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Apple
hi-tech tra arte e scienza
di Marco Freccero




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Apple
hi-tech tra arte e scienza




      INDICE


      pag. 3           Introduzione

      pag. 4           Come Apple re-inventò il computer

      pag. 9           Gli utenti Mac aumentano di numero...

      pag. 13          L’importanza del software

      pag. 18          Sarà la musica che gira intorno

      pag. 24          Da PowerPC a Intel

      pag. 28          La telefonia secondo Cupertino

      pag. 37          Mi chiamo iPad, e faccio la rivoluzione

      pag. 44          Un uomo chiamato Steve Jobs

      pag. 50          Le ciambelle senza buco

      pag. 53          Anche i Mac si rompono

      pag. 56          Apple pensa differente?




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Apple
Introduzione




     Introduzione
     Apple, Apple, Apple.
     Ormai non c’è rivista di informatica, quotidiano, o canale televisivo, che non osservi con
     interesse, più spesso, con superficialità, quello che l’azienda ormai capitanata da Tim Cook,
     propone.

     Questo libro elettronico, ripercorre ma non in maniera scientifica e rigida, gli anni che vanno
     dal 1998, al 2011. Non è una fedele cronistoria; quindi il lettore non ci troverà Tutto-Ma-Proprio-
     Tutto-Anche-Quello-Che-Non-Avreste-Mai-Voluto-Chiedere. Nemmeno retroscena inediti, o
     una lunga e noiosa sequela di date.

     Piuttosto, è il tentativo di rivedere e ricordare, i passaggi fondamentali che hanno condotto
     l'azienda di Cupertino dal ruolo di cenerentola, ad attore fondamentale dell’innovazione e del
     profitto.

     L’ebook illustra quanto ha segnato la svolta sia per Apple, che per il mondo. L’influenza
     dell'azienda californiana sulla vita di tutti i giorni, è stata forte, e lo resterà ancora a lungo. E
     nasce da una semplice constatazione: dimostrare come una lontana realtà aziendale possa
     irrompere nella vita quotidiana di ciascuno. Cambiandola per sempre nella lingua, per
     esempio: adesso iPod è sinonimo di lettore mp3.
     Ma quando uscì, quante risate raccolse?

     Nokia era considerata l’azienda di telefonia mobile per antonomasia, e poi arrivò l’iPhone. Di
     fatto è in gravi difficoltà (o si dovrebbe dire dispersa?), e in compagnia di Microsoft cerca una
     possibile rivalsa.
     E Motorola? Per uscire dal vicolo cieco in cui si è cacciata ha dovuto accettare (di buon grado),
     l’acquisizione del motore di ricerca Google.

     Tutto questo è stato possibile grazie a un’azienda che a rigor di logica non avrebbe dovuto
     uscire dal perimetro entro cui era nata: l’informatica. Adesso dopo la musica, la telefonia, ha
     cambiato con l’iPad il rapporto con i computer. Certo, molti affermano che è un giocattolo
     costoso, e i PC resteranno sempre le macchine per chi fa sul serio. Ehi, è la stessa obiezione che
     si fece quando fu presentato il Macintosh, nel 1984!

     Comunque la si pensi, questo libro elettronico intende offrire uno sguardo frivolo ma sincero
     a una società che pur puntando al profitto, non ha mai smesso di immaginare un progresso
     davvero alla portata di tutti. E che buona parte del suo successo sia dovuto a Steve Jobs, mi
     pare inutile sottolinearlo ancora.

     Buona lettura




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Apple
Come Apple re-inventò il computer




     Come Apple re-inventò il computer
     È il 6 maggio del 1998, e Steve Jobs, chiuso in una giacca scura (già, giacca, non le solite
     maglie nere con cui si è fato conoscere negli anni), presenta un nuovo computer destinato a
     cambiare le sorti dell'azienda.
     Si tratta dell’iMac.




     Il nome riprende quello del leggendario Macintosh che nel 1984 cambiò per sempre la storia
     dell’informatica. Quando si deve ricominciare, perché troppe cose sono andate o storte,
     oppure non nel modo sperato, spesso il modo migliore per farlo è tornare alle origini.

     Le origini, già.
     Apple ha vissuto vicende alterne ma difficili, soprattutto dopo la cacciata dello stesso Steve
     Jobs. Dopo di lui, una serie di amministratori delegati anche mediocri, senza quella visione
     indispensabile per un’azienda del genere, e solo di tanto in tanto qualche ottima idea.
     Come per esempio lo sviluppo della tecnologia QuickTime nel 1991; l’acquisto di Final
     Cut Pro da Macromedia, ora assorbita da Adobe. E troppi prodotti privi di identità, progetti
     annunciati, ma che non vedevano la luce, e finivano impantanati da qualche parte nelle varie
     parti del campus di Cupertino.

     Oppure, progetti geniali, come il Newton, un palmare che possiamo definire (forzando la
     mano: troppi anni, e tecnologia, sono passati tra l’uno e l’altro), antenato dell’iPad. Decisamente
     innovativo, troppo in anticipo sui suoi tempi, con qualche difetto di troppo almeno agli inizi
     (e una scarsa reattività dell'azienda a intervenire con successo sulle sue pecche). Quando fu
     maturo, venne ucciso dallo stesso Jobs, rientrato in Apple ancora in veste di amministratore
     delegato ad interim. Non era di quello che la società aveva bisogno.

     Mossa avventata? Vendetta postuma nei confronti di quel John Sculley da lui fortemente
     voluto in Apple, e che fu tra gli artefici della sua estromissione? Probabilmente, no.

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Apple
Come Apple re-inventò il computer




     Il Newton muove i primi passi nel 1987, e proprio Sculley tratteggia l’idea di un dispositivo
     chiamato “Knowledge Navigator”. Nel 1998 Jobs, rientrato contro tutte le previsioni nell’azienda
     con cui aveva re-inventato l'informatica, si incarica di abbatterlo. Ma il dispositivo ha intanto
     ingoiato circa mezzo miliardo di Dollari di investimenti vari, vendendo all'incirca 300.000 pezzi.
     Ed entrando nella leggenda: chi ce l’ha, se lo tiene stretto.

     La domanda da porsi non è “Perché fu soppresso?”, bensì “Per quale perversione un’azienda si
     intestardisce per anni su un prodotto che vende poco?”. Questo in realtà è stato il sintomo di
     un malessere profondo, che ha rischiato di uccidere Apple.

     A Cupertino c’era troppo: troppi prodotti, progetti, idee. E la barca aveva qualche difficoltà a
     tracciare la rotta; sapeva da dove arrivava (Apple aveva rivoluzionato l'industria dei computer),
     aveva una vaga idea di dove si trovava. Ma nessuno che sapesse dire dove andare, e per fare
     cosa.
     L’eredità da gestire era pesante: aver introdotto l'interfaccia grafica, il mouse, e un computer
     per tutti, era stato esaltante, e bellissimo. Peccato che dopo di allora qualcosa si inceppa.
     Probabilmente, la responsabilità è dello stesso Jobs. Anche allora aveva uno straordinario
     talento visionario. Una capacità di motivare gli altri fuori del comune. Un’energia nel riuscire a
     ottenere sempre il meglio dai suoi collaboratori, che in breve lo aveva reso rispettato e temuto.

     Quello che forse gli mancava, era l’insuccesso.
     Quando infatti rientra in Apple, ha con sé il sogno infranto di NeXT, e l’ultima possibilità
     di riscattarsi. Dimostrare finalmente chi aveva ragione, e chi torto. Riprendere il discorso
     interrotto nel 1985, malamente proseguito con la NeXT, e concluderlo, o almeno condurlo
     dove era necessario per far sì che si tornasse a considerare l'informatica, un affare per tutti.

     Per molti, quando risale sul palco del Macworld di Boston nel 1998, è un pezzo di archeologia
     che ci riprova. Incuriosisce, perché è giovane, è stato geniale, e chissà che non riesca nel
     miracolo di combinare qualcosa di buono. Anche se nessuno saprebbe dire cosa.

     La presentazione dell’iMac, dunque.
     Per gli osservatori esterni, Apple è oramai un’azienda destinata a uscire di scena. Vive sugli
     allori, grazie alla gloria che fu, e a un manipolo di estimatori che il tempo condannerà a essere
     sempre più minoranza, per poi scomparire.
     Il mondo è cambiato, dicono tutti, è ridicolo non avere un PC con il sistema operativo prodotto
     da Microsoft. L’unica mossa vincente in una situazione del genere, potrebbe essere quello di
     saltare sul carro del vincitore, e battere le mani.
     Fare quello che gli altri costruttori hanno già da tempo adottato. In fondo, nel cimitero dei
     Grandi Innovatori sono finite illustre aziende, forse persino più illustri di Apple. Resistere,
     anche solo esistere, diventa inutile.
     Bill Gates ha appreso alla perfezione la lezione di Apple. Ha buttato fuori una mediocre
     versione di Windows nel 1985, e quando dieci anni dopo, arriva quella targata 95, è un successo
     enorme. Nel mezzo, anni di lavoro per migliorare il sistema operativo, e per stringere accordi
     coi produttori di PC. In modo che i sistemi operativi Windows siano naturalmente il compagno


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Apple
Come Apple re-inventò il computer




     ideale di ogni computer, non importa la marca. Così Windows diventa lo standard; d’accordo
     ci sono state delle pratiche poco cristalline, ma quella è un’altra storia.

     Quando sul palco appare il nuovo iMac, gli “osservatori esperti” (quindi: pagati
     profumatamente), sbadigliano: per essi rappresenta il canto del cigno di un’azienda che
     solo un’acquisizione (la stessa Microsoft? Oppure Oracle?), può condurre dignitosamente da
     qualche parte; prima della definitiva morte.
     Basta osservare le caratteristiche tecniche della macchina (le caratteristiche tecniche mi
     raccomando: la gggente che lavora non si fa incantare da colori e altre idiozie), per avere la
     certezza di trovarsi di fronte a un aborto di macchina.

     •	   Non ha il floppy disk;

     •	   Sfodera	la	porta	USB;

     •						Non	è	espandibile.	Vale	a	dire:	non	posso	cambiargli	processore,	scheda	grafica,	
            in modo da renderlo potentissimo e instabile. Però se ho molto tempo da
            perdere acquisterò la fama di esperto nel risolvere i continui crash di sistema.

     Soprattutto, è ridicolo: tondeggiante, colorato, e quell’inutile “i” di fronte al nome, che strizza
     l'occhio a Internet.
     Perché nel 1998 Internet per tanti è una moda, e come tale, destinata a passare. Nel 1991,
     Microsoft registra il proprio nome di dominio, Apple lo aveva già fatto nel 1987. Lo scetticismo
     a proposito di quello che si poteva ottenere da questa roba chiamata appunto Internet, era
     abbastanza radicato.

     La sentenza di morte, a proposito del nuovo computer presentato da Steve Jobs, arriva
     praticamente subito; è uno dei pregi dell’essere esperto.
     La sentenza recita più o meno: sarà un fiasco salutare, perché almeno costringerà il consiglio
     di amministrazione a congedare Steve Jobs, con una buonuscita sostanziosa, e andare a caccia
     di qualcuno che voglia buttare un po’ di soldi in una società bollita.

     Del tutto misteriosamente, la macchina piace; forse perché sbarazzina? Ha un prezzo
     accessibile: il modello base viene proposto a 1299 Dollari, e non devi spendere niente di più
     per usarlo.

     Di più: vende. Fioccano le prenotazioni; sarà messo in vendita solo nel mese di agosto di
     quell’anno.
     Gli esperti però la sanno lunga e non si fanno certo cogliere impreparati da quello che sarà
     in seguito definito il primo tassello della rinascita dell’azienda di Cupertino. Per costoro, le
     vendite sono rappresentate esclusivamente dai fans di Apple, gente che comprerebbe
     qualunque cosa, purché con la mela mordicchiata incisa sopra. Ma chi lavora, o chi fa sul serio,
     non si mette in casa un giocattolo del genere. Si tratta di una mossa di puro marketing; quel
     colore, non è una faccenda capace di interessare quanti hanno bisogno di un vero computer.


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Come Apple re-inventò il computer




     In realtà, ci sono una serie di elementi lampanti, che pochi colgono. Il primo: l’iMac è
     semplice da usare. Lo estrai dalla scatola, colleghi il cavo (un solo cavo) alla presa, il mouse e la
     tastiera al computer, e lo avvii.
     Basta.
     Sugli scaffali dei supermercati ci sono computer che richiedono tempo per collegare cavi,
     cavetti e cavini. Solo per quello, è necessario sfogliare l’opuscolo allegato.

     L’iMac invece, comunica una sensazione di ordine: le porte per collegarlo ai vari dispositivi
     esterni, sono tutte su un solo lato; di robustezza: sul retro c’è un bel maniglione per sollevarlo.

     Però ha uno schermo da 15 pollici (all'epoca la concorrenza viaggiava di solito sui 13/14);
     un processore G3 a 233 MHz; e poi modem, Ethernet, IrDA, altoparlanti stereo (beh, nulla di
     strabiliante), e diceva addio a connessioni vecchie. E di fatto, si poteva affermare che fosse il
     primo computer, che racchiudesse Internet, o meglio che riducesse in modo quasi oltraggioso
     tutta la fase propedeutica a un tale passo. Perché dopo averlo poggiato sul piano della propria
     scrivania, restava solo da collegarlo alla Rete. Era qualcosa di semplice. Sfacciatamente
     semplice.

     Ancora a proposito dell’apparenza. Della plastica colorata; lì c’è impresso il nuovo corso
     imposto da Steve Jobs ad Apple.
     L’esterno è il riflesso della cura per l’interno. Non è un semplice ornamento, un fiocco colorato
     messo su un banale ammasso di circuiti stampati.

     Si tratta di una filosofia differente, applicata al mercato di massa dei computer. Già: l’iMac
     tutto-in-uno (all-in-one come dicono gli statunitensi), è destinato innanzitutto a chi desidera
     un computer semplice da usare. Internet è lì, sta per diventare democratica, e sugli scaffali
     delle catene informatiche ci sono ancora un mucchio di computer tutti uguali; neri, arcigni.
     Per esserne parte, bisogna smanettare un po’, perché di fatto non ci sono macchine intuitive,
     pensate appositamente per la Rete.

     Il colore dell’iMac spezza la routine, suggerisce l'idea che una macchina del genere può essere
     bella, divertente. Per i sacerdoti dell’informazione, portatori della filosofia del: “Siamo dei
     duri, noi pensiamo solo a lavorare”, siamo di fronte a una trovata di marketing, perfetta per gli
     allocchi. Essi non si faranno mai turlupinare da Steve Jobs e dai suoi trucchi da prestigiatore
     da baraccone.

     Per chi invece subisce la Grande Truffa (che recita: L’informatica, Internet, è roba per pochi
     eletti, tutti gli altri devono penare e soffrire per avvicinarsi), l’iMac è la prova che così non è. Di
     più: che esiste un’azienda che pur puntando al profitto, desidera rendere l’accesso alla nuova
     rivoluzione in cammino, il più semplice possibile.
     Per questo, ha creato l’iMac. E le persone ringraziano nel solo modo che conoscono:
     comprandolo.



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Come Apple re-inventò il computer




     Dopo un anno di vendite, si contano due milioni di iMac sulle scrivanie di mezzo mondo.
     Eppure tutti ripetono in coro: non ha floppy disk; ha la porta USB, e la revisione del mese di
     ottobre del 1999 peggiora la situazione: viene introdotta la connessione FireWire sul modello
     Slot Loading. Non è espandibile.


     Uscirà di scena nel gennaio del 2002 (il modello
     “Summer 2001” venne presentato nel luglio
     dell’anno prima). Non tutti i modelli sono
     azzeccati: quello affettuosamente chiamato
     “dalmata”, per via del disegno che richiama alla
     mente il mantello di quella razza canina. O il
     “Flower Power”, dove la plastica dell'involucro era
     una festa di colori un po’ troppo pacchiana.




     Lascerà spazio all’iMac con processore G4; ma di nuovo non ci sarà solo un processore nuovo,
     bensì un design ancora una volta rivoluzionario.

     Tutti si chiedevano: chissà cosa si inventeranno stavolta. Quando poi viene presentato, è
     un’altra occasione per discutere, ridere, o ammirare: a seconda della sponda che si occupa.
     E ancora una volta (sarà sempre così, oramai), da una parte chi guarda a queste soluzioni
     hardware innovative come a un semplice, e alla lunga noioso esercizio di stile. Perfetto per chi
     ha soldi da buttare, o vuole farsi notare, essere alla moda a ogni costo.
     Dall’altra, chi comprende che efficienza, potenza e semplicità d’uso possono coesistere
     all’interno di un computer bello.
     L’iMac G4, affettuosamente chiamato “lampadone”, è un’altra piccola delizia per gli occhi. Un
     altro successo per Apple.




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Gli utenti Mac
aumentano di numero...




     Gli utenti Mac aumentano di numero...
     Scusate i ricordi personali.
     Il primo computer per tutti o quasi, non può che essere un IBM. Grigio.
     Me lo ricordo ancora; era all’interno di un centro di formazione professionale, a Savona.
     Frequentavo un corso di formazione per magazzinieri, e assieme al computer, ci insegnarono
     qualche rudimento di software.

     L’anno era il 1988, o forse quello seguente; niente Windows (ancora). O meglio, c’era già da
     qualche anno, essendo il 1985 l’anno della versione 1.0. Su quelle macchine non c’era nulla
     del genere.
     Il Macintosh esisteva eccome, ma pochi lo sapevano.

     Quelle erano le macchine perfette per gestire realtà lavorative come i magazzini. Sbrigavano
     le faccende meglio delle persone si capisce, evitando il ricorso alla carta, e i compiti ripetitivi
     che in quei luoghi erano e sono, all’ordine del giorno.
     Non c’era nulla di creativo, curato o simpatico in quelle macchine. E se qualcuno pensa che
     adesso siano roba da preistoria, si sbaglia.

     Esistono aziende della grande distribuzione che ricorrono a quel tipo di macchine, limitate,
     stupide, prive di qualunque collegamento esterno; che non sia quello alla stampante. Però
     funzionano.
     Accanto, esiste il solito HP con l’ultima versione aggiornata di Windows, ma è fonte di guai:
     virus, incompatibilità, strani comportamenti, conflitti con periferiche con cui dialogava sino a
     che non è stato installato l’ultimo aggiornamento.
     Un magazzino che gestisce l’entrata e l’uscita di merce per migliaia di Euro ogni ora, oltre a
     organizzare il lavoro di decine di persone, non può permettersi di affidarsi a qualcosa che si
     blocca. Perciò Windows c’è, ma abbastanza distante da tutto ciò che è nevralgico.

     Il lavoro sporco (e delicato: inserimento della merce in entrata per esempio) è affidato a
     computer vecchi. Anche se non sono immuni da problemi, la loro soluzione è semplice, perché
     la gamma di grattacapi cui sono proni è ben conosciuta. Spesso sono lenti, lentissimi: ma va
     bene così, nessuna persona sana di mente pensa di liberarsene.

     L’apparizione del primo iMac fu qualcosa che sorprese.
     In Italia, si videro persino alcuni spot in televisione nel 1999, dopo che a gennaio fu presentato
     in 5 colori differenti. La canzone che faceva da colonna sonora era dei Rolling Stones; dopo
     aver dato a Microsoft “Start me up” per il lancio di Windows 95, alla società di Steve Jobs
     concedevano “She’s a rainbow”. No, nessuna conversione: ma una cosa chiamata “denaro”.

     A proposito di denaro: chi sceglie il Mac è ricco. Come no. Anche chi sceglie Windows non
     se la passa male, anzi. Spesso è ancora più ricco.
     Del sistema operativo di Microsoft sapevo che non mi piaceva. Che non garantiva
     quell’affidabilità che per me era indispensabile. Per anni ho svolto lavori distanti dall’informatica,

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Apple
Gli utenti Mac
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     per questa ragione era necessario possedere un computer che, pur coi suoi limiti e difetti, non
     mi sorprendesse con comportamenti sibillini.

     Prima ho scritto affidabilità: ma pure i Mac si guastano, eccome. Nulla è perfetto. Ma il mio
     criterio di affidabilità è un po’ diverso.
     La gente (gli amici soprattutto, ma non solo), raccomandano Windows perché ci colleghi tutte
     le periferiche al volo, e non hai problemi di compatibilità. Poi passi mezz’ora a far riconoscere
     una stupida stampante di una marca estremamente comune a uno stupido PC prodotto da
     un’azienda tra le più popolari, e a basso costo. Questo accade eccome, e se si verifica forse
     c’è qualcosa che non va. Se quella stampante viceversa viene riconosciuta al volo dal Mac,
     allora...

     Questo è un esempio di quello che io definisco affidabilità. Fare le cose più comuni rapidamente.
     Senza dover leggere istruzioni o opuscoli, frequentare forum, e via discorrendo.
     Il tempo è un risorsa preziosa, per questo ho sempre cercato quelle soluzioni che mi aiutassero
     a usarlo al meglio: una di queste è il Mac.
     Allora si trattava di un computer davvero di nicchia (e continua a esserlo pure oggi, ma meno
     di quei tempi), ma garantiva già una semplicità d’uso imbattibile.
     Ordinai un modello con processore G3 a 400 MHz, esattamente l’iMac DV con 64 MB di RAM e
     disco rigido da 10 GB. Prezzo in Lire: 2.999.000. A tutt’oggi è ancora funzionante, nonostante
     qualche problema al video, abbastanza tipico degli apparecchi a tubo catodico.

     In un breve lasso di tempo, sull’onda del successo sorprendente dell’iMac, accessori di vario
     genere iniziarono a sfoderare i colori. Addio all’aspetto truce e fintamente professionale, e si
     sbizzarriscono con il blu, il rosso, il verde. Come se un po’ tutti si fossero dati una manata in
     fronte, e avessero esclamato: “Ma perché non ci abbiamo mai pensato prima?”.
     Già, perché?

     Chi sceglieva il Mac, a quei tempi aveva a disposizione un parco di applicazioni non molto
     esteso. Per esempio c’era Internet Explorer per navigare il Web.
     La suite Mozilla (a quei tempi comprendeva non solo browser, ma un mucchio di altra roba),
     diventa il centro della vita online di molte persone che vogliono affrancarsi dalle soluzioni
     made in Microsoft.

     Per la posta (c’era Outlook, tornato di recente a bazzicare sulla nostra piattaforma, all’interno
     della suite Office), la scelta cadeva invece su Eudora: bruttino, un’interfaccia che resterà
     identica anche con l’arrivo di Mac OS X, presentava però una versione gratuita con una piccola
     finestra su cui scorrevano banner pubblicitari di prodotti e servizi statunitensi.
     Se non cliccavi, dopo un po’ di tempo capitava di ricevere un messaggio email che ti spiegava
     come lavorassero duro per fornire un buon prodotto, e che un minimo di attenzione era
     meglio dimostrarla!

     L’iMac cambia la prospettiva con cui le persone osservano il mondo. Attenzione: il mondo,
     perché il Web non è come alcuni credono, una parte della realtà cui si dedicano i malati di


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     mente, o gli asociali. Non si diventa asociali, a meno che non si abbia già una simile patologia
     addosso.
     Quando uno strumento funziona, e non è invadente, permette all’individuo di focalizzarsi
     meglio sulle cose da fare. D’un tratto, vede le opportunità: decine. Centinaia. Il problema
     semmai, sorge qui.
     Qualcuno penserà: “No guarda, col PC è la stessa cosa. Non ci sono solo virus, interfacce
     grottesche, soluzioni al limite dell’autolesionismo. Anche il PC funziona e garantisce pane e
     companatico a milioni di utenti”.
     È vero. Però.

     Se posso ottenere le stesse cose, o persino di più, con una macchina che elimina quel superfluo
     spacciato per indispensabile o necessario, perché no?
     Se posso estrarre l’iMac da una scatola, collegare il cavo alla rete elettrica e navigare senza
     leggere istruzioni stampate su depliant, perché no?
     Se esiste un computer che permette di conseguire scopi e obiettivi evitando mal di capo, e
     offrendomi un ambiente utente confortevole e umano, perché no?

     Tutti le persone che conosco usano Windows; ancora oggi. In questo senso, sono un
     pessimo evangelista della piattaforma Mac; non ho mai convinto nessuno ad abbandonare i
     prodotti Microsoft. A Cupertino probabilmente mi detesterebbero.

     Credo che ciascuno debba scegliere in base a gusti, esigenze di lavoro e non, e risorse finanziarie.
     Che non si debba prestare troppa attenzione a recensioni, pareri più o meno illuminati. Se
     possibile, sarebbe meglio testare le macchine, anche solo per pochi minuti. E dopo scegliere.
     Mettendo però al centro di tutto la soluzione più semplice per l’utente; e piaccia o no, il Mac
     purtroppo non ha rivali.

     Perché purtroppo?
     A me piacerebbe che Microsoft si scrollasse di dosso un certo pattume che da anni appesantisce
     il suo sistema operativo. All’interno dell’azienda di Redmond esistono fior di ingegneri che
     conoscono perfettamente il loro lavoro. Hanno molto da dare. Credo non siano messi in
     condizione di agire come vorrebbero e dovrebbero; ed è un peccato. Buona parte di costoro
     ne sono consapevoli. Lavorano in un’azienda che ha una capacità finanziaria spaventosa.
     Eppure devono accontentarsi.

     Si dice da più parti che Windows 8 sarà la svolta che tutti attendono. Bene. Se così fosse
     Apple stessa sarebbe indotta a essere ancora più innovativa, e attenta ai propri prodotti. Di
     sicuro la gente se sceglie sempre più i computer dell’azienda di Cupertino, non lo fa per la
     macchina di marketing messa in campo. Non mi sembra che quella di Microsoft, o degli altri
     produttori di PC, sia da disprezzare, anzi.

     Le persone che conosco usano regolarmente e con profitto Windows, e applicazioni come
     Word e PowerPoint; lavorano. Eppure mi confessano candidamente di sentirsi “limitati”,
     incompetenti di fronte al loro Toshiba o Acer; posso arrabbiarmi?


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Apple
Gli utenti Mac
aumentano di numero...




     Non con loro; ma con Microsoft.
     Non puoi costringere gli individui a sentirsi in questo modo. Non desiderano essere esperti,
     o competenti; e nemmeno diventare sviluppatori e lanciare l’applicazione dell’anno
     guadagnando così un milione di Dollari in un mese.
     Ma quando qualcuno afferma di essere intimidito da una stupida macchina, allora c’è un
     problema di scarso rispetto per gli altri.

     Apple non è perfetta, anzi. Come Microsoft, e Google, punta al profitto. Ma uno dei suoi punti
     di forza è che mette a proprio agio le persone normali: quelli che desiderano un computer
     per navigare, scaricare la posta elettronica, ritoccare foto, montare i filmini delle vacanze a
     Bordighera. Se hanno un’esperienza con Windows alle loro spalle, saranno molto intimiditi
     anche da un Mac. Se non ne hanno alcuna, saranno solo intimiditi.

     Eppure dopo poche settimane hanno voglia di impegnarsi con maggiore vigore: aprire un
     blog. Imparare qualcosa di più a proposito della fotografia, del fotoritocco. Perché erano
     bloccati, rinchiusi da un sistema operativo che pretende di fare tutto, ma per conseguire
     questo obiettivo deve per forza tagliare fuori l’utente.

     Renderlo o mantenerlo come uno spettatore inoffensivo e fondamentalmente scemo, in
     perenne ansia perché forse quell’aggiornamento stravolgerà tutto. O la stampante da 30 euro,
     collegata al sistema operativo più popolare del mondo NON funzionerà. E occorrerà trascorrere
     un paio di ore su forum e affini a caccia di una soluzione; e costui tra sé e sé penserà: “Ho scelto
     Windows perché mi dicevano che era il più popolare, quindi avrei avuto meno problemi”.

     Già.
     Niente è perfetto a questo mondo, e Apple non fa eccezione. Però è un’azienda che permette
     di scegliere davvero.
     Vuoi essere uno smanettone? Nessun problema: Terminale, Xcode, e un mucchio di altri
     strumenti per programmare.

     Vuoi solo navigare, scaricare la posta?
     Ancora nessun problema. Lo farai senza mai essere costretto a deframmentare, o a digitare
     del codice perché hai acquistato della RAM che però Windows non riconosce, e allora devi
     improvvisarti esperto. E visto che non lo sei, andrai dall’assistenza sotto casa; c’è sempre un
     negozio di computer pronto a risolvere i guai che Redmond confeziona. E lì troverai persone
     che ti diranno: “Eh, capita, che ci vuol fare?”.

     Non deve capitare.
     Quando installo della RAM al riavvio deve essere riconosciuta, senza sperare, o essere poi
     costretti a ricorrere ad altri. Se questo non avviene, non deve essere imputato al caso, ma
     a precise scelte del quartier generale di Microsoft. I loro problemi (o le loro furbizie?), non
     devono essere scaricati sugli utenti. Se accade, è ora di voltare pagina.

     Di passare a un Mac, appunto.


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Apple
L’importanza del software




     L'importanza del software
     Alcuni potrebbero pensare di essere alle prese con un capitolo inutile: è evidente che senza
     software, un computer è solo un soprammobile. Magari elegante, visto che stiamo parlando
     di Mac, ma sempre soprammobile.
     Sulla piattaforma Mac il software ha un peso, e una considerazione che il resto dell’informatica,
     si sogna; forse è possibile trovare qualcosa del genere in certe distribuzioni Linux, e visto che
     parliamo di lavoro portato avanti da programmatori volontari, tanto di cappello.

     Per chi osserva da fuori, si tratta di una fissa, sempre tesa a spennare i polli vendendo fumo, e
     niente arrosto.
     In realtà, al di là della cura dell’involucro, c’è tutto l’arrosto che si desidera. Facciamo un passo
     indietro.

     Quella che possiamo definire la rifondazione dell’hardware (con la
     presentazione del primo iMac, poi degli iBook, vale a dire i portatili
     colorati, presentati nell’estate del 1999, e dei PowerBook), passa anche
     attraverso la svolta software. Cioè l’addio di Mac OS 9 per Mac OS X.




     Verso la fine degli anni Novanta a Cupertino si svolge una riunione, cui partecipa ovviamente
     Steve Jobs. Il rientro nell’azienda che ha contribuito a fondare, ha segnato l’arrivo di energie
     fresche vale a dire uomini e donne provenienti dalla sua azienda NeXT, acquistata da Apple
     nel 1996 per circa 500 milioni di Dollari, e idee nuove. Queste idee rispondono al nome di
     NeXTStep, un sistema operativo con solide base Unix.
     La società di Cupertino da anni investe soldi alla ricerca di un sistema operativo che sostituisca
     il vecchio Mac OS 9, inadeguato praticamente a tutto.

     Di fatto, è sempre Mac OS 8 con qualche spruzzata di novità, ma tra questo e il System Software
     6.0 del 1988 (secondo gli esperti, il migliore sistema operativo di quella generazione, e anche
     di quelle successive), non c’è molta differenza. Col rischio di semplificare: ci si è sempre limitati
     ad aggiungere funzioni, caratteristiche, rimandando la sua rifondazione alle calende greche.

     Le idee in proposito non mancano: per esempio Copland, il candidato più autorevole per
     mandare in pensione un sistema che affonda le sue radici ben prima del 1988.
     La situazione cambia con l’acquisizione da parte di Apple, di NeXT, e il ritorno di Jobs nella
     stanza dei bottoni.




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Apple
L’importanza del software




     Nella riunione svoltasi in quella ormai lontana giornata a Cupertino, tra gli ingegneri e Jobs,
     questi si presenta a loro con una domanda:
     “Siete voi i ragazzi che hanno realizzato Mac OS?”.
     Alla loro risposta affermativa, Jobs dimostra d’essere come sempre una persona poco
     diplomatica:
     “Siete un branco di idioti”.

     Al di là della ruvidezza del carattere dell'uomo, quella frase ha il merito di dare la mazzata
     decisiva, a un sistema operativo che da anni aveva fatto il suo tempo. Uccide un modo di
     realizzare software e interfaccia, che era un semplice “copiare” e “incollare” menu e funzioni
     su qualcosa di già esistente. Tanto, prima o poi, qualcuno avrebbe sistemato le cose. E questo
     andazzo andava avanti da troppo tempo.

     Steve Jobs capisce una cosa: il mondo cambia (d’accordo, lo fa sempre). La nuova versione del
     sistema operativo deve essere qualcosa che taglia i ponti col passato, garantendo un minimo
     di retro-compatibilità. Ma diventa indispensabile tracciare una nuova rotta.

     Sino a poco prima, in Apple si lavorava per non “disturbare” le abitudini degli utenti; peccato
     che fossero vecchie. Per un mondo che stava tramontando. Arrivava, anzi c’era già, il Web. Era
     tempo di spingere le persone verso nuove sfide. Ci si creda o no, per Steve Jobs è soprattutto
     una faccenda di sfide. Da raccogliere; ma questo è possibile se Apple garantirà agli utenti
     vecchi e nuovi, hardware e software all’altezza.

     Con Mac OS 9 quando un’applicazione si bloccava, inchiodava l’intero sistema operativo (le
     indimenticabili “bombe”), costringendo l'utente a riavviare il computer. Con Mac OS X viceversa,
     si forza l’uscita solo di quella, e si procede. Col lavoro, o rilanciando di nuovo l’applicazione.
     I conflitti tra estensioni costringevano a riavvii per cercare di isolare quella “colpevole” e
     disattivarla; e non era sempre una faccenda veloce o semplice.

     Mac OS 9 non aveva la protezione della memoria (spiegato al volo: viene impedito a un
     processo di corrompere la memoria di un altro processo in corso).




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Apple
L’importanza del software




     Nemmeno il multitasking preempitive. E che roba è? Il computer gestisce più processi, o cose
     da fare, ma la loro gestione è affidata al sistema operativo. Questo è appunto il multitasking.

     Preempitive significa che è possibile eseguire più operazioni senza intralci o conflitti. Mentre
     digito queste lettere con l’applicazione Pages, Time Machine effettua il backup dei dati, Mail
     scarica la posta, il mio programma per la gestione dei feed RSS mi informa delle ultime novità
     apparse sui siti cui sono abbonato. La precedenza viene ovviamente data a Pages, perché è
     l’applicazione in primo piano. Al processore viene ordinato di condividere i periodi di inattività
     con le altre applicazioni aperte, senza che niente venga mai rallentato o bloccato.

     Questi sono alcuni dei limiti di Mac OS 9, che saranno superati (per fortuna), da Mac OS X.
     Sono molte le similitudini tra NeXTStep, e quello che sarà appunto il sistema operativo di
     Apple per il terzo millennio. Soprattutto, oltre a essere robustissimo (affonda le sue radici in
     Unix, il più anziano, e per questo più affidabile tra i sistemi operativi disponibili), dovrà essere
     bello da vedere.

     Ancora con questa mania del bello, per di più legata a concetti tutto sommato secondari. Se
     una macchina, una tastiera, possono essere gradevoli alla vista, un sistema operativo perché
     diavolo deve essere “bello”? Basta che funzioni!
     Mac OS X funziona, eccome. Per gli utenti della mela mordicchiata che quasi ogni giorno
     avevano a che fare con blocchi di sistema, gentilmente offerti da Mac OS 9, sembra quasi di
     toccare il cielo con un dito.

     Prima di procedere, è bene ricordare un dettaglio. È inutile chiedere alle persone cosa
     desiderano in un’applicazione, o in un sistema operativo. Non lo sanno. E risponderebbero
     con affermazioni senz’altro sincere, ma inutili. Chi sentiva il bisogno dell’iPad? Di un cellulare
     come l’iPhone? Quanto senso aveva chiedere a un gruppo di utenti: “Che ne dici di un sistema
     operativo per apparecchi mobili, che si gestisca con le dita?”. La loro risposta sarebbe stata:
     “Cosa? Non scherziamo! Il mio Nokia è così bello! È perfetto.”




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Apple
L’importanza del software




     Torniamo a ragionare del sistema operativo adesso.
     Se un’applicazione smette di rispondere ai comandi, basta scegliere“Uscita forzata”, selezionarla
     e forzarne l'uscita. Niente più riavvio del computer! Vedere un “kernel panic” (una finestra in
     quattro lingue, che impone il riavvio della macchina), è un fenomeno raro.
     Ma la riscossa della bellezza, della semplicità d’uso (lo affermava Leonardo da Vinci: “Le cose
     belle si usano meglio”), continua anche nel software.

     Mac OS X inizia a farsi conoscere con una beta pubblica, a pagamento, nel settembre del
     2000. La versione definitiva arriverà sugli scaffali nel mese di marzo del 2001. Il cambiamento
     c’è eccome, è radicale, e resta (o torna?) l’attenzione di Apple per le cose ben fatte.

     Da parte di tutti gli utenti, c’è una grande attenzione al lavoro svolto dagli ingegneri. La
     sensazione che se ne ricava quasi al volo, un po’ epidermica e quindi poco interessante forse,
     è che a Cupertino, si è cambiato marcia. Niente è perfetto, e si è voluto troncare ogni rapporto
     col passato ; potevano mancare i critici? No, naturalmente.
     I più accaniti sono gli utenti Mac, non c’è bisogno di dirlo. Costoro iniziano a dire: Apple
     scegliendo un sistema operativo che si basa su Unix complica troppo il lavoro dell’utente
     inesperto. Sbaglia tutto insomma. L’interfaccia mangia troppe risorse, e ha difetti, o meglio,
     presenta aspetti cui non si è abituati, e occorre azzerare le proprie conoscenze, e re-imparare
     se non tutto, parecchio.
     Oltre a questo, le immancabili critiche di tutti gli altri. Inutile sforzo estetico. Solita confezione
     brillante, perfetta per accalappiare gli allocchi, eccetera eccetera.
     Come si intuisce, niente di nuovo sotto il sole. Il rito dello stroncare a prescindere quello che
     viene sfornato da Cupertino, si ripeterà puntuale a ogni novità presentata da Apple. D’altra
     parte, a quello serve un rito, giusto? A rassicurare: Loro sono i pazzi, Noi i sani.

     Dal punto di vista dell’utente che di computer non capisce molto, o sta provando a capire
     qualcosa, Mac OS X si presenta in modo simpatico, e risulta abbastanza efficace. E per capirlo,
     basta osservarlo un po’ con attenzione.

     La piccola icona del Finder, che si trova nel Dock, a sinistra: sorride.
     Nei dettagli ci sono scritte molte più cose di quanto possa sembrare. Indica la volontà di
     stabilire con l’utente un rapporto diverso. Dire “amichevole” può sembrare eccessivo; stiamo
     parlando di codice, di un oceano di istruzioni scritte da ingegneri.
     Ma se costoro fossero solo questo, ingegneri appunto, probabilmente non avremmo
     quell’icona che sorride. Avremmo qualcosa di serio perché l’informatica è una roba seria, per
     parrucconi, e chi non è esperto deve stare distante, possibilmente in condizione di inferiorità
     e mostrando rispetto.

     Lo stesso Dock è “animato”: scorrendo il puntatore del mouse sopra le icone presenti, queste
     ingrandiscono la loro dimensione. La finestra dell’applicazione, può essere spedita nel Dock
     con due effetti: “scala” o “genio”. Sono idiozie? Può darsi, anzi lo sono sicuramente: ma se
     un’azienda investe denaro, tempo e uomini per ottenere queste cose, ci sarà un motivo? Può
     essere liquidato con il termine “furbata”? Trovata di marketing (astuto ovviamente)?


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Apple
L’importanza del software




     A me è capitato di vedere persone alla loro prima esperienza con il Mac, e dopo pochi minuti
     sentirli affermare “Bello”. Persone che sono negate, che quasi temono i computer e tutto quello
     che in qualche maniera è collegato a queste macchine; non è colpa loro. Ma di una certa
     tecnologia che si nasconde dietro paroloni, e sistemi operativi, concepiti da chi non vuole
     condividere nulla. Bensì perpetuare il distacco tra addetti ai lavori, e tutti gli altri.

     Piaccia o no, il 90% degli utenti di computer (non importa se Windows o Mac), sono
     esattamente così. Hanno dei pregiudizi che sono stati inculcati loro da un’informatica malata,
     da anni Ottanta. La stessa per intenderci, che all’apparizione del Macintosh nel 1984 liquidava
     quel computer come un giocattolo inutile. Perché aveva le cartelle, il cestino, ricorreva
     insomma alla metafora della scrivania; invece che usare, come fanno i duri alla Chuck Norris,
     la riga di comando.
     Quando queste persone incontrano un Mac, lo trovano bello non perché siano leggermente
     idioti; ma perché capiscono al volo (proprio come diceva Leonardo), che le cose belle sono più
     facili da usare.

     Il Mac, grazie al suo sistema operativo, è più facile da usare, perché bello. Curato nei
     dettagli. Apple non ha mai spinto il piede sull’acceleratore, con l’innovazione non ha mai
     esagerato, perché può essere perfino pericoloso: basti guardare cosa è successo al Newton.
     Da allora, procede quasi in maniera guardinga, senza strafare.

     Non di rado ha lavorato di cesello; magari effettuando correzioni minime. Con un obiettivo ben
     chiaro in testa: la persona che andrà a usare il Mac. Che non è un ingegnere, uno sviluppatore;
     ma Luca, Ernesto, Paola, Stefania. Spesso con un terrore sacro di combinare dei disastri,
     avvicinandosi a un computer.
     Almeno finché non trovano sulla loro strada un Mac. Che sorride.

     Senza il sistema operativo, un computer
     è un soprammobile, certo. La differenza
     risiede appunto nel modo in cui il codice
     che lo compone stabilisce una relazione
     con la persona; sta nel sistema operativo,
     appunto. I difetti non mancano, e dopo
     qualche mese di uso, anche all'utente
     inesperto, si renderà conto di una
     mancanza di omogeneità. Ma avrà
     ormai compiuto il balzo. Sarà entrato
     in contatto con una piattaforma che
     sorride. Che spende tempo e denaro per
     rendere l’uso del computer davvero alla
     portata di chiunque.




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Apple
Sarà la musica che gira intorno




     Sarà la musica che gira intorno
     La situazione della musica online prima dell’arrivo di iTunes e soprattutto dell’iPod, è semplice.
     C’era un sistema di condivisione di file musicali chiamato Napster, che godeva di una popolarità
     immensa; dall’altra le case discografiche che strepitavano, urlavano, lanciavano anatemi, e
     stuoli di avvocati contro gli utenti. Già perché Napster naturalmente, permetteva agli utenti di
     scaricare ogni genere di musica, senza spendere un euro o dollaro che fosse.

     Certo, c’era il problema della qualità dei file, non eccelsa. Però questo non impediva a milioni di
     persone di continuare a scaricare. A quei tempi, pochi vedevano nella Rete un’opportunità per
     fare i soldi con la musica, e quasi nessuno aveva idea di come agire per creare un ecosistema
     tale da garantire all’utente quello che desiderava. Vale a dire, la musica a costi ragionevoli, e a
     un clic di distanza dal proprio computer.
     Le case discografiche prima sono traumatizzate dal successo di Napster, poi reagiscono. Ma un
     sistema che procede trascinando i suoi clienti in tribunale è destinato a collassare; o a essere
     sostituito da qualcosa di meglio.
     Accade proprio quello.

     C’è qualcuno che osserva. C’è qualcuno che ama la musica, osserva il successo di Napster, e
     si muove. Si tratta di Apple. Per prima cosa, nel 2000 acquista SoundJam MP, un’applicazione
     per gestire la musica sui computer Mac; e ovviamente anche gli sviluppatori che vi lavoravano.
     Dopo circa un anno, viene rilasciato iTunes, un software solo per Mac per la gestione della
     musica. Il solito prodotto made in Cupertino insomma, teso a fornire all’utente quello che
     gli serve senza andare a zonzo per il Web a caccia di alternative (che ci sono, e comunque
     proliferano).
     Siccome è parte del sistema operativo, diventa di fatto l’applicazione per antonomasia per la
     gestione della musica sui sistemi Mac.

     Intanto, Napster continua a gettare lo scompiglio nelle case discografiche, che partono
     al contrattacco e trascinano il software o meglio, il suo creatore, in tribunale. Ovviamente
     prevalgono; chiedono una montagna di denaro come risarcimento, e questo segna la fine del
     servizio.
     C’è un tentativo di convertirsi come servizio di musica a pagamento, finché nel 2002 viene
     venduto per 8 milioni di Dollari alla società Bertelsmann AG.
     Fine di Napster, e nessun inizio decente per la musica online.

     Il popolo della Rete ha capito perfettamente la dura lezione comminata dagli avvocati e
     dalle case discografiche. Come no.

     Per prima cosa, i servizi peer to peer si moltiplicano, e arriva anche BitTorrent che ha il pregio
     di essere più efficiente. Inutile spiegare a stampa, televisioni, e case discografiche, che si tratta
     di tecnologie “neutre”, usate con regolarità e alla luce del sole da fior di aziende (una delle
     tante: Blizzard, quella del gioco massicciamente online e multi-giocatore World Of Warcraft).
     Dappertutto un piagnisteo, geremiadi contro la Rete, e anche qualche spot di star, che

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Apple
Sarà la musica che gira intorno




     invitano a non uccidere la musica. Che intanto, prospera, perché del tutto misteriosamente,
     nessuna rockstar finisce a vivere sotto un ponte. Per quanto le minacce siano ripetute con
     espressione sempre più truculenta, i dati delle repressioni pubblicizzate ad arte, e gli uffici
     legali lavorino a pieno regime, la situazione resta statica.

     Gli artisti indipendenti, senza contratto né santi in paradiso, il Web lo usano, e spesso con
     successo. Mentre le case discografiche per giustificare le loro azioni legali contro i siti peer-
     to-peer, affermano che la loro azione è per tutelare il lavoro degli esordienti, gli esordienti
     ritagliano la loro fetta di notorietà lanciandosi nella Rete. Nella fauci del nemico, ohibò.

     Manca l’idea vincente, la soluzione per vendere in Rete la musica, e che sia facile da usare,
     sicura. Eppure in giro ci sono un sacco di aziende, con un mucchio di soldi, che potrebbero
     inventarsi qualcosa.

     Innanzitutto c’è Sony: ha creato il walkman, produce computer, ha acquistato nel 1988 il
     catalogo musicale della CBS, è piena di ingegneri e bravi tecnici. Ma da lì non viene nulla. C’è
     Microsoft, la più grande software house del mondo, quella che con uno schiocco di dita, può
     chiamare a raccolta i più importanti produttori hardware, e inventarsi qualcosa. Mutismo.

     Ci pensa Apple, appunto. Come spesso accade, la società di Steve Jobs va in giro, annusa l’aria,
     osserva la mediocre offerta di dispositivi per ascoltare la musica. Sono brutti, poco agevoli da
     usare, con un mucchio di tasti che non aiutano l’utente ad avvicinarsi a essi. Guardandoli, si
     ha l’impressione che chi li produce non ne sia affatto convinto, e lo faccia quasi controvoglia.
     Sembra che i cd siano destinati a durare per molti decenni ancora.

     Come ama dire lo stesso Steve Jobs, c’era solo da unire i puntini, ma nessuno sembrava
     capace di farlo.
     Ricapitolando.

     C’è la musica, che tutti amano (per i libri non è così, purtroppo). C’è il Web, con la musica in
     mano alla pirateria. Ci sono gli interessi delle case discografiche e degli artisti da onorare,
     e i computer. C’è un'azienda californiana, Apple, che ha voglia di dire qualcosa di nuovo in
     un campo che non le appartiene; e che facendo i passi giusti potrebbe garantirle visibilità
     maggiore.
     Soprattutto sarebbe bello e interessante sorprendere la concorrenza (leggi: Microsoft, e i vari
     produttori di hardware), che vede nel mattone di due chili e mezzo (il computer portatile),
     l’unica fonte di reddito.
     Perché a forza di dominare in un settore, non ci si accorge che accanto, proprio accanto, ne
     stanno sorgendo altri, che in fatto di fatturato hanno parecchio da offrire.
     La musica smuove passioni, e denaro. Le persone sono a caccia di qualcosa che permetta loro
     di averla senza il rischio di virus o denunce, e rapidamente.

     Come diavolo si fa a unire tutte queste cose, dando loro un aspetto legale, semplice e
     soddisfacente per tutti?


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Apple
Sarà la musica che gira intorno




     La risposta sarà un dispositivo chiamato iPod.


                                  Il nuovo dispositivo viene presentato nell’ottobre del 2001; è
                                  solo per Mac, ha una porta FireWire, 5 GB di capienza assicurata
                                  da un disco rigido Toshiba, ed è leggero e sottile. Sta in tasca, e
                                  ovviamente ha un aspetto che si fa notare: un modo come un altro
                                  per dire che è bello.
                                  Ha una ruota cliccabile che permette di navigare all'interno del
                                  database musicale che si possiede, e scovare una canzone tra
                                  mille, o duemila altri motivi, è davvero facile.



     Naturalmente, per i soliti esperti, questa è una mossa azzardata, inutile, e ridicola. Apple
     ha sbagliato tutto. Il dispositivo costa 399 Dollari (499 il modello da 10GB), e nessuna persona
     sana di mente acquisterà mai un aggeggio del genere. Anzi; è evidente che dopo il “colpo
     di fortuna” legato al lancio dell’iMac col tubo catodico, e colorato, e poi quello bianco, e lo
     schermo piatto, l’azienda per evitare il naufragio, cerca nuovi settori dove imporsi, ma sarà
     inutile. Sono alla canna del gas quelli di Cupertino, secondo costoro; non riescono a sfondare
     nel campo dei computer e ci provano da un’altra parte. Poveri loro.

     Almeno agli inizi, l’iPod si vende ma ha dalla sua i limiti tipici di un dispositivo alla sua prima
     uscita. Ma questo non è dovuto a un caso, o a una diabolica volontà di spremere gli utenti.
     Quando Apple entra in un nuovo settore (in questo caso, quello musicale), lo fa muovendosi
     con circospezione. In fondo, si tratta di un terreno vergine, dove gli esperti del settore (le
     case discografiche), non ci sono. Sono tutte nelle aule dei tribunali, a minacciare. E non sono
     granché d’aiuto. Essendo una piccola realtà, Apple deve fare attenzione a compiere le mosse
     giuste, che per forza di cose devono essere poche. Solo così si riesce a intervenire e a risolvere
     rapidamente eventuali lacune.
     Questa strategia, col senno di poi, diventa evidente anche ai sassi.

     Vediamole ancora, queste mosse.
     La prima: l’acquisizione di SoundJam MP. Se dentro il Mac sono già presenti le soluzioni
     software che mi servono, ne rafforzo l’appeal e offro all’utente un servizio (chiamiamolo così)
     gradito. Non devo perdere tempo a cercare altrove; anche se sarò sempre libero di farlo, ci
     mancherebbe.

     La seconda naturalmente, il lancio dell’iPod. Quest’ultimo piace. Interessa. Come sempre
     ha dalla sue le caratteristiche tipiche di un prodotto che esce dalle “officine” di Cupertino. Cura
     per i dettagli e via discorrendo.

     Per gli utenti Apple (a sghignazzare sono sempre gli esperti), una manna. Basta che Cupertino
     venda qualcosa, qualunque cosa, con il proprio marchio disegnato sopra, e si vende a carrettate.


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Apple
Sarà la musica che gira intorno




     Inutile tentare di capire (sono sempre gli esperti a parlare); si tratta di persone così. In effetti
     ci sono persone così: ma ovunque. Non è una prerogativa Apple. E non si tratta di persone
     proprio così. Vogliono qualcosa di facile, perché la nostra vita è già abbastanza complicata.

     Basta vedere cosa riescono a realizzare quelli che producono le macchinette per la vendita dei
     biglietti nelle metropolitane. O i telecomandi. O i comandi per azionare il computer di bordo
     sulle automobili. Almeno a casa, la sera, la gente vuole un computer semplice; e magari già
     che ci siamo, un lettore mp3 anch’esso non complicato. Perché vuole ascoltare della musica,
     non leggere chilometriche istruzioni per capire come avviarlo.

     Torniamo adesso a noi.
     Nel 2002 arriva la seconda generazione del lettore musicale; nel 2003 la terza, assieme però
     all’ultimo anello della catena: lo Store musicale. Che viene chiamato iTunes Music Store (per
     contrarsi in iTunes Store nel 2006). E, ultimo anello, quello che metterà il turbo alle vendite: la
     compatibilità con la piattaforma Windows.

     Da lì in avanti è il successo: per l’iPod però. In maniera prima lenta, poi sempre più inesorabile,
     il dispositivo musicale di Apple diventa uno schiacciasassi poderoso. Molti credono che la
     fortuna della società sia la musica; in realtà la musica serve solo a vendere il dispositivo. Lì la
     società di Cupertino fa i soldi a palate, non nelle canzonette. E diventa forte, molto.

     Questa forza, attira le giuste critiche degli utenti, a proposito di un dettaglio che tale non è: il
     DRM.
     Un passo indietro. Quando le case discografiche ascoltano la proposta di Apple di un negozio
     musicale online, naturalmente sono scettiche: è più divertente foraggiare gli avvocati che
     prendere atto della necessità di qualcosa di nuovo, vero? Ma danno il loro assenso, a una sola
     condizione: imporre il DRM ai brani musicali.

     Perché accettano la proposta di Apple? Perché immaginano che fallisca, che non riesca
     nell’intento. Se accadrà questo, chi si romperà le ossa, sarà appunto la società di Steve Jobs, e
     loro a quel punto potranno dire: “Vedete? Sul Web non è possibile vendere davvero la musica.
     Meglio gli avvocati!”.
     Se al contrario la faccenda funziona, potranno affermare di essere state delle aziende
     lungimiranti, in grado di collaborare attivamente e senza pregiudizi in un settore per loro
     inedito.

     Il DRM è un acronimo per indicare una protezione digitale che limita i diritti dell’utente nella
     gestione dei brani musicali che ha acquistato. Attenzione: ha acquistato.

     Questo è un dettaglio che Sony e le altre realtà musicali fanno finta di non vedere. Io compro
     coi miei soldi, e altri decidono cosa posso fare della mia roba. Non credo esista nel mondo un
     altro settore dove qualcuno si arroghi un tale diritto. Che in realtà è un sopruso, ma soprattutto,
     è un atto di accusa verso gli utenti.
     Perché se vendo qualcosa col lucchetto, è perché presumo che l’acquirente sia un potenziale


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Apple
Sarà la musica che gira intorno




     ladro, oppure un complice di qualche malfattore.

     I pirati intanto, del DRM se ne infischiano, e lo craccano con enorme facilità. Gli onesti, pagano,
     e si trovano legati: a Napoli dicono cornuti e mazziati.

     Apple per portare in porto la sua idea di Store musicale accetta il DRM. La protesta sale, finché
     Steve Jobs spiega in una lettera aperta, e pubblicata sul sito Apple, la sua posizione. In
     sostanza: non potevamo agire diversamente. Lui stesso ritiene che sia un qualcosa di inutile,
     e invita gli utenti a farsi sentire presso chi quel DRM lo vuole. Vale a dire Sony, EMI (e sarà la
     prima a scegliere di abbandonare il lucchetto digitale, nell’aprile del 2007) e Vivendi.

     Nel gennaio del 2009, i brani musicali presenti sull’iTunes Store, perdono questa grottesca
     protezione. Però: chi desidera aggiornare quella già acquistata alla nuova condizione, dovrà
     pagare. E mediamente, il prezzo dei brani si modifica, ma verso l’alto.

     Il DRM resta sui film in vendita sull’iTunes Store. Questo è un altro ridicolo cappio che le case
     cinematografiche stavolta, impongono agli utenti. La speranza è che si decidano a spedirlo in
     soffitta, dove merita di restare per sempre.

     Quanto è stato potente l’arrivo dell’iPod sul mercato musicale e non solo?
     Possiamo affermare che l’iPod ha creato un nuovo modo di definire un lettore musicale. Si
     chiama iPod qualunque aggeggio con un paio di cuffie che si infilano nelle orecchie. Ovunque
     o quasi accessori, e/o cloni.

     Adesso l’iTunes Store si è ampliato nell'offerta. Oltre alla musica, abbiamo video, film (quelli
     italiani stanno arrivando), podcast, audiobooks e soprattutto iTunes U. Il canale dedicato alle
     Università, dove finalmente è possibile trovare anche un bel po’ di materiale prodotto dagli
     atenei italiani, e scaricabile gratis.

     Però è meglio riflettere su quello che Apple ha combinato. Produceva computer; e ancora
     adesso lo fa, per fortuna. Si è inventata da zero un business che in fondo non le apparteneva
     neanche un po’. Sul mercato statunitense, iTunes Store non ha rivali: l'unico che prova a fargli
     il solletico è Amazon. Ma basta vedere chi sono quelli che hanno provato a lanciare un servizio
     analogo per capire che non era solo una questione di musica.

     Anche Virgin, Wal-Mart e Coca-cola hanno lanciato un negozio musicale online. Il primo chiude
     i battenti nel settembre del 2007. Il secondo resiste, ma distante anche dai fasti di Amazon. Il
     terzo nel luglio del 2006 saluta e se ne va. Per quale ragione?




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Apple
Sarà la musica che gira intorno




     Semplice, non avevano un iPod. Adesso la sua stella si sta lentamente offuscando; è nato
     quello touch, lo shuffle, il mini, il nano, mentre quello classico (riveduto e corretto), è sempre lì.




     Quello che molti non comprendono, e che qualche riga fa ho appena accennato, è che la
     fortuna di Apple nel campo musicale, deriva da due fattori.
     Il primo: aver messo a punto un sistema vincente, con un’offerta di canzoni a cui non si può
     dire di no. Ed è tutto lì, a portata di clic. Al centro di questo sistema, l’applicazione iTunes (su
     cui ci sarebbero anche da dire parecchie cose poco carine, parlando di interfaccia e coerenza
     coi dettami di Apple stessa; ma sorvoliamo), che con pochi clic permette l’acquisto.

     Buona parte di noi ha un problema: gli manca il tempo. Non importa che questo sia impiegato
     male; ciascuno di noi ama la musica, ma non è disposto a passare ore e ore sulla Rete a cercare
     il peer to peer da cui scaricare illegalmente la musica. Oltre a essere riprovevole, e passibile
     di sanzioni. Quelle ore, sono sprecate: rubate allo studio, alla famiglia, al divertimento vero.
     Ma c’è l’iTunes Store: pochi clic e la musica diventa mia.
     Diventa mia.

     Le case discografiche, e non solo loro a dire il vero, hanno spinto per anni nella direzione
     differente: affittare la musica. Geniale, non c’è che dire. Finché paghi ascolti, ma dal momento
     che non rinnovi più l’abbonamento perdi pure la tua musica. Da questo si capisce che chi
     gestisce queste aziende, non ama affatto la musica. Altrimenti saprebbe che le persone
     desiderano possedere le canzoni. Questa è stata sin dall’inizio la posizione di Apple, e resta
     la direttrice principale. Si arriverà comunque all’affitto della musica? Può darsi, mai dire mai: di
     certo resterà un’opzione del tutto marginale dell’offerta musicale.

     Il secondo fattore: l’iPod, si capisce. Ha bisogno delle canzoni, altrimenti sarebbe solo un
     fermacarte. Ma quella, è una “torta” che di fatto finisce in pasto alle case discografiche. Agli
     autori. E poi occorre mantenerla efficiente e ben oliata, e questo costa. Chi crede che Apple
     faccia i soldi a palate con la musica, sbaglia di grosso. Più o meno, arriva al pareggio.
     Per Cupertino la musica, è un tassello fondamentale per riuscire a mettere nelle tasche del
     maggior numero possibile di persone, proprio l’iPod. Ma mentre le canzoni sono qualcosa
     che non appartiene ad Apple, sul dispositivo al contrario detiene un controllo totale. Per anni,


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Apple
Da PowerPC a Intel




     l’iPod è una macchina che macina denaro.

     Persino nel primo quarto fiscale, svelato a gennaio 2011, ne vende un po’ meno di 20 milioni.
     Sì, la sua stella tra iPhone e iPad si sta offuscando. Il modello classico, l’unico equipaggiato
     ancora con un disco rigido, viene dato per morto ogni 6 mesi. Eppure è sempre lì.


     Da PowerPC a Intel


     Accade qualcosa di incredibile, un giorno. Una specie di rivoluzione copernicana. Una data
     che per tanti utenti Mac è la fine di un certo mondo; o proprio del mondo?

     Alcuni, dopo di allora affermeranno che se la società di Steve
     Jobs ha iniziato a “scivolare” (verso dove? Boh!), è a causa della
     sciagurata scelta, e della conseguente decisione, di saltare lo
     steccato.
     Il 6 giugno del 2005 Steve Jobs sale sul palco della WWDC,
     vale a dire la Conferenza Mondiale degli Sviluppatori Apple. E
     fa l’annuncio: presto, i computer Mac useranno solo chip Intel.


     Addio perciò ai PowerPC: potenzialmente efficienti, migliori rispetto a quello che è presente
     sul mercato. Ma un’azienda non può permettersi di aspettare, di sperare, di attendere i comodi
     degli altri. Non lo farebbe una grande, figuriamoci Apple che o distacca tutta la concorrenza di
     una lunghezza, o boccheggia e affonda.

     Da tempo nelle segrete stanze di Cupertino, c’era chi faceva girare Mac OS X su macchine
     Intel, proprio per essere pronti al balzo. Mentre i siti di “rumors” davano per certo l’arrivo
     del processore G5 sui portatili, Apple architettava lo scherzo più incredibile della sua storia
     recente. A ennesima dimostrazione di quanto siano affidabili le voci di corridoio.

     La verità era più semplice: non ci sarebbe mai stato un G5 sui portatili. Dopo si è scritto
     e detto che IBM (assieme a Freescale, società di Motorola, produceva appunto i processori
     PowerPC), pretendeva più soldi da Apple per costruire quello che voleva. Che un maggior
     coinvolgimento dell’azienda di Jobs, oltre a quello finanziario, avrebbe potuto cambiare le
     cose. Ma ormai si tratta(va) di questioni di lana caprina.

     La mossa viene criticata anche da molti utenti Apple.
     Arriveranno i cloni, in massa. Non ci sarà più alcuna ragione per continuare ad acquistare
     hardware con la mela mordicchiata; come se prima ce ne fossero state. Da sempre acquistare
     un PC con Windows è ragionevole: costa meno, è popolare, bla bla bla. Quando si decide di
     compiere il salto, lo si fa sotto la spinta di una differente motivazione.


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Apple
Da PowerPC a Intel




     I cloni arrivano? Qualcosa in effetti si muove; e muore. Compare Psystar, una società che
     vende hardware PC su cui gira Mac OS X. La faccenda finisce ovviamente in tribunale, con
     Apple che non vuole che i suoi prodotti software siano installati su macchine che non siano le
     sue; e i proprietari dell’azienda che rivendicano il diritto di farlo. Come finirà è persino troppo
     ovvio: Psystar chiude i battenti.

     Il problema però non è Apple che in forza dei suoi numeri schiaccia la libera iniziativa di pochi
     e coraggiosi.
     Darwin (il “nucleo” Open Source di Mac OS X), si può scaricare liberamente: da qui. Non è
     illegale. A nessuno è vietato di mettere su quel codice (cui collaborano attivamente anche
     gli ingegneri di Apple), un’interfaccia di propria creazione, oppure di scegliere Kde. E il
     risultato girerà su un qualunque PC. Certo, occorre lavorarci, ed è un impegno che pochi, e
     maledettamente bravi, si possono permettere. O meglio: solo grandi aziende possono fare,
     con la speranza di ottenere qualcosa di buono.

     Sarebbe infatti più a portata di un’azienda come Sony. Attenzione, non dico che sarebbe più
     facile, perché si tratterebbe comunque di impiegare uomini e risorse per anni, su un progetto
     radicalmente differente.

     Per questo ci si accontenta di Windows: gira su qualunque cosa. Lo fa male? Di certo vicino
     casa troverai l’immancabile negozietto con dietro il bancone un sorridente addetto che
     stringendosi nelle spalle, dirà: “Eh, succede”.

     Un altro aspetto da considerare: in Apple hardware e software viaggiano a braccetto. Proprio
     perché il sistema operativo viene installato su un limitato numero di macchine, ogni dettaglio
     è curato. La filiera in un certo senso, è saldamente in mano di Cupertino; qualora si scegliesse
     di farlo girare anche su PC, di fatto la piattaforma imploderebbe. Mancherebbero le forze e le
     risorse per garantire la compatibilità sui Dell, Toshiba, Sony, HP, Acer.

     Prendiamo proprio Dell, e i suoi computer da scrivania. L’azienda sul suo sito a settembre 2011
     sfodera 3 linee: Inspiron, Dell Studio XPS e Alienware (oltre ai modelli con monitor tattile; la
     pagina si apre ma c’è solo il link per attivare la chat).
     Ogni linea di computer è di fatto una famiglia, dove sono presenti diversi modelli. Spesso
     con monitor (quando sono presenti), differenti; con processori che variano; con schede
     grafiche diverse. E stiamo parlando di UNA linea, lasciando da parte le altre. Garantire a tutte
     la medesima compatibilità non è possibile; per Apple, ma nemmeno per Microsoft, sempre a
     rincorrere.

     L’iMac è una famiglia con quattro modelli. Il Mac Pro, idem (anche se una è denominata “Server”).
     Il ventaglio di specifiche da seguire è infinitamente minore, e tutte in mano al produttore.
     Il controllo aziendale c’è, è anche serrato sia lato hardware che software; ma per prima cosa
     si offre all’utente maggiore chiarezza. Districarsi su un sito Dell o Acer per capire quale sia il
     computer che fa per me, è una piccola, grande impresa.


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Apple
Da PowerPC a Intel




     La medesima operazione su quello Apple è più semplice anche per l’inesperto.

     Psystar (l’azienda che produceva cloni), ci ha provato. Comprava i DVD di Mac OS X, assemblava
     un po’ di hardware raccogliticcio, forniva dietro il pagamento di 50 Dollari, un software
     chiamato “Rebel EFI” per far girare il sistema operativo di Apple sui PC, e voilà. Non c’è stato
     nessun tentativo di uccidere la libera iniziativa. Che resta libera e alla portata di chiunque:
     Darwin è sempre lì, pronto a essere scaricato, esattamente come le interfacce grafiche. Quello
     che non si può fare (e non lo si può fare con chiunque, non solo con Apple), è prendere il
     lavoro altrui, e sfruttarlo per tentare di arricchirsi.

     Si era scritto e detto che con il passaggio ai processori Intel le persone non avrebbero speso
     un Euro per acquistare computer Apple. Ormai, la società di Steve Jobs produce anche iPod,
     iPhone e iPad. Ma la profezia di tanti profeti, non si è avverata. Non si sono mai venduti così
     tanti Mac come in questo periodo: tutti con chip Intel, ovviamente.

     Così torniamo al cuore della strategia di Apple: l’esperienza utente. Quindi: software che
     funziona, solido, flessibile, potente.
     Hardware elegante, concepito e realizzato per lavorare alla perfezione col software.
     Soprattutto, concepito da ingegneri, per persone normali. Anche per smanettoni (il Terminale
     a quello serve, e non c’è solo quello), ma realizzato per offrire all’individuo un’esperienza di uso
     amichevole. Che non spaventi, e lo induca a osservare con maggiore fiducia se stesso.
     A intravedere oltre il computer le potenzialità che la Rete offre a chiunque.

     Un esempio: iTunes, e la sua interfaccia. Si può dire che sia leggermente spaventosa? Sì, è
     proprio così. Si “comporta” come nessun’altra applicazione fa, è in palese contraddizione con
     quanto Apple stessa afferma nelle sue linee guida per il design delle interfaccia.
     Però: attraverso di essa è possibile ad esempio, scaricare dei podcast in inglese, francese,
     cinese, e imparare oppure perfezionare una lingua.

     Con Windows tutto questo è possibile (iTunes è disponibile anche per i sistemi Microsoft);
     col Macintosh però giunge al termine di un’esperienza dove anche l’inesperto sente che ogni
     dettaglio è stato pensato per lui. Ogni dettaglio del sistema operativo.
     Ho scritto sente, ma in realtà si tratta di un’esperienza più sottile. Ci si trova cioè all’interno di
     un ecosistema differente (se proviene da Windows), o nuovo (se invece il Mac è il suo primo
     computer), non ostile.

     In fondo ciascuno di noi ha a che fare con la tecnologia ogni giorno. Acquistare un biglietto
     per la metropolitana, l’autobus, o il treno attraverso una delle macchinette presenti ormai un
     po’ ovunque è tutto tranne che un’esperienza “amichevole”. Ma non è colpa del singolo, lo
     riscrivo: bensì di chi ha ideato e realizzato quei dispositivi.

     Spesso anche configurare i canali televisivi sul digitale terrestre richiede la lettura di un
     opuscolo che non fa altro che elencare i pregi dell’apparecchio, oltre che a complimentarsi
     con l’acquirente per l’ottimo acquisto.
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Apple
Da PowerPC a Intel




     Apple dimostra coi fatti che è possibile lavorare in maniera differente, per ottenere prodotti
     migliori. Poi è evidente che sarà la persona ad avere l’ultima parola, e a decidere cosa combinare.
     Però la società di Cupertino mette a disposizione strumenti che si presentano a noi in pace.
     Pur con tutti i difetti presenti, è fuor di dubbio che al primo posto si mette l’utente; che si tratti
     di iMac, iPad o iPhone, oppure l’iPad.

     Lo stress da tecnologia, cala con il Mac. Alla fine dei discorsi, delle critiche, quale sia il processore
     che equipaggia i computer di Cupertino, è diventato irrilevante.

                                 È stato importante passare ai chip Intel, poiché non era più possibile
                                 continuare ad attendere quello di cui c’era bisogno. Senza questa
                                 mossa, Apple sarebbe finita in un vicolo cieco.
                                 Si tratta dei migliori processori in giro? Diciamo che sono i più
                                 popolari, e che Intel ha fatto alcuni passi nella giusta direzione.
                                 La piattaforma PowerPC era migliore della concorrenza, allora come
                                 oggi? Può darsi, anzi in certi compiti lo era e lo è ancora adesso (beh,
                                 quasi).


     Però questi sono elementi che sempre più apparterranno al passato. La potenza del
     processore, i clock: non interessano più. O meglio: sono argomenti che appartengono a
     una cerchia ristretta di persone che con il computer ci lavora sul serio, e rappresentano una
     percentuale minima.
     Di solito, chi parla così tanto di GHz, non ha da fare altro che scaricare software piratato, usare
     la chat, la posta elettronica, navigare sul Web, e 3 ore di Farmville su Facebook. E basta.

     La Rete pretende strumenti semplici da usare, e affidabili; ci sono troppe cose buone la fuori
     per perdersele a configurare una stampante che Windows dovrebbe riconoscere al volo.
     Quasi nessuno conosce il processore che viene montato sull’iPad o l’iPhone; non importa.
     Qualcuno chiede quanta RAM ci giri? Pochissimi. Però prendere una nota o aggiungere un
     contatto alla Rubrica Indirizzi di un iPhone è un compito banale; su certi modelli di Nokia,
     meno.

     Quello che balza agli occhi è che l’iPad permette a un mucchio di persone di usare un dispositivo
     infischiandosene di prestazioni, mouse, cartelle e metafora della scrivania.
     E lo stesso per il Mac: funziona. Cosa ci sia dentro, è una questione che non appassiona il 95%
     degli utenti che lo usano. Perché quello vogliono fare: usarlo.




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Apple
La telefonia secondo Cupertino




     La telefonia secondo Cupertino

     La telefonia da anni è un business colossale, in mano ad aziende di tutto rispetto. Mangiano
     pane e telefono. Producono modelli più o meno a getto continuo, e per tutte le tasche. Si
     tratta di un settore che va bene, si fa innovazione, e tutti sono contenti dell'andazzo.

     Non importa che l’innovazione si limiti a “nuovi” modelli a scadenza ravvicinata; magari
     coi pulsanti più grandi, oppure più piccoli, oppure di un nuovo tipo di case, o ancora le
     dimensioni dello schermo aumentate un poco. In fondo, si tratta di permettere alle persone
     di telefonare. Di aggiungere nuovi contatti alla loro rubrica indirizzi. Di inviare SMS, MMS,
     scattare qualche foto, e navigare, poco, su Internet.
     Quello vuole la gente, e quello ottiene. Poi qualche giochino.

     Per chi fa invece sul serio, perché il telefonino è un dispositivo di lavoro, nessun problema:
     esiste RIM. La società canadese produce telefoni particolari, tanto da meritare l’appellativo di
     smartphone, che oltre alle solite cose tipiche di un telefono, permette molto altro.
     Si tratta di un settore piccolo, remunerativo, ed estremamente limitato perché si tratta di
     dispositivi dedicati soprattutto a manager, e i prodotti RIM trovano il loro sbocco naturale
     nelle aziende.

     Cosa accade? Nulla. Il panorama non è dissimile da quello che c’era prima, in altri settori. Prima
     di cosa? Prima che Apple decidesse di entrarci.
     Era già accaduto. Nel 1984 viene presentato un computer, il Macintosh: ma di computer ce
     n’erano già.
     Poi è il turno dell’iMac: nient’altro che la lezione degli anni Ottanta, trasferita alla fine degli
     anni Novanta, e applicata al mondo che va verso Internet, tra l’indifferenza di molte, troppe
     aziende di computer.

     Trascorrono gli anni, e voilà l’iPod. Ma di lettori mp3 era pieno il mondo. Il bello di Apple è che
     si limita a re-inventare la ruota. Dopo tutti a dire e a ripetere: ma certo, perché non ci abbiamo
     pensato prima? E mentre sono lì a darsi manate in fronte, la società di Cupertino allunga il
     passo, acquista un vantaggio che difficilmente sarà possibile colmare.

     Per un attimo, torniamo all’iPod; sta ormai arrivando a fine corsa. Ogni trimestre, se ne vendono
     un po’ meno. In parte è fisiologico perché il mercato (o meglio: i mercati che contano, quelli che
     fanno ingrassare i profitti), tendono a saturarsi. E sono Stati Uniti, Europa, Giappone, Australia/
     Nuova Zelanda. Gli altri sono ancora più grandi (basti pensare all’Africa), ma non sono molto
     ambiti dalle aziende. Ma la fine del dispositivo mp3 di Apple è dovuto anche a un altro fattore:
     che si chiama iPhone.

     Non sono molte le aziende al mondo che riescono in un’impresa del genere: creare un
     business colossale, e senza aspettare che si esaurisca, o che la concorrenza in qualche modo si
     organizzi e passi al contrattacco, si sposta altrove.


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Apple
La telefonia secondo Cupertino




     Sony aveva aiutato il settore musicale e le proprie finanze, con il walkman; e lì è rimasta. Non
     è stata in grado, nonostante la forza economica, e il possesso di una casa discografica, di
     innovare raccogliendo la sfida che Napster le aveva lanciato.
     Apple non ha atteso che l’iPod arrivasse a fine corsa. Ha riacceso i motori, ed è andata all’assalto
     di un altro settore.
     Quello dei telefoni cellulari, appunto.

     La telefonia mobile dagli anni '90, è diventata enormemente popolare: tutti hanno un
     cellulare. Soprattutto, nonostante sia recente, è un settore che puzza di vecchio. E impone
     a chi si arrende all’acquisto di un cellulare, una serie di modi e abitudini, di fatto derivate dai
     telefoni fissi.
     Perché quello è: un telefono senza fili. Che si riduce nelle dimensioni. Oppure si apre a conchiglia.
     Magari adotta qualche colore; la lezione del vecchio iMac G3 continua a influenzare certi uffici
     di marketing senza idee. Ma hanno un po’ tutti schermi piccoli, con icone dell’interfaccia non
     solo brutte, ma soprattutto poco comprensibili.

     In questo settore statico, dominato da grossi produttori che sfornano nuovi modelli come se
     fossero panini, c’è bisogno di qualcosa di nuovo. Ma da dove iniziare? E chi può provarci?
     Apple, esatto.

     Per prima cosa, occorre analizzare i prodotti della concorrenza. Individuarne i punti deboli, e
     poi concentrarsi solo sulle cose essenziali. Non badare a quello che il mercato vuole (è chiuso
     e dominato da prodotti sostanzialmente identici), e nemmeno chiedere agli utenti cosa
     desiderano davvero. Sono abituati male, e le loro risposte, anche se ci fossero, non sarebbero
     utili.

     Apple inizia a ragionare su due basi: semplicità e bellezza.

     Telefonare è semplice coi cellulari? Sì, se ci si accontenta. Ma visto che non sono più tali, e
     contengono sveglia, calendario, rubrica indirizzi, e altre funzioni, forse bisogna azzerare ogni
     cosa, e partire da qui. Fare finta che non ci sia nulla, che anni di brutti modelli tutti uguali, non
     ci siano mai stati.

     Se si acquista un nuovo modello della stessa marca, non di rado occorre re-imparare qualcosa,
     se non addirittura tutto. Ma questo non sembra importare a nessuno. Non ai produttori di
     cellulari, che inventano modelli dalle forme strane, e con menu per la navigazione tutt’altro
     che intuitivi.
     Non agli ingegneri che spingono un po’ più in là le caratteristiche tecniche di certi modelli, che
     li rendono un po’ più potenti, e poco altro.
     Nemmeno gli utenti saprebbero dire su che cosa intervenire, e come. Se si abituano le
     persone al brutto, alla fine arriveranno ad apprezzarlo. Oppure a non vederlo nemmeno, a
     non considerarlo tale, ma solo come un piccolo prezzo da pagare.




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Apple
La telefonia secondo Cupertino




                                    E il marketing? È l’unico settore che deve spremersi davvero
                                    le meningi per inventare nuove strade con cui proporre agli
                                    acquirenti l’acquisto del cellulare “A” invece del “B”. Si capisce:
                                    se è in atto una sostanziale omologazione dei modelli (a parte
                                    qualche sprazzo di Nokia, che però non ha l’immaginazione o il
                                    coraggio di proseguire), nonostante la supremazia, di proporre
                                    qualcosa di diverso.


     Questo è il mercato della telefonia mobile, prima dell’iPhone.
     Ma c’è un altro mercato che è lì, e sonnecchia. Aspetta forse qualcosa che gli metta il turbo:
     l’Internet mobile. La gente si sposta, e se deve farlo per lavoro porta con sé il portatile, certo.
     Poi magari non devono farci grandi cose. Sarebbe bello se invece di quello, ci fosse anche
     qualcosa di piccolo, semplice, che offra la possibilità di verificare la posta elettronica senza
     aprire il portatile. Di navigare. Tutto dentro un dispositivo con menu e icone colorate, nitide,
     intuitive, e la possibilità di aggiungere o togliere un contatto, con poche mosse. Magari
     ricorrendo alle dita.

     Magari un solo modello, invece delle decine di Nokia, su cui convergano i tre compiti che si
     richiedono a un cellulare. Telefonare; navigare; ascoltare musica.

     In realtà, Apple era già entrata nella telefonia mobile; grazie alla collaborazione con
     Motorola, era stato presentato un cellulare mediocre, chiamato ROKR, con iTunes incorporato.
     L’esperienza aveva lasciato scettici e delusi un po’ tutti: il design del cellulare era infatti di
     Motorola, e si vedeva chiaramente che Cupertino non aveva nemmeno messo gli occhi su
     quel prodotto. Resta da capire il perché di quella mossa, forse necessaria per permettere a
     un’azienda di computer, con una forte esperienza di musica online, ma nessuna di telefonia, di
     farsi le ossa in un settore per lei assolutamente nuovo, e sconosciuto.

     Non ci si improvvisa venditori di cellulari senza sapere con assoluta precisione cosa c’è da fare,
     e come muoversi. Questo è uno dei tanti aspetti che sono regolarmente ignorati. Il successo
     dell’iPhone è stato stellare non perché frutto di fortuna; ma perché Apple ha studiato.
     Comunicazioni, infrastrutture, tutta roba che una società che produce calcolatori non sa, e
     non è tenuta a sapere.




                                                                                                           30
Apple
La telefonia secondo Cupertino




     Quando Steve Jobs nel gennaio 2007 annuncia l’arrivo dell’iPhone (sarà lanciato solo a giugno
     di quell’anno), le risate si sprecano.

     Quella più famosa appartiene a Steve Ballmer, amministratore delegato di Microsoft, che
     interrogato a proposito del nuovo dispositivo presentato da Apple, sghignazza tutto contento.
     Poi si chiede chi diavolo sarà così stupido da spendere 499 Dollari (il prezzo del modello base
     da 4 GB, e 599 per quello da 8 GB), per telefonare.
     Adesso non ride più.




     Ancora una volta, Apple presenta un prodotto che si fa notare, perché radicalmente differente
     da tutto quello che c’era in commercio sino a quel momento.
     Niente tastiera, per prima cosa, sostituita da uno schermo multi-touch. Un solo modello ma
     venduto con diversi tagli: 4, 8, oppure 16 GB. Siccome non è un cellulare come quelli che sono
     già in commercio, cambia anche il modo di venderlo. Apple ha stretto accordi con l’operatore
     telefonico AT&T, e questa pratica si estenderà poi anche negli altri Paesi dove sarà venduto. In
     alternativa (la sottoscrizione di un contratto con la società telefonica, prevede di restare legati
     a essa per due anni), lo si può comprare a prezzo pieno.

     Le carte vincenti dell’iPhone sono almeno due. La prima: un sistema operativo realizzato
     appositamente per il dispositivo. Non si tratta, come hanno fatto altre aziende in situazioni
     analoghe, di travasare il vecchio, nel nuovo. Il nuovo non è un accidente che capita, ma
     un’opportunità per riscrivere da zero o quasi, quello che abbiamo.



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Apple
La telefonia secondo Cupertino




     Eppure l’approccio di Microsoft quando deve portare il suo sistema operativo su un dispositivo
     nuovo (un tablet, un telefonino), è sempre stato: “Prendiamo Windows, e ficchiamolo dentro
     a questo accidenti di prodotto nuovo. Siamo troppo grandi per passare inosservati, tutti ne
     parleranno, e andrà bene comunque”.
     Il risultato di solito è stato uno sbadiglio, e sorrisi di circostanza.

     Apple al contrario, fa sempre in modo che hardware e software camminino a braccetto; sin
     dall’inizio. Ci si focalizza su quello che davvero serve: durata della batteria. Eliminazione della
     tastiera fisica. Menu di navigazione comprensibili anche a chi il menu lo trova in pizzeria, e
     resta perplesso e sbigottito quando sente questo termine a proposito dell’informatica.

     Ha sempre agito così. Confezione e contenuto devono essere il più possibile vicino all’ideale
     di semplicità ed efficienza che si desidera da un dispositivo che si vuole vendere. Alcune cose
     sono lasciate fuori perché il loro inserimento sarebbe forse troppo dispendioso in termine di
     tempo, energie, e idee.
     All’inizio, l’iPhone arriva senza copia&incolla. Tuoni, fulmini e saette. Sghignazzate: “Ma siamo
     tornati agli anni Settanta?”. No.

     C’era dentro abbastanza innovazione da lasciar fuori quello che era quasi ovvio. Questa
     funzione poi è arrivata con le versioni successive dell’iPhone. Una tale mancanza non ha
     impedito al dispositivo di Cupertino di diventare il nuovo punto di riferimento della telefonia.

     L’interfaccia, il modo differente di avvicinarsi alla comunicazione mobile, ha permesso a
     Apple di mettere in un angolo, una funzione che su qualunque computer, è semplicemente
     fondamentale. Sull’iPhone, almeno all'inizio, non lo era. E proprio perché ci si muoveva in un
     territorio nuovo, c’era anche da trovare il modo più efficace, e ancora una volta semplice, per
     inserire questa funzione.

     L’iPhone non è un cellulare come gli altri, e questo è evidente. E alcune funzioni devono per
     forza essere ripensate, sperimentate.

     Esiste un altro aspetto da affrontare: quando ci si trova di fronte a qualcosa che si conosce,
     ma appare diverso, scatta la curiosità. Mentre le altre interfacce dei cellulari in commercio
     offrivano una bella tastiera fisica, la sua dissoluzione sull’iPhone, e una serie di icone e compiti
     che si gestiscono con le dita, creano nella testa dell’utente un’aspettativa.
     Può essere buona, o mediocre.

     Esistono persone che non amano l’iPhone, eppure lo hanno provato. Provano disagio, lo
     considerano persino difficile; a dimostrazione che spesso, esiste una minoranza da rispettare,
     che non ama affatto alcune innovazioni, perché non ne sentono la necessità. Per essi, una
     bella tastiera fisica da pestare è la cosa migliore, punto. Di multi-touch e altre soluzioni
     tecnologiche non sanno cosa farsene. È uno dei motivi per cui i cellulari da poco prezzo di
     Nokia, continueranno a essere presenti sul mercato (anche se non garantiranno affatto i profitti
     che l’azienda vorrebbe: ecco una delle ragioni della sua crisi, e dell’accordo con Microsoft).


                                                                                                            32
Apple
La telefonia secondo Cupertino




     Poi, esiste una larga maggioranza di persone (e non è detto che siano drogati di tecnologia),
     che desiderano dispositivi coerenti. Non hanno enormi pretese (“Purché funzioni”); ma
     vogliono che i compiti che affideranno all’apparecchio siano raggiungibili con il minimo sforzo.

     L’iPhone entra in un mercato dove per inserire un appuntamento nel Calendario, occorreva
     (semplifico ma nemmeno troppo), procedere in questo modo.

     Home; premere Menu azionando il tasto centrale presente proprio sotto il piccolo display;
     scorrere sino a Calendario o Organizer, premendo le frecce (parliamo sempre di tasti fisici,
     si capisce vero?). Raggiunto il calendario premere di nuovo il tasto centrale per accedervi.
     Selezionare “Agenda” (la prima voce), poi “Opzioni” per entrare in un altro menu, quindi altra
     selezione (“Crea nota”) e finalmente si inizia. Fermiamoci qui.
     Più o meno, questo è il tipo di operazioni che occorre portare a termine per arrivare nel
     Calendario. Lasciamo perdere su cosa è necessario fare per continuare.

     Lo stesso processo sull’iPhone. Si sblocca, si preme l'icona del Calendario, poi quella raffigurata
     da un segno "+" in alto a destra, per inserire il nuovo appuntamento o allarme che sia. Fine.

     Ecco la semplicità di Apple. Nessuno si era mai sognato di creare qualcosa di più immediato
     per inserire un contatto nella Rubrica. Non è un’operazione che si fa ogni tanto. L’iPhone riduce
     il tempo per farlo; e non è solo questo (e per molti è già tanto). L’intera architettura software si
     muove avendo come filo conduttore questa esigenza di rendere le cose comuni, raggiungibili
     con facilità. Senza troppi passaggi.
     La seconda carta vincente di Apple, quella che rende quel dispositivo e quello che verrà dopo,
     cardine di un ecosistema, è l’App Store.




     Anche in questo caso, Jobs e compagnia non lo annunciano subito. Soltanto a giugno del 2007,
     nel corso della Conferenza Mondiale degli Sviluppatori, comunica che il dispositivo accoglierà
     applicazioni scritte da sviluppatori indipendenti. Il che significa possibilità di guadagnare, di
     creare applicazioni un po’ diverse da quelle che si trovano sui computer, sfruttando proprio le
     peculiarità dell’iPhone.


                                                                                                            33
Apple
La telefonia secondo Cupertino




     Non a tutti gli sviluppatori però, o meglio: le applicazioni devono rispondere a rigorosi criteri
     di qualità. Qui accadono alcune cose.
     La prima si chiama successo: un nuovo mercato si apre, sia per sviluppatori indipendenti, che
     per aziende già affermate.

     Sull’iPhone piove un po’ di tutto: software idiota ma a pagamento, software idiota ma
     gratuito, oppure di ottima qualità ma gratis, e costoso e di livello eccelso.
     Nulla di sorprendente; la concorrenza inizia a preoccuparsi, mentre Apple, con la
     spregiudicatezza che le è propria, già si muove su un altro livello. Il successo dell’App Store
     provoca qualche problema all’azione di convalida delle applicazioni. Sono sottoposte al
     vaglio di Cupertino, che si prende tempi biblici. Proteste, promessa da parte della dirigenza
     di Cupertino di risolvere; il che avviene, ma occorre rammentare che nessuno si aspettava un
     tale successo.

     Accanto al successo, la condotta bizzarra di Apple. Crei una stupida applicazione con ragazze
     in bikini?
     Non passi.
     Crei una stupida applicazione con ragazze in topless e ti chiami Playboy?
     Prego, accomodati.

     La faccenda naturalmente crea ben più di un malumore, e non tiene Apple lontana da scivoloni,
     e figuracce varie. Qualunque sito italiano ne ha parlato, ha sviscerato la questione sotto tutti i
     punti di vista; inutile tornarci sopra.
     Ma senza cercare di giustificare la società di Cupertino, ricordiamoci che si parla pur sempre di
     una società statunitense.
     Ogni Paese che guida il mondo è pieno di presunzione. Questa qualità (se vogliamo definirla
     tale), ha come conseguenza un atteggiamento nei confronti degli altri spigoloso.
     O dovrei scrivere arrogante?
     Più si vive ai margini di questo atteggiamento, e più se ne ha la percezione quasi “fisica”; e irrita
     assai.

     Forse la situazione sta cambiando, e per un motivo molto semplice.
     I profitti colossali di Apple arrivano sempre più spesso da Paesi che non sono gli Stati Uniti.
     L’apparizione degli Apple Store “fisici”, ha aiutato a rendere un poco diverso l'atteggiamento
     della società nei confronti delle nazioni marginali, come per esempio l’Italia.
     Nulla di davvero rivoluzionario. È bene rassegnarsi all’idea che Apple tiene la barra del
     comando saldamente in mano, e che i suoi Paesi preferiti oltre agli Stati Uniti, sono l’Inghilterra,
     il Giappone ma soprattutto la Cina. Con un P.I.L. che cresce anche in un periodo come questo,
     perché preoccuparsi dell’Italia?ma appare diverso, scatta la curiosità. Mentre le altre interfacce
     dei cellulari in commercio offrivano una bella tastiera fisica, la sua dissoluzione sull’iPhone,
     e una serie di icone e compiti che si gestiscono con le dita, creano nella testa dell’utente
     un’aspettativa.
     Può essere buona, o mediocre.


                                                                                                             34
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     Esistono persone che non amano l’iPhone, eppure lo hanno provato. Provano disagio, lo
     considerano persino difficile; a dimostrazione che spesso, esiste una minoranza da rispettare,
     che non ama affatto alcune innovazioni, perché non ne sentono la necessità. Per essi, una
     bella tastiera fisica da pestare è la cosa migliore, punto. Di multi-touch e altre soluzioni
     tecnologiche non sanno cosa farsene. È uno dei motivi per cui i cellulari da poco prezzo di
     Nokia, continueranno a essere presenti sul mercato (anche se non garantiranno affatto i profitti
     che l’azienda vorrebbe: ecco una delle ragioni della sua crisi, e dell’accordo con Microsoft).

     Poi, esiste una larga maggioranza di persone (e non è detto che siano drogati di tecnologia), che
     desiderano dispositivi coerenti. Non hanno enormi pretese (“Purché funzioni”); ma vogliono
     che i compiti che affideranno all’apparecchio siano raggiungibili con il minimo sforzo.

     L’iPhone entra in un mercato dove per inserire un appuntamento nel Calendario, occorreva
     (semplifico ma nemmeno troppo), procedere in questo modo.

     Home; premere Menu azionando il tasto centrale presente proprio sotto il piccolo display;
     scorrere sino a Calendario o Organizer, premendo le frecce (parliamo sempre di tasti fisici,
     si capisce vero?). Raggiunto il calendario premere di nuovo il tasto centrale per accedervi.
     Selezionare “Agenda” (la prima voce), poi “Opzioni” per entrare in un altro menu, quindi altra
     selezione (“Crea nota”) e finalmente si inizia. Fermiamoci qui.
     Più o meno, questo è il tipo di operazioni che occorre portare a termine per arrivare nel
     Calendario. Lasciamo perdere su cosa è necessario fare per continuare.

     Lo stesso processo sull’iPhone. Si sblocca, si preme l'icona del Calendario, poi quella raffigurata
     da un segno "+" in alto a destra, per inserire il nuovo appuntamento o allarme che sia. Fine.

     Ecco la semplicità di Apple. Nessuno si era mai sognato di creare qualcosa di più immediato
     per inserire un contatto nella Rubrica. Non è un’operazione che si fa ogni tanto. L’iPhone riduce
     il tempo per farlo; e non è solo questo (e per molti è già tanto). L’intera architettura software si
     muove avendo come filo conduttore questa esigenza di rendere le cose comuni, raggiungibili
     con facilità. Senza troppi passaggi.
     La seconda carta vincente di Apple, quella che rende quel dispositivo e quello che verrà dopo,
     cardine di un ecosistema, è l’App Store.


     Anche in questo caso, Jobs e compagnia non lo annunciano subito. Soltanto a giugno del 2007,
     nel corso della Conferenza Mondiale degli Sviluppatori, comunica che il dispositivo accoglierà
     applicazioni scritte da sviluppatori indipendenti. Il che significa possibilità di guadagnare, di
     creare applicazioni un po’ diverse da quelle che si trovano sui computer, sfruttando proprio le
     peculiarità dell’iPhone.




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  • 1. Apple hi-tech tra arte e scienza di Marco Freccero 1
  • 2. Apple hi-tech tra arte e scienza INDICE pag. 3 Introduzione pag. 4 Come Apple re-inventò il computer pag. 9 Gli utenti Mac aumentano di numero... pag. 13 L’importanza del software pag. 18 Sarà la musica che gira intorno pag. 24 Da PowerPC a Intel pag. 28 La telefonia secondo Cupertino pag. 37 Mi chiamo iPad, e faccio la rivoluzione pag. 44 Un uomo chiamato Steve Jobs pag. 50 Le ciambelle senza buco pag. 53 Anche i Mac si rompono pag. 56 Apple pensa differente? 2
  • 3. Apple Introduzione Introduzione Apple, Apple, Apple. Ormai non c’è rivista di informatica, quotidiano, o canale televisivo, che non osservi con interesse, più spesso, con superficialità, quello che l’azienda ormai capitanata da Tim Cook, propone. Questo libro elettronico, ripercorre ma non in maniera scientifica e rigida, gli anni che vanno dal 1998, al 2011. Non è una fedele cronistoria; quindi il lettore non ci troverà Tutto-Ma-Proprio- Tutto-Anche-Quello-Che-Non-Avreste-Mai-Voluto-Chiedere. Nemmeno retroscena inediti, o una lunga e noiosa sequela di date. Piuttosto, è il tentativo di rivedere e ricordare, i passaggi fondamentali che hanno condotto l'azienda di Cupertino dal ruolo di cenerentola, ad attore fondamentale dell’innovazione e del profitto. L’ebook illustra quanto ha segnato la svolta sia per Apple, che per il mondo. L’influenza dell'azienda californiana sulla vita di tutti i giorni, è stata forte, e lo resterà ancora a lungo. E nasce da una semplice constatazione: dimostrare come una lontana realtà aziendale possa irrompere nella vita quotidiana di ciascuno. Cambiandola per sempre nella lingua, per esempio: adesso iPod è sinonimo di lettore mp3. Ma quando uscì, quante risate raccolse? Nokia era considerata l’azienda di telefonia mobile per antonomasia, e poi arrivò l’iPhone. Di fatto è in gravi difficoltà (o si dovrebbe dire dispersa?), e in compagnia di Microsoft cerca una possibile rivalsa. E Motorola? Per uscire dal vicolo cieco in cui si è cacciata ha dovuto accettare (di buon grado), l’acquisizione del motore di ricerca Google. Tutto questo è stato possibile grazie a un’azienda che a rigor di logica non avrebbe dovuto uscire dal perimetro entro cui era nata: l’informatica. Adesso dopo la musica, la telefonia, ha cambiato con l’iPad il rapporto con i computer. Certo, molti affermano che è un giocattolo costoso, e i PC resteranno sempre le macchine per chi fa sul serio. Ehi, è la stessa obiezione che si fece quando fu presentato il Macintosh, nel 1984! Comunque la si pensi, questo libro elettronico intende offrire uno sguardo frivolo ma sincero a una società che pur puntando al profitto, non ha mai smesso di immaginare un progresso davvero alla portata di tutti. E che buona parte del suo successo sia dovuto a Steve Jobs, mi pare inutile sottolinearlo ancora. Buona lettura 3
  • 4. Apple Come Apple re-inventò il computer Come Apple re-inventò il computer È il 6 maggio del 1998, e Steve Jobs, chiuso in una giacca scura (già, giacca, non le solite maglie nere con cui si è fato conoscere negli anni), presenta un nuovo computer destinato a cambiare le sorti dell'azienda. Si tratta dell’iMac. Il nome riprende quello del leggendario Macintosh che nel 1984 cambiò per sempre la storia dell’informatica. Quando si deve ricominciare, perché troppe cose sono andate o storte, oppure non nel modo sperato, spesso il modo migliore per farlo è tornare alle origini. Le origini, già. Apple ha vissuto vicende alterne ma difficili, soprattutto dopo la cacciata dello stesso Steve Jobs. Dopo di lui, una serie di amministratori delegati anche mediocri, senza quella visione indispensabile per un’azienda del genere, e solo di tanto in tanto qualche ottima idea. Come per esempio lo sviluppo della tecnologia QuickTime nel 1991; l’acquisto di Final Cut Pro da Macromedia, ora assorbita da Adobe. E troppi prodotti privi di identità, progetti annunciati, ma che non vedevano la luce, e finivano impantanati da qualche parte nelle varie parti del campus di Cupertino. Oppure, progetti geniali, come il Newton, un palmare che possiamo definire (forzando la mano: troppi anni, e tecnologia, sono passati tra l’uno e l’altro), antenato dell’iPad. Decisamente innovativo, troppo in anticipo sui suoi tempi, con qualche difetto di troppo almeno agli inizi (e una scarsa reattività dell'azienda a intervenire con successo sulle sue pecche). Quando fu maturo, venne ucciso dallo stesso Jobs, rientrato in Apple ancora in veste di amministratore delegato ad interim. Non era di quello che la società aveva bisogno. Mossa avventata? Vendetta postuma nei confronti di quel John Sculley da lui fortemente voluto in Apple, e che fu tra gli artefici della sua estromissione? Probabilmente, no. 4
  • 5. Apple Come Apple re-inventò il computer Il Newton muove i primi passi nel 1987, e proprio Sculley tratteggia l’idea di un dispositivo chiamato “Knowledge Navigator”. Nel 1998 Jobs, rientrato contro tutte le previsioni nell’azienda con cui aveva re-inventato l'informatica, si incarica di abbatterlo. Ma il dispositivo ha intanto ingoiato circa mezzo miliardo di Dollari di investimenti vari, vendendo all'incirca 300.000 pezzi. Ed entrando nella leggenda: chi ce l’ha, se lo tiene stretto. La domanda da porsi non è “Perché fu soppresso?”, bensì “Per quale perversione un’azienda si intestardisce per anni su un prodotto che vende poco?”. Questo in realtà è stato il sintomo di un malessere profondo, che ha rischiato di uccidere Apple. A Cupertino c’era troppo: troppi prodotti, progetti, idee. E la barca aveva qualche difficoltà a tracciare la rotta; sapeva da dove arrivava (Apple aveva rivoluzionato l'industria dei computer), aveva una vaga idea di dove si trovava. Ma nessuno che sapesse dire dove andare, e per fare cosa. L’eredità da gestire era pesante: aver introdotto l'interfaccia grafica, il mouse, e un computer per tutti, era stato esaltante, e bellissimo. Peccato che dopo di allora qualcosa si inceppa. Probabilmente, la responsabilità è dello stesso Jobs. Anche allora aveva uno straordinario talento visionario. Una capacità di motivare gli altri fuori del comune. Un’energia nel riuscire a ottenere sempre il meglio dai suoi collaboratori, che in breve lo aveva reso rispettato e temuto. Quello che forse gli mancava, era l’insuccesso. Quando infatti rientra in Apple, ha con sé il sogno infranto di NeXT, e l’ultima possibilità di riscattarsi. Dimostrare finalmente chi aveva ragione, e chi torto. Riprendere il discorso interrotto nel 1985, malamente proseguito con la NeXT, e concluderlo, o almeno condurlo dove era necessario per far sì che si tornasse a considerare l'informatica, un affare per tutti. Per molti, quando risale sul palco del Macworld di Boston nel 1998, è un pezzo di archeologia che ci riprova. Incuriosisce, perché è giovane, è stato geniale, e chissà che non riesca nel miracolo di combinare qualcosa di buono. Anche se nessuno saprebbe dire cosa. La presentazione dell’iMac, dunque. Per gli osservatori esterni, Apple è oramai un’azienda destinata a uscire di scena. Vive sugli allori, grazie alla gloria che fu, e a un manipolo di estimatori che il tempo condannerà a essere sempre più minoranza, per poi scomparire. Il mondo è cambiato, dicono tutti, è ridicolo non avere un PC con il sistema operativo prodotto da Microsoft. L’unica mossa vincente in una situazione del genere, potrebbe essere quello di saltare sul carro del vincitore, e battere le mani. Fare quello che gli altri costruttori hanno già da tempo adottato. In fondo, nel cimitero dei Grandi Innovatori sono finite illustre aziende, forse persino più illustri di Apple. Resistere, anche solo esistere, diventa inutile. Bill Gates ha appreso alla perfezione la lezione di Apple. Ha buttato fuori una mediocre versione di Windows nel 1985, e quando dieci anni dopo, arriva quella targata 95, è un successo enorme. Nel mezzo, anni di lavoro per migliorare il sistema operativo, e per stringere accordi coi produttori di PC. In modo che i sistemi operativi Windows siano naturalmente il compagno 5
  • 6. Apple Come Apple re-inventò il computer ideale di ogni computer, non importa la marca. Così Windows diventa lo standard; d’accordo ci sono state delle pratiche poco cristalline, ma quella è un’altra storia. Quando sul palco appare il nuovo iMac, gli “osservatori esperti” (quindi: pagati profumatamente), sbadigliano: per essi rappresenta il canto del cigno di un’azienda che solo un’acquisizione (la stessa Microsoft? Oppure Oracle?), può condurre dignitosamente da qualche parte; prima della definitiva morte. Basta osservare le caratteristiche tecniche della macchina (le caratteristiche tecniche mi raccomando: la gggente che lavora non si fa incantare da colori e altre idiozie), per avere la certezza di trovarsi di fronte a un aborto di macchina. • Non ha il floppy disk; • Sfodera la porta USB; • Non è espandibile. Vale a dire: non posso cambiargli processore, scheda grafica, in modo da renderlo potentissimo e instabile. Però se ho molto tempo da perdere acquisterò la fama di esperto nel risolvere i continui crash di sistema. Soprattutto, è ridicolo: tondeggiante, colorato, e quell’inutile “i” di fronte al nome, che strizza l'occhio a Internet. Perché nel 1998 Internet per tanti è una moda, e come tale, destinata a passare. Nel 1991, Microsoft registra il proprio nome di dominio, Apple lo aveva già fatto nel 1987. Lo scetticismo a proposito di quello che si poteva ottenere da questa roba chiamata appunto Internet, era abbastanza radicato. La sentenza di morte, a proposito del nuovo computer presentato da Steve Jobs, arriva praticamente subito; è uno dei pregi dell’essere esperto. La sentenza recita più o meno: sarà un fiasco salutare, perché almeno costringerà il consiglio di amministrazione a congedare Steve Jobs, con una buonuscita sostanziosa, e andare a caccia di qualcuno che voglia buttare un po’ di soldi in una società bollita. Del tutto misteriosamente, la macchina piace; forse perché sbarazzina? Ha un prezzo accessibile: il modello base viene proposto a 1299 Dollari, e non devi spendere niente di più per usarlo. Di più: vende. Fioccano le prenotazioni; sarà messo in vendita solo nel mese di agosto di quell’anno. Gli esperti però la sanno lunga e non si fanno certo cogliere impreparati da quello che sarà in seguito definito il primo tassello della rinascita dell’azienda di Cupertino. Per costoro, le vendite sono rappresentate esclusivamente dai fans di Apple, gente che comprerebbe qualunque cosa, purché con la mela mordicchiata incisa sopra. Ma chi lavora, o chi fa sul serio, non si mette in casa un giocattolo del genere. Si tratta di una mossa di puro marketing; quel colore, non è una faccenda capace di interessare quanti hanno bisogno di un vero computer. 6
  • 7. Apple Come Apple re-inventò il computer In realtà, ci sono una serie di elementi lampanti, che pochi colgono. Il primo: l’iMac è semplice da usare. Lo estrai dalla scatola, colleghi il cavo (un solo cavo) alla presa, il mouse e la tastiera al computer, e lo avvii. Basta. Sugli scaffali dei supermercati ci sono computer che richiedono tempo per collegare cavi, cavetti e cavini. Solo per quello, è necessario sfogliare l’opuscolo allegato. L’iMac invece, comunica una sensazione di ordine: le porte per collegarlo ai vari dispositivi esterni, sono tutte su un solo lato; di robustezza: sul retro c’è un bel maniglione per sollevarlo. Però ha uno schermo da 15 pollici (all'epoca la concorrenza viaggiava di solito sui 13/14); un processore G3 a 233 MHz; e poi modem, Ethernet, IrDA, altoparlanti stereo (beh, nulla di strabiliante), e diceva addio a connessioni vecchie. E di fatto, si poteva affermare che fosse il primo computer, che racchiudesse Internet, o meglio che riducesse in modo quasi oltraggioso tutta la fase propedeutica a un tale passo. Perché dopo averlo poggiato sul piano della propria scrivania, restava solo da collegarlo alla Rete. Era qualcosa di semplice. Sfacciatamente semplice. Ancora a proposito dell’apparenza. Della plastica colorata; lì c’è impresso il nuovo corso imposto da Steve Jobs ad Apple. L’esterno è il riflesso della cura per l’interno. Non è un semplice ornamento, un fiocco colorato messo su un banale ammasso di circuiti stampati. Si tratta di una filosofia differente, applicata al mercato di massa dei computer. Già: l’iMac tutto-in-uno (all-in-one come dicono gli statunitensi), è destinato innanzitutto a chi desidera un computer semplice da usare. Internet è lì, sta per diventare democratica, e sugli scaffali delle catene informatiche ci sono ancora un mucchio di computer tutti uguali; neri, arcigni. Per esserne parte, bisogna smanettare un po’, perché di fatto non ci sono macchine intuitive, pensate appositamente per la Rete. Il colore dell’iMac spezza la routine, suggerisce l'idea che una macchina del genere può essere bella, divertente. Per i sacerdoti dell’informazione, portatori della filosofia del: “Siamo dei duri, noi pensiamo solo a lavorare”, siamo di fronte a una trovata di marketing, perfetta per gli allocchi. Essi non si faranno mai turlupinare da Steve Jobs e dai suoi trucchi da prestigiatore da baraccone. Per chi invece subisce la Grande Truffa (che recita: L’informatica, Internet, è roba per pochi eletti, tutti gli altri devono penare e soffrire per avvicinarsi), l’iMac è la prova che così non è. Di più: che esiste un’azienda che pur puntando al profitto, desidera rendere l’accesso alla nuova rivoluzione in cammino, il più semplice possibile. Per questo, ha creato l’iMac. E le persone ringraziano nel solo modo che conoscono: comprandolo. 7
  • 8. Apple Come Apple re-inventò il computer Dopo un anno di vendite, si contano due milioni di iMac sulle scrivanie di mezzo mondo. Eppure tutti ripetono in coro: non ha floppy disk; ha la porta USB, e la revisione del mese di ottobre del 1999 peggiora la situazione: viene introdotta la connessione FireWire sul modello Slot Loading. Non è espandibile. Uscirà di scena nel gennaio del 2002 (il modello “Summer 2001” venne presentato nel luglio dell’anno prima). Non tutti i modelli sono azzeccati: quello affettuosamente chiamato “dalmata”, per via del disegno che richiama alla mente il mantello di quella razza canina. O il “Flower Power”, dove la plastica dell'involucro era una festa di colori un po’ troppo pacchiana. Lascerà spazio all’iMac con processore G4; ma di nuovo non ci sarà solo un processore nuovo, bensì un design ancora una volta rivoluzionario. Tutti si chiedevano: chissà cosa si inventeranno stavolta. Quando poi viene presentato, è un’altra occasione per discutere, ridere, o ammirare: a seconda della sponda che si occupa. E ancora una volta (sarà sempre così, oramai), da una parte chi guarda a queste soluzioni hardware innovative come a un semplice, e alla lunga noioso esercizio di stile. Perfetto per chi ha soldi da buttare, o vuole farsi notare, essere alla moda a ogni costo. Dall’altra, chi comprende che efficienza, potenza e semplicità d’uso possono coesistere all’interno di un computer bello. L’iMac G4, affettuosamente chiamato “lampadone”, è un’altra piccola delizia per gli occhi. Un altro successo per Apple. 8
  • 9. Apple Gli utenti Mac aumentano di numero... Gli utenti Mac aumentano di numero... Scusate i ricordi personali. Il primo computer per tutti o quasi, non può che essere un IBM. Grigio. Me lo ricordo ancora; era all’interno di un centro di formazione professionale, a Savona. Frequentavo un corso di formazione per magazzinieri, e assieme al computer, ci insegnarono qualche rudimento di software. L’anno era il 1988, o forse quello seguente; niente Windows (ancora). O meglio, c’era già da qualche anno, essendo il 1985 l’anno della versione 1.0. Su quelle macchine non c’era nulla del genere. Il Macintosh esisteva eccome, ma pochi lo sapevano. Quelle erano le macchine perfette per gestire realtà lavorative come i magazzini. Sbrigavano le faccende meglio delle persone si capisce, evitando il ricorso alla carta, e i compiti ripetitivi che in quei luoghi erano e sono, all’ordine del giorno. Non c’era nulla di creativo, curato o simpatico in quelle macchine. E se qualcuno pensa che adesso siano roba da preistoria, si sbaglia. Esistono aziende della grande distribuzione che ricorrono a quel tipo di macchine, limitate, stupide, prive di qualunque collegamento esterno; che non sia quello alla stampante. Però funzionano. Accanto, esiste il solito HP con l’ultima versione aggiornata di Windows, ma è fonte di guai: virus, incompatibilità, strani comportamenti, conflitti con periferiche con cui dialogava sino a che non è stato installato l’ultimo aggiornamento. Un magazzino che gestisce l’entrata e l’uscita di merce per migliaia di Euro ogni ora, oltre a organizzare il lavoro di decine di persone, non può permettersi di affidarsi a qualcosa che si blocca. Perciò Windows c’è, ma abbastanza distante da tutto ciò che è nevralgico. Il lavoro sporco (e delicato: inserimento della merce in entrata per esempio) è affidato a computer vecchi. Anche se non sono immuni da problemi, la loro soluzione è semplice, perché la gamma di grattacapi cui sono proni è ben conosciuta. Spesso sono lenti, lentissimi: ma va bene così, nessuna persona sana di mente pensa di liberarsene. L’apparizione del primo iMac fu qualcosa che sorprese. In Italia, si videro persino alcuni spot in televisione nel 1999, dopo che a gennaio fu presentato in 5 colori differenti. La canzone che faceva da colonna sonora era dei Rolling Stones; dopo aver dato a Microsoft “Start me up” per il lancio di Windows 95, alla società di Steve Jobs concedevano “She’s a rainbow”. No, nessuna conversione: ma una cosa chiamata “denaro”. A proposito di denaro: chi sceglie il Mac è ricco. Come no. Anche chi sceglie Windows non se la passa male, anzi. Spesso è ancora più ricco. Del sistema operativo di Microsoft sapevo che non mi piaceva. Che non garantiva quell’affidabilità che per me era indispensabile. Per anni ho svolto lavori distanti dall’informatica, 9
  • 10. Apple Gli utenti Mac aumentano di numero... per questa ragione era necessario possedere un computer che, pur coi suoi limiti e difetti, non mi sorprendesse con comportamenti sibillini. Prima ho scritto affidabilità: ma pure i Mac si guastano, eccome. Nulla è perfetto. Ma il mio criterio di affidabilità è un po’ diverso. La gente (gli amici soprattutto, ma non solo), raccomandano Windows perché ci colleghi tutte le periferiche al volo, e non hai problemi di compatibilità. Poi passi mezz’ora a far riconoscere una stupida stampante di una marca estremamente comune a uno stupido PC prodotto da un’azienda tra le più popolari, e a basso costo. Questo accade eccome, e se si verifica forse c’è qualcosa che non va. Se quella stampante viceversa viene riconosciuta al volo dal Mac, allora... Questo è un esempio di quello che io definisco affidabilità. Fare le cose più comuni rapidamente. Senza dover leggere istruzioni o opuscoli, frequentare forum, e via discorrendo. Il tempo è un risorsa preziosa, per questo ho sempre cercato quelle soluzioni che mi aiutassero a usarlo al meglio: una di queste è il Mac. Allora si trattava di un computer davvero di nicchia (e continua a esserlo pure oggi, ma meno di quei tempi), ma garantiva già una semplicità d’uso imbattibile. Ordinai un modello con processore G3 a 400 MHz, esattamente l’iMac DV con 64 MB di RAM e disco rigido da 10 GB. Prezzo in Lire: 2.999.000. A tutt’oggi è ancora funzionante, nonostante qualche problema al video, abbastanza tipico degli apparecchi a tubo catodico. In un breve lasso di tempo, sull’onda del successo sorprendente dell’iMac, accessori di vario genere iniziarono a sfoderare i colori. Addio all’aspetto truce e fintamente professionale, e si sbizzarriscono con il blu, il rosso, il verde. Come se un po’ tutti si fossero dati una manata in fronte, e avessero esclamato: “Ma perché non ci abbiamo mai pensato prima?”. Già, perché? Chi sceglieva il Mac, a quei tempi aveva a disposizione un parco di applicazioni non molto esteso. Per esempio c’era Internet Explorer per navigare il Web. La suite Mozilla (a quei tempi comprendeva non solo browser, ma un mucchio di altra roba), diventa il centro della vita online di molte persone che vogliono affrancarsi dalle soluzioni made in Microsoft. Per la posta (c’era Outlook, tornato di recente a bazzicare sulla nostra piattaforma, all’interno della suite Office), la scelta cadeva invece su Eudora: bruttino, un’interfaccia che resterà identica anche con l’arrivo di Mac OS X, presentava però una versione gratuita con una piccola finestra su cui scorrevano banner pubblicitari di prodotti e servizi statunitensi. Se non cliccavi, dopo un po’ di tempo capitava di ricevere un messaggio email che ti spiegava come lavorassero duro per fornire un buon prodotto, e che un minimo di attenzione era meglio dimostrarla! L’iMac cambia la prospettiva con cui le persone osservano il mondo. Attenzione: il mondo, perché il Web non è come alcuni credono, una parte della realtà cui si dedicano i malati di 10
  • 11. Apple Gli utenti Mac aumentano di numero... mente, o gli asociali. Non si diventa asociali, a meno che non si abbia già una simile patologia addosso. Quando uno strumento funziona, e non è invadente, permette all’individuo di focalizzarsi meglio sulle cose da fare. D’un tratto, vede le opportunità: decine. Centinaia. Il problema semmai, sorge qui. Qualcuno penserà: “No guarda, col PC è la stessa cosa. Non ci sono solo virus, interfacce grottesche, soluzioni al limite dell’autolesionismo. Anche il PC funziona e garantisce pane e companatico a milioni di utenti”. È vero. Però. Se posso ottenere le stesse cose, o persino di più, con una macchina che elimina quel superfluo spacciato per indispensabile o necessario, perché no? Se posso estrarre l’iMac da una scatola, collegare il cavo alla rete elettrica e navigare senza leggere istruzioni stampate su depliant, perché no? Se esiste un computer che permette di conseguire scopi e obiettivi evitando mal di capo, e offrendomi un ambiente utente confortevole e umano, perché no? Tutti le persone che conosco usano Windows; ancora oggi. In questo senso, sono un pessimo evangelista della piattaforma Mac; non ho mai convinto nessuno ad abbandonare i prodotti Microsoft. A Cupertino probabilmente mi detesterebbero. Credo che ciascuno debba scegliere in base a gusti, esigenze di lavoro e non, e risorse finanziarie. Che non si debba prestare troppa attenzione a recensioni, pareri più o meno illuminati. Se possibile, sarebbe meglio testare le macchine, anche solo per pochi minuti. E dopo scegliere. Mettendo però al centro di tutto la soluzione più semplice per l’utente; e piaccia o no, il Mac purtroppo non ha rivali. Perché purtroppo? A me piacerebbe che Microsoft si scrollasse di dosso un certo pattume che da anni appesantisce il suo sistema operativo. All’interno dell’azienda di Redmond esistono fior di ingegneri che conoscono perfettamente il loro lavoro. Hanno molto da dare. Credo non siano messi in condizione di agire come vorrebbero e dovrebbero; ed è un peccato. Buona parte di costoro ne sono consapevoli. Lavorano in un’azienda che ha una capacità finanziaria spaventosa. Eppure devono accontentarsi. Si dice da più parti che Windows 8 sarà la svolta che tutti attendono. Bene. Se così fosse Apple stessa sarebbe indotta a essere ancora più innovativa, e attenta ai propri prodotti. Di sicuro la gente se sceglie sempre più i computer dell’azienda di Cupertino, non lo fa per la macchina di marketing messa in campo. Non mi sembra che quella di Microsoft, o degli altri produttori di PC, sia da disprezzare, anzi. Le persone che conosco usano regolarmente e con profitto Windows, e applicazioni come Word e PowerPoint; lavorano. Eppure mi confessano candidamente di sentirsi “limitati”, incompetenti di fronte al loro Toshiba o Acer; posso arrabbiarmi? 11
  • 12. Apple Gli utenti Mac aumentano di numero... Non con loro; ma con Microsoft. Non puoi costringere gli individui a sentirsi in questo modo. Non desiderano essere esperti, o competenti; e nemmeno diventare sviluppatori e lanciare l’applicazione dell’anno guadagnando così un milione di Dollari in un mese. Ma quando qualcuno afferma di essere intimidito da una stupida macchina, allora c’è un problema di scarso rispetto per gli altri. Apple non è perfetta, anzi. Come Microsoft, e Google, punta al profitto. Ma uno dei suoi punti di forza è che mette a proprio agio le persone normali: quelli che desiderano un computer per navigare, scaricare la posta elettronica, ritoccare foto, montare i filmini delle vacanze a Bordighera. Se hanno un’esperienza con Windows alle loro spalle, saranno molto intimiditi anche da un Mac. Se non ne hanno alcuna, saranno solo intimiditi. Eppure dopo poche settimane hanno voglia di impegnarsi con maggiore vigore: aprire un blog. Imparare qualcosa di più a proposito della fotografia, del fotoritocco. Perché erano bloccati, rinchiusi da un sistema operativo che pretende di fare tutto, ma per conseguire questo obiettivo deve per forza tagliare fuori l’utente. Renderlo o mantenerlo come uno spettatore inoffensivo e fondamentalmente scemo, in perenne ansia perché forse quell’aggiornamento stravolgerà tutto. O la stampante da 30 euro, collegata al sistema operativo più popolare del mondo NON funzionerà. E occorrerà trascorrere un paio di ore su forum e affini a caccia di una soluzione; e costui tra sé e sé penserà: “Ho scelto Windows perché mi dicevano che era il più popolare, quindi avrei avuto meno problemi”. Già. Niente è perfetto a questo mondo, e Apple non fa eccezione. Però è un’azienda che permette di scegliere davvero. Vuoi essere uno smanettone? Nessun problema: Terminale, Xcode, e un mucchio di altri strumenti per programmare. Vuoi solo navigare, scaricare la posta? Ancora nessun problema. Lo farai senza mai essere costretto a deframmentare, o a digitare del codice perché hai acquistato della RAM che però Windows non riconosce, e allora devi improvvisarti esperto. E visto che non lo sei, andrai dall’assistenza sotto casa; c’è sempre un negozio di computer pronto a risolvere i guai che Redmond confeziona. E lì troverai persone che ti diranno: “Eh, capita, che ci vuol fare?”. Non deve capitare. Quando installo della RAM al riavvio deve essere riconosciuta, senza sperare, o essere poi costretti a ricorrere ad altri. Se questo non avviene, non deve essere imputato al caso, ma a precise scelte del quartier generale di Microsoft. I loro problemi (o le loro furbizie?), non devono essere scaricati sugli utenti. Se accade, è ora di voltare pagina. Di passare a un Mac, appunto. 12
  • 13. Apple L’importanza del software L'importanza del software Alcuni potrebbero pensare di essere alle prese con un capitolo inutile: è evidente che senza software, un computer è solo un soprammobile. Magari elegante, visto che stiamo parlando di Mac, ma sempre soprammobile. Sulla piattaforma Mac il software ha un peso, e una considerazione che il resto dell’informatica, si sogna; forse è possibile trovare qualcosa del genere in certe distribuzioni Linux, e visto che parliamo di lavoro portato avanti da programmatori volontari, tanto di cappello. Per chi osserva da fuori, si tratta di una fissa, sempre tesa a spennare i polli vendendo fumo, e niente arrosto. In realtà, al di là della cura dell’involucro, c’è tutto l’arrosto che si desidera. Facciamo un passo indietro. Quella che possiamo definire la rifondazione dell’hardware (con la presentazione del primo iMac, poi degli iBook, vale a dire i portatili colorati, presentati nell’estate del 1999, e dei PowerBook), passa anche attraverso la svolta software. Cioè l’addio di Mac OS 9 per Mac OS X. Verso la fine degli anni Novanta a Cupertino si svolge una riunione, cui partecipa ovviamente Steve Jobs. Il rientro nell’azienda che ha contribuito a fondare, ha segnato l’arrivo di energie fresche vale a dire uomini e donne provenienti dalla sua azienda NeXT, acquistata da Apple nel 1996 per circa 500 milioni di Dollari, e idee nuove. Queste idee rispondono al nome di NeXTStep, un sistema operativo con solide base Unix. La società di Cupertino da anni investe soldi alla ricerca di un sistema operativo che sostituisca il vecchio Mac OS 9, inadeguato praticamente a tutto. Di fatto, è sempre Mac OS 8 con qualche spruzzata di novità, ma tra questo e il System Software 6.0 del 1988 (secondo gli esperti, il migliore sistema operativo di quella generazione, e anche di quelle successive), non c’è molta differenza. Col rischio di semplificare: ci si è sempre limitati ad aggiungere funzioni, caratteristiche, rimandando la sua rifondazione alle calende greche. Le idee in proposito non mancano: per esempio Copland, il candidato più autorevole per mandare in pensione un sistema che affonda le sue radici ben prima del 1988. La situazione cambia con l’acquisizione da parte di Apple, di NeXT, e il ritorno di Jobs nella stanza dei bottoni. 13
  • 14. Apple L’importanza del software Nella riunione svoltasi in quella ormai lontana giornata a Cupertino, tra gli ingegneri e Jobs, questi si presenta a loro con una domanda: “Siete voi i ragazzi che hanno realizzato Mac OS?”. Alla loro risposta affermativa, Jobs dimostra d’essere come sempre una persona poco diplomatica: “Siete un branco di idioti”. Al di là della ruvidezza del carattere dell'uomo, quella frase ha il merito di dare la mazzata decisiva, a un sistema operativo che da anni aveva fatto il suo tempo. Uccide un modo di realizzare software e interfaccia, che era un semplice “copiare” e “incollare” menu e funzioni su qualcosa di già esistente. Tanto, prima o poi, qualcuno avrebbe sistemato le cose. E questo andazzo andava avanti da troppo tempo. Steve Jobs capisce una cosa: il mondo cambia (d’accordo, lo fa sempre). La nuova versione del sistema operativo deve essere qualcosa che taglia i ponti col passato, garantendo un minimo di retro-compatibilità. Ma diventa indispensabile tracciare una nuova rotta. Sino a poco prima, in Apple si lavorava per non “disturbare” le abitudini degli utenti; peccato che fossero vecchie. Per un mondo che stava tramontando. Arrivava, anzi c’era già, il Web. Era tempo di spingere le persone verso nuove sfide. Ci si creda o no, per Steve Jobs è soprattutto una faccenda di sfide. Da raccogliere; ma questo è possibile se Apple garantirà agli utenti vecchi e nuovi, hardware e software all’altezza. Con Mac OS 9 quando un’applicazione si bloccava, inchiodava l’intero sistema operativo (le indimenticabili “bombe”), costringendo l'utente a riavviare il computer. Con Mac OS X viceversa, si forza l’uscita solo di quella, e si procede. Col lavoro, o rilanciando di nuovo l’applicazione. I conflitti tra estensioni costringevano a riavvii per cercare di isolare quella “colpevole” e disattivarla; e non era sempre una faccenda veloce o semplice. Mac OS 9 non aveva la protezione della memoria (spiegato al volo: viene impedito a un processo di corrompere la memoria di un altro processo in corso). 14
  • 15. Apple L’importanza del software Nemmeno il multitasking preempitive. E che roba è? Il computer gestisce più processi, o cose da fare, ma la loro gestione è affidata al sistema operativo. Questo è appunto il multitasking. Preempitive significa che è possibile eseguire più operazioni senza intralci o conflitti. Mentre digito queste lettere con l’applicazione Pages, Time Machine effettua il backup dei dati, Mail scarica la posta, il mio programma per la gestione dei feed RSS mi informa delle ultime novità apparse sui siti cui sono abbonato. La precedenza viene ovviamente data a Pages, perché è l’applicazione in primo piano. Al processore viene ordinato di condividere i periodi di inattività con le altre applicazioni aperte, senza che niente venga mai rallentato o bloccato. Questi sono alcuni dei limiti di Mac OS 9, che saranno superati (per fortuna), da Mac OS X. Sono molte le similitudini tra NeXTStep, e quello che sarà appunto il sistema operativo di Apple per il terzo millennio. Soprattutto, oltre a essere robustissimo (affonda le sue radici in Unix, il più anziano, e per questo più affidabile tra i sistemi operativi disponibili), dovrà essere bello da vedere. Ancora con questa mania del bello, per di più legata a concetti tutto sommato secondari. Se una macchina, una tastiera, possono essere gradevoli alla vista, un sistema operativo perché diavolo deve essere “bello”? Basta che funzioni! Mac OS X funziona, eccome. Per gli utenti della mela mordicchiata che quasi ogni giorno avevano a che fare con blocchi di sistema, gentilmente offerti da Mac OS 9, sembra quasi di toccare il cielo con un dito. Prima di procedere, è bene ricordare un dettaglio. È inutile chiedere alle persone cosa desiderano in un’applicazione, o in un sistema operativo. Non lo sanno. E risponderebbero con affermazioni senz’altro sincere, ma inutili. Chi sentiva il bisogno dell’iPad? Di un cellulare come l’iPhone? Quanto senso aveva chiedere a un gruppo di utenti: “Che ne dici di un sistema operativo per apparecchi mobili, che si gestisca con le dita?”. La loro risposta sarebbe stata: “Cosa? Non scherziamo! Il mio Nokia è così bello! È perfetto.” 15
  • 16. Apple L’importanza del software Torniamo a ragionare del sistema operativo adesso. Se un’applicazione smette di rispondere ai comandi, basta scegliere“Uscita forzata”, selezionarla e forzarne l'uscita. Niente più riavvio del computer! Vedere un “kernel panic” (una finestra in quattro lingue, che impone il riavvio della macchina), è un fenomeno raro. Ma la riscossa della bellezza, della semplicità d’uso (lo affermava Leonardo da Vinci: “Le cose belle si usano meglio”), continua anche nel software. Mac OS X inizia a farsi conoscere con una beta pubblica, a pagamento, nel settembre del 2000. La versione definitiva arriverà sugli scaffali nel mese di marzo del 2001. Il cambiamento c’è eccome, è radicale, e resta (o torna?) l’attenzione di Apple per le cose ben fatte. Da parte di tutti gli utenti, c’è una grande attenzione al lavoro svolto dagli ingegneri. La sensazione che se ne ricava quasi al volo, un po’ epidermica e quindi poco interessante forse, è che a Cupertino, si è cambiato marcia. Niente è perfetto, e si è voluto troncare ogni rapporto col passato ; potevano mancare i critici? No, naturalmente. I più accaniti sono gli utenti Mac, non c’è bisogno di dirlo. Costoro iniziano a dire: Apple scegliendo un sistema operativo che si basa su Unix complica troppo il lavoro dell’utente inesperto. Sbaglia tutto insomma. L’interfaccia mangia troppe risorse, e ha difetti, o meglio, presenta aspetti cui non si è abituati, e occorre azzerare le proprie conoscenze, e re-imparare se non tutto, parecchio. Oltre a questo, le immancabili critiche di tutti gli altri. Inutile sforzo estetico. Solita confezione brillante, perfetta per accalappiare gli allocchi, eccetera eccetera. Come si intuisce, niente di nuovo sotto il sole. Il rito dello stroncare a prescindere quello che viene sfornato da Cupertino, si ripeterà puntuale a ogni novità presentata da Apple. D’altra parte, a quello serve un rito, giusto? A rassicurare: Loro sono i pazzi, Noi i sani. Dal punto di vista dell’utente che di computer non capisce molto, o sta provando a capire qualcosa, Mac OS X si presenta in modo simpatico, e risulta abbastanza efficace. E per capirlo, basta osservarlo un po’ con attenzione. La piccola icona del Finder, che si trova nel Dock, a sinistra: sorride. Nei dettagli ci sono scritte molte più cose di quanto possa sembrare. Indica la volontà di stabilire con l’utente un rapporto diverso. Dire “amichevole” può sembrare eccessivo; stiamo parlando di codice, di un oceano di istruzioni scritte da ingegneri. Ma se costoro fossero solo questo, ingegneri appunto, probabilmente non avremmo quell’icona che sorride. Avremmo qualcosa di serio perché l’informatica è una roba seria, per parrucconi, e chi non è esperto deve stare distante, possibilmente in condizione di inferiorità e mostrando rispetto. Lo stesso Dock è “animato”: scorrendo il puntatore del mouse sopra le icone presenti, queste ingrandiscono la loro dimensione. La finestra dell’applicazione, può essere spedita nel Dock con due effetti: “scala” o “genio”. Sono idiozie? Può darsi, anzi lo sono sicuramente: ma se un’azienda investe denaro, tempo e uomini per ottenere queste cose, ci sarà un motivo? Può essere liquidato con il termine “furbata”? Trovata di marketing (astuto ovviamente)? 16
  • 17. Apple L’importanza del software A me è capitato di vedere persone alla loro prima esperienza con il Mac, e dopo pochi minuti sentirli affermare “Bello”. Persone che sono negate, che quasi temono i computer e tutto quello che in qualche maniera è collegato a queste macchine; non è colpa loro. Ma di una certa tecnologia che si nasconde dietro paroloni, e sistemi operativi, concepiti da chi non vuole condividere nulla. Bensì perpetuare il distacco tra addetti ai lavori, e tutti gli altri. Piaccia o no, il 90% degli utenti di computer (non importa se Windows o Mac), sono esattamente così. Hanno dei pregiudizi che sono stati inculcati loro da un’informatica malata, da anni Ottanta. La stessa per intenderci, che all’apparizione del Macintosh nel 1984 liquidava quel computer come un giocattolo inutile. Perché aveva le cartelle, il cestino, ricorreva insomma alla metafora della scrivania; invece che usare, come fanno i duri alla Chuck Norris, la riga di comando. Quando queste persone incontrano un Mac, lo trovano bello non perché siano leggermente idioti; ma perché capiscono al volo (proprio come diceva Leonardo), che le cose belle sono più facili da usare. Il Mac, grazie al suo sistema operativo, è più facile da usare, perché bello. Curato nei dettagli. Apple non ha mai spinto il piede sull’acceleratore, con l’innovazione non ha mai esagerato, perché può essere perfino pericoloso: basti guardare cosa è successo al Newton. Da allora, procede quasi in maniera guardinga, senza strafare. Non di rado ha lavorato di cesello; magari effettuando correzioni minime. Con un obiettivo ben chiaro in testa: la persona che andrà a usare il Mac. Che non è un ingegnere, uno sviluppatore; ma Luca, Ernesto, Paola, Stefania. Spesso con un terrore sacro di combinare dei disastri, avvicinandosi a un computer. Almeno finché non trovano sulla loro strada un Mac. Che sorride. Senza il sistema operativo, un computer è un soprammobile, certo. La differenza risiede appunto nel modo in cui il codice che lo compone stabilisce una relazione con la persona; sta nel sistema operativo, appunto. I difetti non mancano, e dopo qualche mese di uso, anche all'utente inesperto, si renderà conto di una mancanza di omogeneità. Ma avrà ormai compiuto il balzo. Sarà entrato in contatto con una piattaforma che sorride. Che spende tempo e denaro per rendere l’uso del computer davvero alla portata di chiunque. 17
  • 18. Apple Sarà la musica che gira intorno Sarà la musica che gira intorno La situazione della musica online prima dell’arrivo di iTunes e soprattutto dell’iPod, è semplice. C’era un sistema di condivisione di file musicali chiamato Napster, che godeva di una popolarità immensa; dall’altra le case discografiche che strepitavano, urlavano, lanciavano anatemi, e stuoli di avvocati contro gli utenti. Già perché Napster naturalmente, permetteva agli utenti di scaricare ogni genere di musica, senza spendere un euro o dollaro che fosse. Certo, c’era il problema della qualità dei file, non eccelsa. Però questo non impediva a milioni di persone di continuare a scaricare. A quei tempi, pochi vedevano nella Rete un’opportunità per fare i soldi con la musica, e quasi nessuno aveva idea di come agire per creare un ecosistema tale da garantire all’utente quello che desiderava. Vale a dire, la musica a costi ragionevoli, e a un clic di distanza dal proprio computer. Le case discografiche prima sono traumatizzate dal successo di Napster, poi reagiscono. Ma un sistema che procede trascinando i suoi clienti in tribunale è destinato a collassare; o a essere sostituito da qualcosa di meglio. Accade proprio quello. C’è qualcuno che osserva. C’è qualcuno che ama la musica, osserva il successo di Napster, e si muove. Si tratta di Apple. Per prima cosa, nel 2000 acquista SoundJam MP, un’applicazione per gestire la musica sui computer Mac; e ovviamente anche gli sviluppatori che vi lavoravano. Dopo circa un anno, viene rilasciato iTunes, un software solo per Mac per la gestione della musica. Il solito prodotto made in Cupertino insomma, teso a fornire all’utente quello che gli serve senza andare a zonzo per il Web a caccia di alternative (che ci sono, e comunque proliferano). Siccome è parte del sistema operativo, diventa di fatto l’applicazione per antonomasia per la gestione della musica sui sistemi Mac. Intanto, Napster continua a gettare lo scompiglio nelle case discografiche, che partono al contrattacco e trascinano il software o meglio, il suo creatore, in tribunale. Ovviamente prevalgono; chiedono una montagna di denaro come risarcimento, e questo segna la fine del servizio. C’è un tentativo di convertirsi come servizio di musica a pagamento, finché nel 2002 viene venduto per 8 milioni di Dollari alla società Bertelsmann AG. Fine di Napster, e nessun inizio decente per la musica online. Il popolo della Rete ha capito perfettamente la dura lezione comminata dagli avvocati e dalle case discografiche. Come no. Per prima cosa, i servizi peer to peer si moltiplicano, e arriva anche BitTorrent che ha il pregio di essere più efficiente. Inutile spiegare a stampa, televisioni, e case discografiche, che si tratta di tecnologie “neutre”, usate con regolarità e alla luce del sole da fior di aziende (una delle tante: Blizzard, quella del gioco massicciamente online e multi-giocatore World Of Warcraft). Dappertutto un piagnisteo, geremiadi contro la Rete, e anche qualche spot di star, che 18
  • 19. Apple Sarà la musica che gira intorno invitano a non uccidere la musica. Che intanto, prospera, perché del tutto misteriosamente, nessuna rockstar finisce a vivere sotto un ponte. Per quanto le minacce siano ripetute con espressione sempre più truculenta, i dati delle repressioni pubblicizzate ad arte, e gli uffici legali lavorino a pieno regime, la situazione resta statica. Gli artisti indipendenti, senza contratto né santi in paradiso, il Web lo usano, e spesso con successo. Mentre le case discografiche per giustificare le loro azioni legali contro i siti peer- to-peer, affermano che la loro azione è per tutelare il lavoro degli esordienti, gli esordienti ritagliano la loro fetta di notorietà lanciandosi nella Rete. Nella fauci del nemico, ohibò. Manca l’idea vincente, la soluzione per vendere in Rete la musica, e che sia facile da usare, sicura. Eppure in giro ci sono un sacco di aziende, con un mucchio di soldi, che potrebbero inventarsi qualcosa. Innanzitutto c’è Sony: ha creato il walkman, produce computer, ha acquistato nel 1988 il catalogo musicale della CBS, è piena di ingegneri e bravi tecnici. Ma da lì non viene nulla. C’è Microsoft, la più grande software house del mondo, quella che con uno schiocco di dita, può chiamare a raccolta i più importanti produttori hardware, e inventarsi qualcosa. Mutismo. Ci pensa Apple, appunto. Come spesso accade, la società di Steve Jobs va in giro, annusa l’aria, osserva la mediocre offerta di dispositivi per ascoltare la musica. Sono brutti, poco agevoli da usare, con un mucchio di tasti che non aiutano l’utente ad avvicinarsi a essi. Guardandoli, si ha l’impressione che chi li produce non ne sia affatto convinto, e lo faccia quasi controvoglia. Sembra che i cd siano destinati a durare per molti decenni ancora. Come ama dire lo stesso Steve Jobs, c’era solo da unire i puntini, ma nessuno sembrava capace di farlo. Ricapitolando. C’è la musica, che tutti amano (per i libri non è così, purtroppo). C’è il Web, con la musica in mano alla pirateria. Ci sono gli interessi delle case discografiche e degli artisti da onorare, e i computer. C’è un'azienda californiana, Apple, che ha voglia di dire qualcosa di nuovo in un campo che non le appartiene; e che facendo i passi giusti potrebbe garantirle visibilità maggiore. Soprattutto sarebbe bello e interessante sorprendere la concorrenza (leggi: Microsoft, e i vari produttori di hardware), che vede nel mattone di due chili e mezzo (il computer portatile), l’unica fonte di reddito. Perché a forza di dominare in un settore, non ci si accorge che accanto, proprio accanto, ne stanno sorgendo altri, che in fatto di fatturato hanno parecchio da offrire. La musica smuove passioni, e denaro. Le persone sono a caccia di qualcosa che permetta loro di averla senza il rischio di virus o denunce, e rapidamente. Come diavolo si fa a unire tutte queste cose, dando loro un aspetto legale, semplice e soddisfacente per tutti? 19
  • 20. Apple Sarà la musica che gira intorno La risposta sarà un dispositivo chiamato iPod. Il nuovo dispositivo viene presentato nell’ottobre del 2001; è solo per Mac, ha una porta FireWire, 5 GB di capienza assicurata da un disco rigido Toshiba, ed è leggero e sottile. Sta in tasca, e ovviamente ha un aspetto che si fa notare: un modo come un altro per dire che è bello. Ha una ruota cliccabile che permette di navigare all'interno del database musicale che si possiede, e scovare una canzone tra mille, o duemila altri motivi, è davvero facile. Naturalmente, per i soliti esperti, questa è una mossa azzardata, inutile, e ridicola. Apple ha sbagliato tutto. Il dispositivo costa 399 Dollari (499 il modello da 10GB), e nessuna persona sana di mente acquisterà mai un aggeggio del genere. Anzi; è evidente che dopo il “colpo di fortuna” legato al lancio dell’iMac col tubo catodico, e colorato, e poi quello bianco, e lo schermo piatto, l’azienda per evitare il naufragio, cerca nuovi settori dove imporsi, ma sarà inutile. Sono alla canna del gas quelli di Cupertino, secondo costoro; non riescono a sfondare nel campo dei computer e ci provano da un’altra parte. Poveri loro. Almeno agli inizi, l’iPod si vende ma ha dalla sua i limiti tipici di un dispositivo alla sua prima uscita. Ma questo non è dovuto a un caso, o a una diabolica volontà di spremere gli utenti. Quando Apple entra in un nuovo settore (in questo caso, quello musicale), lo fa muovendosi con circospezione. In fondo, si tratta di un terreno vergine, dove gli esperti del settore (le case discografiche), non ci sono. Sono tutte nelle aule dei tribunali, a minacciare. E non sono granché d’aiuto. Essendo una piccola realtà, Apple deve fare attenzione a compiere le mosse giuste, che per forza di cose devono essere poche. Solo così si riesce a intervenire e a risolvere rapidamente eventuali lacune. Questa strategia, col senno di poi, diventa evidente anche ai sassi. Vediamole ancora, queste mosse. La prima: l’acquisizione di SoundJam MP. Se dentro il Mac sono già presenti le soluzioni software che mi servono, ne rafforzo l’appeal e offro all’utente un servizio (chiamiamolo così) gradito. Non devo perdere tempo a cercare altrove; anche se sarò sempre libero di farlo, ci mancherebbe. La seconda naturalmente, il lancio dell’iPod. Quest’ultimo piace. Interessa. Come sempre ha dalla sue le caratteristiche tipiche di un prodotto che esce dalle “officine” di Cupertino. Cura per i dettagli e via discorrendo. Per gli utenti Apple (a sghignazzare sono sempre gli esperti), una manna. Basta che Cupertino venda qualcosa, qualunque cosa, con il proprio marchio disegnato sopra, e si vende a carrettate. 20
  • 21. Apple Sarà la musica che gira intorno Inutile tentare di capire (sono sempre gli esperti a parlare); si tratta di persone così. In effetti ci sono persone così: ma ovunque. Non è una prerogativa Apple. E non si tratta di persone proprio così. Vogliono qualcosa di facile, perché la nostra vita è già abbastanza complicata. Basta vedere cosa riescono a realizzare quelli che producono le macchinette per la vendita dei biglietti nelle metropolitane. O i telecomandi. O i comandi per azionare il computer di bordo sulle automobili. Almeno a casa, la sera, la gente vuole un computer semplice; e magari già che ci siamo, un lettore mp3 anch’esso non complicato. Perché vuole ascoltare della musica, non leggere chilometriche istruzioni per capire come avviarlo. Torniamo adesso a noi. Nel 2002 arriva la seconda generazione del lettore musicale; nel 2003 la terza, assieme però all’ultimo anello della catena: lo Store musicale. Che viene chiamato iTunes Music Store (per contrarsi in iTunes Store nel 2006). E, ultimo anello, quello che metterà il turbo alle vendite: la compatibilità con la piattaforma Windows. Da lì in avanti è il successo: per l’iPod però. In maniera prima lenta, poi sempre più inesorabile, il dispositivo musicale di Apple diventa uno schiacciasassi poderoso. Molti credono che la fortuna della società sia la musica; in realtà la musica serve solo a vendere il dispositivo. Lì la società di Cupertino fa i soldi a palate, non nelle canzonette. E diventa forte, molto. Questa forza, attira le giuste critiche degli utenti, a proposito di un dettaglio che tale non è: il DRM. Un passo indietro. Quando le case discografiche ascoltano la proposta di Apple di un negozio musicale online, naturalmente sono scettiche: è più divertente foraggiare gli avvocati che prendere atto della necessità di qualcosa di nuovo, vero? Ma danno il loro assenso, a una sola condizione: imporre il DRM ai brani musicali. Perché accettano la proposta di Apple? Perché immaginano che fallisca, che non riesca nell’intento. Se accadrà questo, chi si romperà le ossa, sarà appunto la società di Steve Jobs, e loro a quel punto potranno dire: “Vedete? Sul Web non è possibile vendere davvero la musica. Meglio gli avvocati!”. Se al contrario la faccenda funziona, potranno affermare di essere state delle aziende lungimiranti, in grado di collaborare attivamente e senza pregiudizi in un settore per loro inedito. Il DRM è un acronimo per indicare una protezione digitale che limita i diritti dell’utente nella gestione dei brani musicali che ha acquistato. Attenzione: ha acquistato. Questo è un dettaglio che Sony e le altre realtà musicali fanno finta di non vedere. Io compro coi miei soldi, e altri decidono cosa posso fare della mia roba. Non credo esista nel mondo un altro settore dove qualcuno si arroghi un tale diritto. Che in realtà è un sopruso, ma soprattutto, è un atto di accusa verso gli utenti. Perché se vendo qualcosa col lucchetto, è perché presumo che l’acquirente sia un potenziale 21
  • 22. Apple Sarà la musica che gira intorno ladro, oppure un complice di qualche malfattore. I pirati intanto, del DRM se ne infischiano, e lo craccano con enorme facilità. Gli onesti, pagano, e si trovano legati: a Napoli dicono cornuti e mazziati. Apple per portare in porto la sua idea di Store musicale accetta il DRM. La protesta sale, finché Steve Jobs spiega in una lettera aperta, e pubblicata sul sito Apple, la sua posizione. In sostanza: non potevamo agire diversamente. Lui stesso ritiene che sia un qualcosa di inutile, e invita gli utenti a farsi sentire presso chi quel DRM lo vuole. Vale a dire Sony, EMI (e sarà la prima a scegliere di abbandonare il lucchetto digitale, nell’aprile del 2007) e Vivendi. Nel gennaio del 2009, i brani musicali presenti sull’iTunes Store, perdono questa grottesca protezione. Però: chi desidera aggiornare quella già acquistata alla nuova condizione, dovrà pagare. E mediamente, il prezzo dei brani si modifica, ma verso l’alto. Il DRM resta sui film in vendita sull’iTunes Store. Questo è un altro ridicolo cappio che le case cinematografiche stavolta, impongono agli utenti. La speranza è che si decidano a spedirlo in soffitta, dove merita di restare per sempre. Quanto è stato potente l’arrivo dell’iPod sul mercato musicale e non solo? Possiamo affermare che l’iPod ha creato un nuovo modo di definire un lettore musicale. Si chiama iPod qualunque aggeggio con un paio di cuffie che si infilano nelle orecchie. Ovunque o quasi accessori, e/o cloni. Adesso l’iTunes Store si è ampliato nell'offerta. Oltre alla musica, abbiamo video, film (quelli italiani stanno arrivando), podcast, audiobooks e soprattutto iTunes U. Il canale dedicato alle Università, dove finalmente è possibile trovare anche un bel po’ di materiale prodotto dagli atenei italiani, e scaricabile gratis. Però è meglio riflettere su quello che Apple ha combinato. Produceva computer; e ancora adesso lo fa, per fortuna. Si è inventata da zero un business che in fondo non le apparteneva neanche un po’. Sul mercato statunitense, iTunes Store non ha rivali: l'unico che prova a fargli il solletico è Amazon. Ma basta vedere chi sono quelli che hanno provato a lanciare un servizio analogo per capire che non era solo una questione di musica. Anche Virgin, Wal-Mart e Coca-cola hanno lanciato un negozio musicale online. Il primo chiude i battenti nel settembre del 2007. Il secondo resiste, ma distante anche dai fasti di Amazon. Il terzo nel luglio del 2006 saluta e se ne va. Per quale ragione? 22
  • 23. Apple Sarà la musica che gira intorno Semplice, non avevano un iPod. Adesso la sua stella si sta lentamente offuscando; è nato quello touch, lo shuffle, il mini, il nano, mentre quello classico (riveduto e corretto), è sempre lì. Quello che molti non comprendono, e che qualche riga fa ho appena accennato, è che la fortuna di Apple nel campo musicale, deriva da due fattori. Il primo: aver messo a punto un sistema vincente, con un’offerta di canzoni a cui non si può dire di no. Ed è tutto lì, a portata di clic. Al centro di questo sistema, l’applicazione iTunes (su cui ci sarebbero anche da dire parecchie cose poco carine, parlando di interfaccia e coerenza coi dettami di Apple stessa; ma sorvoliamo), che con pochi clic permette l’acquisto. Buona parte di noi ha un problema: gli manca il tempo. Non importa che questo sia impiegato male; ciascuno di noi ama la musica, ma non è disposto a passare ore e ore sulla Rete a cercare il peer to peer da cui scaricare illegalmente la musica. Oltre a essere riprovevole, e passibile di sanzioni. Quelle ore, sono sprecate: rubate allo studio, alla famiglia, al divertimento vero. Ma c’è l’iTunes Store: pochi clic e la musica diventa mia. Diventa mia. Le case discografiche, e non solo loro a dire il vero, hanno spinto per anni nella direzione differente: affittare la musica. Geniale, non c’è che dire. Finché paghi ascolti, ma dal momento che non rinnovi più l’abbonamento perdi pure la tua musica. Da questo si capisce che chi gestisce queste aziende, non ama affatto la musica. Altrimenti saprebbe che le persone desiderano possedere le canzoni. Questa è stata sin dall’inizio la posizione di Apple, e resta la direttrice principale. Si arriverà comunque all’affitto della musica? Può darsi, mai dire mai: di certo resterà un’opzione del tutto marginale dell’offerta musicale. Il secondo fattore: l’iPod, si capisce. Ha bisogno delle canzoni, altrimenti sarebbe solo un fermacarte. Ma quella, è una “torta” che di fatto finisce in pasto alle case discografiche. Agli autori. E poi occorre mantenerla efficiente e ben oliata, e questo costa. Chi crede che Apple faccia i soldi a palate con la musica, sbaglia di grosso. Più o meno, arriva al pareggio. Per Cupertino la musica, è un tassello fondamentale per riuscire a mettere nelle tasche del maggior numero possibile di persone, proprio l’iPod. Ma mentre le canzoni sono qualcosa che non appartiene ad Apple, sul dispositivo al contrario detiene un controllo totale. Per anni, 23
  • 24. Apple Da PowerPC a Intel l’iPod è una macchina che macina denaro. Persino nel primo quarto fiscale, svelato a gennaio 2011, ne vende un po’ meno di 20 milioni. Sì, la sua stella tra iPhone e iPad si sta offuscando. Il modello classico, l’unico equipaggiato ancora con un disco rigido, viene dato per morto ogni 6 mesi. Eppure è sempre lì. Da PowerPC a Intel Accade qualcosa di incredibile, un giorno. Una specie di rivoluzione copernicana. Una data che per tanti utenti Mac è la fine di un certo mondo; o proprio del mondo? Alcuni, dopo di allora affermeranno che se la società di Steve Jobs ha iniziato a “scivolare” (verso dove? Boh!), è a causa della sciagurata scelta, e della conseguente decisione, di saltare lo steccato. Il 6 giugno del 2005 Steve Jobs sale sul palco della WWDC, vale a dire la Conferenza Mondiale degli Sviluppatori Apple. E fa l’annuncio: presto, i computer Mac useranno solo chip Intel. Addio perciò ai PowerPC: potenzialmente efficienti, migliori rispetto a quello che è presente sul mercato. Ma un’azienda non può permettersi di aspettare, di sperare, di attendere i comodi degli altri. Non lo farebbe una grande, figuriamoci Apple che o distacca tutta la concorrenza di una lunghezza, o boccheggia e affonda. Da tempo nelle segrete stanze di Cupertino, c’era chi faceva girare Mac OS X su macchine Intel, proprio per essere pronti al balzo. Mentre i siti di “rumors” davano per certo l’arrivo del processore G5 sui portatili, Apple architettava lo scherzo più incredibile della sua storia recente. A ennesima dimostrazione di quanto siano affidabili le voci di corridoio. La verità era più semplice: non ci sarebbe mai stato un G5 sui portatili. Dopo si è scritto e detto che IBM (assieme a Freescale, società di Motorola, produceva appunto i processori PowerPC), pretendeva più soldi da Apple per costruire quello che voleva. Che un maggior coinvolgimento dell’azienda di Jobs, oltre a quello finanziario, avrebbe potuto cambiare le cose. Ma ormai si tratta(va) di questioni di lana caprina. La mossa viene criticata anche da molti utenti Apple. Arriveranno i cloni, in massa. Non ci sarà più alcuna ragione per continuare ad acquistare hardware con la mela mordicchiata; come se prima ce ne fossero state. Da sempre acquistare un PC con Windows è ragionevole: costa meno, è popolare, bla bla bla. Quando si decide di compiere il salto, lo si fa sotto la spinta di una differente motivazione. 24
  • 25. Apple Da PowerPC a Intel I cloni arrivano? Qualcosa in effetti si muove; e muore. Compare Psystar, una società che vende hardware PC su cui gira Mac OS X. La faccenda finisce ovviamente in tribunale, con Apple che non vuole che i suoi prodotti software siano installati su macchine che non siano le sue; e i proprietari dell’azienda che rivendicano il diritto di farlo. Come finirà è persino troppo ovvio: Psystar chiude i battenti. Il problema però non è Apple che in forza dei suoi numeri schiaccia la libera iniziativa di pochi e coraggiosi. Darwin (il “nucleo” Open Source di Mac OS X), si può scaricare liberamente: da qui. Non è illegale. A nessuno è vietato di mettere su quel codice (cui collaborano attivamente anche gli ingegneri di Apple), un’interfaccia di propria creazione, oppure di scegliere Kde. E il risultato girerà su un qualunque PC. Certo, occorre lavorarci, ed è un impegno che pochi, e maledettamente bravi, si possono permettere. O meglio: solo grandi aziende possono fare, con la speranza di ottenere qualcosa di buono. Sarebbe infatti più a portata di un’azienda come Sony. Attenzione, non dico che sarebbe più facile, perché si tratterebbe comunque di impiegare uomini e risorse per anni, su un progetto radicalmente differente. Per questo ci si accontenta di Windows: gira su qualunque cosa. Lo fa male? Di certo vicino casa troverai l’immancabile negozietto con dietro il bancone un sorridente addetto che stringendosi nelle spalle, dirà: “Eh, succede”. Un altro aspetto da considerare: in Apple hardware e software viaggiano a braccetto. Proprio perché il sistema operativo viene installato su un limitato numero di macchine, ogni dettaglio è curato. La filiera in un certo senso, è saldamente in mano di Cupertino; qualora si scegliesse di farlo girare anche su PC, di fatto la piattaforma imploderebbe. Mancherebbero le forze e le risorse per garantire la compatibilità sui Dell, Toshiba, Sony, HP, Acer. Prendiamo proprio Dell, e i suoi computer da scrivania. L’azienda sul suo sito a settembre 2011 sfodera 3 linee: Inspiron, Dell Studio XPS e Alienware (oltre ai modelli con monitor tattile; la pagina si apre ma c’è solo il link per attivare la chat). Ogni linea di computer è di fatto una famiglia, dove sono presenti diversi modelli. Spesso con monitor (quando sono presenti), differenti; con processori che variano; con schede grafiche diverse. E stiamo parlando di UNA linea, lasciando da parte le altre. Garantire a tutte la medesima compatibilità non è possibile; per Apple, ma nemmeno per Microsoft, sempre a rincorrere. L’iMac è una famiglia con quattro modelli. Il Mac Pro, idem (anche se una è denominata “Server”). Il ventaglio di specifiche da seguire è infinitamente minore, e tutte in mano al produttore. Il controllo aziendale c’è, è anche serrato sia lato hardware che software; ma per prima cosa si offre all’utente maggiore chiarezza. Districarsi su un sito Dell o Acer per capire quale sia il computer che fa per me, è una piccola, grande impresa. 25
  • 26. Apple Da PowerPC a Intel La medesima operazione su quello Apple è più semplice anche per l’inesperto. Psystar (l’azienda che produceva cloni), ci ha provato. Comprava i DVD di Mac OS X, assemblava un po’ di hardware raccogliticcio, forniva dietro il pagamento di 50 Dollari, un software chiamato “Rebel EFI” per far girare il sistema operativo di Apple sui PC, e voilà. Non c’è stato nessun tentativo di uccidere la libera iniziativa. Che resta libera e alla portata di chiunque: Darwin è sempre lì, pronto a essere scaricato, esattamente come le interfacce grafiche. Quello che non si può fare (e non lo si può fare con chiunque, non solo con Apple), è prendere il lavoro altrui, e sfruttarlo per tentare di arricchirsi. Si era scritto e detto che con il passaggio ai processori Intel le persone non avrebbero speso un Euro per acquistare computer Apple. Ormai, la società di Steve Jobs produce anche iPod, iPhone e iPad. Ma la profezia di tanti profeti, non si è avverata. Non si sono mai venduti così tanti Mac come in questo periodo: tutti con chip Intel, ovviamente. Così torniamo al cuore della strategia di Apple: l’esperienza utente. Quindi: software che funziona, solido, flessibile, potente. Hardware elegante, concepito e realizzato per lavorare alla perfezione col software. Soprattutto, concepito da ingegneri, per persone normali. Anche per smanettoni (il Terminale a quello serve, e non c’è solo quello), ma realizzato per offrire all’individuo un’esperienza di uso amichevole. Che non spaventi, e lo induca a osservare con maggiore fiducia se stesso. A intravedere oltre il computer le potenzialità che la Rete offre a chiunque. Un esempio: iTunes, e la sua interfaccia. Si può dire che sia leggermente spaventosa? Sì, è proprio così. Si “comporta” come nessun’altra applicazione fa, è in palese contraddizione con quanto Apple stessa afferma nelle sue linee guida per il design delle interfaccia. Però: attraverso di essa è possibile ad esempio, scaricare dei podcast in inglese, francese, cinese, e imparare oppure perfezionare una lingua. Con Windows tutto questo è possibile (iTunes è disponibile anche per i sistemi Microsoft); col Macintosh però giunge al termine di un’esperienza dove anche l’inesperto sente che ogni dettaglio è stato pensato per lui. Ogni dettaglio del sistema operativo. Ho scritto sente, ma in realtà si tratta di un’esperienza più sottile. Ci si trova cioè all’interno di un ecosistema differente (se proviene da Windows), o nuovo (se invece il Mac è il suo primo computer), non ostile. In fondo ciascuno di noi ha a che fare con la tecnologia ogni giorno. Acquistare un biglietto per la metropolitana, l’autobus, o il treno attraverso una delle macchinette presenti ormai un po’ ovunque è tutto tranne che un’esperienza “amichevole”. Ma non è colpa del singolo, lo riscrivo: bensì di chi ha ideato e realizzato quei dispositivi. Spesso anche configurare i canali televisivi sul digitale terrestre richiede la lettura di un opuscolo che non fa altro che elencare i pregi dell’apparecchio, oltre che a complimentarsi con l’acquirente per l’ottimo acquisto. 26
  • 27. Apple Da PowerPC a Intel Apple dimostra coi fatti che è possibile lavorare in maniera differente, per ottenere prodotti migliori. Poi è evidente che sarà la persona ad avere l’ultima parola, e a decidere cosa combinare. Però la società di Cupertino mette a disposizione strumenti che si presentano a noi in pace. Pur con tutti i difetti presenti, è fuor di dubbio che al primo posto si mette l’utente; che si tratti di iMac, iPad o iPhone, oppure l’iPad. Lo stress da tecnologia, cala con il Mac. Alla fine dei discorsi, delle critiche, quale sia il processore che equipaggia i computer di Cupertino, è diventato irrilevante. È stato importante passare ai chip Intel, poiché non era più possibile continuare ad attendere quello di cui c’era bisogno. Senza questa mossa, Apple sarebbe finita in un vicolo cieco. Si tratta dei migliori processori in giro? Diciamo che sono i più popolari, e che Intel ha fatto alcuni passi nella giusta direzione. La piattaforma PowerPC era migliore della concorrenza, allora come oggi? Può darsi, anzi in certi compiti lo era e lo è ancora adesso (beh, quasi). Però questi sono elementi che sempre più apparterranno al passato. La potenza del processore, i clock: non interessano più. O meglio: sono argomenti che appartengono a una cerchia ristretta di persone che con il computer ci lavora sul serio, e rappresentano una percentuale minima. Di solito, chi parla così tanto di GHz, non ha da fare altro che scaricare software piratato, usare la chat, la posta elettronica, navigare sul Web, e 3 ore di Farmville su Facebook. E basta. La Rete pretende strumenti semplici da usare, e affidabili; ci sono troppe cose buone la fuori per perdersele a configurare una stampante che Windows dovrebbe riconoscere al volo. Quasi nessuno conosce il processore che viene montato sull’iPad o l’iPhone; non importa. Qualcuno chiede quanta RAM ci giri? Pochissimi. Però prendere una nota o aggiungere un contatto alla Rubrica Indirizzi di un iPhone è un compito banale; su certi modelli di Nokia, meno. Quello che balza agli occhi è che l’iPad permette a un mucchio di persone di usare un dispositivo infischiandosene di prestazioni, mouse, cartelle e metafora della scrivania. E lo stesso per il Mac: funziona. Cosa ci sia dentro, è una questione che non appassiona il 95% degli utenti che lo usano. Perché quello vogliono fare: usarlo. 27
  • 28. Apple La telefonia secondo Cupertino La telefonia secondo Cupertino La telefonia da anni è un business colossale, in mano ad aziende di tutto rispetto. Mangiano pane e telefono. Producono modelli più o meno a getto continuo, e per tutte le tasche. Si tratta di un settore che va bene, si fa innovazione, e tutti sono contenti dell'andazzo. Non importa che l’innovazione si limiti a “nuovi” modelli a scadenza ravvicinata; magari coi pulsanti più grandi, oppure più piccoli, oppure di un nuovo tipo di case, o ancora le dimensioni dello schermo aumentate un poco. In fondo, si tratta di permettere alle persone di telefonare. Di aggiungere nuovi contatti alla loro rubrica indirizzi. Di inviare SMS, MMS, scattare qualche foto, e navigare, poco, su Internet. Quello vuole la gente, e quello ottiene. Poi qualche giochino. Per chi fa invece sul serio, perché il telefonino è un dispositivo di lavoro, nessun problema: esiste RIM. La società canadese produce telefoni particolari, tanto da meritare l’appellativo di smartphone, che oltre alle solite cose tipiche di un telefono, permette molto altro. Si tratta di un settore piccolo, remunerativo, ed estremamente limitato perché si tratta di dispositivi dedicati soprattutto a manager, e i prodotti RIM trovano il loro sbocco naturale nelle aziende. Cosa accade? Nulla. Il panorama non è dissimile da quello che c’era prima, in altri settori. Prima di cosa? Prima che Apple decidesse di entrarci. Era già accaduto. Nel 1984 viene presentato un computer, il Macintosh: ma di computer ce n’erano già. Poi è il turno dell’iMac: nient’altro che la lezione degli anni Ottanta, trasferita alla fine degli anni Novanta, e applicata al mondo che va verso Internet, tra l’indifferenza di molte, troppe aziende di computer. Trascorrono gli anni, e voilà l’iPod. Ma di lettori mp3 era pieno il mondo. Il bello di Apple è che si limita a re-inventare la ruota. Dopo tutti a dire e a ripetere: ma certo, perché non ci abbiamo pensato prima? E mentre sono lì a darsi manate in fronte, la società di Cupertino allunga il passo, acquista un vantaggio che difficilmente sarà possibile colmare. Per un attimo, torniamo all’iPod; sta ormai arrivando a fine corsa. Ogni trimestre, se ne vendono un po’ meno. In parte è fisiologico perché il mercato (o meglio: i mercati che contano, quelli che fanno ingrassare i profitti), tendono a saturarsi. E sono Stati Uniti, Europa, Giappone, Australia/ Nuova Zelanda. Gli altri sono ancora più grandi (basti pensare all’Africa), ma non sono molto ambiti dalle aziende. Ma la fine del dispositivo mp3 di Apple è dovuto anche a un altro fattore: che si chiama iPhone. Non sono molte le aziende al mondo che riescono in un’impresa del genere: creare un business colossale, e senza aspettare che si esaurisca, o che la concorrenza in qualche modo si organizzi e passi al contrattacco, si sposta altrove. 28
  • 29. Apple La telefonia secondo Cupertino Sony aveva aiutato il settore musicale e le proprie finanze, con il walkman; e lì è rimasta. Non è stata in grado, nonostante la forza economica, e il possesso di una casa discografica, di innovare raccogliendo la sfida che Napster le aveva lanciato. Apple non ha atteso che l’iPod arrivasse a fine corsa. Ha riacceso i motori, ed è andata all’assalto di un altro settore. Quello dei telefoni cellulari, appunto. La telefonia mobile dagli anni '90, è diventata enormemente popolare: tutti hanno un cellulare. Soprattutto, nonostante sia recente, è un settore che puzza di vecchio. E impone a chi si arrende all’acquisto di un cellulare, una serie di modi e abitudini, di fatto derivate dai telefoni fissi. Perché quello è: un telefono senza fili. Che si riduce nelle dimensioni. Oppure si apre a conchiglia. Magari adotta qualche colore; la lezione del vecchio iMac G3 continua a influenzare certi uffici di marketing senza idee. Ma hanno un po’ tutti schermi piccoli, con icone dell’interfaccia non solo brutte, ma soprattutto poco comprensibili. In questo settore statico, dominato da grossi produttori che sfornano nuovi modelli come se fossero panini, c’è bisogno di qualcosa di nuovo. Ma da dove iniziare? E chi può provarci? Apple, esatto. Per prima cosa, occorre analizzare i prodotti della concorrenza. Individuarne i punti deboli, e poi concentrarsi solo sulle cose essenziali. Non badare a quello che il mercato vuole (è chiuso e dominato da prodotti sostanzialmente identici), e nemmeno chiedere agli utenti cosa desiderano davvero. Sono abituati male, e le loro risposte, anche se ci fossero, non sarebbero utili. Apple inizia a ragionare su due basi: semplicità e bellezza. Telefonare è semplice coi cellulari? Sì, se ci si accontenta. Ma visto che non sono più tali, e contengono sveglia, calendario, rubrica indirizzi, e altre funzioni, forse bisogna azzerare ogni cosa, e partire da qui. Fare finta che non ci sia nulla, che anni di brutti modelli tutti uguali, non ci siano mai stati. Se si acquista un nuovo modello della stessa marca, non di rado occorre re-imparare qualcosa, se non addirittura tutto. Ma questo non sembra importare a nessuno. Non ai produttori di cellulari, che inventano modelli dalle forme strane, e con menu per la navigazione tutt’altro che intuitivi. Non agli ingegneri che spingono un po’ più in là le caratteristiche tecniche di certi modelli, che li rendono un po’ più potenti, e poco altro. Nemmeno gli utenti saprebbero dire su che cosa intervenire, e come. Se si abituano le persone al brutto, alla fine arriveranno ad apprezzarlo. Oppure a non vederlo nemmeno, a non considerarlo tale, ma solo come un piccolo prezzo da pagare. 29
  • 30. Apple La telefonia secondo Cupertino E il marketing? È l’unico settore che deve spremersi davvero le meningi per inventare nuove strade con cui proporre agli acquirenti l’acquisto del cellulare “A” invece del “B”. Si capisce: se è in atto una sostanziale omologazione dei modelli (a parte qualche sprazzo di Nokia, che però non ha l’immaginazione o il coraggio di proseguire), nonostante la supremazia, di proporre qualcosa di diverso. Questo è il mercato della telefonia mobile, prima dell’iPhone. Ma c’è un altro mercato che è lì, e sonnecchia. Aspetta forse qualcosa che gli metta il turbo: l’Internet mobile. La gente si sposta, e se deve farlo per lavoro porta con sé il portatile, certo. Poi magari non devono farci grandi cose. Sarebbe bello se invece di quello, ci fosse anche qualcosa di piccolo, semplice, che offra la possibilità di verificare la posta elettronica senza aprire il portatile. Di navigare. Tutto dentro un dispositivo con menu e icone colorate, nitide, intuitive, e la possibilità di aggiungere o togliere un contatto, con poche mosse. Magari ricorrendo alle dita. Magari un solo modello, invece delle decine di Nokia, su cui convergano i tre compiti che si richiedono a un cellulare. Telefonare; navigare; ascoltare musica. In realtà, Apple era già entrata nella telefonia mobile; grazie alla collaborazione con Motorola, era stato presentato un cellulare mediocre, chiamato ROKR, con iTunes incorporato. L’esperienza aveva lasciato scettici e delusi un po’ tutti: il design del cellulare era infatti di Motorola, e si vedeva chiaramente che Cupertino non aveva nemmeno messo gli occhi su quel prodotto. Resta da capire il perché di quella mossa, forse necessaria per permettere a un’azienda di computer, con una forte esperienza di musica online, ma nessuna di telefonia, di farsi le ossa in un settore per lei assolutamente nuovo, e sconosciuto. Non ci si improvvisa venditori di cellulari senza sapere con assoluta precisione cosa c’è da fare, e come muoversi. Questo è uno dei tanti aspetti che sono regolarmente ignorati. Il successo dell’iPhone è stato stellare non perché frutto di fortuna; ma perché Apple ha studiato. Comunicazioni, infrastrutture, tutta roba che una società che produce calcolatori non sa, e non è tenuta a sapere. 30
  • 31. Apple La telefonia secondo Cupertino Quando Steve Jobs nel gennaio 2007 annuncia l’arrivo dell’iPhone (sarà lanciato solo a giugno di quell’anno), le risate si sprecano. Quella più famosa appartiene a Steve Ballmer, amministratore delegato di Microsoft, che interrogato a proposito del nuovo dispositivo presentato da Apple, sghignazza tutto contento. Poi si chiede chi diavolo sarà così stupido da spendere 499 Dollari (il prezzo del modello base da 4 GB, e 599 per quello da 8 GB), per telefonare. Adesso non ride più. Ancora una volta, Apple presenta un prodotto che si fa notare, perché radicalmente differente da tutto quello che c’era in commercio sino a quel momento. Niente tastiera, per prima cosa, sostituita da uno schermo multi-touch. Un solo modello ma venduto con diversi tagli: 4, 8, oppure 16 GB. Siccome non è un cellulare come quelli che sono già in commercio, cambia anche il modo di venderlo. Apple ha stretto accordi con l’operatore telefonico AT&T, e questa pratica si estenderà poi anche negli altri Paesi dove sarà venduto. In alternativa (la sottoscrizione di un contratto con la società telefonica, prevede di restare legati a essa per due anni), lo si può comprare a prezzo pieno. Le carte vincenti dell’iPhone sono almeno due. La prima: un sistema operativo realizzato appositamente per il dispositivo. Non si tratta, come hanno fatto altre aziende in situazioni analoghe, di travasare il vecchio, nel nuovo. Il nuovo non è un accidente che capita, ma un’opportunità per riscrivere da zero o quasi, quello che abbiamo. 31
  • 32. Apple La telefonia secondo Cupertino Eppure l’approccio di Microsoft quando deve portare il suo sistema operativo su un dispositivo nuovo (un tablet, un telefonino), è sempre stato: “Prendiamo Windows, e ficchiamolo dentro a questo accidenti di prodotto nuovo. Siamo troppo grandi per passare inosservati, tutti ne parleranno, e andrà bene comunque”. Il risultato di solito è stato uno sbadiglio, e sorrisi di circostanza. Apple al contrario, fa sempre in modo che hardware e software camminino a braccetto; sin dall’inizio. Ci si focalizza su quello che davvero serve: durata della batteria. Eliminazione della tastiera fisica. Menu di navigazione comprensibili anche a chi il menu lo trova in pizzeria, e resta perplesso e sbigottito quando sente questo termine a proposito dell’informatica. Ha sempre agito così. Confezione e contenuto devono essere il più possibile vicino all’ideale di semplicità ed efficienza che si desidera da un dispositivo che si vuole vendere. Alcune cose sono lasciate fuori perché il loro inserimento sarebbe forse troppo dispendioso in termine di tempo, energie, e idee. All’inizio, l’iPhone arriva senza copia&incolla. Tuoni, fulmini e saette. Sghignazzate: “Ma siamo tornati agli anni Settanta?”. No. C’era dentro abbastanza innovazione da lasciar fuori quello che era quasi ovvio. Questa funzione poi è arrivata con le versioni successive dell’iPhone. Una tale mancanza non ha impedito al dispositivo di Cupertino di diventare il nuovo punto di riferimento della telefonia. L’interfaccia, il modo differente di avvicinarsi alla comunicazione mobile, ha permesso a Apple di mettere in un angolo, una funzione che su qualunque computer, è semplicemente fondamentale. Sull’iPhone, almeno all'inizio, non lo era. E proprio perché ci si muoveva in un territorio nuovo, c’era anche da trovare il modo più efficace, e ancora una volta semplice, per inserire questa funzione. L’iPhone non è un cellulare come gli altri, e questo è evidente. E alcune funzioni devono per forza essere ripensate, sperimentate. Esiste un altro aspetto da affrontare: quando ci si trova di fronte a qualcosa che si conosce, ma appare diverso, scatta la curiosità. Mentre le altre interfacce dei cellulari in commercio offrivano una bella tastiera fisica, la sua dissoluzione sull’iPhone, e una serie di icone e compiti che si gestiscono con le dita, creano nella testa dell’utente un’aspettativa. Può essere buona, o mediocre. Esistono persone che non amano l’iPhone, eppure lo hanno provato. Provano disagio, lo considerano persino difficile; a dimostrazione che spesso, esiste una minoranza da rispettare, che non ama affatto alcune innovazioni, perché non ne sentono la necessità. Per essi, una bella tastiera fisica da pestare è la cosa migliore, punto. Di multi-touch e altre soluzioni tecnologiche non sanno cosa farsene. È uno dei motivi per cui i cellulari da poco prezzo di Nokia, continueranno a essere presenti sul mercato (anche se non garantiranno affatto i profitti che l’azienda vorrebbe: ecco una delle ragioni della sua crisi, e dell’accordo con Microsoft). 32
  • 33. Apple La telefonia secondo Cupertino Poi, esiste una larga maggioranza di persone (e non è detto che siano drogati di tecnologia), che desiderano dispositivi coerenti. Non hanno enormi pretese (“Purché funzioni”); ma vogliono che i compiti che affideranno all’apparecchio siano raggiungibili con il minimo sforzo. L’iPhone entra in un mercato dove per inserire un appuntamento nel Calendario, occorreva (semplifico ma nemmeno troppo), procedere in questo modo. Home; premere Menu azionando il tasto centrale presente proprio sotto il piccolo display; scorrere sino a Calendario o Organizer, premendo le frecce (parliamo sempre di tasti fisici, si capisce vero?). Raggiunto il calendario premere di nuovo il tasto centrale per accedervi. Selezionare “Agenda” (la prima voce), poi “Opzioni” per entrare in un altro menu, quindi altra selezione (“Crea nota”) e finalmente si inizia. Fermiamoci qui. Più o meno, questo è il tipo di operazioni che occorre portare a termine per arrivare nel Calendario. Lasciamo perdere su cosa è necessario fare per continuare. Lo stesso processo sull’iPhone. Si sblocca, si preme l'icona del Calendario, poi quella raffigurata da un segno "+" in alto a destra, per inserire il nuovo appuntamento o allarme che sia. Fine. Ecco la semplicità di Apple. Nessuno si era mai sognato di creare qualcosa di più immediato per inserire un contatto nella Rubrica. Non è un’operazione che si fa ogni tanto. L’iPhone riduce il tempo per farlo; e non è solo questo (e per molti è già tanto). L’intera architettura software si muove avendo come filo conduttore questa esigenza di rendere le cose comuni, raggiungibili con facilità. Senza troppi passaggi. La seconda carta vincente di Apple, quella che rende quel dispositivo e quello che verrà dopo, cardine di un ecosistema, è l’App Store. Anche in questo caso, Jobs e compagnia non lo annunciano subito. Soltanto a giugno del 2007, nel corso della Conferenza Mondiale degli Sviluppatori, comunica che il dispositivo accoglierà applicazioni scritte da sviluppatori indipendenti. Il che significa possibilità di guadagnare, di creare applicazioni un po’ diverse da quelle che si trovano sui computer, sfruttando proprio le peculiarità dell’iPhone. 33
  • 34. Apple La telefonia secondo Cupertino Non a tutti gli sviluppatori però, o meglio: le applicazioni devono rispondere a rigorosi criteri di qualità. Qui accadono alcune cose. La prima si chiama successo: un nuovo mercato si apre, sia per sviluppatori indipendenti, che per aziende già affermate. Sull’iPhone piove un po’ di tutto: software idiota ma a pagamento, software idiota ma gratuito, oppure di ottima qualità ma gratis, e costoso e di livello eccelso. Nulla di sorprendente; la concorrenza inizia a preoccuparsi, mentre Apple, con la spregiudicatezza che le è propria, già si muove su un altro livello. Il successo dell’App Store provoca qualche problema all’azione di convalida delle applicazioni. Sono sottoposte al vaglio di Cupertino, che si prende tempi biblici. Proteste, promessa da parte della dirigenza di Cupertino di risolvere; il che avviene, ma occorre rammentare che nessuno si aspettava un tale successo. Accanto al successo, la condotta bizzarra di Apple. Crei una stupida applicazione con ragazze in bikini? Non passi. Crei una stupida applicazione con ragazze in topless e ti chiami Playboy? Prego, accomodati. La faccenda naturalmente crea ben più di un malumore, e non tiene Apple lontana da scivoloni, e figuracce varie. Qualunque sito italiano ne ha parlato, ha sviscerato la questione sotto tutti i punti di vista; inutile tornarci sopra. Ma senza cercare di giustificare la società di Cupertino, ricordiamoci che si parla pur sempre di una società statunitense. Ogni Paese che guida il mondo è pieno di presunzione. Questa qualità (se vogliamo definirla tale), ha come conseguenza un atteggiamento nei confronti degli altri spigoloso. O dovrei scrivere arrogante? Più si vive ai margini di questo atteggiamento, e più se ne ha la percezione quasi “fisica”; e irrita assai. Forse la situazione sta cambiando, e per un motivo molto semplice. I profitti colossali di Apple arrivano sempre più spesso da Paesi che non sono gli Stati Uniti. L’apparizione degli Apple Store “fisici”, ha aiutato a rendere un poco diverso l'atteggiamento della società nei confronti delle nazioni marginali, come per esempio l’Italia. Nulla di davvero rivoluzionario. È bene rassegnarsi all’idea che Apple tiene la barra del comando saldamente in mano, e che i suoi Paesi preferiti oltre agli Stati Uniti, sono l’Inghilterra, il Giappone ma soprattutto la Cina. Con un P.I.L. che cresce anche in un periodo come questo, perché preoccuparsi dell’Italia?ma appare diverso, scatta la curiosità. Mentre le altre interfacce dei cellulari in commercio offrivano una bella tastiera fisica, la sua dissoluzione sull’iPhone, e una serie di icone e compiti che si gestiscono con le dita, creano nella testa dell’utente un’aspettativa. Può essere buona, o mediocre. 34
  • 35. Apple La telefonia secondo Cupertino Esistono persone che non amano l’iPhone, eppure lo hanno provato. Provano disagio, lo considerano persino difficile; a dimostrazione che spesso, esiste una minoranza da rispettare, che non ama affatto alcune innovazioni, perché non ne sentono la necessità. Per essi, una bella tastiera fisica da pestare è la cosa migliore, punto. Di multi-touch e altre soluzioni tecnologiche non sanno cosa farsene. È uno dei motivi per cui i cellulari da poco prezzo di Nokia, continueranno a essere presenti sul mercato (anche se non garantiranno affatto i profitti che l’azienda vorrebbe: ecco una delle ragioni della sua crisi, e dell’accordo con Microsoft). Poi, esiste una larga maggioranza di persone (e non è detto che siano drogati di tecnologia), che desiderano dispositivi coerenti. Non hanno enormi pretese (“Purché funzioni”); ma vogliono che i compiti che affideranno all’apparecchio siano raggiungibili con il minimo sforzo. L’iPhone entra in un mercato dove per inserire un appuntamento nel Calendario, occorreva (semplifico ma nemmeno troppo), procedere in questo modo. Home; premere Menu azionando il tasto centrale presente proprio sotto il piccolo display; scorrere sino a Calendario o Organizer, premendo le frecce (parliamo sempre di tasti fisici, si capisce vero?). Raggiunto il calendario premere di nuovo il tasto centrale per accedervi. Selezionare “Agenda” (la prima voce), poi “Opzioni” per entrare in un altro menu, quindi altra selezione (“Crea nota”) e finalmente si inizia. Fermiamoci qui. Più o meno, questo è il tipo di operazioni che occorre portare a termine per arrivare nel Calendario. Lasciamo perdere su cosa è necessario fare per continuare. Lo stesso processo sull’iPhone. Si sblocca, si preme l'icona del Calendario, poi quella raffigurata da un segno "+" in alto a destra, per inserire il nuovo appuntamento o allarme che sia. Fine. Ecco la semplicità di Apple. Nessuno si era mai sognato di creare qualcosa di più immediato per inserire un contatto nella Rubrica. Non è un’operazione che si fa ogni tanto. L’iPhone riduce il tempo per farlo; e non è solo questo (e per molti è già tanto). L’intera architettura software si muove avendo come filo conduttore questa esigenza di rendere le cose comuni, raggiungibili con facilità. Senza troppi passaggi. La seconda carta vincente di Apple, quella che rende quel dispositivo e quello che verrà dopo, cardine di un ecosistema, è l’App Store. Anche in questo caso, Jobs e compagnia non lo annunciano subito. Soltanto a giugno del 2007, nel corso della Conferenza Mondiale degli Sviluppatori, comunica che il dispositivo accoglierà applicazioni scritte da sviluppatori indipendenti. Il che significa possibilità di guadagnare, di creare applicazioni un po’ diverse da quelle che si trovano sui computer, sfruttando proprio le peculiarità dell’iPhone. 35