1. STORIA DELL’INFORMATICA ITALIANA: LA CEP E L’ELEA
L’accordo tra l’Olivetti e l’Università di Pisa
Nel 1954 l’Università di Pisa ricevette un finanziamento di 150 milioni dai comuni di Pisa, Lucca e
Livorno per la realizzazione di un elettrosincrotone che, però, venne costruito a Frascati. Si cercò
quindi di pensare a un nuovo progetto di ricerca in modo da spendere il denaro in maniera
proficua. Il fisico Enrico Fermi, consultato sulla questione, consigliò la costruzione di un calcolatore
elettronico grazie al quale “si sarebbero avvantaggiate tutte le scienze e gli indirizzi di ricerca”.
La macchina, se costruita in Italia, sarebbe costata 120-140 milioni, mentre per l'acquisto sarebbe
stato necessario disporre perlomeno del quadruplo, senza contare il valore aggiunto dato
dall'esperienza che i ricercatori avrebbero accumulato nel campo. Fu quindi siglato un accordo di
collaborazione economica e tecnologica con l'Olivetti per la costruzione del calcolatore
elettronico. L'accordo prevedeva dapprima la formazione di un gruppo misto di ricercatori
universitari e ingegneri Olivetti per la progettazione dell'architettura di base, in seguito i due
gruppi si sarebbero divisi: da una parte l'Università di Pisa, più attenta agli obiettivi di ricerca e
didattici, avrebbe realizzato la CEP (Calcolatrice Elettronica Pisana), mentre l'Olivetti avrebbe
invece dato vita al Laboratorio di Ricerche Elettroniche a Barbaricina, sobborgo di Pisa, dove
lavoravano giovani laureati e tecnici specializzati diretti dall'ing. Mario Tchou, con l’obiettivo di
realizzare il prototipo di un calcolatore commerciale general purpose.
La macchina ELEA
Il primo calcolatore elettronico progettato
utilizzò la tecnologia a valvole:
l’imponente prototipo, chiamato
"Macchina Zero" o "1V", fu ultimato
all’inizio del 1957 e assunse il nome
ufficiale di ELEA 9001 (ELaboratore
Elettronico Automatico).
D’altra parte, in quegli anni si affacciò
sullo scenario tecnologico il rivoluzionario
transistor, ai tempi un oggetto ancora
raro, costoso, con diverse limitazioni e
prestazioni ridotte. Ciononostante l’Ing. Tchou intuì che quella sarebbe stata la tecnologia del
futuro. Decise quindi di riprogettare il sistema ormai quasi ultimato, sostituendo le valvole con i
transistor; fu una scelta molto difficile, ma, alla prova dei fatti, fu percorsa la strada giusta.
2. La “transistorizzazione” del progetto pose non pochi
problemi: se le valvole erano ben note ai progettisti,
altrettanto non si poteva dire dei transistor. Tuttavia,
l'impresa riuscì e, mentre la macchina "1V" veniva
utilizzata nei test, nasceva un nuovo calcolatore,
inizialmente ibrido (ELEA 9002, mai entrato in funzione) e
successivamente completamente realizzato a transistor
(ELEA 9003 o "1T").
Intanto, per non dipendere dalle aziende statunitensi
produttrici di componenti elettronici, nel 1957 Olivetti,
con la partecipazione con Telettra, fondò la SGS (Società
Generale Semiconduttori) che doveva fornire diodi e
transistor di qualità per la realizzazione dei calcolatori
Olivetti e degli apparecchi per telecomunicazioni di
Telettra.
Nell'autunno del 1958 il prototipo del calcolatore "1T" era quasi ultimato: per comodità il gruppo
di Barbaricina si trasferì nella nuova sede di Borgolombardo, alle porte di Milano, vicino elle
industrie. Alla fine del 1959, il sistema Olivetti ELEA 9003 venne messo a punto ed entrò in
funzione una linea per la produzione in serie.
Il nuovo sistema era all'avanguardia sotto ogni punto di
vista: per concezione logico-sistemistica, tecnologia
costruttiva e design. La potenza di calcolo - di circa 10.000
addizioni o sottrazioni al secondo - fu per alcuni anni
superiore a quella dei concorrenti. Il computer disponeva
di una memoria a nuclei di ferrite di 20.000 posizioni,
estendibile fino a 160.000, dove in ogni posizione di
memoria si poteva registrare un solo carattere
alfanumerico. Un’istruzione era composta da 8 caratteri e
veniva letta in 80 microsecondi. Il tempo di esecuzione di
un’istruzione era variabile, dipendente dal tipo di istruzione che doveva essere eseguita.
Oggi un esemplare funzionante della macchina si trova presso l’ISIS "Enrico Fermi" di Bibbiena
(AR), donato dalla banca Monte dei Paschi di Siena dopo anni di servizio.
La macchina CEP
Quasi contemporaneamente terminava anche lo sforzo dei ricercatori dell'Università di Pisa: il
prototipo della CEP - chiamato Macchina ridotta - era stato testato con successo nel 1957, mentre
la macchina vera e propria fu ultimata nel 1961, con circa un anno di ritardo rispetto alle
previsioni.
I ragazzi di Barbaricina
Scheda a transistor dell'ELEA 9003
3. La CEP era un colosso per l'elaborazione scientifica, realizzato con tecnologia ibrida (3.500 valvole,
2.000 transistor, 12.000 diodi), memoria a nuclei magnetici da 8.192 parole, espandibile fino a
32.768, parole lunghe 36 bit. L’hardware della macchina integrava l’aritmetica in virgola fissa e in
virgola mobile in singola e doppia precisione, le istruzioni erano di lunghezza fissa, pari a una
parola. Il calcolatore aveva una capacità di elaborazione di 70.000 addizioni o 7.000 moltiplicazioni
al secondo. La programmazione avveniva
principalmente in FORTRAN, un linguaggio
particolarmente adatto per scopi scientifici
sviluppato dall'IBM per l’IBM 704, in quel
momento il calcolatore simile alla CEP più
diffuso al mondo. La CEP rimase in
funzione presso il CSCE dell’Università di
Pisa per sette anni, utilizzata 2.000-4.000
ore all'anno. Oggi è esposta al Museo degli
Strumenti di Calcolo dell’Università di Pisa.
Non va dimenticato il valore che questa
impresa ebbe per l'immagine dell'Italia e in
particolar modo per l'Università di Pisa
dove, nel 1969, fu attivato il primo corso di
laurea in Scienza dell'Informazione e dove
si continua tutt'oggi a fare ricerca.