Relazione tenuta al convegno del 27 marzo 2012 a Vinitaly, Verona, organizzato da VI.V.O. e Vinitaly da Maurizio Gily, direttore della rivista Millevigne
2. LO SCENARIO
Nella seconda metà degli anni 2000 ci fu in molte regioni italiane il
crollo del prezzo delle uve, sia per vini da tavola che per vini a
denominazione di origine.
Squilibrio strutturale tra domanda e offerta e recessione globale,
che colpì anche i vini di fascia medio-alta.
In molti casi si restrinse anche la forbice qualitativa dei prezzi:
le uve di migliore qualità e provenienti dalle zone più vocate, con
costi di produzione maggiori, spesso furono quelle più penalizzate.
Il postulato che il “lusso non va mai in crisi” è andato in crisi!
Nel quadro delle numerose crisi cicliche del vino questa è stata la
più “globale” della storia.
In Italia e nel mondo tuttavia alcuni vini hanno seguito un percorso
anticiclico e la loro domanda è cresciuta (Prosecco)
3. La risposta politica europea (OCM)
Riduzione strutturale dell’offerta con gli estirpi a premio
Riduzione congiunturale dell’offerta con la vendemmia verde (e la
distillazione di crisi)
Azioni sulla domanda attraverso la promozione nei paesi extra-UE
Nel medio-lungo periodo spinta liberalizzatrice: abolizione della
distillazione di sostegno, abolizione dei contributi sul MCR, rimozione del
blocco degli impianti.
La filosofia dell’OCM: facciamo un ultimo sforzo per riequilibrare il
mercato, ma poi il settore deve imparare ad autogovernarsi.
L’opinione pubblica europea non accetta più di sostenere un settore che
oltre tutto è sotto accusa da parte dei salutisti radicali.
4. Qual è il patrimonio viticolo italiano?
Quanto ne abbiamo perso?
Dati incerti e contraddittori rendono difficile
tanto l’analisi che la programmazione
5. Superfici vitate per classe di qualità
(ettari)
Campagna Vino con Vino con Vino comune Totale
denominazione indicazione
d’origine geografica
2007/2008 316.469 153.311 230.296 700.076
2008/2009 307.372 168.726 210.309 686.407
2009/2010 272.433 193.203 186.227 651.863
Fonte: Agea
Nella campagna 2010/2011 ancora 9280 ettari di estirpazioni a premio, per
un totale di circa 30.000 ettari in tre anni. Considerando gli estirpi e gli
abbandoni non a premio verosimilmente in cinque anni abbiamo perso in
Italia circa 60.000 ettari.
6. Nelle tre campagne di estirpazione (2008/09-2009/10
e 2010/11) l’Italia ha:
- Estirpato con premio circa 29.800 ettari di
vigneti, equivalente al 4% delle superfici ad uva
da vino del 2007/08
- Perso un potenziale produttivo di 3,3 milioni di
ettolitri, equivalente al 7% della produzione
media nazionale
Elaborazione su dati Agea e Istat
7. • Nel Sud+Isole è localizzato il 75% delle superfici
estirpate nelle tre campagne di applicazione del regime
superfici ad uva da vino (ettari) produzione di vino (ettolitri)
superficie % su % su
% su calo % su calo
estirpata tra il superficie produzione
estirpazioni produttivo produttivo
2008/09 e il vitata del media nel
totali stimato totale
2010/11* 2007/2008 2003-2007
Nord ovest 157 1% 0% 12.542 0% 0%
Nord est 3.708 12% 2% 519.363 16% 3%
Centro 3.669 12% 3% 354.465 11% 5%
Sud 15.192 51% 8% 1.862.223 56% 14%
Isole 7.093 24% 5% 565.844 17% 8%
ITALIA 29.819 100% 4% 3.314.436 100% 7%
*Dati relativi alle domande pagate per le prime due campagne e alle domande
accolte per la terza campagna (Elaborazione Ismea su dati Agea e Istat)
8. calo produttivo
ettari estirpati
stimato (ettolitri)
Piem onte 124 7.996
Lom bardia 33 4.546
Veneto 462 60.814
Friuli V. Giulia 106 9.825
E. Romagna 3.139 448.723
Tos cana 170 11.429
Um bria 183 13.585
Marche 1.561 121.958
Lazio 1.754 207.493
Abruzzo 2.903 380.530
Molis e 789 90.454
Cam pania 17 1.266
Puglia 11.277 1.369.853
Bas ilicata 191 19.363
Calabria 15 756
Sicilia 6.966 557.065
Sardegna 127 8.779
ITALIA 29.819 3.314.436
*Dati relativi alle domande pagate per le prime due campagne e alle domande
accolte per la terza campagna (Elaborazione Ismea su dati Agea e Istat)
9. Le superfici a vigneto secondo i censimenti ISTAT (da elaborazione UIV)
10. Numero delle aziende viticole in Italia, dai censimenti ISTAT (fonte UIV)
LA RIDUZIONE DEL
NUMERO DELLE AZIENDE
E L’AUMENTO (NON
EQUIVALENTE) DELLA
SUPERFICIE PER
AZIENDA DOVREBBE
PORTARE A UN
MIGLIORAMENTO
DELL’EFFICIENZA
L’ALTRA FACCIA DELLA
MEDAGLIA E’ CHE LA
VITICOLTURA CONTA
MENO POLITICAMENTE
PERCHE’ ESPRIME MENO
VOTI!
11. Nel triennio orribile della viticoltura
italiana (2008, 2009 e 2010) il
prezzo medio del vino a scaffale
nella grande distribuzione,
malgrado il fiorire delle “offerte”,
non ha subito flessioni sostanziali,
comunque non paragonabili a
quelle delle uve e dei vini
all’ingrosso, che in alcuni casi
sono arrivati a dimezzarsi o quasi
rispetto al triennio precedente.
Dal sito “I Sebbene il costo della materia
numeri del
prima rappresenti una quota
vino” di
Marco minoritaria del prezzo “retail”,
Baccaglio. La rimane l’impressione che la
redditività distribuzione del valore lungo la
dell’industria filiera in questo intervallo
vinicola segue temporale sia stata iniqua,
un
andamento
penalizzando i produttori e
inverso a favorendo altri: la distribuzione in
quella della primis, trasformatori e
parte agricola. imbottigliatori in seconda battuta.
12. “Le vendite del vino nella Grande Distribuzione risentono ancora
della crisi, ma con segnali interessanti come la crescita dei vini nella
fascia superiore ai 5 euro che registra nel 2011 un +11,1% a volume
sull’anno precedente, confermando che gli italiani, anche al
supermercato, comprano meno vino, ma di maggiore qualità.
Se le vendite globali di vino confezionato fanno segnare un - 0,9%,
quelle delle bottiglie da 75cl, al contrario, sono in crescita in due
fasce di prezzo, quella bassa e quella alta: quella inferiore ai 3 euro,
con un moderato aumento dello 0,6% a volume, e quella superiore ai
5 euro con un +11,1% a volume”.
(SymphonyIRI Group per Vinitaly marzo 2012)
Quanto all’export, molti commercianti, industriali e imbottigliatori
italiani hanno potuto incrementarlo buttandosi nella spirale del low-cost .
In questo modo abbiamo smaltito le scorte e incassato valori elevati di
crescita, ma ipotecato il posizionamento di mercato del vino italiano.
L’enfasi sui nostri successi nell’export va un poco ridimensionata: in molti
casi abbiamo messo sul mercato un “vino dei poveri” e ne pagheremo le
conseguenze negli anni a venire.
13. Tra andamenti dei prezzi alla produzione e all’export non esiste
correlazione chiara. Lo squilibrio tra domanda e offerta nelle uve
porta il valore aggiunto fuori dall’agricoltura. (UIV da dati Ismea)
A proposito: la valutazione del vino comune “a grado” non pare un
retaggio di altri tempi? Non sarebbe ora di cambiare i parametri?
14. I primi “brand” del vino italiano però hanno tenuto bene sui mercati
stranieri e, a quanto dicono i dati, non hanno svilito il prodotto, tanto che
nel triennio citato 2008-2010 il prezzo medio del litro all’export grazie a
loro è rimasto abbastanza stabile.
Da Fortis e Consiglio, Il Sole 24 ore:
L'Osservatorio Gea-Fondazione Edison ha analizzato i risultati di 22 delle 29
principali aziende vinicole italiane (società di capitali). Sono stati considerati
come parametri di riferimento l'Ebit (margine operativo netto) e il fatturato
medi nel periodo 2007-2010. La gamma dei risultati ottenuti nel periodo dal
campione di aziende dimostra che, muovendo correttamente le leve, si può
crescere nonostante le crisi come dimostrano i casi di Zonin (+12%) o Giv
(+11%). Oppure che anche in tempi difficili come quelli attuali si può
guadagnare in modo significativo, come è il caso di Masi (Ebit 24%), Santa
Margherita (22%) e Frescobaldi (15%).
Purtroppo i loro fornitori spesso non se ne sono accorti, visto che hanno
continuato a perdere reddito e a estirpare vigneti. “Muovere
correttamente le leve” vuol dire strozzare l’agricoltura? Ne viene il
sospetto.
15. A grandi linee (l’Italia è grande e ci sono viticolture
diverse) una produzione lorda vendibile di un ettaro di
vigneto pari a circa 8000-9000 euro costituisce la linea di
sopravvivenza a breve termine di una viticoltura basata
sulla famiglia coltivatrice.
Per una sopravvivenza a medio-lungo termine occorre
superare 11.000-12000 euro per ettaro.
Qualunque strategia di valorizzazione del viticoltore
italiano deve partire da questo dato, dopo averlo
verificato e validato nelle diverse situazioni.
La produzione di uve di qualità da parte di una società di
capitali, anche su grandi superfici, normalmente costa di
più.
16.
17. Arturo Bersano: “Se vuoi bere bene comprati un vigneto”
E’ tempo di andare oltre questo postulato: puoi bere bene, e produrre
bene, anche senza avere un vigneto.
Ma occorre una filiera organizzata, capace di valorizzare il ruolo del
viticoltore come imprenditore e non solo come sub-fornitore, in una visione
di lungo periodo.
Ce l’abbiamo? o abbiamo, al contrario, una filiera che vive “alla giornata”?
18. TUTTI IMBOTTIGLIATORI?
La risposta alla bassa retribuzione delle uve ha generato in molti casi la
nascita di nuove imprese di trasformazione e l’abbandono di rapporti di
fornitura consolidati, anche con la cooperazione. Ma spesso il nuovo
imprenditore si è accorto di non farcela e ha cominciato a svendere,
creando ulteriori problemi a tutto il comparto.
In Italia ci sono 30.000 imbottigliatori.
In alcune aree di alto prestigio, con vino ad alto valore aggiunto e alta
professionalità degli imprenditori, la molteplicità e la piccola dimensione
delle imprese possono essere un valore, anche se solo un forte incoming
turistico può trasformare questo valore in economia vera: quindi serve
marketing territoriale e severa tutela dell’ambiente e del paesaggio.
Nelle altre aree, restringendosi fortemente la domanda a livello locale,
un’eccessiva frammentazione e dispersione sono quasi esclusivamente
fattori di debolezza.
19. VALORIZZAZIONE DELLA QUALITÀ
Negli ultimi anni la parte agricola ha lamentato, oltre alle basse retribuzioni,
anche la scarsa forbice di valore secondo qualità dei vini all’ingrosso. Casi
contrari, come quello qui illustrato, diventano casi di studio invece di essere
la regola. Ma la cooperazione a sua volta valorizza adeguatamente la qualità
nella retribuzione delle uve?
Quante cooperative, anche di grandi dimensioni, hanno un servizio viticolo?
20. Come pagare la qualità?
• Ci sono ormai metodi di analisi molto efficaci di valutazione
della qualità dell’uva al conferimento (o, prima, di valutazione
del potenziale dei vigneti). Il problema non sta tanto negli
aspetti tecnici ma nella strategia aziendale.
• La strategia prescelta per la valutazione del prodotto secondo
determinati parametri non si limita a incidere, per l’agricoltore,
sul risultato economico dell’annata, ma influenza in modo
significativo le sue scelte di medio e lungo periodo ed il
posizionamento di mercato della produzione futura.
• La strategia dei pagamenti è quindi una strategia di
medio e lungo periodo e rappresenta una delle fasi
decisionali più importanti per l’amministrazione di una
cooperativa
21. Grafico 1. Retribuzione ad ettaro: confronto
tra due modalità diverse di valutazione
sulla base del grado zuccherino
CONFRONTO PREZZOGRADO FISSO E
VARIABILE, 100 Q/HA
8000
7000
6000 reddito/ha DOC con
REDDITO €
5000 prezzo grado fisso
/HA
4000
reddito/ha DOC con
3000 prezzo grado variabile
2000 (VISIVA B)
1000
0
16 17 18 19 20
BABO
22. grafico 2. esempio di prezzo/grado a variazione decimale
grado Babo prezzo grado quintale valore in € di 1000 kg di uva
50,0
45,0
40,0
35,0
30,0
25,0
20,0
15,0
10,0
5,0
0,0
C
C
C
C
C
C
C
C
C
C
C
C
C
C
C
C
C
C
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no on e
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n for
or
or
or
o
ta
no onf
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c
c
c
vi
n
n
n
n
no
23. Altre valutazioni di qualità
Indice di qualità fenolica
Valutazione visiva, oggi possibile anche con videocamere ad
alta risoluzione capaci di oggettivare maggiormente il dato
analisi multiparametriche spettrometriche (tipo FOSS)
Il concetto di qualità va tarato sul vino target
Nelle cooperative spetta all’amministrazione, di concerto con
lo staff tecnico, fissare le linee guide, ma spetta al settore
tecnico tradurle in pratica.
Diversamente si apre la strada a conflitti e negoziati
interminabili.
24. I contratti interprofessionali
Ammortizzatori sociali. Lo scopo è evitare forti oscillazioni dei prezzi della
materia prima negli anni e garantire nel medio periodo un reddito dignitoso ai
produttori e un approvvigionamento costante all’industria.
L’Asti
Il contratto esiste dal 1979. Nel
ventennio precedente spesso
c’era stata alta tensione tra le
parti: 1964 occupazione
stabilimento Gancia, 1971 moti
di piazza nelle cittadine di
Canelli e Santo Stefano Belbo.
L’accordo finora ha sempre
tenuto malgrado numerose
minacce di disdetta.
L’accordo è siglato da una
commissione “paritetica” con la
mediazione della Regione
Piemonte. Se possibile su base
biennale o triennale, almeno su
alcuni punti.
25. Punti chiave dell’accordo sull’Asti:
-prezzo minimo e modalità di pagamento
- produzione per ettaro (si aumenta o si riduce sulla
base delle scorte e dell’andamento di mercato)
- trattenute sulle transazioni a favore della parte
agricola per la gestione dell’accordo (4-7 € a
tonnellata)
- impegno dell’industria a ritirare tutto il prodotto,
uva e mosti atti ad ASTI DOCG entro certi termini
(oltre marzo contributo aggiuntivo per
frigoconservazione dei mosti)
- variazioni di prezzo per parametri qualitativi
(punto critico). Accordo 2011 contiene impegno a
fissare nuovi parametri entro il 2012, inclusa la
valorizzazione di territori scoscesi e altamente
vocati.
Il presidente della “Produttori Moscato” sostiene che i produttori piemontesi di
Moscato sono oggi i meno pagati d’Italia e forse c’è del vero.
Ma se consideriamo gli ultimi vent’anni?
26. A CHI SERVONO LE DOP (DOC, DOCG)?
La denominazione di origine nasce come presidio a tutela
dei proprietari dei fondi, e tale deve rimanere. Condizioni:
1. Rispetto del carattere originale: una DOP non è un
marchio commerciale, è un nome geografico radicato
nella consuetudine. Negli ultimi anni c’è stata una deriva,
con proliferazione di denominazioni senza radici storiche, i
cui effetti dannosi pesano sul mercato e sulla stessa
autorevolezza dell’istituto.
2. Una DOP va COMUNICATA e GESTITA. Il controllo
forzoso dell’offerta (blocco di nuovi impianti e sovrinnesti,
riduzione dei massimali produttivi, blocage) costituisce un
freno alle imprese più dinamiche, ma è fondamentale per
tutelare la parte agricola, così come la lotta alle frodi.
27. OVERSUPPLY: il danno sta da una parte sola
Uno scenario di sovrapproduzione di una certa DOP è in
sostanza, almeno nel breve periodo, un vantaggio per
l’industria e un danno per l’agricoltura. Non perché gli
industriali siano “cattivi” ma perché, come ogni imprenditore,
legittimamente perseguono il profitto: sul piano
dell’approvvigionamento della materia prima questo vuol dire
scegliere da un bacino più ampio possibile, pagando il meno
possibile. Sbagliato quindi per la parte agricola farsi
incantare dalle sirene dei vini di moda piantando e
sovrainnestando “a manetta”. Ma purtroppo la lezione
non si impara mai.
28. Il ruolo dei Consorzi di Tutela è importante soprattutto
per la parte agricola: gestione della DOC.
A maggior ragione con la futura liberalizzazione degli
impianti:
NON POSSO VIETARTI DI PIANTARE UN VIGNETO
MA POSSO NEGARTI LA DOP se esiste uno squilibrio
domanda/offerta.
DOP è un MONOPOLIO COLLETTIVO.
Per le aziende agricole stare fuori dai Consorzi di
Tutela è un errore. Se si pensa di non contare
abbastanza si deve “combattere”, ma mai ritirarsi
“sull’Aventino”, perché la DOP va presidiata da coloro
per i quali è stata creata: i proprietari dei fondi.
29. • Filiera corta: l’utopia del “prezzo sorgente”
• Perché un circuito di vendita diretta, di qualunque tipo,
funzioni un’azienda agricola deve investire fortemente: i costi
che sosterrà (comunicazione, accoglienza, presenza a mercati
etc.) e che graveranno sul prezzo finale saranno spesso
superiori a quelli generati da una catena di
intermediazione/distribuzione, soprattutto in annate di prezzi
all’ingrosso favorevoli.
Andare al consumatore finale può essere una soluzione, ma
pensare che in questo modo il prodotto “costi meno” è utopia
e porta invariabilmente al fallimento del progetto.
Al contrario occorre investire sul valore del prodotto e la
fidelizzazione dei clienti.
30. • La disintermediazione nello sfuso
In un mondo in cui con un clic sul PC si compra qualunque cosa in
qualunque parte del mondo ha senso che per la vendita di una
cisterna da una cantina sociale a un imbottigliatore che ha sede
nello stesso comune ci si serva di un mediatore?
La risposta è più difficile di quanto sembri!
• La mediazione non è una rendita
Mettere in contatto la domanda e l’offerta vuol dire conoscere il
prodotto e i suoi canali potenziali, avere un “portafoglio di
conoscenze” e capacità di relazione interpersonale. Non è una
rendita ma un lavoro professionalmente qualificato, e qualcuno
deve essere pagato per farlo. Non è detto che se lo fa un
dipendente o consulente di una cantina, o di una rete di imprese,
costi meno di un mediatore esterno. Cambia però il piano
strategico, i rapporti di forza e il marketing a lungo termine.
31. • Mediazione e disciplina dei contratti
La mediazione dello sfuso si è fatta storicamente “garante” dei contratti,
con un forte ruolo dell’affidabilità personale.
Questa esigenza nasce almeno in parte da una DISCIPLINA CONTRATTUALE
INADEGUATA, con una parte agricola troppo debole nell’imporre condizioni
contrattuali eque.
Il recente “decreto semplificazioni “ con fissazione di tempi di pagamento
certi dovrebbe agevolare.
• POST SCRIPTUM:
Come in tutti i settori anche in quello dell’intermediazione ci sono i galantuomini e
i “meno”. Le zone grigie stanno soprattutto nei mercati in qualche modo “drogati”
da contributi pubblici, quali sono stati quelli del MCR e dei vini da distillare.
Importante sanzionare la corruzione tra privati.
Secondo FederMosti il 60% del vino italiano è arricchito.
Sarà vero? Ma non c’era il riscaldamento globale?
Come incide su questa percentuale l’arcaico parametro del grado/ettolitro nella
fissazione dei prezzi?
32. • OP e concentrazione dell’offerta:
il caso della Vignaioli Piemontesi
• La delega alla vendita da parte delle
cooperative piemontesi alla loro
associazione interviene nel quadro di uno
scenario di crisi (2006-2007), che culmina
con operazioni di distillazione.
Quando il vino si vendeva facilmente
ognuno voleva venderlo da sé.
33. La concentrazione dell’offerta ha consentito di rapportarsi con
grandi operatori nazionali ed esteri non raggiungibili dalle singole
cantine.
Vendita vini sfusi e vini confezionati, con diversi marchi: Villa Rivalta
(Società tra Vignaioli Piemontesi e Cantina sociale di Rivalta),
Dezzani (marchio privato e rete di vendita acquistata), e marchi
delle stesse cantine associate. Altro patrimonio della cooperazione
è Terre da Vino (SpA di dodici cooperative più la Vignaioli
Piemontesi: affinamento, imbottigliamento e vendita, solo vini a
DOC e DOCG e solo confezionati).
Forte sviluppo, tra l’altro, del bag-in-box da3l in nord Europa. Si
lavora unicamente con distributori.
Vignaioli Piemontesi, fatturato 2010 (sfuso): 5 Milioni di euro.
Fatturato 2011 (solo sfuso): 11 ,5 milioni di euro.
Fatturato 2011 del “gruppo” (con Terre da Vino, Villa Rivalta e
Dezzani): 50 milioni di euro
Operatori a valle e soprattutto intermediari con questa
progressione escono dal gioco: più valore per gli agricoltori
34. • Attualmente 8 cooperative conferiscono la
totalità dei vini base barbera dolcetto e cortese
alla Vignaioli Piemontesi. Altre conferiscono vini
scelti, di livello qualitativo medio-elevato. Alcune
cantine sono state escluse dal progetto per audit
negativo sul potenziale qualitativo.
PUNTO CRITICO :
L’ECONOMIA È POCO DEMOCRATICA.
Un’attività commerciale verso terzi legata a una
rete di imprese non può prescindere dalla
necessità di valorizzare il merito. Impossibile una
crescita ORIZZONTALE di tutte le imprese allo
stesso modo perché non tutte possono assicurare
gli stessi livelli di qualità e servizio.
35. • E L’ASTI E Il MOSCATO D’ASTI?
• Sebbene oggi anche questi prodotti siano
commercializzati da Vignaioli Piemontesi non è su
questi vini che si è incentrata la strategia e avviata
l’attività. Questo grazie al contratto interprofessionale:
i viticoltori sono stati tutelati e hanno avuto meno
bisogno di avanzare lungo la filiera, lasciando più
margine all’industria e all’intermediazione.
I tentativi di realizzare accordi interprofessionali sui vini
base barbera e dolcetto sono sempre falliti, anche per
la frammentazione degli acquirenti.
Semplicemente i viticoltori sono andati a cercare da
soli il reddito che l’industria non è stata in grado di
garantire loro.
36. • CONCLUSIONI
• Le scelte economiche legate al vigneto non possono basarsi
sulla “prossima trimestrale di cassa”: un vigneto è un
investimento ultradecennale e richiede strategie di lungo
periodo;
• Se la parte industriale e commerciale non sono in grado di
impostare simili strategie e di assicurare il reddito al
viticoltore (ad esempio con contratti interprofessionali) la
parte agricola deve farsene carico: politiche di
aggregazione, di prodotto, di prezzo e di
distribuzione/promozione.
• La denominazione geografica svolge un ruolo chiave per la
parte agricola, perché il vigneto DOP non può essere
DELOCALIZZATO altrove; presidiare la gestione delle
denominazioni; resistere alle spinte eccessivamente
“liberiste”: giovano solo a chi vende, non a chi produce.