1. PIETRA
L’uso della pietra da parte dei costruttori Romani ha
assunto aspetti diversi.
Se dapprima servì soprattutto come elemento per
costruire parti anche portanti, in un secondo tempo -
quando si era ormai affermato l’uso del laterizio – la
pietra divenne essenzialmente un materiale di
rivestimento.
Come tutti i popoli antichi i Romani, per costruire ed
abbellire i loro edifici, utilizzarono i materiali naturali a
loro disposizione e tra questi le pietre di più facile
reperibilità, come il travertino (lapis tiburtinus) calcare
di colore biancastro, il tufo, e i marmi.
1
2. Tipi di pietra
Il travertino è una roccia sedimentaria di colore
biancastro, giallino o rosato.
Utilizzato come materiale da costruzione, da
pavimentazione e da rivestimento, è comune in Toscana,
Umbria, Lazio, Marche.
La pietra può resistere ad una pressione da 226 a 298
Kg/cmq, a seconda della qualità.
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6. Il tufo è una roccia prodotta dalla cementazione dei
materiali ricaduti dopo un'eruzione vulcanica esplosiva,
che forma coltri e strati frammisti a colate laviche.
Di colore grigio, giallastro, verdastro o bruno.
È utilizzato nella preparazione di cementi speciali e
come pietra da costruzione (peperino, piperno).
6
8. I marmi
Con la conquista della Grecia e dell'Asia minore,
cominciò tuttavia l'importazione di marmi e pietre
pregiate, il cui impiego si diffuse progressivamente
nell'architettura privata e pubblica.
Questo fenomeno è osservabile anche a Pompei dove,
all'utilizzo iniziale delle pietre locali, subentrò
successivamente l'impiego del marmo e di altre pietre
colorate.
Il marmo, ricercatissimo, venne abilmente imitato anche
nella pittura.
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9. I primi marmi che furono importati a Roma furono:
Marmo Pentelico, marmo a grana fine di colore
bianco, proveniente dalle cave del monte Pentelico,
15 Km da Atene in grecia. Questo marmo era già
stato impiegato in Grecia fin dal VI secolo a.C.,
mentre i Romani cominciano ad usarlo a partire dalla
metà del II secolo a.C.
Marmo Pario, marmo a grana fine di colore bianco,
proveniente dall’isola di Paro, in Grecia. I Romani
cominciano ad usarlo a partire dalla metà del II
secolo a.C.
Marmo Lunense, marmo a grana fine di colore
bianco, proveniente dalle cave di Lunae (Luni)
(Carrara), aperte da Cesare. I Romani cominciano ad
usarlo dalla fine del I secolo a.C.
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12. Sotto Augusto il "lusso delle pietre" diviene così
sfrenato ed eccedente che esaurite le cave si
cominciano ad espoliare i monumenti pubblici.
Una legge del codice di Giustiniano ricorda come per
editto dell'Imperatore Vespasiano e per decreto del
Senato (71 d.C.) fu proibita la demolizione degli edifici
per estrarne marmi e farne mercato.
Pare, tuttavia, che tutto ciò non spaventò gli amanti dei
marmi se l'Imperatore Costanzo fu costretto ad
emanare un editto secondo il quale : "Colui il quale ardirà
di demolire i sepolcri se l'avrà fatto senza il permesso
del proprietario sarà condannato agli scavamenti delle
miniere, e se l'avrà fatto con di lui autorità o comando
sarà punito colla rilegazione; che se poi le cose tolte dai
sepolcri saranno dal proprietario trasportate nella sua
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13. villa o nella sua casa, la villa e la casa o qualunque altro
edificio passerà in potere del fisco”.
Si arrivò fino alla nazionalizzazione delle cave ricadenti
nel territorio dell'Impero, e al divieto di eseguire
scavamenti ne' fondi privati, ma tutto ciò, limitando la
scoperta di nuovi marmi, fece aumentare a dismisura il
loro prezzo.
Con l'abolizione di ogni vincolo alla ricerca e allo
sfruttamento, fatta eccezione per il versamento di una
decima al fisco, ci fu un fiorire di nuovi ritrovamenti.
13
14. In epoca romana si generalizzò l’impiego del marmo,
esteso anche all’edilizia privata, tanto che in età
imperiale esistevano molte cave, in tutto il
Mediterraneo, di marmi bianchi e colorati; le tecniche
estrattive erano ancora quelle messe a punto
nell’Ellenismo, ma l’organizzazione del lavoro era
divenuta più complessa e articolata.
Lo studio epigrafico delle sigle che compaiono sovente
sui blocchi di marmo, (sia nelle cave sia nei pezzi
trasportati nei magazzini di Ostia e Roma) ha permesso
di conoscere molti aspetti organizzativi delle cave, che
generalmente erano di proprietà imperiale.
14
15. Nei distretti marmiferi più grandi, ogni area estrattiva
era contraddistinta, come unità di lavoro, col termine
officina, oppure, come unità amministrativa, veniva
definita caesura; al suo interno poteva essere suddivisa
in più settori (bracchia), ciascuno con un suo
responsabile.
Fu creata la figura dei sovrintendenti alle miniere detti
Procuratores montium o Rationarii a marmoribus.
I vari procuratores, posti a capo di una o più cave nelle
singole province, dovevano far capo a un procurator
marmorum, residente a Roma.
Essi sorvegliavano anche le concessioni degli appalti, dati
su singoli settori, ai quali corrispondeva una fitta rete di
squadre di lavoro.
Queste ultime avevano una struttura sociale composita:
accanto a lavoratori di condizione servile comprendevano
15
16. uomini condannati ai lavori forzati, ma anche artigiani
liberi; il loro operato era generalmente sottoposto alla
sorveglianza di militari.
Per quanto riguarda l'escavazione vera e propria, a
questo compito erano preposti:
1. l’hinarius ("l'ingegnere", responsabile della
designazione dei filoni da scavare, e della
progettazione delle macchine necessarie);
1. il lapicida (il tagliatore esperto nelle tecniche da
utilizzare);
2. il metallarius (il cavatore, colui che materialmente si
occupava prima di portare alla luce la roccia e poi
dell'escavazione).
3. i cosiddetti damnati ad metalla : a causa della
sempre maggiore richiesta di marmi, i responsabili di
gravi delitti, gli schiavi e i cristiani venivano
condannati ai lavori forzati nelle miniere
dell'Impero.
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17. Oltre a quelli che venivano condannati all'estrazione di
marmi, c'era a Roma tutta una categoria di persone che
si occupava della loro lavorazione; nelle leggi romane si
fa esplicito riferimento a :
i caesores (i segatori),
i quadratarii (che squadravano, ponevano in garbo i
blocchi tagliati dai segatori),
i lapidarii (gli scalpellini),
i marmorarii (gli intagliatori),
i musivarii (si occupavano delle cosiddette opere
tassellate, come i pavimenti musivi o a
mosaico),
i politores (coloro che si occupavano di lucidare i
marmi),
gli sculptores (gli scultori veri e propri).
Per ciascun blocco estratto in una cava romana venivano
annotati:
l' officina (l'area di estrazione)
il locus (il settore dell'area di estrazione)
il brachium (l'ala del settore di estrazione)
la provatio (l'attestato di qualità)
l'anno di consolato.
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18. Con il tardoimpero le attività estrattive registrano una
sensibile diminuzione e diverse cave importanti, come
quelle africane di Simitthus (Chemtou) o quelle di Luni
(Carrara), non presentano tracce di coltivazioni
posteriori al IV-V secolo d.C.
18
19. LE MURATURE ROMANE
I Romani furono molto attenti alla realizzazione delle
murature, sperimentando diverse tecniche che
utilizzarono in maniera molto artistica.
I setti murari realizzati in epoca romana, per la
molteplicità dei procedimenti costruttivi che li hanno
interessati, consentono di valutare appieno l’evoluzione
tecnica e la razionalizzazione esecutiva dell’edilizia
romana.
Infatti, attraverso la lettura dei procedimenti costruttivi,
adottati per la realizzazione dei setti, è possibile valutare
come i Romani si sono orientati verso la massima
efficienza produttiva anche in ragione della vastità di
interventi che hanno caratterizzato la storia dell’antica
Roma, sia nell’ambito della Capitale che nei territori delle
province.
Le tipologie murarie usate in epoca romana prendevano il
nome dal materiale e dal sistema di tessitura
dell’involucro.
Le prime forme murarie furono l’opus siliceum e l’opus
quadratum, a struttura omogenea, cioè realizzate
interamente in pietra.
Le murature romane costruite prima del III secolo
a.C. erano tutte in pietra.
La tecnica muraria subì una profonda trasformazione
a partire dal III secolo a.C., con l’introduzione dell’opus
caementicium.
19
20. OPUS SILICEUM
Tale struttura muraria era comune presso le culture
arcaiche.
Definita anche come opera muraria poligonale, ciclopico,
pelagico, tirinzio.
L’opera poligonale vera e propria è fra le tecniche più
diffuse nella Grecia continentale, soprattutto Attica,
Peloponneso ed Acarnania, dal V al III secolo a.C.
Caratteristico della civiltà italica, di poco anteriore a
quella romana, l’opus poligonale si fa oscillare tra il VI ed
il I sec. a.C.
Infatti, è stata una muratura usata dai Romani sin dai
primi decenni del VI secolo a.C.
Veniva realizzato con grossi blocchi di pietra, in
genere calcare o selce, più o meno regolarmente
sagomati in modo da assumere configurazioni poligonali e
da essere tra loro correlati, sovrapposti a secco, senza
l’uso di malta.
Era usato per mura di città (cinte difensive), castelli e
cittadelle, basamenti, podi di templi, strade,
terrazzamenti per ville, sepolcri, cisterne, torri, ecc.
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21. Le varietà tipologiche sono numerose ed in parte
rispondenti ad una evoluzione cronologica; tra esse si
possono distinguere 4 diverse maniere costruttive:
1. a massi informi
2. a poligoni irregolari
3. a poligoni regolari
4. a trapezi.
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22. 1. Opus siliceum a massi informi
E’ un’opera muraria elementare, vicina alle forme
megalitiche o ciclopiche, presenta massi grezzi e posti
alla rinfusa con la chiusura degli interstizi fatta con sassi
di piccole dimensioni.
E’ stata impiegata nel VI secolo a.C.
Alcuni esempi: Populonia, mura; Cortona, mura; Preneste
(Palestrina), acropoli; Anxur (Terracina), mura; Cirecel
(Circeo), mura; Himera (Termini imprese), fortificazioni;
Corniculum (Montecelio), terrazzamenti.
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23. 2. Opus siliceum a poligoni irregolari
E’ un’opera muraria costituita da massi sgrossati in forma
di poligoni irregolari con bugnato rustico, sovrapposti con
maggior cura e con gli interstizi accuratamente chiusi con
scaglie.
E’ stata impiegata nel V-VI secolo a.C.
Alcuni esempi: Populonia, mura; Vetulonia, mura;
Spoleto, mura; Cori, terrazzamenti; Sulmona, mura, ecc.
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24. 3. Opus siliceum a poligoni regolari
I massi si presentano incastrati gli uni agli altri, in forma
di poligoni regolari con fronte levigata e giunture
esattamente combacianti.
E’ stato impiegato tra il III-I secolo a.C.
24
25. 4. Opus siliceum a trapezi
I massi si presentano in forma di trapezi con due lati
paralleli con tendenza a costituire piani orizzontali.
E’ stata impiegata tra il III-I secolo a.C.
25
26. OPUS QUADRATUM
Si indica in questo modo:
1. sia il muro interamente costruito con blocchi di
pietra parallelepipedi più o meno perfettamente
squadrati, disposti a secco su assise orizzontali;
2. sia il semplice paramento di lastre rettangolari o
quadrate. Infatti l’opus quadratum venne usato dai
Romani anche come paramento di murature in
pietrame informe o in calcestruzzo.
Era la tecnica comunemente usata dai Greci per
l’architettura monumentale, e anche per le cinte murarie,
dal V sec. a.C., nel tipo pseudoisodomo, poi isodomo.
In Italia si diffuse dall’età arcaica nell’area estrusca
(mura urbane, tombe, fondazioni) impiegando il tufo
locale di facile lavorazione.
Dall’età ellenistica fu introdotto nell’architettura
monumentale romana ma, più che per l’intera struttura
muraria, per il solo rivestimento (travertino o marmo).
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27. La notevole diffusione dell’opus quadratum fu
determinata dalla frequente reperibilità della pietra, come
materiale base, e dalla notevole disponibilità di soluzioni
adottabili che, per quanto riguarda le modalità
compositive, sono definite:
isodoma: se la soluzione risulta dalla disposizione, su
ricorsi sovrapposti, di blocchi aventi le stesse
dimensioni (C);
pseudoisodoma: se la soluzione è conseguente alla
disposizione, su ricorsi sovrapposti, di blocchi lapidei
parallelepipedi aventi dimensioni non sempre unificate
così da determinare altezze diverse dei filari (D);
Le murature di questo tipo potevano anche presentare
diatoni (conci posti per testa) alternati ad ortostati (conci
posti per lunghezza): si possono avere filari costituiti da
diatoni e ortostati mescolati secondo un certo ordine,
oppure filari di singoli diatoni sovrapposti a filari di
singoli orstostati (A-B).
I blocchi erano il più possibile uguali tra loro, per questo
motivo, pratici da usare.
27
28. L’opus quadratum caratterizza 3 diverse maniere che
rispecchiano 3 diverse culture: quella Etrusca, quella
Greca e quella Romana; di quest’ultima poi se ne può
seguire l’evoluzione cronologica attraverso 7 differenti
periodi.
28
32. OPUS CAEMENTICIUM
I romani furono molto attenti alla realizzazione delle murature
composte, sperimentando diverse tecniche che utilizzarono in
maniera molto artistica.
Dopo aver inventato la malta pozzolanica, il principio delle loro
murature ad un certo punto cambiò e cominciò a basarsi sulla
realizzazione dei cosiddetti muri a sacco.
A partire dal II secolo a.C., si sviluppò l’uso dell’opus
caementicium, realizzato utilizzando un conglomerato costituito
da un impasto di malta e frammenti di pietra che veniva gettato in
“casseformi” di legno per assumernene la forma: rottami di pietra
e mattone (30-50mm) venivano conficcati a mano nella malta
colata nei casseri, e venivano costipati con una mazza di ferro.
I “cementa” (inerti) potevano essere di calcare, tufo, lava, selce,
travertino, laterizio, materiale fittile, marmo.
La malta delle prime fasi era scadente, con pozzolana terrosa e
calce di scarsa qualità.
In un secondo tempo la malta divenne di migliore qualità: malta
granulosa e impastata con ottima pozzolana grigia; calce bianca
derivata dalla combustione del marmo. I caementa erano di
materiale fittile, marmo e travertino, raggiungendo un’ottima
connessione tra malta e cementa.
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34. Paramento
Oppure, per costruire un muro, il calcestruzzo era in
genere colato tra due paramenti, cioè due pareti di
mattoni o di pietra che formavano la superficie esterna
(spesso intonacata).
A seconda del paramento si distinguono diverse tecniche
edilizie.
Il muro, in pratica, aveva:
un’anima interna fatta di malta fatta di pozzolana e
lapilli, calce, acqua, sabbia, inerti
due facce esterne realizzate con materiali vari, che
costituivano il paramento a vista.
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35. L’opus caementicium, applicato inizialmente verso la fine del
III secolo a.C., si diffuse progressivamente in tutto l’impero
romano sia per la notevole efficienza esecutiva che per la sua
disponibilità ad essere applicata anche alle nelle costruzioni ad
ossatura arcuata, di grande superficie.
Inoltre, l’opus caementicium presenta una notevole flessibilità
costruttiva per quanto riguarda, in particolare, la costituzione
dei paramenti; flessibilità che consentiva, tra l’altro, di
adattare le scelte alle risorse disponibili, nei tempi e nei
luoghi, e agli intendimenti progettuali.
35
36. In base alla tecnica di realizzazione e ai materiali impiegati
per i paramenti, le murature dei Romani prendono i diversi
nomi:
opus incertum, se il paramento era realizzato con elementi
lapidei di forma non regolare;
opus quasi reticulatum, è un tessuto di blocchetti di tufo
molto irregolari a forma di cuneo a base quadrata, che
creano una trama a forma di rete.
opus reticulatum, se il paramento era realizzato con
cubetti di porfido, dalla forma approssimativamente
tronco-conica, che erano messi in posizione rombica;
opus testaceum o latericium, se era realizzato con
mattoni, i quali erano tagliati a metà lungo la diagonale e di
forma triangolare erano inseriti di spigolo nel muro;
opus mixtum o listatum, se il paramento si componeva di
più tecniche diverse.
Opus vittatum,
Opus spicatum,
Opus craticium,
Opus africanum,
36
38. OPUS INCERTUM
La muratura in opus incertum, risultante da paramenti
realizzati con pietre di piccole dimensioni e prive di forma
regolare (tufelli), è la più antica tra quelle riguardanti
l’opus caementicium e, per specifiche destinazioni, ha
richiesto l’applicazioni di intonaco o di rivestimenti diversi
per regolarizzare le superfici.
Di tale apparecchio murario si possono distinguere tre
diversi periodi cronologici:
I periodo: massi posti in opera come venivano dalla
cava, disponendone in facciata il lato piano.
Malta in genere povera e terrosa ma
abbondante per colmare gli spazi vuoti tra i
cementa a volte vistosi.
II periodo: si manifesta un più accurato livellamento
della superficie esterna oltre a minore e
migliorata qualità della malta.
III periodo: si riconosce generalmente per la cura
particolare nella scelta dei materiali, in
relazione ai luoghi, da collocare in facciata
e porre in opera; esecuzione a disegno
anche se poi sarà intonacato.
La malta è ottima e sottile.
38
43. OPUS QUASI RETICULATUM
Opera muraria realizzata all’interno in opus caementicium
e con paramento a blocchetti di pietra squadrata
(cubilia), spesso di forma diversa, messi in opera in file
inclinate assai irregolari.
I blocchetti squadrati erano, in genere, di tufo o di pietra, ed
erano spesso usati in forma tronco piramidale come paramento
anche stradale.
Questa muratura segna il passaggio dall’opus incertum all’opus
reticulatum, passaggi che, come spesso avviene nell’evoluzione
edilizia, non è stato netto e radicale: in questo caso i
paramenti sono costituiti da elementi lapidei che hanno una
configurazione che può essere considerata intermedia tra
quella irregolare dell’opus incertum e quella regolare e ed
unificata dell’opus reticulatum.
43
45. OPUS RETICULATUM
Paramento dell'opus caementicium (nucleo murario di
spezzoni lapidei, sabbia e calce), composto da piccoli
blocchi di pietra, prevalentemente calcarea o tufacea, di
forma troncopiramidale (cubilia) a base piana quadrata
in facciata; i lati dei cubilia sono orientati diagonalmente
di 45°rispetto al piano orizzontale e sono tenuti assieme
da malta.
Le ragioni fondamentali dell’adozione dell’opus
reticulatum vanno ricercate, oltre che nella validità
percettiva del paramento qualora lasciato a vista, anche
nella necessità di unificare la forma e le dimensioni degli
elementi generatori in modo da concentrarne la
produzione e da razionalizzare la posa secondo
allineamenti diagonali il cui controllo esecutivo è meno
difficoltoso rispetto a quelli con allineamenti orizzontali.
A conferma di tale ipotesi sussiste il fatto che l’opus
reticulatum è stato adottato in pochi ambiti territoriali
localizzati prevalentemente nell’Italia centrale e
meridionale dove potevano essere rispettate le condizioni
fondamentali per rendere conveniente la
45
46. standardizzazione nell’ambito di una produzione
centralizzata, condizioni riguardanti:
- la possibilità di utilizzare una consistente quantità di
mano d’opera non qualificata per la produzione
ripetitiva dei blocchetti;
- la garanzia di una diffusa applicazione del procedimento
costruttivo e, di conseguenza, un’ ampia utilizzazione
del prodotto;
- la vasta reperibilità di materiali, come il tufo o la pietra
tenera, facilmente lavorabili.
Un tipo di opus reticulatum particolare è quello bicromo,
realizzato con l’applicazione di cubilia di diverso colore,
con configurazioni particolarmente apprezzabili sotto il
profilo della percezione visiva.
OPUS RETICULATUM (POMPEI)
46
48. OPUS TESTACEUM O LATERICIUM
Alla fine della repubblica, nel I secolo a.C., l'uso delle tegole e dei
mattoni sostituisce quello dei blocchetti di tufo.
L'uso di bollare i mattoni con il marchio di fabbrica costituisce per
l'archeologo un grosso aiuto, perché gli permette di datare gli
edifici. Proprio i bolli laterizi ci danno le date della ricostruzione
del Pantheon ad opera di Adriano.
L'uso dei mattoni si chiama opus latericium o testaceum.
Questo ci spiega il nome di Testaccio, uno dei più popolosi
quartieri romani: è la collina dei cocci, un rialzo artificiale di una
trentina di metri tutto fatto dei detriti delle anfore che contenevano
i prodotti importati in città.
48
50. L’opus testaceum a volte è chiamato anche opus latericium: ciò
però non è proprio corretto.
L’opus latericium era una muratura realizzata interamente di
mattoni, “structura laterizia”, essiccati all’aria (lateres crudi).
L’opus testaceum, invece, indica il semplice paramento dell’opus
caementicium realizzato con mattoni cotti – testae o lateres
cocti.
A Roma questo paramento fa la sua comparsa soltanto dalla
metà del I sec. a.C., con l’impiego iniziale di tegole rotte, poi di
mattoni via via migliori.
50
51. Questa opera muraria rappresenta la più compiuta espressione
dell’opus caementicium in quanto i mattoni stessi:
Potevano essere prodotti con maggiore velocità a costi
minori rispetto agli elementi costruttivi, come quelli in
pietra;
Per le dimensioni e la regolarità geometrica che li
caratterizza, potevano essere collocati in opera con oneri
esecutivi certamente inferiori a quelli necessari per altri
procedimenti;
Per la maggiore estensione dei giunti di connessione,
garantivano una migliore stabilità costruttiva durante il
getto del nucleo in calcestruzzo e una più efficace
correlazione tra tutti gli elementi che concorrevano a
generare l’opera muraria;
Per le diverse conformazioni e dimensioni acqusibili in fase
produttiva, potevano essere composti in modo da
determinare una notevole variabilità nella configurazione del
paramento;
Per la possibilità offerta dalle modalità produttive che,
variandola genesi organica e/o la temperatura di cottura,
potevano acquisire colori diversi così da determinare la
possibilità realizzare composizioni variabili anche sotto il
profilo cromatico.
Sotto il profilo geometrico-dimensionale i mattoni usati, anche
per la realizzazione dei setti, sono stati:
bessales
sesquipedales
bipedales
mattoni divisi in triangoli e rettangoli.
51
52. I giunti erano accuratamente raboccati con un leggero strato
di malta più fine e lenta, “lisciatura”, data all’intero paramento
per formare una parete ben levigata al punto che la distinzione
tra mattone e malta è data solo dal colore. Tale lisciatura dei
letti di malta si può presentare:
a “scivolo”, per lasciare in vista l’orlo superiore del
mattone;
“concava”, III e IV secolo a.C.
a “doppia inclinazione” in presenza di letti di malta molto
alti;
a “sottosquadro” per lasciare in vista l’orlo inferiore dei
mattoni.
.
52
53. O
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53
56. OPUS MIXTUM O LISTATUM
E’ un paramento dell’opus caementicium, costituito
dall’alternanza di opus reticulatum o opus incertum e
opus testaceum.
In questo caso il paramento è realizzato tramite elementi
in pietra e in mattoni disposti lungo ricorsi orizzontali a
fasce alternate di altezza variabile
Può presentarsi in due modi fondamentalmente:
1. alti strati di reticulatum interrotti da sottili fasce
laterizie: opus mixtum di reticulatum e testaceum;;
2. riquadri di reticulatum entro cornici di laterizio con o
senza ammorsature: opus mixtum di incertum e
testaceum.
In alcuni casi si è potuto constatare che l’altezza e
l’alternanza dei ricorsi era dimensionata in modo tale far
corrispondere i ricorsi stessi ad una giornata lavorativa
e/o alla progressiva predisposizione dei ripiani costituenti
le impalcature.
56
57. La diversa natura dei materiali non garantisce
l’uniforme curabilità del paramento; in particolare il
materiale dei ricorsi lapidei si dimostra suscettibile
ad una maggiore degradabilità rispetto a quelli in
laterizio.
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TUM E TESTACEUM
57
63. OPUS VITTATUM
L’opus vittadum rientra tra i procedimenti in opus
caementicium.
E’ realizzato con blocchetti quadrangolari di pietra,
disposti su ricorsi orizzontali e correlati tramite malta,
hanno dimensioni comprese tra i 10 e i 12 cm in altezza e
tra i 10 e i 20 cm in lunghezza.
Questo paramento era, quindi, composto di blocchetti
lapidei disposti in filari orizzontali simili a bende (vittae).
In alcune regioni non era usato da solo ma come
completamento dell'opus incertum e reticulatum.
Poiché a volte i filari lapidei possono essere alternati a
strati o fasce di mattoni tale opera è detta anche listata
e ad essa sono riferiti genericamente paramenti con
alternanza di filari in pietra e in mattoni.
Nei casi in cui il paramento era lasciato a faccia vista,
veniva posta maggiore attenzione sia nella produzione di
blocchetti, più regolari, che nella posa in opera con giunti
di minore spessore e correttamente allineati; questo fino
ad effettuare una stilatura dei giunti in modo da
“mascherare” le eventuali imperfezioni dei blocchetti.
63
67. OPUS SPICATUM
Paramento, oltre che pavimento, fatto con piccoli
mattoni, disposti a coltello e formanti un disegno a spina
di pesce.
Come paramento viene usato soprattutto nelle regioni
galliche.
Come pavimento era particolarmente usato per cortili,
terrazze e magazzini.
67
72. OPUS CRATICIUM
Sotto il profilo costruttivo questa opera muraria
presentava una struttura lignea riempita a sacco con
pietra, scapoli, mattoni, ecc., impastati con argilla e
paglia, poi intonacata.
Sostanzialmente, l’opera muraria presentava una
intelaiatura in legno a svecchiature quadrangolari che
erano riempite con materiali diversi come l’argilla e
pietrame di piccola pezzatura e di ridotto peso specifico;
questo anche in base alla possibilità di reperimento dei
materiali nei luoghi di utilizzo.
Un rivestimento o, più frequentemente, un intonaco
rivestivano l’opera muraria sulle du facce esposte.
Per gli attributi che lo qualificavano, come la limitata
consistenza dello spessore e del peso proprio, l’opus
craticium è stato usato generalmente per la costruzione
delle partizioni interne o dei tamponamenti esterni dei
piani superiori.
Nelle scarse applicazioni riguardanti il piano terra, tale
opera muraria comprendeva un basamento in pietrame
che consentiva di risolvere alcuni problemi legati alla
ridotta curabilità del legno e alla suscettibilità all’acqua di
alcuni materiali di riempimento.
Questo tipo di struttura muraria divenne più comune
nell’edilizia medievale con altre applicazioni nei secoli a
venire.
72
76. OPUS AFRICANUM
E’ un’opera muraria da considerare assimilabile all’opus
craticium, solo che a differenza di quest’ultima presenta
un telaio lapideo anziché ligneo.
E’ costituita di grandi blocchi lapidei disposti
verticalmente ed orizzontalmente; gli spazi vuoti tra tali
blocchi venivano poi riempiti di materiale vario.
La struttura così determinata, suggerisce una tessitura a
“telaio”, assai vicina all’opus craticium.
Questa tecnica di costruzione è detta Opus Africanum in
quanto è ritenuta originaria dell’Africa settentrionale e,
successivamente, introdotta dai Cartaginesi in Sicilia e in
altri luoghi dell’italia meridionale.
Il relativo procedimento era basato:
sulla realizzazione di piedritti generati da blocchi
lapidei disposti alternativamente in orizzontale e in
verticale;
sulla formazione di un riempimento con pietre,
sempre squadrate,, ma di piccole dimensioni in
quanto più facilmente reperibili.
76