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[progettazione urbana e territoriale]
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dicembre 2010
infinite broadway
la lunga piazza
relatore_ 									_candidata
Andrea Boschetti								Stefania Toso
correlatore_
Pierre Alain Croset
ai miei nonni
infinite broadwayinfinite broadway
La lunga piazza
INDICE
7 Manhattan: città veloce VS città lenta _01
9 La città americana _01.1
	 19 Mannahatta e il ‘gridiron plan’ _01.2
	 33 La griglia veloce: il traffico _01.3
	 41 La griglia lenta: i neighborhoods _01.4
51 Broadway: dalle origini alla pedonalizzazione _01.5
	
59 La presunta morte dello spazio pubblico americano _02
67 Storia dello spazio pubblico nello sviluppo di ‘Mannahatta’ _02.1
75 La ‘res publica’ contemporanea della Grande Mela _02.2
							 						 79 Public Space Map _02.3
81 Pocket Spaces _02.4
83 Vest Pocket Parks [Paley Park] _02.4.1
87 Community Gardens [6th Street and B Avenue Garden] _02.4.2
91 Atrii e gallerie [IBM Atrium] _02.4.3
95 Mercati [Zuccotti Market Park] _02.4.4
	 99 Neihborhood Spaces _02.5
		 	 101 Piazze aziendali [Seagram Plaza] _02.5.1
105 Parchi di quartiere [High Line] _02.5.2
		 109 Parchi giochi [Sara Roosvelt Park] _02.5.3
	
	 113 Urban Spaces _02.6
		 	 115 Piazze urbane [Union Square] _02.6.1
119 Parchi urbani [Bryant Park] _02.6.2
	
	 123 Territorial Spaces _02.7
		 125 Piazze a scala territoriale [Times Square] _02.7.1
		 129 Parchi a scala territoriale [Central Park] _02.7.2
03_ Infinite Broadway 133
03.1_ L’utopia della griglia 137
03.2_ Un’isola di isole 145
03.3_ Spazio pubblico puntiforme VS spazio pubblico continuo 153
03.4_ Una città pubblica orizzontale 173	 					 		
03.5_ Immagini dalla Broadway 205
04_ Istantanee dalla Grande Mela 213
05_ Ringraziamenti 217
06_ Riferimenti bibliografici 221
infinite broadway
La lunga piazza
infinite broadway
Manhattan:
città veloce VS
città lenta
01
la città
americana
manhattan:
città veloce VS
città lenta
la città
Manhattan: città veloce VS città lenta
11
americana
01.1
La città americana
“New York era il luogo più grandioso dell’Occidente, il cuore, il cervello,
il punto focale, la sorgente principale, il pinnacolo, l’estremità, il meglio del Nuovo Mondo”
Walt Whitman
Nell’approccio al progetto in territorio
americano è innegabile la necessità di una
conoscenza approfondita e scevra da giudizi e
schieramenti circa la cultura della pianificazione
propria del continente americano, così lontana
da quella europea.
La vera America, quella costruita a partire
dai miraggi di una democrazia totalizzante,
nasce dopo la fine del dominio inglese, la cui
rottura aprì le porte alla trasformazione
del territorio americano da messa
in scena delle volontà europee a
laboratorio per la costruzione di una
nuova società.
La griglia che venne applicata al territorio
americato, quella basata sulla teoria di Thomas
Jefferson sull’ideale del quadrato di un miglio
di lato, frutto della Land Ordinance del 1785,
divenne la base per la crescita delle più grandi
megalopoli d ‘America.
Questa griglia, essenzialmente rurale, diventò
anche urbana nel momento in cui avvenivano
al suo interno suddivisioni tali da renderla un
tessuto più fitto e complesso. Nei decenni
molte città nacquero inoltre dal ripensamento
e della rimodificazione del modello originale,
attravreso mutazioni e traslazioni che fanno
parte di un processo di riscrittura della
griglia stessa ancora senza fine.
Il salto di scala di queste grandi città americane
avenne nel momento in cui dalla città pianificata
sulla base della griglia bidimensionale si compì il
salto in altezza, ovvero quando la sezione della
città divenne indipendente dalla sua pianta:
nacque la città dei grattacieli.
Questa mutazione, resa possibile
dall’introduzione nel mondo architettonico
delle strutture in acciaio e dall’invenzione
dell’ascensore, diede vita a edifici come
soggetti indipendenti, specie nella
città di New York, pronti a divenire
tra di loro antagonisti, in un’anarchia
dell’individualismo, logica ben lontana dai
principi europei degli edifici inseriti nei contesti
degli isolati e dei tessuti esistenti.
La struttura urbana del grattacielo ad
ogni modo non coinvolse solamente
la città e il contesto circostante, ma
influenzò anche i sobborghi della
middle class, che all’improvviso si riempì
di tutte quelle funzioni e quegli spazi che non
potevano coesistere con la città dei grattacieli.
La città americana è molto cambiata rispetto
alla situazione precedente la Seconda Guerra
Mondiale e, mentre solo cinquant’anni fa era
molto più vicina al modello europeo, oggi se ne
distacca completamente. Furono le città dell’est
a trascinare anche le città della costa ovest in un
turbine di grattacieli, abbandonando gli isolati
compatti in stile europeo.
Il cambiamento avvenuto nella configurazione
urbana, causato dal processo di
suburubanizzazione avvenuto dopo la
guerra, stabilì un nuovo tipo di tessuto, più
casuale e disperso, come una vera e propria
regola e non come un’eccezione.
New York è in fondo la città che più manifesta
questo atteggiamento: gli edifici costruiti negli
ultimi anni, infatti, riflettono la tendenza
verso una progettazione consolatoria
rispetto a ragionamenti di carattere sociale e di
rapporto con il contesto e il marciapiede.
Inoltre, le strade, al contrario del ruolo
secondario che possiedono all’interno della
città europea rispetto alla piazza, divengono in
America gli spazi pubblici dominanti.
In Europa, le strade tendono a diventare degli
spazi, mentre in America esse divengono
semplicemente i vuoti di separazione
tra gli edifici, i pieni cioè della città.
12
la città
La maggiore differenza riscontrabile tra la città
americana e quella europea è costituita dalla
distanza che si stabilisce tra il piano
per la città e gli edifici e nella relazione
tra gli edifici stessi.
Nella città americana infatti gli edifici non sono
quasi mai legati al piano della città e sono spesso
indipendenti tra di loro.
La città suburbana, nel tentativo di
esprimere un attaccamento alla dimensione
orizzontale della pianificazione, tipico della
tradizione europea, rappresenta il tentativo
più efficace di proposta di un nuovo
assetto per la città americana stessa.
Essa fu dunque l’ultimo capitolo nella ricerca
americana di un’identità urbana; il confronto
con la città europea fu da sempre stimolo per
il fluire di idee, tra di loro anche contrastanti,
come quelle di mimesi con il modello
europeo o di radicale distacco da esso,
attraverso l’invenzione di nuovi piani urbani o
nuove tipologie, nel tentativo di produrre una
nuova identità urbana.
L’identificazione dell’America con l’Europa
definisce l’altra parte di una relazione
asimmetrica: le città diventano costruzioni
tridimensionali, che materializzano tali fantasie.
L’America,laterravergine,comel’ambientazione
per scenari futuri, e l’Europa come una terra già
costruita, riferimento culturale e custode della
memoria del passato.
Questo atteggiamento fatto di contraddizioni
e imitazioni si riflette negli edifici costruiti
nelle maggiori colonie americane, pensati
a somiglianza dei modelli europei, ma
continuamente stravolti da elementi innovatori.
É nei vuoti urbani europei che
l’architettura ha trovato un sito idoneo alle
pratiche urbane, dalle piazze pubbliche
alle singole strade; mentre il piano europeo è il
risultato di una pura contingenza con il contesto
e di uno scambio di relazioni tra forze politiche
ed economiche, al contrario il caso americano
parte da una vera e propria tabula rasa per il
piano della città.
Dopo l’indipendenza americana dal dominio
inglese la ricerca di un’identità divenne un tema
più urgente; nonostante tutto, l’architettura
in America non fu il generatore di
nuove fantasie radicali urbane e
queste ultime non vennero prodotte
dalla figura di architetti, ma da quella
di politici coinvolti e informati e di
imprenditori.
Il tentativo di stabilire un determinato ordine
nella costruzione delle città americane ebbe
luogo in differenti passi successivi: l’insistenza
della proposta di piani basati su di una
griglia può essere riportata indietro ad
una comunanza con i piani dei coloni, ma il
tentativo americano vi differisce per
scala.
L’invenzione di questa nuova scala viene fatta
risalire ad un documento del 1765 in cui si
citava per la prima volta la regola della griglia
formata da quadrati di un miglio. Tale Land
Ordinance, applicata a cominciare dal 1785,
venne estesa non solo al territorio vuoto delle
aree rurali ma venne utilizzata anche come
modello per la costruzione delle nuove città.
In sostanza la storia della pianificazione urbana
si trova di fronte all’implementazione
americana di un modello basato su
ideali filosofici europei.
Tale modello a griglia si concretizza in due
‘geometrie’: una quella vera e propria
dell’ordine imposto a livello della planimetria;
l’altra quella relativa all’immagine della città
che ne consegue.
1
figura 1
Pianta storica della città di Detroit
Manhattan: città veloce VS città lenta
13
americana
2
figura 2
Vista a volo d’uccello della città di
Philadelphia, che mette in risalto la
struttura a griglia
1
Citazioni tratte dal testo di Mario
G a l d e n s o n a s , ‘ X - u r b a n i s m :
architecture and the American
city’, pubblicato da princeton
Architectural Press,New York, nel 1999
Quindi contemporaneamente tale griglia agisce
sia come layer appoggiato al suolo e sia come
layer che sta sotto tutta la nuova città e che
ceca quindi di influenzarla anche nella sua
architettura.
La città fisica prodotta dalla griglia americana si
rivela molto lontana dall’esempio e dal risultato
delle griglie utilizzate nelle città europee:
queste ultime, infatti, si evolvono tramite
trasformazioni e mutazioni che hanno a che
fare con la città in termini di contrasto tra gli
isolati compatti e le strade e le piazze, i vuoti
della città.
La città americana, invece, si manifesta
con una sintassi di oggetti collocati
su di un piano: gli edifici e la loro solidità
divengono il passo verso la densificazione della
griglia. La città dei grattacieli, poi, a queste
strategia sul piano bidimensionale, ne applicò
un’altra, sul piano della sezione.
Quello che varia dunque è non tanto la forma
della città nella sua applicazione di una griglia
di base, quanto l’immagine che ne
deriva, costituita dall’invenzione di
una nuova configurazione urbana, che
dal XX secolo in poi ebbe come protagonisti i
grattacieli.
Il grattacielo portò nel piano
verticale ciò che la griglia aveva
portato nel piano orizzontale: la
possibilità di infinte estensioni che
sono metaforicamente presenti della
parola stessa di ‘grattacielo’. Mentre
la griglia portò ordine e ritmo nella
dimensione orizzontale della città, il
grattacielo portò libertà e possibilità
nella dimensione verticale, rompendo
la visione classica degli edifici legati
all’elemento scala.
La città americana non si fonda sulla tipologia,
ma sulle trasformazioni rigurdanti la sua
morfologia e tipologia.
Il grattacielo obbliga l’architettura
a confrontarsi con l’impossibilità
di articolarsi con la città a livello di
singolo edificio: la griglia diventa urbana
e architettonica quando la sua identità di
neutralità viene persa, quando il suo ordine cioè
viene sovvertito.
Il vuoto creato dall’assenza della città
americana nel discorso architettonico venne
riempito dal concetto di griglia, come opposto
alla contingenza percepita che caratterizza
l’elevazione dello skyline di alcune città
americane, come New York.
Nonostante la resistenza alla città americana
sia diminuita nel corso del ventesimo secolo,
il modo di vedere la città americana
come un fatto non architettonico si
è conservato ed è stato ribadito e
sottolineato non solo dai suoi critici, ma
anche da alcuni apparenti sostenitori,
come ad esempio Camilo Sitte, critico circa
i moderni piani a griglia, o le Corbusier che
bollò la città americana come un ‘disordine
di grattacieli e strade corridoio come
produttori di catastrofi’ e che affermò la
reale non neutralità del piano a griglia.
Il disordine della città americana apre la
possibilità alla costruzione libera e slegata da
ogni vincolo.
A tale proposito Mario Galdensonas
propone una lettura delle differenti griglie che
si sovrappongono nella città di New York, al
fine di comprendere il rapporto tra il tessuto
reale della città e il substrato teorico che l’ha
generata.
14
la città
I disegni elaborati da Galdensonas nel suo testo
sono focalizzati sui settori a griglia della città di
New York, che organizzano la parte meridionale
della città, appena al di sotto della griglia
imposta nel 1811.
La frammentazione di griglie differenti
permette di cogliere sovrapposizioni,
deformazioni e cancellazioni come
effetti multipli della collisione di
griglie differenti che rappresentano tutti i
successivi sviluppi del piano.
L’obiettività dell’opposizione tra figura e suolo
è stata sovvertita dalla rappresentazione delle
continuità lineari implicate, il completamento
dei frammenti di griglia e la simultanea
rappresentazione in due e tre dimensioni.
La contrapposizione tra isolati e edifici/oggetti si
fa sfocata con la scoperta dell’isolato che agisce
esso stesso come oggetto.
I disegni esaminano diverse rappresentazioni
di New York, antecedenti al gridiron
del 1811, mostrando lo sviluppo dei vari piani
sotto all’applicazione del gridiron stesso.
Il piano della città concentrica del
primo nucleo urbano di Manhattan è
organizzato attraverso una strada nord- sud,
l’attuale Broadway, che separa due
strutture morfologiche differenti:
una struttura radiale di isolati con un centro
focale situato nel nord-est e un lungo isolato,
organizzato come una struttura ortogonale,
identificato dalle linee di proprietà e da una
piazza aperta nel lato ovest.
La Broadway, tale asse portante appunto, si
allarga sul finire del nucleo per fare spazio al
forte, nel suo tratto finale.
La sottrazione del gridiron post-rivoluzionario
rivela le principali e significative situazioni
urbane che articolano la struttura formale di
Manhattan, le cui caratteristiche dominanti
sono rappresentate da:
- l’open space di Central Park, in
contrapposizione con il resto della città costruita
nel caso dell’assenza del gridiron;
- le collisioni delle griglie pre-
rivoluzionarie nella punta sud dell’isola;
- il sistema di strade nord-sud
determinate seguendo le linee non ortogonali
della topografia dell’isola, nell’area nord- ovest,
che culminano nella griglia a diamante della
punta nord;
- la Broadway, che agisce come collegamento
tra tutte queste differenti situazione urbane e
le cui intersezioni con le larghe strade est-ovest
producono una ‘corona’ di spazi pubblici, come
Union Square, Herald Square, Times Square e
Columbus Circle;
- ponti e tunnel, che collegano l’isola con gli
altri borough e che si ammorsano nel tessuto
costruito in maniera casuale.
Lunghi e stretti isolati caratterizzano l’assetto
del gridiron plan, con due principali
eccezioni: la prima è costituita da una striscia
a est della Fifth Avenue fino alla Third Avenue,
dove la madison Avenue e la Lexington Avenue
dividono i lunghi isolati in altrettanti isolati
quadrati; la seconda è invece rappresentata
da Upper Manhattan, dove le irregolarità
topografiche si sono imposte sul sistema di
strade frammetando il gridiron stesso.
Altre eccezioni sono rappresentate ad esempio
dai punti di atterraggio dei ponti:
nel caso del ponte di Brooklyn, il tessuto si
trasforma inun campo disseminato da oggetti
sparsi. Nuovamente, la linea di resistenza che
ferma la forza contraria all’ordine della griglia è
costituita dalla Broadway, vera e propria
ossatura di tutta la città.
3
figura 3
Vista a volo d’uccello della città di
Chicago, guardando verso ovest, del
1892
figura 4
Disegni elaborati da Mario
Galdensonas nel testo ‘X-urbanism:
architecture and the American
city’, pubblicato da princeton
Architectural Press,New York, nel 1999
Manhattan: città veloce VS città lenta
15
americana
4
16
la città
Manhattan: città veloce VS città lenta
17
americana
manhattan:
città veloce VS
città lenta
mannahatta
e il gridiron
plan
Mannahatta e il gridiron
Manhattan: città veloce VS città lenta
21
01.2
Mannahatta e il ‘gridiron’ plan
Discutere del tema della griglia a Manhattan
è un po’ come tentare di definire la sua
impronta e assaporare la sua essenza: non
solo accompagna la città quasi fin dalla sua
nascita, ma è stata, nel tempo, la fonte di
giudizi critici - Le Corbusier e la sua critica
alla ‘scala’ inadeguata degli edifici - e vere e
proprie teorie filosofiche - Rem Koolhaas
e il suo ‘Manhattanismo’ - . L’elemento chiave
che permette di leggere la città e di giudicarne
l’assetto è quindi quello della scala, esplicitata
proprio dal rapporto tra gli edifici, i pieni, e la
griglia, il reticolo dei vuoti.
La nascita della griglia non risale ai primi anni
di vita della metropoli, che per un secolo
rimase un piccolo villaggio dalle scarse
prospettive future, dal commercio
difficoltoso e dal governo mutevole e
precario; dopo l’approdo nel 1524 da parte
dell’esploratore Giovanni da Verrazzano
e in seguito alla fondazione del piccolo
insediamento fortificato, il tracciato delle
strade si modificò spontaneamente, seguendo
il modello pressochè tortuoso dei centri
storici delle principali città europee. Nel 1621
la Compagnia delle Indie Occidentali ottenne
l’esclusivadeidirittiditransazionecommerciale,
e quindi il monopolio degli scambi commerciali
nelle acque dell’Hudson, e consegnò ai nuovi
coloni dell’isola precise regole per la
pianificazione della città, un modello,
ricalcato su quello europeo, che rimase
tuttavia sulla carta, per la scarsa realizzabilità,
conseguenza delle dimensioni titaniche del
progetto, troppo lontano rispetto alle risorse
presenti.
Vennero avviati i lavori per la costruzione
del forte, anche se di molto ridimensionato
rispetto al disegno olandese, e l’espansione
del resto del villaggio si avviò spontaneamente,
seguendo i sentieri indiani preesistenti1
;
la costruzione del Fort Amsterdam, dunque,
segna l’inizio della fondazione vera e propria
della città di Nieuw Amsterdam e l’area attorno
ad esso rappresentò un rifugio sicuro e protetto,
al di sotto del quale i terreni divennero presto
sovraffollati e dal valore piuttosto alto.
Rimane ancora oggi molto evidente il tracciato
originale delle prima espansione del nucleo
storico nella Downtown Manhattan odierna:
molte delle strade esistenti infatti ricalcano
quasi alla perfezione i primi tracciati, prima fra
tutte la Broadway.
Questo lungo asse, infatti, venne mantenuto
nei secoli sulla base di una prima via legata ai
sentieri degli indiani, considerata importante
fin dai primi secoli di vita della città grazie alla
sua direzione rivolta verso le campagne in
passato presenti fuori dalle prime fortificazioni,
diretta verso i possedimenti agricoli e le tenute
dell’entroterra, importanti risorse per la prima
colonia. L’importanza storica della Broadway
è poi testimoniata implicitamente dalla sua
permanenza all’interno del reticolo,
anche successivamente al Commissioners’
Plan del 1811, a dimostrazione di come questa
via rappresentasse un asse di fondamentale
importanza e di frequente utilizzo per tutta
la popolazione. Un’altra importante strada
appartenente al reticolo iniziale è Wall Street,
che intersecando la Broadway divideva la
prima colonia dal resto dell’isola ancora libero
e incontaminato, muovendosi fino alla sponda
dell’East River.
Quando al dominio olandese seguì quello
inglese, a partire dal 1664, furono subito chiare
le intenzioni di espansione oltre le mura da
“Manhattan is an accumulation of disasters that never happen.”
Rem Koolhaas
1
Della ‘Mannahatta’ dei nativi
d’America rimangono poche tracce,
ma alcune strade sono ancora
chiaramente riconducibili ai primi
sentieri utilizzati per spostarsi nell’isola
e nelle terre che la circondano: prima
fra tutte la Broadway, accompagnata
dalla Bowery.
figura 1
Mappa dei sentieri dei nativi
americani di Manhattan e dintorni
tratta da R.P.Bolton, ‘Indian Paths
in the great metropolis’, Heye
Foundation, New York, 1922
1
plan
22
Mannahatta e il gridiron
4
parte della colonia stessa, ormai passata al
titolo di città di New York; il Dongan Charter del
1696 sanciva il portere da parte del governo
inglese di ampliarsi ed estendere la giurisdizione
municipale oltre i confini originari e poneva
quindi le basi per un controllo assoluto
degli spazi ancora non urbanizzati dell’isola,
assicurandosi le terre non lottizzate e gli spazi
pubblici di tutta Manhattan.
La posizione strategica di New York in
breve tempo sancì la sua supremazia rispetto
agli altri insediamenti già presenti dei territori
circostanti e pose le basi per un’espansione
estesa e veloce, accelerata dal ruolo della città
stessa nell’economia di scambi commerciali; le
prime terre vuote oltre le mura vennero quindi
suddivise in lotti regolari e vendute
tramite aste pubbliche, senza ancora
alcun piano predefinito che potesse
fornire linee guida per uno sviluppo ordinato
della città, facendosi divorare dalla popolazione
in rapida crescita e trascurando la necessità
di preservare alcuni ‘angoli’ di città per la
costituzione di spazi aperti pubblici.
Nella mappa del Ratzen Plan del 1767
è facilmente intuibile come l’operazione di
suddivisione in lotti regolari fosse già in atto,
specie attorno ai terreni che circondavano
la Trinity Church, già esistente, attraverso
progetti di parcellizzazione e distribuzione
interna del lotto molto simili. In questi anni
comparve anche il primo progetto per
uno spazio pubblico di dimensioni
quadrate all’interno del tessuto, chiamato
appunto ‘Great Square’, di proprietà di un
certo James DeLancey: tale iniziativa però non
soppravvisse alle forti pressioni legate alla
necessità di nuove entrate fiscali da parte della
municipalità e venne quasi subito accantonato
e dimenticato.
Dopo il 1797, anno della fine della Rivoluzione
per l’indipendenza dal dominio inglese, in cui
la città subì un perdita considerevole di
popolazione e una innumerevole serie di
danni causati per lo più da incendi,
l’assetto di New York si presentava pressochè
invariato, fatta eccezione per alcuni nuovi spazi
verdi, tra cui Hudson Square, dislocato
lungo l’omonimo fiume. Dalla Rivoluzione
in avanti, inoltre, venne stabilito che tutte
le terre non ancora urbanizzate e tutti i
possedimenti di coloro che erano rimasti fedeli
al vecchio governo venissero assegnati di
diritto come proprietà del governo
cittadino; cominciò quindi un periodo di
successivi frazionamenti di terreni, con una
regolarità sempre maggiore, stabilendo regole
e dimensioni anche e soprattutto per il reticolo
stradale, ponendo le basi per il successivo Piano
del 1811.
Agli inizi del XIX secolo l’espansione della
città era ancora affidata alla frammentazione
casuale e conseguente vendita a privati
della proprietà pubblica e solo la necessità
di strade maggiormente agevoli e adatte ai
commerci, su imitazione della Broadway, spinse
il sindaco della città a ripensare le strategie di
lottizzazione, al fine di garantire maggiore
efficienza e ‘bellezza’ ai quartieri che
venivano formandosi.
La situazione appariva già chiaramente
drammatica nel 1806, quando la Commissione
della giunta comunale decise di ripensare un
nuovo assetto per la città intera, al
posto di una semplice revisione dell’assetto
viario preesistente: l’obiettivo era dunque
quello di definire una volta per tutte, attraverso
un gruppo di tecnici ed esperti, un piano per
la città al di sopra della linea fino alla quale si
figura 2
Mappa di New Amsterdam del 1660
di John Wolcott Adams e I.N. Phelps
Stokes, con le prime fortificazioni e
le mura costruite lungo l’attuale Wall
Street
figura 3
Mappa di New York del 1775 di John
Montresor prima dei grandi incendi
del 1776 e del 1778
figura 4
Mappa raffigurante una prima
proposta del Commissioners’ Plan del
1807
2
3
Manhattan: città veloce VS città lenta
23
plan
era costruito fino ad allora, l’asse est-ovest
che correva sopra Washington Square, senza
temere un confronto-scontro con gli
interessi dei proprietari privati.
Il piano venne quindi definitivamente
presentato al pubblico nel 1811 dalla
Commissione, consapevole delle rimostranze
che avrebbe sollevato nei proprietari delle aree
coinvolte: la griglia estesa a tutta l’isola ancora
non urbanizzata rappresentava una delle poche
scelte possibili e idonee da intraprendere
nell’intentodifornireallacittàunabase solida
e funzionante per una lottizzazione
volta alla costruzione di edifici
residenziali privati, abbandonando ogni
schema di riferimento europeo, più legato a
considerazioni di abbellimento della città che
alla perfetta funzionalità della stessa.
Quest’ultima considerazione, insieme a quella
di muoversi in un reticolo più veloce e in cui
le merci potessero spostarsi agevolmente,
portarono quindi alla progettazione di una
griglia di strade perpendicolari e
rettilinee, costituita da 12 avenues,
larghe 100 piedi, e da 155 streets,
ampie circa 60 piedi ciascuna,
generando 2028 isolati.
Tali nuove strade vennero battezzate attraverso
numeri piuttosto che nomi proprio in virtù di
quella carica egualitaria jeffersoniana2
che portava con sé la griglia stessa. L’isolato
che si venne a formare, dunque, tipicamente
di 250 per 600 piedi3
, si presentava idoneo allo
sfruttamento massiccio della lottizzazione a
fini speculativi, secondo una caratteristica
ben radicata nella mentalità commerciale della
popolazione di Manhattan.
Ma il tratto più stupefacente dell’intera
operazione rimane la grande lungimiranza
del piano, che oltre un secolo prima aveva già
previsto una forte espansione della città fino
al congiungimento con il villaggio di Harlem:
la Commissione, infatti, non ebbe difficoltà a
ignorare i tratti topografici marcati della città,
quali la differenza di livello sul mare, la presenza
di piccoli rilievi interni e il contorno frastagliato
stesso dell’isola, così come non esitò a ritenere
la città destinata ad accogliere immigrati da
tutte le parti del mondo fino a moltiplicare la
sua popolazione.
L’unica strada che venne ‘risparmiata’
dal Piano del 1811 fu la Broadway,
unico sentiero che portava fino ai confini nord
dell’isola e unica diagonale che venne compresa
all’interno del Piano, a cui venne quindi
concesso di spezzare la rigida griglia proposta.
Inoltre, fin dal 1807, era previsto che nel futuro
piano adottato venissero inserite numerose
aree a verde pubblico, di cui la città era già
allora particolarmente carente: il nuovo Piano
prevedeva quindi la tutela di 500 acri di spazio
verde, da destinare alla progettazione di parchi
sparsi per l’intera isola.
Il maggiore di questi spazi sarebbe stato
destinato a esercitazioni militari e mantenuto
come possibile punto per il raduno dell’esercito
in caso di necessità: tale larga piazza,
denominata ‘Parade’, avrebbe occupato l’area
tra la 14th e la 34th Street e tra la Third e la
Seventh Avenue. Al di là di tali poche eccezioni,
il Piano non prevedeva alcuna indicazione circa
i contenuti della griglia stessa, a partire da quelli
funzionali per arrivare a quelli volumetrici,
compleetamente privo di eventuali indicatori di
altezze e destinazioni degli edifici da realizzare.
Chiaramente, giudicando con occhi
contemporanei il Piano del 1811, scaturiscono
molteplici osservazioni circa gli aspetti negativi
che esso ha portato con sé e generato in seguito:
5
2
‘Riteniamo che alcune verità siano
di per sé evidenti: che tutti gli uomini
sono stati creati uguali; che dal loro
Creatore sono stati dotati di alcuni
diritti inalienabili; che fra questi ci
siano la vita, la libertà e la ricerca della
felicità.’
Jefferson ( 1743 - 1826 ) ,
protagonista della stesura della
Dichiarazione d’Indipendenza e terzo
presidente degli Stati Uniti d’America,
fu sostenitore dell’applicazione
del principio della griglia a scala
territoriale, come possibile principio
di colonizzaione di suolo: una
griglia di quadrati del lato di un miglio
poteva infatti cosentire di distribuire
uniformemente popolazione
e risorse su tutto il territorio
americano, secondo una logica di
egulitarismo pervaso da una simbolia
carica utopica
3
Le dimensioni dell’isolato standard
newyorkese, tradotte in metri, sono
di circa 80 m per 180 m, per un’area
totale 14.400 m2
figura 5
Mappa del Commissioner’s Plan del
1811 per la città di New York.
24
Mannahatta e il gridiron
tralasciando l’aspetto puramente speculativo
che ha portato alla definizione del piano stesso,
oggi la città soffre di diverse problematiche
legate alle scelte effettuate dalla Commissione,
prima fra tutte la congestione del traffico
stradale legata alle insufficienze del sistema a
griglia.
Inoltre le dimensioni della maggiorparte
degli isolati portarono alla suddivisione in
lottizzazioni molto strette e lunghe,
con edifici il più delle volte privi di corti interne
sufficientementeampiedaconsentireundoppio
affaccio e quindi una corretta ventilazione.
Il risultato concreto si è tradotto in una città
attanagliata dalle difficoltà di movimento in
superficie, legate al flusso automobilistico, e
afflitta da un mercato immobiliare alla continua
ricerca dello sfruttamento massimo dei lotti.
Non era però prevedibile al tempo capire con
anticipo quanto la città si sarebbe davvero
espansa e che sarebbe diventata una delle
città più importanti al mondo. Una delle
conseguenze peggiori di tale modello fu però
la cieca ripetizione dello stesso in molte
altre città americane, che, senza porsi troppi
interrogativi, applicarono lo stesso piano quasi
senza variazioni in località del tutto lontane
dalle caratteristiche dell’isola di Manhattan.
Il piano che quindi appariva di estrema
perfezione e precisione sulla carta, nella realtà
non teneva minimamente conto della geografia
e topografia dell’isola, a quel momento ancora
ricca di elementi naturali, rilievi, paludi e fiumi.
Per comprendere oggi lo scenario davanti al
quale si erano trovati i primi esploratori e che
ancora persisteva nella parte a nord dell’isola
ai tempi del Commissioner’s Plan si può oggi
fare riferimento agli studi portati avanti dal
‘Mannahatta Project’ 4
, che mostrano
un’isola fatta di boschi, paludi, spiagge, prati
e colline, tutti elementi progressivamente
6
7
8
figura 6-7-8
Mappa di Mannahatta, dell’isola
cioè di Manhattan prima della
sua colonizzazione e successiva
urbanizzazione. Le immagini sono
state sviluppate dai curatori del
progetto ‘Mannahatta Project’_ www.
themannahattaproject.com
4
Il ‘Mannahatta project’ è il frutto del
lavoro, durato 8 anni, di ricerca del
team guidato da Eric Sanderson, un
ecologista della Wildlife Conservation
Society del Bronx e rappresenta una
ricostruzione in digitale della primitiva
Manhattan, mettendo insieme dati
ambientali e storici con l’obiettivo
di far conoscere ai newyorchesi
l’ambiente originario della loro città,
ma soprattutto promuovere l’impegno
a preservare ciò che resta
scomparsi e distrutti dall’espansione della
città, ancora più in contrasto con la successiva
crescita della città stessa in verticale.
Si può quindi facilmente immaginare come
il piano del 1811 avesse ben ricompensato
le tasche dei proprietari terrieri i cui
terreni vennero confiscati dai commissari
del piano stesso: questi ultimi, una volta
ottenuti tali terreni, avviarono una massiva
operazione di spianamento delle zone
collinari e di riempimento di intere valli e
scaricarono tutti gli scarti sullla linea del
perimetro dell’isola, ridisegnando
completamente i contorni di
Manhattan, trasformata in questo modo in
una vera e propria tabula rasa.
Mentre il piano si faceva lentamente realtà con
il tracciamento dei lotti e la vendita speculativa
delle proprietà, tra il 1832 e il 1833 nascevano
le prime grandi arterie della città,
Lexington Avenue e Madison Avenue;
inoltre, nella foga della costruzione di ogni
singolo spazio disponibile, vennero edificate
anche alcune aree che erano state dal piano
stesso destinate a spazio pubblico, decretando
così la condanna per la città ad una
scarsità e, in alcuni casi, quasi assenza
di spazio aperto e collettivo.
Vennero poi tracciate nuove strade, che
potessero a loro volta servire nuovi isolati o
quartieri, per lo più residenziali: divenne infatti
sempre più evidente che ogni macro quartiere
della città stava assumendo caratteristiche
legate a destinazioni funzionali molto
precise e settoriali. Così, mentre la
Downtown Manhattan si trasformava nel
quartiere commerciale, legato agli affari,
popolato da banche e da uffici, della città,
contemporaneamente le aree più interne
cominciarono a popolarsi di immigrati da ogni
parte del mondo, dividendosi principalmente
per provenienza e per ceto.
Manhattan: città veloce VS città lenta
25
plan
La parte di popolazione più ricca si spostava
progressivamente verso le zone meno
urbanizzate e congestionate della città, verso le
campagne di quella che poi diventerà l’odierna
Harlem, lontana dai disagi e dalle difficoltà
dell’altra parte di popolazione più povera e
meno abbiente, ‘accolta’, quasi stipata, negli
edifici in legno a quattro o cinque piani nella
fascia di terreni al di sopra di Wall Street.
Fu proprio a causa di una spaventosa e rapida
crescita degli abitanti che la città non fu in
grado di prevedere la gravità della situazione
circa l’assenza di spazi destinati alla collettività,
sia come valvole di sfogo per la popolazione
stessa che come elementi di interruzione
della monotonia della griglia. Al tempo
dell’elaborazione del piano del 1811, infatti, i
commissariavevanoritenutosufficientilepoche
aree interne previste in virtù della presenza
delle coste lungo il perimetro dell’isola, consì
lunga e sottile da possedere un doppio affaccio,
rispettivamente sull’East River e sull’Hudson,
già di per sè indice di salubrità; tale ingenuità si
rivelò fatale, poichè in brevissimo tempo anche
le aree costiere vennero densamente costruite
per supportare e alimentare un mercato di
scambi commerciali assai florido.
Un esempio fra tutti può essere fatto con la
nascita di Union Square: già nel 1832 essa
infatti si ritrovò ad essere delle dimensioni
attuali, partendo però da un piano che sulla
carta aveva stabilito un enorme spazio vuoto
centrale di riferimento per l’intera isola. Allo
stesso modo anche il famoso spiazzo dedicato
alle parate militari denominato ‘Parade’ venne
ben presto ridimensionate fino a coincidere con
l’attuale Madison Square già all’inizio del
1840.
La griglia si estendeva virtualmente già su tutta
l’isola, ma intorno alla metà del XIX secolo la
città vera e propria non si estendeva molto oltre
della 42nd Street, al di là della quale si potevano
scorgere solo tenute e agglomerati sparsi
e poco numerosi, immersi una realtà
ancora prettamente agricola.
La preoccupazione comune al governo cittadino
e ai cittadini stessi cominciò quindi ad essere
quella di vedere il poco territorio ancora non
urbanizzato rimasto sfumare in poco tempo
sotto le pressioni speculative del mercato
immobiliare: per questo motivo cominciare
a farsi avanti alcune proposte d salvaguardia
di piccoli appezzamenti di aree naturali, da
mantenere e conservare come vere e proprie
riserve naturali nel mezzo della futura città.
Tali considerazioni però, oltre che poco
risolutive, si rivelarono anche poco lungimiranti
e deboli per poter essere realmente attuate.
Proprio in quegli anni cominciava a farsi strada
sul territorio americano una nuova corrente di
pensiero 5
e prese sempre più piede l’idea di un
atto dimostrativo e significativo non solo verso
la città di New York, ma per tutto il Paese.
Nel 1844 il giornalista William Cullen
Bryant scrive un articolo sul New York
Evening Post, lanciando l’idea di un grande
parco, panacea di tutti i mali della
città, nelle vicinanze dell’East River, al
centro della città; qualche tempo dopo lo
stesso Bryant, dall’Inghilterra, commenta la
situazione sgradevole all’interno della città,
dovuta all’aumento continuo e smisurato della
popolazione e alla conformazione della città,
non pianificata e lasciata alle regole
del mercato, senza alcuna preoccupazione
per la reale condizione di vita di cittadini e
forestieri.
Egli, in poche parole, sollecita la città, finchè
è ancora in tempo, ad attivarsi per una più
corretta pianificazione di se stessa e per una
progettazione più attenta agli spazi ‘di respiro’,
come parchi e giardini 6
.
figura 9
Mappa di Manhattan del 1880, in cui
viene messa in rilievo la topografia
dell’isola
5
Il Movimento ‘City Beautiful’
nacque verso la fine del XIX secolo
nell’America del Nord con l’obiettivo
di diffondere una progettazione
urbana secondo i canoni del ‘bello’,
anche attraverso atti di monumentale
grandezza, nella convinzione che ciò
potesse portare ad un maggiore senso
civico e ad una moralità più sentita
6
Ecco le parole che William Cullen
Bryant scriveva circa new York nel
1845: ‘The population of your city,
increasing with such prodigiuos
rapidity, your sultry summers, and the
corrupt atmosphere generated in hot
and crowded streets, make it a cause
of regret that in laying out New York,
no preparation was made, while it was
yet practicable, for a range of parks
and public gardens..’
Citazioni e nozioni storiche tratte dal
testo di Katia Piccinni, ‘Labirinto
Manhattan’, pubblicato da
Cartman, Torino, nel 2008
9
26
Mannahatta e il gridiron
In seguito alle dichiarazioni di Bryant, molti
artisti e scrittori sostennero l’idea del parco e
portarono avanti un dibattito accesso, che nel
1853 arrivò fino al Parlamento dello Stato di
New York: quest’ultimo autorizzò, spinto da tali
pressioni, autorizzò l’acquisto di circa 760 acri
di terreno non ancora edificato, dalla Fifth alla
Eight Avenue e dalla 59th alla 110th Street.
Nacque così Central Park, un’autentica
‘Arcadia dentro la Metropoli’ 7
: ancora
oggi l’unico luogo della città in cui il tempo e lo
spazio restano sospesi, l’unico vero baricentro e
grande vuoto dell’isola.
Al tempo dell’acquisto del terreno l’area
si presentava pressochè scarna, senza una
vegetazione particolarmente rigogliosa,
occupata talvolta da pastori coi propri greggi,
che utilizzavano abusivamente il suolo per
l’allevamento. Vi erano inoltre alcune prime
fabbriche e discariche a cielo aperto di ogni
sorta; l’area necessitava quindi di un ingente
impegno di bonifica e di risistemazione
prima di poter diventare il grande parco tanto
agognato dai newyorkesi.
Vista la mole di lavoro necessaria, la città decise
di indire un concorso per la progettazione del
parco stesso: nel 1858 fu quindi presentato
il progetto vincitore, chiamato Greensward
Plan. I progettisti, Frederick Law Olmsted
e Calvert Vaux, proponevano una vera e
propria oasi nella città, rigogliosa e florida,
con sentieri e tracciati interni quasi
completamente slegati dalla rigida
griglia prevista per lo sviluppo della città
tutt’attorno, fatta eccezione per alcune arterie
di collegamento est-ovest.
É evidente che la progettazione di Central Park,
morbida distesa fatta di percorsi fluidi e aree
dall’andamento naturale e apparentemente
senzacostrizioni,rispettoalsuointornorigidoed
estremamente regolato, rettangolo circondati
da altri rettangoli di ben diversa natura,
rapprensenti una vera e propria ribellione al
Commissioner’s Plan.
Il piano definitivo per la realizzazione del parco
venne concluso nel 1871 e i lavori veri e propri
vennero conclusi nel 1912, a cinquant’anni
dall’intuizione di Bryant.
L’azione che la realizzazione di Central Park
costituiva, soprattutto relativamente alla
frattura con la griglia e il suo potere imposto
dall’alto, rappresenta quasi un equivalente
dal basso, racchiudendo cioè in sè gli ultimi
tratti caratteristici di quello che
era l’aspetto e l’anima originaria
dell’isola: non è però corretto pensare che
la progettazione del parco implicasse questi
ragionamenti al momento della sua nascita.
La griglia infatti era ancora in larga parte in via
di realizzazione e riempiento e non era quindi
facile cogliere il netto contrasto e l’mportanza
che Central Park riveste oggi nella storia della
pianificazione a livello mondiale.
C’è inoltre da ricordare che l’aspetto
apparentemente estremamente naturalistico
del Parco non è in realtà altro che il frutto di
una sapiente modellazione del suolo, verso una
ricostruzione artificiale di quel gusto romantico
per la natura e la sua imprevedibilità.
Per riprendere le parole di Rem Koolhaas
in ‘Delirious New York’, Central Park è
anche la struttura per il tempo libero più grande
di Manhattan, ma è soprattutto l’elemento
tangibile del dramma che stava accadendo:
la città stava per prendere definitivamente
le distanze da ogni elemento naturale
precedentemente presente per diventare la
metropli più artificiale del secolo.
Ma forse proprio per la sua stessa artificialità,
dagli alberi trapiantati agli episodi interni
10
figura 10
Vista dell’isola di Manhattan nel XIX sec
figura 11
Progetto per Central Park, 1857
7
La definizione è tratta dal testo di
Mario Maffi, ‘Sotto le torri di
Manhattan’, edito dalla Rizzoli,
Milano, nel 1998
11
Manhattan: città veloce VS città lenta
27
plan
abilmente connessi, Central Park altro non è
che un nuovo ‘atto di fede’, dopo la griglia,
nei confronti del potere dell’uomo e della sua
immaginazione, in fondo proprio un ‘tappeto
Arcadico sintetico’ 8
.
La ripercussione che la realizzazione del
parco ebbe sulla città fu però largamente
positiva: non solo per quanto riguarda il
risultato stesso che ne scaturì, ma soprattutto
perchè diede vita ad altri parchi di notevole
importanza, come il City Hall Park, sulla scia
di una rinnovata attenzione per il verde della
città.
Nel corso dell’Ottocento la griglia del
Commissioner’s Plan riscuote il previsto
successo e viene quasi completamente
riempita da edifici di ogni genere; la città da
questo momento in poi subirà un secondo
e nuovo fenomeno, volto allo sfruttamento
massimo delle aree a disposizione. Con il
crescere della città, comincia a crescere anche
la sua importanza e il suo ruolo nell’economia
e nell’ambito culturale mondiale, tale da
attirare ondate dopo ondate di immagrazione,
soprattutto dall’Europa ma non solo.
La griglia, quindi, da elemento
prettamente bidimensionale assume
per la prima volta uno spessore, frutto
di straficazioni intense e ripetute: nasce la
città verticale.
Questa nuova città viene resa possibile grazie
ad alcune innovazioni tecnologiche che resero
New York una delle città più all’avanguardia del
XIX secolo: dall’illuminazione a gas al servizio
di trasporto urbano con vetture a cavalli,
dalla rete di approvvigionamento idrico alla
costruzione di numerosi servizi pubblici come
bagni e scuole, ospedali, teatri e reti per le
comunicazioni.
Ma l’innovazione più poderosa e senza la
quale New York non sarebbe giunta così in
alto è senza dubbio quella dell’ascensore:
il primo venne installato nel 1870 all’interno
dell’Equitable Building. Ad accompagnare
questo successo, attraverso il quale i limiti
dettati dall’altezza degli edfici vennero
ridotti notevolmente, vi fu l’invenzione
della struttura in acciaio, grazie alla quale
tali limiti vennero praticamente eliminati.
Ormai New York aveva la possibilità di
espandersi non solo più in orizzontale ma
anche in verticale, con il notevole vantaggio
di ottenere così un’espansione sempre vicina
alle aree di maggior sviluppo delle attività
commerciali e degli scambi, la punta e il centro
dell’isola appunto.
Ma per poter sostenere le grandi masse di
lavoratori e di abitanti che ogni giorno la
città verticale attirava, Manhattan dovette
rimodellare i proprio quartieri introducendo
nuovimodellicostruttivi,basatisullaTenement
Law del 1879, dalla quale nacquero i primi
slums della città.
La densità sempre più elevata delle costruzioni
sui piccoli lotti della griglia - larghi 7,5 metri circa
e lunghi 30 - generava ambienti malsani, poco
illuminati e non sufficientemente aerati, il tutto
aggravato da strade prive di manutenzione e
pulizia.
Mentre i grandi quartieri direzionali crescevano
in altezza e cambiavano la loro veste attraverso
facciate monumentali e prospettive sceniche,
i quartieri centrali si popolavano di edifici
residenziali di alto livello, occupando i lotti
antistanti la Madison Avenue, la Park
Avenue e la Fifth Avenue. Agli slums
quindi toccava una posizione stretta tra i due,
rimanendo compressi tra le aree più ricche di
tutta la città.
Fu così che i fenomeni di industrializzazione,
immigrazione e urbanizzazione di fine
figura 12
Vista dell’isola di Manhattan del 1879 di
Galt e Hoy Chamber
8
La deifnizione è tratta dal testo di Rem
Koolhaas, ‘Delirious New York’,
edito dalla Thames and Hudson,
Londra nel 1978
12
28
Mannahatta e il gridiron
Ottocento plasmarono per sempre la forma
urbana della città e costrinsero alla rottura dei
limiti geografici imposti dall’isola, per dare
sfogo ad una maggiore estensione sulle rive
degli altri attuali Boroughs 9
della città di New
York, grazie soprattutto alla costruzione di ponti
e mezzi di collegamento adeguati.
Proprio in seguito alla nascita degli altri
boroughs,ildistrettodiManhattanebbepercosì
dire modo di concentrarsi prevalentemente
sulla sua maggiore vocazione, quella appunto
del commercio: diventò il centro degli
affari, simbolo di potere e benessere,
il tutto pienamente riflesso e leggibile nelle
principali arterie di spostamento.
Ogni strada cominciò ad assumere un ruolo
e una posizione precisi all’interno della città
del business: la Madison vetrina del mondo
pubblicitario, la Seventh Avenue icona della
moda, la Fifth Avenue la strada dei negozi più
eleganti e chic della città, Wall Street l’alcova
del cuore degli affari e degli scambi.
La città intera, dunque, diventò essa stessa una
sorta di Main Street 10
dell’intera nazione,
esempio del successo e vetrina di imprenditoria
per tutti gli Stati Uniti. Nel tempo vennero
proposti piano alternativi che prevedevano
tagli del tessuto molto fitto a cui la griglia
stava portando, ma nessuno di questi riuscì a
convincere della propria forza così come nel
1811 aveva fatto la griglia stessa: nel 1911, a
distanza di un secolo, rimanevano quindi due
uniche diagonali, la Broadway e la Bowery,
sentieri indiani stranamente risparmiati e
sopravvissuti.
Nei primi decenni della Novecento la città
rimanevaquindisenzaalcuna definizione di
una strategia di sviluppo complessiva e
agiva per parti, per singoli progetti, con
l’unica prerogativa di collocarsi nel disegno della
figura 13
Schizzi a carboncini tratti da
Hugh Ferris, ‘Metropolis of
Tomorrow’, edito da Ives Washburn,
New York, nel 1929
9
La città di New York è suddivisa,
amministrativamente parlando, in
5 borough che corrispondono alle
storiche contee della città: the
Bronx, corrisponde alla contea
del Bronx; Brooklyn, corrisponde
alla contea di Kings; Manhattan,
corrisponde alla contea di New York;
Queens, corrisponde alla contea di
Queens; Staten Island, corrisponde
alla contea di Richmond.
Ogni borough ha un governo composto
da un presidente e alcuni membri della
giunta della città, che rappresentano il
borough stesso, i cui poteri sono però
inferiori a quelli del consiglio cittadino.
10
Citazione tratta dal testo di Katia
Piccinni, ‘Labirinto Manhattan’,
pubblicato da Cartman, Torino, nel
2008
11
La Zoning Resolution del 1916 si rivelò
una misura adottata principalmente
per consentire agli edifici di notevoli
dimensioni, come la costruzione
Equitable Building, di ottenere più luce
e aria.
12
Il fenomeno dell’arretramento è detto
di ‘setback’
griglia. In aggiunta, la crescita in verticale della
città stava gettando letteralmente nell’ombra
gran parte degli edifici più bassi, obbligando il
mercato immobiliare a ripensare lo sviluppo di
intere aree per far fronte alla presenza imposta
dei nuovi colossi.
Nel 1916 un nuovo dispositivo di organizzazione
del territorio prese vita: venne cioè emanato il
codice edilizio, detto Zoning Resolution 11
,
costituito sostanzialmente da un mero elenco di
normeal finedi regolarel’altezza,l’allineamento
e le attività di diverse aree urbane.
L’effetto pratico che questa nuova
regolamentazione sulla densità edilizia ebbe
fu quella di trasformare molti grattacieli in veri
e propri ziggurat 12
, obbligando una sorta di
arretramento ai piani superiori per concedere
migliori prestazioni interne agli edifici stessi.
In sintesi, la nuova legge disponeva una
sorta di volume immaginario, per ogni lotto,
tollerabile,ilmassimo volume edificabile,
il cui involucro e la cui forma doveva essere
appositamente studiata al fine di permettere
alla luce di raggiungere le strade, al tempo
davvero molto buie e dall’igiene molto carente.
Letorri,dunque,dovevanoesserecostruitesulla
base di arretramento, risultato dall’inclinazione
di piano di un certo angolo rispetto al piano
perpendicolare alla strada: solo quando tale
inclinazione consentiva di ridurre la torre
al 25% del lotto occupato a terra, allora
la torre stessa poteva innalzarsi in verticale.
Perquantotaleindicazionepossasembrarevolta
alla riduzione della densità e della presenza
delle torri, al contrario venne principalmente
introdotta al fine di impedire la realizzazione
di magazzini e bassi fabbricati industriali che
stava al tempo pericolosamente assediando
l’elegante Fifth Avenue.
Al contrario, la Zoning Resolution, stabilendo
13
Manhattan: città veloce VS città lenta
29
plan
14
figura 14
Vista di Downtown Manhattan dopo la
costruzione dell’Empire State Building,
1932
13
Hugh Ferris, ‘Metropolis of
Tomorrow’, edito da Ives Washburn,
New York, nel 1929
14
Per un’analisi più approfondita si può
fare riferimento al testo, ‘Lower
Manhattan Plan. The 1966
vision for downtown New
York’, di Ann L. Buttenwieser,Paul
Willen, Carol Willis, James S. Rossant,
edito da Princeton Architectural Press,
New York nel 2002
con preciso i districts destinati ad accogliere
attività commerciali e residenziali, promosse
un’intensificazione dell’attività edilizia in
determinate aree.
Negli anni Venti delNovecento l’immaginedello
skyline di Manhattan, che ormai si ergeva sicura
e fiera anche oltre oceano, influenzava sempre
più l’immaginario collettivo di intellettuali e
architetti, aprendo molti scenari futuristici e
alimentando nuove fantasie e nuovi progetti
visionari. Fra tutte, le immagini più evocative
di questo fermento e quelle che dettero più
spunti alla realtà in continua evoluzione furono
quelle elaborate da Hugh Ferris, giovane
disegnatore, che nel 1929 pubblica la raccolta
di schizzi ‘Metropolis of Tomorrow’ 13
.
É proprio attraverso i suoi schizzi a carboncino
che Hugh Ferris esplora le nuove possibilità
tracciate dalla Zoning Resolution del 1916,
ipotizzando superfici e volumi, scolpendo in
maniera plastica i parallelepipedi di partenza,
dai lati inclinati secondo le suggestioni della
normativa. In un certo senso il suo lavoro
rappresenta la raffigurazione della legge stessa
e mette in risalto i possibili risultati, spesso cupi
ed inquietanti, della nuova città che si stava
formando.
Ed è a partire dal suo lavoro che un secolo dopo
Rem Koolhaas definirà il ‘Manhattanismo’
come la delirante teoria urbana che regola la
realtà estremamente artificiale newyorkesi,
sempre tesa a superare i suoi limiti in un
immaginario delirante e patologico.
Le innumerevoli variabili modificarono
all’occorenza le normative precedentemente
elencate nei decenni successivi, fino a quando
nel 1960 vennero adottati altri emendamenti
che consentirono agli edifici di non arretrare a
patto di occupare il 40% del lotto di partenza.
Nel 1969 vi fu un’importante svolta che portò la
Regional Planning Association of New
York a pubblicare il Piano Regionale, piano
che portò alla modifica della conformazione
dell’assetto viario della città, prevedendone la
completa ristrutturazione.
Il Piano Regionale conteneva inoltre alcuni piani
più particolareggiati relativi ad alcune precise
zone della città, quali il Lower Manhattan
Plan 14
, commissionato nel 1966 da William
F.R. Ballard, presidente della City Planning
Commission.
Quest’ultimo piano in particolare propose un
ripensamento completo della punta dell’isola,
attraverso la progettazione di una zona
pedonale a sud di Canal Street, attrezzata con
bus elettrici ed ecologici, contorniata da un’area
residenziale intervallata da piazze e terrazze sul
mare.
Con qualche modifica nacque quindi il nuovo
quartiere di Battery Park City e del World Trade
Center, con l’aggiunta di un ulteriore skyline
fatto di edifici alti, ma strade maggiormente a
scala umana.
Fu inoltre in questi anni che nacquero le aree
a P.O.P.S. - Privately Owned Public
Spaces -, aree cioè possedute da privati, ma
aperte al pubblico, che consentivano ai privati, i
proprietari stessi del lotto, di aumentare di una
determinata percentuale il volume dell’edificio
da costruire sul lotto stesso; ispirata alle
suggestioni delle ‘torri nel verde’ tanto
proclamate da Le Corbusier in quegli anni,
questa modifica aveva come scopo quello
di accrescere gli spazi aperti al pubblico ai
piani terra, cercando di porre rimedio
ai risultati della logica speculativa
legata alla griglia, che si era imposta da
ormai un secolo.
Anche quest’ultima modifica non ebbe
30
Mannahatta e il gridiron
come risultato l’effetto sperato e contribuì
alla costruzione senza sosta di grattacieli
maggiormente alti, con piccoli spazi pubblici ai
loro piedi, il più delle volte insufficienti e mal
progettati. Il documento comunque rimase in
vigore fino al 2000, sempre subendo variazioni
e modifiche.
Nel maggio del 2000 viene introdotto uno
strumento maggiormente innovativo chiamato
Unified Bulk Program - Programma
Volumetrico Unificato -, conalsuointerno
imposizioni sui limiti di altezza di tutto il tessuto
urbano, vincoli sui trasferimenti dei diritti
edificatori da un’area ad un’altra e alcune
forme di controllo quantitative e qualitative.
In definitiva il modello della griglia, che
nel caso di Manhattan ebbe un tale successo,
racconta come spesso, di fronte ad un territorio
inesplorato o da colonizzare e urbanizzare,
risulti molto pià facile il tracciamento di
linee parallele e perpendicolari, in modo da
organizzare in maniera semplice ed efficace le
basi per una nuova città.
La griglia, infatti, ha origini ben più antiche della
fondazione di New Amsterdam e può essere
rintracciata nella città di fondazione greca
e romana e nelle prime città colonizzate da
francesi e spagnoli.
Mentre, quindi, in questi ultimi casi le città
utilizzavano la griglia come strumento di
pianificazione, nel caso americano essa
venne utilizzata al fine di organizzare la
distribuzione delle terre ai coloni, i
quali avrebbero edificano i loro lotti soltanto
nel momento da loro ritenuto maggiormente
opportuno.
Tutto ciò coincide con la grandiosità dei piani
in territorio americano, pensati quindi in un
momento precedente rispetto alla realizzazione
e alla progettazione degli edifici, volti alla
vendita di più terreni possibili.
Nell’ottica poi di una crescita
potenzialmente e teoricamente
infinita, il modello a scacchiera presenta
notevoli vantaggi: senza imporre limiti
all’espansione, non produce gerarchie e
consente la costruzione di nuovi isolati ogni
volta che se ne presenti la necessità, grazie
soprattutto alla sua formazione per moduli.
Per quanto riguarda il caso di New York, ben
presto la presunta terra illimitata si
rivelò al contrario costretta entro i
suoi confini naturali di isola e il modello
della griglia dovette quindi oltrepassare la
linea delle coste per approdare sulle terre
limitrofe.
Ad ogni modo, le potenzialità della griglia, da
sempre evidenti alla popolazione americana,
servirono per tracciare indifferentemente
città, lottizzazioni e perfino per disegnare i
confini di uno stato: nel 1785, Thomas
Jefferson stabilì, infatti, un reticolo da
impiegare come modello di colonizzazione per
le terre dell’Ovest.
Ognuna delle maglie pensate da Jefferson
conteneva 16 miglia quadrate, a loro
volta divisibili in 2, 4, 8, 16, 32, 64 parti minori.
Jefferson sottolinea fin da subito il valore
etico e morale di tale operazione: la griglia
infatti rappresenta non soltanto ordine e
rettitudine, ma anche eguaglianza, specie
fra tutti i territori d’America.
Tale convinzione è confermata dal Land
Ordinance Act, emanato nel 1785 dal
Continental Congress, che stabilisce
che ogni territorio americano venga
concettualmente suddiviso da un’unica
scacchiera: la democrazia su cui tutti
gli stati d’America si reggeranno d’ora in
15
figura 15
Una vista a volo d’uccello di Lower
Manhattan del 1942
Manhattan: città veloce VS città lenta
31
plan
poi diventa manifesta anche nel suo assetto
territoriale.
Proprio secondo lo schema modulare di
Jefferson, le città del Nuovo Mondo non saranno
più basate sul vecchio modello europeo fondato
su di un nucleo centrale pressochè autoritario,
ma bensì su di una griglia indifferenziata e dalle
possibilità illimitate.
Al contrario della sua apparente rigidità, il
modello jeffersoniano, il cosiddetto
‘gridiron’, darà vita ad un modello
espansionistico estremamente elastico, pronto
a sopportare su di sè le grandi trasformazioni,
anche sociali, in atto.
Questo potente mezzo di controllo del
territorio conquistò quindi le classi di governo
grazie alla sua semplicità, efficacia e capacità di
adattamento.
La grande contraddizione insita in quanto
appena affermato nascerà però nel momento
in cui tale griglia verrà applicata alla città di
Manhattan: qui, l’obiettivo del controllo
sfocia nel risultato della totale
mancanza di controllo stesso.
La griglia, lontana dall’essere neutrale, si
presenta come schema puramente concettuale,
l’adozione del quale conduce alla nascita
della metropoli; ogni isolato si sviluppa nel
tempo in maniera completamente autonoma
rispetto al resto della città, confinato nelle sue
dimensioni prestabilite, unico in un ‘sistema
di 2028 solitudini’ 15
.
Ogni lotto contiene in sè infinite possibilità
relative alla sua costruzione e non può di per sè
contenere alcuna indicazione circa l’edificio - o
il vuoto - che accoglierà.
Le uniche operazioni che la griglia porta con sè e
che non essa stessa per natura non può negare
sono la divisione - di se stessa in altre parti - e
la moltiplicazione - la riproduzione in altezza
di tali frammenti della griglia -, le quali possono
essere impedite solamente dall’esaurirsi del
capitale.
Ecco che quindi risulta quasi matematico
affermare che il grattacielo altro non è
che la conseguenza di una delle operazioni
fondamentali della griglia stessa, in un territorio
come quello dell’isola di Manhattan, di cui il
perimetro rappresenta una sorta di alibi.
Rimane allora comprensibile il termine
‘delirious’ affiancato dallo stesso Koolhaas
alla città di New York: l’enorme sforzo di
imposizionedellagrigliacometentativoestremo
di organizzazione del suolo, fino all’ultimo
isolato, viene contraddetto dall’irriverente
estrusione verso l’alto, gesto irrazionale
che renderà però New York la città più
famosa e originale al mondo.
figura 16
Mappa di Chicago del 1857
15
La definizione è tratta dal testo di Rem
Koolhaas, ‘Delirious New York’,
edito dalla Electa, Milano nel 2001
16
manhattan:
città veloce VS
città lenta
la griglia
veloce:
il traffico
la griglia veloce:
Manhattan: città veloce VS città lenta
35
il traffico
Negli anni successivi alla Zoning Resolution
del 1916, il potenziamento infinito della
capienza della città che ne derivò, grazie
all’elevazione in altezza delle attività, si
riversò interamente sulla struttura viaria,
obbligando nuove riflessioni e avviando una
ricerca sui possibili metodi di differenziazione
dei flussi veicolari e pedonali e sulla gestione
delle tratte degli utenti.
Nei suggestivi schizzi di Hugh Ferris del 1929
erano già presenti alcune riflessioni circa il
tema della gestione dei flussi della circolazione
dei cittadini: non era infatti già allora difficile
prevedere i successivi livelli di congestione che
la città avrebbe raggiunto, superiori a quelli già
visibili negli anni Trenta del Novecento.
Lo stesso Ferris, dopo aver rilevato la questione,
propone come soluzione lo spostamento delle
principali arterie di traffico a livelli
diversi, ‘staccandole’ per così dire dal suolo,
appese alle costruzioni sui lati delle stesse.
Il 1929, anno della grande crisi che portò con
sé una devastante depressione economica,
generò una serie di riflessioni, soprattutto da
parte dei membri della Regional Planning
Association of New York, circa le linee
guida da adottare per tenere sotto controllo
lo sviluppo della città, nell’intento di disporre
nuove direzioni, in un certo senso più
sostenibili.
In realtà, nonostante le molte contraddizioni
che nutriva in sé, la ‘Cultura della
Congestione’ che si stava configurando
sempre più prepotentemente affascinava e
comunicava, in tutta la sua novità, una città
futuristica, piena e vitale, in cui anche la figura
del grattacielo, che in un primo momento
rappresentava il ‘mostro ‘del nuovo secolo,
veniva redenta e anzi elevata a possibile
elemento di abbellimento della città stessa.
Per una proposta più specifica e dettagliata
bisogna però aspettare il pensiero di Harvey
Wiley Corbett, intellettuale e professore
presso la Columbia University, che ripropone
l’idea di spostare i flussi su più livelli, dividendo
in aggiunta le diverse tipologie di traffico.
Lui stesso definisce il suo modello una sorta di
Venezia rivisitata, in cui le strade si rivelano
essere veri e propri canali, fatti anzichè d’acqua
di flussi di traffico.
In questa sua visione, gli isolati diventavano in
sostanza l’equivalente di vere e proprie isole; in
questo modo, però, Corbett trova l’escamotage
tale da poter aumentare in maniera maggiore
la capacità delle arterie veicolari, non curante
della situazione già abbastanza difficile per i
pedoni e gli altri mezzi di trasporto lento.
Complessivamente il quadro delle ricerche
dei primi decenni del Novecento rivela come
l’intenzione di risolvere la questione della
congestione del traffico fosse in realtà alquanto
debole.
Un ulteriore protagonista del dibattito si rivela
essere il noto progettista Raymond Hood,
il quale propose, attraverso la sua visione di
‘Manhattan 1950’, una New York futuristica
basata su megastrutture metropolitane
che avrebbero consentito la gestione del traffico
senza il minimo ripensamento del sistema della
griglia, ormai considerato non solo consolidato,
ma anche pienamente condiviso.
Tali strutture si manifestano in colossali
oggetti dalle dimensioni titaniche,
grazie alle quali gli stessi riescono a
neutralizzare il traffico cittadino al loro interno,
che scorre quindi frenetico nelle torri da cui
è interamente circondato. Per ogni incrocio
si scorgono strutture simili a vere e proprie
montagne, che lentamente degradano fino
a terra, per confondersi nuovamente con
l’ambiente urbano delle strade di New York.
01.3
La griglia veloce: il traffico
“Thomas Jefferson never imagined the rush hour”
Michael Sorkin
36
la griglia veloce:
La sua proposta sembra apparentemente
risolvere il problema della congestione, ma
è facile intuire come questo risulti in realtà
un nascondiglio ben escogitato per isolare
il problema del traffico in un mondo quasi
distaccato, parallelo, da quello reale.
Il costruito quindi interviene in soccorso alle
strade caotiche e ricolme, attraverso edifici
imperturbabili e potenzialmente eterni; ‘...
questa città è permanente; non vi è motivo per
cui questi edifici debbano essere sostituiti. La
strana calma che aleggia all’esterno è
assicurata dalla Grande Lobotomia’ 1
.
Dopo gli anni Trenta,la costruzione di un sistema
di autostrade a scorrimento veloce
tutt’attorno all’isola tenta di risolvere
parzialmente il problema della congestione:
anche in questo caso risulta evidente la
supremazia della griglia stessa che,
intoccabile, rimane intatta all’interno dei confini
di Manhattan, senza essere minimamente
scalfita.
A conferma di questa osservazione, occorre
citare gli sforzi compiuti da Robert Moses 2
,
che divenne appunto famoso per la sua politica
di implementazione delle cosiddette
‘expressway’ al fine di favorire un miglior
collegamento dell’isola con il resto della città e
per una più facile gestione del traffico, specie
nelle ore di punta.
A lui si deve la costruzione di alcuni ponti di
collegamento e di tutto il sistema di parkways
della città, nonché della costruzione del
Brooklyn Battery Tunnel: grazie al potere
acquisito lungo la sua presenza all’interno del
governo della città, New York diventò sempre
più una città basata sull’automobile, una vera e
propria ‘car culture’.
La griglia, infatti, che fino ad allora aveva
funzionato più o meno bene, non era più in
grado di reggere il peso della trasformazione
della città, che in pochi decenni aveva visto più
che raddoppiata la presenza di ampi quartieri
residenziali e commerciali, sempre più legati
agli spostamenti tramite veicoli motorizzati.
Le strade, che nel secolo precedente erano
risultate davvero molto efficienti nel trasporto
e spostamento di merci e persone tramite
carri e carrozze, ora si mostravano del tutto
inadeguate alla società del XX secolo.
La griglia ha iniziato a lavorare meno bene
durante la prima metà del secolo scorso con
l’avvento delle auto a benzina e dei camion: i
ponti e i tunnel, che forniscono l’accesso di
massa per l’isola, cominciarono a modificare
l’orientamento principale del traffico dell’isola
da est-ovest a nord-sud. Le connessioni tra
“quartieri alti” e “Midtown” cominciarono a
intasarsi, e le vie laterali con loro. Le autostrade
di Moses tentarono di risollevare il traffico
da nord e sud, ma, in ultima analisi, hanno
solamente aggiunto maggior congestione ad
una griglia di strade, non costruita per
il movimento longitudinale.
In seguito, poi, alla bocciatura dei due progetti
di expressway in senso trasversale di Moses
- la Lower Manhattan Expressway e la Mid
Manhattan Expressway -, che avrebbero tagliato
l’isola da sponda a sponda, Manhattan rimane
ancora oggi pervasa da notevoli difficoltà di
spostamento in superficie.
Si può quindi dedurre che, come lo stesso
Peter Marcuse afferma, dal punto di vista
della gestione del traffico, New York City si rivela
essere “one of the worst city plans of any major
city in the developed countries of the world.”
In maniera controversa le ultime
amministrazioni di governo della città hanno
cercato di fronteggiare questo tema, con
soluzioni talvolta alquanto contrastanti,
consapevoli dell’importanza di questa
figura 1
‘Looking Down a Future New
York Street in 1975’: una
Manhattan serena, simile ad una
rivisitazione di Venezia, dopo la
metamorfosi proposta da Corbett per
la gestione del traffico
1
La citazione è tratta dal testo di Rem
Koolhaas, ‘Delirious New York’,
edito dalla Electa, Milano nel 2001
2
Negli anni Trenta del
Novecento Robert Moses
divenne sovrintendente per
il parco e coordinatore dei
progetti di costruzione per la
città di New York e promosse
innumerevoli progetti, al
tempo e successivamente
molto discussi, in particolare
dal movimento capitanato dalla
sociologa Jane Jacobs
1
Manhattan: città veloce VS città lenta
37
il traffico
2
figura 2-3
Raymond Hood, schizzi per
‘Manhattan 1950’
3
Dal saggio scritto da Michael Sorkin
tratto dal testo ‘Giving Ground.
The politics of propinquity’,
edito da Verso, New York nel 1999
3problematica all’interno del funzionamento
dell’organismo vitale della città.
Il sindaco Giuliani, in carica dal 1994 al
2001, ad esempio, come atto dimostrativo per
mostrare il suo impegno nella ‘lotta alla
congestione’, chiuse il passaggio pedonale
tra la 50th street e la Fifth e Madison Avenue,
per concedere agli autoveicoli una maggiore
libertà di scorrimento. Tale libertà infatti ,
secondo Giuliani, implicava un risparmio
notevole di tempo, tale da renderlo una delle
possibili priorità; la separazione dei flussi
inoltre è storicamente stata una decisione
considerata razionale, legata in un certo senso
al concetto di ‘zoning by use’.
Secondo lo studioso Michael Sorkin 3
, però,
spesso questa forma di rallentamento e
di interferenza tra i diversi sistemi
di movimento genera le coordinate per un
equilibrio di base del sistema urbana, senza le
quali perderebbe di fascino.
Oggi la velocità dei media e delle
informazioni è considerata la priorità
della società tutta, determinata dalla scala
economica mondiale e dall’ordine politico,
gettando nell’oblio la velocità della
vita reale, quella appunto del traffico, delle
automobili e dei pedoni.
Potenzialmente, sostiene sempre Sorkin, vi è un
legame etico tra velocità e scopo, un
sistema di diritti che premia o meno attraverso
la velocità in maniera sempre differente.
La caratteristica essenziale della città è quella
di produrre ‘propinquity’, prossimità, di
generare una relazione continua tra abitanti
ed ambiente urbano e per questo il tema del
traffico non concerne solamente una questione
di tempistiche e mobilità, ma mette in gioco
l’assetto sociale della città stessa.
Purtroppo però oggi il tema del traffico è visto
esclusivamente dal punto di vista di problema
tecnologico: l’attenzione degli esperti è
focalizzata sull’invenzione di nuovi sistemi di
trasporto e sulla gestione di incroci e corsie.
Lo spazio della città viene ‘affittato’ e invaso da
ogni sorta di infrastruttura per poter concedere
l’innegabile diritto di libertà di movimento
in tutta la città; ma proprio Sorkin reclama il
diritto di disassociarsi da tale libertà
di essere all’interno della logica della
velocità.
La risoluzione del problema del traffico infatti
potrebbe essere portata avanti attraverso
l’eliminazione delle ragioni che
portano al movimento: da una parte
rinchiudersi nell’immobilità totale, dall’altra
fare in modo che ogni quartiere contenga al suo
interno tutto il necessario per una vita sociale
ed economica di successo.
E in fondo in questo momento storico l’America
si sta popolando di tutta una serie di nodi che
attirano il flusso: dai centri commerciali alle
strip fino ai suburbs, ognuno di questi luoghi è
pensato per essere un nodo di questo flusso,
esplicitamente fatto di spostamenti veicolari.
Essi, nel loro complesso, costituiscono quasi
un ‘landscape’, un paesaggio, componibile e
percepibile solo attraverso l’auto, idealizzata ad
oggetto di identità personale e non più di lusso.
Ogni misura presa per facilitare lo scorrimento
e lo spostamento in automobile si basa su di
una politica della separazione dei flussi, poiché
lo spazio dell’auto predomina su tutti ed entra
obbligatoriamente in conflitto con gli altri.
Lagriglia jeffersoniana,sullaqualeèbasata
la pianificazione del suolo americano, infatti,
non genera solamente una distesa infinita di
quadrati pronti per essere ‘riempiti’, ma produce
inoltre innumerevoli intersezioni,
che, per essere risolte dal punto di vista del
38
la griglia veloce:
traffico, necessita di molteplici negoziazioni,
che in numero elevato diventano veri e propri
impedimenti.
La congestione dopotutto altro non è che
un malfunzionamento di organismo vitale
chiamato città, che fin dalla sua nascita porta
con sé una malformazione genetica, la griglia
stessa: nel momento in cui la domanda
supera l’offerta, ecco che nasce la necessità
di attraversare la città da parte a parte più
velocemente, utilizzando i vuoti stessi che la
città possiede - 12 avenue e 155 streets -.
La forma stessa degli isolati, alquanto
allungata, ha portato alla definizione di un
numero di strade longitudinali rispetto all’isola
assai scarso: gli spostamenti, legati alle attività
principali della città da raggiungere,
risultano quindi difficoltosi e la durata degli
stessi si allunga notevolmente.
La griglia dunque chiama in campo non più solo
la terza dimensione -l’altezza degli edifici- ma
una quarta, il tempo.
Secondo la ricerca di Fabio Casiroli,
esposta nel testo ‘Khronopolis: città
accessibile, città possibile’ 4
, la griglia
necessita di una nuova lettura e di nuove
forme di organizzazione spaziale del
movimento capaci di potenziare al massimo
l’efficacia del sistema.
Casiroli suddivide la città di New York, tenendo
quindi in considerazione tutta la metropoli e non
sono l’isola di Manhattan, in 4 città differenti,
a seconda dei 4 macro gruppi di attività che la
città nella sua totalità svolge maggiormente: la
città del lavoro; la città della cultura;
la città dello sport ; infine, la città
dello svago.
La città del lavoro si presenta essere al
primo posto nella scala dei valori dei newyorkesi
e pertanto rappresenta un tassello importante,
specie durante le famose rush hours -le ore di
punta, quelle del lavoro d’ufficio -, del traffico
globale nella città, attirando utenti da tutta
l’area metropolitana.
Le percentuali indicano che il 30% di tali utenti
preferisce giungere a lavoro in automobile,
mentre un buon 54% predilige i mezzi pubblici.
Una situazione inversa è invece quella
rappresentata dal diagramma relativo alla città
dello sport e dello svago, mentre quella della
cultura presenta una situazione non lontana
dalla parità.
Il modello proposto da Casiroli cerca di
delineare i contorni di una città nella quale
la localizzazione delle funzioni e l’offerta
di trasporto siano tali da garantire tempi di
spostamento brevi, urbani appunto, entro i 45
minuti.
Funzioni e connessioni rappresentano i due
layerfondamentaliattraversoiquali ripensare
i flussi urbani, alla scala del quartiere, alla
scala urbana e a quella metropolitana.
Il modello studiato da Casiroli si pone come
obiettivo quello di poter essere applicato in
qualunque città e tra queste vi è anche New
York, che, con la sua maglia ortogonale molto
particolare, più estesa in senso longitudinale
che in senso latitudinale, richieda una soluzione
ad hoc.
L’esercizio che viene da lui compiuto impone
che la situazione del traffico venga verificata
isolato per isolato, consentendo ai mezzi
pubblici una circolazione bidirezionale
e riservando ai veicoli privati una
circolazione a sensi unici alternati,
ormai molto usuale a Manhattan.
Questa dunque la soluzione per i movimenti
relativi alla gestione del traffico nel quartiere,
mentre gli spostamenti a scala urbana sarebbe
rimandati al mezzo della metropolitana e quello
a scala territoriale risulterebbero infine di
figura 6
Diagrammi circa la percentuale
di spostamenti in auto e quella
in mezzo pubblico in relazione
al tipo di attività da svolgere,
prodotti da Fabio Casiroli
4
Fabio Casiroli, ‘Khrónopolis.
Città accessibile, città
p o s s i b i l e - K h r ó n o p o l i s .
Accessible city, feasible city’,
edito da Idea Books, Milano,
nel 2008
6
Manhattan: città veloce VS città lenta
39
il traffico
competenza dei mezzi ferroviari, più rivolti alla
regione.
La viabilità est-ovest si concentrerebbe inoltre
su tre linee principali che vanno da fiume a
fiume, attraversandoli, da qui poi si diparte
una viabilità di carattere minore che facilita
la distribuzione dei microflussi all’interno del
quartiere; dall’altro lato invece la mobilità nord-
sud più importante verrebbe rimandata alle
arterie autostradali già presenti lungo le sponde
dei due fiumi stessi.
Le riflessioni finali che scaturiscono da tale
modello sono essenzialmente rappresentate
dall’importanza rivestita dai modelli di
trasporto urbano nell’ottica della diminuzione
della congestione del traffico stradale.
Il problema di tali modelli è che essi risultano
essere il più delle volte modelli statici e mono-
dimensionali, che non tengono conto della
complessità legata alla vita urbana e agli
spostamenti ad essa connessi.
Chiaramente il modello proposto da Casiroli
necessiterebbe di una verifica pratica
per comprovarne la validità, ma quello che
vi è di positivo da osservare è proprio il suo
tentativo di fotografare una realtà
estremamente dinamica come quella di
New York e allo stesso tempo di sintetizzarla in
spostamenti veloci e congruenti con le attività
presenti, sfruttando le possibilità offerte
dalla griglia stessa.
Ad oggi, una delle soluzioni più intraprese,
accarezzata dall’amministrazione newyorkese
del sindaco Michael Bloomberg, ma anche
da quelle delle maggiori città del mondo, è
quella della famosa ‘congestion charging’,
ovvero la tassazione di alcune strade al fine
di scoraggiarne l’utilizzo; tale tecnica in alcuni
casi ha portato alla riduzione anche del 20%
del traffico, ma ha acceso un dibattito circa la
legittimità di tale azione da parte del governo,
considerando soprattutto la valenza e la
proprietà pubblica delle strade in questione.
Tale strumento è già stato utilizzato dalla
città di Londra, ma New York al momento
preferisce adottare altre tecniche, quali quella
di implementazione di sistemi di trasporto
esistenti, pubblici e non, o di utilizzo di sistemi
alternativo di spostamento.
Per questo, negli ultimi anni, nell’ottica
soprattuttodiraggiungeregliobiettiviperilpiano
proposto per il 2030 di una ‘GreeNYC’5
, sono
state incentivate nuove forme di spostamento
come l’utilizzo della bicicletta - incentivato da
un numero sempre maggiore di piste ciclabili,
di aree verdi e di pezzi di strada chiusi al traffico
veicolare - o come l’introduzione di una nuova
forma di taxi-sharing - la condivisione cioè
dello stesso taxi per alcuni tratti di strada,
con la possibilità di divisione del prezzo del
servizio -, quest’ultimo però visto ancora con
sguardo scettico dalla maggiorparte dei cittadini
newyorkesi che sostengono di utilizzare il taxi
proprio per la rapidità e libertà di spostamento
che consente.
La politica americana in fondo altro non è che
‘fondata non sulla fantasia generata
dalla collettività, ma sul diritto di
essere lasciati soli’6
: ecco perchè permane
nelle più grandi città d’America una logica del
trasporto molto individualista.
In un certo senso Manhattan ha il privilegio,
a causa della sua forma urbana - una griglia
su di un’isola molto ristretta - , di avere la
necessità di ripensare completamente il suo
sistema di trasporti, di gestione del traffico e di
interconnessione degli spazi urbani della città, a
partire da quelli pubblici.
Una nuova sfida per il XXI secolo, a
cui la città stessa non rinuncerà.
7
figura 7
Diagrammi circa la modalità
di spostamento all’interno
della griglia newyorkese
del quartiere di Midtown
Manhattan, prodotti da Fabio
Casiroli
figura 8
Diagramma che mostra le
tipologia di mezzi utlizzati
nelle pincipali città americane
per gli spostamenti urbani,
rintracciabile sul sito http://
www.infrastructurist.com/
5
Per maggiori informazioni
consultare il sito http://www.
nyc. gov/html/greenyc/html/
home/home.shtml
6
Citazione tradotta tratta dal
testo di Michael Sorkin, ‘Giving
Ground. The politics of
propinquity’, edito da Verso, New
York nel 1999
8
manhattan:
città veloce VS
città lenta
la griglia
lenta:
i neighborhoods
la griglia lenta:
Manhattan: città veloce VS città lenta
43
i neighborhoods
01.4
La griglia lenta: i neighborhoods
“Nel perimetro di un solo isolato intorno a casa mia stava tutta
l’avventura del mondo, nell’arco di un miglio tutti i paesi stranieri”
John Reed
Le mappe che potrebbero essere elaborate
per la città di Manhattan sono infinite, a causa
o grazie alla natura variabile e dinamica della
città stessa, e risulta quindi complesso
e ardito dare una definizione univoca
della composizione dei quartieri
della città e incasellarli in una mappa turistica
costruita con rigore.
Proprio tale complessità d’altra parte costringe
ad una sintesi del luogo e a mappe forzate, che
variano di anno in anno, di versione in versione.
Una delle suddivisioni più popolari delle aree
della città deriva dalla classificazione geografica
downtown, midtown, uptown, ormai
classica tra le città americane, radicalmente
opposta a quella europea, basata sulla
formazione della città circolare rispetto ad un
nucelo storico centrale.
Le città americane infatti basate su di uno
sviluppo lineare lungo un asse, che
coincide solitamente con la ‘Main Street’,
si presentano come città aperte, contro
quelle chiuse europee, i cui assi diventano vie
di scorrimento interno, contrapposti agli assi
radiali della maggiorparte delle città europee.
Ecco quindi da qui la spiegazione della
suddivisione della città in tre fasce successive,
che nel caso di Manhattan sono rese più
sfaccettate dalla conformazione a isola della
città.
Semplificando, downtown può essere
considerata la parte meridionale dell’isola fino
alla 14th Street; midtown il brano di città che va
dalla 14th Street al lembo inferiore di Central
Park; uptown tutta la fetta di città che si trova al
di sopra della 59th Street 1
.
Per Manhattan inoltre downtown rappresenta il
nucleo originario, midtown una fascia centrale
di ‘trapasso’, mentre uptown l’ultima fascia
in senso cronologico di completamento del
tessuto.
Questa suddivisione operata a grandi linee su
tutta l’isola non tiene però conto delle diverse
realtà compresenti delle tre fasce, che possono
dunque a loro volta essere suddivise in vere e
proprie comunità, ‘unità di vicinato’ - i
cosiddetti neighborhoods appunto-,
costituiti da ritagli nel tessuto della
città, pressochè netti, dai confini chiari che
però subiscono variazioni con il passare del
tempo e delle politiche sociali e culturali.
New York, città di individui, città dura,
aspramente individualista, si rivela essere
una città fatta anche di gruppi, di
villaggi, di comunità riunite assieme
da tradizioni, origini, lingua e
cultura dopo la fuga oltreoceano degli anni
dell’immigrazione.
Questi quartieri, nati storicamente nella
maggiorparte dei casi come veri e propri
ghetti, si sono trasformati in insiemi di vie,
scorci, viste e densità specifiche, insostituibili
e altamente riconoscibili di tutta l’isola: Little
Italy come Chinatown, Harlem come il Civic
Center, l’Upper West Side come l’Upper East
Side rappresentano tutti delle piccole isole2
a se stanti, ben marcate da confini davvero
percepibili.
All’improvviso infatti le strade ‘di confine’
si spaccano in due per appartenere a due
universi paralleli, che coesistono il più delle
volte pacificamente, in un confronto evidente
che senza negazioni o scuse si manifesta anche
sotto gli occhi del più ignaro turista.
Alcuni di queste strade non raramente
ospitarono anche scontri e ribellioni, disordini
urbani frutto di quelle tensioni fra comunità
cheoggisembranomenoevidentimachetuttora
esistono: una storia, quella di Manhattan, fatta
1
Discussione tratta dal testo di
Mario Maffi, ‘Sotto le torri di
Manhattan’, Rizzoli, Milano, 1998
2
Si fa riferimento ai contenuti del
Capitolo 3 di progetto della tesi
44
la griglia lenta:
1
2
di contrasti, talvolta anche violenti, che sono
però oggi tratto caratteristico di una metropoli
sempre in movimento e sempre diverse, dalle
mille sfaccettature.
Queste facce diversificate della città non si
riflettono solo nella suddivisione dei diversi
quartieri - suddivisione che negli anni
non solo è diventata ufficiale, ma
anche formale, poiché ha determinato la
nascita di molteplici associazioni e istituzioni di
tutela e progettazione di interi distretti - , ma si
percepiscono anche attraverso i suoni che si
diffondono nelle strade.
Il suono della città tutta si compone di diverse
voci, caratterizzate da molteplici slang in
continua mutazione, derivati dalle decine di
lingue parlate: irlandese, tedesco, italiano,
yiddish, cantonese, arabo, spagnolo e tutte
le derivazioni ancora interne a queste
stesse lingue. Passeggiando per la metropoli
risuonano suoni ibridi e mescolanze linguistiche
che riflettono la varietà di razze e culture
compresenti ormai da secoli.
Le carte diffuse in sostanza non possono essere
considerate definitive e i confini, seppur
di anno in anno ben marcati, sono
labili e provvisori e cambiano anche
in virtù di motivazioni economiche e
demografiche.
Proprio in virtù dell’assialità verticale
predominante le suddivisioni applicate ai
quartieri seguono nella maggiorparte dei casi
strade trasversali intermedie che si estendono
da est a ovest, che quindi cambiano carattere
man mano che attraversano neighborhoods
differenti.
Alcuni di questi villaggi vivono ancora oggi
del mito che di loro si è diffuso nei decenni
passati ed è da evidenziare una progressiva
omogeneizzazione degli interventi di
riqualificazione, che ormai riguardano non
solo l’isola di Manhattan, ma anche i rimanenti
quattro boroughs.
Ma è proprio nei quartieri in cui si colgono le
contraddizionipiùforticheèpossibileriscontrare
maggiori indizi circa le differenze culturali
che popolano la città: anche e soprattutto le
architetture dei quartieri parlano del passato di
questi fazzoletti di terra, tra murales e caseggiati
in ristrutturazione, grattacieli e nuovi cantieri,
case popolari e infrastrutture, residenze di lusso
e uffici multipiano.
Spesso inoltre alcuni di questi quartieri
figura 1
Mappa stampata e prodotta dalla
tipografia Oak Posters, della designer
Jenny Beorkrem, con l’obiettivo di
far scaturire un maggior senso di
appartenenza culturale
figura 2
Mappa elaborata con tecnica astratta e
confini non corrispondenti a quelli reali
Manhattan: città veloce VS città lenta
45
i neighborhoods
4
3
figura 3
Mappa elaborata con tecnica astratta e
confini non corrispondenti a quelli reali,
con indicazione delle maggiori strade di
confine tra i quartieri stessi
figura 4
Mappa elaborata con tecnica astratta e
confini non corrispondenti a quelli reali,
con individuazione dei diversi quartieri
tramine una nominazione più dettagliata
nascondono, anche nel loro sottosuolo,
una serie di abitanti considerati
‘undesiderables’ per la città, che restano
quindi invisibili, chiusi nei recinti non
necessariamenti protetti di quartieri come il
Lower East Side o Harlem.
Altrettanto spesso questi quartieri
vengono considerati non facenti parte
della città stessa o da rimuovere o da
concepire come ‘errori’ della città stessa: ed è
invece porprio qui che si concentra l’anima della
città, è qui che si avvertono radici, storia e
identità.
Identità: il riconoscere se stessi e parte di una
determinata civiltà nella vita dei marciapiedi,
delle strade, nella mescolanza delle culture e in
quel senso di comunità che si coglie anche nella
metropoli della solitudine - quella dei 2028
isolati -, in cui tutto sembra disgregarsi.
Il Lower East Side, ad esempio, divenne il
quartiere immigrato per eccellenza, il cancello
d’ingresso nell’epoca in cui New York era
considerato il punto di approdo verso il paese
dei miraggi. Le condizioni del quartiere a inizio
secolo erano sotto i minimi accettabili, ma
l’ambiente fervido e frizzante del quartiere
divenne presto il laboratorio in cui vanno
ricercati gli inizi del cinema e dello spettacolo
popolare, del teatro, della pittura realista
americana e le prime sperimentazioni della
letteratura del modernismo, il giornalismo
politico e la fotografia sociale.
Tutte queste forze non rimasero confinate nel
quartiere ma anzi si diffusero rapidamente oltre
i confini dello stesso per arrivare ad influenzare
tutta la città di New York e l’America stessa, e
formare così il ‘900 conosciuto.
Un esempio fra tanti, da confrontare con
l’Harlem afro-americana di colore,
Chinatown e Little Italy e il Village,
anch’esso caratterizzato da tensioni e storie
sociali, che fu testimone di esperienze come i
beats, il folk revival, e il jazz.
Non rimane quindi che indugiare tra le vie
di questi luoghi per comprenderne appieno
l’essenza ed arrendersi al fatto che ogni strada di
New York non possa essere intrappolata in una
definizionepermanentedellesuecaratteristiche
e dei suoi abitanti.
46
la griglia lenta:
Il distretto finanziario, che comprende gli uffici e sede di
molte delle più importanti istituzioni finanziarie
della città, tra cui il New York Stock Exchange e il Federal
Reserve Bank di New York, ha una popolazione residente di
circa 56.000 ab. Durante il giorno, la popolazione si dilata
sino a circa 300.000 ab e i residenti sono in continua crescita,
così come alcuni edifici si stanno trasformando da uffici in
residenze.
Le caratteristiche del distretto sono quelle proprie dei
quartieri d’affari, con una presenza alta di sedi e uffici di
società: lo spazio pubblico infatti scarseggia e le
attività presenti riguardano principalmente la
ristorazione a servizio degli impiegati.
La via simbolo dell’area è Wall Street, antico confine
della città prima dell’espansione oltre le mura. La densità
caratteristica è quella propria dei distretti d’affari, con edifici
alti e torri monofunzionali.
financialdistrictciviccentertribeca
Il quartiere, cuore dell’attività politica dell’intera isola, vista
la presenza di City Hall, la sede municipale di New
York, rappresenta il fulcro delle proteste e rimostranze
di tutti i gruppi e le comunità dell’isola. L’intera area si
concentra attorno al City Hall Park, che rappresenta
anche l’unica strada di imbocco del ponte di Brooklyn, nella
sua via pedonale.
Anche se non molto ampio, il quartiere rappresenta un
punto di riferimento, anche per ciò che riguarda la mobilità
in tutta l’isola, rappresentandone un po’ il capolinea prima
che il sistema metropolitano si estenda al di fuori dei confini
dell’isola.
Tutte le funzioni giuridiche si addensano nel quartiere
e ne determinano la vocazione, rendendolo estremamente
connesso al quartiere del Financial District. In questo brano
di città la Broadway rappresenta la spina dorsale del tessuto
urbano.
Risultatodelleinizialidelleparole“Triangle below Canal
Street”, questo quartiere è caratterizzato dalla presenza di
numerosi studi di vario genere alternati a residenze
di alto livello. L’antica anima industriale della zona si
è velocemente convertita in edifici di pregio architettonico
mano a mano che i valori degli immobili si innalzavano ed
ora un’area ordinata e ripulita, la cui immagine riflette la
tipologia di abitanti presenti, per la maggiorparte bianchi e
americani.
L’intera area è ormai divenuta distretto storico, con una gran
moltitudine di edifici dichiarati ufficialmente landmarks
dalla città.
Il tessuto si fa sempre più simile alla griglia del resto della
città, ma presenta alcune commistioni con la rete viaria del
Financial District e una differente inclinazione derivata dalla
vicinanza alla costa, da cui è distanziata tramite la parte
finale dell’highway che proviene dal nord dell’isola.
Manhattan: città veloce VS città lenta
47
i neighborhoods
chinatownsohonoho
Come la maggiorparte dei quartieri popolati da cinesi nel
mondo, anche questa Chinatown è in parte costituita da
elementi residenziali e in parte a destinazione commerciale.
Le unità residenziali sono rappresentate da edifici vari, alcuni
dei quali anche di cento anni fa, nei quali non è difficile
trovare condizioni di vita di basso livello, con bagni
in comune e stanze prive di luce.
La maggiorparte della popolazione è di origine cinese,
proveniente della regione del Guandong e da Hong
Kong, e in una fase iniziale dello sviluppo del quartiere fu
principalmente popolato da gangsters e gruppi violenti.
L’unico parco presente è Columbus Park, nato proprio
sopra la piccola piazza dei Five Points, luogo di leggende e
storie truci e di violenza della Manhattan di inizio Ottocento.
Nella prima metà dell’Ottocento, Soho, letteralmente ‘a sud
della Houston’, era popolato da numerosi bar e locali,
frequentati soprattutto da uomini a partire dal sabato sera
al lunedì mattina. A fine del Ventesimo secolo l’area venne
invece popolata da artisti che qui potevano trovare
numerosi e ampi spazi di lavoro, ma nel tempo il processo
di gentrificazione e riqualificazione di tutta downtown
Manhattan portò ad uno sviluppo dell’area ormai lontano
dall’anima artistica originale. Per un certo periodo il governo
dellacittàstessadecisedisostenerel’immaginedelquartiere
consentendo la residenza effettiva solo agli artisti e alle loro
famiglie, ma non fu comunque sufficiente.
Oggi infatti l’intero quartiere, specie nel suo affaccio sulla
Broadway, ma anche nelle vie interne, è letteralmente
preso d’assalto dai negozi e ristoranti delle migliori marche,
rappresentando il quartiere più alla moda e dello
shopping.
Noho, il quartiere ‘a nord di Houston’, è il villaggio
della città più composto da edifici convertiti e trasformati in
splendidi loft, ad oggi tra i più cari e desiderabili di Midtown
Manhattan e che contribuisce così al mantenimento dei
prezzi molto alti del mercato immobilire della zona.
Gli edifici dell’area ricordano il passato commerciale
del quartiere e il loro pregio è altamente riconosciuto
dalla Commissione per i beni storici della città: oggi quindi il
paesaggio visibile al suo interno è quello di un’alternanza di
facciate in marmo, mattoni a vista, ferro e terracotta.
Al suo interno si trovano alcune università di prestigio e nella
parte più a sud include anche ciò che è rimasto dell’antico
quartiere di Little Italy, ormai ridotto a poche strade, ben
ripulite e turiste che sconfinano ormai in pure vetrine.
Perproteggerel’identitàdelquartiere,ociòcheneèrimasto,
anche in questo caso è nata un’associazione spontanea per
la sua difesa e salvaguardia.
48
la griglia lenta:chelseagreenwichvillagegramercy
‘Il Village’, così come viene chiamato questo neighborhood,
si presenta come un quartiere soprattutto residenziale, per
lo più abitato oggi da famiglie della upper middle
class, ma un tempo capitale bohemien dell’isola e culla del
movimento della Beat Generation.
Come per gli altri quartieri della città, i lati caratteristici e
folkloristici dello stesso diventarono presto la sua condanna
a morte, verso la gentrificazione.
La piazza più rinomata e famosa dell’intera area è
Washington Square, recentemente risistemata, e fino a
pochi anni fa devastata dallo spaccio e dal crimine.
Ancora oggi conosciuto per i suoi numerosi locali di jazz,
molto animato di notte, si trasforma in una tranquilla oasi
residenziale di giorno, caratterizzata da edifici a cinque o sei
piani.
Popolato da artisti, oggi molto lontani da quelli che
forgiarono il quartiere di Soho, ogni strada di Chelsea
si affolla di curiosi e appassionati alla ricerca dell’ultima
opera d’arte o dell’artista all’ultima moda, tra i capannoni
finemente e costosamente recuperati, sotto l’ombra di uno
dei pochi spazi pubblici rimasti, l’highline.
Nella sua parte più vicina alla costa, si trasforma nella
città dello sport, in cui tutti i pontili e i piers sul fiume
sono stati recuperati e convertiti in immensi edifici adibiti a
campi al coperto e sale e palestre di allenamento.
Il tutto contornato da una linea verde, attrezzata
anch’essa per lo sport e il passeggio sul lungo
fiume, che si estende quasi ininterrottamente a partire da
Battery Park City fino a qui.
Conosciuto fin dal Ventesimo secolo come centro delle
attività manifatturiere e della moda, condensa in meno di un
miglio quadrato la maggiorparte degli showrooms
della City e ospita i più noti brand del mondo della
moda, nel famoso tratto della Fifth Avenue che termina
nell’inizio di Central Park.
Inizialmente occupato anche dalle sedi di produzione di tali
prodotti manifatturieri, venne in breve tempo riconosciuto
come il quartiere adatto ad ospitare edifici lussuosi ad alto
rendimento immobiliare e presto gli ultimi residui industriali
vennero rimpiazzati con edifici appariscenti e firmati ad hoc
dai brand che rappresentano.
Moltovicinoalleprincipalistazionidellacittà,Pennsylvania
Station e Grand Central Terminal, è il quartiere che
più spesso ospita i primi sguardi dei visitatori stranieri e dei
viaggiatori più in generale e rappresenta la più grande e
lussuosa vetrina della città.
Manhattan: città veloce VS città lenta
49
i neighborhoods
theaterdistrictupperwestsideinwood
Collocato nella Midtown Manhattan, il Theater District
rappresenta il simbolo più conosciuto della Grande
Mela: nato come quartiere malfamato costellato
da locali a luci rosse e dimora delle prostitute,
è stato progressivamente risistemato, piano piano che
l’immagine di icona si faceva strada.
Attraverso gli ultimi interventi di pedonalizzazione
del tratto di Broadway che attraversa il quartiere,
quest’ultimo si sta progressivamente trasformando in
un’area di accoglienza e intrattenimento dei turisti, sia di
giorno che di notte.
Motivo per cui l’area è quasi completamente priva di edifici
prettamente residenziali, anche a causa dell’alta densità
della stessa.
Oggi allo stesso livello dell’Upper East Side, il quartiere nasce
come ghetto per spagnoli provenienti dall’America Latina e
nel tempo si è trasformato nell’area più residenziale per la
classe media americana.
Rigidamente ancorato alla griglia, si trova lambito
sul lato del fiume dal Riverside Park, tra i parchi lineari
più ampi dell’isola, che attrezza con uno spazio pubblico
molto utilizzato l’intera comunità.
Gli elementi di maggior spicco sono costituiti dal complesso
del Lincoln Center e dal Museo di Scienze
naturali, attrazioni turistiche e non dell’intera area. Al
confine nord invece si colloca una delle maggiori università
dell’isola, la Columbia University, che con il suo campus
e le sue proprietà immobiliare possiede gran parte degli
edifici dell’area nord del quartiere, popolandolo di studenti
universitari.
Inwood è il neighborhood più anorddell’isola di Manhattan,
circondato dall’acqua su tre lati e morfologicamente
collinoso, con poche connessioni con il tessuto
stradale del resto di Manhattan.
L’ Inwood Hill Park contiene l’ultima foresta naturale
dell’isola ed è gettonatissima meta nei fine settimana.
Confina a sud con Washington Heights, quartiere
prevalentemente abitato da ispanici di Santo Domingo.
In Washington Heights si trova il punto naturale più alto di
Manhattan, già sede di Fort Washington, una fortificazione
costruita per difendersi dagli Inglesi durante la Rivoluzione
Americana.
La popolazione di Hamilton Heights, invece, ancora più a
sud, è composta da professionisti neri benestanti.
Nel quartiere si trovano il City College di NY, il Dance
Theatre of Harlem e The Harlem School of Arts.
manhattan:
città veloce VS
città lenta
broadway:
dalle origini alla
pedonalizzazione
la broadway: dalle origini
Infinite Broadway. La lunga piazza.
Infinite Broadway. La lunga piazza.
Infinite Broadway. La lunga piazza.
Infinite Broadway. La lunga piazza.
Infinite Broadway. La lunga piazza.
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Infinite Broadway. La lunga piazza.

  • 1. politecnico di torino i facoltà di architettura corso di laurea in architettura [progettazione urbana e territoriale] tesi di laurea specialistica dicembre 2010 infinite broadway la lunga piazza relatore_ _candidata Andrea Boschetti Stefania Toso correlatore_ Pierre Alain Croset
  • 2.
  • 4. infinite broadwayinfinite broadway La lunga piazza INDICE 7 Manhattan: città veloce VS città lenta _01 9 La città americana _01.1 19 Mannahatta e il ‘gridiron plan’ _01.2 33 La griglia veloce: il traffico _01.3 41 La griglia lenta: i neighborhoods _01.4 51 Broadway: dalle origini alla pedonalizzazione _01.5 59 La presunta morte dello spazio pubblico americano _02 67 Storia dello spazio pubblico nello sviluppo di ‘Mannahatta’ _02.1 75 La ‘res publica’ contemporanea della Grande Mela _02.2 79 Public Space Map _02.3 81 Pocket Spaces _02.4 83 Vest Pocket Parks [Paley Park] _02.4.1 87 Community Gardens [6th Street and B Avenue Garden] _02.4.2 91 Atrii e gallerie [IBM Atrium] _02.4.3 95 Mercati [Zuccotti Market Park] _02.4.4 99 Neihborhood Spaces _02.5 101 Piazze aziendali [Seagram Plaza] _02.5.1 105 Parchi di quartiere [High Line] _02.5.2 109 Parchi giochi [Sara Roosvelt Park] _02.5.3 113 Urban Spaces _02.6 115 Piazze urbane [Union Square] _02.6.1 119 Parchi urbani [Bryant Park] _02.6.2 123 Territorial Spaces _02.7 125 Piazze a scala territoriale [Times Square] _02.7.1 129 Parchi a scala territoriale [Central Park] _02.7.2
  • 5. 03_ Infinite Broadway 133 03.1_ L’utopia della griglia 137 03.2_ Un’isola di isole 145 03.3_ Spazio pubblico puntiforme VS spazio pubblico continuo 153 03.4_ Una città pubblica orizzontale 173 03.5_ Immagini dalla Broadway 205 04_ Istantanee dalla Grande Mela 213 05_ Ringraziamenti 217 06_ Riferimenti bibliografici 221 infinite broadway La lunga piazza infinite broadway
  • 6.
  • 8.
  • 11. Manhattan: città veloce VS città lenta 11 americana 01.1 La città americana “New York era il luogo più grandioso dell’Occidente, il cuore, il cervello, il punto focale, la sorgente principale, il pinnacolo, l’estremità, il meglio del Nuovo Mondo” Walt Whitman Nell’approccio al progetto in territorio americano è innegabile la necessità di una conoscenza approfondita e scevra da giudizi e schieramenti circa la cultura della pianificazione propria del continente americano, così lontana da quella europea. La vera America, quella costruita a partire dai miraggi di una democrazia totalizzante, nasce dopo la fine del dominio inglese, la cui rottura aprì le porte alla trasformazione del territorio americano da messa in scena delle volontà europee a laboratorio per la costruzione di una nuova società. La griglia che venne applicata al territorio americato, quella basata sulla teoria di Thomas Jefferson sull’ideale del quadrato di un miglio di lato, frutto della Land Ordinance del 1785, divenne la base per la crescita delle più grandi megalopoli d ‘America. Questa griglia, essenzialmente rurale, diventò anche urbana nel momento in cui avvenivano al suo interno suddivisioni tali da renderla un tessuto più fitto e complesso. Nei decenni molte città nacquero inoltre dal ripensamento e della rimodificazione del modello originale, attravreso mutazioni e traslazioni che fanno parte di un processo di riscrittura della griglia stessa ancora senza fine. Il salto di scala di queste grandi città americane avenne nel momento in cui dalla città pianificata sulla base della griglia bidimensionale si compì il salto in altezza, ovvero quando la sezione della città divenne indipendente dalla sua pianta: nacque la città dei grattacieli. Questa mutazione, resa possibile dall’introduzione nel mondo architettonico delle strutture in acciaio e dall’invenzione dell’ascensore, diede vita a edifici come soggetti indipendenti, specie nella città di New York, pronti a divenire tra di loro antagonisti, in un’anarchia dell’individualismo, logica ben lontana dai principi europei degli edifici inseriti nei contesti degli isolati e dei tessuti esistenti. La struttura urbana del grattacielo ad ogni modo non coinvolse solamente la città e il contesto circostante, ma influenzò anche i sobborghi della middle class, che all’improvviso si riempì di tutte quelle funzioni e quegli spazi che non potevano coesistere con la città dei grattacieli. La città americana è molto cambiata rispetto alla situazione precedente la Seconda Guerra Mondiale e, mentre solo cinquant’anni fa era molto più vicina al modello europeo, oggi se ne distacca completamente. Furono le città dell’est a trascinare anche le città della costa ovest in un turbine di grattacieli, abbandonando gli isolati compatti in stile europeo. Il cambiamento avvenuto nella configurazione urbana, causato dal processo di suburubanizzazione avvenuto dopo la guerra, stabilì un nuovo tipo di tessuto, più casuale e disperso, come una vera e propria regola e non come un’eccezione. New York è in fondo la città che più manifesta questo atteggiamento: gli edifici costruiti negli ultimi anni, infatti, riflettono la tendenza verso una progettazione consolatoria rispetto a ragionamenti di carattere sociale e di rapporto con il contesto e il marciapiede. Inoltre, le strade, al contrario del ruolo secondario che possiedono all’interno della città europea rispetto alla piazza, divengono in America gli spazi pubblici dominanti. In Europa, le strade tendono a diventare degli spazi, mentre in America esse divengono semplicemente i vuoti di separazione tra gli edifici, i pieni cioè della città.
  • 12. 12 la città La maggiore differenza riscontrabile tra la città americana e quella europea è costituita dalla distanza che si stabilisce tra il piano per la città e gli edifici e nella relazione tra gli edifici stessi. Nella città americana infatti gli edifici non sono quasi mai legati al piano della città e sono spesso indipendenti tra di loro. La città suburbana, nel tentativo di esprimere un attaccamento alla dimensione orizzontale della pianificazione, tipico della tradizione europea, rappresenta il tentativo più efficace di proposta di un nuovo assetto per la città americana stessa. Essa fu dunque l’ultimo capitolo nella ricerca americana di un’identità urbana; il confronto con la città europea fu da sempre stimolo per il fluire di idee, tra di loro anche contrastanti, come quelle di mimesi con il modello europeo o di radicale distacco da esso, attraverso l’invenzione di nuovi piani urbani o nuove tipologie, nel tentativo di produrre una nuova identità urbana. L’identificazione dell’America con l’Europa definisce l’altra parte di una relazione asimmetrica: le città diventano costruzioni tridimensionali, che materializzano tali fantasie. L’America,laterravergine,comel’ambientazione per scenari futuri, e l’Europa come una terra già costruita, riferimento culturale e custode della memoria del passato. Questo atteggiamento fatto di contraddizioni e imitazioni si riflette negli edifici costruiti nelle maggiori colonie americane, pensati a somiglianza dei modelli europei, ma continuamente stravolti da elementi innovatori. É nei vuoti urbani europei che l’architettura ha trovato un sito idoneo alle pratiche urbane, dalle piazze pubbliche alle singole strade; mentre il piano europeo è il risultato di una pura contingenza con il contesto e di uno scambio di relazioni tra forze politiche ed economiche, al contrario il caso americano parte da una vera e propria tabula rasa per il piano della città. Dopo l’indipendenza americana dal dominio inglese la ricerca di un’identità divenne un tema più urgente; nonostante tutto, l’architettura in America non fu il generatore di nuove fantasie radicali urbane e queste ultime non vennero prodotte dalla figura di architetti, ma da quella di politici coinvolti e informati e di imprenditori. Il tentativo di stabilire un determinato ordine nella costruzione delle città americane ebbe luogo in differenti passi successivi: l’insistenza della proposta di piani basati su di una griglia può essere riportata indietro ad una comunanza con i piani dei coloni, ma il tentativo americano vi differisce per scala. L’invenzione di questa nuova scala viene fatta risalire ad un documento del 1765 in cui si citava per la prima volta la regola della griglia formata da quadrati di un miglio. Tale Land Ordinance, applicata a cominciare dal 1785, venne estesa non solo al territorio vuoto delle aree rurali ma venne utilizzata anche come modello per la costruzione delle nuove città. In sostanza la storia della pianificazione urbana si trova di fronte all’implementazione americana di un modello basato su ideali filosofici europei. Tale modello a griglia si concretizza in due ‘geometrie’: una quella vera e propria dell’ordine imposto a livello della planimetria; l’altra quella relativa all’immagine della città che ne consegue. 1 figura 1 Pianta storica della città di Detroit
  • 13. Manhattan: città veloce VS città lenta 13 americana 2 figura 2 Vista a volo d’uccello della città di Philadelphia, che mette in risalto la struttura a griglia 1 Citazioni tratte dal testo di Mario G a l d e n s o n a s , ‘ X - u r b a n i s m : architecture and the American city’, pubblicato da princeton Architectural Press,New York, nel 1999 Quindi contemporaneamente tale griglia agisce sia come layer appoggiato al suolo e sia come layer che sta sotto tutta la nuova città e che ceca quindi di influenzarla anche nella sua architettura. La città fisica prodotta dalla griglia americana si rivela molto lontana dall’esempio e dal risultato delle griglie utilizzate nelle città europee: queste ultime, infatti, si evolvono tramite trasformazioni e mutazioni che hanno a che fare con la città in termini di contrasto tra gli isolati compatti e le strade e le piazze, i vuoti della città. La città americana, invece, si manifesta con una sintassi di oggetti collocati su di un piano: gli edifici e la loro solidità divengono il passo verso la densificazione della griglia. La città dei grattacieli, poi, a queste strategia sul piano bidimensionale, ne applicò un’altra, sul piano della sezione. Quello che varia dunque è non tanto la forma della città nella sua applicazione di una griglia di base, quanto l’immagine che ne deriva, costituita dall’invenzione di una nuova configurazione urbana, che dal XX secolo in poi ebbe come protagonisti i grattacieli. Il grattacielo portò nel piano verticale ciò che la griglia aveva portato nel piano orizzontale: la possibilità di infinte estensioni che sono metaforicamente presenti della parola stessa di ‘grattacielo’. Mentre la griglia portò ordine e ritmo nella dimensione orizzontale della città, il grattacielo portò libertà e possibilità nella dimensione verticale, rompendo la visione classica degli edifici legati all’elemento scala. La città americana non si fonda sulla tipologia, ma sulle trasformazioni rigurdanti la sua morfologia e tipologia. Il grattacielo obbliga l’architettura a confrontarsi con l’impossibilità di articolarsi con la città a livello di singolo edificio: la griglia diventa urbana e architettonica quando la sua identità di neutralità viene persa, quando il suo ordine cioè viene sovvertito. Il vuoto creato dall’assenza della città americana nel discorso architettonico venne riempito dal concetto di griglia, come opposto alla contingenza percepita che caratterizza l’elevazione dello skyline di alcune città americane, come New York. Nonostante la resistenza alla città americana sia diminuita nel corso del ventesimo secolo, il modo di vedere la città americana come un fatto non architettonico si è conservato ed è stato ribadito e sottolineato non solo dai suoi critici, ma anche da alcuni apparenti sostenitori, come ad esempio Camilo Sitte, critico circa i moderni piani a griglia, o le Corbusier che bollò la città americana come un ‘disordine di grattacieli e strade corridoio come produttori di catastrofi’ e che affermò la reale non neutralità del piano a griglia. Il disordine della città americana apre la possibilità alla costruzione libera e slegata da ogni vincolo. A tale proposito Mario Galdensonas propone una lettura delle differenti griglie che si sovrappongono nella città di New York, al fine di comprendere il rapporto tra il tessuto reale della città e il substrato teorico che l’ha generata.
  • 14. 14 la città I disegni elaborati da Galdensonas nel suo testo sono focalizzati sui settori a griglia della città di New York, che organizzano la parte meridionale della città, appena al di sotto della griglia imposta nel 1811. La frammentazione di griglie differenti permette di cogliere sovrapposizioni, deformazioni e cancellazioni come effetti multipli della collisione di griglie differenti che rappresentano tutti i successivi sviluppi del piano. L’obiettività dell’opposizione tra figura e suolo è stata sovvertita dalla rappresentazione delle continuità lineari implicate, il completamento dei frammenti di griglia e la simultanea rappresentazione in due e tre dimensioni. La contrapposizione tra isolati e edifici/oggetti si fa sfocata con la scoperta dell’isolato che agisce esso stesso come oggetto. I disegni esaminano diverse rappresentazioni di New York, antecedenti al gridiron del 1811, mostrando lo sviluppo dei vari piani sotto all’applicazione del gridiron stesso. Il piano della città concentrica del primo nucleo urbano di Manhattan è organizzato attraverso una strada nord- sud, l’attuale Broadway, che separa due strutture morfologiche differenti: una struttura radiale di isolati con un centro focale situato nel nord-est e un lungo isolato, organizzato come una struttura ortogonale, identificato dalle linee di proprietà e da una piazza aperta nel lato ovest. La Broadway, tale asse portante appunto, si allarga sul finire del nucleo per fare spazio al forte, nel suo tratto finale. La sottrazione del gridiron post-rivoluzionario rivela le principali e significative situazioni urbane che articolano la struttura formale di Manhattan, le cui caratteristiche dominanti sono rappresentate da: - l’open space di Central Park, in contrapposizione con il resto della città costruita nel caso dell’assenza del gridiron; - le collisioni delle griglie pre- rivoluzionarie nella punta sud dell’isola; - il sistema di strade nord-sud determinate seguendo le linee non ortogonali della topografia dell’isola, nell’area nord- ovest, che culminano nella griglia a diamante della punta nord; - la Broadway, che agisce come collegamento tra tutte queste differenti situazione urbane e le cui intersezioni con le larghe strade est-ovest producono una ‘corona’ di spazi pubblici, come Union Square, Herald Square, Times Square e Columbus Circle; - ponti e tunnel, che collegano l’isola con gli altri borough e che si ammorsano nel tessuto costruito in maniera casuale. Lunghi e stretti isolati caratterizzano l’assetto del gridiron plan, con due principali eccezioni: la prima è costituita da una striscia a est della Fifth Avenue fino alla Third Avenue, dove la madison Avenue e la Lexington Avenue dividono i lunghi isolati in altrettanti isolati quadrati; la seconda è invece rappresentata da Upper Manhattan, dove le irregolarità topografiche si sono imposte sul sistema di strade frammetando il gridiron stesso. Altre eccezioni sono rappresentate ad esempio dai punti di atterraggio dei ponti: nel caso del ponte di Brooklyn, il tessuto si trasforma inun campo disseminato da oggetti sparsi. Nuovamente, la linea di resistenza che ferma la forza contraria all’ordine della griglia è costituita dalla Broadway, vera e propria ossatura di tutta la città. 3 figura 3 Vista a volo d’uccello della città di Chicago, guardando verso ovest, del 1892 figura 4 Disegni elaborati da Mario Galdensonas nel testo ‘X-urbanism: architecture and the American city’, pubblicato da princeton Architectural Press,New York, nel 1999
  • 15. Manhattan: città veloce VS città lenta 15 americana 4
  • 17. Manhattan: città veloce VS città lenta 17 americana
  • 18.
  • 19. manhattan: città veloce VS città lenta mannahatta e il gridiron plan
  • 20. Mannahatta e il gridiron
  • 21. Manhattan: città veloce VS città lenta 21 01.2 Mannahatta e il ‘gridiron’ plan Discutere del tema della griglia a Manhattan è un po’ come tentare di definire la sua impronta e assaporare la sua essenza: non solo accompagna la città quasi fin dalla sua nascita, ma è stata, nel tempo, la fonte di giudizi critici - Le Corbusier e la sua critica alla ‘scala’ inadeguata degli edifici - e vere e proprie teorie filosofiche - Rem Koolhaas e il suo ‘Manhattanismo’ - . L’elemento chiave che permette di leggere la città e di giudicarne l’assetto è quindi quello della scala, esplicitata proprio dal rapporto tra gli edifici, i pieni, e la griglia, il reticolo dei vuoti. La nascita della griglia non risale ai primi anni di vita della metropoli, che per un secolo rimase un piccolo villaggio dalle scarse prospettive future, dal commercio difficoltoso e dal governo mutevole e precario; dopo l’approdo nel 1524 da parte dell’esploratore Giovanni da Verrazzano e in seguito alla fondazione del piccolo insediamento fortificato, il tracciato delle strade si modificò spontaneamente, seguendo il modello pressochè tortuoso dei centri storici delle principali città europee. Nel 1621 la Compagnia delle Indie Occidentali ottenne l’esclusivadeidirittiditransazionecommerciale, e quindi il monopolio degli scambi commerciali nelle acque dell’Hudson, e consegnò ai nuovi coloni dell’isola precise regole per la pianificazione della città, un modello, ricalcato su quello europeo, che rimase tuttavia sulla carta, per la scarsa realizzabilità, conseguenza delle dimensioni titaniche del progetto, troppo lontano rispetto alle risorse presenti. Vennero avviati i lavori per la costruzione del forte, anche se di molto ridimensionato rispetto al disegno olandese, e l’espansione del resto del villaggio si avviò spontaneamente, seguendo i sentieri indiani preesistenti1 ; la costruzione del Fort Amsterdam, dunque, segna l’inizio della fondazione vera e propria della città di Nieuw Amsterdam e l’area attorno ad esso rappresentò un rifugio sicuro e protetto, al di sotto del quale i terreni divennero presto sovraffollati e dal valore piuttosto alto. Rimane ancora oggi molto evidente il tracciato originale delle prima espansione del nucleo storico nella Downtown Manhattan odierna: molte delle strade esistenti infatti ricalcano quasi alla perfezione i primi tracciati, prima fra tutte la Broadway. Questo lungo asse, infatti, venne mantenuto nei secoli sulla base di una prima via legata ai sentieri degli indiani, considerata importante fin dai primi secoli di vita della città grazie alla sua direzione rivolta verso le campagne in passato presenti fuori dalle prime fortificazioni, diretta verso i possedimenti agricoli e le tenute dell’entroterra, importanti risorse per la prima colonia. L’importanza storica della Broadway è poi testimoniata implicitamente dalla sua permanenza all’interno del reticolo, anche successivamente al Commissioners’ Plan del 1811, a dimostrazione di come questa via rappresentasse un asse di fondamentale importanza e di frequente utilizzo per tutta la popolazione. Un’altra importante strada appartenente al reticolo iniziale è Wall Street, che intersecando la Broadway divideva la prima colonia dal resto dell’isola ancora libero e incontaminato, muovendosi fino alla sponda dell’East River. Quando al dominio olandese seguì quello inglese, a partire dal 1664, furono subito chiare le intenzioni di espansione oltre le mura da “Manhattan is an accumulation of disasters that never happen.” Rem Koolhaas 1 Della ‘Mannahatta’ dei nativi d’America rimangono poche tracce, ma alcune strade sono ancora chiaramente riconducibili ai primi sentieri utilizzati per spostarsi nell’isola e nelle terre che la circondano: prima fra tutte la Broadway, accompagnata dalla Bowery. figura 1 Mappa dei sentieri dei nativi americani di Manhattan e dintorni tratta da R.P.Bolton, ‘Indian Paths in the great metropolis’, Heye Foundation, New York, 1922 1 plan
  • 22. 22 Mannahatta e il gridiron 4 parte della colonia stessa, ormai passata al titolo di città di New York; il Dongan Charter del 1696 sanciva il portere da parte del governo inglese di ampliarsi ed estendere la giurisdizione municipale oltre i confini originari e poneva quindi le basi per un controllo assoluto degli spazi ancora non urbanizzati dell’isola, assicurandosi le terre non lottizzate e gli spazi pubblici di tutta Manhattan. La posizione strategica di New York in breve tempo sancì la sua supremazia rispetto agli altri insediamenti già presenti dei territori circostanti e pose le basi per un’espansione estesa e veloce, accelerata dal ruolo della città stessa nell’economia di scambi commerciali; le prime terre vuote oltre le mura vennero quindi suddivise in lotti regolari e vendute tramite aste pubbliche, senza ancora alcun piano predefinito che potesse fornire linee guida per uno sviluppo ordinato della città, facendosi divorare dalla popolazione in rapida crescita e trascurando la necessità di preservare alcuni ‘angoli’ di città per la costituzione di spazi aperti pubblici. Nella mappa del Ratzen Plan del 1767 è facilmente intuibile come l’operazione di suddivisione in lotti regolari fosse già in atto, specie attorno ai terreni che circondavano la Trinity Church, già esistente, attraverso progetti di parcellizzazione e distribuzione interna del lotto molto simili. In questi anni comparve anche il primo progetto per uno spazio pubblico di dimensioni quadrate all’interno del tessuto, chiamato appunto ‘Great Square’, di proprietà di un certo James DeLancey: tale iniziativa però non soppravvisse alle forti pressioni legate alla necessità di nuove entrate fiscali da parte della municipalità e venne quasi subito accantonato e dimenticato. Dopo il 1797, anno della fine della Rivoluzione per l’indipendenza dal dominio inglese, in cui la città subì un perdita considerevole di popolazione e una innumerevole serie di danni causati per lo più da incendi, l’assetto di New York si presentava pressochè invariato, fatta eccezione per alcuni nuovi spazi verdi, tra cui Hudson Square, dislocato lungo l’omonimo fiume. Dalla Rivoluzione in avanti, inoltre, venne stabilito che tutte le terre non ancora urbanizzate e tutti i possedimenti di coloro che erano rimasti fedeli al vecchio governo venissero assegnati di diritto come proprietà del governo cittadino; cominciò quindi un periodo di successivi frazionamenti di terreni, con una regolarità sempre maggiore, stabilendo regole e dimensioni anche e soprattutto per il reticolo stradale, ponendo le basi per il successivo Piano del 1811. Agli inizi del XIX secolo l’espansione della città era ancora affidata alla frammentazione casuale e conseguente vendita a privati della proprietà pubblica e solo la necessità di strade maggiormente agevoli e adatte ai commerci, su imitazione della Broadway, spinse il sindaco della città a ripensare le strategie di lottizzazione, al fine di garantire maggiore efficienza e ‘bellezza’ ai quartieri che venivano formandosi. La situazione appariva già chiaramente drammatica nel 1806, quando la Commissione della giunta comunale decise di ripensare un nuovo assetto per la città intera, al posto di una semplice revisione dell’assetto viario preesistente: l’obiettivo era dunque quello di definire una volta per tutte, attraverso un gruppo di tecnici ed esperti, un piano per la città al di sopra della linea fino alla quale si figura 2 Mappa di New Amsterdam del 1660 di John Wolcott Adams e I.N. Phelps Stokes, con le prime fortificazioni e le mura costruite lungo l’attuale Wall Street figura 3 Mappa di New York del 1775 di John Montresor prima dei grandi incendi del 1776 e del 1778 figura 4 Mappa raffigurante una prima proposta del Commissioners’ Plan del 1807 2 3
  • 23. Manhattan: città veloce VS città lenta 23 plan era costruito fino ad allora, l’asse est-ovest che correva sopra Washington Square, senza temere un confronto-scontro con gli interessi dei proprietari privati. Il piano venne quindi definitivamente presentato al pubblico nel 1811 dalla Commissione, consapevole delle rimostranze che avrebbe sollevato nei proprietari delle aree coinvolte: la griglia estesa a tutta l’isola ancora non urbanizzata rappresentava una delle poche scelte possibili e idonee da intraprendere nell’intentodifornireallacittàunabase solida e funzionante per una lottizzazione volta alla costruzione di edifici residenziali privati, abbandonando ogni schema di riferimento europeo, più legato a considerazioni di abbellimento della città che alla perfetta funzionalità della stessa. Quest’ultima considerazione, insieme a quella di muoversi in un reticolo più veloce e in cui le merci potessero spostarsi agevolmente, portarono quindi alla progettazione di una griglia di strade perpendicolari e rettilinee, costituita da 12 avenues, larghe 100 piedi, e da 155 streets, ampie circa 60 piedi ciascuna, generando 2028 isolati. Tali nuove strade vennero battezzate attraverso numeri piuttosto che nomi proprio in virtù di quella carica egualitaria jeffersoniana2 che portava con sé la griglia stessa. L’isolato che si venne a formare, dunque, tipicamente di 250 per 600 piedi3 , si presentava idoneo allo sfruttamento massiccio della lottizzazione a fini speculativi, secondo una caratteristica ben radicata nella mentalità commerciale della popolazione di Manhattan. Ma il tratto più stupefacente dell’intera operazione rimane la grande lungimiranza del piano, che oltre un secolo prima aveva già previsto una forte espansione della città fino al congiungimento con il villaggio di Harlem: la Commissione, infatti, non ebbe difficoltà a ignorare i tratti topografici marcati della città, quali la differenza di livello sul mare, la presenza di piccoli rilievi interni e il contorno frastagliato stesso dell’isola, così come non esitò a ritenere la città destinata ad accogliere immigrati da tutte le parti del mondo fino a moltiplicare la sua popolazione. L’unica strada che venne ‘risparmiata’ dal Piano del 1811 fu la Broadway, unico sentiero che portava fino ai confini nord dell’isola e unica diagonale che venne compresa all’interno del Piano, a cui venne quindi concesso di spezzare la rigida griglia proposta. Inoltre, fin dal 1807, era previsto che nel futuro piano adottato venissero inserite numerose aree a verde pubblico, di cui la città era già allora particolarmente carente: il nuovo Piano prevedeva quindi la tutela di 500 acri di spazio verde, da destinare alla progettazione di parchi sparsi per l’intera isola. Il maggiore di questi spazi sarebbe stato destinato a esercitazioni militari e mantenuto come possibile punto per il raduno dell’esercito in caso di necessità: tale larga piazza, denominata ‘Parade’, avrebbe occupato l’area tra la 14th e la 34th Street e tra la Third e la Seventh Avenue. Al di là di tali poche eccezioni, il Piano non prevedeva alcuna indicazione circa i contenuti della griglia stessa, a partire da quelli funzionali per arrivare a quelli volumetrici, compleetamente privo di eventuali indicatori di altezze e destinazioni degli edifici da realizzare. Chiaramente, giudicando con occhi contemporanei il Piano del 1811, scaturiscono molteplici osservazioni circa gli aspetti negativi che esso ha portato con sé e generato in seguito: 5 2 ‘Riteniamo che alcune verità siano di per sé evidenti: che tutti gli uomini sono stati creati uguali; che dal loro Creatore sono stati dotati di alcuni diritti inalienabili; che fra questi ci siano la vita, la libertà e la ricerca della felicità.’ Jefferson ( 1743 - 1826 ) , protagonista della stesura della Dichiarazione d’Indipendenza e terzo presidente degli Stati Uniti d’America, fu sostenitore dell’applicazione del principio della griglia a scala territoriale, come possibile principio di colonizzaione di suolo: una griglia di quadrati del lato di un miglio poteva infatti cosentire di distribuire uniformemente popolazione e risorse su tutto il territorio americano, secondo una logica di egulitarismo pervaso da una simbolia carica utopica 3 Le dimensioni dell’isolato standard newyorkese, tradotte in metri, sono di circa 80 m per 180 m, per un’area totale 14.400 m2 figura 5 Mappa del Commissioner’s Plan del 1811 per la città di New York.
  • 24. 24 Mannahatta e il gridiron tralasciando l’aspetto puramente speculativo che ha portato alla definizione del piano stesso, oggi la città soffre di diverse problematiche legate alle scelte effettuate dalla Commissione, prima fra tutte la congestione del traffico stradale legata alle insufficienze del sistema a griglia. Inoltre le dimensioni della maggiorparte degli isolati portarono alla suddivisione in lottizzazioni molto strette e lunghe, con edifici il più delle volte privi di corti interne sufficientementeampiedaconsentireundoppio affaccio e quindi una corretta ventilazione. Il risultato concreto si è tradotto in una città attanagliata dalle difficoltà di movimento in superficie, legate al flusso automobilistico, e afflitta da un mercato immobiliare alla continua ricerca dello sfruttamento massimo dei lotti. Non era però prevedibile al tempo capire con anticipo quanto la città si sarebbe davvero espansa e che sarebbe diventata una delle città più importanti al mondo. Una delle conseguenze peggiori di tale modello fu però la cieca ripetizione dello stesso in molte altre città americane, che, senza porsi troppi interrogativi, applicarono lo stesso piano quasi senza variazioni in località del tutto lontane dalle caratteristiche dell’isola di Manhattan. Il piano che quindi appariva di estrema perfezione e precisione sulla carta, nella realtà non teneva minimamente conto della geografia e topografia dell’isola, a quel momento ancora ricca di elementi naturali, rilievi, paludi e fiumi. Per comprendere oggi lo scenario davanti al quale si erano trovati i primi esploratori e che ancora persisteva nella parte a nord dell’isola ai tempi del Commissioner’s Plan si può oggi fare riferimento agli studi portati avanti dal ‘Mannahatta Project’ 4 , che mostrano un’isola fatta di boschi, paludi, spiagge, prati e colline, tutti elementi progressivamente 6 7 8 figura 6-7-8 Mappa di Mannahatta, dell’isola cioè di Manhattan prima della sua colonizzazione e successiva urbanizzazione. Le immagini sono state sviluppate dai curatori del progetto ‘Mannahatta Project’_ www. themannahattaproject.com 4 Il ‘Mannahatta project’ è il frutto del lavoro, durato 8 anni, di ricerca del team guidato da Eric Sanderson, un ecologista della Wildlife Conservation Society del Bronx e rappresenta una ricostruzione in digitale della primitiva Manhattan, mettendo insieme dati ambientali e storici con l’obiettivo di far conoscere ai newyorchesi l’ambiente originario della loro città, ma soprattutto promuovere l’impegno a preservare ciò che resta scomparsi e distrutti dall’espansione della città, ancora più in contrasto con la successiva crescita della città stessa in verticale. Si può quindi facilmente immaginare come il piano del 1811 avesse ben ricompensato le tasche dei proprietari terrieri i cui terreni vennero confiscati dai commissari del piano stesso: questi ultimi, una volta ottenuti tali terreni, avviarono una massiva operazione di spianamento delle zone collinari e di riempimento di intere valli e scaricarono tutti gli scarti sullla linea del perimetro dell’isola, ridisegnando completamente i contorni di Manhattan, trasformata in questo modo in una vera e propria tabula rasa. Mentre il piano si faceva lentamente realtà con il tracciamento dei lotti e la vendita speculativa delle proprietà, tra il 1832 e il 1833 nascevano le prime grandi arterie della città, Lexington Avenue e Madison Avenue; inoltre, nella foga della costruzione di ogni singolo spazio disponibile, vennero edificate anche alcune aree che erano state dal piano stesso destinate a spazio pubblico, decretando così la condanna per la città ad una scarsità e, in alcuni casi, quasi assenza di spazio aperto e collettivo. Vennero poi tracciate nuove strade, che potessero a loro volta servire nuovi isolati o quartieri, per lo più residenziali: divenne infatti sempre più evidente che ogni macro quartiere della città stava assumendo caratteristiche legate a destinazioni funzionali molto precise e settoriali. Così, mentre la Downtown Manhattan si trasformava nel quartiere commerciale, legato agli affari, popolato da banche e da uffici, della città, contemporaneamente le aree più interne cominciarono a popolarsi di immigrati da ogni parte del mondo, dividendosi principalmente per provenienza e per ceto.
  • 25. Manhattan: città veloce VS città lenta 25 plan La parte di popolazione più ricca si spostava progressivamente verso le zone meno urbanizzate e congestionate della città, verso le campagne di quella che poi diventerà l’odierna Harlem, lontana dai disagi e dalle difficoltà dell’altra parte di popolazione più povera e meno abbiente, ‘accolta’, quasi stipata, negli edifici in legno a quattro o cinque piani nella fascia di terreni al di sopra di Wall Street. Fu proprio a causa di una spaventosa e rapida crescita degli abitanti che la città non fu in grado di prevedere la gravità della situazione circa l’assenza di spazi destinati alla collettività, sia come valvole di sfogo per la popolazione stessa che come elementi di interruzione della monotonia della griglia. Al tempo dell’elaborazione del piano del 1811, infatti, i commissariavevanoritenutosufficientilepoche aree interne previste in virtù della presenza delle coste lungo il perimetro dell’isola, consì lunga e sottile da possedere un doppio affaccio, rispettivamente sull’East River e sull’Hudson, già di per sè indice di salubrità; tale ingenuità si rivelò fatale, poichè in brevissimo tempo anche le aree costiere vennero densamente costruite per supportare e alimentare un mercato di scambi commerciali assai florido. Un esempio fra tutti può essere fatto con la nascita di Union Square: già nel 1832 essa infatti si ritrovò ad essere delle dimensioni attuali, partendo però da un piano che sulla carta aveva stabilito un enorme spazio vuoto centrale di riferimento per l’intera isola. Allo stesso modo anche il famoso spiazzo dedicato alle parate militari denominato ‘Parade’ venne ben presto ridimensionate fino a coincidere con l’attuale Madison Square già all’inizio del 1840. La griglia si estendeva virtualmente già su tutta l’isola, ma intorno alla metà del XIX secolo la città vera e propria non si estendeva molto oltre della 42nd Street, al di là della quale si potevano scorgere solo tenute e agglomerati sparsi e poco numerosi, immersi una realtà ancora prettamente agricola. La preoccupazione comune al governo cittadino e ai cittadini stessi cominciò quindi ad essere quella di vedere il poco territorio ancora non urbanizzato rimasto sfumare in poco tempo sotto le pressioni speculative del mercato immobiliare: per questo motivo cominciare a farsi avanti alcune proposte d salvaguardia di piccoli appezzamenti di aree naturali, da mantenere e conservare come vere e proprie riserve naturali nel mezzo della futura città. Tali considerazioni però, oltre che poco risolutive, si rivelarono anche poco lungimiranti e deboli per poter essere realmente attuate. Proprio in quegli anni cominciava a farsi strada sul territorio americano una nuova corrente di pensiero 5 e prese sempre più piede l’idea di un atto dimostrativo e significativo non solo verso la città di New York, ma per tutto il Paese. Nel 1844 il giornalista William Cullen Bryant scrive un articolo sul New York Evening Post, lanciando l’idea di un grande parco, panacea di tutti i mali della città, nelle vicinanze dell’East River, al centro della città; qualche tempo dopo lo stesso Bryant, dall’Inghilterra, commenta la situazione sgradevole all’interno della città, dovuta all’aumento continuo e smisurato della popolazione e alla conformazione della città, non pianificata e lasciata alle regole del mercato, senza alcuna preoccupazione per la reale condizione di vita di cittadini e forestieri. Egli, in poche parole, sollecita la città, finchè è ancora in tempo, ad attivarsi per una più corretta pianificazione di se stessa e per una progettazione più attenta agli spazi ‘di respiro’, come parchi e giardini 6 . figura 9 Mappa di Manhattan del 1880, in cui viene messa in rilievo la topografia dell’isola 5 Il Movimento ‘City Beautiful’ nacque verso la fine del XIX secolo nell’America del Nord con l’obiettivo di diffondere una progettazione urbana secondo i canoni del ‘bello’, anche attraverso atti di monumentale grandezza, nella convinzione che ciò potesse portare ad un maggiore senso civico e ad una moralità più sentita 6 Ecco le parole che William Cullen Bryant scriveva circa new York nel 1845: ‘The population of your city, increasing with such prodigiuos rapidity, your sultry summers, and the corrupt atmosphere generated in hot and crowded streets, make it a cause of regret that in laying out New York, no preparation was made, while it was yet practicable, for a range of parks and public gardens..’ Citazioni e nozioni storiche tratte dal testo di Katia Piccinni, ‘Labirinto Manhattan’, pubblicato da Cartman, Torino, nel 2008 9
  • 26. 26 Mannahatta e il gridiron In seguito alle dichiarazioni di Bryant, molti artisti e scrittori sostennero l’idea del parco e portarono avanti un dibattito accesso, che nel 1853 arrivò fino al Parlamento dello Stato di New York: quest’ultimo autorizzò, spinto da tali pressioni, autorizzò l’acquisto di circa 760 acri di terreno non ancora edificato, dalla Fifth alla Eight Avenue e dalla 59th alla 110th Street. Nacque così Central Park, un’autentica ‘Arcadia dentro la Metropoli’ 7 : ancora oggi l’unico luogo della città in cui il tempo e lo spazio restano sospesi, l’unico vero baricentro e grande vuoto dell’isola. Al tempo dell’acquisto del terreno l’area si presentava pressochè scarna, senza una vegetazione particolarmente rigogliosa, occupata talvolta da pastori coi propri greggi, che utilizzavano abusivamente il suolo per l’allevamento. Vi erano inoltre alcune prime fabbriche e discariche a cielo aperto di ogni sorta; l’area necessitava quindi di un ingente impegno di bonifica e di risistemazione prima di poter diventare il grande parco tanto agognato dai newyorkesi. Vista la mole di lavoro necessaria, la città decise di indire un concorso per la progettazione del parco stesso: nel 1858 fu quindi presentato il progetto vincitore, chiamato Greensward Plan. I progettisti, Frederick Law Olmsted e Calvert Vaux, proponevano una vera e propria oasi nella città, rigogliosa e florida, con sentieri e tracciati interni quasi completamente slegati dalla rigida griglia prevista per lo sviluppo della città tutt’attorno, fatta eccezione per alcune arterie di collegamento est-ovest. É evidente che la progettazione di Central Park, morbida distesa fatta di percorsi fluidi e aree dall’andamento naturale e apparentemente senzacostrizioni,rispettoalsuointornorigidoed estremamente regolato, rettangolo circondati da altri rettangoli di ben diversa natura, rapprensenti una vera e propria ribellione al Commissioner’s Plan. Il piano definitivo per la realizzazione del parco venne concluso nel 1871 e i lavori veri e propri vennero conclusi nel 1912, a cinquant’anni dall’intuizione di Bryant. L’azione che la realizzazione di Central Park costituiva, soprattutto relativamente alla frattura con la griglia e il suo potere imposto dall’alto, rappresenta quasi un equivalente dal basso, racchiudendo cioè in sè gli ultimi tratti caratteristici di quello che era l’aspetto e l’anima originaria dell’isola: non è però corretto pensare che la progettazione del parco implicasse questi ragionamenti al momento della sua nascita. La griglia infatti era ancora in larga parte in via di realizzazione e riempiento e non era quindi facile cogliere il netto contrasto e l’mportanza che Central Park riveste oggi nella storia della pianificazione a livello mondiale. C’è inoltre da ricordare che l’aspetto apparentemente estremamente naturalistico del Parco non è in realtà altro che il frutto di una sapiente modellazione del suolo, verso una ricostruzione artificiale di quel gusto romantico per la natura e la sua imprevedibilità. Per riprendere le parole di Rem Koolhaas in ‘Delirious New York’, Central Park è anche la struttura per il tempo libero più grande di Manhattan, ma è soprattutto l’elemento tangibile del dramma che stava accadendo: la città stava per prendere definitivamente le distanze da ogni elemento naturale precedentemente presente per diventare la metropli più artificiale del secolo. Ma forse proprio per la sua stessa artificialità, dagli alberi trapiantati agli episodi interni 10 figura 10 Vista dell’isola di Manhattan nel XIX sec figura 11 Progetto per Central Park, 1857 7 La definizione è tratta dal testo di Mario Maffi, ‘Sotto le torri di Manhattan’, edito dalla Rizzoli, Milano, nel 1998 11
  • 27. Manhattan: città veloce VS città lenta 27 plan abilmente connessi, Central Park altro non è che un nuovo ‘atto di fede’, dopo la griglia, nei confronti del potere dell’uomo e della sua immaginazione, in fondo proprio un ‘tappeto Arcadico sintetico’ 8 . La ripercussione che la realizzazione del parco ebbe sulla città fu però largamente positiva: non solo per quanto riguarda il risultato stesso che ne scaturì, ma soprattutto perchè diede vita ad altri parchi di notevole importanza, come il City Hall Park, sulla scia di una rinnovata attenzione per il verde della città. Nel corso dell’Ottocento la griglia del Commissioner’s Plan riscuote il previsto successo e viene quasi completamente riempita da edifici di ogni genere; la città da questo momento in poi subirà un secondo e nuovo fenomeno, volto allo sfruttamento massimo delle aree a disposizione. Con il crescere della città, comincia a crescere anche la sua importanza e il suo ruolo nell’economia e nell’ambito culturale mondiale, tale da attirare ondate dopo ondate di immagrazione, soprattutto dall’Europa ma non solo. La griglia, quindi, da elemento prettamente bidimensionale assume per la prima volta uno spessore, frutto di straficazioni intense e ripetute: nasce la città verticale. Questa nuova città viene resa possibile grazie ad alcune innovazioni tecnologiche che resero New York una delle città più all’avanguardia del XIX secolo: dall’illuminazione a gas al servizio di trasporto urbano con vetture a cavalli, dalla rete di approvvigionamento idrico alla costruzione di numerosi servizi pubblici come bagni e scuole, ospedali, teatri e reti per le comunicazioni. Ma l’innovazione più poderosa e senza la quale New York non sarebbe giunta così in alto è senza dubbio quella dell’ascensore: il primo venne installato nel 1870 all’interno dell’Equitable Building. Ad accompagnare questo successo, attraverso il quale i limiti dettati dall’altezza degli edfici vennero ridotti notevolmente, vi fu l’invenzione della struttura in acciaio, grazie alla quale tali limiti vennero praticamente eliminati. Ormai New York aveva la possibilità di espandersi non solo più in orizzontale ma anche in verticale, con il notevole vantaggio di ottenere così un’espansione sempre vicina alle aree di maggior sviluppo delle attività commerciali e degli scambi, la punta e il centro dell’isola appunto. Ma per poter sostenere le grandi masse di lavoratori e di abitanti che ogni giorno la città verticale attirava, Manhattan dovette rimodellare i proprio quartieri introducendo nuovimodellicostruttivi,basatisullaTenement Law del 1879, dalla quale nacquero i primi slums della città. La densità sempre più elevata delle costruzioni sui piccoli lotti della griglia - larghi 7,5 metri circa e lunghi 30 - generava ambienti malsani, poco illuminati e non sufficientemente aerati, il tutto aggravato da strade prive di manutenzione e pulizia. Mentre i grandi quartieri direzionali crescevano in altezza e cambiavano la loro veste attraverso facciate monumentali e prospettive sceniche, i quartieri centrali si popolavano di edifici residenziali di alto livello, occupando i lotti antistanti la Madison Avenue, la Park Avenue e la Fifth Avenue. Agli slums quindi toccava una posizione stretta tra i due, rimanendo compressi tra le aree più ricche di tutta la città. Fu così che i fenomeni di industrializzazione, immigrazione e urbanizzazione di fine figura 12 Vista dell’isola di Manhattan del 1879 di Galt e Hoy Chamber 8 La deifnizione è tratta dal testo di Rem Koolhaas, ‘Delirious New York’, edito dalla Thames and Hudson, Londra nel 1978 12
  • 28. 28 Mannahatta e il gridiron Ottocento plasmarono per sempre la forma urbana della città e costrinsero alla rottura dei limiti geografici imposti dall’isola, per dare sfogo ad una maggiore estensione sulle rive degli altri attuali Boroughs 9 della città di New York, grazie soprattutto alla costruzione di ponti e mezzi di collegamento adeguati. Proprio in seguito alla nascita degli altri boroughs,ildistrettodiManhattanebbepercosì dire modo di concentrarsi prevalentemente sulla sua maggiore vocazione, quella appunto del commercio: diventò il centro degli affari, simbolo di potere e benessere, il tutto pienamente riflesso e leggibile nelle principali arterie di spostamento. Ogni strada cominciò ad assumere un ruolo e una posizione precisi all’interno della città del business: la Madison vetrina del mondo pubblicitario, la Seventh Avenue icona della moda, la Fifth Avenue la strada dei negozi più eleganti e chic della città, Wall Street l’alcova del cuore degli affari e degli scambi. La città intera, dunque, diventò essa stessa una sorta di Main Street 10 dell’intera nazione, esempio del successo e vetrina di imprenditoria per tutti gli Stati Uniti. Nel tempo vennero proposti piano alternativi che prevedevano tagli del tessuto molto fitto a cui la griglia stava portando, ma nessuno di questi riuscì a convincere della propria forza così come nel 1811 aveva fatto la griglia stessa: nel 1911, a distanza di un secolo, rimanevano quindi due uniche diagonali, la Broadway e la Bowery, sentieri indiani stranamente risparmiati e sopravvissuti. Nei primi decenni della Novecento la città rimanevaquindisenzaalcuna definizione di una strategia di sviluppo complessiva e agiva per parti, per singoli progetti, con l’unica prerogativa di collocarsi nel disegno della figura 13 Schizzi a carboncini tratti da Hugh Ferris, ‘Metropolis of Tomorrow’, edito da Ives Washburn, New York, nel 1929 9 La città di New York è suddivisa, amministrativamente parlando, in 5 borough che corrispondono alle storiche contee della città: the Bronx, corrisponde alla contea del Bronx; Brooklyn, corrisponde alla contea di Kings; Manhattan, corrisponde alla contea di New York; Queens, corrisponde alla contea di Queens; Staten Island, corrisponde alla contea di Richmond. Ogni borough ha un governo composto da un presidente e alcuni membri della giunta della città, che rappresentano il borough stesso, i cui poteri sono però inferiori a quelli del consiglio cittadino. 10 Citazione tratta dal testo di Katia Piccinni, ‘Labirinto Manhattan’, pubblicato da Cartman, Torino, nel 2008 11 La Zoning Resolution del 1916 si rivelò una misura adottata principalmente per consentire agli edifici di notevoli dimensioni, come la costruzione Equitable Building, di ottenere più luce e aria. 12 Il fenomeno dell’arretramento è detto di ‘setback’ griglia. In aggiunta, la crescita in verticale della città stava gettando letteralmente nell’ombra gran parte degli edifici più bassi, obbligando il mercato immobiliare a ripensare lo sviluppo di intere aree per far fronte alla presenza imposta dei nuovi colossi. Nel 1916 un nuovo dispositivo di organizzazione del territorio prese vita: venne cioè emanato il codice edilizio, detto Zoning Resolution 11 , costituito sostanzialmente da un mero elenco di normeal finedi regolarel’altezza,l’allineamento e le attività di diverse aree urbane. L’effetto pratico che questa nuova regolamentazione sulla densità edilizia ebbe fu quella di trasformare molti grattacieli in veri e propri ziggurat 12 , obbligando una sorta di arretramento ai piani superiori per concedere migliori prestazioni interne agli edifici stessi. In sintesi, la nuova legge disponeva una sorta di volume immaginario, per ogni lotto, tollerabile,ilmassimo volume edificabile, il cui involucro e la cui forma doveva essere appositamente studiata al fine di permettere alla luce di raggiungere le strade, al tempo davvero molto buie e dall’igiene molto carente. Letorri,dunque,dovevanoesserecostruitesulla base di arretramento, risultato dall’inclinazione di piano di un certo angolo rispetto al piano perpendicolare alla strada: solo quando tale inclinazione consentiva di ridurre la torre al 25% del lotto occupato a terra, allora la torre stessa poteva innalzarsi in verticale. Perquantotaleindicazionepossasembrarevolta alla riduzione della densità e della presenza delle torri, al contrario venne principalmente introdotta al fine di impedire la realizzazione di magazzini e bassi fabbricati industriali che stava al tempo pericolosamente assediando l’elegante Fifth Avenue. Al contrario, la Zoning Resolution, stabilendo 13
  • 29. Manhattan: città veloce VS città lenta 29 plan 14 figura 14 Vista di Downtown Manhattan dopo la costruzione dell’Empire State Building, 1932 13 Hugh Ferris, ‘Metropolis of Tomorrow’, edito da Ives Washburn, New York, nel 1929 14 Per un’analisi più approfondita si può fare riferimento al testo, ‘Lower Manhattan Plan. The 1966 vision for downtown New York’, di Ann L. Buttenwieser,Paul Willen, Carol Willis, James S. Rossant, edito da Princeton Architectural Press, New York nel 2002 con preciso i districts destinati ad accogliere attività commerciali e residenziali, promosse un’intensificazione dell’attività edilizia in determinate aree. Negli anni Venti delNovecento l’immaginedello skyline di Manhattan, che ormai si ergeva sicura e fiera anche oltre oceano, influenzava sempre più l’immaginario collettivo di intellettuali e architetti, aprendo molti scenari futuristici e alimentando nuove fantasie e nuovi progetti visionari. Fra tutte, le immagini più evocative di questo fermento e quelle che dettero più spunti alla realtà in continua evoluzione furono quelle elaborate da Hugh Ferris, giovane disegnatore, che nel 1929 pubblica la raccolta di schizzi ‘Metropolis of Tomorrow’ 13 . É proprio attraverso i suoi schizzi a carboncino che Hugh Ferris esplora le nuove possibilità tracciate dalla Zoning Resolution del 1916, ipotizzando superfici e volumi, scolpendo in maniera plastica i parallelepipedi di partenza, dai lati inclinati secondo le suggestioni della normativa. In un certo senso il suo lavoro rappresenta la raffigurazione della legge stessa e mette in risalto i possibili risultati, spesso cupi ed inquietanti, della nuova città che si stava formando. Ed è a partire dal suo lavoro che un secolo dopo Rem Koolhaas definirà il ‘Manhattanismo’ come la delirante teoria urbana che regola la realtà estremamente artificiale newyorkesi, sempre tesa a superare i suoi limiti in un immaginario delirante e patologico. Le innumerevoli variabili modificarono all’occorenza le normative precedentemente elencate nei decenni successivi, fino a quando nel 1960 vennero adottati altri emendamenti che consentirono agli edifici di non arretrare a patto di occupare il 40% del lotto di partenza. Nel 1969 vi fu un’importante svolta che portò la Regional Planning Association of New York a pubblicare il Piano Regionale, piano che portò alla modifica della conformazione dell’assetto viario della città, prevedendone la completa ristrutturazione. Il Piano Regionale conteneva inoltre alcuni piani più particolareggiati relativi ad alcune precise zone della città, quali il Lower Manhattan Plan 14 , commissionato nel 1966 da William F.R. Ballard, presidente della City Planning Commission. Quest’ultimo piano in particolare propose un ripensamento completo della punta dell’isola, attraverso la progettazione di una zona pedonale a sud di Canal Street, attrezzata con bus elettrici ed ecologici, contorniata da un’area residenziale intervallata da piazze e terrazze sul mare. Con qualche modifica nacque quindi il nuovo quartiere di Battery Park City e del World Trade Center, con l’aggiunta di un ulteriore skyline fatto di edifici alti, ma strade maggiormente a scala umana. Fu inoltre in questi anni che nacquero le aree a P.O.P.S. - Privately Owned Public Spaces -, aree cioè possedute da privati, ma aperte al pubblico, che consentivano ai privati, i proprietari stessi del lotto, di aumentare di una determinata percentuale il volume dell’edificio da costruire sul lotto stesso; ispirata alle suggestioni delle ‘torri nel verde’ tanto proclamate da Le Corbusier in quegli anni, questa modifica aveva come scopo quello di accrescere gli spazi aperti al pubblico ai piani terra, cercando di porre rimedio ai risultati della logica speculativa legata alla griglia, che si era imposta da ormai un secolo. Anche quest’ultima modifica non ebbe
  • 30. 30 Mannahatta e il gridiron come risultato l’effetto sperato e contribuì alla costruzione senza sosta di grattacieli maggiormente alti, con piccoli spazi pubblici ai loro piedi, il più delle volte insufficienti e mal progettati. Il documento comunque rimase in vigore fino al 2000, sempre subendo variazioni e modifiche. Nel maggio del 2000 viene introdotto uno strumento maggiormente innovativo chiamato Unified Bulk Program - Programma Volumetrico Unificato -, conalsuointerno imposizioni sui limiti di altezza di tutto il tessuto urbano, vincoli sui trasferimenti dei diritti edificatori da un’area ad un’altra e alcune forme di controllo quantitative e qualitative. In definitiva il modello della griglia, che nel caso di Manhattan ebbe un tale successo, racconta come spesso, di fronte ad un territorio inesplorato o da colonizzare e urbanizzare, risulti molto pià facile il tracciamento di linee parallele e perpendicolari, in modo da organizzare in maniera semplice ed efficace le basi per una nuova città. La griglia, infatti, ha origini ben più antiche della fondazione di New Amsterdam e può essere rintracciata nella città di fondazione greca e romana e nelle prime città colonizzate da francesi e spagnoli. Mentre, quindi, in questi ultimi casi le città utilizzavano la griglia come strumento di pianificazione, nel caso americano essa venne utilizzata al fine di organizzare la distribuzione delle terre ai coloni, i quali avrebbero edificano i loro lotti soltanto nel momento da loro ritenuto maggiormente opportuno. Tutto ciò coincide con la grandiosità dei piani in territorio americano, pensati quindi in un momento precedente rispetto alla realizzazione e alla progettazione degli edifici, volti alla vendita di più terreni possibili. Nell’ottica poi di una crescita potenzialmente e teoricamente infinita, il modello a scacchiera presenta notevoli vantaggi: senza imporre limiti all’espansione, non produce gerarchie e consente la costruzione di nuovi isolati ogni volta che se ne presenti la necessità, grazie soprattutto alla sua formazione per moduli. Per quanto riguarda il caso di New York, ben presto la presunta terra illimitata si rivelò al contrario costretta entro i suoi confini naturali di isola e il modello della griglia dovette quindi oltrepassare la linea delle coste per approdare sulle terre limitrofe. Ad ogni modo, le potenzialità della griglia, da sempre evidenti alla popolazione americana, servirono per tracciare indifferentemente città, lottizzazioni e perfino per disegnare i confini di uno stato: nel 1785, Thomas Jefferson stabilì, infatti, un reticolo da impiegare come modello di colonizzazione per le terre dell’Ovest. Ognuna delle maglie pensate da Jefferson conteneva 16 miglia quadrate, a loro volta divisibili in 2, 4, 8, 16, 32, 64 parti minori. Jefferson sottolinea fin da subito il valore etico e morale di tale operazione: la griglia infatti rappresenta non soltanto ordine e rettitudine, ma anche eguaglianza, specie fra tutti i territori d’America. Tale convinzione è confermata dal Land Ordinance Act, emanato nel 1785 dal Continental Congress, che stabilisce che ogni territorio americano venga concettualmente suddiviso da un’unica scacchiera: la democrazia su cui tutti gli stati d’America si reggeranno d’ora in 15 figura 15 Una vista a volo d’uccello di Lower Manhattan del 1942
  • 31. Manhattan: città veloce VS città lenta 31 plan poi diventa manifesta anche nel suo assetto territoriale. Proprio secondo lo schema modulare di Jefferson, le città del Nuovo Mondo non saranno più basate sul vecchio modello europeo fondato su di un nucleo centrale pressochè autoritario, ma bensì su di una griglia indifferenziata e dalle possibilità illimitate. Al contrario della sua apparente rigidità, il modello jeffersoniano, il cosiddetto ‘gridiron’, darà vita ad un modello espansionistico estremamente elastico, pronto a sopportare su di sè le grandi trasformazioni, anche sociali, in atto. Questo potente mezzo di controllo del territorio conquistò quindi le classi di governo grazie alla sua semplicità, efficacia e capacità di adattamento. La grande contraddizione insita in quanto appena affermato nascerà però nel momento in cui tale griglia verrà applicata alla città di Manhattan: qui, l’obiettivo del controllo sfocia nel risultato della totale mancanza di controllo stesso. La griglia, lontana dall’essere neutrale, si presenta come schema puramente concettuale, l’adozione del quale conduce alla nascita della metropoli; ogni isolato si sviluppa nel tempo in maniera completamente autonoma rispetto al resto della città, confinato nelle sue dimensioni prestabilite, unico in un ‘sistema di 2028 solitudini’ 15 . Ogni lotto contiene in sè infinite possibilità relative alla sua costruzione e non può di per sè contenere alcuna indicazione circa l’edificio - o il vuoto - che accoglierà. Le uniche operazioni che la griglia porta con sè e che non essa stessa per natura non può negare sono la divisione - di se stessa in altre parti - e la moltiplicazione - la riproduzione in altezza di tali frammenti della griglia -, le quali possono essere impedite solamente dall’esaurirsi del capitale. Ecco che quindi risulta quasi matematico affermare che il grattacielo altro non è che la conseguenza di una delle operazioni fondamentali della griglia stessa, in un territorio come quello dell’isola di Manhattan, di cui il perimetro rappresenta una sorta di alibi. Rimane allora comprensibile il termine ‘delirious’ affiancato dallo stesso Koolhaas alla città di New York: l’enorme sforzo di imposizionedellagrigliacometentativoestremo di organizzazione del suolo, fino all’ultimo isolato, viene contraddetto dall’irriverente estrusione verso l’alto, gesto irrazionale che renderà però New York la città più famosa e originale al mondo. figura 16 Mappa di Chicago del 1857 15 La definizione è tratta dal testo di Rem Koolhaas, ‘Delirious New York’, edito dalla Electa, Milano nel 2001 16
  • 32.
  • 33. manhattan: città veloce VS città lenta la griglia veloce: il traffico
  • 35. Manhattan: città veloce VS città lenta 35 il traffico Negli anni successivi alla Zoning Resolution del 1916, il potenziamento infinito della capienza della città che ne derivò, grazie all’elevazione in altezza delle attività, si riversò interamente sulla struttura viaria, obbligando nuove riflessioni e avviando una ricerca sui possibili metodi di differenziazione dei flussi veicolari e pedonali e sulla gestione delle tratte degli utenti. Nei suggestivi schizzi di Hugh Ferris del 1929 erano già presenti alcune riflessioni circa il tema della gestione dei flussi della circolazione dei cittadini: non era infatti già allora difficile prevedere i successivi livelli di congestione che la città avrebbe raggiunto, superiori a quelli già visibili negli anni Trenta del Novecento. Lo stesso Ferris, dopo aver rilevato la questione, propone come soluzione lo spostamento delle principali arterie di traffico a livelli diversi, ‘staccandole’ per così dire dal suolo, appese alle costruzioni sui lati delle stesse. Il 1929, anno della grande crisi che portò con sé una devastante depressione economica, generò una serie di riflessioni, soprattutto da parte dei membri della Regional Planning Association of New York, circa le linee guida da adottare per tenere sotto controllo lo sviluppo della città, nell’intento di disporre nuove direzioni, in un certo senso più sostenibili. In realtà, nonostante le molte contraddizioni che nutriva in sé, la ‘Cultura della Congestione’ che si stava configurando sempre più prepotentemente affascinava e comunicava, in tutta la sua novità, una città futuristica, piena e vitale, in cui anche la figura del grattacielo, che in un primo momento rappresentava il ‘mostro ‘del nuovo secolo, veniva redenta e anzi elevata a possibile elemento di abbellimento della città stessa. Per una proposta più specifica e dettagliata bisogna però aspettare il pensiero di Harvey Wiley Corbett, intellettuale e professore presso la Columbia University, che ripropone l’idea di spostare i flussi su più livelli, dividendo in aggiunta le diverse tipologie di traffico. Lui stesso definisce il suo modello una sorta di Venezia rivisitata, in cui le strade si rivelano essere veri e propri canali, fatti anzichè d’acqua di flussi di traffico. In questa sua visione, gli isolati diventavano in sostanza l’equivalente di vere e proprie isole; in questo modo, però, Corbett trova l’escamotage tale da poter aumentare in maniera maggiore la capacità delle arterie veicolari, non curante della situazione già abbastanza difficile per i pedoni e gli altri mezzi di trasporto lento. Complessivamente il quadro delle ricerche dei primi decenni del Novecento rivela come l’intenzione di risolvere la questione della congestione del traffico fosse in realtà alquanto debole. Un ulteriore protagonista del dibattito si rivela essere il noto progettista Raymond Hood, il quale propose, attraverso la sua visione di ‘Manhattan 1950’, una New York futuristica basata su megastrutture metropolitane che avrebbero consentito la gestione del traffico senza il minimo ripensamento del sistema della griglia, ormai considerato non solo consolidato, ma anche pienamente condiviso. Tali strutture si manifestano in colossali oggetti dalle dimensioni titaniche, grazie alle quali gli stessi riescono a neutralizzare il traffico cittadino al loro interno, che scorre quindi frenetico nelle torri da cui è interamente circondato. Per ogni incrocio si scorgono strutture simili a vere e proprie montagne, che lentamente degradano fino a terra, per confondersi nuovamente con l’ambiente urbano delle strade di New York. 01.3 La griglia veloce: il traffico “Thomas Jefferson never imagined the rush hour” Michael Sorkin
  • 36. 36 la griglia veloce: La sua proposta sembra apparentemente risolvere il problema della congestione, ma è facile intuire come questo risulti in realtà un nascondiglio ben escogitato per isolare il problema del traffico in un mondo quasi distaccato, parallelo, da quello reale. Il costruito quindi interviene in soccorso alle strade caotiche e ricolme, attraverso edifici imperturbabili e potenzialmente eterni; ‘... questa città è permanente; non vi è motivo per cui questi edifici debbano essere sostituiti. La strana calma che aleggia all’esterno è assicurata dalla Grande Lobotomia’ 1 . Dopo gli anni Trenta,la costruzione di un sistema di autostrade a scorrimento veloce tutt’attorno all’isola tenta di risolvere parzialmente il problema della congestione: anche in questo caso risulta evidente la supremazia della griglia stessa che, intoccabile, rimane intatta all’interno dei confini di Manhattan, senza essere minimamente scalfita. A conferma di questa osservazione, occorre citare gli sforzi compiuti da Robert Moses 2 , che divenne appunto famoso per la sua politica di implementazione delle cosiddette ‘expressway’ al fine di favorire un miglior collegamento dell’isola con il resto della città e per una più facile gestione del traffico, specie nelle ore di punta. A lui si deve la costruzione di alcuni ponti di collegamento e di tutto il sistema di parkways della città, nonché della costruzione del Brooklyn Battery Tunnel: grazie al potere acquisito lungo la sua presenza all’interno del governo della città, New York diventò sempre più una città basata sull’automobile, una vera e propria ‘car culture’. La griglia, infatti, che fino ad allora aveva funzionato più o meno bene, non era più in grado di reggere il peso della trasformazione della città, che in pochi decenni aveva visto più che raddoppiata la presenza di ampi quartieri residenziali e commerciali, sempre più legati agli spostamenti tramite veicoli motorizzati. Le strade, che nel secolo precedente erano risultate davvero molto efficienti nel trasporto e spostamento di merci e persone tramite carri e carrozze, ora si mostravano del tutto inadeguate alla società del XX secolo. La griglia ha iniziato a lavorare meno bene durante la prima metà del secolo scorso con l’avvento delle auto a benzina e dei camion: i ponti e i tunnel, che forniscono l’accesso di massa per l’isola, cominciarono a modificare l’orientamento principale del traffico dell’isola da est-ovest a nord-sud. Le connessioni tra “quartieri alti” e “Midtown” cominciarono a intasarsi, e le vie laterali con loro. Le autostrade di Moses tentarono di risollevare il traffico da nord e sud, ma, in ultima analisi, hanno solamente aggiunto maggior congestione ad una griglia di strade, non costruita per il movimento longitudinale. In seguito, poi, alla bocciatura dei due progetti di expressway in senso trasversale di Moses - la Lower Manhattan Expressway e la Mid Manhattan Expressway -, che avrebbero tagliato l’isola da sponda a sponda, Manhattan rimane ancora oggi pervasa da notevoli difficoltà di spostamento in superficie. Si può quindi dedurre che, come lo stesso Peter Marcuse afferma, dal punto di vista della gestione del traffico, New York City si rivela essere “one of the worst city plans of any major city in the developed countries of the world.” In maniera controversa le ultime amministrazioni di governo della città hanno cercato di fronteggiare questo tema, con soluzioni talvolta alquanto contrastanti, consapevoli dell’importanza di questa figura 1 ‘Looking Down a Future New York Street in 1975’: una Manhattan serena, simile ad una rivisitazione di Venezia, dopo la metamorfosi proposta da Corbett per la gestione del traffico 1 La citazione è tratta dal testo di Rem Koolhaas, ‘Delirious New York’, edito dalla Electa, Milano nel 2001 2 Negli anni Trenta del Novecento Robert Moses divenne sovrintendente per il parco e coordinatore dei progetti di costruzione per la città di New York e promosse innumerevoli progetti, al tempo e successivamente molto discussi, in particolare dal movimento capitanato dalla sociologa Jane Jacobs 1
  • 37. Manhattan: città veloce VS città lenta 37 il traffico 2 figura 2-3 Raymond Hood, schizzi per ‘Manhattan 1950’ 3 Dal saggio scritto da Michael Sorkin tratto dal testo ‘Giving Ground. The politics of propinquity’, edito da Verso, New York nel 1999 3problematica all’interno del funzionamento dell’organismo vitale della città. Il sindaco Giuliani, in carica dal 1994 al 2001, ad esempio, come atto dimostrativo per mostrare il suo impegno nella ‘lotta alla congestione’, chiuse il passaggio pedonale tra la 50th street e la Fifth e Madison Avenue, per concedere agli autoveicoli una maggiore libertà di scorrimento. Tale libertà infatti , secondo Giuliani, implicava un risparmio notevole di tempo, tale da renderlo una delle possibili priorità; la separazione dei flussi inoltre è storicamente stata una decisione considerata razionale, legata in un certo senso al concetto di ‘zoning by use’. Secondo lo studioso Michael Sorkin 3 , però, spesso questa forma di rallentamento e di interferenza tra i diversi sistemi di movimento genera le coordinate per un equilibrio di base del sistema urbana, senza le quali perderebbe di fascino. Oggi la velocità dei media e delle informazioni è considerata la priorità della società tutta, determinata dalla scala economica mondiale e dall’ordine politico, gettando nell’oblio la velocità della vita reale, quella appunto del traffico, delle automobili e dei pedoni. Potenzialmente, sostiene sempre Sorkin, vi è un legame etico tra velocità e scopo, un sistema di diritti che premia o meno attraverso la velocità in maniera sempre differente. La caratteristica essenziale della città è quella di produrre ‘propinquity’, prossimità, di generare una relazione continua tra abitanti ed ambiente urbano e per questo il tema del traffico non concerne solamente una questione di tempistiche e mobilità, ma mette in gioco l’assetto sociale della città stessa. Purtroppo però oggi il tema del traffico è visto esclusivamente dal punto di vista di problema tecnologico: l’attenzione degli esperti è focalizzata sull’invenzione di nuovi sistemi di trasporto e sulla gestione di incroci e corsie. Lo spazio della città viene ‘affittato’ e invaso da ogni sorta di infrastruttura per poter concedere l’innegabile diritto di libertà di movimento in tutta la città; ma proprio Sorkin reclama il diritto di disassociarsi da tale libertà di essere all’interno della logica della velocità. La risoluzione del problema del traffico infatti potrebbe essere portata avanti attraverso l’eliminazione delle ragioni che portano al movimento: da una parte rinchiudersi nell’immobilità totale, dall’altra fare in modo che ogni quartiere contenga al suo interno tutto il necessario per una vita sociale ed economica di successo. E in fondo in questo momento storico l’America si sta popolando di tutta una serie di nodi che attirano il flusso: dai centri commerciali alle strip fino ai suburbs, ognuno di questi luoghi è pensato per essere un nodo di questo flusso, esplicitamente fatto di spostamenti veicolari. Essi, nel loro complesso, costituiscono quasi un ‘landscape’, un paesaggio, componibile e percepibile solo attraverso l’auto, idealizzata ad oggetto di identità personale e non più di lusso. Ogni misura presa per facilitare lo scorrimento e lo spostamento in automobile si basa su di una politica della separazione dei flussi, poiché lo spazio dell’auto predomina su tutti ed entra obbligatoriamente in conflitto con gli altri. Lagriglia jeffersoniana,sullaqualeèbasata la pianificazione del suolo americano, infatti, non genera solamente una distesa infinita di quadrati pronti per essere ‘riempiti’, ma produce inoltre innumerevoli intersezioni, che, per essere risolte dal punto di vista del
  • 38. 38 la griglia veloce: traffico, necessita di molteplici negoziazioni, che in numero elevato diventano veri e propri impedimenti. La congestione dopotutto altro non è che un malfunzionamento di organismo vitale chiamato città, che fin dalla sua nascita porta con sé una malformazione genetica, la griglia stessa: nel momento in cui la domanda supera l’offerta, ecco che nasce la necessità di attraversare la città da parte a parte più velocemente, utilizzando i vuoti stessi che la città possiede - 12 avenue e 155 streets -. La forma stessa degli isolati, alquanto allungata, ha portato alla definizione di un numero di strade longitudinali rispetto all’isola assai scarso: gli spostamenti, legati alle attività principali della città da raggiungere, risultano quindi difficoltosi e la durata degli stessi si allunga notevolmente. La griglia dunque chiama in campo non più solo la terza dimensione -l’altezza degli edifici- ma una quarta, il tempo. Secondo la ricerca di Fabio Casiroli, esposta nel testo ‘Khronopolis: città accessibile, città possibile’ 4 , la griglia necessita di una nuova lettura e di nuove forme di organizzazione spaziale del movimento capaci di potenziare al massimo l’efficacia del sistema. Casiroli suddivide la città di New York, tenendo quindi in considerazione tutta la metropoli e non sono l’isola di Manhattan, in 4 città differenti, a seconda dei 4 macro gruppi di attività che la città nella sua totalità svolge maggiormente: la città del lavoro; la città della cultura; la città dello sport ; infine, la città dello svago. La città del lavoro si presenta essere al primo posto nella scala dei valori dei newyorkesi e pertanto rappresenta un tassello importante, specie durante le famose rush hours -le ore di punta, quelle del lavoro d’ufficio -, del traffico globale nella città, attirando utenti da tutta l’area metropolitana. Le percentuali indicano che il 30% di tali utenti preferisce giungere a lavoro in automobile, mentre un buon 54% predilige i mezzi pubblici. Una situazione inversa è invece quella rappresentata dal diagramma relativo alla città dello sport e dello svago, mentre quella della cultura presenta una situazione non lontana dalla parità. Il modello proposto da Casiroli cerca di delineare i contorni di una città nella quale la localizzazione delle funzioni e l’offerta di trasporto siano tali da garantire tempi di spostamento brevi, urbani appunto, entro i 45 minuti. Funzioni e connessioni rappresentano i due layerfondamentaliattraversoiquali ripensare i flussi urbani, alla scala del quartiere, alla scala urbana e a quella metropolitana. Il modello studiato da Casiroli si pone come obiettivo quello di poter essere applicato in qualunque città e tra queste vi è anche New York, che, con la sua maglia ortogonale molto particolare, più estesa in senso longitudinale che in senso latitudinale, richieda una soluzione ad hoc. L’esercizio che viene da lui compiuto impone che la situazione del traffico venga verificata isolato per isolato, consentendo ai mezzi pubblici una circolazione bidirezionale e riservando ai veicoli privati una circolazione a sensi unici alternati, ormai molto usuale a Manhattan. Questa dunque la soluzione per i movimenti relativi alla gestione del traffico nel quartiere, mentre gli spostamenti a scala urbana sarebbe rimandati al mezzo della metropolitana e quello a scala territoriale risulterebbero infine di figura 6 Diagrammi circa la percentuale di spostamenti in auto e quella in mezzo pubblico in relazione al tipo di attività da svolgere, prodotti da Fabio Casiroli 4 Fabio Casiroli, ‘Khrónopolis. Città accessibile, città p o s s i b i l e - K h r ó n o p o l i s . Accessible city, feasible city’, edito da Idea Books, Milano, nel 2008 6
  • 39. Manhattan: città veloce VS città lenta 39 il traffico competenza dei mezzi ferroviari, più rivolti alla regione. La viabilità est-ovest si concentrerebbe inoltre su tre linee principali che vanno da fiume a fiume, attraversandoli, da qui poi si diparte una viabilità di carattere minore che facilita la distribuzione dei microflussi all’interno del quartiere; dall’altro lato invece la mobilità nord- sud più importante verrebbe rimandata alle arterie autostradali già presenti lungo le sponde dei due fiumi stessi. Le riflessioni finali che scaturiscono da tale modello sono essenzialmente rappresentate dall’importanza rivestita dai modelli di trasporto urbano nell’ottica della diminuzione della congestione del traffico stradale. Il problema di tali modelli è che essi risultano essere il più delle volte modelli statici e mono- dimensionali, che non tengono conto della complessità legata alla vita urbana e agli spostamenti ad essa connessi. Chiaramente il modello proposto da Casiroli necessiterebbe di una verifica pratica per comprovarne la validità, ma quello che vi è di positivo da osservare è proprio il suo tentativo di fotografare una realtà estremamente dinamica come quella di New York e allo stesso tempo di sintetizzarla in spostamenti veloci e congruenti con le attività presenti, sfruttando le possibilità offerte dalla griglia stessa. Ad oggi, una delle soluzioni più intraprese, accarezzata dall’amministrazione newyorkese del sindaco Michael Bloomberg, ma anche da quelle delle maggiori città del mondo, è quella della famosa ‘congestion charging’, ovvero la tassazione di alcune strade al fine di scoraggiarne l’utilizzo; tale tecnica in alcuni casi ha portato alla riduzione anche del 20% del traffico, ma ha acceso un dibattito circa la legittimità di tale azione da parte del governo, considerando soprattutto la valenza e la proprietà pubblica delle strade in questione. Tale strumento è già stato utilizzato dalla città di Londra, ma New York al momento preferisce adottare altre tecniche, quali quella di implementazione di sistemi di trasporto esistenti, pubblici e non, o di utilizzo di sistemi alternativo di spostamento. Per questo, negli ultimi anni, nell’ottica soprattuttodiraggiungeregliobiettiviperilpiano proposto per il 2030 di una ‘GreeNYC’5 , sono state incentivate nuove forme di spostamento come l’utilizzo della bicicletta - incentivato da un numero sempre maggiore di piste ciclabili, di aree verdi e di pezzi di strada chiusi al traffico veicolare - o come l’introduzione di una nuova forma di taxi-sharing - la condivisione cioè dello stesso taxi per alcuni tratti di strada, con la possibilità di divisione del prezzo del servizio -, quest’ultimo però visto ancora con sguardo scettico dalla maggiorparte dei cittadini newyorkesi che sostengono di utilizzare il taxi proprio per la rapidità e libertà di spostamento che consente. La politica americana in fondo altro non è che ‘fondata non sulla fantasia generata dalla collettività, ma sul diritto di essere lasciati soli’6 : ecco perchè permane nelle più grandi città d’America una logica del trasporto molto individualista. In un certo senso Manhattan ha il privilegio, a causa della sua forma urbana - una griglia su di un’isola molto ristretta - , di avere la necessità di ripensare completamente il suo sistema di trasporti, di gestione del traffico e di interconnessione degli spazi urbani della città, a partire da quelli pubblici. Una nuova sfida per il XXI secolo, a cui la città stessa non rinuncerà. 7 figura 7 Diagrammi circa la modalità di spostamento all’interno della griglia newyorkese del quartiere di Midtown Manhattan, prodotti da Fabio Casiroli figura 8 Diagramma che mostra le tipologia di mezzi utlizzati nelle pincipali città americane per gli spostamenti urbani, rintracciabile sul sito http:// www.infrastructurist.com/ 5 Per maggiori informazioni consultare il sito http://www. nyc. gov/html/greenyc/html/ home/home.shtml 6 Citazione tradotta tratta dal testo di Michael Sorkin, ‘Giving Ground. The politics of propinquity’, edito da Verso, New York nel 1999 8
  • 40.
  • 41. manhattan: città veloce VS città lenta la griglia lenta: i neighborhoods
  • 43. Manhattan: città veloce VS città lenta 43 i neighborhoods 01.4 La griglia lenta: i neighborhoods “Nel perimetro di un solo isolato intorno a casa mia stava tutta l’avventura del mondo, nell’arco di un miglio tutti i paesi stranieri” John Reed Le mappe che potrebbero essere elaborate per la città di Manhattan sono infinite, a causa o grazie alla natura variabile e dinamica della città stessa, e risulta quindi complesso e ardito dare una definizione univoca della composizione dei quartieri della città e incasellarli in una mappa turistica costruita con rigore. Proprio tale complessità d’altra parte costringe ad una sintesi del luogo e a mappe forzate, che variano di anno in anno, di versione in versione. Una delle suddivisioni più popolari delle aree della città deriva dalla classificazione geografica downtown, midtown, uptown, ormai classica tra le città americane, radicalmente opposta a quella europea, basata sulla formazione della città circolare rispetto ad un nucelo storico centrale. Le città americane infatti basate su di uno sviluppo lineare lungo un asse, che coincide solitamente con la ‘Main Street’, si presentano come città aperte, contro quelle chiuse europee, i cui assi diventano vie di scorrimento interno, contrapposti agli assi radiali della maggiorparte delle città europee. Ecco quindi da qui la spiegazione della suddivisione della città in tre fasce successive, che nel caso di Manhattan sono rese più sfaccettate dalla conformazione a isola della città. Semplificando, downtown può essere considerata la parte meridionale dell’isola fino alla 14th Street; midtown il brano di città che va dalla 14th Street al lembo inferiore di Central Park; uptown tutta la fetta di città che si trova al di sopra della 59th Street 1 . Per Manhattan inoltre downtown rappresenta il nucleo originario, midtown una fascia centrale di ‘trapasso’, mentre uptown l’ultima fascia in senso cronologico di completamento del tessuto. Questa suddivisione operata a grandi linee su tutta l’isola non tiene però conto delle diverse realtà compresenti delle tre fasce, che possono dunque a loro volta essere suddivise in vere e proprie comunità, ‘unità di vicinato’ - i cosiddetti neighborhoods appunto-, costituiti da ritagli nel tessuto della città, pressochè netti, dai confini chiari che però subiscono variazioni con il passare del tempo e delle politiche sociali e culturali. New York, città di individui, città dura, aspramente individualista, si rivela essere una città fatta anche di gruppi, di villaggi, di comunità riunite assieme da tradizioni, origini, lingua e cultura dopo la fuga oltreoceano degli anni dell’immigrazione. Questi quartieri, nati storicamente nella maggiorparte dei casi come veri e propri ghetti, si sono trasformati in insiemi di vie, scorci, viste e densità specifiche, insostituibili e altamente riconoscibili di tutta l’isola: Little Italy come Chinatown, Harlem come il Civic Center, l’Upper West Side come l’Upper East Side rappresentano tutti delle piccole isole2 a se stanti, ben marcate da confini davvero percepibili. All’improvviso infatti le strade ‘di confine’ si spaccano in due per appartenere a due universi paralleli, che coesistono il più delle volte pacificamente, in un confronto evidente che senza negazioni o scuse si manifesta anche sotto gli occhi del più ignaro turista. Alcuni di queste strade non raramente ospitarono anche scontri e ribellioni, disordini urbani frutto di quelle tensioni fra comunità cheoggisembranomenoevidentimachetuttora esistono: una storia, quella di Manhattan, fatta 1 Discussione tratta dal testo di Mario Maffi, ‘Sotto le torri di Manhattan’, Rizzoli, Milano, 1998 2 Si fa riferimento ai contenuti del Capitolo 3 di progetto della tesi
  • 44. 44 la griglia lenta: 1 2 di contrasti, talvolta anche violenti, che sono però oggi tratto caratteristico di una metropoli sempre in movimento e sempre diverse, dalle mille sfaccettature. Queste facce diversificate della città non si riflettono solo nella suddivisione dei diversi quartieri - suddivisione che negli anni non solo è diventata ufficiale, ma anche formale, poiché ha determinato la nascita di molteplici associazioni e istituzioni di tutela e progettazione di interi distretti - , ma si percepiscono anche attraverso i suoni che si diffondono nelle strade. Il suono della città tutta si compone di diverse voci, caratterizzate da molteplici slang in continua mutazione, derivati dalle decine di lingue parlate: irlandese, tedesco, italiano, yiddish, cantonese, arabo, spagnolo e tutte le derivazioni ancora interne a queste stesse lingue. Passeggiando per la metropoli risuonano suoni ibridi e mescolanze linguistiche che riflettono la varietà di razze e culture compresenti ormai da secoli. Le carte diffuse in sostanza non possono essere considerate definitive e i confini, seppur di anno in anno ben marcati, sono labili e provvisori e cambiano anche in virtù di motivazioni economiche e demografiche. Proprio in virtù dell’assialità verticale predominante le suddivisioni applicate ai quartieri seguono nella maggiorparte dei casi strade trasversali intermedie che si estendono da est a ovest, che quindi cambiano carattere man mano che attraversano neighborhoods differenti. Alcuni di questi villaggi vivono ancora oggi del mito che di loro si è diffuso nei decenni passati ed è da evidenziare una progressiva omogeneizzazione degli interventi di riqualificazione, che ormai riguardano non solo l’isola di Manhattan, ma anche i rimanenti quattro boroughs. Ma è proprio nei quartieri in cui si colgono le contraddizionipiùforticheèpossibileriscontrare maggiori indizi circa le differenze culturali che popolano la città: anche e soprattutto le architetture dei quartieri parlano del passato di questi fazzoletti di terra, tra murales e caseggiati in ristrutturazione, grattacieli e nuovi cantieri, case popolari e infrastrutture, residenze di lusso e uffici multipiano. Spesso inoltre alcuni di questi quartieri figura 1 Mappa stampata e prodotta dalla tipografia Oak Posters, della designer Jenny Beorkrem, con l’obiettivo di far scaturire un maggior senso di appartenenza culturale figura 2 Mappa elaborata con tecnica astratta e confini non corrispondenti a quelli reali
  • 45. Manhattan: città veloce VS città lenta 45 i neighborhoods 4 3 figura 3 Mappa elaborata con tecnica astratta e confini non corrispondenti a quelli reali, con indicazione delle maggiori strade di confine tra i quartieri stessi figura 4 Mappa elaborata con tecnica astratta e confini non corrispondenti a quelli reali, con individuazione dei diversi quartieri tramine una nominazione più dettagliata nascondono, anche nel loro sottosuolo, una serie di abitanti considerati ‘undesiderables’ per la città, che restano quindi invisibili, chiusi nei recinti non necessariamenti protetti di quartieri come il Lower East Side o Harlem. Altrettanto spesso questi quartieri vengono considerati non facenti parte della città stessa o da rimuovere o da concepire come ‘errori’ della città stessa: ed è invece porprio qui che si concentra l’anima della città, è qui che si avvertono radici, storia e identità. Identità: il riconoscere se stessi e parte di una determinata civiltà nella vita dei marciapiedi, delle strade, nella mescolanza delle culture e in quel senso di comunità che si coglie anche nella metropoli della solitudine - quella dei 2028 isolati -, in cui tutto sembra disgregarsi. Il Lower East Side, ad esempio, divenne il quartiere immigrato per eccellenza, il cancello d’ingresso nell’epoca in cui New York era considerato il punto di approdo verso il paese dei miraggi. Le condizioni del quartiere a inizio secolo erano sotto i minimi accettabili, ma l’ambiente fervido e frizzante del quartiere divenne presto il laboratorio in cui vanno ricercati gli inizi del cinema e dello spettacolo popolare, del teatro, della pittura realista americana e le prime sperimentazioni della letteratura del modernismo, il giornalismo politico e la fotografia sociale. Tutte queste forze non rimasero confinate nel quartiere ma anzi si diffusero rapidamente oltre i confini dello stesso per arrivare ad influenzare tutta la città di New York e l’America stessa, e formare così il ‘900 conosciuto. Un esempio fra tanti, da confrontare con l’Harlem afro-americana di colore, Chinatown e Little Italy e il Village, anch’esso caratterizzato da tensioni e storie sociali, che fu testimone di esperienze come i beats, il folk revival, e il jazz. Non rimane quindi che indugiare tra le vie di questi luoghi per comprenderne appieno l’essenza ed arrendersi al fatto che ogni strada di New York non possa essere intrappolata in una definizionepermanentedellesuecaratteristiche e dei suoi abitanti.
  • 46. 46 la griglia lenta: Il distretto finanziario, che comprende gli uffici e sede di molte delle più importanti istituzioni finanziarie della città, tra cui il New York Stock Exchange e il Federal Reserve Bank di New York, ha una popolazione residente di circa 56.000 ab. Durante il giorno, la popolazione si dilata sino a circa 300.000 ab e i residenti sono in continua crescita, così come alcuni edifici si stanno trasformando da uffici in residenze. Le caratteristiche del distretto sono quelle proprie dei quartieri d’affari, con una presenza alta di sedi e uffici di società: lo spazio pubblico infatti scarseggia e le attività presenti riguardano principalmente la ristorazione a servizio degli impiegati. La via simbolo dell’area è Wall Street, antico confine della città prima dell’espansione oltre le mura. La densità caratteristica è quella propria dei distretti d’affari, con edifici alti e torri monofunzionali. financialdistrictciviccentertribeca Il quartiere, cuore dell’attività politica dell’intera isola, vista la presenza di City Hall, la sede municipale di New York, rappresenta il fulcro delle proteste e rimostranze di tutti i gruppi e le comunità dell’isola. L’intera area si concentra attorno al City Hall Park, che rappresenta anche l’unica strada di imbocco del ponte di Brooklyn, nella sua via pedonale. Anche se non molto ampio, il quartiere rappresenta un punto di riferimento, anche per ciò che riguarda la mobilità in tutta l’isola, rappresentandone un po’ il capolinea prima che il sistema metropolitano si estenda al di fuori dei confini dell’isola. Tutte le funzioni giuridiche si addensano nel quartiere e ne determinano la vocazione, rendendolo estremamente connesso al quartiere del Financial District. In questo brano di città la Broadway rappresenta la spina dorsale del tessuto urbano. Risultatodelleinizialidelleparole“Triangle below Canal Street”, questo quartiere è caratterizzato dalla presenza di numerosi studi di vario genere alternati a residenze di alto livello. L’antica anima industriale della zona si è velocemente convertita in edifici di pregio architettonico mano a mano che i valori degli immobili si innalzavano ed ora un’area ordinata e ripulita, la cui immagine riflette la tipologia di abitanti presenti, per la maggiorparte bianchi e americani. L’intera area è ormai divenuta distretto storico, con una gran moltitudine di edifici dichiarati ufficialmente landmarks dalla città. Il tessuto si fa sempre più simile alla griglia del resto della città, ma presenta alcune commistioni con la rete viaria del Financial District e una differente inclinazione derivata dalla vicinanza alla costa, da cui è distanziata tramite la parte finale dell’highway che proviene dal nord dell’isola.
  • 47. Manhattan: città veloce VS città lenta 47 i neighborhoods chinatownsohonoho Come la maggiorparte dei quartieri popolati da cinesi nel mondo, anche questa Chinatown è in parte costituita da elementi residenziali e in parte a destinazione commerciale. Le unità residenziali sono rappresentate da edifici vari, alcuni dei quali anche di cento anni fa, nei quali non è difficile trovare condizioni di vita di basso livello, con bagni in comune e stanze prive di luce. La maggiorparte della popolazione è di origine cinese, proveniente della regione del Guandong e da Hong Kong, e in una fase iniziale dello sviluppo del quartiere fu principalmente popolato da gangsters e gruppi violenti. L’unico parco presente è Columbus Park, nato proprio sopra la piccola piazza dei Five Points, luogo di leggende e storie truci e di violenza della Manhattan di inizio Ottocento. Nella prima metà dell’Ottocento, Soho, letteralmente ‘a sud della Houston’, era popolato da numerosi bar e locali, frequentati soprattutto da uomini a partire dal sabato sera al lunedì mattina. A fine del Ventesimo secolo l’area venne invece popolata da artisti che qui potevano trovare numerosi e ampi spazi di lavoro, ma nel tempo il processo di gentrificazione e riqualificazione di tutta downtown Manhattan portò ad uno sviluppo dell’area ormai lontano dall’anima artistica originale. Per un certo periodo il governo dellacittàstessadecisedisostenerel’immaginedelquartiere consentendo la residenza effettiva solo agli artisti e alle loro famiglie, ma non fu comunque sufficiente. Oggi infatti l’intero quartiere, specie nel suo affaccio sulla Broadway, ma anche nelle vie interne, è letteralmente preso d’assalto dai negozi e ristoranti delle migliori marche, rappresentando il quartiere più alla moda e dello shopping. Noho, il quartiere ‘a nord di Houston’, è il villaggio della città più composto da edifici convertiti e trasformati in splendidi loft, ad oggi tra i più cari e desiderabili di Midtown Manhattan e che contribuisce così al mantenimento dei prezzi molto alti del mercato immobilire della zona. Gli edifici dell’area ricordano il passato commerciale del quartiere e il loro pregio è altamente riconosciuto dalla Commissione per i beni storici della città: oggi quindi il paesaggio visibile al suo interno è quello di un’alternanza di facciate in marmo, mattoni a vista, ferro e terracotta. Al suo interno si trovano alcune università di prestigio e nella parte più a sud include anche ciò che è rimasto dell’antico quartiere di Little Italy, ormai ridotto a poche strade, ben ripulite e turiste che sconfinano ormai in pure vetrine. Perproteggerel’identitàdelquartiere,ociòcheneèrimasto, anche in questo caso è nata un’associazione spontanea per la sua difesa e salvaguardia.
  • 48. 48 la griglia lenta:chelseagreenwichvillagegramercy ‘Il Village’, così come viene chiamato questo neighborhood, si presenta come un quartiere soprattutto residenziale, per lo più abitato oggi da famiglie della upper middle class, ma un tempo capitale bohemien dell’isola e culla del movimento della Beat Generation. Come per gli altri quartieri della città, i lati caratteristici e folkloristici dello stesso diventarono presto la sua condanna a morte, verso la gentrificazione. La piazza più rinomata e famosa dell’intera area è Washington Square, recentemente risistemata, e fino a pochi anni fa devastata dallo spaccio e dal crimine. Ancora oggi conosciuto per i suoi numerosi locali di jazz, molto animato di notte, si trasforma in una tranquilla oasi residenziale di giorno, caratterizzata da edifici a cinque o sei piani. Popolato da artisti, oggi molto lontani da quelli che forgiarono il quartiere di Soho, ogni strada di Chelsea si affolla di curiosi e appassionati alla ricerca dell’ultima opera d’arte o dell’artista all’ultima moda, tra i capannoni finemente e costosamente recuperati, sotto l’ombra di uno dei pochi spazi pubblici rimasti, l’highline. Nella sua parte più vicina alla costa, si trasforma nella città dello sport, in cui tutti i pontili e i piers sul fiume sono stati recuperati e convertiti in immensi edifici adibiti a campi al coperto e sale e palestre di allenamento. Il tutto contornato da una linea verde, attrezzata anch’essa per lo sport e il passeggio sul lungo fiume, che si estende quasi ininterrottamente a partire da Battery Park City fino a qui. Conosciuto fin dal Ventesimo secolo come centro delle attività manifatturiere e della moda, condensa in meno di un miglio quadrato la maggiorparte degli showrooms della City e ospita i più noti brand del mondo della moda, nel famoso tratto della Fifth Avenue che termina nell’inizio di Central Park. Inizialmente occupato anche dalle sedi di produzione di tali prodotti manifatturieri, venne in breve tempo riconosciuto come il quartiere adatto ad ospitare edifici lussuosi ad alto rendimento immobiliare e presto gli ultimi residui industriali vennero rimpiazzati con edifici appariscenti e firmati ad hoc dai brand che rappresentano. Moltovicinoalleprincipalistazionidellacittà,Pennsylvania Station e Grand Central Terminal, è il quartiere che più spesso ospita i primi sguardi dei visitatori stranieri e dei viaggiatori più in generale e rappresenta la più grande e lussuosa vetrina della città.
  • 49. Manhattan: città veloce VS città lenta 49 i neighborhoods theaterdistrictupperwestsideinwood Collocato nella Midtown Manhattan, il Theater District rappresenta il simbolo più conosciuto della Grande Mela: nato come quartiere malfamato costellato da locali a luci rosse e dimora delle prostitute, è stato progressivamente risistemato, piano piano che l’immagine di icona si faceva strada. Attraverso gli ultimi interventi di pedonalizzazione del tratto di Broadway che attraversa il quartiere, quest’ultimo si sta progressivamente trasformando in un’area di accoglienza e intrattenimento dei turisti, sia di giorno che di notte. Motivo per cui l’area è quasi completamente priva di edifici prettamente residenziali, anche a causa dell’alta densità della stessa. Oggi allo stesso livello dell’Upper East Side, il quartiere nasce come ghetto per spagnoli provenienti dall’America Latina e nel tempo si è trasformato nell’area più residenziale per la classe media americana. Rigidamente ancorato alla griglia, si trova lambito sul lato del fiume dal Riverside Park, tra i parchi lineari più ampi dell’isola, che attrezza con uno spazio pubblico molto utilizzato l’intera comunità. Gli elementi di maggior spicco sono costituiti dal complesso del Lincoln Center e dal Museo di Scienze naturali, attrazioni turistiche e non dell’intera area. Al confine nord invece si colloca una delle maggiori università dell’isola, la Columbia University, che con il suo campus e le sue proprietà immobiliare possiede gran parte degli edifici dell’area nord del quartiere, popolandolo di studenti universitari. Inwood è il neighborhood più anorddell’isola di Manhattan, circondato dall’acqua su tre lati e morfologicamente collinoso, con poche connessioni con il tessuto stradale del resto di Manhattan. L’ Inwood Hill Park contiene l’ultima foresta naturale dell’isola ed è gettonatissima meta nei fine settimana. Confina a sud con Washington Heights, quartiere prevalentemente abitato da ispanici di Santo Domingo. In Washington Heights si trova il punto naturale più alto di Manhattan, già sede di Fort Washington, una fortificazione costruita per difendersi dagli Inglesi durante la Rivoluzione Americana. La popolazione di Hamilton Heights, invece, ancora più a sud, è composta da professionisti neri benestanti. Nel quartiere si trovano il City College di NY, il Dance Theatre of Harlem e The Harlem School of Arts.
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  • 51. manhattan: città veloce VS città lenta broadway: dalle origini alla pedonalizzazione