2. Una nazione divisa tra imperi
All’interno dell’Impero russo l’odierna Ucraina risultava divisa fra la Piccola Russia (i governatorati di
Kiev, Char’kov, Poltava e Černigov), la Russia Meridionale (i governatorati di Ekaterinoslav, Cherson,
Tauride e parte della Bessarabia) e la Russia Occidentale (i governatorati di Volinia e Podolia).
Gli ucraini sudditi dell’Impero austroungarico erano detti ruteni ed erano divisi fra il Regno di Galizia e
Lodomiria, la Bucovina e l’Ungheria.
Sotto gli zar la popolazione ucraina non ottenne mai la libertà e le autonomie promesse; addirittura,
nell’ultimo periodo, il regime zarista portò avanti una politica di russificazione delle terre ucraine,
sopprimendo l’uso della lingua nella stampa e in pubblico. Nell’impero asburgico vi era invece
maggiore tolleranza per i ruteni.
Tra fine ’800 e i primi del ’900 l’Ucraina divenne il “granaio d’Europa” e Odessa, porto d’imbarco del
grano, era la più grande città ucraina e la quarta dell’Impero russo. Kiev e Kharkov erano divenuti
importanti centri dell’industria tessile. Leopoli era invece la quarta città dell’Impero austroungarico.
4. Dalla rivoluzione russa all’URSS
Fra il 1917 e il 1922, in seguito alla Rivoluzione Russa, vi fu un lungo periodo di guerra civile e di anarchia con
continui cambi di fazioni al potere. Questo periodo fu caratterizzato dall’esistenza di più entità statali separate:
nei territori austroungarici di lingua ucraina fu proclamata la Repubblica Nazionale dell’Ucraina
occidentale;
nell’area appartenuta all’Impero zarista si combatterono la Repubblica Popolare Ucraina con capitale Kiev
e la Repubblica Socialista Sovietica Ucraina con capitale Charkov.
La Pace di Riga pose fine a un periodo di aspre lotte e assegnò la Galizia e la Volinia alla Polonia, mentre i
sovietici ottennero il resto del paese. Nel 1922 l’Ucraina entrò ufficialmente a far parte dell’URSS come
Repubblica Socialista Sovietica Ucraina.
I territori di lingua rutena dell’Impero Austro-ungarico, dopo l’esperienza effimera delle repubbliche
indipendenti (Repubblica di Lemko-Rusyn, Repubblica huzula), furono divisi fra: Polonia (attuali Oblast’ di
Leopoli, Volinia, Rovno, Ivano-Frankivs’k, e Tarnopol), Cecoslovacchia (Oblast’ di Transcarpazia) e Romania
(l’odierno Oblast’ di Černivci). Questi territori furono assegnati all’Ucraina (e quindi all’URSS) solo dopo la
Seconda guerra mondiale.
5. L’Ucraina nell’era sovietica
Fra il 1929 e il 1933 la collettivizzazione forzata della terra
voluta da Stalin provocò una grave carestia e la morte per fame
di milioni di persone (non esistono dati certi ma stime che
oscillano tra i 3 e i 7 milioni di vittime). Questa tragedia è
passata alla storia come Holodomor. L'evento è considerato un
genocidio dall’Ucraina e un crimine contro l’umanità da parte del
Parlamento europeo, ONU e altri enti internazionali.
Fra il 1941 ed il 1944 l’Ucraina fu occupata dalle forze dell’Asse
nell’ambito della campagna di Russia. Anche in conseguenza
dell’Holodomor si comprende perché parte della popolazione
ucraina era apertamente antisovietica (oltre 30.000 ucraini si
arruolarono nelle Waffen-SS in funzione antibolscevica e
antirussa). In questo contesto si inserì anche l’attività
nazionalista e indipendentista dell’Esercito Insurrezionale
Ucraino contro l’Armata Rossa.
Poster commemorativo dell’Holodomor
6. Nel 1954, durante la presidenza di Nikita Chruščëv, per celebrare i “300 anni di amicizia tra Ucraina e
Russia” (fatti coincidere con l’anniversario del trattato di Perejaslav del 1654), l’URSS decise di annettere
la Crimea all’Ucraina, togliendola alla Federazione Russa.
Nel periodo sovietico si ebbe un grande sviluppo industriale nel bacino carbonifero del Donbass e ciò
spostò l’equilibrio economico dell’Ucraina a favore delle aree più orientali e russofone.
Il 24 agosto 1991 l’Ucraina si rese indipendente dall’URSS e si dichiarò uno Stato neutrale, formando una
limitata associazione militare con la Russia e altre nazioni della Comunità degli Stati Indipendenti (CSI),
stabilendo anche un partenariato per la pace con la NATO nel 1994.
8. La Russia di Putin
La Federazione Russa è una repubblica semipresidenziale federale sorta sulle ceneri dell’URSS.
Boris Eltsin (1931-2007) fu il primo presidente eletto della Russia nel giugno 1991.
Dopo la dissoluzione sovietica furono intraprese riforme tra cui la privatizzazione del settore pubblico e
l’apertura al libero mercato, che però determinarono una grave crisi economica che portò al collasso dei
servizi sociali: milioni di persone furono ridotte in miseria (da un tasso di povertà dell’1,5% in epoca tardo
sovietica, si passò al 39-49% entro la metà del 1993).
Gli anni novanta videro una corruzione estrema e il dilagare di un’illegalità senza freni, l’aumento di bande
criminali e dei crimini violenti.
Il 16 agosto 1999 Vladimir Putin fu nominato a Primo ministro.
Laureato in diritto internazionale alla Facoltà di Legge dell’Università Statale di Leningrado nel 1975,
membro del Partito Comunista sovietico, fu arruolato alla fine degli studi nel KGB.
Il 31 dicembre 1999 Eltsin rassegnò le dimissioni e, come previsto dalla Costituzione, Putin divenne
presidente ad interim della Federazione. Alle elezioni presidenziali del 26 marzo 2000 vinse alla prima
tornata e il 14 marzo 2004 venne rieletto per un secondo mandato, con il 71% dei voti.
9. Dal 2008 al 2012 Putin tornò alla carica di Primo ministro, mentre il suo fedelissimo Dmitrij Medvedev lo
sostituì al Cremlino. Il 4 marzo 2012 venne eletto per la terza volta presidente della Russia (con il mandato che
crebbe da 4 a 6 anni). Il 18 marzo 2018 è stato eletto per la quarta volta. Nel corso degli anni Putin è stato
accusato di essersi dimostrato un politico autoritario e oligarchico, con tratti dittatoriali (intimidendo o soffocando
ogni forma di dissenso interno), oltre che di aver favorito, se non addirittura ordinato, omicidi di dissidenti.
Nel dicembre 2007 la Russia rigettò il trattato contro la proliferazione di armi convenzionali in Europa,
aumentando il budget per la produzione di armamenti e, nell’ultimo decennio, ha progressivamente manifestato
la propria contrarietà dell’allargamento della NATO verso est.
Bandiera della Federazione Russa Insegna nazionale Il presidente Putin
10. Indipendenza dell’Ucraina
L’Ucraina, resasi indipendente dall’URSS il 24 agosto 1991, è una repubblica semi-presidenziale.
Primo presidente dell'Ucraina indipendente, ed esponente autorevole del processo che condusse
all'indipendenza del proprio paese, fu Leonid Kravčuk (presidente dal 1991 al 1994).
Attuale presidente, in carica dal 20 maggio 2019, è Volodymyr Zelenskyj.
Bandiera dell’Ucraina Bandiera presidenziale Il presidente Zelenskyj
12. Un Paese in cerca di stabilità
A partire dal 1990 si sono registrate tre rivoluzioni in Ucraina:
La rivoluzione sul granito nell’ottobre del 1990. Gli studenti protestarono contro il regime sovietico
chiedendo libere elezioni. Sono le premesse dell’indipendenza ucraina, avvenuta nel 1991.
La rivoluzione arancione del 2004. Proteste anti russe in seguito ai brogli elettorali e
all’avvelenamento del candidato Viktor Juščenko. Il Cremlino riuscì comunque a far eleggere il filo-
russo Viktor Janukovič ma l’evidenza dei brogli elettorali portarono poi all’elezione di Juščenko
come presidente dell’Ucraina dal 2005 al 2010.
La Rivoluzione della dignità o l’Euromajdan, nel novembre 2013 – febbraio 2014. Manifestazioni
pro europee, dopo la sospensione dell’accordo di libero scambio tra Ucraina e UE. Le proteste
sfociarono nella fuga e nella messa in stato di accusa del presidente ucraino filo-russo Janukovič.
La reazione di Putin fu l’annessione della Crimea e l’appoggio dei separatisti russi del Donbass, in
Ucraina orientale, in una guerra a bassa intensità che perdura da allora e ha causato 14.000 morti.
13. L’antefatto 1: l’Euromajdan e fuga di Janukovič
Dopo una prima rivoluzione (la cosiddetta “rivoluzione arancione” del 2004), l'Ucraina aveva vissuto anni di corruzione,
cattiva gestione, mancanza di crescita economica, svalutazione della moneta e incapacità di ottenere finanziamenti dai
mercati pubblici. Per questa ragione il presidente Viktor Janukovič cercò di stabilire relazioni più strette con l’Unione
europea e la Russia al fine di attrarre i capitali necessari per un miglioramento delle finanze ucraine. Una di queste misure
fu un accordo di associazione con l’UE, che avrebbe fornito all’Ucraina fondi contingenti per diverse riforme e, al contempo,
fortemente ridotto i suoi legami economici con la Russia. Janukovič in un primo momento sembrò accettare l’accordo con
l’UE ma alla fine si rifiutò di firmarlo, considerandolo troppo austero e dannoso per l’Ucraina.
Janukovič firmò invece un trattato con la Russia e, dal 21 novembre 2013, si scatenarono disordini civili a Kiev con violenti
scontri tra manifestanti e forze dell’ordine fino al febbraio 2014. Queste sommosse, volte a un re-indirizzamento della
politica nazionale in direzione filo-occidentale, sono divenute note come Euromajdan (letteralmente “Europiazza”)
Il 20 febbraio fu il giorno più sanguinoso della protesta: i manifestanti assaltarono i palazzi del potere marciando verso il
Palazzo del Governo e del Parlamento. La polizia per la prima volta sparò sui manifestanti causando oltre 100 morti e ben
700 feriti. Mentre le tensioni aumentavano, il 21 febbraio Janukovič fuggì dall’Ucraina.
Dopo la rivoluzione del 2014, la Russia accusò gli Stati Uniti e l’UE di finanziamento e direzione della rivoluzione, rifiutando
di riconoscere il nuovo governo ad interim, definendo la rivoluzione un colpo di Stato e, in ritorsione, prendendo il controllo
della penisola di Crimea.
14. Uno tra i motivi di protesta della popolazione ucraina durante
l’Euromajdan era costituito dal rapido accrescimento di ricchezze dei
figli e parenti prossimi di Viktor Janukovič, divenuti miliardari mentre
l'economia del Paese si indeboliva.
Il 24 febbraio 2014, pochi giorni dopo i disordini del 20 febbraio,
Janukovič divenne un ricercato, assieme ad altri ritenuti responsabili
della strage, ed emesso un mandato di arresto nei suoi confronti con
l'accusa di uccisione di massa.
Il 24 gennaio 2019 Janukovič fu condannato in contumacia dal
Tribunale di Kiev a 13 anni di carcere per alto tradimento.
Viktor Janukovič
15. L’antefatto 2: la secessione della Crimea
La penisola della Crimea si affacciata sul mar Nero ed è collegata alla terraferma solo dall'istmo di
Perekop, che la unisce alle regioni sudorientali dell'Ucraina. Dal 2018, è collegata alla Russia dal ponte di
Crimea, situato sullo stretto di Kerč’.
Il 1º marzo 2014, il presidente ucraino in esilio Janukovič scrisse a Putin per richiedere l’intervento di forze
militari russe «per stabilire la legittimità, la pace, la legge e l'ordine, la stabilità e difendere il popolo
ucraino». Lo stesso giorno, Putin chiese e ottenne l’autorizzazione da parte del parlamento russo a
schierare truppe russe in Ucraina in risposta alla crisi. Le truppe russe, di stanza in Crimea, di
conseguenza furono mobilitate ed entro il 2 marzo avevano il completo controllo della penisola.
Questo territorio apparterrebbe ancora de iure all’Ucraina (come “Repubblica autonoma di Crimea”) ma,
dopo l'ingresso delle truppe russe nel 2014, la penisola è stata annessa dalla Federazione Russa (come
“Repubblica di Crimea”) a seguito del referendum del 16 marzo (che vide un'affluenza della popolazione
pari all’84,2% e il 95,32% di favorevoli all’annessione).
Questo referendum è stato definito illegale da ONU, Unione europea, Stati Uniti d'America, OSCE
(Organizzazione per la Sicurezza e Cooperazione in Europa), Consiglio d'Europa e dalla stessa Ucraina.
16. L’antefatto 3: la strage di Odessa
Mentre nel Donbass la situazione stava precipitando, anche a Odessa si registrarono gravi disordini.
La destituzione di Janukovič e il cambio di governo provocò la reazione di una parte della popolazione
ucraina contraria alla svolta filo-occidentale (tra cui i membri del Partito Comunista ucraino) e il 2
maggio 2014 si ebbero anche a Odessa scontri di piazza tra le fazioni contrapposte.
In conseguenza dei tafferugli di piazza i manifestanti antigovernativi filo-russi si rifugiarono nella Casa
dei Sindacati. Questi vennero seguiti e aggrediti all’interno dell’edificio dai sostenitori di Euromajdan e
dai militanti di estrema destra (neonazisti e ultranazionalisti ucraini) che, successivamente,
circondarono l’edificio e appiccarono il fuoco.
Nel rogo, preceduto e seguito da linciaggi e violenze, trovarono la morte almeno 48 persone tra
impiegati della Casa dei Sindacati, manifestanti contrari al nuovo governo, o favorevoli al separatismo,
simpatizzanti filo-russi e membri di partiti di estrema sinistra.
Il nuovo governo provvisorio ucraino si limitò a definire l’incendio e la strage come «una fatalità». Ad
oggi non è mai stato intentato alcun processo per individuare e punire i responsabili.
19. Le radici del conflitto: la guerra del Donbass
La guerra dell’Ucraina orientale o guerra del Donbass, inizialmente indicata come rivolta (o crisi)
dell’Ucraina orientale, ha avuto inizio il 6 aprile 2014 quando alcuni manifestanti armati si impadronirono di
alcuni palazzi governativi nelle regioni di Doneck, Lugansk e Charkiv. Solo un mese prima le autorità della
Crimea avevano annunciato anch’esse l’indipendenza dall’Ucraina e avevano formalizzato l’adesione alla
Federazione Russa.
I separatisti del Donbass, volendo emulare la Crimea, chiesero anch’essi un referendum per l’indipendenza
che però venne negato dall’Ucraina. Il referendum si tenne comunque l’11 maggio 2014 e, in virtù del
risultato, la Repubblica Popolare di Doneck e la Repubblica Popolare di Lugansk proclamarono la loro
indipendenza, riuscendo a prendere il controllo di parte dei rispettivi Oblast’.
Le ostilità tra le due parti esplosero e il conflitto si estese a tutto il territorio del Donbass con scontri violenti
in numerose città.
Tra il 22 e il 25 agosto, la NATO segnalò che reparti d’artiglieria e un convoglio umanitario russi erano
entrati nei territori delle due repubbliche. Dato che a livello internazionale le due repubbliche non erano
riconosciute come indipendenti l’Ucraina denunciò il fatto come una violazione della propria sovranità
nazionale.
21. Mentre era in corso il conflitto nel Donbass, il 17
luglio 2014 si verificò l’abbattimento di un volo di linea
della Malaysia Airlines (MH17), in servizio sulla rotta
fra Amsterdam e Kuala Lumpur. L’aereo venne
centrato, mentre sorvolava la zona orientale
dell’Ucraina, da un missile terra-aria Buk-TELAR
posizionato in una fattoria nelle vicinanze del villaggio
di Pervomais’kyi, in un’area all’epoca controllata dai
separatisti filo-russi. Tutti i 283 passeggeri e i 15
membri dell’equipaggio rimasero uccisi.
Zone dei
combattimenti
tra il giugno e
l’agosto 2014 e
abbattimento
del volo MH17
23. Tregua nel Donbass e trattato di Minsk
Dopo diversi tentativi inutili di tregua ed estesi colloqui, allo scopo di porre fine alla guerra del
Donbass, il 5 settembre 2014 venne raggiunto un accordo tra i contendenti, ratificato nel cosiddetto
Protocollo di Minsk, così definito perché venne firmato nella capitale della Bielorussia. Tale
documento, ratificato sotto l’egida della OSCE (Organizzazione per la Sicurezza e Cooperazione in
Europa) portò alla creazione di una zona cuscinetto smilitarizzata volta a separare le due fazioni.
Il Protocollo prevedeva un cessate il fuoco immediato, lo scambio dei prigionieri e l’impegno, da parte
dell’Ucraina, di garantire maggiori poteri alle regioni di Doneck e Lugansk. Tuttavia, nonostante abbia
portato a un’iniziale diminuzione delle ostilità, l’accordo non è stato veramente rispettato da entrambe
le parti.