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KIA TREND
Project work “KiA – Knowledge in Action”
Sales & Retail
Master in Marketing Management 2019-2020
A cura di:
Elena Carrozzo
Alessia Catalano
Marco De Vincenzi
Anna La Parola
Matteo Marconi
Introduzione.................................................................................................................................................... 1
1. La storia del Sales & Retail ....................................................................................................................... 2
1.1 Le Fasi del Retail .......................................................................................................................................... 2
1.2 Outbound Sales ........................................................................................................................................... 3
1.3 Strategie dell’Inbound Sales........................................................................................................................ 3
2. Customer experience ................................................................................................................................ 5
2.1 Concept store: il ripensamento degli spazi fisici (pop-up) .......................................................................... 6
3. Il Customer Journey verso l’Omni-channel ........................................................................................... 8
3.1 Il Customer Journey..................................................................................................................................... 8
3.1.1 Il Customer Journey tradizionale.............................................................................................................. 8
3.1.2 Il nuovo modello di Customer Journey..................................................................................................... 9
3.1.3 Nuove esigenze: verso l’omnicanalità...................................................................................................... 9
3.2 Omnicanalità................................................................................................................................................ 9
3.2.1 Dal single-chanel all’omni-channel......................................................................................................... 11
3.2.2 Strategia omnicanale: l’esempio di Burberry......................................................................................... 13
3.2.3 Limiti e sfide della strategia omnicanale................................................................................................ 13
4. Neuromarketing....................................................................................................................................... 14
4.1 Applicazioni del neuromarketing: A Supermarket Stress Map.................................................................. 15
5. Digital Sales & Retail ............................................................................................................................... 17
5.1 Le tecnologie di frontiera .......................................................................................................................... 17
5.2 Le strategie del digital marketing.............................................................................................................. 18
5.3 Il digital negli store .................................................................................................................................... 20
5.4 Il futuro del Sales & Retail ......................................................................................................................... 21
Conclusioni .................................................................................................................................................... 22
Riferimenti bibliografici e sitografici ........................................................................................................ 23
Sales & Retail
Master in Marketing Management 2019-2020
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Introduzione
La rivoluzione digitale ha apportato molteplici cambiamenti in tutti i settori industriali, tra cui quello
del Sales & Retail. Tale area funzionale, rispetto alle altre, è stata oggetto nel corso degli anni di una
lenta crescita tanto da approdare soltanto ora, e timidamente, alla fase 4.0.
Se in passato il concetto di Sales & Retail si fondava sulla vendita diretta presso il negozio
artigianale, col tempo sono subentrati una serie di fattori che hanno semplificato tale procedimento.
Dalla nascita degli ipermercati all’e-commerce, il processo di acquisto è diventato sempre più
impersonale grazie ad una maggiore consapevolezza e indipendenza del consumatore, resa
possibile dalla simmetria informativa. Infatti, il reperimento di informazioni, tramite internet e
passaparola, ha conferito un maggior potere contrattuale alle persone che sanno compiere
autonomamente la propria scelta d’acquisto.
Quest’ultima fase, invece, è caratterizzata da uno scenario completamente diverso e che
vede le aziende impegnate verso un unico scopo: trasformare radicalmente l’esperienza d’acquisto.
Il consumatore odierno vuole essere coinvolto attivamente durante la propria scelta: ciò significa che
i brand devono impegnarsi affinché il cliente si senta in empatia con l’azienda stessa. Con tale
strategia si fa riferimento principalmente a due sottobiettivi legati tra loro: la creazione di una vera e
propria esperienza di acquisto e la convergenza tra store online e offline.
Alla base di questa ricerca vi è pertanto l’analisi del settore Sales & Retail. Tale studio tende
a enfatizzare il ruolo delle tecnologie digitali, principali protagoniste della rivoluzione nel mondo delle
vendite. Gli strumenti digital fungono da garanti della fase 4.0, rendendo innanzitutto possibile la
strategia omnichannel che consente l’approvvigionamento del prodotto attraverso diverse
piattaforme collegate tra loro. In particolare, si pone l’accento sul fenomeno della customer
experience, che assume ormai rilevanza in termini di vantaggio competitivo per i brand:
l’implementazione di strategie a supporto della customer experience è fondamentale per le aziende
che vogliono raggiungere e mantenere un efficace posizionamento sul mercato.
Inoltre, questa fase è caratterizzata dall’incontro tra neuroscienze e marketing, dando così
luogo al neuromarketing: l’applicazione della scienza in rapporto ai comportamenti del consumatore.
Questa nuova esigenza del consumatore ha spinto le aziende a introdurre notevoli modifiche fisiche-
concettuali all’interno degli store che diventano punti di incontro e di condivisione dei valori.
La fase 4.0 è dunque caratterizzata da innumerevoli contraddizioni e novità rispetto alle fasi
precedenti; proprio per questa ragione il campo di miglioramento e innovazione è ancora piuttosto
ampio, tanto che si possono già scorgere alcuni dei trend futuri. Frictionless experience e Smarketing
sono le parole chiave che contrassegneranno gli sviluppi futuri di questo settore, che sarà sempre
più interconnesso in tutte le sue fasi e dimensioni.
L’obiettivo di questo studio è far emergere i principali cambiamenti del mondo Sales & Retail
rispetto al passato, andando ad analizzare quali sono gli strumenti che hanno reso possibile
l’avanzamento del settore verso l’era digital. Infine, attraverso questo report si intende sradicare
l’idea comune che store online e offline siano in competizione: essi interagiscono e collaborano tra
loro in un’ottica di compensazione affinché l’esperienza di acquisto sia interconnessa.
Sales & Retail
Master in Marketing Management 2019-2020
2
1. La storia del Sales & Retail
Ci troviamo oggi di fronte a un evento di portata enorme per il mondo del Sales & Retail: la rivoluzione
digitale. Per comprendere pienamente la radicalità di questa trasformazione è necessario chiarire le
dinamiche e lo sviluppo di questa realtà sin dalle sue origini. È per questo che inizieremo a
tratteggiare una breve storia dell’ambito, per passare poi all’analisi di un paradigma – quello della
dialettica fra inbound e outbound strategy – al fine di mettere in luce i possibili futuri sviluppi cui ci
troviamo di fronte. L’ipotesi è che vada centralizzato, nella strategia di vendita, un rapporto
privilegiato col cliente: se in origine è infatti il prodotto a essere reso protagonista di una narrativa
complessa, oggi è fondamentale il concetto di autenticità di brand e, con esso, tutto ciò che deriva
da un rapporto di trasparenza fra venditore e cliente. Come anticipato, però, è necessario partire
dall’origine di questo percorso.
1.1 Le fasi del Retail
La prima tappa storica risale al 1916, a Memphis, Tennessee. Un ex venditore, Clarence Sunders,
ha l’intuizione di proporre a Piggly Wiggly, una catena di supermercati statunitense, uno store con i
prodotti e gli scaffali a vista: è l’origine del self-service, la dinamica di vendita che trasforma
radicalmente l’esperienza di acquisto del cliente. Fa notare il McKinsey1
che a questa dinamica
corrisponde la nascita del moderno supermarket, ed è destinata a caratterizzare anche i primi,
neonati, Department Stores: il primo è il londinese Harrod’s, nel 1849, seguito dal parigino Bon
Marché nel 1852 e da Macy’s, a New York nel 1857. Il self-service influenza il modo in cui
l’acquirente si approccia alle merci esposte potendole toccare, provare in camerino, nonché
conoscerne il prezzo già indicato sull’etichetta; in breve, si gettano le basi per il consumo moderno
attraverso una sottointesa proattività richiesta al compratore. Si tende a definire questa fase quella
del Retail 1.0.
La seconda fase, o Retail 2.0, è invece inaugurata dal concetto di “everything under one
roof”2
: dal supermarket si passa alla creazione dell’ipermarket moderno. L’idea è ancora una volta
di un brand americano, Walmart, che apre il primo “Super Center” in Arkansas nel 1962, seguito a
ruota nel 1963 da Carrefour a Parigi. Il modello prospererà al tal punto da diventare il centro
nevralgico della cultura dell’epoca, offrendo non più semplicemente occasione di far spesa ma una
vera e propria esperienza a tutto tondo: dal bowling al cinema, intere generazioni crescono in spazi
in cui è possibile trascorrere intere giornate.
La terza rivoluzione è caratterizzata dall’avvento di Internet e segna l’inizio della fase del
Retail 3.0. Il commercio elettronico è volto a soddisfare un cliente sempre più esigente: vengono
introdotte le recensioni da parte dei clienti e si lavora per ridurre i costi di consegna. È un modello
vincente: nel 1994 Jeff Bezos fonda Amazon che, seguendo questi semplici accorgimenti, diventa il
colosso che tutti conosciamo, mostrando al mondo il potenziale straordinario dell’e-commerce.
1
DESAI P POTIA A., SALSBERG A, Retail 4.0: The Future of Retail Grocery in a Digital World, report by McKinsey’s Asia
Consumer and Retail Practice.
2
Fonte: https://www.digital4.biz/marketing/big-data-e-analytics/retail-40-il-futuro-della-distribuzione-scommette-sul-
digitale/
Sales & Retail
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Infine rimane l’ipotetica fase del Retail 4.0, su cui in realtà gli esperti si dividono. C’è chi
come McKinsey ritiene che i tempi non siano ancora maturi per poter parlare con chiarezza delle
sue caratteristiche; c’è chi invece, come Kotler e Stigliano3
, individua le fattezze in una costante
accelerazione dei processi digitali, che vanno dalle dinamiche omnicanale a un’esperienza
d’acquisto sempre più smart.
1.2 Outbound Sales
Come anticipato, lo sviluppo della storia del Sales & Retail può essere interpretato non
semplicemente in una prospettiva storica, ma anche come la dialettica fra due dinamiche
radicalmente differenti, quasi antitetiche: l’inbound e l’outbound sales. Parlare oggi di outbound sales
significa fare riferimento a uno stile di vendita tradizionale. L’applicare a un pubblico intero e
monolitico la stessa identica tecnica di vendita (le chiamate a freddo, le televendite, le direct mail, i
cartelloni pubblicitari, ecc.) viene percepito oggi come un modo di attaccare il potenziale acquirente
più che attrarlo. Di fatto, il mondo delle vendite (e, con esso, le tecnologie e i canali utilizzati) è
cambiato in maniera tale che le vecchie strategie non solo non funzionano più, ma vengono persino
percepite quasi come ingannevoli; ad esempio molte associazioni attiviste puntano a rendere illegali
le telefonate a freddo come avviene in svariati paesi occidentali.
L’up-selling oggi risulta eccessivamente invasivo, specialmente in un mondo in cui il
consumatore può essere raggiunto comodamente a casa sua attraverso Internet: il rischio ultimo è
quello di minacciare il rapporto col cliente, ottenendo il risultato opposto a quello sperato. In
quest’ottica va dunque interpretato il lento passaggio dalla pubblicità allo storytelling, da un racconto
parziale e strategico a una precisa attenzione a ogni dettaglio delle vendite. Oggi non solo il prodotto,
ma anche l’origine, la produzione, la filiera sono sotto il microscopio di clienti informati e attenti. È in
questo campo che si gioca la sfida odierna per i venditori.
1.3 Strategie dell’Inbound Sales
Arriviamo così alle moderne tecniche di inbound, strategicamente sviluppate su una rapida e
costante rivoluzione digitale. In tal senso, social media, recensioni, vendita peer-to-peer (senza
intermediari) hanno radicalmente cambiato l’approccio dei consumatori ai prodotti: chi acquista oggi
è certamente più attento e informato e, al contempo, richiede semplicità e trasparenza da parte del
venditore. La necessità di una comunicazione trasparente ha aperto molteplici possibilità per i brand,
richiedendo tuttavia una maggiore dinamicità nell’avvicinarsi al cliente. Pertanto, per sostituirsi al più
tradizionale outbound, il moderno inbound, richiede un’attenzione rinnovata e costante al
compratore.
Se le vecchie strategie erano pervasive, quasi aggressive e standardizzate, oggi è sempre
più fondamentale lasciarsi trovare dal cliente – e non contattarlo -, creare una audience più recettiva
ai propri messaggi di vendita e dunque canalizzare quell’attenzione per convertirla in futuro acquisto.
Questo è il ragionamento sotteso alla segmentazione, che divide il pubblico per interesse,
conoscenza del brand (o awareness) e vicinanza ai valori che il brand stesso intende veicolare. Da
ciò dipendono comunicazioni fatte su misura che operano più sulla qualità che sulla quantità dei
contatti: l’obiettivo finale è sempre vendere, ma attraverso l’intercettazione e l’anticipazione di una
domanda latente che ancora non è stata formulata. Questo cambio di prospettiva conduce a un
passaggio di testimone dalla pubblicità all’autenticità.
3
KOTLER P. STIGLIANO G., Retail 4.0, 10 regole per l’Era digitale, Mondadori Electa, Milano 2018.
Sales & Retail
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4
Questo meccanismo quindi parte e si conclude nella fidelizzazione del cliente, cercando di
attirare un traffico di maggior qualità senza, però, rendersi intrusivi. È Seth Godin4
a notare come
strategie di questo tipo abbiano finito per offrire migliori risultati verso i consumatori moderni: questo
è legato a doppio filo con la percezione di avere un privilegio (e non un diritto) a recapitare messaggi
e informazioni a chi effettivamente li desidera. Nel dossier di Ernst&Young,5
il moderno customer
viene così definito: more demanding (perché da maggior richiesta e disponibilità derivano aspettative
in continua crescita); more diverse (perché andiamo verso una società sempre più inclusiva); more
hedonistic (in cui l’acquisto è di interesse solo e soltanto del compratore stesso); more sophisticated
(perché le classi emergenti chiedono di essere riconosciute sempre di più e sempre meglio).
Da ciò possiamo dedurre che la comunicazione col cliente è più che mai necessaria, al fine
di ottenere una relazione trasparente e proficua per entrambe le parti. Sempre lo stesso studio
suggerisce una strategia in più punti, un insieme di core principles utili a ridefinire la propria presenza
sul mercato. Benché il report faccia riferimento a un mercato preciso, le seguenti raccomandazioni
possono essere riproposte su una scala più ampia:
1) proteggere il proprio business contro la disintermediazione;
2) ridefinire i propri rapporti col cliente, passando da un paradigma product-centric a uno
consumer-centric6
;
3) aumentare la propria produttività in modo da ottenere un vantaggio competitivo, riuscendo
a superare gli scogli dell’odierno sistema su larga scala;
4) diversificare le fonti del proprio profitto;
5) collaborare con nuovi partners tramite la value chain.
Senza entrare ulteriormente nel dettaglio di queste raccomandazioni, particolarmente
significativo è il secondo punto il quale racchiude una delle maggiori sfide odierne. Un paradigma
consumer-centric richiede un intenso approfondimento su chi è il cliente ideale, una segmentazione
delle necessità del cliente, la costituzione di un’esperienza per il consumatore assolutamente priva
di sbavature, nonché mantenere attivo il dialogo con i consumatori attraverso un sistema di
feedback.
Promuovere una cultura di questo tipo, in modo da mettere il consumatore al centro del
processo decisionale dell’azienda stessa, può ritenersi la principale sfida per il retailer odierno,
riflettendosi anche sul piano digitale: a questo ragionamento appartiene infatti la dinamica della lead
generation, che canalizza i contatti ancora prima di identificarli come possibili futuri acquirenti.
A tal fine, rimane aperta una lunga conversazione sulle possibilità della brand advocacy e
dello storytelling aziendale che oggi, come in futuro, richiederanno un’attenzione sempre più mirata
ai gusti del pubblico.
4
GODIN S., Permission Marketing, Simon & Schuster, New York 1999.
5
Report by Ernst & Young Global Consumer Insurance Survey, 2012, Voice of the customer.
6
Vd. Cap.2.
Sales & Retail
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5
2. Customer experience
“Customers know more and they expect more”.7
Nuove spinte tecnologiche e le loro innovative applicazioni hanno di fatto completamente stravolto
il mercato e le sue dinamiche sociali ridefinendo le fasi del processo d’acquisto, ovvero il modo in
cui le persone ricercano e acquistano prodotti e servizi. Il consumatore stesso è cambiato: è attento,
esigente e per definizione non più molto fedele. La personale e accurata ricerca di informazioni su
ciò che ha destato in lui interesse lo rende qualitativamente pretenzioso, selettivo e scaltro, nonché
molto spesso autonomo: è alla ricerca di prodotti in grado di attrarlo, non solo dal punto di vista
razionale, ma anche emotivo.8
I consumatori tendono per questo sempre più a considerare le loro 'Gold Experience' il nuovo
standard di riferimento per giudicare l'interazione con qualsiasi altro brand. Ciò costringe le aziende
ad adottare un modello strutturato di gestione della Customer Experience.9
La Customer
Experience rappresenta l’espressione di tutto ciò che le persone hanno provato dal momento in cui
hanno cercato di conoscere l’offerta, di acquistare il prodotto o il servizio, di utilizzarlo o di richiedere
assistenza. In breve, riguarda le interazioni avvenute prima, durante e dopo l’acquisto, sia con clienti
reali che potenziali.10
Precisamente, le aziende leader nella Customer Experience si distinguono perché pongono,
a differenza del passato, le persone al centro della loro attenzione: 'People First' è il principio che
riassume questa capacità. Tale principio ha un ruolo cruciale, poiché i dipendenti dell'azienda sono
spesso il touchpoint principale tramite il quale creare un'esperienza memorabile.11
Più un retailer
investe nella customer experience, nuovo terreno di battaglia con la concorrenza, più le persone che
sono entrate positivamente in contatto con lui desidereranno mantenere e rafforzare il rapporto.
Pertanto, per vincere la sfida della loyalty, i brand devono far vivere al consumatore esperienze
significative, che vadano oltre la sola transazione economica. Seguendo questa strategia, le marche
7
WALKER, The future of B-TO-B Customer Experience, Customers 2020.
https://www.walkerinfo.com/Portals/0/Documents/Knowledge%20Center/Featured%20Reports/WALKER-
Customers2020.pdf
8
KOTLER P. & KELLER K.L. (2012) Marketing Management, 14th ed..The five stage model in consumer behaviour:
Problem Recognition, Information Search, Evaluation of Alternatives, purchase decision and postpurchase behavior.
9
KPMG, Eccellenza-nella-Customer-Experience, 2019., sono indicati quelli che vengono definiti come i Six Pillars’ della
Customer Experience Excellence: Personalizzazione, Integrità, Aspettative, Risoluzione, Tempo ed Impegno ed Empatia.
Questi fattori rappresentano sei dimensioni fondamentali attraverso cui un cliente giudica l’interazione con un brand.
Secondo la società di consulenza è proprio su questi elementi che le aziende devono focalizzarsi per migliorare la relazione
con il cliente. Per una breve lettura circa l’importanza della Customer experience, si consiglia inoltre: Forbes, Customer
experience is the new brand: https://www.forbes.com/sites/shephyken/2018/07/15/customer-experience-is-the-new-
brand/#7a4b780a7f52
10
MANNING H., BODINE K., Clienti al centro: Reinventare il business nell’era della Customer Experience, Hoepli, Milano
2012. In questo volume gli autori rappresentano la customer experience come una piramide a tre livelli: alla base della
piramide, la soddisfazione o meglio, quanto l’interazione risulta essere appagante rispetto alle pretese del cliente; poi la
facilità, da eguagliare al grado di complessità o lo sforzo percepito dall’interazione; ed infine, l’ultimo livello, quello della
piacevolezza, ossia la misura di comfort e gradimento dell’interazione.
11
KPMG, op. cit..
A questo proposito, Lejeune E., Senior Vice President of Emerging Markets, ci indica che: “A Milano, in via Dante, c’è un
negozio Swarovski in cui è stato applicato per la prima volta nel mondo un nuovo concetto di retail, con un’integrazione
omnicanale molto più forte che in passato. All’interno troverete una persona che vi accoglie e vi accompagnerà da un
personal stylist: un esperto di moda che vi darà dei consigli, cosa che non troverete acquistando direttamente online.”
Per intervista integrale, vedi Allegato 1.
Sales & Retail
Master in Marketing Management 2019-2020
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saranno sempre meno definite da ciò che racconteranno e sempre più valorizzate, invece, dalle
esperienze che le persone vivranno attraverso di loro e i loro prodotti.12
Se da un lato il traffico nei negozi fisici sta calando, il rapporto tra coloro che si recano
fisicamente in store e concludono un acquisto è più elevato che in passato. Questo perché il negozio
diventa il vertice di un più ampio processo relazionale con il brand, che porta le persone a compiere
ricerche sui prodotti ancora prima di varcare la soglia del punto vendita.
Possiamo dunque distinguere tra lo showrooming13
, un processo che inizia in un punto
vendita fisico ma si conclude online e il webrooming14
, dove si identifica un percorso che nasce e si
sviluppa online, per ultimarsi con un acquisto nel punto vendita fisico. Entrambi rappresentano due
manifestazioni di quello che è stato chiamato phygital marketing, ovvero una dinamica in cui fisico e
digitale si incontrano per favorire un’interazione senza soluzione di continuità tra brand e persone.
È fondamentale capire che retailing oggi non significa semplicemente mettere prodotti nella
borsa del consumatore, ed è quindi necessario costruire con lui un rapporto crossmediale capace di
durare nel tempo, che porterà i propri frutti con le tempistiche e nelle modalità a lui più congeniali.15
Si è parlato a lungo – e forse impropriamente – di “apocalisse del retail”. Il 2017 ha segnato
indubbiamente il pubblico, essendo l’anno col più alto numero di chiusure di negozi di sempre16
; ma
questo potrebbe essere indice non di una crisi in toto del settore, quanto piuttosto di un vecchio
modo di fare retail. È dunque aperta la sfida per gli store fisici, messi di fronte alla sfida di ridefinirsi
da un semplice luogo di consumo a uno spazio di esperienza, di relazione, di intrattenimento.
2.1 Concept store: il ripensamento degli spazi fisici (pop-up)
Nonostante i canali online siano in continua crescita, il negozio fisico mantiene la sua importanza e
allo stesso tempo si evolve acquisendo funzioni diverse.17
I luoghi commerciali, snodi fondamentali
ove le nuove tendenze del mercato prendono forma, si trasformano per questo in spazi relazionali,
12
A questo proposito, In MOORE S., How to Measure Customer Experience. Smarter with Gartner, June 2018, l’autore ci
sottolinea che per potenziare i processi di customer experience è necessario identificare indicatori affidabili per la sua
misurazione. Soltanto con la misurazione è possibile scoprire ciò che soddisfa o meno il cliente, anticipare le sue richieste
e migliorare i servizi.
Il Net Promoter Score (NPS), il Customer Satisfaction Score (CSAT) e il Customer Effort Score (CES) forniscono tutti
preziosi feedback e informazioni sulle performance aziendali (Moore, 2018). Gli indicatori in questione misurano il grado
di soddisfazione del cliente considerano aspetti diversi dell’esperienza.
13
KOTLER P., Retail 4.0 - Le 10 regole per l'Era Digitale, p. 53 e ss. ci illustra che lo showrooming, per esempio, può
riguardare coloro che, prediligendo un rapporto fisico con il prodotto o i consigli di un assistente alle vendite, decidono di
esplorare uno store ma poi, attratti dalla possibilità di trovare un prezzo più vantaggioso in Rete, finiscono per cercare
online e completare la transazione tramite e-commerce. Ai loro occhi, i negozi fisici diventano a tutti gli effetti dei semplici
shoowroom.
14
KOTLER P., op. cit., p 53 e ss. Nel caso del webrooming, invece, il consumatore esplora e si informa circa i prodotti a
lui congeniali sfruttando i canali web, per poi completare l’esperienza d’acquisto nel punto vendita fisico: una scelta che
può essere dettata dalla mancanza di fiducia verso le transazioni online o magari dal bisogno di rassicurazione da parte
di un esperto o dalla volontà di toccare con mano i prodotti.
15
KOTLER P., op. cit., p 55.
16
Fonte: https://money.cnn.com/2017/10/25/news/economy/store-closings-2017/index.html
17
Una ricerca globale condotta da Accenture Strategy dimostra che il 73% dei consumatori preferisce un’interazione
umana in negozio per risolvere problemi, richiedere consigli e ricevere assistenza su prodotti e servizi. La necessità di
personale di vendita altamente qualificato è confermata da un altro dato: 3 clienti su 5 dichiarano di essere disposti a
pagare un prezzo maggiore per avere un dialogo faccia a faccia con una persona competente e disponibile.
https://blog.milkman.it/retail-4.0-le-10-regole-per-lera-digitale
https://www.accenture.com/it-it/insight-trading-spaces-retail
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luoghi di svago, di socializzazione, di comunicazione.18
Il negozio – proponendosi l’erogazione di
servizi quali informazione, intrattenimento, rassicurazione, fidelizzazione e coinvolgimento - è
impiegato dalle imprese per relazionarsi direttamente con il consumatore, cercando di offrire
esperienze memorabili.19
Creare esperienze d’acquisto memorabili, che rimangano impresse nella mente del
consumatore e che influenzino il suo futuro comportamento, significa per i brand sviluppare un
vantaggio competitivo sostenibile.20
In tal senso, la rivitalizzazione e il rilancio del concept store
costituiscono la base per questo sviluppo emotivo nel consumatore, dove la capacità creativa di
riscrivere il passato si dimostra il punto centrale per lo sviluppo di un progetto futuro. Il concept store
diventa così una piattaforma di ispirazione per un percorso sulla memoria: interculturale,
intersoggettivo, seduttivo, affascinante e mobile. In quest’ottica si può considerare l’esperienza dei
temporary store e dei pop-up store, da trasformare in luoghi di esperienza transitoria ma
memorabile, scritta nel tempo più che nello spazio. Di conseguenza, è necessario rendere lo
storytelling un’esperienza concreta attraverso i grandi pilastri del retail (ambientazione, selezione
dei prodotti, display ecc.), rappresentare il concept store tramite lo sviluppo nel tempo, oltre che nello
spazio, del racconto dell’esperienza progettuale e/o aziendale e reinventare il temporary store,
potenziando il fascino temporaneo di un’esperienza rilevante.21
A dimostrazione della perfetta sinergia tra soddisfazione e tecnologia, Zara offre un esempio
interessante e tra i più innovativi di modalità d’acquisto integrate. Il colosso iberico del fast fashion
ha infatti inaugurato a Londra un negozio pop-up in grado di realizzare in un unico spazio fisico tutti
i desideri e le necessità del cliente più fedele ed esigente. Lo store consentiva di ritirare gli ordini
effettuati online in giornata, gestire in loco resi e sostituzioni e pagare rapidamente attraverso il
proprio smartphone. Gli shopper potevano servirsi di specchi “intelligenti”22
, in grado di mostrare le
taglie disponibili del capo indossato e i possibili abbinamenti. Lo spazio ospitava inoltre un’ampia
selezione di capi e accessori per uomo e donna che era possibile acquistare in store e pagare
comodamente attraverso precise postazioni accessibili via Bluetooth.
In quanto temporary store, il negozio ha interrotto la propria attività nel maggio 2018,
lasciando però spazio a un nuovo flagship store. Il nuovo punto vendita occupa 4500 m² ed è dotato
di una struttura unica nel suo genere: oltre alle sezioni donna, uomo e bambino, infatti, presenta
un’area online, collegata a due magazzini robotizzati in grado di gestire contemporaneamente 2400
pacchi. Per di più, consente ai clienti dell’e-commerce di ritirare la merce sul posto e pagarla col
proprio smartphone mediante le applicazioni di Zara, Inditex o in Wallet.23
18
BILOTTA E. & BONAIUTO M., Psicologia architettonica e luoghi commerciali: l’impatto dell’ambiente fisico sul cliente,
Micro & Macro Marketing, Società editrice il Mulino, issue 3, 2007.
https://ideas.repec.org/a/mul/jyf1hn/doi10.1431-25742y2007i3p365-384.html
19
OLIVERO N., RUSSO V., Psicologia dei consumi, 2013, p. 555.
20
KPMG, op. cit..
21
RIGHI M., Il Futuro del Retail, Future Concept Lab, 2013.
http://www.futureconceptlab.com/pdf/press/FCL_15_13.pdf
22
Tuttavia, Lejeune E., Senior Vice President of Emerging Markets, su questo tema, ci suggersice che: “Nel mondo della
moda si parla di specchi digitali e changing room, attraverso i quali è possibile consultare il prodotto senza provarlo
direttamente. Tuttavia, oggi nel mercato dell’abbigliamento non troverete quasi nessun marchio che adotta questa
tecnologia. Sembrava fantastico ma alla fine il consumatore non è interessato a tutto. Il consumatore vuole che le cose
vadano più veloci e siano più facili. L’importante è capire qual è il beneficio.”
Per intervista integrale, vedi Allegato 1.
23
KOTLER P., op. cit., p 60 e ss.
Per approfondire il tema si suggerisce: Bar S., Zara Unveils New Click-and-Collect Store, The Indipendent, 2018
https://www.independent.co.uk/life-style/fashion/zara-click-and-collect-store-westfield-stratford-london-temporary-pop-up-
flagship-a8180956.html
Sales & Retail
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8
3. Il Customer Journey verso l’Omni-channel
Appurato che il marketing di oggi debba necessariamente puntare alla sfera emotiva del
consumatore, è fondamentale che le aziende considerino in primis il percorso di acquisto in tutte le
sue fasi. Questo percorso prende il nome di Customer Journey e inizia con la ricerca da parte del
consumatore di un bene o servizio, per il soddisfacimento di un bisogno o desiderio. Le tappe, virtuali
o fisiche, di questo viaggio vengono chiamate touch point e rappresentano tutti i punti di contatto in
cui il consumatore interagisce con il brand. È in queste situazioni che si costruisce la relazione tra
le parti e da cui parte un processo di conoscenza e scoperta reciproca tra azienda/prodotto e
consumatore.
3.1 Il Customer Journey
Oggi è molto importante per un’azienda conoscere bene le fasi del customer journey, perché ciò
consente una pianificazione strategica e un’ottimizzazione degli investimenti orientati ai bisogni dei
clienti. Si intuisce come il concetto di customer journey vada a integrarsi con quello di omnicanalità,
dove l'obiettivo è proprio quello di intercettare e coinvolgere il consumatore in tutti i canali, touch
point e fasi di acquisto.24
3.1.1 Il Customer Journey tradizionale
Prima dell'esplosione di Internet e delle strategie di omnichannel retail, i modelli di marketing
consideravano il customer journey come un processo lineare, diviso in cinque fasi:
1. Awareness: percezione del bisogno di un determinato prodotto o servizio;
2. Familiarity: familiarità con il determinato prodotto e capacità di riconoscerloin un ampio
ventaglio di scelta;
3. Consideration: ricerca di informazioni propedeutiche all'acquisto e confronto delle
caratteristiche con altri prodotti;
4. Purchase: acquisto vero e proprio;
5. Loyalty: fase del post vendita in cui sono essenziali le attività di marketing e assistenza per
non perdere il rapporto con il cliente appena acquisito.
Oggi questo modello non è più attendibile, perché non considera la molteplicità di strumenti a
disposizione dell’utente e del consumatore odierno. Proprio per questo adesso si parla di customer
journey in una logica più articolata, in cui la decisione d'acquisto è il risultato di un processo tutt'altro
che lineare.
24
Redazione Osservatori Digital Innovation, 2018, https://blog.osservatori.net/it_it/customer-journey-significato-mappa.
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3.1.2 Il nuovo modello di Customer Journey
Maggiore successo riscuote ora il modello di Avinash Kaushik, basato infatti più sul lato dell’utente,
e delle azioni che può o meno compiere, che sul lato del brand:
• See: vedere il prodotto. Sarebbe la cima dell’imbuto, il più vasto pubblico possibile
potenzialmente interessato al brand. Sono gli utenti che lo “vedono” perché potrebbero
acquistarlo;
• Think: pensare a come soddisfare un bisogno. Sono quegli utenti che hanno un bisogno e
stanno pensando a come soddisfarlo; ma potrebbero anche essere quegli utenti che stanno
solo pensando di averne uno;
• Do: sono le persone realmente interessate all’acquisto, che si informano online su come
soddisfare il proprio bisogno, trovando quel bene o servizio che più lo assicura;
• Care: sono gli utenti che hanno già comprato il prodotto o usufruito del servizio, e che
intendono farlo di nuovo o consigliarlo ad altri, soprattutto se il brand si dimostra affidabile e
continua a prendersi cura di loro.25
3.1.3 Nuove esigenze: verso l’omnicanalità
Si è quindi delineato in maniera sempre più chiara il profilo dell’utente omnicanale che ha come
caratteristica distintiva quella di considerare il digitale come elemento fondamentale all’interno del
processo d’acquisto: questa tipologia di consumatori costituisce circa il 67% della popolazione
italiana, per un totale di circa 35.5 milioni (in aumento di circa 3.8 milioni rispetto al 2017).26
È
fondamentale imparare a sfruttare una strategia multicanale in modo integrato e avvicinarsi il più
possibile a quella omnicanale. Durante questo percorso, le imprese devono insistere
sull'implementazione dei diversi touch point del customer journey, per garantire interazioni
simultanee e coordinate.
Nel business omnicanale, i vari canali di vendita sono costituiti da processi di fulfillment
integrati e tutti i punti di contatto tra l'azienda e il buyer devono essere gestiti in modo coerente, per
garantire un Buyer's Journey continuo, come un unico flusso. Questa nuova modalità comporta
numerosi vantaggi per le aziende che non solo hanno la possibilità di creare relazioni più profonde
con i propri clienti – grazie ad una targettizzazione demografica e comportamentale più precisa del
consumatore – ma anche aumentare la qualità e la quantità delle vendite.
3.2 Omnicanalità
Fino ai primi anni ’80, le imprese interagivano con il consumatore attraverso pochi mezzi e con una
strategia one-to-one monocanale: la promozione e la comunicazione di un prodotto potevano
avvenire tramite uno spot televisivo, un messaggio radiofonico o un cartellone pubblicitario e il
canale di vendita era sostanzialmente il tradizionale negozio all’interno del quale avveniva l’acquisto
e la semplice interazione tra venditore e cliente.
Se prima le imprese utilizzavano uno o pochi canali di vendita, caratterizzati da grande
autonomia e spesso in concorrenza tra loro, oggi i consumatori sono abili nel muoversi tra tanti canali
e piattaforme diverse, personalizzando e scegliendo consapevolmente i percorsi di acquisto.
25
NUR Digital Marketing, 2019, https://www.nur.it/on-the-road-levoluzione-del-customer-journey/.
26
Osservatori.net Digital Innovation, 2018, https://www.osservatori.net/it_it/osservatori/comunicato-stampa/multicanalita-
italia-consumatori-multicanale.
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La realtà a cui siamo giunti oggi è frutto di uno stravolgimento dato da tre importanti
avvenimenti: la fine del monopolio pubblico del servizio televisivo e radiofonico (anni ’80-’90), la
nascita di innumerevoli stazioni radio e TV private e il successivo avvento di Internet, dei nuovi mezzi
di comunicazione e, più recentemente, dei Social Media.
Un rapporto di BigCommerce conferma che gli acquirenti di diverse fasce d'età acquistano da più
canali di vendita. In particolare, i sondaggi sul consumo degli acquirenti americani mostrano che:
● Il 74% ha fatto acquisti presso i grandi rivenditori;
● Il 54% ha effettuato acquisti tramite e-commerce;
● Il 44% acquista nei negozi online;
● Il 36% acquista presso rivenditori online specifici per categoria.27
Questa panoramica sulle abitudini dei clienti permette di capire quanto oggi essere presenti
su più canali sia fondamentale per raggiungere tutti gli utenti possibili. La multicanalità è per questo
definita come l’utilizzo di diversi canali (negozi fisici, online, mobile) a supporto del processo di
interazione azienda-consumatore (fasi di pre-vendita, acquisto e post-vendita). Più dettagliatamente,
dal punto di vista del consumatore, ciò si traduce nell’utilizzo di una varietà di canali online e offline
durante il suo percorso di acquisto.
Da una prospettiva aziendale, con la definizione di multichannel marketing strategy si intende
l’utilizzo di una pluralità di canali (innovativi e tradizionali) assortiti, coerenti e integrati per le attività
di comunicazione, pre-vendita, commercializzazione e assistenza ai clienti post vendita.
Multicanalità, quindi, non significa solo aggiungere più canali all’interazione tra impresa e
consumatore, ma integrarli in un’esperienza più ampia. Il cliente non viene più coinvolto in una sola
ottica persuasiva, ma utilizzando diversi punti di contatto.28
Infatti, come afferma Cristina Scocchia, CEO di KIKO MILANO, “non è più il rapporto tra le
vendite effettuate attraverso il canale fisico e quelle concluse grazie al canale digitale a essere
importante; risulta invece fondamentale la costruzione di un ecosistema attorno al consumatore,
finalizzato a vendere di più, indipendentemente dal canale”.29
Per poter comprendere in profondità il concetto di omnicanalità è quindi utile ripercorrere i suoi
processi costitutivi e la sua evoluzione partendo dal primo stadio, il single-channel (vedi figura 1).
Figura 1
27
Big Commerce, https://www.bigcommerce.com/blog/multi-channel-retailing/.
28
BELLUCCI A., “La multicanalità tra engagement e marketing non convenzionale”, (God Save The Marketing),
http://www.godsavethemarketing.it/un-fenomeno-moderno-la-multicanalita/.
29
SCOCCHIA C., Intervista in “Retail 4.0, 10 regole per l’era digitale”, Kotler P.
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3.2.1 Dal single-chanel all’omni-channel
• Single-channel (o monocanale): prevede l’utilizzo esclusivo di un canale per raggiungere la
clientela. La scelta di operare in un canale fisico, pertanto, esclude quello virtuale, e viceversa.
Oggi la strategia monocanale ha fortemente perso la sua efficacia: l’affermazione su larga scala di
smartphone e di dispositivi tecnologici ha profondamente cambiato il percorso d’acquisto dei
consumatori, determinando uno stravolgimento delle tradizionali logiche a compartimenti stagni.
Infatti, sfruttando un solo canale, ne risultano limitate le opportunità di interazione con il pubblico
di riferimento. La conseguenza principale è quindi la riduzione del potenziale di vendita. Questo
limite diventa sempre più importante e non sottovalutabile in considerazione dell’ampliamento della
gamma di canali online a disposizione dei clienti. Va altresì sottolineato che le attività commerciali
che sfruttano un singolo canale non necessariamente utilizzano un solo mezzo. L’esempio più
comune è quello di Amazon, che ha fatto del monocanale il suo mantra e che distribuisce prodotti
online, servendosi però di diversi canali, dagli smartphone ai portatili, dalle mail ai social.30
• Multi-channel: l’elemento differenziante della strategia multi-channel rispetto a quella single-
channel è l’introduzione di più canali, con un focus particolare sul consumatore. L’obiettivo è quello
di rendere più piacevole, accessibile e completa l’esperienza di acquisto, mettendo al servizio dei
consumatori una moltitudine di touch point, in modo che questi possano scegliere l’alternativa più
adatta a soddisfare i loro bisogni. Una campagna di comunicazione, oggi, non deve limitarsi a
creare un bisogno e le aziende devono imparare a guidare gli utenti attraverso il buying journey
creando awareness, educando e conquistando la fiducia dell’audience. L’approccio vincente è di
continuo testing, per monitorare costantemente le fasi del processo decisionale di un potenziale
cliente, i contenuti più pertinenti, i mezzi attraverso i quali si riesce a costruire una relazione basata
sull’integrazione dei mezzi, l’autorevolezza, l’affidabilità e la rilevanza dei contenuti.31
• Cross-channel: questa strategia presuppone un approccio multi-canale ma focalizzato
maggiormente sulla customer experience, ricercando sempre nuovi metodi e strumenti per
stimolare la crescita dell’engagement dei consumatori. In questo caso, i canali non lavorano
separatamente, ma collaborano tra loro per offrire maggiori potenzialità. L’esempio ideale è il
“Click&Collect”: il cliente ordina i prodotti online e li ritira direttamente nel punto vendita. In questo
caso, online e offline collaborano direttamente per indirizzare l’acquisto. Spesso accade anche che
il cliente valuta un acquisto sul sito di un’azienda, ed è poi stimolato da forme di advertising offsite
a tornare indietro e ad acquistare direttamente sul sito, sfruttando anche le potenzialità della
consegna a domicilio.32
30
GORGOGLIONE E., Strategia digitale: single, multi, cross o omni channel?, https://www.ve.com/it/blog/strategia-
digitale-single-multi-cross-omni-channel.
31
GRASSO G., Il multi-channel marketing: la sfida è aperta, https://www.insidemarketing.it/il-multi-channel-marketing-la-
sfida-e-aperta/.
32
GORGOGLIONE E., Strategia digitale: single, multi, cross o omni channel?, https://www.ve.com/it/blog/strategia-
digitale-single-multi-cross-omni-channel.
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• Omni-channel: secondo questo nuovo approccio, la rete di distribuzione fisica e quella virtuale
possono convivere parallelamente, senza tuttavia essere interconnesse. In concreto, significa che
l’azienda deve sviluppare due business unit distinte per l’online e l’offline, con obiettivi, sistemi di
gestione e strategie diversificati.33
L’omnicanalità risponde all’esigenza del consumatore che vuole
comprare dove, quando e al prezzo che vuole e le aziende, tramite tutti i loro touch point, devono
essere il più allineate possibile. Quando si sceglie di mettere in pratica una strategia di marketing
omnicanale, l’obiettivo principale è quello di coinvolgere al meglio il cliente - effettivo o potenziale
- in tutti i canali e seguirlo nelle fasi del suo processo d’acquisto, offrendogli un’esperienza unica.
Da uno studio della Harvard Business Review è emerso che i clienti omni-channel sono più
preziosi: in media trascorrono il 4% in più in ogni occasione di shopping nel negozio e il 10% in più
online rispetto ai clienti “non omni-channel”. La ricerca ha poi evidenziato che “per ogni canale
aggiuntivo utilizzato, i consumatori hanno speso il 9% in più nel negozio, rispetto a quelli che hanno
utilizzato solo un canale. Inoltre i clienti che utilizzano più canali sono più fedeli”.34
«La centralità
assunta oggi dal consumatore, in un ambiente molto competitivo, ha spinto il marketing a essergli
sempre più vicino, per mantenere un rapporto di empatia in grado di generare risposte coerenti ai
suoi nuovi bisogni»35
. È con queste parole che il Professor Pellegrini sintetizza efficacemente la
funzione, ormai indispensabile, dell’omnicanalità.
3.2.2 Strategia omnicanale: l’esempio di Burberry
Burberry è un marchio della moda internazionale con base in Gran Bretagna e negozi in tutto il
mondo. Questa azienda vanta una delle case di produzione con storia più lunga alle spalle, quasi
due secoli di vita, e un successo che non accenna a diminuire.Burberry.com è uno dei migliori siti
web di moda che offre un’esperienza fantastica su tutti i device: accattivanti CTA (call to action),
immagini di altissima qualità, contenuti digitali come l’Art of Trench, Burberry Acoustic e molto altro
ancora.
Vi è la possibilità di personalizzare i prodotti, acquistare online e ritirare offline e la spedizione
e i resi sono gratuiti. Inoltre, durante la fase d’acquisto, i clienti hanno a disposizione la possibilità di
ricevere assistenza via chat o il “servizio richiamata”. Il marchio, sfruttando la strategia omni-canale,
ha voluto offrire un’esperienza simile anche nelle sue boutique. Il più grande e tecnologicamente
avanzato store al mondo è quello di Londra. Il flagship offre una shopping experience omni-channel
a tutto tondo. L’innovazione più rivoluzionaria è la formula digital reverse: dal negozio al web site e
viceversa. Nello specifico, esso è caratterizzato da una ricca galleria digitale, 500 altoparlanti, la tag
RFID cucita all’interno dell’abbigliamento e degli accessori, specchi “magici” che possono
trasformarsi istantaneamente in schermi che trasmettono le sfilate e la tecnologia satellitare che
consente la diretta di eventi all’interno del negozio. L’esperienza più “wow” è la digital rain shower:
tutti gli schermi si trasformano in una pioggia battente e incessante con tanto di rumori ed effetti
visivi per richiamare alla memoria il trench, capo iconico di Burberry. Insomma, una strategia omni-
canale ben studiata e attenta alle esigenze dei consumatori, che attrae e invoglia clienti a partecipare
in toto all’esperienza Burberry.
33
Blog E-commerce DHL, https://blogecommerce.dhl.it/strategie-di-marketing-online-omnicanale-la-nuova-frontiera-
dellecommerce.
34
SOPADJIEVAUTPAL E. & DHOLAKIABETH B., “A Study of 46,000 Shoppers Shows That Omnichannel Retailing
Works”, https://hbr.org/2017/01/a-study-of-46000-shoppers-shows-that-omnichannel-retailing-works.
35
PELLEGRINI L., Docente di Marketing presso la IULM – Kotler P. Marketing Forum (PKMF) 2017.
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13
3.2.3 Limiti e sfide della strategia omnicanale
Oggi, i retailer sono chiamati a ridefinire profondamente i propri modelli organizzativi e di processo
se vogliono fronteggiare efficacemente la trasformazione digitale in atto; non mancano però le sfide
e le criticità da dover considerare e tenere sotto controllo costantemente. Innanzitutto, nella maggior
parte dei casi, si applica una strategia che risulta frammentata in silos. Tipicamente, ogni azienda
costruisce la propria architettura di touch point affiancando quelli fisici, come retail e call center, a
quelli online e più interattivi (mobile app, social media, web advertising, sito e-commerce, email,
chatbot e così via). Questi touch point sono però gestiti a compartimenti, delegati talvolta ad agenzie
esterne per mancanza di tempo e risorse. In questa logica, l’esperienza dell’utente è segmentata e
non così fluida da un canale all’altro. Oggi, come abbiamo visto precedentemente, l’esperienza di
acquisto può cominciare online e terminare in uno store fisico o viceversa. Diviene dunque
fondamentale che l’intero processo sia il più possibile privo di frizioni per il cliente, che desidera
ritrovare in ognuno dei touchpoint una brand experience univoca e coerente.
“Non è raro, infatti, che i clienti segnalino incongruenze tra quanto hanno letto online e
quanto riscontrano in negozio. E la soglia di sopportazione per questo tipo di contraddizioni è sempre
più sottile” afferma Pierluigi Bernasconi, CEO in Mondadori Retail. 36
Risulta essenziale dunque,
attraverso una comprensione profonda delle abitudini dei consumatori, della loro dieta mediatica e
del ruolo che attribuiscono a ciascun touch point, predisporre un piano che offra risposte pertinenti,
nel momento opportuno e attraverso canali adeguati.37
Un altro rischio riguarda i prezzi, in quanto il consumatore, è libero di navigare nei diversi e-
commerce per scegliere il prodotto desiderato al minor prezzo. In più, spesso, “online sono
disponibili prodotti scontati ancora prima dell’inizio della stagione dei saldi, quindi per il consumatore
è quasi sempre più conveniente. Proprio per questo motivo, alcuni marchi tipo Ikea o Nike hanno
deciso di non lavorare più con partner come Amazon.com perché non sicuri che questi possano
trattare il proprio marchio con gli standard dei propri canali.”38
36
BERNASCONI P., Intervista in “Retail 4.0, 10 regole per l’era digitale”, Kotler P.
37
KOTLER P., Retail 4.0. 10 regole per l’era digitale.
38
LEJEUNE E., Senior Vice President of Emerging Markets, per l’intervista completa vedere Allegato 1.
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4. Neuromarketing
Vista e considerata la trasformazione a cui il mondo del retail è andato incontro negli ultimi anni - ci
si riferisce in particolare al passaggio dal paradigma product-center a quello consumer-center, e
dunque all’importanza che ha assunto la customer experience - per i brand è diventato sempre più
vitale riuscire a cogliere le motivazioni che spingono i clienti a scegliere un prodotto o uno store
piuttosto che un altro. Partendo da questo aspetto, unito a quello secondo cui i processi decisionali
del consumatore violano i principi della razionalità (teoria del prospetto di Kahneman39
), negli ultimi
anni ha preso piede un particolare tipo di approccio utile al mondo del Sales & Retail: quello del
neuromarketing.
Con il termine neuromarketing si indica quella disciplina il cui obiettivo è integrare le
conoscenze e le applicazioni delle neuroscienze con quelle del marketing tradizionale, al fine di
favorire strategie di vendita più adattabili alle caratteristiche dei consumatori. Il termine venne
coniato nel 2002 da Ale Smitds, direttore del RSM’s (Rotterdam School of Management) Erasmus
Center fo Neuroeconomics, con lo scopo di indagare, attraverso strumenti diversi da quelli
tradizionalmente conosciuti (sondaggi, interviste, focus group, ecc.), le motivazioni che stanno dietro
alla scelta di un consumatore di acquistare un prodotto piuttosto che un altro.
Questo tipo di approccio nasce quindi dalla necessità di capire sempre più a fondo le scelte
dei consumatori, focalizzando l’attenzione sul sistema nervoso e la sua attività. Le premesse alla
base di un approccio così pensato sono due: la prima è che il comportamento del consumatore
possa essere riconducibile al funzionamento di un sistema nervoso centrale con determinate
caratteristiche; la seconda, che queste caratteristiche possano essere studiate ed interpretate al fine
di dare orientamenti strategici per i brand, per migliorarne il marketing e dunque aumentare le
vendite.40
Gli strumenti di cui si avvale la disciplina del neuromarketing sono quelli tipici delle
neuroscienze, come l’fMRI (ovvero la risonanza magnetica funzionale in grado in individuare quali
aree del cervello vengono attivate in risposta a determinati stimoli), l’eye-tracking (la tecnica che
consente di registrare la dilatazione e contrazione delle pupille in relazione agli stimoli), le rivelazioni
biometriche (utili a misurare il battito cardiaco), il facial coding (ovvero la capacità di misurare ed
interpretare la mimica facciale) e molte altre. Col passare del tempo ci si è resi conto che le ricerche
tradizionali di mercato fossero in certi casi approssimative e limitanti: il soggetto infatti non sempre
è in grado di esplicare e dar atto delle proprie scelte in maniera completa ed esaustiva poichè in
esso agiscono tutta una serie di impulsi emozionali di cui si fa fatica a render conto. “Almeno il 95
per cento di tutti i processi cognitivi avviene al di sotto della soglia di consapevolezza, nella zona
oscura della mente, mentre non più del 5 per cento di essi avviene nella coscienza superiore”.41
Un classico esempio lo si può ritrovare in quello che viene definito Pepsi Challenge Test. Nel
1975 i dirigenti della Pepsi Cola Company decisero di lanciare un esperimento chiamato Pepsi
Challenge: questo consisteva nell’offrire ai visitatori dei centri commerciali due bicchieri anonimi;
uno conteneva Pepsi, l’altro Coca Cola. Ad ognuno di loro veniva dunque chiesto quale tra i due
preferissero. I risultati a prima vista furono entusiasmanti per i dirigenti di Pepsi Cola: più della metà
degli intervistati aveva dichiarato di aver preferito il gusto della Pepsi a quello della Coca Cola.
39
KAHNEMAN D. e TVERSKY A., 1979. Prospect Theory: An Analysis of Decision under Risk, in Econometrica, Vol. 47,
No. 2 (Mar. 1979), pp 263-292. 10.2307/1914185.
40
PRAVETTONI G. e LUCCHIARI C., Psicologia del consumo e neuroscienze, in Lebenwelt. Estethics and philosophy of
experience, 4.1 (2014), p. 101, https://doi.org/10.13130/2240-9599/4192.
41
ZALTMAN G., 2003. Come pensano i consumatori, Etas, in: GALLUCCI F., Marketing emozionale e neuroscienze, 2°
ed. Egea, Milano 2014, pp. 33-34.
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Tuttavia, nel 1975, la quota di mercato della Coca Cola si aggirava intorno al 40%, quella di Pepsi
invece non superò il 20%.
Nel 2003 Read Montague decise di replicare l’esperimento, avvalendosi però in questo caso
delle moderne tecnologie neuroscientifiche con l’obiettivo di dare una spiegazione e un’analisi
scientifica dei dati comportamentali dei diversi soggetti. Per quanto riguardava l’assaggio cieco, le
preferenze erano divise equamente. Per quanto riguardava invece la fase di assaggio non cieco i
risultati furono differenti: risultò che il 75% dei soggetti preferivano Coca Cola a Pepsi. L’utilizzo
dell’fMRI durante le fasi di assaggio mostrò l’attivarsi di due diverse parti del sistema neurale: nella
fase del blind test si attivava esclusivamente la zona che aveva a che fare con la piacevolezza del
gusto; invece, nel test al naturale, la presenza della marca non solo era un fattore di preferenza, ma
attivava anche delle regioni cerebrali specifiche, quali quella della memoria e dell’emotività (vedi
Figura 2). Il valore del prodotto, e dunque la scelta finale del consumatore, non scaturiva
semplicemente dal prodotto in sé, quanto piuttosto dalla brand perception; il logo, il design, la storia
e tutto ciò che è collegato a un brand è in grado di insinuarsi nel sistema nervoso degli individui e di
rievocare sensazioni e sentimenti che inducono il consumatore a preferirlo rispetto ad altri.
4.1 Applicazioni del neuromarketing: A Supermarket Stress Map
Vista la crescente necessità da parte dei consumatori di vivere esperienze sempre più uniche e
particolari durante la fase di acquisto, le aziende hanno iniziato ad avvalersi degli studi di
neuromarketing per cercare di interpretare i sentimenti e le emozioni che questi vivono. Ad esempio,
negli ultimi anni sono state utilizzate tecniche di neuromarketing per la progettazione degli spazi fisici
nonchè per l’analisi del momento dell’acquisto all’interno del negozio. Per fare ciò, tra gli strumenti
più utili ci sono sicuramente quello dell’eye-tracking e dell’elettroencefalografia, i quali, se utilizzati
all’interno degli store, permettono di ottenere risultati attendibili relativamente all’esplorazione dello
scaffale, al tempo impiegato per la scelta di un prodotto e al tipo di informazioni che il consumatore
recepisce e analizza a proposito del packaging. Un altro strumento efficace è quello dell’analisi
elettrodermica dei consumatori: un’analisi utile alla creazione di una stress map dello store, ovvero
una mappa in grado di evidenziare quelle zone (stress hot spots) che inducono una maggiore
quantità di stress, tensione e fastidio nel consumatore.
Proprio di questo strumento si sono serviti El Mawass e Kanjo nel 201342
per effettuare una
ricerca all’interno dei supermarket. L’obiettivo era quello di identificare gli stress hot spots al fine di
42
EL-MAWASS N. & KANJO E., 2013. A Supermarket Stress Map. 10.1145/2494091.2496017.
Figura2: Altroconsumo 320, dicembre 2017
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migliorarne il design e la facilità di esplorazione. A questo scopo munirono i clienti di sensori in grado
di rilevare la loro attività elettrodermica. I sensori EDA (Electrodermal Activity) erano connessi a
un’applicazione per smartphone che, attraverso tecnologia NFC (Near Field Communication),
determinava la posizione all’interno dello store e la metteva in relazione con le misurazioni dei
sensori. Tramite i dati raccolti venne realizzata una heat map (vedi Figura 3), che mostrava lo stress
del consumatore distribuito su sette punti del supermercato e, in particolare, su tre di questi: la corsia
dei prodotti in scatola, la coda di attesa davanti alla cassa e la cassa nel momento in cui veniva
svuotato il carrello e pagato il conto. In questi punti dello store il cliente si sentiva “titubante, confuso,
distaccato o frustrato”43
. Tutta questa analisi permise ai manager di capire su quali punti fosse
importante focalizzarsi al fine di migliorare la customer experience all’interno dello store e dunque
incrementare le vendite del negozio.
Alla luce di queste considerazioni, le tecniche di neuromarketing possono essere considerate
degli strumenti estremamente utili al retail per almeno due motivi: in primo lugo aiutano a
comprendere meglio i processi cognitivi che stanno alla base delle nostre scelte di preferenza e di
acquisto; in secondo luogo sono in grado di misurare l’efficacia degli stimoli che il marketing genera
e vuole generare nel consumatore. Questa disciplina permette dunque di avere una visione più
chiara e definita su quello che è il consumatore e su come esso agisce: un aspetto assolutamente
fondamentale all’interno della dinamica di outbound sales in cui attualmente ci troviamo.
43
Ibidem.
Figura 3: Mappa di calore che mostra gli stress hot spots
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5. Digital Sales & Retail
Con la digital transformation il modus operandi del retailer ha subito un importante cambiamento: la
leva strategica per aumentare le vendite non è più il prezzo, bensì il consumatore stesso. Il retailer
deve dunque concentrarsi sulla catena del valore digitale e sulla customer journey in modo tale da
differenziarsi in termini di customer experience. Per raggiungere questo obiettivo, è necessario
servirsi degli strumenti che il digitale mette a disposizione. Il termine digital nel settore Sales &Retail
indica l’unione di due realtà apparentemente divergenti: lo store online e lo store offline. La principale
sfida che deve affrontare chi si occupa di quest’ area funzionale è salvaguardare e ottimizzare il
punto di vendita sia online che offline senza sacrificare l’uno o l’altro44
e, soprattutto, senza
sottovalutare l’importanza del negozio fisico che continua a totalizzare il 90% delle vendite45
.
5.1 Le tecnologie di frontiera
Il retail 4.0 è ormai un fenomeno planetario che sta coinvolgendo tutte le aziende, piccole o grandi
che siano. Questo upgrade rispetto alla fase 3.0 è stato reso possibile dalla diffusione delle
tecnologie di frontiera: Internet of Things, sistemi di Business Intelligence Analytics, realtà aumentata
e virtuale, Machine Learning e Intelligenza Artificiale.
Internet of Things
Questa tecnologia viene implementata sia per operazioni di back-end che di front-end. Nel back-end
viene utilizzata per la gestione dell’inventario tramite la tecnologia RFId che permette di verificare
immediatamente la disponibilità di un prodotto in magazzino. Inoltre, giustifica il funzionamento dei
beacon, quindi il monitoraggio del cliente nelle vicinanze e all’interno dello store. Nel front-end si fa
riferimento alla sperimentazione delle serrature intelligenti, ovvero la consegna al domicilio
dell’acquirente indipendentemente dalla sua presenza.
Sistemi di Business Intelligence Analytics46
Tali sistemi consentono di raccogliere dati inerenti al comportamento dell’utente, indipendentemente
dalla fonte utilizzata, traendone delle considerazioni utili per:
• anticipare la domanda dei clienti e offrire una customer experience ottimale;
• usare l’analisi market-based al fine di individuare quei prodotti che hanno più possibilità
di essere venduti in massa;
• ottimizzare i prezzi, questo poichè l’analisi dei dati viene effettuata in real time e con
tempistiche costanti;
• fidelizzare il cliente, attraverso il pronostico delle tendenze.
44
Tale prospettiva è stata confermata anche da Lejeune E., Senior Vice President of Emerging Markets: “La sfida principale
per i marchi di oggi è che gli affitti dei locali restano molto alti; inoltre, devono dare una ragione al consumatore per andare
a visitare e acquistare nel negozio fisico, piuttosto che preferire l’acquisto online. La sfida è reale quindi creare un tipo di
esperienza che non sia replicabile online e che spinga dunque il consumatore ad avere una forte voglia di andare a visitare
il negozio.”
45
Osservatorio Innovazione Digitale nel Retail, 2018.
46
A supporto di tale punto, Lejeune E., Senior Vice President of Emerging Markets, afferma che “La sfida delle aziende è
quindi quella di utilizzare al meglio queste informazioni.
Swarovski ha un dipartimento di Marketing Intelligence che si occupa di market survey e consumer research e, da soli
due anni, abbiamo inserito una squadra dedicata al Data Science composto da esperti nell’estrarre informazioni. Unita a
questa sezione, abbiamo un’altra parte di Artificial Intelligence che va nello stesso senso.”
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Realtà aumentata e virtuale
Tramite il supporto di smartphone, tablet e wearable device47
il cliente può interagire con l’ambiente
circostante che viene allestito con oggetti e personaggi 3D. Un’altra prospettiva della realtà
aumentata è quella di poter visionare un oggetto dal telefono e osservarlo proiettato in un contesto
concreto; un esempio è Ikea Place, un’applicazione che permette di vedere i mobili in uno spazio
tridimensionale.
Machine learning
È il “metodo con cui il computer può apprendere le logiche umane”48
e si fonda sull’utilizzo dei big
data. Il retail può trarre diversi benefici dal machine learning, tra cui:
• Dare consigli personalizzati durante la navigazione web, aumentando il tasso di
conversione de negozio online;
• Determinare prezzi flessibili in base allo stock e ai competitors;
• Rendere più efficienti gli ordini ottimizzando il ROI;
• Predisporre un assistente di vendita online (esempio: chatbox).
Intelligenza artificiale
Nel retail viene utilizzata in tre specifiche situazioni:
1. Home page: è necessario mettere in primo piano i prodotti più venduti e visti nell’ultimo
periodo;
2. Landing page di categoria: evidenzia i prodotti specifici per la categoria visualizzata;
3. Pagina dettaglio prodotto: consente di far ricevere ai visitatori dei consigli personalizzati in
base al tipo di prodotto selezionato, mostrando delle possibili alternative.
5.2 Le strategie del digital marketing
Prima di poter attuare qualsiasi strategia, il retailer deve conoscere il proprio cliente: la profilazione
e quindi segmentazione della clientela è essenziale ai fini della customer experience. L’intelligenza
artificiale49
e la Business Intelligence fungono da supporto in grado di analizzare il comportamento
della persona durante la navigazione web, che rappresenta il primo momento di incontro tra
consumatore e azienda. Per comprendere le motivazioni che spingono l’utente a muoversi da online
a offline, i retailer devono servirsi di uno strumento denominato In-store tracking che permette di
monitorare i comportamenti della persona durante le ricerche sul web per conoscere, ad esempio,
quali sono i siti più visitati, i prodotti più cliccati e l’accesso ai social.
47
Letteralmente sono dei dispositivi elettronici indossabili, l’esempio più noto sono gli smartwatch.
48
Machine Learnign al servizio del retail: esempi e applicazioni, Shopify, 29 agosto 2019. Estrapolato da
https://it.shopify.com/blog/machine-learning-retail
49
Si intende la capacità delle macchine di capire e ricordare le informazioni, imparare ed individuare i nuovi insights tramite
i dati raccolti. Fonte: “The coming AI revolution in retail and consumer product”, IBM Institute for Business Value.
Sales & Retail
Master in Marketing Management 2019-2020
19
Una volta completata questa fase del processo, il retailer ha a disposizione diverse strategie
di digital marketing in grado di trasportare il cliente dal sito web allo store fisico. Tra le più note
abbiamo:
• Search Engine Optimization (SEO);
• Content Marketing e loyalty marketing;
• Social Media Marketing.
Search Engine Optimization (SEO)
Questa strategia provvede alla valorizzazione e ottimizzazione di un sito all’interno dei principali
motori di ricerca, al fine di rendere più istantanea la sua visibilità durante la navigazione. L’obiettivo
è quello di creare un vantaggio competitivo in termini di indicizzazione e posizionamento:
l’indicizzazione indica soltanto il passaggio dal motore di ricerca al sito, mentre per posizionamento
si intende come viene qualificato il sito all’interno del SERP (Pagina dei risultati di Google).
Content Marketing e loyalty marketing
L’utilizzo di questa strategia non riguarda lo stimolo delle vendite, bensì l’instaurazione di un rapporto
duraturo col cliente al fine di fidelizzarlo. Questa scelta strategica è direttamente collegata al
fenomeno della customer experience: una persona con propensione all’acquisto non vuole
affrontare questa fase passivamente, ma cerca un’interazione con l’azienda per potersi sentire
protagonista nel percorso di acquisto. Per implementare questa strategia è fondamentale impostare
un efficace storytelling in grado di attrarre il consumatore, soddisfare il suo bisogno, conquistare la
sua fiducia e infine instaurare una relazione stabile e confidenziale attraverso, ad esempio, carte
fedeltà e sconti personalizzati.
Social Media Marketing50
Questa strategia è utile all’azienda per facilitare la visibilità e la conoscenza del prodotto offerto
attraverso advertising su piattaforme social, il cui utilizzo è sempre più comune tra le persone.
Di fatto, il social media marketing ha quattro finalità:
1. Creare awareness, ovvero migliorare la percezione del brand;
2. Favorire engagement, coinvolgendo emotivamente gli spettatori della pubblicità;
3. Creare traffico, motivando le persone a visitare il sito web;
4. Vendere, oltre al tradizionale e-commerce, rendendo possibile acquistare direttamente sui
social (ad esempio: marketplace su Facebook).
Oltre alle tradizionali strategie di digital e social marketing, però, il retail deve servirsi di alcuni
accorgimenti più specifici per il proprio settore, tipici del retail marketing.
Gli approcci più utilizzati all’interno del retail marketing sono:
● Sconti e offerte per periodi limitati, al fine di incentivare gli acquisti d’impulso;
● Gestione delle recensioni, inviando dei feedback tempestivi che aiutino a creare una
relazione di fiducia con il cliente;
● Vetrine accattivanti, per invogliare la persona ad entrare nel negozio.
50
Alcuni store, come Swarovski, integrano l’aspetto social nei propri store. Ciò viene confermato da Lejeune E., Senior
Vice President of Emerging Markets: “Sappiamo che oggi nel mondo del marketing, qualsiasi cosa deve essere
instagramable quindi, come elementi digitali, c’è uno Sparkle Bar: un bancone con sedute e luci studiate per il selfie
perfetto.”
Sales & Retail
Master in Marketing Management 2019-2020
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In riferimento all’ultimo punto, è utile citare i beacon: dei “piccoli dispositivi che utilizzano le
connessioni bluetooth e inviano notifiche ai clienti che si avvicinano ai negozi”. In questo modo i
potenziali clienti sono informati in tempo reale sulle offerte presenti negli store e sul website; le
offerte stesse sono profilate sulla base dei dati precedentemente raccolti, in modo da consentire sia
un maggior impatto sul cliente (che entra in empatia col brand), sia un’ottimizzazione del targeting,
includendo consumatori effettivamente interessati ai prodotti offerti e orientandoli verso l’acquisto.
5.3 Il digital negli store
Una prima casistica da analizzare per comprendere come le tecnologie di frontiera interagiscono
nella pratica, permettondo l’unione di online e offline store, la si può ricercare nello strumento
denominato BOSS (Buy-Online, Ship-to-Store). Il BOSS differisce dal più comune BOPIS (Buy-
Online, Pick-up In-Store), dove l’ordine arriva dalle scorte, poiché viene invece direttamente allestito
in magazzino. Questa strategia permette di:
● Ridurre i costi di spedizione;
● Avere una saturazione delle scorte in negozio;
● Ridurre i costi di picking e packing;
● Ridurre il rischio di stock out in negozio.
Oltre al profilo logistico, la tecnologia ha implementato un cambiamento anche in termini
emozionali, introducendo lo storytelling all’interno degli negozi. In senso lato, la storytelling è uno
strumento del Content Marketing ed è la narrazione delle informazioni attraverso una vera e propria
storia. Basti pensare, ad esempio, alle pubblicità automobilistiche in cui non vengono descritte le
caratteristiche tecniche dell’auto, bensì lo status symbol e le emozioni che il proprietario proverebbe
acquistandola.
Nel mondo del retail lo storytelling viene implementato soprattutto nell’e-commerce e si parla
quindi di digital storytelling, ovvero una narrazione su video51
ma anche blog e e-mail marketing. Da
alcuni anni a questa parte si stanno sperimentando frontiere dello storytelling più innovative, in
quanto l’utilizzo di semplici video e immagini risulta essere ormai saturo. Anche in questo caso
subentra la tecnologia, in particolare sarà la realtà aumentata e virtuale ad accompagnare il nuovo
modo di far vivere le storie all’interno dei negozi.
Un altro modo di interpretare lo storytelling è rappresentato dall’unione tra fattore umano e
fattore tecnologico, come è avvenuto nel caso Gucci: è stato inaugurato a New York il primo negozio
all’insegna del racconto chiamato “Gucci Wooster”, dove i clienti sono accolti da veri e propri
ambasciatori del brand che raccontano la storia del marchio al fine di creare uno stretto legame con
i visitatori. Il fine ultimo, nella fattispecie, non è proprio quello di vendere ma di instaurare un rapporto
di fiducia con il cliente.
A fronte di questi sviluppi ogni negozio deve detenere una certa dotazione di apparati digitali
che ormai sono un must have nel mondo del retail. In particolare, gli strumenti più rilevanti sono:
● Lettori pos mobile: nell’era 4.0 il tempo è il bene più prezioso, ogni negozio deve fare in modo
che quello dedicato al pagamento sia il più breve possibile; pertanto dotarsi di lettori pos è
essenziale per la customer loyalty;
51
Secondo il report Digital 2019 realizzato da We Are Social e Hootsuite, nello scenario digitale italiano il 92% della
popolazione guarda video online; tale statistica incentiva i retailer ad investire molto su questa fonte.
Sales & Retail
Master in Marketing Management 2019-2020
21
● Politiche di gamification in store: utili ad aumentare l’engagement, si tratta di un’espansione
del game nei negozi che prevedono il coinvolgimento dei clienti in attività come quiz,
sondaggi e test a fronte di un premio finale che può essere un buono, uno sconto o una prova
gratuita;
● Rfid: questa tecnica è supportata da Magic Mirror che permettono al cliente di visionare,
durante la prova in camerino, il catalogo del negozio. In questo modo si dà la possibilità di
perfezionare il proprio acquisto attraverso consigli su misura (ad esempio, la disponibilità di
colori e taglie) e un servizio di assistenza ottimale;
● Catalogo digitale: si tratta di schermi touchscreen presenti negli store che l’utente può
utilizzare per orientarsi al suo interno sulla base delle sue necessità di acquisto.
5.4 Il futuro del Sales & Retail
I trend futuri del Sales & Retail saranno guidati dalle tecnologie di frontiera che assumeranno sempre
più un ruolo da protagonisti in termini di shopping experience e soddisfazione del cliente. Nel settore
retail, prenderà piede la “Frictionless experience”, ovvero il passaggio tra online e offline store sarà
sempre meno percettibile; l’esperienza del consumatore non sarà interrotta in nessuna fase grazie
all’Intelligenza Artificiale che introdurrà i concetti di self-service, scan-and-go e do-it-yourself
shopping per rendere ogni azione, dal pagamento alla scelta del prodotto, completamente
automatizzata. Un esempio già attivo è il colosso Amazon Go: dopo aver scaricato l’app sul proprio
smartphone, l’utente si reca nel negozio fisico dove si registra passando il telefono davanti a dei
sensori.
A questo punto, ogni volta che il cliente prende un prodotto questo viene aggiunto al carrello
virtuale e eliminato qualora venga riposto. Infine, l’importo del pagamento viene automaticamente
addebitato sul proprio account Amazon nel momento in cui il cliente esce dal negozio. Anche il futuro
del sales avrà come motore di sviluppo l’IA, soprattutto in termini di lead scoring52
che consistono
nell’assegnazione di un punteggio a ogni dato generato, in base a una serie di parametri stabiliti, in
modo da valutare la predisposizione all’acquisto, riducendo il margine di errore umano e lavorando
su enormi quantità di dati. Inoltre si può già intravedere il delinearsi del fenomeno dello smarketing:
l’addetto commerciale dovrà essere in grado di bilanciare al contempo competenze sia commerciali
che di marketing. Grazie a questa nuova sinergia sarà possibile captare i lead più qualificati e
indirizzare le strategie di marketing verso coloro che mostrano un’effettiva propensione all’acquisto.
52
Fonte: Fontimedia Marketing Blog.
Sales & Retail
Master in Marketing Management 2019-2020
22
Conclusioni
Con il presente elaborato si è mostrato come il settore del Sales & Retail sia sempre in continua
evoluzione. Internet, la tecnologia e i social media hanno completamente stravolto il campo della
vendita di beni e servizi. Partendo dalle origini e arrivando ai giorni nostri, è stato possibile
evidenziare un chiaro cambio di direzione: da una situazione product-centric, ci si è spostati verso
una situazione consumer-centric. Tale mutamento è dovuto in particolare all’evoluzione compiuta
dal consumatore: “Oggi il consumatore decide cosa vuole acquistare, quando, dove e a che prezzo”,
come affermato dal Senior Vice President dei mercati emergenti di Swarovski, Eric Lejeune. Il
consumatore si presta a compiere una scelta non più basata solo e soltanto sulle caratteristiche del
prodotto, bensì sull’esperienza d’acquisto che il brand è stato capace di fargli vivere. In uno scenario
così delineato, la customer experience diventa uno dei fattori di traino e successo dei brand. Il prima,
il durante e il dopo della fase d’acquisto devono essere fortemente incentrate sulle sensazioni e
sull’esperienza del consumatore, al fine di poterla imprimere nella sua mente e renderla quindi unica
ed esclusiva. Pertanto, al fine di migliorare l’esperienza di acquisto del cliente, le aziende hanno
adottato diverse strategie: in primo luogo, è in corso una completa rivisitazione dello spazio fisico e
dello store (caso Zara); in secondo luogo, sono state adottate strategie volte a raggiungere il
consumatore attraverso tutti i touch point disponibili, in modo da poter essere presenti in più canali
e, quindi, poter facilitarne l’esperienza d’acquisto. In questo, la strategia multi-channel e la strategia
omni-channel fanno da perfetto collante tra un consumatore esperto e abile nel muoversi all’interno
di diversi canali – online e offline – e l’esigenza delle aziende di poter essere sempre presenti e
visibili per restare sempre al passo con la concorrenza.
Infine, l’incontro tra neuroscienze e marketing ha fornito ai retailers strumenti nuovi e
innovativi utili alla lettura e alla comprensione delle preferenze dei consumatori. Al contempo, anche
l’avvento delle cosiddette tecnologie di frontiera (IA, machine learning, realtà virtuale, ecc.), sta
fornendo sempre più tecniche ed espedienti per ottimizzare la customer experience. Per quanto
riguarda il futuro del retail, sicuramente i social media continueranno la loro ascesa e aumenteranno
la loro importanza, interagendo sempre di più con le persone nella maggior parte degli aspetti della
loro vita. La già introdotta possibilità di sfruttare tali piattaforme come canali di vendita e acquisto, si
affermerà sempre di più, trasformando i social da portali di relazione a portali di business a tutti gli
effetti. La possibilità di acquistare tramite social quali Facebook, Instagram e Pinterest, verrà
incrementata. Tramite gli stessi si potrà anche interagire con altri clienti, raccogliere feedback e
recensioni e interloquire con le aziende tramite tecnologie di SCRM (Social Custom Relationship
Management), sempre più avanzate ed efficaci. Sarà quindi possibile profilare il cliente a 360°,
personalizzando al massimo le inserzioni ed ottimizzando le strategie pubblicitarie.
Tuttavia, è anche importante sottolineare come queste nuove tecnologie non debbano
essere considerate solo come mere opportunità di guadagno, ma anche come possibili insidie. I
brand dovranno essere abili e attenti nel saper cogliere quali tra queste potranno effettivamente
risultare utili ai fini del miglioramento dell’esperienza d’acquisto. Non è scontato infatti che il cliente
accolga sempre in maniera positiva le nuove tecnologie: sarà fondamentale essere attenti a non
cadere nell’errore di, col tentativo di migliorare la customer experience, renderla invece aggressiva
e oppressiva. In altre povere, tutte le nuove possibilità offerte dalla rivoluzione digitale e dagli
approcci olistici possono essere considerate delle armi a doppio taglio. Le aziende dovranno avere
la lucidità e la giusta intuizione di utilizzare queste in maniera ragionata e cauta e evitare dunque
che possibili strumenti di profitto diventino invece controproducenti e svantaggiosi.
Sales & Retail
Master in Marketing Management 2019-2020
23
Bibliografia
• GALLUCCI F., 2014. Marketing emozionale e neuroscienze, 2° ed. Egea, Milano
• GODIN S., 1999. Permission Marketing, Simon & Schuster, New York.
• KOTLER P. e KELLER K.L., 2012. Marketing Management, 14a
ed., Pearson Education,
Londra.
• KOTLER P. e STIGLIANO G., 2018. Retail 4.0, 10 regole per l’Era digitale, Mondadori
Electa, Milano.
• MANNING H., BODINE K., 2012. Clienti al centro: Reinventare il business nell’era della
Customer Experience, Hoepli, Milano.
• ZALTMAN G., 2003. Come pensano i consumatori, Etas.
Sitografia
• http://www.futureconceptlab.com/pdf/press/FCL_15_13.pdf
• http://www.iotitaly.net/linternet-of-things-svolta-settore-retail/
• http://www.iotitaly.net/smart-retail-cosa-significa-mettere-liot-al-servizio-brand-consumatori/
• http://www.retail-intelligence.it/2017/03/30/il-retail-del-2030/
• https://blog.advmedialab.com/inbound-marketing-per-ecommerce
• https://blog.advmedialab.com/outbound-sales-inbound-sales
• https://blog.milkman.it/retail-4.0-le-10-regole-per-lera-digitale
• https://blog.osservatori.net/it_it/customer-journey-significato-mappa
• https://blogecommerce.dhl.it/strategie-di-marketing-online-omnicanale-la-nuova-frontiera-
dellecommerce
• https://digitalandco.it/blog/2018/05/25/retail-4-0-cosa-e-quali-sono-trend/
• https://hbr.org/2017/01/a-study-of-46000-shoppers-shows-that-omnichannel-retailing-works
• https://it.shopify.com/blog/machine-learning-retail
• https://marketingtechnology.it/catturare-clienti-inbound-marketing/
• https://money.cnn.com/2017/10/25/news/economy/store-closings-2017/index.html
• https://www.accenture.com/it-it/insight-trading-spaces-retail
• https://www.bigcommerce.com/blog/multi-channel-retailing
• https://www.confimprese.it/blog/marketing/inbound-marketing-perche-e-importante-per-il-
tuo-retail-business/
• https://www.digital4.biz/marketing/polimi-solo-il-42-dei-top-retailer-italiani-ha-una-strategia-
chiara-per-l-innovazione-digitale/
• https://www.insidemarketing.it/glossario/definizione/neuromarketing/
• https://www.insidemarketing.it/il-multi-channel-marketing-la-sfida-e-aperta/
• https://www.internet4things.it/
• https://www.logisticanews.it/buy-online-ship-to-store-trend-per-lomnichannel/
• https://www.mckinsey.com/~/media/mckinsey/dotcom/client_service/retail/articles/the_futur
e_of_retail_grocery_in_digital_world%20(3).ashx
• https://www.nur.it/on-the-road-levoluzione-del-customer-journey/
https://www.osservatori.net/it_it/osservatori/comunicato-stampa/multicanalita-italia-
consumatori-multicanale
Sales & Retail
Master in Marketing Management 2019-2020
24
• https://www.pambianconews.com/2018/05/08/lo-storytelling-adesso-lo-fanno-i-commessi-
in-negozio-235709/
• https://www.researchgate.net/publication/244534666_A_Supermarket_Stress_Map
• https://www.salesforce.com/it/blog/2019/10/intelligenza-artificiale-nel-retail.html
• https://www.sinesytrade.it/negozio-fisico-nell-era-digitale/
• https://www.studiosamo.it/seo/
• https://www.thismarketerslife.it/marketing/le-regole-del-web-marketing-sono-cambiate-che-
cosa-e-come-funziona-la-gamification/
• https://www.tiot.it/campi-di-applicazione-iot/limpatto-delliot-nel-retail/
• https://www.ubicomp.org/ubicomp2013/adjunct/adjunct/p1043.pdf
• https://www.ve.com/it/blog/strategia-digitale-single-multi-cross-omni-channel
• https://www.wecontent.com/digital-marketing-cosa-e-strategia-multicanale/
Articoli
• BAPTISTA A. R., 2017, Neuromarketing in azione. Tecniche e strumenti per conoscere e
coinvolgere il consumatore, da https://www.insidemarketing.it/white-paper/conoscere-e-
coinvolgere-consumatore-con-neuromarketing/
• DESAI P. POTIA e SALSBERG A., 2017. Retail 4.0: The Future of Retail Grocery in a
Digital World, report di McKinsey’s Asia Consumer and Retail Practice, da
https://www.sipotra.it/wp-content/uploads/2017/06/The-future-of-retail-grocery-in-a-digital-
world.pdf
• EL-MAWASS N. e KANJO N., 2013. A Supermarket Stress Map.
10.1145/2494091.2496017. da
https://www.researchgate.net/publication/244534666_A_Supermarket_Stress_Map
• KAHNEMAN D. e TVERSKY A., 1979. Prospect Theory: An Analysis of Decision under
Risk, in Econometrica, Vol. 47, No. 2, 10.2307/1914185 https://www.jstor.org/stable/1914185
• KPMG, 2019. Eccellenza nella Customer Experience, da
https://assets.kpmg/content/dam/kpmg/it/pdf/2019/10/KPMG-Eccellenza-nella-Customer-
Experience-2019.pdf
• MOORE S. , 2019. How to Measure Customer Experience. Smarter with Gartner da
https://www.gartner.com/smarterwithgartner/how-to-measure-customer-experience/
• PRAVETTONI G. e LUCCHIARI C., 2014. Psicologia del consumo e neuroscienze, in
Lebenwelt. Estethics and philosophy of experience, 4.1 (2014), da
https://doi.org/10.13130/2240-9599/4192
• WALKER, 2013. Customers 2020, The future of B-TO-B Customer Experience, da
https://www.walkerinfo.com/Portals/0/Documents/Knowledge%20Center/Featured%20Reports
/WALKER-Customers2020.pdf
Allegati
• LEJEUNE E., intervista al Senior Vice President of Emerging Markets di Swarovski, in
Allegato 1.

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  • 1. KIA TREND Project work “KiA – Knowledge in Action” Sales & Retail Master in Marketing Management 2019-2020 A cura di: Elena Carrozzo Alessia Catalano Marco De Vincenzi Anna La Parola Matteo Marconi
  • 2. Introduzione.................................................................................................................................................... 1 1. La storia del Sales & Retail ....................................................................................................................... 2 1.1 Le Fasi del Retail .......................................................................................................................................... 2 1.2 Outbound Sales ........................................................................................................................................... 3 1.3 Strategie dell’Inbound Sales........................................................................................................................ 3 2. Customer experience ................................................................................................................................ 5 2.1 Concept store: il ripensamento degli spazi fisici (pop-up) .......................................................................... 6 3. Il Customer Journey verso l’Omni-channel ........................................................................................... 8 3.1 Il Customer Journey..................................................................................................................................... 8 3.1.1 Il Customer Journey tradizionale.............................................................................................................. 8 3.1.2 Il nuovo modello di Customer Journey..................................................................................................... 9 3.1.3 Nuove esigenze: verso l’omnicanalità...................................................................................................... 9 3.2 Omnicanalità................................................................................................................................................ 9 3.2.1 Dal single-chanel all’omni-channel......................................................................................................... 11 3.2.2 Strategia omnicanale: l’esempio di Burberry......................................................................................... 13 3.2.3 Limiti e sfide della strategia omnicanale................................................................................................ 13 4. Neuromarketing....................................................................................................................................... 14 4.1 Applicazioni del neuromarketing: A Supermarket Stress Map.................................................................. 15 5. Digital Sales & Retail ............................................................................................................................... 17 5.1 Le tecnologie di frontiera .......................................................................................................................... 17 5.2 Le strategie del digital marketing.............................................................................................................. 18 5.3 Il digital negli store .................................................................................................................................... 20 5.4 Il futuro del Sales & Retail ......................................................................................................................... 21 Conclusioni .................................................................................................................................................... 22 Riferimenti bibliografici e sitografici ........................................................................................................ 23
  • 3. Sales & Retail Master in Marketing Management 2019-2020 1 Introduzione La rivoluzione digitale ha apportato molteplici cambiamenti in tutti i settori industriali, tra cui quello del Sales & Retail. Tale area funzionale, rispetto alle altre, è stata oggetto nel corso degli anni di una lenta crescita tanto da approdare soltanto ora, e timidamente, alla fase 4.0. Se in passato il concetto di Sales & Retail si fondava sulla vendita diretta presso il negozio artigianale, col tempo sono subentrati una serie di fattori che hanno semplificato tale procedimento. Dalla nascita degli ipermercati all’e-commerce, il processo di acquisto è diventato sempre più impersonale grazie ad una maggiore consapevolezza e indipendenza del consumatore, resa possibile dalla simmetria informativa. Infatti, il reperimento di informazioni, tramite internet e passaparola, ha conferito un maggior potere contrattuale alle persone che sanno compiere autonomamente la propria scelta d’acquisto. Quest’ultima fase, invece, è caratterizzata da uno scenario completamente diverso e che vede le aziende impegnate verso un unico scopo: trasformare radicalmente l’esperienza d’acquisto. Il consumatore odierno vuole essere coinvolto attivamente durante la propria scelta: ciò significa che i brand devono impegnarsi affinché il cliente si senta in empatia con l’azienda stessa. Con tale strategia si fa riferimento principalmente a due sottobiettivi legati tra loro: la creazione di una vera e propria esperienza di acquisto e la convergenza tra store online e offline. Alla base di questa ricerca vi è pertanto l’analisi del settore Sales & Retail. Tale studio tende a enfatizzare il ruolo delle tecnologie digitali, principali protagoniste della rivoluzione nel mondo delle vendite. Gli strumenti digital fungono da garanti della fase 4.0, rendendo innanzitutto possibile la strategia omnichannel che consente l’approvvigionamento del prodotto attraverso diverse piattaforme collegate tra loro. In particolare, si pone l’accento sul fenomeno della customer experience, che assume ormai rilevanza in termini di vantaggio competitivo per i brand: l’implementazione di strategie a supporto della customer experience è fondamentale per le aziende che vogliono raggiungere e mantenere un efficace posizionamento sul mercato. Inoltre, questa fase è caratterizzata dall’incontro tra neuroscienze e marketing, dando così luogo al neuromarketing: l’applicazione della scienza in rapporto ai comportamenti del consumatore. Questa nuova esigenza del consumatore ha spinto le aziende a introdurre notevoli modifiche fisiche- concettuali all’interno degli store che diventano punti di incontro e di condivisione dei valori. La fase 4.0 è dunque caratterizzata da innumerevoli contraddizioni e novità rispetto alle fasi precedenti; proprio per questa ragione il campo di miglioramento e innovazione è ancora piuttosto ampio, tanto che si possono già scorgere alcuni dei trend futuri. Frictionless experience e Smarketing sono le parole chiave che contrassegneranno gli sviluppi futuri di questo settore, che sarà sempre più interconnesso in tutte le sue fasi e dimensioni. L’obiettivo di questo studio è far emergere i principali cambiamenti del mondo Sales & Retail rispetto al passato, andando ad analizzare quali sono gli strumenti che hanno reso possibile l’avanzamento del settore verso l’era digital. Infine, attraverso questo report si intende sradicare l’idea comune che store online e offline siano in competizione: essi interagiscono e collaborano tra loro in un’ottica di compensazione affinché l’esperienza di acquisto sia interconnessa.
  • 4. Sales & Retail Master in Marketing Management 2019-2020 2 1. La storia del Sales & Retail Ci troviamo oggi di fronte a un evento di portata enorme per il mondo del Sales & Retail: la rivoluzione digitale. Per comprendere pienamente la radicalità di questa trasformazione è necessario chiarire le dinamiche e lo sviluppo di questa realtà sin dalle sue origini. È per questo che inizieremo a tratteggiare una breve storia dell’ambito, per passare poi all’analisi di un paradigma – quello della dialettica fra inbound e outbound strategy – al fine di mettere in luce i possibili futuri sviluppi cui ci troviamo di fronte. L’ipotesi è che vada centralizzato, nella strategia di vendita, un rapporto privilegiato col cliente: se in origine è infatti il prodotto a essere reso protagonista di una narrativa complessa, oggi è fondamentale il concetto di autenticità di brand e, con esso, tutto ciò che deriva da un rapporto di trasparenza fra venditore e cliente. Come anticipato, però, è necessario partire dall’origine di questo percorso. 1.1 Le fasi del Retail La prima tappa storica risale al 1916, a Memphis, Tennessee. Un ex venditore, Clarence Sunders, ha l’intuizione di proporre a Piggly Wiggly, una catena di supermercati statunitense, uno store con i prodotti e gli scaffali a vista: è l’origine del self-service, la dinamica di vendita che trasforma radicalmente l’esperienza di acquisto del cliente. Fa notare il McKinsey1 che a questa dinamica corrisponde la nascita del moderno supermarket, ed è destinata a caratterizzare anche i primi, neonati, Department Stores: il primo è il londinese Harrod’s, nel 1849, seguito dal parigino Bon Marché nel 1852 e da Macy’s, a New York nel 1857. Il self-service influenza il modo in cui l’acquirente si approccia alle merci esposte potendole toccare, provare in camerino, nonché conoscerne il prezzo già indicato sull’etichetta; in breve, si gettano le basi per il consumo moderno attraverso una sottointesa proattività richiesta al compratore. Si tende a definire questa fase quella del Retail 1.0. La seconda fase, o Retail 2.0, è invece inaugurata dal concetto di “everything under one roof”2 : dal supermarket si passa alla creazione dell’ipermarket moderno. L’idea è ancora una volta di un brand americano, Walmart, che apre il primo “Super Center” in Arkansas nel 1962, seguito a ruota nel 1963 da Carrefour a Parigi. Il modello prospererà al tal punto da diventare il centro nevralgico della cultura dell’epoca, offrendo non più semplicemente occasione di far spesa ma una vera e propria esperienza a tutto tondo: dal bowling al cinema, intere generazioni crescono in spazi in cui è possibile trascorrere intere giornate. La terza rivoluzione è caratterizzata dall’avvento di Internet e segna l’inizio della fase del Retail 3.0. Il commercio elettronico è volto a soddisfare un cliente sempre più esigente: vengono introdotte le recensioni da parte dei clienti e si lavora per ridurre i costi di consegna. È un modello vincente: nel 1994 Jeff Bezos fonda Amazon che, seguendo questi semplici accorgimenti, diventa il colosso che tutti conosciamo, mostrando al mondo il potenziale straordinario dell’e-commerce. 1 DESAI P POTIA A., SALSBERG A, Retail 4.0: The Future of Retail Grocery in a Digital World, report by McKinsey’s Asia Consumer and Retail Practice. 2 Fonte: https://www.digital4.biz/marketing/big-data-e-analytics/retail-40-il-futuro-della-distribuzione-scommette-sul- digitale/
  • 5. Sales & Retail Master in Marketing Management 2019-2020 3 Infine rimane l’ipotetica fase del Retail 4.0, su cui in realtà gli esperti si dividono. C’è chi come McKinsey ritiene che i tempi non siano ancora maturi per poter parlare con chiarezza delle sue caratteristiche; c’è chi invece, come Kotler e Stigliano3 , individua le fattezze in una costante accelerazione dei processi digitali, che vanno dalle dinamiche omnicanale a un’esperienza d’acquisto sempre più smart. 1.2 Outbound Sales Come anticipato, lo sviluppo della storia del Sales & Retail può essere interpretato non semplicemente in una prospettiva storica, ma anche come la dialettica fra due dinamiche radicalmente differenti, quasi antitetiche: l’inbound e l’outbound sales. Parlare oggi di outbound sales significa fare riferimento a uno stile di vendita tradizionale. L’applicare a un pubblico intero e monolitico la stessa identica tecnica di vendita (le chiamate a freddo, le televendite, le direct mail, i cartelloni pubblicitari, ecc.) viene percepito oggi come un modo di attaccare il potenziale acquirente più che attrarlo. Di fatto, il mondo delle vendite (e, con esso, le tecnologie e i canali utilizzati) è cambiato in maniera tale che le vecchie strategie non solo non funzionano più, ma vengono persino percepite quasi come ingannevoli; ad esempio molte associazioni attiviste puntano a rendere illegali le telefonate a freddo come avviene in svariati paesi occidentali. L’up-selling oggi risulta eccessivamente invasivo, specialmente in un mondo in cui il consumatore può essere raggiunto comodamente a casa sua attraverso Internet: il rischio ultimo è quello di minacciare il rapporto col cliente, ottenendo il risultato opposto a quello sperato. In quest’ottica va dunque interpretato il lento passaggio dalla pubblicità allo storytelling, da un racconto parziale e strategico a una precisa attenzione a ogni dettaglio delle vendite. Oggi non solo il prodotto, ma anche l’origine, la produzione, la filiera sono sotto il microscopio di clienti informati e attenti. È in questo campo che si gioca la sfida odierna per i venditori. 1.3 Strategie dell’Inbound Sales Arriviamo così alle moderne tecniche di inbound, strategicamente sviluppate su una rapida e costante rivoluzione digitale. In tal senso, social media, recensioni, vendita peer-to-peer (senza intermediari) hanno radicalmente cambiato l’approccio dei consumatori ai prodotti: chi acquista oggi è certamente più attento e informato e, al contempo, richiede semplicità e trasparenza da parte del venditore. La necessità di una comunicazione trasparente ha aperto molteplici possibilità per i brand, richiedendo tuttavia una maggiore dinamicità nell’avvicinarsi al cliente. Pertanto, per sostituirsi al più tradizionale outbound, il moderno inbound, richiede un’attenzione rinnovata e costante al compratore. Se le vecchie strategie erano pervasive, quasi aggressive e standardizzate, oggi è sempre più fondamentale lasciarsi trovare dal cliente – e non contattarlo -, creare una audience più recettiva ai propri messaggi di vendita e dunque canalizzare quell’attenzione per convertirla in futuro acquisto. Questo è il ragionamento sotteso alla segmentazione, che divide il pubblico per interesse, conoscenza del brand (o awareness) e vicinanza ai valori che il brand stesso intende veicolare. Da ciò dipendono comunicazioni fatte su misura che operano più sulla qualità che sulla quantità dei contatti: l’obiettivo finale è sempre vendere, ma attraverso l’intercettazione e l’anticipazione di una domanda latente che ancora non è stata formulata. Questo cambio di prospettiva conduce a un passaggio di testimone dalla pubblicità all’autenticità. 3 KOTLER P. STIGLIANO G., Retail 4.0, 10 regole per l’Era digitale, Mondadori Electa, Milano 2018.
  • 6. Sales & Retail Master in Marketing Management 2019-2020 4 Questo meccanismo quindi parte e si conclude nella fidelizzazione del cliente, cercando di attirare un traffico di maggior qualità senza, però, rendersi intrusivi. È Seth Godin4 a notare come strategie di questo tipo abbiano finito per offrire migliori risultati verso i consumatori moderni: questo è legato a doppio filo con la percezione di avere un privilegio (e non un diritto) a recapitare messaggi e informazioni a chi effettivamente li desidera. Nel dossier di Ernst&Young,5 il moderno customer viene così definito: more demanding (perché da maggior richiesta e disponibilità derivano aspettative in continua crescita); more diverse (perché andiamo verso una società sempre più inclusiva); more hedonistic (in cui l’acquisto è di interesse solo e soltanto del compratore stesso); more sophisticated (perché le classi emergenti chiedono di essere riconosciute sempre di più e sempre meglio). Da ciò possiamo dedurre che la comunicazione col cliente è più che mai necessaria, al fine di ottenere una relazione trasparente e proficua per entrambe le parti. Sempre lo stesso studio suggerisce una strategia in più punti, un insieme di core principles utili a ridefinire la propria presenza sul mercato. Benché il report faccia riferimento a un mercato preciso, le seguenti raccomandazioni possono essere riproposte su una scala più ampia: 1) proteggere il proprio business contro la disintermediazione; 2) ridefinire i propri rapporti col cliente, passando da un paradigma product-centric a uno consumer-centric6 ; 3) aumentare la propria produttività in modo da ottenere un vantaggio competitivo, riuscendo a superare gli scogli dell’odierno sistema su larga scala; 4) diversificare le fonti del proprio profitto; 5) collaborare con nuovi partners tramite la value chain. Senza entrare ulteriormente nel dettaglio di queste raccomandazioni, particolarmente significativo è il secondo punto il quale racchiude una delle maggiori sfide odierne. Un paradigma consumer-centric richiede un intenso approfondimento su chi è il cliente ideale, una segmentazione delle necessità del cliente, la costituzione di un’esperienza per il consumatore assolutamente priva di sbavature, nonché mantenere attivo il dialogo con i consumatori attraverso un sistema di feedback. Promuovere una cultura di questo tipo, in modo da mettere il consumatore al centro del processo decisionale dell’azienda stessa, può ritenersi la principale sfida per il retailer odierno, riflettendosi anche sul piano digitale: a questo ragionamento appartiene infatti la dinamica della lead generation, che canalizza i contatti ancora prima di identificarli come possibili futuri acquirenti. A tal fine, rimane aperta una lunga conversazione sulle possibilità della brand advocacy e dello storytelling aziendale che oggi, come in futuro, richiederanno un’attenzione sempre più mirata ai gusti del pubblico. 4 GODIN S., Permission Marketing, Simon & Schuster, New York 1999. 5 Report by Ernst & Young Global Consumer Insurance Survey, 2012, Voice of the customer. 6 Vd. Cap.2.
  • 7. Sales & Retail Master in Marketing Management 2019-2020 5 2. Customer experience “Customers know more and they expect more”.7 Nuove spinte tecnologiche e le loro innovative applicazioni hanno di fatto completamente stravolto il mercato e le sue dinamiche sociali ridefinendo le fasi del processo d’acquisto, ovvero il modo in cui le persone ricercano e acquistano prodotti e servizi. Il consumatore stesso è cambiato: è attento, esigente e per definizione non più molto fedele. La personale e accurata ricerca di informazioni su ciò che ha destato in lui interesse lo rende qualitativamente pretenzioso, selettivo e scaltro, nonché molto spesso autonomo: è alla ricerca di prodotti in grado di attrarlo, non solo dal punto di vista razionale, ma anche emotivo.8 I consumatori tendono per questo sempre più a considerare le loro 'Gold Experience' il nuovo standard di riferimento per giudicare l'interazione con qualsiasi altro brand. Ciò costringe le aziende ad adottare un modello strutturato di gestione della Customer Experience.9 La Customer Experience rappresenta l’espressione di tutto ciò che le persone hanno provato dal momento in cui hanno cercato di conoscere l’offerta, di acquistare il prodotto o il servizio, di utilizzarlo o di richiedere assistenza. In breve, riguarda le interazioni avvenute prima, durante e dopo l’acquisto, sia con clienti reali che potenziali.10 Precisamente, le aziende leader nella Customer Experience si distinguono perché pongono, a differenza del passato, le persone al centro della loro attenzione: 'People First' è il principio che riassume questa capacità. Tale principio ha un ruolo cruciale, poiché i dipendenti dell'azienda sono spesso il touchpoint principale tramite il quale creare un'esperienza memorabile.11 Più un retailer investe nella customer experience, nuovo terreno di battaglia con la concorrenza, più le persone che sono entrate positivamente in contatto con lui desidereranno mantenere e rafforzare il rapporto. Pertanto, per vincere la sfida della loyalty, i brand devono far vivere al consumatore esperienze significative, che vadano oltre la sola transazione economica. Seguendo questa strategia, le marche 7 WALKER, The future of B-TO-B Customer Experience, Customers 2020. https://www.walkerinfo.com/Portals/0/Documents/Knowledge%20Center/Featured%20Reports/WALKER- Customers2020.pdf 8 KOTLER P. & KELLER K.L. (2012) Marketing Management, 14th ed..The five stage model in consumer behaviour: Problem Recognition, Information Search, Evaluation of Alternatives, purchase decision and postpurchase behavior. 9 KPMG, Eccellenza-nella-Customer-Experience, 2019., sono indicati quelli che vengono definiti come i Six Pillars’ della Customer Experience Excellence: Personalizzazione, Integrità, Aspettative, Risoluzione, Tempo ed Impegno ed Empatia. Questi fattori rappresentano sei dimensioni fondamentali attraverso cui un cliente giudica l’interazione con un brand. Secondo la società di consulenza è proprio su questi elementi che le aziende devono focalizzarsi per migliorare la relazione con il cliente. Per una breve lettura circa l’importanza della Customer experience, si consiglia inoltre: Forbes, Customer experience is the new brand: https://www.forbes.com/sites/shephyken/2018/07/15/customer-experience-is-the-new- brand/#7a4b780a7f52 10 MANNING H., BODINE K., Clienti al centro: Reinventare il business nell’era della Customer Experience, Hoepli, Milano 2012. In questo volume gli autori rappresentano la customer experience come una piramide a tre livelli: alla base della piramide, la soddisfazione o meglio, quanto l’interazione risulta essere appagante rispetto alle pretese del cliente; poi la facilità, da eguagliare al grado di complessità o lo sforzo percepito dall’interazione; ed infine, l’ultimo livello, quello della piacevolezza, ossia la misura di comfort e gradimento dell’interazione. 11 KPMG, op. cit.. A questo proposito, Lejeune E., Senior Vice President of Emerging Markets, ci indica che: “A Milano, in via Dante, c’è un negozio Swarovski in cui è stato applicato per la prima volta nel mondo un nuovo concetto di retail, con un’integrazione omnicanale molto più forte che in passato. All’interno troverete una persona che vi accoglie e vi accompagnerà da un personal stylist: un esperto di moda che vi darà dei consigli, cosa che non troverete acquistando direttamente online.” Per intervista integrale, vedi Allegato 1.
  • 8. Sales & Retail Master in Marketing Management 2019-2020 6 saranno sempre meno definite da ciò che racconteranno e sempre più valorizzate, invece, dalle esperienze che le persone vivranno attraverso di loro e i loro prodotti.12 Se da un lato il traffico nei negozi fisici sta calando, il rapporto tra coloro che si recano fisicamente in store e concludono un acquisto è più elevato che in passato. Questo perché il negozio diventa il vertice di un più ampio processo relazionale con il brand, che porta le persone a compiere ricerche sui prodotti ancora prima di varcare la soglia del punto vendita. Possiamo dunque distinguere tra lo showrooming13 , un processo che inizia in un punto vendita fisico ma si conclude online e il webrooming14 , dove si identifica un percorso che nasce e si sviluppa online, per ultimarsi con un acquisto nel punto vendita fisico. Entrambi rappresentano due manifestazioni di quello che è stato chiamato phygital marketing, ovvero una dinamica in cui fisico e digitale si incontrano per favorire un’interazione senza soluzione di continuità tra brand e persone. È fondamentale capire che retailing oggi non significa semplicemente mettere prodotti nella borsa del consumatore, ed è quindi necessario costruire con lui un rapporto crossmediale capace di durare nel tempo, che porterà i propri frutti con le tempistiche e nelle modalità a lui più congeniali.15 Si è parlato a lungo – e forse impropriamente – di “apocalisse del retail”. Il 2017 ha segnato indubbiamente il pubblico, essendo l’anno col più alto numero di chiusure di negozi di sempre16 ; ma questo potrebbe essere indice non di una crisi in toto del settore, quanto piuttosto di un vecchio modo di fare retail. È dunque aperta la sfida per gli store fisici, messi di fronte alla sfida di ridefinirsi da un semplice luogo di consumo a uno spazio di esperienza, di relazione, di intrattenimento. 2.1 Concept store: il ripensamento degli spazi fisici (pop-up) Nonostante i canali online siano in continua crescita, il negozio fisico mantiene la sua importanza e allo stesso tempo si evolve acquisendo funzioni diverse.17 I luoghi commerciali, snodi fondamentali ove le nuove tendenze del mercato prendono forma, si trasformano per questo in spazi relazionali, 12 A questo proposito, In MOORE S., How to Measure Customer Experience. Smarter with Gartner, June 2018, l’autore ci sottolinea che per potenziare i processi di customer experience è necessario identificare indicatori affidabili per la sua misurazione. Soltanto con la misurazione è possibile scoprire ciò che soddisfa o meno il cliente, anticipare le sue richieste e migliorare i servizi. Il Net Promoter Score (NPS), il Customer Satisfaction Score (CSAT) e il Customer Effort Score (CES) forniscono tutti preziosi feedback e informazioni sulle performance aziendali (Moore, 2018). Gli indicatori in questione misurano il grado di soddisfazione del cliente considerano aspetti diversi dell’esperienza. 13 KOTLER P., Retail 4.0 - Le 10 regole per l'Era Digitale, p. 53 e ss. ci illustra che lo showrooming, per esempio, può riguardare coloro che, prediligendo un rapporto fisico con il prodotto o i consigli di un assistente alle vendite, decidono di esplorare uno store ma poi, attratti dalla possibilità di trovare un prezzo più vantaggioso in Rete, finiscono per cercare online e completare la transazione tramite e-commerce. Ai loro occhi, i negozi fisici diventano a tutti gli effetti dei semplici shoowroom. 14 KOTLER P., op. cit., p 53 e ss. Nel caso del webrooming, invece, il consumatore esplora e si informa circa i prodotti a lui congeniali sfruttando i canali web, per poi completare l’esperienza d’acquisto nel punto vendita fisico: una scelta che può essere dettata dalla mancanza di fiducia verso le transazioni online o magari dal bisogno di rassicurazione da parte di un esperto o dalla volontà di toccare con mano i prodotti. 15 KOTLER P., op. cit., p 55. 16 Fonte: https://money.cnn.com/2017/10/25/news/economy/store-closings-2017/index.html 17 Una ricerca globale condotta da Accenture Strategy dimostra che il 73% dei consumatori preferisce un’interazione umana in negozio per risolvere problemi, richiedere consigli e ricevere assistenza su prodotti e servizi. La necessità di personale di vendita altamente qualificato è confermata da un altro dato: 3 clienti su 5 dichiarano di essere disposti a pagare un prezzo maggiore per avere un dialogo faccia a faccia con una persona competente e disponibile. https://blog.milkman.it/retail-4.0-le-10-regole-per-lera-digitale https://www.accenture.com/it-it/insight-trading-spaces-retail
  • 9. Sales & Retail Master in Marketing Management 2019-2020 7 luoghi di svago, di socializzazione, di comunicazione.18 Il negozio – proponendosi l’erogazione di servizi quali informazione, intrattenimento, rassicurazione, fidelizzazione e coinvolgimento - è impiegato dalle imprese per relazionarsi direttamente con il consumatore, cercando di offrire esperienze memorabili.19 Creare esperienze d’acquisto memorabili, che rimangano impresse nella mente del consumatore e che influenzino il suo futuro comportamento, significa per i brand sviluppare un vantaggio competitivo sostenibile.20 In tal senso, la rivitalizzazione e il rilancio del concept store costituiscono la base per questo sviluppo emotivo nel consumatore, dove la capacità creativa di riscrivere il passato si dimostra il punto centrale per lo sviluppo di un progetto futuro. Il concept store diventa così una piattaforma di ispirazione per un percorso sulla memoria: interculturale, intersoggettivo, seduttivo, affascinante e mobile. In quest’ottica si può considerare l’esperienza dei temporary store e dei pop-up store, da trasformare in luoghi di esperienza transitoria ma memorabile, scritta nel tempo più che nello spazio. Di conseguenza, è necessario rendere lo storytelling un’esperienza concreta attraverso i grandi pilastri del retail (ambientazione, selezione dei prodotti, display ecc.), rappresentare il concept store tramite lo sviluppo nel tempo, oltre che nello spazio, del racconto dell’esperienza progettuale e/o aziendale e reinventare il temporary store, potenziando il fascino temporaneo di un’esperienza rilevante.21 A dimostrazione della perfetta sinergia tra soddisfazione e tecnologia, Zara offre un esempio interessante e tra i più innovativi di modalità d’acquisto integrate. Il colosso iberico del fast fashion ha infatti inaugurato a Londra un negozio pop-up in grado di realizzare in un unico spazio fisico tutti i desideri e le necessità del cliente più fedele ed esigente. Lo store consentiva di ritirare gli ordini effettuati online in giornata, gestire in loco resi e sostituzioni e pagare rapidamente attraverso il proprio smartphone. Gli shopper potevano servirsi di specchi “intelligenti”22 , in grado di mostrare le taglie disponibili del capo indossato e i possibili abbinamenti. Lo spazio ospitava inoltre un’ampia selezione di capi e accessori per uomo e donna che era possibile acquistare in store e pagare comodamente attraverso precise postazioni accessibili via Bluetooth. In quanto temporary store, il negozio ha interrotto la propria attività nel maggio 2018, lasciando però spazio a un nuovo flagship store. Il nuovo punto vendita occupa 4500 m² ed è dotato di una struttura unica nel suo genere: oltre alle sezioni donna, uomo e bambino, infatti, presenta un’area online, collegata a due magazzini robotizzati in grado di gestire contemporaneamente 2400 pacchi. Per di più, consente ai clienti dell’e-commerce di ritirare la merce sul posto e pagarla col proprio smartphone mediante le applicazioni di Zara, Inditex o in Wallet.23 18 BILOTTA E. & BONAIUTO M., Psicologia architettonica e luoghi commerciali: l’impatto dell’ambiente fisico sul cliente, Micro & Macro Marketing, Società editrice il Mulino, issue 3, 2007. https://ideas.repec.org/a/mul/jyf1hn/doi10.1431-25742y2007i3p365-384.html 19 OLIVERO N., RUSSO V., Psicologia dei consumi, 2013, p. 555. 20 KPMG, op. cit.. 21 RIGHI M., Il Futuro del Retail, Future Concept Lab, 2013. http://www.futureconceptlab.com/pdf/press/FCL_15_13.pdf 22 Tuttavia, Lejeune E., Senior Vice President of Emerging Markets, su questo tema, ci suggersice che: “Nel mondo della moda si parla di specchi digitali e changing room, attraverso i quali è possibile consultare il prodotto senza provarlo direttamente. Tuttavia, oggi nel mercato dell’abbigliamento non troverete quasi nessun marchio che adotta questa tecnologia. Sembrava fantastico ma alla fine il consumatore non è interessato a tutto. Il consumatore vuole che le cose vadano più veloci e siano più facili. L’importante è capire qual è il beneficio.” Per intervista integrale, vedi Allegato 1. 23 KOTLER P., op. cit., p 60 e ss. Per approfondire il tema si suggerisce: Bar S., Zara Unveils New Click-and-Collect Store, The Indipendent, 2018 https://www.independent.co.uk/life-style/fashion/zara-click-and-collect-store-westfield-stratford-london-temporary-pop-up- flagship-a8180956.html
  • 10. Sales & Retail Master in Marketing Management 2019-2020 8 3. Il Customer Journey verso l’Omni-channel Appurato che il marketing di oggi debba necessariamente puntare alla sfera emotiva del consumatore, è fondamentale che le aziende considerino in primis il percorso di acquisto in tutte le sue fasi. Questo percorso prende il nome di Customer Journey e inizia con la ricerca da parte del consumatore di un bene o servizio, per il soddisfacimento di un bisogno o desiderio. Le tappe, virtuali o fisiche, di questo viaggio vengono chiamate touch point e rappresentano tutti i punti di contatto in cui il consumatore interagisce con il brand. È in queste situazioni che si costruisce la relazione tra le parti e da cui parte un processo di conoscenza e scoperta reciproca tra azienda/prodotto e consumatore. 3.1 Il Customer Journey Oggi è molto importante per un’azienda conoscere bene le fasi del customer journey, perché ciò consente una pianificazione strategica e un’ottimizzazione degli investimenti orientati ai bisogni dei clienti. Si intuisce come il concetto di customer journey vada a integrarsi con quello di omnicanalità, dove l'obiettivo è proprio quello di intercettare e coinvolgere il consumatore in tutti i canali, touch point e fasi di acquisto.24 3.1.1 Il Customer Journey tradizionale Prima dell'esplosione di Internet e delle strategie di omnichannel retail, i modelli di marketing consideravano il customer journey come un processo lineare, diviso in cinque fasi: 1. Awareness: percezione del bisogno di un determinato prodotto o servizio; 2. Familiarity: familiarità con il determinato prodotto e capacità di riconoscerloin un ampio ventaglio di scelta; 3. Consideration: ricerca di informazioni propedeutiche all'acquisto e confronto delle caratteristiche con altri prodotti; 4. Purchase: acquisto vero e proprio; 5. Loyalty: fase del post vendita in cui sono essenziali le attività di marketing e assistenza per non perdere il rapporto con il cliente appena acquisito. Oggi questo modello non è più attendibile, perché non considera la molteplicità di strumenti a disposizione dell’utente e del consumatore odierno. Proprio per questo adesso si parla di customer journey in una logica più articolata, in cui la decisione d'acquisto è il risultato di un processo tutt'altro che lineare. 24 Redazione Osservatori Digital Innovation, 2018, https://blog.osservatori.net/it_it/customer-journey-significato-mappa.
  • 11. Sales & Retail Master in Marketing Management 2019-2020 9 3.1.2 Il nuovo modello di Customer Journey Maggiore successo riscuote ora il modello di Avinash Kaushik, basato infatti più sul lato dell’utente, e delle azioni che può o meno compiere, che sul lato del brand: • See: vedere il prodotto. Sarebbe la cima dell’imbuto, il più vasto pubblico possibile potenzialmente interessato al brand. Sono gli utenti che lo “vedono” perché potrebbero acquistarlo; • Think: pensare a come soddisfare un bisogno. Sono quegli utenti che hanno un bisogno e stanno pensando a come soddisfarlo; ma potrebbero anche essere quegli utenti che stanno solo pensando di averne uno; • Do: sono le persone realmente interessate all’acquisto, che si informano online su come soddisfare il proprio bisogno, trovando quel bene o servizio che più lo assicura; • Care: sono gli utenti che hanno già comprato il prodotto o usufruito del servizio, e che intendono farlo di nuovo o consigliarlo ad altri, soprattutto se il brand si dimostra affidabile e continua a prendersi cura di loro.25 3.1.3 Nuove esigenze: verso l’omnicanalità Si è quindi delineato in maniera sempre più chiara il profilo dell’utente omnicanale che ha come caratteristica distintiva quella di considerare il digitale come elemento fondamentale all’interno del processo d’acquisto: questa tipologia di consumatori costituisce circa il 67% della popolazione italiana, per un totale di circa 35.5 milioni (in aumento di circa 3.8 milioni rispetto al 2017).26 È fondamentale imparare a sfruttare una strategia multicanale in modo integrato e avvicinarsi il più possibile a quella omnicanale. Durante questo percorso, le imprese devono insistere sull'implementazione dei diversi touch point del customer journey, per garantire interazioni simultanee e coordinate. Nel business omnicanale, i vari canali di vendita sono costituiti da processi di fulfillment integrati e tutti i punti di contatto tra l'azienda e il buyer devono essere gestiti in modo coerente, per garantire un Buyer's Journey continuo, come un unico flusso. Questa nuova modalità comporta numerosi vantaggi per le aziende che non solo hanno la possibilità di creare relazioni più profonde con i propri clienti – grazie ad una targettizzazione demografica e comportamentale più precisa del consumatore – ma anche aumentare la qualità e la quantità delle vendite. 3.2 Omnicanalità Fino ai primi anni ’80, le imprese interagivano con il consumatore attraverso pochi mezzi e con una strategia one-to-one monocanale: la promozione e la comunicazione di un prodotto potevano avvenire tramite uno spot televisivo, un messaggio radiofonico o un cartellone pubblicitario e il canale di vendita era sostanzialmente il tradizionale negozio all’interno del quale avveniva l’acquisto e la semplice interazione tra venditore e cliente. Se prima le imprese utilizzavano uno o pochi canali di vendita, caratterizzati da grande autonomia e spesso in concorrenza tra loro, oggi i consumatori sono abili nel muoversi tra tanti canali e piattaforme diverse, personalizzando e scegliendo consapevolmente i percorsi di acquisto. 25 NUR Digital Marketing, 2019, https://www.nur.it/on-the-road-levoluzione-del-customer-journey/. 26 Osservatori.net Digital Innovation, 2018, https://www.osservatori.net/it_it/osservatori/comunicato-stampa/multicanalita- italia-consumatori-multicanale.
  • 12. Sales & Retail Master in Marketing Management 2019-2020 10 La realtà a cui siamo giunti oggi è frutto di uno stravolgimento dato da tre importanti avvenimenti: la fine del monopolio pubblico del servizio televisivo e radiofonico (anni ’80-’90), la nascita di innumerevoli stazioni radio e TV private e il successivo avvento di Internet, dei nuovi mezzi di comunicazione e, più recentemente, dei Social Media. Un rapporto di BigCommerce conferma che gli acquirenti di diverse fasce d'età acquistano da più canali di vendita. In particolare, i sondaggi sul consumo degli acquirenti americani mostrano che: ● Il 74% ha fatto acquisti presso i grandi rivenditori; ● Il 54% ha effettuato acquisti tramite e-commerce; ● Il 44% acquista nei negozi online; ● Il 36% acquista presso rivenditori online specifici per categoria.27 Questa panoramica sulle abitudini dei clienti permette di capire quanto oggi essere presenti su più canali sia fondamentale per raggiungere tutti gli utenti possibili. La multicanalità è per questo definita come l’utilizzo di diversi canali (negozi fisici, online, mobile) a supporto del processo di interazione azienda-consumatore (fasi di pre-vendita, acquisto e post-vendita). Più dettagliatamente, dal punto di vista del consumatore, ciò si traduce nell’utilizzo di una varietà di canali online e offline durante il suo percorso di acquisto. Da una prospettiva aziendale, con la definizione di multichannel marketing strategy si intende l’utilizzo di una pluralità di canali (innovativi e tradizionali) assortiti, coerenti e integrati per le attività di comunicazione, pre-vendita, commercializzazione e assistenza ai clienti post vendita. Multicanalità, quindi, non significa solo aggiungere più canali all’interazione tra impresa e consumatore, ma integrarli in un’esperienza più ampia. Il cliente non viene più coinvolto in una sola ottica persuasiva, ma utilizzando diversi punti di contatto.28 Infatti, come afferma Cristina Scocchia, CEO di KIKO MILANO, “non è più il rapporto tra le vendite effettuate attraverso il canale fisico e quelle concluse grazie al canale digitale a essere importante; risulta invece fondamentale la costruzione di un ecosistema attorno al consumatore, finalizzato a vendere di più, indipendentemente dal canale”.29 Per poter comprendere in profondità il concetto di omnicanalità è quindi utile ripercorrere i suoi processi costitutivi e la sua evoluzione partendo dal primo stadio, il single-channel (vedi figura 1). Figura 1 27 Big Commerce, https://www.bigcommerce.com/blog/multi-channel-retailing/. 28 BELLUCCI A., “La multicanalità tra engagement e marketing non convenzionale”, (God Save The Marketing), http://www.godsavethemarketing.it/un-fenomeno-moderno-la-multicanalita/. 29 SCOCCHIA C., Intervista in “Retail 4.0, 10 regole per l’era digitale”, Kotler P.
  • 13. Sales & Retail Master in Marketing Management 2019-2020 11 3.2.1 Dal single-chanel all’omni-channel • Single-channel (o monocanale): prevede l’utilizzo esclusivo di un canale per raggiungere la clientela. La scelta di operare in un canale fisico, pertanto, esclude quello virtuale, e viceversa. Oggi la strategia monocanale ha fortemente perso la sua efficacia: l’affermazione su larga scala di smartphone e di dispositivi tecnologici ha profondamente cambiato il percorso d’acquisto dei consumatori, determinando uno stravolgimento delle tradizionali logiche a compartimenti stagni. Infatti, sfruttando un solo canale, ne risultano limitate le opportunità di interazione con il pubblico di riferimento. La conseguenza principale è quindi la riduzione del potenziale di vendita. Questo limite diventa sempre più importante e non sottovalutabile in considerazione dell’ampliamento della gamma di canali online a disposizione dei clienti. Va altresì sottolineato che le attività commerciali che sfruttano un singolo canale non necessariamente utilizzano un solo mezzo. L’esempio più comune è quello di Amazon, che ha fatto del monocanale il suo mantra e che distribuisce prodotti online, servendosi però di diversi canali, dagli smartphone ai portatili, dalle mail ai social.30 • Multi-channel: l’elemento differenziante della strategia multi-channel rispetto a quella single- channel è l’introduzione di più canali, con un focus particolare sul consumatore. L’obiettivo è quello di rendere più piacevole, accessibile e completa l’esperienza di acquisto, mettendo al servizio dei consumatori una moltitudine di touch point, in modo che questi possano scegliere l’alternativa più adatta a soddisfare i loro bisogni. Una campagna di comunicazione, oggi, non deve limitarsi a creare un bisogno e le aziende devono imparare a guidare gli utenti attraverso il buying journey creando awareness, educando e conquistando la fiducia dell’audience. L’approccio vincente è di continuo testing, per monitorare costantemente le fasi del processo decisionale di un potenziale cliente, i contenuti più pertinenti, i mezzi attraverso i quali si riesce a costruire una relazione basata sull’integrazione dei mezzi, l’autorevolezza, l’affidabilità e la rilevanza dei contenuti.31 • Cross-channel: questa strategia presuppone un approccio multi-canale ma focalizzato maggiormente sulla customer experience, ricercando sempre nuovi metodi e strumenti per stimolare la crescita dell’engagement dei consumatori. In questo caso, i canali non lavorano separatamente, ma collaborano tra loro per offrire maggiori potenzialità. L’esempio ideale è il “Click&Collect”: il cliente ordina i prodotti online e li ritira direttamente nel punto vendita. In questo caso, online e offline collaborano direttamente per indirizzare l’acquisto. Spesso accade anche che il cliente valuta un acquisto sul sito di un’azienda, ed è poi stimolato da forme di advertising offsite a tornare indietro e ad acquistare direttamente sul sito, sfruttando anche le potenzialità della consegna a domicilio.32 30 GORGOGLIONE E., Strategia digitale: single, multi, cross o omni channel?, https://www.ve.com/it/blog/strategia- digitale-single-multi-cross-omni-channel. 31 GRASSO G., Il multi-channel marketing: la sfida è aperta, https://www.insidemarketing.it/il-multi-channel-marketing-la- sfida-e-aperta/. 32 GORGOGLIONE E., Strategia digitale: single, multi, cross o omni channel?, https://www.ve.com/it/blog/strategia- digitale-single-multi-cross-omni-channel.
  • 14. Sales & Retail Master in Marketing Management 2019-2020 12 • Omni-channel: secondo questo nuovo approccio, la rete di distribuzione fisica e quella virtuale possono convivere parallelamente, senza tuttavia essere interconnesse. In concreto, significa che l’azienda deve sviluppare due business unit distinte per l’online e l’offline, con obiettivi, sistemi di gestione e strategie diversificati.33 L’omnicanalità risponde all’esigenza del consumatore che vuole comprare dove, quando e al prezzo che vuole e le aziende, tramite tutti i loro touch point, devono essere il più allineate possibile. Quando si sceglie di mettere in pratica una strategia di marketing omnicanale, l’obiettivo principale è quello di coinvolgere al meglio il cliente - effettivo o potenziale - in tutti i canali e seguirlo nelle fasi del suo processo d’acquisto, offrendogli un’esperienza unica. Da uno studio della Harvard Business Review è emerso che i clienti omni-channel sono più preziosi: in media trascorrono il 4% in più in ogni occasione di shopping nel negozio e il 10% in più online rispetto ai clienti “non omni-channel”. La ricerca ha poi evidenziato che “per ogni canale aggiuntivo utilizzato, i consumatori hanno speso il 9% in più nel negozio, rispetto a quelli che hanno utilizzato solo un canale. Inoltre i clienti che utilizzano più canali sono più fedeli”.34 «La centralità assunta oggi dal consumatore, in un ambiente molto competitivo, ha spinto il marketing a essergli sempre più vicino, per mantenere un rapporto di empatia in grado di generare risposte coerenti ai suoi nuovi bisogni»35 . È con queste parole che il Professor Pellegrini sintetizza efficacemente la funzione, ormai indispensabile, dell’omnicanalità. 3.2.2 Strategia omnicanale: l’esempio di Burberry Burberry è un marchio della moda internazionale con base in Gran Bretagna e negozi in tutto il mondo. Questa azienda vanta una delle case di produzione con storia più lunga alle spalle, quasi due secoli di vita, e un successo che non accenna a diminuire.Burberry.com è uno dei migliori siti web di moda che offre un’esperienza fantastica su tutti i device: accattivanti CTA (call to action), immagini di altissima qualità, contenuti digitali come l’Art of Trench, Burberry Acoustic e molto altro ancora. Vi è la possibilità di personalizzare i prodotti, acquistare online e ritirare offline e la spedizione e i resi sono gratuiti. Inoltre, durante la fase d’acquisto, i clienti hanno a disposizione la possibilità di ricevere assistenza via chat o il “servizio richiamata”. Il marchio, sfruttando la strategia omni-canale, ha voluto offrire un’esperienza simile anche nelle sue boutique. Il più grande e tecnologicamente avanzato store al mondo è quello di Londra. Il flagship offre una shopping experience omni-channel a tutto tondo. L’innovazione più rivoluzionaria è la formula digital reverse: dal negozio al web site e viceversa. Nello specifico, esso è caratterizzato da una ricca galleria digitale, 500 altoparlanti, la tag RFID cucita all’interno dell’abbigliamento e degli accessori, specchi “magici” che possono trasformarsi istantaneamente in schermi che trasmettono le sfilate e la tecnologia satellitare che consente la diretta di eventi all’interno del negozio. L’esperienza più “wow” è la digital rain shower: tutti gli schermi si trasformano in una pioggia battente e incessante con tanto di rumori ed effetti visivi per richiamare alla memoria il trench, capo iconico di Burberry. Insomma, una strategia omni- canale ben studiata e attenta alle esigenze dei consumatori, che attrae e invoglia clienti a partecipare in toto all’esperienza Burberry. 33 Blog E-commerce DHL, https://blogecommerce.dhl.it/strategie-di-marketing-online-omnicanale-la-nuova-frontiera- dellecommerce. 34 SOPADJIEVAUTPAL E. & DHOLAKIABETH B., “A Study of 46,000 Shoppers Shows That Omnichannel Retailing Works”, https://hbr.org/2017/01/a-study-of-46000-shoppers-shows-that-omnichannel-retailing-works. 35 PELLEGRINI L., Docente di Marketing presso la IULM – Kotler P. Marketing Forum (PKMF) 2017.
  • 15. Sales & Retail Master in Marketing Management 2019-2020 13 3.2.3 Limiti e sfide della strategia omnicanale Oggi, i retailer sono chiamati a ridefinire profondamente i propri modelli organizzativi e di processo se vogliono fronteggiare efficacemente la trasformazione digitale in atto; non mancano però le sfide e le criticità da dover considerare e tenere sotto controllo costantemente. Innanzitutto, nella maggior parte dei casi, si applica una strategia che risulta frammentata in silos. Tipicamente, ogni azienda costruisce la propria architettura di touch point affiancando quelli fisici, come retail e call center, a quelli online e più interattivi (mobile app, social media, web advertising, sito e-commerce, email, chatbot e così via). Questi touch point sono però gestiti a compartimenti, delegati talvolta ad agenzie esterne per mancanza di tempo e risorse. In questa logica, l’esperienza dell’utente è segmentata e non così fluida da un canale all’altro. Oggi, come abbiamo visto precedentemente, l’esperienza di acquisto può cominciare online e terminare in uno store fisico o viceversa. Diviene dunque fondamentale che l’intero processo sia il più possibile privo di frizioni per il cliente, che desidera ritrovare in ognuno dei touchpoint una brand experience univoca e coerente. “Non è raro, infatti, che i clienti segnalino incongruenze tra quanto hanno letto online e quanto riscontrano in negozio. E la soglia di sopportazione per questo tipo di contraddizioni è sempre più sottile” afferma Pierluigi Bernasconi, CEO in Mondadori Retail. 36 Risulta essenziale dunque, attraverso una comprensione profonda delle abitudini dei consumatori, della loro dieta mediatica e del ruolo che attribuiscono a ciascun touch point, predisporre un piano che offra risposte pertinenti, nel momento opportuno e attraverso canali adeguati.37 Un altro rischio riguarda i prezzi, in quanto il consumatore, è libero di navigare nei diversi e- commerce per scegliere il prodotto desiderato al minor prezzo. In più, spesso, “online sono disponibili prodotti scontati ancora prima dell’inizio della stagione dei saldi, quindi per il consumatore è quasi sempre più conveniente. Proprio per questo motivo, alcuni marchi tipo Ikea o Nike hanno deciso di non lavorare più con partner come Amazon.com perché non sicuri che questi possano trattare il proprio marchio con gli standard dei propri canali.”38 36 BERNASCONI P., Intervista in “Retail 4.0, 10 regole per l’era digitale”, Kotler P. 37 KOTLER P., Retail 4.0. 10 regole per l’era digitale. 38 LEJEUNE E., Senior Vice President of Emerging Markets, per l’intervista completa vedere Allegato 1.
  • 16. Sales & Retail Master in Marketing Management 2019-2020 14 4. Neuromarketing Vista e considerata la trasformazione a cui il mondo del retail è andato incontro negli ultimi anni - ci si riferisce in particolare al passaggio dal paradigma product-center a quello consumer-center, e dunque all’importanza che ha assunto la customer experience - per i brand è diventato sempre più vitale riuscire a cogliere le motivazioni che spingono i clienti a scegliere un prodotto o uno store piuttosto che un altro. Partendo da questo aspetto, unito a quello secondo cui i processi decisionali del consumatore violano i principi della razionalità (teoria del prospetto di Kahneman39 ), negli ultimi anni ha preso piede un particolare tipo di approccio utile al mondo del Sales & Retail: quello del neuromarketing. Con il termine neuromarketing si indica quella disciplina il cui obiettivo è integrare le conoscenze e le applicazioni delle neuroscienze con quelle del marketing tradizionale, al fine di favorire strategie di vendita più adattabili alle caratteristiche dei consumatori. Il termine venne coniato nel 2002 da Ale Smitds, direttore del RSM’s (Rotterdam School of Management) Erasmus Center fo Neuroeconomics, con lo scopo di indagare, attraverso strumenti diversi da quelli tradizionalmente conosciuti (sondaggi, interviste, focus group, ecc.), le motivazioni che stanno dietro alla scelta di un consumatore di acquistare un prodotto piuttosto che un altro. Questo tipo di approccio nasce quindi dalla necessità di capire sempre più a fondo le scelte dei consumatori, focalizzando l’attenzione sul sistema nervoso e la sua attività. Le premesse alla base di un approccio così pensato sono due: la prima è che il comportamento del consumatore possa essere riconducibile al funzionamento di un sistema nervoso centrale con determinate caratteristiche; la seconda, che queste caratteristiche possano essere studiate ed interpretate al fine di dare orientamenti strategici per i brand, per migliorarne il marketing e dunque aumentare le vendite.40 Gli strumenti di cui si avvale la disciplina del neuromarketing sono quelli tipici delle neuroscienze, come l’fMRI (ovvero la risonanza magnetica funzionale in grado in individuare quali aree del cervello vengono attivate in risposta a determinati stimoli), l’eye-tracking (la tecnica che consente di registrare la dilatazione e contrazione delle pupille in relazione agli stimoli), le rivelazioni biometriche (utili a misurare il battito cardiaco), il facial coding (ovvero la capacità di misurare ed interpretare la mimica facciale) e molte altre. Col passare del tempo ci si è resi conto che le ricerche tradizionali di mercato fossero in certi casi approssimative e limitanti: il soggetto infatti non sempre è in grado di esplicare e dar atto delle proprie scelte in maniera completa ed esaustiva poichè in esso agiscono tutta una serie di impulsi emozionali di cui si fa fatica a render conto. “Almeno il 95 per cento di tutti i processi cognitivi avviene al di sotto della soglia di consapevolezza, nella zona oscura della mente, mentre non più del 5 per cento di essi avviene nella coscienza superiore”.41 Un classico esempio lo si può ritrovare in quello che viene definito Pepsi Challenge Test. Nel 1975 i dirigenti della Pepsi Cola Company decisero di lanciare un esperimento chiamato Pepsi Challenge: questo consisteva nell’offrire ai visitatori dei centri commerciali due bicchieri anonimi; uno conteneva Pepsi, l’altro Coca Cola. Ad ognuno di loro veniva dunque chiesto quale tra i due preferissero. I risultati a prima vista furono entusiasmanti per i dirigenti di Pepsi Cola: più della metà degli intervistati aveva dichiarato di aver preferito il gusto della Pepsi a quello della Coca Cola. 39 KAHNEMAN D. e TVERSKY A., 1979. Prospect Theory: An Analysis of Decision under Risk, in Econometrica, Vol. 47, No. 2 (Mar. 1979), pp 263-292. 10.2307/1914185. 40 PRAVETTONI G. e LUCCHIARI C., Psicologia del consumo e neuroscienze, in Lebenwelt. Estethics and philosophy of experience, 4.1 (2014), p. 101, https://doi.org/10.13130/2240-9599/4192. 41 ZALTMAN G., 2003. Come pensano i consumatori, Etas, in: GALLUCCI F., Marketing emozionale e neuroscienze, 2° ed. Egea, Milano 2014, pp. 33-34.
  • 17. Sales & Retail Master in Marketing Management 2019-2020 15 Tuttavia, nel 1975, la quota di mercato della Coca Cola si aggirava intorno al 40%, quella di Pepsi invece non superò il 20%. Nel 2003 Read Montague decise di replicare l’esperimento, avvalendosi però in questo caso delle moderne tecnologie neuroscientifiche con l’obiettivo di dare una spiegazione e un’analisi scientifica dei dati comportamentali dei diversi soggetti. Per quanto riguardava l’assaggio cieco, le preferenze erano divise equamente. Per quanto riguardava invece la fase di assaggio non cieco i risultati furono differenti: risultò che il 75% dei soggetti preferivano Coca Cola a Pepsi. L’utilizzo dell’fMRI durante le fasi di assaggio mostrò l’attivarsi di due diverse parti del sistema neurale: nella fase del blind test si attivava esclusivamente la zona che aveva a che fare con la piacevolezza del gusto; invece, nel test al naturale, la presenza della marca non solo era un fattore di preferenza, ma attivava anche delle regioni cerebrali specifiche, quali quella della memoria e dell’emotività (vedi Figura 2). Il valore del prodotto, e dunque la scelta finale del consumatore, non scaturiva semplicemente dal prodotto in sé, quanto piuttosto dalla brand perception; il logo, il design, la storia e tutto ciò che è collegato a un brand è in grado di insinuarsi nel sistema nervoso degli individui e di rievocare sensazioni e sentimenti che inducono il consumatore a preferirlo rispetto ad altri. 4.1 Applicazioni del neuromarketing: A Supermarket Stress Map Vista la crescente necessità da parte dei consumatori di vivere esperienze sempre più uniche e particolari durante la fase di acquisto, le aziende hanno iniziato ad avvalersi degli studi di neuromarketing per cercare di interpretare i sentimenti e le emozioni che questi vivono. Ad esempio, negli ultimi anni sono state utilizzate tecniche di neuromarketing per la progettazione degli spazi fisici nonchè per l’analisi del momento dell’acquisto all’interno del negozio. Per fare ciò, tra gli strumenti più utili ci sono sicuramente quello dell’eye-tracking e dell’elettroencefalografia, i quali, se utilizzati all’interno degli store, permettono di ottenere risultati attendibili relativamente all’esplorazione dello scaffale, al tempo impiegato per la scelta di un prodotto e al tipo di informazioni che il consumatore recepisce e analizza a proposito del packaging. Un altro strumento efficace è quello dell’analisi elettrodermica dei consumatori: un’analisi utile alla creazione di una stress map dello store, ovvero una mappa in grado di evidenziare quelle zone (stress hot spots) che inducono una maggiore quantità di stress, tensione e fastidio nel consumatore. Proprio di questo strumento si sono serviti El Mawass e Kanjo nel 201342 per effettuare una ricerca all’interno dei supermarket. L’obiettivo era quello di identificare gli stress hot spots al fine di 42 EL-MAWASS N. & KANJO E., 2013. A Supermarket Stress Map. 10.1145/2494091.2496017. Figura2: Altroconsumo 320, dicembre 2017
  • 18. Sales & Retail Master in Marketing Management 2019-2020 16 migliorarne il design e la facilità di esplorazione. A questo scopo munirono i clienti di sensori in grado di rilevare la loro attività elettrodermica. I sensori EDA (Electrodermal Activity) erano connessi a un’applicazione per smartphone che, attraverso tecnologia NFC (Near Field Communication), determinava la posizione all’interno dello store e la metteva in relazione con le misurazioni dei sensori. Tramite i dati raccolti venne realizzata una heat map (vedi Figura 3), che mostrava lo stress del consumatore distribuito su sette punti del supermercato e, in particolare, su tre di questi: la corsia dei prodotti in scatola, la coda di attesa davanti alla cassa e la cassa nel momento in cui veniva svuotato il carrello e pagato il conto. In questi punti dello store il cliente si sentiva “titubante, confuso, distaccato o frustrato”43 . Tutta questa analisi permise ai manager di capire su quali punti fosse importante focalizzarsi al fine di migliorare la customer experience all’interno dello store e dunque incrementare le vendite del negozio. Alla luce di queste considerazioni, le tecniche di neuromarketing possono essere considerate degli strumenti estremamente utili al retail per almeno due motivi: in primo lugo aiutano a comprendere meglio i processi cognitivi che stanno alla base delle nostre scelte di preferenza e di acquisto; in secondo luogo sono in grado di misurare l’efficacia degli stimoli che il marketing genera e vuole generare nel consumatore. Questa disciplina permette dunque di avere una visione più chiara e definita su quello che è il consumatore e su come esso agisce: un aspetto assolutamente fondamentale all’interno della dinamica di outbound sales in cui attualmente ci troviamo. 43 Ibidem. Figura 3: Mappa di calore che mostra gli stress hot spots
  • 19. Sales & Retail Master in Marketing Management 2019-2020 17 5. Digital Sales & Retail Con la digital transformation il modus operandi del retailer ha subito un importante cambiamento: la leva strategica per aumentare le vendite non è più il prezzo, bensì il consumatore stesso. Il retailer deve dunque concentrarsi sulla catena del valore digitale e sulla customer journey in modo tale da differenziarsi in termini di customer experience. Per raggiungere questo obiettivo, è necessario servirsi degli strumenti che il digitale mette a disposizione. Il termine digital nel settore Sales &Retail indica l’unione di due realtà apparentemente divergenti: lo store online e lo store offline. La principale sfida che deve affrontare chi si occupa di quest’ area funzionale è salvaguardare e ottimizzare il punto di vendita sia online che offline senza sacrificare l’uno o l’altro44 e, soprattutto, senza sottovalutare l’importanza del negozio fisico che continua a totalizzare il 90% delle vendite45 . 5.1 Le tecnologie di frontiera Il retail 4.0 è ormai un fenomeno planetario che sta coinvolgendo tutte le aziende, piccole o grandi che siano. Questo upgrade rispetto alla fase 3.0 è stato reso possibile dalla diffusione delle tecnologie di frontiera: Internet of Things, sistemi di Business Intelligence Analytics, realtà aumentata e virtuale, Machine Learning e Intelligenza Artificiale. Internet of Things Questa tecnologia viene implementata sia per operazioni di back-end che di front-end. Nel back-end viene utilizzata per la gestione dell’inventario tramite la tecnologia RFId che permette di verificare immediatamente la disponibilità di un prodotto in magazzino. Inoltre, giustifica il funzionamento dei beacon, quindi il monitoraggio del cliente nelle vicinanze e all’interno dello store. Nel front-end si fa riferimento alla sperimentazione delle serrature intelligenti, ovvero la consegna al domicilio dell’acquirente indipendentemente dalla sua presenza. Sistemi di Business Intelligence Analytics46 Tali sistemi consentono di raccogliere dati inerenti al comportamento dell’utente, indipendentemente dalla fonte utilizzata, traendone delle considerazioni utili per: • anticipare la domanda dei clienti e offrire una customer experience ottimale; • usare l’analisi market-based al fine di individuare quei prodotti che hanno più possibilità di essere venduti in massa; • ottimizzare i prezzi, questo poichè l’analisi dei dati viene effettuata in real time e con tempistiche costanti; • fidelizzare il cliente, attraverso il pronostico delle tendenze. 44 Tale prospettiva è stata confermata anche da Lejeune E., Senior Vice President of Emerging Markets: “La sfida principale per i marchi di oggi è che gli affitti dei locali restano molto alti; inoltre, devono dare una ragione al consumatore per andare a visitare e acquistare nel negozio fisico, piuttosto che preferire l’acquisto online. La sfida è reale quindi creare un tipo di esperienza che non sia replicabile online e che spinga dunque il consumatore ad avere una forte voglia di andare a visitare il negozio.” 45 Osservatorio Innovazione Digitale nel Retail, 2018. 46 A supporto di tale punto, Lejeune E., Senior Vice President of Emerging Markets, afferma che “La sfida delle aziende è quindi quella di utilizzare al meglio queste informazioni. Swarovski ha un dipartimento di Marketing Intelligence che si occupa di market survey e consumer research e, da soli due anni, abbiamo inserito una squadra dedicata al Data Science composto da esperti nell’estrarre informazioni. Unita a questa sezione, abbiamo un’altra parte di Artificial Intelligence che va nello stesso senso.”
  • 20. Sales & Retail Master in Marketing Management 2019-2020 18 Realtà aumentata e virtuale Tramite il supporto di smartphone, tablet e wearable device47 il cliente può interagire con l’ambiente circostante che viene allestito con oggetti e personaggi 3D. Un’altra prospettiva della realtà aumentata è quella di poter visionare un oggetto dal telefono e osservarlo proiettato in un contesto concreto; un esempio è Ikea Place, un’applicazione che permette di vedere i mobili in uno spazio tridimensionale. Machine learning È il “metodo con cui il computer può apprendere le logiche umane”48 e si fonda sull’utilizzo dei big data. Il retail può trarre diversi benefici dal machine learning, tra cui: • Dare consigli personalizzati durante la navigazione web, aumentando il tasso di conversione de negozio online; • Determinare prezzi flessibili in base allo stock e ai competitors; • Rendere più efficienti gli ordini ottimizzando il ROI; • Predisporre un assistente di vendita online (esempio: chatbox). Intelligenza artificiale Nel retail viene utilizzata in tre specifiche situazioni: 1. Home page: è necessario mettere in primo piano i prodotti più venduti e visti nell’ultimo periodo; 2. Landing page di categoria: evidenzia i prodotti specifici per la categoria visualizzata; 3. Pagina dettaglio prodotto: consente di far ricevere ai visitatori dei consigli personalizzati in base al tipo di prodotto selezionato, mostrando delle possibili alternative. 5.2 Le strategie del digital marketing Prima di poter attuare qualsiasi strategia, il retailer deve conoscere il proprio cliente: la profilazione e quindi segmentazione della clientela è essenziale ai fini della customer experience. L’intelligenza artificiale49 e la Business Intelligence fungono da supporto in grado di analizzare il comportamento della persona durante la navigazione web, che rappresenta il primo momento di incontro tra consumatore e azienda. Per comprendere le motivazioni che spingono l’utente a muoversi da online a offline, i retailer devono servirsi di uno strumento denominato In-store tracking che permette di monitorare i comportamenti della persona durante le ricerche sul web per conoscere, ad esempio, quali sono i siti più visitati, i prodotti più cliccati e l’accesso ai social. 47 Letteralmente sono dei dispositivi elettronici indossabili, l’esempio più noto sono gli smartwatch. 48 Machine Learnign al servizio del retail: esempi e applicazioni, Shopify, 29 agosto 2019. Estrapolato da https://it.shopify.com/blog/machine-learning-retail 49 Si intende la capacità delle macchine di capire e ricordare le informazioni, imparare ed individuare i nuovi insights tramite i dati raccolti. Fonte: “The coming AI revolution in retail and consumer product”, IBM Institute for Business Value.
  • 21. Sales & Retail Master in Marketing Management 2019-2020 19 Una volta completata questa fase del processo, il retailer ha a disposizione diverse strategie di digital marketing in grado di trasportare il cliente dal sito web allo store fisico. Tra le più note abbiamo: • Search Engine Optimization (SEO); • Content Marketing e loyalty marketing; • Social Media Marketing. Search Engine Optimization (SEO) Questa strategia provvede alla valorizzazione e ottimizzazione di un sito all’interno dei principali motori di ricerca, al fine di rendere più istantanea la sua visibilità durante la navigazione. L’obiettivo è quello di creare un vantaggio competitivo in termini di indicizzazione e posizionamento: l’indicizzazione indica soltanto il passaggio dal motore di ricerca al sito, mentre per posizionamento si intende come viene qualificato il sito all’interno del SERP (Pagina dei risultati di Google). Content Marketing e loyalty marketing L’utilizzo di questa strategia non riguarda lo stimolo delle vendite, bensì l’instaurazione di un rapporto duraturo col cliente al fine di fidelizzarlo. Questa scelta strategica è direttamente collegata al fenomeno della customer experience: una persona con propensione all’acquisto non vuole affrontare questa fase passivamente, ma cerca un’interazione con l’azienda per potersi sentire protagonista nel percorso di acquisto. Per implementare questa strategia è fondamentale impostare un efficace storytelling in grado di attrarre il consumatore, soddisfare il suo bisogno, conquistare la sua fiducia e infine instaurare una relazione stabile e confidenziale attraverso, ad esempio, carte fedeltà e sconti personalizzati. Social Media Marketing50 Questa strategia è utile all’azienda per facilitare la visibilità e la conoscenza del prodotto offerto attraverso advertising su piattaforme social, il cui utilizzo è sempre più comune tra le persone. Di fatto, il social media marketing ha quattro finalità: 1. Creare awareness, ovvero migliorare la percezione del brand; 2. Favorire engagement, coinvolgendo emotivamente gli spettatori della pubblicità; 3. Creare traffico, motivando le persone a visitare il sito web; 4. Vendere, oltre al tradizionale e-commerce, rendendo possibile acquistare direttamente sui social (ad esempio: marketplace su Facebook). Oltre alle tradizionali strategie di digital e social marketing, però, il retail deve servirsi di alcuni accorgimenti più specifici per il proprio settore, tipici del retail marketing. Gli approcci più utilizzati all’interno del retail marketing sono: ● Sconti e offerte per periodi limitati, al fine di incentivare gli acquisti d’impulso; ● Gestione delle recensioni, inviando dei feedback tempestivi che aiutino a creare una relazione di fiducia con il cliente; ● Vetrine accattivanti, per invogliare la persona ad entrare nel negozio. 50 Alcuni store, come Swarovski, integrano l’aspetto social nei propri store. Ciò viene confermato da Lejeune E., Senior Vice President of Emerging Markets: “Sappiamo che oggi nel mondo del marketing, qualsiasi cosa deve essere instagramable quindi, come elementi digitali, c’è uno Sparkle Bar: un bancone con sedute e luci studiate per il selfie perfetto.”
  • 22. Sales & Retail Master in Marketing Management 2019-2020 20 In riferimento all’ultimo punto, è utile citare i beacon: dei “piccoli dispositivi che utilizzano le connessioni bluetooth e inviano notifiche ai clienti che si avvicinano ai negozi”. In questo modo i potenziali clienti sono informati in tempo reale sulle offerte presenti negli store e sul website; le offerte stesse sono profilate sulla base dei dati precedentemente raccolti, in modo da consentire sia un maggior impatto sul cliente (che entra in empatia col brand), sia un’ottimizzazione del targeting, includendo consumatori effettivamente interessati ai prodotti offerti e orientandoli verso l’acquisto. 5.3 Il digital negli store Una prima casistica da analizzare per comprendere come le tecnologie di frontiera interagiscono nella pratica, permettondo l’unione di online e offline store, la si può ricercare nello strumento denominato BOSS (Buy-Online, Ship-to-Store). Il BOSS differisce dal più comune BOPIS (Buy- Online, Pick-up In-Store), dove l’ordine arriva dalle scorte, poiché viene invece direttamente allestito in magazzino. Questa strategia permette di: ● Ridurre i costi di spedizione; ● Avere una saturazione delle scorte in negozio; ● Ridurre i costi di picking e packing; ● Ridurre il rischio di stock out in negozio. Oltre al profilo logistico, la tecnologia ha implementato un cambiamento anche in termini emozionali, introducendo lo storytelling all’interno degli negozi. In senso lato, la storytelling è uno strumento del Content Marketing ed è la narrazione delle informazioni attraverso una vera e propria storia. Basti pensare, ad esempio, alle pubblicità automobilistiche in cui non vengono descritte le caratteristiche tecniche dell’auto, bensì lo status symbol e le emozioni che il proprietario proverebbe acquistandola. Nel mondo del retail lo storytelling viene implementato soprattutto nell’e-commerce e si parla quindi di digital storytelling, ovvero una narrazione su video51 ma anche blog e e-mail marketing. Da alcuni anni a questa parte si stanno sperimentando frontiere dello storytelling più innovative, in quanto l’utilizzo di semplici video e immagini risulta essere ormai saturo. Anche in questo caso subentra la tecnologia, in particolare sarà la realtà aumentata e virtuale ad accompagnare il nuovo modo di far vivere le storie all’interno dei negozi. Un altro modo di interpretare lo storytelling è rappresentato dall’unione tra fattore umano e fattore tecnologico, come è avvenuto nel caso Gucci: è stato inaugurato a New York il primo negozio all’insegna del racconto chiamato “Gucci Wooster”, dove i clienti sono accolti da veri e propri ambasciatori del brand che raccontano la storia del marchio al fine di creare uno stretto legame con i visitatori. Il fine ultimo, nella fattispecie, non è proprio quello di vendere ma di instaurare un rapporto di fiducia con il cliente. A fronte di questi sviluppi ogni negozio deve detenere una certa dotazione di apparati digitali che ormai sono un must have nel mondo del retail. In particolare, gli strumenti più rilevanti sono: ● Lettori pos mobile: nell’era 4.0 il tempo è il bene più prezioso, ogni negozio deve fare in modo che quello dedicato al pagamento sia il più breve possibile; pertanto dotarsi di lettori pos è essenziale per la customer loyalty; 51 Secondo il report Digital 2019 realizzato da We Are Social e Hootsuite, nello scenario digitale italiano il 92% della popolazione guarda video online; tale statistica incentiva i retailer ad investire molto su questa fonte.
  • 23. Sales & Retail Master in Marketing Management 2019-2020 21 ● Politiche di gamification in store: utili ad aumentare l’engagement, si tratta di un’espansione del game nei negozi che prevedono il coinvolgimento dei clienti in attività come quiz, sondaggi e test a fronte di un premio finale che può essere un buono, uno sconto o una prova gratuita; ● Rfid: questa tecnica è supportata da Magic Mirror che permettono al cliente di visionare, durante la prova in camerino, il catalogo del negozio. In questo modo si dà la possibilità di perfezionare il proprio acquisto attraverso consigli su misura (ad esempio, la disponibilità di colori e taglie) e un servizio di assistenza ottimale; ● Catalogo digitale: si tratta di schermi touchscreen presenti negli store che l’utente può utilizzare per orientarsi al suo interno sulla base delle sue necessità di acquisto. 5.4 Il futuro del Sales & Retail I trend futuri del Sales & Retail saranno guidati dalle tecnologie di frontiera che assumeranno sempre più un ruolo da protagonisti in termini di shopping experience e soddisfazione del cliente. Nel settore retail, prenderà piede la “Frictionless experience”, ovvero il passaggio tra online e offline store sarà sempre meno percettibile; l’esperienza del consumatore non sarà interrotta in nessuna fase grazie all’Intelligenza Artificiale che introdurrà i concetti di self-service, scan-and-go e do-it-yourself shopping per rendere ogni azione, dal pagamento alla scelta del prodotto, completamente automatizzata. Un esempio già attivo è il colosso Amazon Go: dopo aver scaricato l’app sul proprio smartphone, l’utente si reca nel negozio fisico dove si registra passando il telefono davanti a dei sensori. A questo punto, ogni volta che il cliente prende un prodotto questo viene aggiunto al carrello virtuale e eliminato qualora venga riposto. Infine, l’importo del pagamento viene automaticamente addebitato sul proprio account Amazon nel momento in cui il cliente esce dal negozio. Anche il futuro del sales avrà come motore di sviluppo l’IA, soprattutto in termini di lead scoring52 che consistono nell’assegnazione di un punteggio a ogni dato generato, in base a una serie di parametri stabiliti, in modo da valutare la predisposizione all’acquisto, riducendo il margine di errore umano e lavorando su enormi quantità di dati. Inoltre si può già intravedere il delinearsi del fenomeno dello smarketing: l’addetto commerciale dovrà essere in grado di bilanciare al contempo competenze sia commerciali che di marketing. Grazie a questa nuova sinergia sarà possibile captare i lead più qualificati e indirizzare le strategie di marketing verso coloro che mostrano un’effettiva propensione all’acquisto. 52 Fonte: Fontimedia Marketing Blog.
  • 24. Sales & Retail Master in Marketing Management 2019-2020 22 Conclusioni Con il presente elaborato si è mostrato come il settore del Sales & Retail sia sempre in continua evoluzione. Internet, la tecnologia e i social media hanno completamente stravolto il campo della vendita di beni e servizi. Partendo dalle origini e arrivando ai giorni nostri, è stato possibile evidenziare un chiaro cambio di direzione: da una situazione product-centric, ci si è spostati verso una situazione consumer-centric. Tale mutamento è dovuto in particolare all’evoluzione compiuta dal consumatore: “Oggi il consumatore decide cosa vuole acquistare, quando, dove e a che prezzo”, come affermato dal Senior Vice President dei mercati emergenti di Swarovski, Eric Lejeune. Il consumatore si presta a compiere una scelta non più basata solo e soltanto sulle caratteristiche del prodotto, bensì sull’esperienza d’acquisto che il brand è stato capace di fargli vivere. In uno scenario così delineato, la customer experience diventa uno dei fattori di traino e successo dei brand. Il prima, il durante e il dopo della fase d’acquisto devono essere fortemente incentrate sulle sensazioni e sull’esperienza del consumatore, al fine di poterla imprimere nella sua mente e renderla quindi unica ed esclusiva. Pertanto, al fine di migliorare l’esperienza di acquisto del cliente, le aziende hanno adottato diverse strategie: in primo luogo, è in corso una completa rivisitazione dello spazio fisico e dello store (caso Zara); in secondo luogo, sono state adottate strategie volte a raggiungere il consumatore attraverso tutti i touch point disponibili, in modo da poter essere presenti in più canali e, quindi, poter facilitarne l’esperienza d’acquisto. In questo, la strategia multi-channel e la strategia omni-channel fanno da perfetto collante tra un consumatore esperto e abile nel muoversi all’interno di diversi canali – online e offline – e l’esigenza delle aziende di poter essere sempre presenti e visibili per restare sempre al passo con la concorrenza. Infine, l’incontro tra neuroscienze e marketing ha fornito ai retailers strumenti nuovi e innovativi utili alla lettura e alla comprensione delle preferenze dei consumatori. Al contempo, anche l’avvento delle cosiddette tecnologie di frontiera (IA, machine learning, realtà virtuale, ecc.), sta fornendo sempre più tecniche ed espedienti per ottimizzare la customer experience. Per quanto riguarda il futuro del retail, sicuramente i social media continueranno la loro ascesa e aumenteranno la loro importanza, interagendo sempre di più con le persone nella maggior parte degli aspetti della loro vita. La già introdotta possibilità di sfruttare tali piattaforme come canali di vendita e acquisto, si affermerà sempre di più, trasformando i social da portali di relazione a portali di business a tutti gli effetti. La possibilità di acquistare tramite social quali Facebook, Instagram e Pinterest, verrà incrementata. Tramite gli stessi si potrà anche interagire con altri clienti, raccogliere feedback e recensioni e interloquire con le aziende tramite tecnologie di SCRM (Social Custom Relationship Management), sempre più avanzate ed efficaci. Sarà quindi possibile profilare il cliente a 360°, personalizzando al massimo le inserzioni ed ottimizzando le strategie pubblicitarie. Tuttavia, è anche importante sottolineare come queste nuove tecnologie non debbano essere considerate solo come mere opportunità di guadagno, ma anche come possibili insidie. I brand dovranno essere abili e attenti nel saper cogliere quali tra queste potranno effettivamente risultare utili ai fini del miglioramento dell’esperienza d’acquisto. Non è scontato infatti che il cliente accolga sempre in maniera positiva le nuove tecnologie: sarà fondamentale essere attenti a non cadere nell’errore di, col tentativo di migliorare la customer experience, renderla invece aggressiva e oppressiva. In altre povere, tutte le nuove possibilità offerte dalla rivoluzione digitale e dagli approcci olistici possono essere considerate delle armi a doppio taglio. Le aziende dovranno avere la lucidità e la giusta intuizione di utilizzare queste in maniera ragionata e cauta e evitare dunque che possibili strumenti di profitto diventino invece controproducenti e svantaggiosi.
  • 25. Sales & Retail Master in Marketing Management 2019-2020 23 Bibliografia • GALLUCCI F., 2014. Marketing emozionale e neuroscienze, 2° ed. Egea, Milano • GODIN S., 1999. Permission Marketing, Simon & Schuster, New York. • KOTLER P. e KELLER K.L., 2012. Marketing Management, 14a ed., Pearson Education, Londra. • KOTLER P. e STIGLIANO G., 2018. Retail 4.0, 10 regole per l’Era digitale, Mondadori Electa, Milano. • MANNING H., BODINE K., 2012. Clienti al centro: Reinventare il business nell’era della Customer Experience, Hoepli, Milano. • ZALTMAN G., 2003. Come pensano i consumatori, Etas. Sitografia • http://www.futureconceptlab.com/pdf/press/FCL_15_13.pdf • http://www.iotitaly.net/linternet-of-things-svolta-settore-retail/ • http://www.iotitaly.net/smart-retail-cosa-significa-mettere-liot-al-servizio-brand-consumatori/ • http://www.retail-intelligence.it/2017/03/30/il-retail-del-2030/ • https://blog.advmedialab.com/inbound-marketing-per-ecommerce • https://blog.advmedialab.com/outbound-sales-inbound-sales • https://blog.milkman.it/retail-4.0-le-10-regole-per-lera-digitale • https://blog.osservatori.net/it_it/customer-journey-significato-mappa • https://blogecommerce.dhl.it/strategie-di-marketing-online-omnicanale-la-nuova-frontiera- dellecommerce • https://digitalandco.it/blog/2018/05/25/retail-4-0-cosa-e-quali-sono-trend/ • https://hbr.org/2017/01/a-study-of-46000-shoppers-shows-that-omnichannel-retailing-works • https://it.shopify.com/blog/machine-learning-retail • https://marketingtechnology.it/catturare-clienti-inbound-marketing/ • https://money.cnn.com/2017/10/25/news/economy/store-closings-2017/index.html • https://www.accenture.com/it-it/insight-trading-spaces-retail • https://www.bigcommerce.com/blog/multi-channel-retailing • https://www.confimprese.it/blog/marketing/inbound-marketing-perche-e-importante-per-il- tuo-retail-business/ • https://www.digital4.biz/marketing/polimi-solo-il-42-dei-top-retailer-italiani-ha-una-strategia- chiara-per-l-innovazione-digitale/ • https://www.insidemarketing.it/glossario/definizione/neuromarketing/ • https://www.insidemarketing.it/il-multi-channel-marketing-la-sfida-e-aperta/ • https://www.internet4things.it/ • https://www.logisticanews.it/buy-online-ship-to-store-trend-per-lomnichannel/ • https://www.mckinsey.com/~/media/mckinsey/dotcom/client_service/retail/articles/the_futur e_of_retail_grocery_in_digital_world%20(3).ashx • https://www.nur.it/on-the-road-levoluzione-del-customer-journey/ https://www.osservatori.net/it_it/osservatori/comunicato-stampa/multicanalita-italia- consumatori-multicanale
  • 26. Sales & Retail Master in Marketing Management 2019-2020 24 • https://www.pambianconews.com/2018/05/08/lo-storytelling-adesso-lo-fanno-i-commessi- in-negozio-235709/ • https://www.researchgate.net/publication/244534666_A_Supermarket_Stress_Map • https://www.salesforce.com/it/blog/2019/10/intelligenza-artificiale-nel-retail.html • https://www.sinesytrade.it/negozio-fisico-nell-era-digitale/ • https://www.studiosamo.it/seo/ • https://www.thismarketerslife.it/marketing/le-regole-del-web-marketing-sono-cambiate-che- cosa-e-come-funziona-la-gamification/ • https://www.tiot.it/campi-di-applicazione-iot/limpatto-delliot-nel-retail/ • https://www.ubicomp.org/ubicomp2013/adjunct/adjunct/p1043.pdf • https://www.ve.com/it/blog/strategia-digitale-single-multi-cross-omni-channel • https://www.wecontent.com/digital-marketing-cosa-e-strategia-multicanale/ Articoli • BAPTISTA A. R., 2017, Neuromarketing in azione. Tecniche e strumenti per conoscere e coinvolgere il consumatore, da https://www.insidemarketing.it/white-paper/conoscere-e- coinvolgere-consumatore-con-neuromarketing/ • DESAI P. POTIA e SALSBERG A., 2017. Retail 4.0: The Future of Retail Grocery in a Digital World, report di McKinsey’s Asia Consumer and Retail Practice, da https://www.sipotra.it/wp-content/uploads/2017/06/The-future-of-retail-grocery-in-a-digital- world.pdf • EL-MAWASS N. e KANJO N., 2013. A Supermarket Stress Map. 10.1145/2494091.2496017. da https://www.researchgate.net/publication/244534666_A_Supermarket_Stress_Map • KAHNEMAN D. e TVERSKY A., 1979. Prospect Theory: An Analysis of Decision under Risk, in Econometrica, Vol. 47, No. 2, 10.2307/1914185 https://www.jstor.org/stable/1914185 • KPMG, 2019. Eccellenza nella Customer Experience, da https://assets.kpmg/content/dam/kpmg/it/pdf/2019/10/KPMG-Eccellenza-nella-Customer- Experience-2019.pdf • MOORE S. , 2019. How to Measure Customer Experience. Smarter with Gartner da https://www.gartner.com/smarterwithgartner/how-to-measure-customer-experience/ • PRAVETTONI G. e LUCCHIARI C., 2014. Psicologia del consumo e neuroscienze, in Lebenwelt. Estethics and philosophy of experience, 4.1 (2014), da https://doi.org/10.13130/2240-9599/4192 • WALKER, 2013. Customers 2020, The future of B-TO-B Customer Experience, da https://www.walkerinfo.com/Portals/0/Documents/Knowledge%20Center/Featured%20Reports /WALKER-Customers2020.pdf Allegati • LEJEUNE E., intervista al Senior Vice President of Emerging Markets di Swarovski, in Allegato 1.