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PIETRA

L’uso della pietra da parte dei costruttori Romani ha

assunto aspetti diversi.



Se dapprima servì soprattutto come elemento per

costruire parti anche portanti, in un secondo tempo -

quando si era ormai affermato l’uso del laterizio – la

pietra   divenne    essenzialmente      un   materiale    di

rivestimento.



Come tutti i popoli antichi i Romani, per costruire ed
abbellire i loro edifici, utilizzarono i materiali naturali a
loro disposizione e tra questi le pietre di più facile
reperibilità, come il travertino (lapis tiburtinus) calcare
di colore biancastro, il tufo, e i marmi.




                                                            1
Tipi di pietra
Il travertino è una roccia sedimentaria di colore
biancastro, giallino o rosato.
Utilizzato come materiale da costruzione, da
pavimentazione e da rivestimento, è comune in Toscana,
Umbria, Lazio, Marche.
La pietra può resistere ad una pressione da 226 a 298
Kg/cmq, a seconda della qualità.




                                                     2
TRAVERTINO




             3
TRAVERTINO ROSA




                  4
5
Il tufo è una roccia prodotta dalla cementazione dei
materiali ricaduti dopo un'eruzione vulcanica esplosiva,
che forma coltri e strati frammisti a colate laviche.
Di colore grigio, giallastro, verdastro o bruno.
È utilizzato nella preparazione di cementi speciali e
come pietra da costruzione (peperino, piperno).




                                                       6
CAVA DI TUFO




               7
I marmi
Con la conquista della Grecia e dell'Asia minore,

cominciò tuttavia l'importazione di marmi e pietre

pregiate, il cui impiego si diffuse progressivamente

nell'architettura privata e pubblica.


Questo fenomeno è osservabile anche a Pompei dove,

all'utilizzo     iniziale   delle   pietre   locali,   subentrò

successivamente l'impiego del marmo e di altre pietre

colorate.



Il marmo, ricercatissimo, venne abilmente imitato anche

nella pittura.




                                                              8
I primi marmi che furono importati a Roma furono:

 Marmo Pentelico, marmo a grana fine di colore

   bianco, proveniente dalle cave del monte Pentelico,

   15 Km da Atene in grecia. Questo marmo era già

   stato impiegato in Grecia fin dal VI secolo a.C.,

   mentre i Romani cominciano ad usarlo a partire dalla

   metà del II secolo a.C.



 Marmo Pario, marmo a grana fine di colore bianco,

   proveniente dall’isola di Paro, in Grecia. I Romani

   cominciano ad usarlo a partire dalla metà del II

   secolo a.C.



 Marmo Lunense, marmo a grana fine di colore

   bianco, proveniente dalle cave di Lunae (Luni)

   (Carrara), aperte da Cesare. I Romani cominciano ad

   usarlo dalla fine del I secolo a.C.


                                                      9
10
11
Sotto Augusto il "lusso delle pietre" diviene così

sfrenato   ed   eccedente    che   esaurite   le   cave   si

cominciano ad espoliare i monumenti pubblici.



Una legge del codice di Giustiniano ricorda come per

editto dell'Imperatore Vespasiano e per decreto del

Senato (71 d.C.) fu proibita la demolizione degli edifici

per estrarne marmi e farne mercato.



Pare, tuttavia, che tutto ciò non spaventò gli amanti dei

marmi se l'Imperatore Costanzo fu costretto ad

emanare un editto secondo il quale : "Colui il quale ardirà

di demolire i sepolcri se l'avrà fatto senza il permesso

del proprietario sarà condannato agli scavamenti delle

miniere, e se l'avrà fatto con di lui autorità o comando

sarà punito colla rilegazione; che se poi le cose tolte dai

sepolcri saranno dal proprietario trasportate nella sua


                                                          12
villa o nella sua casa, la villa e la casa o qualunque altro

edificio passerà in potere del fisco”.



Si arrivò fino alla nazionalizzazione delle cave ricadenti

nel territorio dell'Impero, e al divieto di eseguire

scavamenti ne' fondi privati, ma tutto ciò, limitando la

scoperta di nuovi marmi, fece aumentare a dismisura il

loro prezzo.




Con l'abolizione di ogni vincolo alla ricerca e allo

sfruttamento, fatta eccezione per il versamento di una

decima al fisco, ci fu un fiorire di nuovi ritrovamenti.




                                                           13
In epoca romana si generalizzò l’impiego del marmo,

esteso anche all’edilizia privata, tanto che in età

imperiale    esistevano    molte    cave,     in     tutto     il

Mediterraneo, di marmi bianchi e colorati; le tecniche

estrattive    erano    ancora   quelle    messe      a      punto

nell’Ellenismo,   ma   l’organizzazione     del    lavoro     era

divenuta più complessa e articolata.



Lo studio epigrafico delle sigle che compaiono sovente

sui blocchi di marmo, (sia nelle cave sia nei pezzi

trasportati nei magazzini di Ostia e Roma) ha permesso

di conoscere molti aspetti organizzativi delle cave, che

generalmente erano di proprietà imperiale.




                                                               14
Nei distretti marmiferi più grandi, ogni area estrattiva

era contraddistinta, come unità di lavoro, col termine

officina, oppure, come unità amministrativa, veniva
definita caesura; al suo interno poteva essere suddivisa

in   più   settori   (bracchia),   ciascuno   con   un   suo

responsabile.



Fu creata la figura dei sovrintendenti alle miniere detti

Procuratores montium o Rationarii a marmoribus.


I vari procuratores, posti a capo di una o più cave nelle

singole province, dovevano far capo a un procurator

marmorum, residente a Roma.
Essi sorvegliavano anche le concessioni degli appalti, dati

su singoli settori, ai quali corrispondeva una fitta rete di

squadre di lavoro.

Queste ultime avevano una struttura sociale composita:

accanto a lavoratori di condizione servile comprendevano
                                                          15
uomini condannati ai lavori forzati, ma anche artigiani

liberi; il loro operato era generalmente sottoposto alla

sorveglianza di militari.

Per quanto riguarda l'escavazione vera e propria, a
questo compito erano preposti:
  1. l’hinarius  ("l'ingegnere",   responsabile della
     designazione dei filoni da scavare, e della
     progettazione delle macchine necessarie);

  1. il lapicida (il tagliatore esperto nelle tecniche da
     utilizzare);

  2. il metallarius (il cavatore, colui che materialmente si
     occupava prima di portare alla luce la roccia e poi
     dell'escavazione).

  3. i cosiddetti damnati ad metalla : a causa della
     sempre maggiore richiesta di marmi, i responsabili di
     gravi delitti, gli schiavi e i cristiani venivano
     condannati ai lavori forzati nelle miniere
     dell'Impero.




                                                          16
Oltre a quelli che venivano condannati all'estrazione di
marmi, c'era a Roma tutta una categoria di persone che
si occupava della loro lavorazione; nelle leggi romane si
fa esplicito riferimento a :
   i caesores (i segatori),
   i quadratarii (che squadravano, ponevano in garbo i
                 blocchi tagliati dai segatori),
   i lapidarii (gli scalpellini),
   i marmorarii (gli intagliatori),
   i musivarii (si occupavano delle cosiddette opere
                tassellate, come i pavimenti musivi o a
                mosaico),
   i politores (coloro che si occupavano di lucidare i
    marmi),
   gli sculptores (gli scultori veri e propri).




Per ciascun blocco estratto in una cava romana venivano
annotati:
       l' officina (l'area di estrazione)
       il locus (il settore dell'area di estrazione)
       il brachium (l'ala del settore di estrazione)
       la provatio (l'attestato di qualità)
       l'anno di consolato.


                                                       17
Con il tardoimpero le attività estrattive registrano una
sensibile diminuzione e diverse cave importanti, come
quelle africane di Simitthus (Chemtou) o quelle di Luni
(Carrara), non presentano tracce di coltivazioni
posteriori al IV-V secolo d.C.




                                                      18
LE MURATURE ROMANE

I Romani furono molto attenti alla realizzazione delle
murature,      sperimentando    diverse  tecniche che
utilizzarono in maniera molto artistica.

I setti murari realizzati in epoca romana, per la
molteplicità dei procedimenti costruttivi che li hanno
interessati, consentono di valutare appieno l’evoluzione
tecnica e la razionalizzazione esecutiva dell’edilizia
romana.

Infatti, attraverso la lettura dei procedimenti costruttivi,
adottati per la realizzazione dei setti, è possibile valutare
come i Romani si sono orientati verso la massima
efficienza produttiva anche in ragione della vastità di
interventi che hanno caratterizzato la storia dell’antica
Roma, sia nell’ambito della Capitale che nei territori delle
province.


Le tipologie murarie usate in epoca romana prendevano il
nome dal materiale e dal sistema di tessitura
dell’involucro.

Le prime forme murarie furono l’opus siliceum e l’opus
quadratum, a struttura omogenea, cioè realizzate
interamente in pietra.
    Le murature romane costruite prima del III secolo
a.C. erano tutte in pietra.
    La tecnica muraria subì una profonda trasformazione
a partire dal III secolo a.C., con l’introduzione dell’opus
caementicium.

                                                           19
OPUS SILICEUM
Tale struttura muraria era comune presso le culture
arcaiche.
Definita anche come opera muraria poligonale, ciclopico,
pelagico, tirinzio.
L’opera poligonale vera e propria è fra le tecniche più
diffuse   nella Grecia      continentale, soprattutto        Attica,
Peloponneso ed Acarnania, dal V al III secolo a.C.
    Caratteristico della civiltà italica, di poco anteriore a
quella romana, l’opus poligonale si fa oscillare tra il VI ed
il I sec. a.C.
Infatti, è stata una muratura usata dai Romani sin dai
primi decenni del VI secolo a.C.
    Veniva realizzato con grossi blocchi di pietra, in
genere    calcare     o   selce,    più   o    meno    regolarmente
sagomati in modo da assumere configurazioni poligonali e
da essere tra loro correlati, sovrapposti a secco, senza
l’uso di malta.
    Era usato per mura di città (cinte difensive), castelli e
cittadelle,      basamenti,        podi       di   templi,   strade,
terrazzamenti per ville, sepolcri, cisterne, torri, ecc.




                                                                  20
Le   varietà   tipologiche   sono   numerose   ed   in   parte
rispondenti ad una evoluzione cronologica; tra esse si
possono distinguere 4 diverse maniere costruttive:
 1. a massi informi
 2. a poligoni irregolari
 3. a poligoni regolari
 4. a trapezi.




                                                            21
1. Opus siliceum a massi informi
E’   un’opera   muraria   elementare,   vicina   alle   forme
megalitiche o ciclopiche, presenta massi grezzi e posti
alla rinfusa con la chiusura degli interstizi fatta con sassi
di piccole dimensioni.
E’ stata impiegata nel VI secolo a.C.
Alcuni esempi: Populonia, mura; Cortona, mura; Preneste
(Palestrina), acropoli; Anxur (Terracina), mura; Cirecel
(Circeo), mura; Himera (Termini imprese), fortificazioni;
Corniculum (Montecelio), terrazzamenti.




                                                           22
2. Opus siliceum a poligoni irregolari
E’ un’opera muraria costituita da massi sgrossati in forma
di poligoni irregolari con bugnato rustico, sovrapposti con
maggior cura e con gli interstizi accuratamente chiusi con
scaglie.
E’ stata impiegata nel V-VI secolo a.C.
Alcuni     esempi:   Populonia,   mura;   Vetulonia,   mura;
Spoleto, mura; Cori, terrazzamenti; Sulmona, mura, ecc.




                                                          23
3. Opus siliceum a poligoni regolari
I massi si presentano incastrati gli uni agli altri, in forma
di   poligoni   regolari   con   fronte   levigata   e   giunture
esattamente combacianti.
E’ stato impiegato tra il III-I secolo a.C.




                                                               24
4. Opus siliceum a trapezi
I massi si presentano in forma di trapezi con due lati
paralleli con tendenza a costituire piani orizzontali.
E’ stata impiegata tra il III-I secolo a.C.




                                                         25
OPUS QUADRATUM
Si indica in questo modo:
  1.   sia il muro interamente costruito con blocchi di
       pietra parallelepipedi più o meno perfettamente
       squadrati, disposti a secco su assise orizzontali;
  2.   sia il semplice paramento di lastre rettangolari o
       quadrate. Infatti l’opus quadratum venne usato dai
       Romani anche come paramento di murature in
       pietrame informe o in calcestruzzo.


Era    la   tecnica   comunemente    usata   dai   Greci    per
l’architettura monumentale, e anche per le cinte murarie,
dal V sec. a.C., nel tipo pseudoisodomo, poi isodomo.


In Italia si diffuse dall’età arcaica nell’area estrusca
(mura urbane, tombe, fondazioni) impiegando il tufo
locale di facile lavorazione.


Dall’età     ellenistica   fu   introdotto   nell’architettura
monumentale romana ma, più che per l’intera struttura
muraria, per il solo rivestimento (travertino o marmo).




                                                             26
La    notevole       diffusione   dell’opus      quadratum             fu
determinata dalla frequente reperibilità della pietra, come
materiale base, e dalla notevole disponibilità di soluzioni
adottabili    che,    per   quanto    riguarda         le        modalità
compositive, sono definite:
 isodoma: se la soluzione risulta dalla disposizione, su
  ricorsi    sovrapposti,    di   blocchi     aventi        le     stesse
  dimensioni (C);
 pseudoisodoma: se la soluzione è conseguente alla
  disposizione, su ricorsi sovrapposti, di blocchi lapidei
  parallelepipedi aventi dimensioni non sempre unificate
  così da determinare altezze diverse dei filari (D);


Le murature di questo tipo potevano anche presentare
diatoni (conci posti per testa) alternati ad ortostati (conci
posti per lunghezza): si possono avere filari costituiti da
diatoni e ortostati mescolati secondo un certo ordine,
oppure filari di singoli diatoni       sovrapposti a filari di
singoli orstostati (A-B).


I blocchi erano il più possibile uguali tra loro, per questo
motivo, pratici da usare.


                                                                       27
L’opus quadratum caratterizza 3 diverse maniere che
rispecchiano 3 diverse culture: quella Etrusca, quella
Greca e quella Romana; di quest’ultima poi se ne può
seguire l’evoluzione cronologica attraverso 7 differenti
periodi.




                                                      28
OPUS QUADRATUM




                 29
30
31
OPUS CAEMENTICIUM

I romani furono molto attenti alla realizzazione delle murature
composte, sperimentando diverse tecniche che utilizzarono in
maniera molto artistica.

Dopo aver inventato la malta pozzolanica, il principio delle loro
murature ad un certo punto cambiò e cominciò a basarsi sulla
realizzazione dei cosiddetti muri a sacco.


A partire dal II secolo a.C., si sviluppò l’uso dell’opus
caementicium, realizzato utilizzando un conglomerato costituito
da un impasto di malta e frammenti di pietra che veniva gettato in
“casseformi” di legno per assumernene la forma: rottami di pietra
e mattone (30-50mm) venivano conficcati a mano nella malta
colata nei casseri, e venivano costipati con una mazza di ferro.

I “cementa” (inerti) potevano essere di calcare, tufo, lava, selce,
travertino, laterizio, materiale fittile, marmo.
La malta delle prime fasi era scadente, con pozzolana terrosa e
calce di scarsa qualità.
In un secondo tempo la malta divenne di migliore qualità: malta
granulosa e impastata con ottima pozzolana grigia; calce bianca
derivata dalla combustione del marmo. I caementa erano di
materiale fittile, marmo e travertino, raggiungendo un’ottima
connessione tra malta e cementa.

                                                                   32
Opus caementicium per fondazioni in casseforme lignee




                                                        33
Paramento
Oppure, per costruire un muro, il calcestruzzo era in
genere colato tra due paramenti, cioè due pareti di
mattoni o di pietra che formavano la superficie esterna
(spesso intonacata).
A seconda del paramento si distinguono diverse tecniche
edilizie.


Il muro, in pratica, aveva:

 un’anima interna fatta di malta fatta di pozzolana e
    lapilli, calce, acqua, sabbia, inerti
 due facce esterne realizzate con materiali vari, che
    costituivano il paramento a vista.




                                                     34
L’opus caementicium, applicato inizialmente verso la fine del

III secolo a.C., si diffuse progressivamente in tutto l’impero

romano sia per la notevole efficienza esecutiva che per la sua

disponibilità ad essere applicata anche alle nelle costruzioni ad

ossatura arcuata, di grande superficie.



Inoltre, l’opus caementicium presenta una notevole flessibilità

costruttiva per quanto riguarda, in particolare, la costituzione

dei paramenti; flessibilità che consentiva, tra l’altro, di

adattare le scelte alle risorse disponibili, nei tempi e nei

luoghi, e agli intendimenti progettuali.

                                                               35
In base alla tecnica di realizzazione e ai materiali impiegati
per i paramenti, le murature dei Romani prendono i diversi
nomi:

 opus incertum, se il paramento era realizzato con elementi
  lapidei di forma non regolare;

 opus quasi reticulatum, è un tessuto di blocchetti di tufo
  molto irregolari a forma di cuneo a base quadrata, che
  creano una trama a forma di rete.

 opus reticulatum, se il paramento era realizzato con
  cubetti di porfido, dalla forma approssimativamente
  tronco-conica, che erano messi in posizione rombica;

 opus testaceum o latericium, se era realizzato con
  mattoni, i quali erano tagliati a metà lungo la diagonale e di
  forma triangolare erano inseriti di spigolo nel muro;

 opus mixtum o listatum, se il paramento si componeva di
  più tecniche diverse.

 Opus vittatum,

 Opus spicatum,

 Opus craticium,

 Opus africanum,

                                                              36
37
OPUS INCERTUM
La muratura in opus incertum, risultante da paramenti
realizzati con pietre di piccole dimensioni e prive di forma
regolare (tufelli), è la più antica tra quelle riguardanti
l’opus caementicium e, per specifiche destinazioni, ha
richiesto l’applicazioni di intonaco o di rivestimenti diversi
per regolarizzare le superfici.

Di tale apparecchio murario si possono distinguere tre
diversi periodi cronologici:

  I periodo: massi posti in opera come venivano dalla
            cava, disponendone in facciata il lato piano.
            Malta in genere povera e terrosa ma
            abbondante per colmare gli spazi vuoti tra i
            cementa a volte vistosi.

  II periodo: si manifesta un più accurato livellamento
            della superficie esterna oltre a minore e
            migliorata qualità della malta.

  III periodo: si riconosce generalmente per la cura
            particolare nella scelta dei materiali, in
            relazione ai luoghi, da collocare in facciata
            e porre in opera; esecuzione a disegno
            anche se poi sarà intonacato.
            La malta è ottima e sottile.




                                                            38
39
OPUS INCERTUM : VILLA SUBURBANA A POMPEI




                                           40
OPUS INCERTUM




                41
42
OPUS QUASI RETICULATUM

Opera muraria realizzata all’interno in opus caementicium
e   con   paramento     a     blocchetti   di   pietra   squadrata
(cubilia), spesso di forma diversa, messi in opera in file
inclinate assai irregolari.

I blocchetti squadrati erano, in genere, di tufo o di pietra, ed

erano spesso usati in forma tronco piramidale come paramento

anche stradale.

Questa muratura segna il passaggio dall’opus incertum all’opus

reticulatum, passaggi che, come spesso avviene nell’evoluzione

edilizia, non è stato netto e radicale: in questo caso i

paramenti sono costituiti da elementi lapidei che hanno una

configurazione che può essere considerata intermedia tra

quella irregolare dell’opus incertum e quella regolare e ed

unificata dell’opus reticulatum.




                                                                43
OPUS QUASI-RETICULATUM (abitazione a Paestum)




                                                44
OPUS RETICULATUM

Paramento dell'opus caementicium (nucleo murario di
spezzoni lapidei, sabbia e calce), composto da piccoli
blocchi di pietra, prevalentemente calcarea o tufacea, di
forma troncopiramidale (cubilia) a base piana quadrata
in facciata; i lati dei cubilia sono orientati diagonalmente
di 45°rispetto al piano orizzontale e sono tenuti assieme
da malta.


Le    ragioni       fondamentali      dell’adozione           dell’opus
reticulatum vanno ricercate, oltre che nella validità
percettiva del paramento qualora lasciato a vista, anche
nella necessità di unificare la forma e le dimensioni degli
elementi      generatori    in    modo      da        concentrarne   la
produzione      e   da     razionalizzare        la    posa   secondo
allineamenti diagonali il cui controllo esecutivo è meno
difficoltoso rispetto a quelli con allineamenti orizzontali.


A conferma di tale ipotesi sussiste il fatto che l’opus
reticulatum è stato adottato in pochi ambiti territoriali
localizzati     prevalentemente        nell’Italia        centrale   e
meridionale dove potevano essere rispettate le condizioni
fondamentali         per         rendere         conveniente         la
                                                                     45
standardizzazione     nell’ambito    di   una     produzione
centralizzata, condizioni riguardanti:
- la possibilità di utilizzare una consistente quantità di
  mano d’opera non qualificata per la produzione
  ripetitiva dei blocchetti;

- la garanzia di una diffusa applicazione del procedimento
   costruttivo e, di conseguenza, un’ ampia utilizzazione
   del prodotto;

- la vasta reperibilità di materiali, come il tufo o la pietra
  tenera, facilmente lavorabili.

Un tipo di opus reticulatum particolare è quello bicromo,
realizzato con l’applicazione di cubilia di diverso colore,
con configurazioni particolarmente apprezzabili sotto il
profilo della percezione visiva.




OPUS RETICULATUM (POMPEI)
                                                            46
OPUS RETICULATUM DI TUFO




                           47
OPUS TESTACEUM O LATERICIUM

Alla fine della repubblica, nel I secolo a.C., l'uso delle tegole e dei
mattoni sostituisce quello dei blocchetti di tufo.

L'uso di bollare i mattoni con il marchio di fabbrica costituisce per
l'archeologo un grosso aiuto, perché gli permette di datare gli
edifici. Proprio i bolli laterizi ci danno le date della ricostruzione
del Pantheon ad opera di Adriano.

L'uso dei mattoni si chiama opus latericium o testaceum.

Questo ci spiega il nome di Testaccio, uno dei più popolosi
quartieri romani: è la collina dei cocci, un rialzo artificiale di una
trentina di metri tutto fatto dei detriti delle anfore che contenevano
i prodotti importati in città.




                                                                     48
Stampo per mattoni dalla fabbrica di C. Julius Stephanus




                                                           49
L’opus testaceum a volte è chiamato anche opus latericium: ciò
però non è proprio corretto.

L’opus latericium era una muratura realizzata interamente di
mattoni, “structura laterizia”, essiccati all’aria (lateres crudi).

L’opus testaceum, invece, indica il semplice paramento dell’opus
caementicium realizzato con mattoni cotti – testae o lateres
cocti.
A Roma questo paramento fa la sua comparsa soltanto dalla
metà del I sec. a.C., con l’impiego iniziale di tegole rotte, poi di
mattoni via via migliori.


                                                                  50
Questa opera muraria rappresenta la più compiuta espressione
dell’opus caementicium in quanto i mattoni stessi:
 Potevano essere prodotti con maggiore velocità a costi
  minori rispetto agli elementi costruttivi, come quelli in
  pietra;
 Per le dimensioni e la regolarità geometrica che li
  caratterizza, potevano essere collocati in opera con oneri
  esecutivi certamente inferiori a quelli necessari per altri
  procedimenti;
 Per la maggiore estensione dei giunti di connessione,
  garantivano una migliore stabilità costruttiva durante il
  getto del nucleo in calcestruzzo e una più efficace
  correlazione tra tutti gli elementi che concorrevano a
  generare l’opera muraria;
 Per le diverse conformazioni e dimensioni acqusibili in fase
  produttiva, potevano essere composti in modo da
  determinare una notevole variabilità nella configurazione del
  paramento;
 Per la possibilità offerta dalle modalità produttive che,
  variandola genesi organica e/o la temperatura di cottura,
  potevano acquisire colori diversi così da determinare la
  possibilità realizzare composizioni variabili anche sotto il
  profilo cromatico.

Sotto il profilo geometrico-dimensionale i mattoni usati, anche
per la realizzazione dei setti, sono stati:
 bessales
 sesquipedales
 bipedales
 mattoni divisi in triangoli e rettangoli.
                                                             51
I giunti erano accuratamente raboccati con un leggero strato
di malta più fine e lenta, “lisciatura”, data all’intero paramento
per formare una parete ben levigata al punto che la distinzione
tra mattone e malta è data solo dal colore. Tale lisciatura dei
letti di malta si può presentare:
 a “scivolo”, per lasciare in vista l’orlo superiore del
     mattone;
 “concava”, III e IV secolo a.C.
 a “doppia inclinazione” in presenza di letti di malta molto
     alti;
 a “sottosquadro” per lasciare in vista l’orlo inferiore dei
     mattoni.




.




                                                                52
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 A
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  :
IN
 S
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 53
OPUS TESTACEUM ALL’ESTERNO
OPUS MIXTUM ALL’INTERNO




                             54
OPUS TESTACEUM




                 55
OPUS MIXTUM O LISTATUM
E’     un   paramento    dell’opus   caementicium,    costituito
dall’alternanza di opus reticulatum o opus incertum e
opus testaceum.
In questo caso il paramento è realizzato tramite elementi
in pietra e in mattoni disposti lungo ricorsi orizzontali a
fasce alternate di altezza variabile


Può presentarsi in due modi fondamentalmente:
     1. alti strati di reticulatum interrotti da sottili fasce
       laterizie: opus mixtum di reticulatum e testaceum;;


     2. riquadri di reticulatum entro cornici di laterizio con o
       senza ammorsature: opus mixtum di incertum e
       testaceum.


In alcuni casi si è potuto constatare che l’altezza e
l’alternanza dei ricorsi era dimensionata in modo tale far
corrispondere i ricorsi stessi ad una giornata lavorativa
e/o alla progressiva predisposizione dei ripiani costituenti
le impalcature.




                                                              56
La diversa natura dei materiali non garantisce
l’uniforme curabilità del paramento; in particolare il
materiale dei ricorsi lapidei si dimostra suscettibile
ad una maggiore degradabilità rispetto a quelli in
laterizio.
                                                    O
                                                    P
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                                                    S
                                                    M
                                                    IX
                                                    T
                                                    U
                                                    M
                                                   DI
                                                    R
                                                    E
                                                    TI
                                                    C
                                                    U
                                                     L
                                                    A
TUM E TESTACEUM
                                                    57
OPUS MIXTUM DI RETICULATUM E TESTACEUM




                                         58
OPUS MIXTUM DI RETICULATUM E TESTACEUM




                                         59
60
OPUS MIXTUM DI RETICULATUM E TESTACEUM (OSTIA)




OPUS MIXTUM DI RETICULATUM E TESTACEUM DI TUFO E MATTONI
                                                           61
62
OPUS VITTATUM
L’opus vittadum rientra tra i procedimenti in opus
caementicium.
E’ realizzato con blocchetti quadrangolari di pietra,
disposti su ricorsi orizzontali e correlati tramite malta,
hanno dimensioni comprese tra i 10 e i 12 cm in altezza e
tra i 10 e i 20 cm in lunghezza.
Questo paramento era, quindi, composto di blocchetti
lapidei disposti in filari orizzontali simili a bende (vittae).
In alcune regioni non era usato da solo ma come
completamento dell'opus incertum e reticulatum.
Poiché a volte i filari lapidei possono essere alternati a
strati o fasce di mattoni tale opera è detta anche listata
e ad essa sono riferiti genericamente paramenti con
alternanza di filari in pietra e in mattoni.


Nei casi in cui il paramento era lasciato a faccia vista,
veniva posta maggiore attenzione sia nella produzione di
blocchetti, più regolari, che nella posa in opera con giunti
di minore spessore e correttamente allineati; questo fino
ad effettuare una stilatura dei giunti in modo da
“mascherare” le eventuali imperfezioni dei blocchetti.


                                                              63
64
OPUS VITTATUM




                65
OPUS VITTATUM




                66
OPUS SPICATUM
Paramento, oltre che pavimento, fatto con piccoli
mattoni, disposti a coltello e formanti un disegno a spina
di pesce.

Come paramento viene usato soprattutto nelle regioni
galliche.

Come pavimento era particolarmente usato per cortili,
terrazze e magazzini.




                                                        67
68
69
70
71
OPUS CRATICIUM

Sotto il profilo costruttivo questa opera muraria
presentava una struttura lignea riempita a sacco con
pietra, scapoli, mattoni, ecc., impastati con argilla e
paglia, poi intonacata.

Sostanzialmente, l’opera muraria presentava una
intelaiatura in legno a svecchiature quadrangolari che
erano riempite con materiali diversi come l’argilla e
pietrame di piccola pezzatura e di ridotto peso specifico;
questo anche in base alla possibilità di reperimento dei
materiali nei luoghi di utilizzo.

Un rivestimento o, più frequentemente, un intonaco
rivestivano l’opera muraria sulle du facce esposte.

Per gli attributi che lo qualificavano, come la limitata
consistenza dello spessore e del peso proprio, l’opus
craticium è stato usato generalmente per la costruzione
delle partizioni interne o dei tamponamenti esterni dei
piani superiori.

Nelle scarse applicazioni riguardanti il piano terra, tale
opera muraria comprendeva un basamento in pietrame
che consentiva di risolvere alcuni problemi legati alla
ridotta curabilità del legno e alla suscettibilità all’acqua di
alcuni materiali di riempimento.


Questo tipo di struttura muraria divenne più comune
nell’edilizia medievale con altre applicazioni nei secoli a
venire.

                                                             72
73
74
CASA IN OPUS CRATICIUM A ERCOLANO




                                    75
OPUS AFRICANUM

E’ un’opera muraria da considerare assimilabile all’opus
craticium, solo che a differenza di quest’ultima presenta
un telaio lapideo anziché ligneo.


E’   costituita   di    grandi    blocchi    lapidei   disposti
verticalmente ed orizzontalmente; gli spazi vuoti tra tali
blocchi venivano poi riempiti di materiale vario.
La struttura così determinata, suggerisce una tessitura a
“telaio”, assai vicina all’opus craticium.


Questa tecnica di costruzione è detta Opus Africanum in
quanto è ritenuta originaria dell’Africa settentrionale e,
successivamente, introdotta dai Cartaginesi in Sicilia e in
altri luoghi dell’italia meridionale.


Il relativo procedimento era basato:
 sulla realizzazione di piedritti generati da blocchi
     lapidei disposti alternativamente in orizzontale e in
     verticale;
 sulla formazione di un riempimento con pietre,
     sempre squadrate,, ma di piccole dimensioni in
     quanto più facilmente reperibili.
                                                             76
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Materiali lapidei 3 - Architettura romana

  • 1. PIETRA L’uso della pietra da parte dei costruttori Romani ha assunto aspetti diversi. Se dapprima servì soprattutto come elemento per costruire parti anche portanti, in un secondo tempo - quando si era ormai affermato l’uso del laterizio – la pietra divenne essenzialmente un materiale di rivestimento. Come tutti i popoli antichi i Romani, per costruire ed abbellire i loro edifici, utilizzarono i materiali naturali a loro disposizione e tra questi le pietre di più facile reperibilità, come il travertino (lapis tiburtinus) calcare di colore biancastro, il tufo, e i marmi. 1
  • 2. Tipi di pietra Il travertino è una roccia sedimentaria di colore biancastro, giallino o rosato. Utilizzato come materiale da costruzione, da pavimentazione e da rivestimento, è comune in Toscana, Umbria, Lazio, Marche. La pietra può resistere ad una pressione da 226 a 298 Kg/cmq, a seconda della qualità. 2
  • 5. 5
  • 6. Il tufo è una roccia prodotta dalla cementazione dei materiali ricaduti dopo un'eruzione vulcanica esplosiva, che forma coltri e strati frammisti a colate laviche. Di colore grigio, giallastro, verdastro o bruno. È utilizzato nella preparazione di cementi speciali e come pietra da costruzione (peperino, piperno). 6
  • 8. I marmi Con la conquista della Grecia e dell'Asia minore, cominciò tuttavia l'importazione di marmi e pietre pregiate, il cui impiego si diffuse progressivamente nell'architettura privata e pubblica. Questo fenomeno è osservabile anche a Pompei dove, all'utilizzo iniziale delle pietre locali, subentrò successivamente l'impiego del marmo e di altre pietre colorate. Il marmo, ricercatissimo, venne abilmente imitato anche nella pittura. 8
  • 9. I primi marmi che furono importati a Roma furono:  Marmo Pentelico, marmo a grana fine di colore bianco, proveniente dalle cave del monte Pentelico, 15 Km da Atene in grecia. Questo marmo era già stato impiegato in Grecia fin dal VI secolo a.C., mentre i Romani cominciano ad usarlo a partire dalla metà del II secolo a.C.  Marmo Pario, marmo a grana fine di colore bianco, proveniente dall’isola di Paro, in Grecia. I Romani cominciano ad usarlo a partire dalla metà del II secolo a.C.  Marmo Lunense, marmo a grana fine di colore bianco, proveniente dalle cave di Lunae (Luni) (Carrara), aperte da Cesare. I Romani cominciano ad usarlo dalla fine del I secolo a.C. 9
  • 10. 10
  • 11. 11
  • 12. Sotto Augusto il "lusso delle pietre" diviene così sfrenato ed eccedente che esaurite le cave si cominciano ad espoliare i monumenti pubblici. Una legge del codice di Giustiniano ricorda come per editto dell'Imperatore Vespasiano e per decreto del Senato (71 d.C.) fu proibita la demolizione degli edifici per estrarne marmi e farne mercato. Pare, tuttavia, che tutto ciò non spaventò gli amanti dei marmi se l'Imperatore Costanzo fu costretto ad emanare un editto secondo il quale : "Colui il quale ardirà di demolire i sepolcri se l'avrà fatto senza il permesso del proprietario sarà condannato agli scavamenti delle miniere, e se l'avrà fatto con di lui autorità o comando sarà punito colla rilegazione; che se poi le cose tolte dai sepolcri saranno dal proprietario trasportate nella sua 12
  • 13. villa o nella sua casa, la villa e la casa o qualunque altro edificio passerà in potere del fisco”. Si arrivò fino alla nazionalizzazione delle cave ricadenti nel territorio dell'Impero, e al divieto di eseguire scavamenti ne' fondi privati, ma tutto ciò, limitando la scoperta di nuovi marmi, fece aumentare a dismisura il loro prezzo. Con l'abolizione di ogni vincolo alla ricerca e allo sfruttamento, fatta eccezione per il versamento di una decima al fisco, ci fu un fiorire di nuovi ritrovamenti. 13
  • 14. In epoca romana si generalizzò l’impiego del marmo, esteso anche all’edilizia privata, tanto che in età imperiale esistevano molte cave, in tutto il Mediterraneo, di marmi bianchi e colorati; le tecniche estrattive erano ancora quelle messe a punto nell’Ellenismo, ma l’organizzazione del lavoro era divenuta più complessa e articolata. Lo studio epigrafico delle sigle che compaiono sovente sui blocchi di marmo, (sia nelle cave sia nei pezzi trasportati nei magazzini di Ostia e Roma) ha permesso di conoscere molti aspetti organizzativi delle cave, che generalmente erano di proprietà imperiale. 14
  • 15. Nei distretti marmiferi più grandi, ogni area estrattiva era contraddistinta, come unità di lavoro, col termine officina, oppure, come unità amministrativa, veniva definita caesura; al suo interno poteva essere suddivisa in più settori (bracchia), ciascuno con un suo responsabile. Fu creata la figura dei sovrintendenti alle miniere detti Procuratores montium o Rationarii a marmoribus. I vari procuratores, posti a capo di una o più cave nelle singole province, dovevano far capo a un procurator marmorum, residente a Roma. Essi sorvegliavano anche le concessioni degli appalti, dati su singoli settori, ai quali corrispondeva una fitta rete di squadre di lavoro. Queste ultime avevano una struttura sociale composita: accanto a lavoratori di condizione servile comprendevano 15
  • 16. uomini condannati ai lavori forzati, ma anche artigiani liberi; il loro operato era generalmente sottoposto alla sorveglianza di militari. Per quanto riguarda l'escavazione vera e propria, a questo compito erano preposti: 1. l’hinarius ("l'ingegnere", responsabile della designazione dei filoni da scavare, e della progettazione delle macchine necessarie); 1. il lapicida (il tagliatore esperto nelle tecniche da utilizzare); 2. il metallarius (il cavatore, colui che materialmente si occupava prima di portare alla luce la roccia e poi dell'escavazione). 3. i cosiddetti damnati ad metalla : a causa della sempre maggiore richiesta di marmi, i responsabili di gravi delitti, gli schiavi e i cristiani venivano condannati ai lavori forzati nelle miniere dell'Impero. 16
  • 17. Oltre a quelli che venivano condannati all'estrazione di marmi, c'era a Roma tutta una categoria di persone che si occupava della loro lavorazione; nelle leggi romane si fa esplicito riferimento a :  i caesores (i segatori),  i quadratarii (che squadravano, ponevano in garbo i blocchi tagliati dai segatori),  i lapidarii (gli scalpellini),  i marmorarii (gli intagliatori),  i musivarii (si occupavano delle cosiddette opere tassellate, come i pavimenti musivi o a mosaico),  i politores (coloro che si occupavano di lucidare i marmi),  gli sculptores (gli scultori veri e propri). Per ciascun blocco estratto in una cava romana venivano annotati:  l' officina (l'area di estrazione)  il locus (il settore dell'area di estrazione)  il brachium (l'ala del settore di estrazione)  la provatio (l'attestato di qualità)  l'anno di consolato. 17
  • 18. Con il tardoimpero le attività estrattive registrano una sensibile diminuzione e diverse cave importanti, come quelle africane di Simitthus (Chemtou) o quelle di Luni (Carrara), non presentano tracce di coltivazioni posteriori al IV-V secolo d.C. 18
  • 19. LE MURATURE ROMANE I Romani furono molto attenti alla realizzazione delle murature, sperimentando diverse tecniche che utilizzarono in maniera molto artistica. I setti murari realizzati in epoca romana, per la molteplicità dei procedimenti costruttivi che li hanno interessati, consentono di valutare appieno l’evoluzione tecnica e la razionalizzazione esecutiva dell’edilizia romana. Infatti, attraverso la lettura dei procedimenti costruttivi, adottati per la realizzazione dei setti, è possibile valutare come i Romani si sono orientati verso la massima efficienza produttiva anche in ragione della vastità di interventi che hanno caratterizzato la storia dell’antica Roma, sia nell’ambito della Capitale che nei territori delle province. Le tipologie murarie usate in epoca romana prendevano il nome dal materiale e dal sistema di tessitura dell’involucro. Le prime forme murarie furono l’opus siliceum e l’opus quadratum, a struttura omogenea, cioè realizzate interamente in pietra. Le murature romane costruite prima del III secolo a.C. erano tutte in pietra. La tecnica muraria subì una profonda trasformazione a partire dal III secolo a.C., con l’introduzione dell’opus caementicium. 19
  • 20. OPUS SILICEUM Tale struttura muraria era comune presso le culture arcaiche. Definita anche come opera muraria poligonale, ciclopico, pelagico, tirinzio. L’opera poligonale vera e propria è fra le tecniche più diffuse nella Grecia continentale, soprattutto Attica, Peloponneso ed Acarnania, dal V al III secolo a.C. Caratteristico della civiltà italica, di poco anteriore a quella romana, l’opus poligonale si fa oscillare tra il VI ed il I sec. a.C. Infatti, è stata una muratura usata dai Romani sin dai primi decenni del VI secolo a.C. Veniva realizzato con grossi blocchi di pietra, in genere calcare o selce, più o meno regolarmente sagomati in modo da assumere configurazioni poligonali e da essere tra loro correlati, sovrapposti a secco, senza l’uso di malta. Era usato per mura di città (cinte difensive), castelli e cittadelle, basamenti, podi di templi, strade, terrazzamenti per ville, sepolcri, cisterne, torri, ecc. 20
  • 21. Le varietà tipologiche sono numerose ed in parte rispondenti ad una evoluzione cronologica; tra esse si possono distinguere 4 diverse maniere costruttive: 1. a massi informi 2. a poligoni irregolari 3. a poligoni regolari 4. a trapezi. 21
  • 22. 1. Opus siliceum a massi informi E’ un’opera muraria elementare, vicina alle forme megalitiche o ciclopiche, presenta massi grezzi e posti alla rinfusa con la chiusura degli interstizi fatta con sassi di piccole dimensioni. E’ stata impiegata nel VI secolo a.C. Alcuni esempi: Populonia, mura; Cortona, mura; Preneste (Palestrina), acropoli; Anxur (Terracina), mura; Cirecel (Circeo), mura; Himera (Termini imprese), fortificazioni; Corniculum (Montecelio), terrazzamenti. 22
  • 23. 2. Opus siliceum a poligoni irregolari E’ un’opera muraria costituita da massi sgrossati in forma di poligoni irregolari con bugnato rustico, sovrapposti con maggior cura e con gli interstizi accuratamente chiusi con scaglie. E’ stata impiegata nel V-VI secolo a.C. Alcuni esempi: Populonia, mura; Vetulonia, mura; Spoleto, mura; Cori, terrazzamenti; Sulmona, mura, ecc. 23
  • 24. 3. Opus siliceum a poligoni regolari I massi si presentano incastrati gli uni agli altri, in forma di poligoni regolari con fronte levigata e giunture esattamente combacianti. E’ stato impiegato tra il III-I secolo a.C. 24
  • 25. 4. Opus siliceum a trapezi I massi si presentano in forma di trapezi con due lati paralleli con tendenza a costituire piani orizzontali. E’ stata impiegata tra il III-I secolo a.C. 25
  • 26. OPUS QUADRATUM Si indica in questo modo: 1. sia il muro interamente costruito con blocchi di pietra parallelepipedi più o meno perfettamente squadrati, disposti a secco su assise orizzontali; 2. sia il semplice paramento di lastre rettangolari o quadrate. Infatti l’opus quadratum venne usato dai Romani anche come paramento di murature in pietrame informe o in calcestruzzo. Era la tecnica comunemente usata dai Greci per l’architettura monumentale, e anche per le cinte murarie, dal V sec. a.C., nel tipo pseudoisodomo, poi isodomo. In Italia si diffuse dall’età arcaica nell’area estrusca (mura urbane, tombe, fondazioni) impiegando il tufo locale di facile lavorazione. Dall’età ellenistica fu introdotto nell’architettura monumentale romana ma, più che per l’intera struttura muraria, per il solo rivestimento (travertino o marmo). 26
  • 27. La notevole diffusione dell’opus quadratum fu determinata dalla frequente reperibilità della pietra, come materiale base, e dalla notevole disponibilità di soluzioni adottabili che, per quanto riguarda le modalità compositive, sono definite:  isodoma: se la soluzione risulta dalla disposizione, su ricorsi sovrapposti, di blocchi aventi le stesse dimensioni (C);  pseudoisodoma: se la soluzione è conseguente alla disposizione, su ricorsi sovrapposti, di blocchi lapidei parallelepipedi aventi dimensioni non sempre unificate così da determinare altezze diverse dei filari (D); Le murature di questo tipo potevano anche presentare diatoni (conci posti per testa) alternati ad ortostati (conci posti per lunghezza): si possono avere filari costituiti da diatoni e ortostati mescolati secondo un certo ordine, oppure filari di singoli diatoni sovrapposti a filari di singoli orstostati (A-B). I blocchi erano il più possibile uguali tra loro, per questo motivo, pratici da usare. 27
  • 28. L’opus quadratum caratterizza 3 diverse maniere che rispecchiano 3 diverse culture: quella Etrusca, quella Greca e quella Romana; di quest’ultima poi se ne può seguire l’evoluzione cronologica attraverso 7 differenti periodi. 28
  • 30. 30
  • 31. 31
  • 32. OPUS CAEMENTICIUM I romani furono molto attenti alla realizzazione delle murature composte, sperimentando diverse tecniche che utilizzarono in maniera molto artistica. Dopo aver inventato la malta pozzolanica, il principio delle loro murature ad un certo punto cambiò e cominciò a basarsi sulla realizzazione dei cosiddetti muri a sacco. A partire dal II secolo a.C., si sviluppò l’uso dell’opus caementicium, realizzato utilizzando un conglomerato costituito da un impasto di malta e frammenti di pietra che veniva gettato in “casseformi” di legno per assumernene la forma: rottami di pietra e mattone (30-50mm) venivano conficcati a mano nella malta colata nei casseri, e venivano costipati con una mazza di ferro. I “cementa” (inerti) potevano essere di calcare, tufo, lava, selce, travertino, laterizio, materiale fittile, marmo. La malta delle prime fasi era scadente, con pozzolana terrosa e calce di scarsa qualità. In un secondo tempo la malta divenne di migliore qualità: malta granulosa e impastata con ottima pozzolana grigia; calce bianca derivata dalla combustione del marmo. I caementa erano di materiale fittile, marmo e travertino, raggiungendo un’ottima connessione tra malta e cementa. 32
  • 33. Opus caementicium per fondazioni in casseforme lignee 33
  • 34. Paramento Oppure, per costruire un muro, il calcestruzzo era in genere colato tra due paramenti, cioè due pareti di mattoni o di pietra che formavano la superficie esterna (spesso intonacata). A seconda del paramento si distinguono diverse tecniche edilizie. Il muro, in pratica, aveva:  un’anima interna fatta di malta fatta di pozzolana e lapilli, calce, acqua, sabbia, inerti  due facce esterne realizzate con materiali vari, che costituivano il paramento a vista. 34
  • 35. L’opus caementicium, applicato inizialmente verso la fine del III secolo a.C., si diffuse progressivamente in tutto l’impero romano sia per la notevole efficienza esecutiva che per la sua disponibilità ad essere applicata anche alle nelle costruzioni ad ossatura arcuata, di grande superficie. Inoltre, l’opus caementicium presenta una notevole flessibilità costruttiva per quanto riguarda, in particolare, la costituzione dei paramenti; flessibilità che consentiva, tra l’altro, di adattare le scelte alle risorse disponibili, nei tempi e nei luoghi, e agli intendimenti progettuali. 35
  • 36. In base alla tecnica di realizzazione e ai materiali impiegati per i paramenti, le murature dei Romani prendono i diversi nomi:  opus incertum, se il paramento era realizzato con elementi lapidei di forma non regolare;  opus quasi reticulatum, è un tessuto di blocchetti di tufo molto irregolari a forma di cuneo a base quadrata, che creano una trama a forma di rete.  opus reticulatum, se il paramento era realizzato con cubetti di porfido, dalla forma approssimativamente tronco-conica, che erano messi in posizione rombica;  opus testaceum o latericium, se era realizzato con mattoni, i quali erano tagliati a metà lungo la diagonale e di forma triangolare erano inseriti di spigolo nel muro;  opus mixtum o listatum, se il paramento si componeva di più tecniche diverse.  Opus vittatum,  Opus spicatum,  Opus craticium,  Opus africanum, 36
  • 37. 37
  • 38. OPUS INCERTUM La muratura in opus incertum, risultante da paramenti realizzati con pietre di piccole dimensioni e prive di forma regolare (tufelli), è la più antica tra quelle riguardanti l’opus caementicium e, per specifiche destinazioni, ha richiesto l’applicazioni di intonaco o di rivestimenti diversi per regolarizzare le superfici. Di tale apparecchio murario si possono distinguere tre diversi periodi cronologici: I periodo: massi posti in opera come venivano dalla cava, disponendone in facciata il lato piano. Malta in genere povera e terrosa ma abbondante per colmare gli spazi vuoti tra i cementa a volte vistosi. II periodo: si manifesta un più accurato livellamento della superficie esterna oltre a minore e migliorata qualità della malta. III periodo: si riconosce generalmente per la cura particolare nella scelta dei materiali, in relazione ai luoghi, da collocare in facciata e porre in opera; esecuzione a disegno anche se poi sarà intonacato. La malta è ottima e sottile. 38
  • 39. 39
  • 40. OPUS INCERTUM : VILLA SUBURBANA A POMPEI 40
  • 42. 42
  • 43. OPUS QUASI RETICULATUM Opera muraria realizzata all’interno in opus caementicium e con paramento a blocchetti di pietra squadrata (cubilia), spesso di forma diversa, messi in opera in file inclinate assai irregolari. I blocchetti squadrati erano, in genere, di tufo o di pietra, ed erano spesso usati in forma tronco piramidale come paramento anche stradale. Questa muratura segna il passaggio dall’opus incertum all’opus reticulatum, passaggi che, come spesso avviene nell’evoluzione edilizia, non è stato netto e radicale: in questo caso i paramenti sono costituiti da elementi lapidei che hanno una configurazione che può essere considerata intermedia tra quella irregolare dell’opus incertum e quella regolare e ed unificata dell’opus reticulatum. 43
  • 45. OPUS RETICULATUM Paramento dell'opus caementicium (nucleo murario di spezzoni lapidei, sabbia e calce), composto da piccoli blocchi di pietra, prevalentemente calcarea o tufacea, di forma troncopiramidale (cubilia) a base piana quadrata in facciata; i lati dei cubilia sono orientati diagonalmente di 45°rispetto al piano orizzontale e sono tenuti assieme da malta. Le ragioni fondamentali dell’adozione dell’opus reticulatum vanno ricercate, oltre che nella validità percettiva del paramento qualora lasciato a vista, anche nella necessità di unificare la forma e le dimensioni degli elementi generatori in modo da concentrarne la produzione e da razionalizzare la posa secondo allineamenti diagonali il cui controllo esecutivo è meno difficoltoso rispetto a quelli con allineamenti orizzontali. A conferma di tale ipotesi sussiste il fatto che l’opus reticulatum è stato adottato in pochi ambiti territoriali localizzati prevalentemente nell’Italia centrale e meridionale dove potevano essere rispettate le condizioni fondamentali per rendere conveniente la 45
  • 46. standardizzazione nell’ambito di una produzione centralizzata, condizioni riguardanti: - la possibilità di utilizzare una consistente quantità di mano d’opera non qualificata per la produzione ripetitiva dei blocchetti; - la garanzia di una diffusa applicazione del procedimento costruttivo e, di conseguenza, un’ ampia utilizzazione del prodotto; - la vasta reperibilità di materiali, come il tufo o la pietra tenera, facilmente lavorabili. Un tipo di opus reticulatum particolare è quello bicromo, realizzato con l’applicazione di cubilia di diverso colore, con configurazioni particolarmente apprezzabili sotto il profilo della percezione visiva. OPUS RETICULATUM (POMPEI) 46
  • 48. OPUS TESTACEUM O LATERICIUM Alla fine della repubblica, nel I secolo a.C., l'uso delle tegole e dei mattoni sostituisce quello dei blocchetti di tufo. L'uso di bollare i mattoni con il marchio di fabbrica costituisce per l'archeologo un grosso aiuto, perché gli permette di datare gli edifici. Proprio i bolli laterizi ci danno le date della ricostruzione del Pantheon ad opera di Adriano. L'uso dei mattoni si chiama opus latericium o testaceum. Questo ci spiega il nome di Testaccio, uno dei più popolosi quartieri romani: è la collina dei cocci, un rialzo artificiale di una trentina di metri tutto fatto dei detriti delle anfore che contenevano i prodotti importati in città. 48
  • 49. Stampo per mattoni dalla fabbrica di C. Julius Stephanus 49
  • 50. L’opus testaceum a volte è chiamato anche opus latericium: ciò però non è proprio corretto. L’opus latericium era una muratura realizzata interamente di mattoni, “structura laterizia”, essiccati all’aria (lateres crudi). L’opus testaceum, invece, indica il semplice paramento dell’opus caementicium realizzato con mattoni cotti – testae o lateres cocti. A Roma questo paramento fa la sua comparsa soltanto dalla metà del I sec. a.C., con l’impiego iniziale di tegole rotte, poi di mattoni via via migliori. 50
  • 51. Questa opera muraria rappresenta la più compiuta espressione dell’opus caementicium in quanto i mattoni stessi:  Potevano essere prodotti con maggiore velocità a costi minori rispetto agli elementi costruttivi, come quelli in pietra;  Per le dimensioni e la regolarità geometrica che li caratterizza, potevano essere collocati in opera con oneri esecutivi certamente inferiori a quelli necessari per altri procedimenti;  Per la maggiore estensione dei giunti di connessione, garantivano una migliore stabilità costruttiva durante il getto del nucleo in calcestruzzo e una più efficace correlazione tra tutti gli elementi che concorrevano a generare l’opera muraria;  Per le diverse conformazioni e dimensioni acqusibili in fase produttiva, potevano essere composti in modo da determinare una notevole variabilità nella configurazione del paramento;  Per la possibilità offerta dalle modalità produttive che, variandola genesi organica e/o la temperatura di cottura, potevano acquisire colori diversi così da determinare la possibilità realizzare composizioni variabili anche sotto il profilo cromatico. Sotto il profilo geometrico-dimensionale i mattoni usati, anche per la realizzazione dei setti, sono stati:  bessales  sesquipedales  bipedales  mattoni divisi in triangoli e rettangoli. 51
  • 52. I giunti erano accuratamente raboccati con un leggero strato di malta più fine e lenta, “lisciatura”, data all’intero paramento per formare una parete ben levigata al punto che la distinzione tra mattone e malta è data solo dal colore. Tale lisciatura dei letti di malta si può presentare:  a “scivolo”, per lasciare in vista l’orlo superiore del mattone;  “concava”, III e IV secolo a.C.  a “doppia inclinazione” in presenza di letti di malta molto alti;  a “sottosquadro” per lasciare in vista l’orlo inferiore dei mattoni. . 52
  • 53. O P U S T E S T A C E U M : IN S U L A A O S TI A 53
  • 54. OPUS TESTACEUM ALL’ESTERNO OPUS MIXTUM ALL’INTERNO 54
  • 56. OPUS MIXTUM O LISTATUM E’ un paramento dell’opus caementicium, costituito dall’alternanza di opus reticulatum o opus incertum e opus testaceum. In questo caso il paramento è realizzato tramite elementi in pietra e in mattoni disposti lungo ricorsi orizzontali a fasce alternate di altezza variabile Può presentarsi in due modi fondamentalmente: 1. alti strati di reticulatum interrotti da sottili fasce laterizie: opus mixtum di reticulatum e testaceum;; 2. riquadri di reticulatum entro cornici di laterizio con o senza ammorsature: opus mixtum di incertum e testaceum. In alcuni casi si è potuto constatare che l’altezza e l’alternanza dei ricorsi era dimensionata in modo tale far corrispondere i ricorsi stessi ad una giornata lavorativa e/o alla progressiva predisposizione dei ripiani costituenti le impalcature. 56
  • 57. La diversa natura dei materiali non garantisce l’uniforme curabilità del paramento; in particolare il materiale dei ricorsi lapidei si dimostra suscettibile ad una maggiore degradabilità rispetto a quelli in laterizio. O P U S M IX T U M DI R E TI C U L A TUM E TESTACEUM 57
  • 58. OPUS MIXTUM DI RETICULATUM E TESTACEUM 58
  • 59. OPUS MIXTUM DI RETICULATUM E TESTACEUM 59
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  • 61. OPUS MIXTUM DI RETICULATUM E TESTACEUM (OSTIA) OPUS MIXTUM DI RETICULATUM E TESTACEUM DI TUFO E MATTONI 61
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  • 63. OPUS VITTATUM L’opus vittadum rientra tra i procedimenti in opus caementicium. E’ realizzato con blocchetti quadrangolari di pietra, disposti su ricorsi orizzontali e correlati tramite malta, hanno dimensioni comprese tra i 10 e i 12 cm in altezza e tra i 10 e i 20 cm in lunghezza. Questo paramento era, quindi, composto di blocchetti lapidei disposti in filari orizzontali simili a bende (vittae). In alcune regioni non era usato da solo ma come completamento dell'opus incertum e reticulatum. Poiché a volte i filari lapidei possono essere alternati a strati o fasce di mattoni tale opera è detta anche listata e ad essa sono riferiti genericamente paramenti con alternanza di filari in pietra e in mattoni. Nei casi in cui il paramento era lasciato a faccia vista, veniva posta maggiore attenzione sia nella produzione di blocchetti, più regolari, che nella posa in opera con giunti di minore spessore e correttamente allineati; questo fino ad effettuare una stilatura dei giunti in modo da “mascherare” le eventuali imperfezioni dei blocchetti. 63
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  • 67. OPUS SPICATUM Paramento, oltre che pavimento, fatto con piccoli mattoni, disposti a coltello e formanti un disegno a spina di pesce. Come paramento viene usato soprattutto nelle regioni galliche. Come pavimento era particolarmente usato per cortili, terrazze e magazzini. 67
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  • 72. OPUS CRATICIUM Sotto il profilo costruttivo questa opera muraria presentava una struttura lignea riempita a sacco con pietra, scapoli, mattoni, ecc., impastati con argilla e paglia, poi intonacata. Sostanzialmente, l’opera muraria presentava una intelaiatura in legno a svecchiature quadrangolari che erano riempite con materiali diversi come l’argilla e pietrame di piccola pezzatura e di ridotto peso specifico; questo anche in base alla possibilità di reperimento dei materiali nei luoghi di utilizzo. Un rivestimento o, più frequentemente, un intonaco rivestivano l’opera muraria sulle du facce esposte. Per gli attributi che lo qualificavano, come la limitata consistenza dello spessore e del peso proprio, l’opus craticium è stato usato generalmente per la costruzione delle partizioni interne o dei tamponamenti esterni dei piani superiori. Nelle scarse applicazioni riguardanti il piano terra, tale opera muraria comprendeva un basamento in pietrame che consentiva di risolvere alcuni problemi legati alla ridotta curabilità del legno e alla suscettibilità all’acqua di alcuni materiali di riempimento. Questo tipo di struttura muraria divenne più comune nell’edilizia medievale con altre applicazioni nei secoli a venire. 72
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  • 75. CASA IN OPUS CRATICIUM A ERCOLANO 75
  • 76. OPUS AFRICANUM E’ un’opera muraria da considerare assimilabile all’opus craticium, solo che a differenza di quest’ultima presenta un telaio lapideo anziché ligneo. E’ costituita di grandi blocchi lapidei disposti verticalmente ed orizzontalmente; gli spazi vuoti tra tali blocchi venivano poi riempiti di materiale vario. La struttura così determinata, suggerisce una tessitura a “telaio”, assai vicina all’opus craticium. Questa tecnica di costruzione è detta Opus Africanum in quanto è ritenuta originaria dell’Africa settentrionale e, successivamente, introdotta dai Cartaginesi in Sicilia e in altri luoghi dell’italia meridionale. Il relativo procedimento era basato:  sulla realizzazione di piedritti generati da blocchi lapidei disposti alternativamente in orizzontale e in verticale;  sulla formazione di un riempimento con pietre, sempre squadrate,, ma di piccole dimensioni in quanto più facilmente reperibili. 76
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