane non prevedevano proprietà in
monte: divenne pertanto necessario dotarsi di una legge, quella
istitutiva dei Fondi Comuni d’Investimento di diritto italiano.
La legge n.77 del 23 marzo 1983, approvata in via definitiva dalla
Commissione Finanze del Senato, era presieduta dal Sen. Enzo
Berlanda che successivamente diventò nel 1992 Presidente della
Consob. L’avvento annunciato della legge sui fondi, nonché la
rivoluzione che avrebbe comportato nell’allocazione del risparmio,
generò una serie d’iniziative volte a costituire nuove reti di
distribuzione considerato che il mercato si presentava sontuoso. Ai
primi del 1982 Ennio Doris lasciò la Dival per costituire Programma
Italia che è cresciuta, rimanendo autonoma, sino a diventare l’attuale
Banca Mediolanum. Gianfranco Cassol, che aveva avviato alla
consulenza finanziaria lo stesso Doris (che era il più importante Area
Manager di Cassol), dopo alcuni mesi lasciò la Dival per fondare
Interbancaria, la rete della BNL; il gruppo Fiat dette vita a Prime.
Queste reti, però, non erano le uniche realtà operanti nella
distribuzione di servizi finanziari. Erano già presenti sul mercato altri
gruppi: il più famoso fu Europrogramme ’69, un fondo immobiliare
aperto di diritto svizzero, che si autodefiniva sempre crescente,
riscuotendo grande successo di raccolta sino a raggiungere i 1.000
miliardi di lire. Il meccanismo era ben congegnato, come documentò
all’epoca La Rivista dei Fondi: gli immobili prima di essere acquistati da
Europrogramme subivano una serie di passaggi di proprietà, tutti nella
stessa giornata. Ad ogni passaggio il prezzo aumentava e a fine
giornata comprava Europrogramme: tra il primo prezzo e l’ultimo la
differenza era notevole. Ma intanto pagava il sottoscrittore! Poi il fondo
valutava, sistematicamente, il valore del portafoglio immobiliare che
era ovviamente sempre crescente. Questo meccanismo all’epoca non
era molto noto, però l’Anasf rilevò che un fondo comune immobiliare di
tipo aperto era in una certa misura una contraddizione in termini,
perché investimento immobiliare e liquidità immediatamente
disponibile non sono compatibili. Anasf, infatti, rifiutò a malincuore
l’iscrizione ai consulenti di quella rete: non solo ma informò Consob
delle perplessità. Questo fu uno dei tanti tasselli che un po’ alla volta
costituirono la reputazione dell’associazione.
Europrogramme crollò per ragioni intrinseche ed anche a seguito di
una tassazione imposta dal Ministro Visentini nell’83: solo una parte
dei sottoscrittori recuperò subito, tutti gli altri ci riuscirono dopo una
quindicina d’anni e a valore nominale, cioè rimettendoci la svalutazione
e gli interessi. Il giorno in cui Europrogramme chiuse, un tribunale
italiano condannò il Direttore della rivista di cui prima per diffamazione
nei confronti del fondo immobiliare aperto. Europrogramme non fu
l’unico episodio di malagestio: varie società di titoli atipici – una, ad
esempio, le quote di associazione in partecipazione – facenti capo a
Cultrera, Sgarlata ed altri crearono notevoli disastri all’epoca. Si
diffusero investimenti in cosiddetti beni reali, come i container, o
aleatori come quello in botti di whisky in fase d’invecchiamento. Una
realtà che non creava un’atmosfera favorevole ai consulenti finanziari.
La richiesta dell’istituzione dell’Albo procedeva sempre più in salita.
L’Anasf innesta una nuova marcia e, contemporaneamente all’iter della
legge istitutiva dei fondi, nel 1982 insieme ai dati del settore propone
un censimento su tutti gli operatori del mercato “alternativo” del
risparmio, come indagine pregiudiziale per la regolamentazione. Un
mese prima dell’approvazione della legge sui fondi, Anasf delibera la
richiesta dell’istituzione dell’Albo. La proposta viene formalizzata e
inviata alla Commissione Finanze e in Consob dove il Presidente
Franco Piga porge particolare attenzione. La Consob, a seguito della
legge sui fondi, prepara il regolamento per la distribuzione dei servizi
finanziari a domicilio, solo l’Anasf interviene per indicare le modifiche
per evitare di soffocare la professione. S’instaura un dialogo
approfondito e proficuo con l’Authority. Il numero dei consulenti cresce
esponenzialmente di pari passo con l’esplosione del mercato dei fondi.
La preoccupazione dell’associazione per uno sviluppo sconsiderato
degli operatori improvvisati, non come numero ma come formazione,
trova ampia considerazione a livello istituzionale-amministrativo, ma la
politica è sorda.
L’Anasf acquista autorevolezza: al terzo Congresso del 1985 a Milano
partecipano il Commissario Consob Vincenzo Matturri, Rinaldo Veccia
della Direzione Valori Mobiliari di Bankitalia e il Prof. Augusto
Schianchi per il Ministero del Tesoro. Il punto più alto del Congresso è
la firma del Codice Deontologico comune tra Anasf e IAFP
(International Association for Financial Planners), firme apposte da
Donald Pitti Presidente dell’IAFP e Roberto Tenani Presidente
dell’Anasf. L’IAFP era la più importante associazione USA ed anche
internazionale, organizzazione che generò la ben nota CFP, che cura
tuttora la certificazione internazionale dei consulenti. Sempre in
quell’anno, con il Regolamento Consob 10/7/1985, lungamente
elaborato da Consob, Anasf, Abi e Assofondi (oggi Assogestioni), la
categoria riceve con sei anni di ritardo il primo riconoscimento ufficiale.
Sono stati anni molto impegnativi: Congressi (all’epoca il Congresso
era aperto a tutti i soci che partecipavano a proprie spese), Conferenze
Stampa, inviti a rappresentanti esteri, incontri frequenti con le autorità,
organizzazione e uffici. L’attività era svolta da tutti i componenti del
Direttivo, naturalmente come volontariato, ma gli uffici e quei pochi
dipendenti che ci si poteva permettere avevano un costo. Il sostegno
proveniva solo dai soci: un paio di idee e di fatti dettero solidità e un
minimo di tranquillità per le finanze dell’associazione. La prima fu
quella di proporre alle mandanti di trattenere, su delega, la quota
mensile dell’associazione sulla fattura del consulente. Fideuram e Dival
aderirono immediatamente e così subito dopo Programma Italia,
Interbancaria e tutte le altre reti che man mano si costituivano. I
contributi indiretti delle Reti furono principalmente da parte di
Fideuram che sottoscrisse l’abbonamento al mensile dell’Anasf per tutti
i suoi agenti che non erano associati; l’altro importante fu la decisione
di Programma Italia di promuovere l’iscrizione di tutti i suoi agenti.
L’idea dell’Albo e l’iscrizione all’Anasf erano i must del momento per i
consulenti.
Un unico episodio di tentativo di manipolazione avvenne quando
Europrogramme chiuse: gli agenti che, non accettati dall’Anasf,
avevano costituito la loro associazione si ritrovarono con
un’associazione aziendale e un tesoretto. Chiesero un colloquio
riservato per proporre la loro adesione in massa, il trasferimento del
tesoretto ad Anasf in cambio della deposizione del Presidente, reo di
non aver concesso l’iscrizione, e un posto in direttivo. Fu opposto un
garbato rifiuto, anche se il tesoretto rappresentava alcune centinaia di
iscritti: fu detto loro che potevano iscriversi liberamente, versando
ognuno la propria quota come tutti, e molti lo fecero. Oggi se ne parla
per la prima volta, ma se parla per sottolineare che l’obiettivo di Anasf
era eticamente molto più importante: il riconoscimento ufficiale della
professione.
Eravamo alle soglie del 1986, gli operatori raggiunsero i 10.000, le
mandanti si associarono in Assoreti. L’anno precedente erano transitati
ventimila miliardi di lire: l’86 si presentava radioso, ma la profezia stava
per avverarsi.
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