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Sincronizziamo gli orologi: il tempo da Newton ad Einstein
Introduzione
I concetti di spazio e tempo sono mutati diverse volte nella storia dell’umanità. Tutt’oggi l’orologio
ci dice che il tempo è una successione di periodi numerabili, che si equivalgono, e la loro somma ne
descrive lo scorrimento. È così che la fisica classica idealizzava la concezione di tempo: esso, insieme
allo spazio, era qualcosa di assoluto, che scorre in modo lineare ed uniforme senza nessuna
interazione con qualunque evento esterno. Newton era un sostenitore di questa teoria, che in seguito
fu demolita dalla rivoluzionaria “fisica relativistica di Einstein”.
Isaac Newton sradicò le basi della scienza introducendovi una massiccia dose
di matematica. Il suo ingegno era straordinario: quando si accorse che la
matematica di cui aveva bisogno per le sue ricerche non esisteva ancora, la
inventò da solo. Per trovare un altro genio del suo calibro sarebbero dovuti
passare quasi tre secoli.
Egli pubblica nel 1687 “Principi Matematici della filosofia naturale” in cui
parla del tempo (così anche dello spazio) come “Sensorium Dei” (senso di Dio)
che scorre immutabile, idea già contenuta nelle trasformazioni di Galileo
Galilei.
I presupposti di Galilei per le trasformazioni delle coordinate spazio-temporali
in un sistema di riferimento inerziale considerano spazio e tempo come
grandezze fisiche invarianti. Le esperienze di natura meccanica costituiscono
un’esperienza limite che possono valere con questi presupposti. Ma in senso generale, non tutte le
leggi aderiscono a questi principi e nuove trasformazioni necessitano di essere correlate. Attraverso
un artificio matematico, Lorentz permise ad Einstein di dimostrare che le trasformazioni tra sistemi
inerziali non sono quelle di Galileo.
Einstein dal canto suo, è stato la chiave di volta della fisica moderna e ci ha
mostrato l'Universo da un nuovo punto di vista. La formulazione della teoria
della relatività «speciale» dimostra come egli applichi la sua idea di pensiero
scientifico come libera creazione: suggerita, ma non imposta dai fatti empirici.
In particolare, la teoria della relatività speciale propone di rinunciare alle
convenzionali considerazioni di spazio e tempo.
Per farlo dovette andare contro postulati ed assiomi che per secoli erano stati
onorati, di fatti già nel 1916 scriveva:
«Concetti che si sono dimostrati utili per ordinare le cose acquistano una tale
autorità su di noi che ci dimentichiamo la loro origine terrena e li accettiamo come dati inalterabili.
[…] Il cammino del progresso scientifico è spesso reso impossibile per lungo tempo proprio da questi
errori».
Si tratta di una vera e propria rivoluzione scientifica.
È oltremodo sconcertante pensare che l’unica conoscenza matematica richiesta per ottenere gli esiti
più considerevoli della teoria della relatività di Einstein è l’algebra e che essa pone le sue basi su due
semplici postulati. Enunciati nel 1905, annus mirabilis, recitano quanto segue:
❖ Le leggi della fisica hanno la stessa forma in tutti i sistemi di riferimento inerziali;
1. Philosophiae Naturalis
Principia Mathematica (in
italiano: I principi
matematici della filosofia
naturale).
2. Albert Einstein nel 1920
❖ La velocità della luce nel vuoto, 𝑐 = 3,00 ⋅ 108
𝑚 ∕ 𝑠, è la stessa in tutti i sistemi di
riferimento inerziali ed è indipendente dal moto della sorgente e da quello dell’osservatore.
Dunque, la teoria della relatività di Einstein è “ristretta” nel senso che limita le considerazioni a
sistemi non accelerati.
Invero, siamo soliti pensare che il tempo scorra per tutti nella medesima maniera. Lo percepiamo
empiricamente, come auspicherebbe Galileo. Tuttavia, se gli orologi vengono trasportati con velocità
prossima a 𝑐, la loro sincronizzazione non è garantita. Affinché la lettura del tempo di orologi diversi
sia significativa, bisogna che questi siano tutti sincronizzati. Per esserlo, dovrebbero comunicare
istantaneamente mediante segnali in grado di raggiungere ogni punto dello spazio in un intervallo di
tempo nullo, raggiungendo una velocità pressocché infinita.
Sfortunatamente questo in natura non è possibile: i segnali che viaggiano più velocemente sono i
segnali elettromagnetici che, pur avendo una velocità altissima, impiegano un certo tempo per andare
da un punto ad un altro. Dunque, per sincronizzare i nostri orologi dobbiamo ricorrere ad altri metodi.
Uno di questi prevede che orologi posti in due punti diversi A e B nello spazio abbiano una sorgente
di onde elettromagnetiche, ad esempio una lampadina, posta esattamente nel mezzo.
L’accensione della lampadina propaga un'onda luminosa. Assumendo che la velocità della luce sia
invariante, gli orologi vengono sincronizzati quando questa li raggiunge. Si possono escogitare altre
procedure che sfruttano le onde elettromagnetiche. Si può inviare da terra un'onda radio ad un satellite
e, conoscendo la distanza d che separa i due dispositivi, si può facilmente calcolare 𝛥𝑡 =
𝑑
𝑐
dopo cui
l'orologio sul satellite riceverà il segnale. Infine, sarà sufficiente posizionare l'orologio al valore 𝑡.
Questa è, in effetti, la procedura che viene utilizzata per sincronizzare gli orologi sulla terra e sui
satelliti.
Immaginiamo ora di porre un orologio all’interno di una navicella che viaggia ad una velocità
prossima a 𝑐. Questo, non potrà essere sincronizzato seguendo i metodi convenzionali. Il tempo si
dilata con l’avvicinarsi a 𝑐.
Per calcolare la differenza dell’andamento tra i due orologi, uno in quiete l’altro in movimento,
supponiamo di costruire un orologio in cui il “tic” è determinato dall’emissione di un raggio di luce
tra due specchi.
Nell’orologio a luce in quiete, il raggio viene emesso dalla base, rimbalza nella parte superiore e
ritorna alla posizione iniziale dopo un intervallo di tempo 𝛥𝑡0 . Il pedice indica che il tempo è proprio.
Nell’orologio a luce in movimento, il raggio di luce coinvolto è quello obliquo che deve compiere
uno spostamento maggiore, impiegando di conseguenza un tempo 𝛥𝑡 maggiore.
Allo stesso modo, se confrontiamo le misurazioni di due orologi, scorgiamo un lieve di scostamento
tra le due: esso non è altro che il loro rapporto ed è quantificabile con il cosiddetto fattore
lorentziano:
𝛾 =
𝛥𝑡
𝛥𝑡0
=
1
√1 −
𝑣2
𝑐2
Esso vale 1 per 𝑣 = 0, mentre tende a infinito quando 𝑣 si avvicina a 𝑐. Per 𝑣 → 𝑐 il tempo necessario
per un “tic” dovrebbe essere infinito, l’orologio dunque rallenta fino a fermarsi. Dal momento che
non è possibile inserirci nella prospettiva dell’eternità, a differenza di come il sommo poeta si riuscì
a proiettare nei mondi ultraterreni descritti nella Divina commedia, 𝑐 rappresenta la velocità limite,
ossia la massima raggiungibile nell’universo. Gli intervalli di tempo 𝛥𝑡 e 𝛥𝑡0 sono quindi legati dalla
relazione che esprime la dilatazione degli intervalli temporali:
𝛥𝑡 = 𝛾𝛥𝑡0 𝑐𝑜𝑛 𝛾 =
1
√1 −
𝑣2
𝑐2
La relazione è valida per qualsiasi tipo di orologio, altrimenti sarebbe violato il primo postulato della
relatività.
A poco più di un secolo dalla sua nascita, la relatività ha consentito la correzione nonché la
comprensione di diversi fenomeni. Tra questi, l’effetto Doppler. Come per le onde sonore, esso si
manifesta anche nel caso di onde luminose, ma con due differenze sostanziali. La prima è che le onde
sonore, a differenza della luce, hanno bisogno di un mezzo per propagarsi. La seconda è che la
velocità del suono può variare, a seconda che osservatore e sorgente siano in movimento o meno. Per
il secondo postulato della relatività, la velocità della luce, in particolare quella delle onde
elettromagnetiche, è indipendente dal moto della sorgente e dell’osservatore. L’unica velocità
interessata è quella relativa fra l’osservatore e la sorgente. Se la sorgente (con frequenza 𝑓) si muove
ad una velocità piccola rispetto a 𝑐, la frequenza 𝑓′
percepita da un osservatore in quiete è:
𝑓′
= (1 ±
𝑣
𝑐
) 𝑓
Il segno è positivo quando la sorgente si avvicina all’osservatore, negativo quando se ne allontana.
In ambito astronomico l’effetto Doppler viene sfruttato per comprendere se le galassie sono in
allontanamento o in avvicinamento. Difatti, la luce emessa da sorgenti in movimento ha lunghezze
d’onda differenti a seconda del movimento relativo fra la sorgente e l’osservatore. Quando la sorgente
si avvicina, la lunghezza d’onda 𝛾 emessa decresce, spostandola verso il margine blu dello spettro
(blueshift). Al contrario, se la sorgente si allontana 𝛾 cresce e si sposta verso il margine rosso
(redshift).
Suppose that a particular galaxy emits orange light with a frequency of 5,000 ⋅ 1014
𝐻𝑧 and is moving
away from Earth at 3325 𝑘𝑚 ∕ 𝑠 . Thanks to Einstein’s theory of relativity we can calculate the
frequency of light when it reaches our planet.
The galaxy’s speed is smaller enough than the light one and we know that the galaxy is moving away
from us, so:
𝑓′
= (1 −
3,325 ⋅ 106
𝑚 ∕ 𝑠
3,00 ⋅ 108𝑚 ∕ 𝑠
) ⋅ 5,000 ⋅ 1014
𝐻𝑧 = 4,945 ⋅ 1014
𝐻𝑧
Almost all the galaxies we have observed so far are moving away from us.
È dunque chiaro che la comprensione della teoria della relatività speciale costituisce un’esperienza
intellettuale affascinante. Benché il campo di applicazione della relatività sia limitato, l’eredità di
Einstein è ineffabile. Il sentimento del tempo cambia e la frammentazione del presente viene espressa
attraverso nuove modalità di scrittura: James Joyce sostituisce il tempo cronologico con quello della
coscienza, composto di momenti indistinguibili che trapassano uno nell’altro in un flusso che
continuamente si arricchisce. L’infinita limitatezza dell’uomo giunge ora allo scoperto: il suo punto
di vista non coincide col vero assoluto.
Bibliografia
- “La teoria del tutto”, Stephen W. Hawking
- “FISICA Modelli teorici e problem solving”, James S. Walker
- “La Divina commedia e le scienze”, Prof. Maurizio Marinozzi
Sitografia
- www.matematicamente.it
- www2.ing.unipi.it
- www.asimmetrie.it
Immagini
- www.articolidiastronomia.com
- www.batmath.it
- www.studenti.it
- www.fisica.uniud.it

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Sincronizziamo gli orologi

  • 1. Sincronizziamo gli orologi: il tempo da Newton ad Einstein Introduzione I concetti di spazio e tempo sono mutati diverse volte nella storia dell’umanità. Tutt’oggi l’orologio ci dice che il tempo è una successione di periodi numerabili, che si equivalgono, e la loro somma ne descrive lo scorrimento. È così che la fisica classica idealizzava la concezione di tempo: esso, insieme allo spazio, era qualcosa di assoluto, che scorre in modo lineare ed uniforme senza nessuna interazione con qualunque evento esterno. Newton era un sostenitore di questa teoria, che in seguito fu demolita dalla rivoluzionaria “fisica relativistica di Einstein”. Isaac Newton sradicò le basi della scienza introducendovi una massiccia dose di matematica. Il suo ingegno era straordinario: quando si accorse che la matematica di cui aveva bisogno per le sue ricerche non esisteva ancora, la inventò da solo. Per trovare un altro genio del suo calibro sarebbero dovuti passare quasi tre secoli. Egli pubblica nel 1687 “Principi Matematici della filosofia naturale” in cui parla del tempo (così anche dello spazio) come “Sensorium Dei” (senso di Dio) che scorre immutabile, idea già contenuta nelle trasformazioni di Galileo Galilei. I presupposti di Galilei per le trasformazioni delle coordinate spazio-temporali in un sistema di riferimento inerziale considerano spazio e tempo come grandezze fisiche invarianti. Le esperienze di natura meccanica costituiscono un’esperienza limite che possono valere con questi presupposti. Ma in senso generale, non tutte le leggi aderiscono a questi principi e nuove trasformazioni necessitano di essere correlate. Attraverso un artificio matematico, Lorentz permise ad Einstein di dimostrare che le trasformazioni tra sistemi inerziali non sono quelle di Galileo. Einstein dal canto suo, è stato la chiave di volta della fisica moderna e ci ha mostrato l'Universo da un nuovo punto di vista. La formulazione della teoria della relatività «speciale» dimostra come egli applichi la sua idea di pensiero scientifico come libera creazione: suggerita, ma non imposta dai fatti empirici. In particolare, la teoria della relatività speciale propone di rinunciare alle convenzionali considerazioni di spazio e tempo. Per farlo dovette andare contro postulati ed assiomi che per secoli erano stati onorati, di fatti già nel 1916 scriveva: «Concetti che si sono dimostrati utili per ordinare le cose acquistano una tale autorità su di noi che ci dimentichiamo la loro origine terrena e li accettiamo come dati inalterabili. […] Il cammino del progresso scientifico è spesso reso impossibile per lungo tempo proprio da questi errori». Si tratta di una vera e propria rivoluzione scientifica. È oltremodo sconcertante pensare che l’unica conoscenza matematica richiesta per ottenere gli esiti più considerevoli della teoria della relatività di Einstein è l’algebra e che essa pone le sue basi su due semplici postulati. Enunciati nel 1905, annus mirabilis, recitano quanto segue: ❖ Le leggi della fisica hanno la stessa forma in tutti i sistemi di riferimento inerziali; 1. Philosophiae Naturalis Principia Mathematica (in italiano: I principi matematici della filosofia naturale). 2. Albert Einstein nel 1920
  • 2. ❖ La velocità della luce nel vuoto, 𝑐 = 3,00 ⋅ 108 𝑚 ∕ 𝑠, è la stessa in tutti i sistemi di riferimento inerziali ed è indipendente dal moto della sorgente e da quello dell’osservatore. Dunque, la teoria della relatività di Einstein è “ristretta” nel senso che limita le considerazioni a sistemi non accelerati. Invero, siamo soliti pensare che il tempo scorra per tutti nella medesima maniera. Lo percepiamo empiricamente, come auspicherebbe Galileo. Tuttavia, se gli orologi vengono trasportati con velocità prossima a 𝑐, la loro sincronizzazione non è garantita. Affinché la lettura del tempo di orologi diversi sia significativa, bisogna che questi siano tutti sincronizzati. Per esserlo, dovrebbero comunicare istantaneamente mediante segnali in grado di raggiungere ogni punto dello spazio in un intervallo di tempo nullo, raggiungendo una velocità pressocché infinita. Sfortunatamente questo in natura non è possibile: i segnali che viaggiano più velocemente sono i segnali elettromagnetici che, pur avendo una velocità altissima, impiegano un certo tempo per andare da un punto ad un altro. Dunque, per sincronizzare i nostri orologi dobbiamo ricorrere ad altri metodi. Uno di questi prevede che orologi posti in due punti diversi A e B nello spazio abbiano una sorgente di onde elettromagnetiche, ad esempio una lampadina, posta esattamente nel mezzo. L’accensione della lampadina propaga un'onda luminosa. Assumendo che la velocità della luce sia invariante, gli orologi vengono sincronizzati quando questa li raggiunge. Si possono escogitare altre procedure che sfruttano le onde elettromagnetiche. Si può inviare da terra un'onda radio ad un satellite e, conoscendo la distanza d che separa i due dispositivi, si può facilmente calcolare 𝛥𝑡 = 𝑑 𝑐 dopo cui l'orologio sul satellite riceverà il segnale. Infine, sarà sufficiente posizionare l'orologio al valore 𝑡. Questa è, in effetti, la procedura che viene utilizzata per sincronizzare gli orologi sulla terra e sui satelliti. Immaginiamo ora di porre un orologio all’interno di una navicella che viaggia ad una velocità prossima a 𝑐. Questo, non potrà essere sincronizzato seguendo i metodi convenzionali. Il tempo si dilata con l’avvicinarsi a 𝑐. Per calcolare la differenza dell’andamento tra i due orologi, uno in quiete l’altro in movimento, supponiamo di costruire un orologio in cui il “tic” è determinato dall’emissione di un raggio di luce tra due specchi.
  • 3. Nell’orologio a luce in quiete, il raggio viene emesso dalla base, rimbalza nella parte superiore e ritorna alla posizione iniziale dopo un intervallo di tempo 𝛥𝑡0 . Il pedice indica che il tempo è proprio. Nell’orologio a luce in movimento, il raggio di luce coinvolto è quello obliquo che deve compiere uno spostamento maggiore, impiegando di conseguenza un tempo 𝛥𝑡 maggiore. Allo stesso modo, se confrontiamo le misurazioni di due orologi, scorgiamo un lieve di scostamento tra le due: esso non è altro che il loro rapporto ed è quantificabile con il cosiddetto fattore lorentziano: 𝛾 = 𝛥𝑡 𝛥𝑡0 = 1 √1 − 𝑣2 𝑐2 Esso vale 1 per 𝑣 = 0, mentre tende a infinito quando 𝑣 si avvicina a 𝑐. Per 𝑣 → 𝑐 il tempo necessario per un “tic” dovrebbe essere infinito, l’orologio dunque rallenta fino a fermarsi. Dal momento che non è possibile inserirci nella prospettiva dell’eternità, a differenza di come il sommo poeta si riuscì a proiettare nei mondi ultraterreni descritti nella Divina commedia, 𝑐 rappresenta la velocità limite, ossia la massima raggiungibile nell’universo. Gli intervalli di tempo 𝛥𝑡 e 𝛥𝑡0 sono quindi legati dalla relazione che esprime la dilatazione degli intervalli temporali: 𝛥𝑡 = 𝛾𝛥𝑡0 𝑐𝑜𝑛 𝛾 = 1 √1 − 𝑣2 𝑐2 La relazione è valida per qualsiasi tipo di orologio, altrimenti sarebbe violato il primo postulato della relatività. A poco più di un secolo dalla sua nascita, la relatività ha consentito la correzione nonché la comprensione di diversi fenomeni. Tra questi, l’effetto Doppler. Come per le onde sonore, esso si manifesta anche nel caso di onde luminose, ma con due differenze sostanziali. La prima è che le onde sonore, a differenza della luce, hanno bisogno di un mezzo per propagarsi. La seconda è che la velocità del suono può variare, a seconda che osservatore e sorgente siano in movimento o meno. Per il secondo postulato della relatività, la velocità della luce, in particolare quella delle onde elettromagnetiche, è indipendente dal moto della sorgente e dell’osservatore. L’unica velocità interessata è quella relativa fra l’osservatore e la sorgente. Se la sorgente (con frequenza 𝑓) si muove ad una velocità piccola rispetto a 𝑐, la frequenza 𝑓′ percepita da un osservatore in quiete è:
  • 4. 𝑓′ = (1 ± 𝑣 𝑐 ) 𝑓 Il segno è positivo quando la sorgente si avvicina all’osservatore, negativo quando se ne allontana. In ambito astronomico l’effetto Doppler viene sfruttato per comprendere se le galassie sono in allontanamento o in avvicinamento. Difatti, la luce emessa da sorgenti in movimento ha lunghezze d’onda differenti a seconda del movimento relativo fra la sorgente e l’osservatore. Quando la sorgente si avvicina, la lunghezza d’onda 𝛾 emessa decresce, spostandola verso il margine blu dello spettro (blueshift). Al contrario, se la sorgente si allontana 𝛾 cresce e si sposta verso il margine rosso (redshift). Suppose that a particular galaxy emits orange light with a frequency of 5,000 ⋅ 1014 𝐻𝑧 and is moving away from Earth at 3325 𝑘𝑚 ∕ 𝑠 . Thanks to Einstein’s theory of relativity we can calculate the frequency of light when it reaches our planet. The galaxy’s speed is smaller enough than the light one and we know that the galaxy is moving away from us, so: 𝑓′ = (1 − 3,325 ⋅ 106 𝑚 ∕ 𝑠 3,00 ⋅ 108𝑚 ∕ 𝑠 ) ⋅ 5,000 ⋅ 1014 𝐻𝑧 = 4,945 ⋅ 1014 𝐻𝑧 Almost all the galaxies we have observed so far are moving away from us. È dunque chiaro che la comprensione della teoria della relatività speciale costituisce un’esperienza intellettuale affascinante. Benché il campo di applicazione della relatività sia limitato, l’eredità di Einstein è ineffabile. Il sentimento del tempo cambia e la frammentazione del presente viene espressa attraverso nuove modalità di scrittura: James Joyce sostituisce il tempo cronologico con quello della coscienza, composto di momenti indistinguibili che trapassano uno nell’altro in un flusso che continuamente si arricchisce. L’infinita limitatezza dell’uomo giunge ora allo scoperto: il suo punto di vista non coincide col vero assoluto.
  • 5. Bibliografia - “La teoria del tutto”, Stephen W. Hawking - “FISICA Modelli teorici e problem solving”, James S. Walker - “La Divina commedia e le scienze”, Prof. Maurizio Marinozzi Sitografia - www.matematicamente.it - www2.ing.unipi.it - www.asimmetrie.it Immagini - www.articolidiastronomia.com - www.batmath.it - www.studenti.it - www.fisica.uniud.it