2. DOVE SI COLLOCA LA PROGETTAZIONE
SOCIALE?
Si tratta di esperienze di progettazione che
nascono nell’ambito delle politiche sociali, e sono
realizzate da servizi pubblici, privati e del privato
sociale nelle seguenti aree: sociale, psicologica,
sanitaria, educativa e culturale, del tempo libero,
dell’occupazione dello sviluppo di comunità
2
3. UNA PRIMA DEFINIZIONE
Il progetto nel sociale è un dispositivo metodologico
posto in atto da attori sociali i quali, sulla base di una
previsione, identificano strategie ed azioni adeguate
al raggiungimento – in un dato tempo e in un dato
luogo – di obiettivi per i quali esistono o sono ottenibili
risorse specificamente dedicate, al fine di produrre un
cambiamento in ordine alla soluzione di problemi o
alla riduzione di disagi umanamente e socialmente
rilevanti (Sanicola 2003)
3
4. 4
La progettazione sociale tiene insieme l’elemento della
tecnicità con quello della intenzionalità.
Essa richiede una elevata tecnicità in termini di
“dettaglio ordinato”, di razionalità interna, di rigore
metodologico.
Nello stesso tempo, trattandosi di persone che
investono in persone, richiede una forte intenzionalità,
un investimento di desiderio che può, se non
assicurare, almeno permettere la mobilitazione della
intenzionalità altrui, il desiderio al cambiamento da
parte di tutti i soggetti implicati, siano essi attori o
beneficiari (Sanicola 2003).
5. BREVE STORIA DELLA PROGETTAZIONE NEL
SOCIALE (1)
Il progetto si è affacciato nello scenario dell’azione
sociale con la cooperazione internazionale, cioè
con le iniziative di aiuto nei confronti dei paesi in via
di sviluppo.
Solo in tempi più recenti, il progetto è diventato un
dispositivo metodologico proprio anche per l’azione
sociale nell’area di intervento dei soggetti e dei
servizi del welfare occidentale e ancor più del
welfare mix, cioè di quell’area che vede impegnati
una pluralità di soggetti ed una molteplicità di
risorse per fare fronte ai bisogni sociali (Sanicola
2003). 5
6. BREVE STORIA (2)
6
L’idea di lavorare per progetti fa la sua comparsa per
la prima volta nel settore sociale alla fine degli anni
settanta, periodo di piena maturazione del ciclo
espansivo del welfare, in cui si comincia a pensare
che “i progetti diventano al tempo stesso il modo di
fare e di attuare un programma (…) sono gli elementi
di traino con i quali costruire il sistema alternativo dei
servizi” (Bassanini et al., 1977)
7. BREVE STORIA (3)
7
A partire dagli anni novanta, la maggior parte delle
esperienze di promozione della programmazione in
ambito sociale sono accompagnate da indicazioni per la
stesura di progetti, e dalla richiesta di realizzare un
disegno di valutazione, o di specificare gli indicatori (di
processo e di risultato, sui quali si baserà la valutazione
del progetto. Risalgono a questo periodo le prime
esperienza di progettazione e valutazione realizzate con
rigore metodologico.
8. BREVE STORIA (4)
Seconda metà anni novanta: si sviluppa una cultura
della valutazione delle politiche pubbliche.
In ambito sociale, vengono approvate leggi importanti
(l.n. 285/1997; l.n. 40/1999, fino alla l.n. 328/2000),
che spingono verso una progettazione affiancata ad
una valutazione sistematica dei progetti sperimentali
e promozionali, legandoli a specifici piani di intervento
(locali, a livello di asl o provinciali), che sono soggetti
a finanziamento. Per questa strada, il lavoro per
progetti viene valorizzato e inserito nell’ambito della
programmazione delle politiche sociali.
8
9. BREVE STORIA (5)
In questi anni: le politiche sociali si ridefiniscono sulla
base di due principi, quello della territorialità e quello
della sussidiarietà. Tutto ciò comporta una spinta alla
esternalizzazione dei servizi, per cui gli enti locali –
che hanno la titolarità delle politiche sociali territoriali
– devono dotarsi di strumenti per valutare la qualità
degli interventi gestiti dal privato sociale. Si
sviluppano pertanto nuove funzioni valutative, che
coniugano esigenze di rendicontazione dei costi con
analisi della qualità degli interventi, cercando di
tenere presente anche il punto di vista dei cittadini
utenti e di altri stakeholder significativi (attraverso
carte dei servizi, bilanci sociali, ecc.).
9
10. BREVE STORIA (6)
Con la l.n. 328, il piano sociale diventa il principale
strumento di programmazione degli interventi sociali di un
territorio. I principali attori della pianificazione sociale e,
conseguentemente, i committenti della costruzione e
valutazione dei progetti diventano i comuni associati, che
coordinano il sistema di servizi integrati e interventi sociali
di ciascun territorio.
I piani di zona hanno il compito di promuovere progetti.
Nella pianificazione zonale i progetti rappresentano la
parte più innovativa e sperimentale delle politiche sociali
programmate, ovvero qualcosa che non c’è ancora: “essi
hanno una dimensione generativa che li differenzia dalle
altre azioni ripetitive, di tipo esecutivo, e che li caratterizza
per la ricerca di soluzioni innovative in risposta a bisogni
nuovi” (d’Angella, Orsenigo 1997).
10
11. BREVE STORIA (7)
Negli anni più recenti, la progettazione sociale ha
iniziato a svilupparsi non solo dal piano di zona, ma
anche da altri strumenti integrativi di
programmazione (contratti di quartiere, patti
territoriali, bandi europei, regionali, a cura delle
fondazioni, ecc.).
11
12. LA PROGETTAZIONE NEL SOCIALE
La progettazione non è un fatto meccanico, e può essere molto
influenzata nei suoi esiti dai fattori di contesto: “l’organizzazione
scientifica del lavoro, il funzionamento di una macchina utensile,
la realizzazione di un cantiere, la preparazione di un software.
Sono esempi di progetti particolari, basati sulla stessa logica:
tenere sotto controllo i fattori in gioco, garantire riproducibilità ai
risultati, standardizzare i processi, scomporli in multipli (le azioni)
e sottomultipli (le attività). Ma non è sempre così. (…) Se
guardiamo in natura, possiamo notare che la metodologia di
lavoro per progetti più diffusa è quella basata su codici
generativi, che autoregolano i processi vitali. Le cose sono
prevedibili, ma i margini di libertà sono consistenti. L’influenza
dei fattori di contesto è a volte decisiva. Sbaglia chi volesse
prefigurare in modo rigido il loro sviluppo. Un software è un
progetto. Anche un seme lo è, ma di natura diversa” (Istituto
degli Innocenti 1998). 12
13. LA PROGETTAZIONE NEL SOCIALE COME
ATTIVITÀ COGNITIVA
“Ogni attore che si ponga il problema dell’innovazione, o
semplicemente dell’intervento in una situazione per
modificarla, ha di fronte a sé un problema di
progettazione” (Lanzara)
Il progetto è “un possibile modo della mente di
avvicinare la realtà, coinvolgendosi attraverso processi
identificatori, di idealizzazione, e distanziandosene
attraverso la sublimazione sia per conoscere, sia per
mettere a punto ipotesi realistiche atte ad intervenire
sulle condizioni specifiche dell’esistenza. Quel modo
della mente che (…) rinuncia a difendersi attraverso
mega idealizzazioni e giudizi di valore penalizzanti
l’azione, in quanto essa non potrebbe che
disconfermare capacità realizzative individuali
sovrastimate” (Kaneklin, Olivetti Manoukian)
13
14. CARATTERISTICHE DELLA PROGETTAZIONE
SOCIALE
1. Servizi alla persona e progettazione sociale
Servizio rigido Servizio flessibile
•Centrato sulle procedure e
sui compiti che gli operatori
sono chiamati a svolgere
sulla base di mansioni
predeterminate.
•Standardizzazione degli
interventi
•Centrato sulle persone
(operatori e utenti). Il
progetto è lo strumento
privilegiato di una
organizzazione flessibile
•Coinvolgimento di operatori
(e utenti) nella progettazione
e valutazione degli interventi
14
15. 15
La flessibilità organizzativa risulta necessaria laddove non è possibile
avere ampi margini di previsione, né standardizzare le pratiche di
lavoro, né utilizzare soluzioni sperimentate in precedenza come
modelli di riferimento per il futuro.
La chiarezza delle procedure è il requisito di un’organizzazione rigida,
basata sulla ripetitività dei compiti.
Il progetto, inteso come mezzo per connettere le attività agli obiettivi e
ad una verifica, rappresenta lo strumento privilegiato di una
organizzazione flessibile.
“E’ importante, opportuno e necessario ipotizzare un’organizzazione
che permetta processi di lavoro non meccanici e lineari, ma circolari,
soggetti a continui aggiustamenti, in cui continuamente si definiscono
degli obiettivi parziali, dei programmi operativi, che si attuano, si
svolgono praticamente e si verificano: si controlla quanto si è
realizzato rispetto al punto da cui si è partiti per riformulare un altro
specifico programma operativo, che sarà svolto e poi riverificato, e
così via” (Olivetti Manoukian 1992).
16. CARATTERISTICHE DELLA PROGETTAZIONE
SOCIALE
16
2. Dimensione valoriale
Il lavoro sociale
incrocia i valori e le
credenze (le idealità,
gli affetti, le emozioni)
sia degli operatori che
dei destinatari degli
interventi
La progettazione può rappresentare il
momento in cui si esplicitano i valori, i
modelli di riferimento, le teorie che
implicitamente e talvolta
inconsapevolmente si utilizzano per
spiegare i fenomeni e si mettono a
confronto i sistemi di valori
•Mediazione tra idealità, vincoli e risorse: la progettazione si colloca
sempre nel limite, avendo a che fare con le condizioni date
•Il rischio della “ipertrofia” della dimensione valoriale: quando il bene o
servizio da produrre diventa accessorio in vista della realizzazione di
un progetto ideale
17. 17
Una caratteristica tipica dei progetti nel sociale è quella di porsi
troppo spesso delle mete assai ambiziose, obiettivi spropositati
rispetto ai tempi, alle energie a disposizione e alle concrete
possibilità di successo. È come se vi fosse una spinta
all’onnipotenza che in nome della “buona causa” porta a
sottovalutare elementi di realtà.
In casi del genere, il progetto può sviluppare motivazioni e
identificazioni, ma non orienta l’agire in base a vincoli e limiti: c’è
una idealizzazione che copre e nega, o cerca di compensare le
difficoltà di coloro che si confrontano e si scontrano con la fatica
del lavoro sociale, con le delusioni e gli insuccessi. C’è una
sottovalutazione profonda della dimensione tecnica del lavoro:
poca cura nell’identificare le strategie, i modi con cui avviare
gestire e coordinare iniziative, ed una sopravvalutazione dello
“scopo”.
18. 18
Un’altra tendenza è rappresentata dal raro riferimento
alla verifica: l’idealizzazione non si presta a verifiche
puntuali. Se il fine è ritenuto positivo e buono in sé,
perché porre e porsi interrogativi?
Articolare un progetto tra soggetti diversi, pensare alla
coerenza tra le diverse parti, significa problematizzare la
prassi e fare i conti con il limite, con la parzialità, e
questo è proprio ciò che in alcuni contesti tende ad
essere rimosso.
19. CARATTERISTICHE DELLA PROGETTAZIONE
SOCIALE
3. Presenza di professionisti
19
Relazione duale
(micro-
progettazione
relativa ad essa)
Revisione del
modo di
concepire i
servizi socio-
sanitari del
territorio (e di
intendere i
bisogni) e
sviluppo delle
équipe
pluriprofessionali
Il lavoro per
progetti richiede
un ulteriore
passaggio: la
costruzione di
reti tra équipe di
servizi diversi
(per settore di
intervento, per
tipologia, per
funzioni)
20. 20
Il case management: un gruppo di operatori condivide un
progetto con riferimento ad un caso determinato; a
prescindere da chi realizza l’intervento, il gruppo si dà
obiettivi comuni, individua un coordinatore o
responsabile del caso, si accorda sulla strategia da
seguire, sulle attività da realizzare e sui criteri di verifica.
Modalità di lavoro (quella in equipe) necessaria per
mettere a fuoco la multifattorialità dei problemi sociali.
21. 21
Nel lavoro di rete, alle difficoltà di comunicazione connesse
ai differenti saperi tecnici di cui sono portatori gli operatori, si
sommano le difficoltà legate al fatto che le organizzazioni in
gioco parlano lingue differenti. Le organizzazioni che si
occupano di progetti nel sociale esprimono logiche e culture
organizzative differenti.
23. PROGETTARE IN TEMPO DI RISORSE SCARSE
In questo momento storico, “il rischio è che al sistema di
interventi e servizi alla persona sia attribuita
esclusivamente una funzione assistenziale, sostenuta da
risorse scarse, una funzione marginale, di gestione
passiva delle condizioni più drammatiche in termini di
povertà, di non autosufficienza, o di disabilità grave, che
affianca e integra le politiche del lavoro, ma con una
differente logica, senza alcuna illusione sulla possibilità di
recuperare e integrare realmente queste aree di
popolazione. In (…) questo modo il welfare si costruisce
per scivolamento verso l’assistenzialismo (…), poiché
lascia alle politiche sociali solo lo spazio per una gestione
passiva del disagio” (Siza 2012) 23