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Umberto Santucci

Problem setting
Come definire i problemi per poterli risolvere
Fin da bambini abbiamo dovuto risolvere tanti problemi. Ma quanti di noi sono
capaci di porsi nuovi problemi?
Quanti sanno trasformare uno stato di ansia o di timore in un problema da
risolvere?
Quanti conoscono un metodo con cui porre correttamente il problema,
definirlo, strutturarlo?
In genere si parla di problem solving. Ma per risolvere un problema
bisogna averlo posto.
Il problem setting è l’arte di porsi i problemi.
Ma perché porsi problemi? Non bastano quelli che abbiamo già?
I problemi sono come gli alberi. Da piccoli possono essere sradicati con una
mano, ma se crescono c’è bisogno di un bulldozer. E’ meglio prevenire che
curare.
Lo scopo di questo ipertesto è individuare un metodo per il problem setting.
Nel momento in cui una situazione è ben definita, è già superata. Oggi bisogna
attrezzarsi per affrontare ogni giorno la sfida dell'indefinito, del mutante,
dell'ignoto.
Perciò è fondamentale, invece di acquisire saperi intesi come materiali
da capitalizzare e da usare in futuro, dotarsi di metodi e strumenti
adatti ad acquisire ed elaborare nuove conoscenze, a definire e
risolvere problemi che, una volta ben definiti, sono già superati.

In questa sede ci occupiamo principalmente dell’impresa, intesa sia come
azienda che produce, sia come organizzazione, dall’istituzione alla associazione
no profit. Tuttavia metodi, tecniche e strumenti vanno bene per qualsiasi altro
ambito.
Aree di interesse di questo lavoro:
      comunicazione
      risorse e relazioni umane
      management delle conoscenze e dell'informazione
      organizzazione aziendale
      determinazione del core business
      determinazione del new business
      marketing
      qualità
Sommario
Definizioni
Problema, setting, solving
      Che cos'è il problema
             Il problema
             Dall'ansia al problema
             Il problema e il suo ambiente
             Problema e condizioni
             Il problema come riduttore di complessità
             Porre bene o male i problemi
             Problemi ed emergenze
             Morfologia del problema
             Problema e problemi
             Agitare problemi
             Dissolvere il problema
      Problem setting e problem solving
      Come fare problem setting
             Percepire il disagio
             Analizzare il disagio
             Definire la situazione
             Cercare le vie d’uscita
             Definire i termini del problema
             Raccontare il problema
             Comunicare il problema
Considerazioni varie
      Il leader e il problema
      Problema e pensiero
      La domanda
      Emergenza
      Problem setting e gioco
      Problem setting e creatività
      Problem setting e nuove tecnologie dell'informazione e comunicazione
      Problema e plot narrativo
Aree di interesse
      Organizzazione aziendale
      Knowledge management
      Marketing
      Comunicazione
      Risorse umane
      Core business
      New business
      Qualità
Quando si ricorre al problem setting
      Lo scenario
      Il contesto strategico
      L’organizzazione
      Il settore
      L’argomento
Problem setting e project management
Metodologia
      Team e competenze
      Il disagio
      Analisi di scenario
      Analisi della situazione interna
      Analisi della storia
      Analisi dei trend
      Evidenziazione delle aree di criticità
      Raccolta dei dati
      Attivazione di tecniche creative
      Definizione e comunicazione del problema
      Organizzazione del problem solving
             Briefing
             Gerarchizzazione dei problemi
             Pianificazione
             Soluzioni
             Debriefing
Tecniche e strumenti
      Tecniche di analisi
             Tecniche di domanda
             Tecniche di ricerca
             Analisi di tendenza
      Tecniche mentali
             Brainstorming
             6 cappelli per pensare
             Sinettica
             Mappe mentali
             Outliner
             Flow chart
             Tecniche di decisione
      Giochi e simulazioni
             Giochi di simulazione
             Giochi d'aula e di gruppo
             Role play
             Dilemma del prigioniero
             Simulazioni al computer
             Realtà virtuale
      Qualità
             Benchmarking
             Diagramma causa/effetto
             CEDAC
             Diagramma di affinità
             Qualitest
             Farfalla (competenze)
             Diagramma di Pareto
             Analisi del campo di forze
             PDCA (plan, do, check, act)
             Matrice di Grassetti
Project Management
              Ms Project
              Work breakdown structure (WBS)
              PERT
              Gantt
Una nuova professione?
      Il problem setter
      La farfalla per le competenze del problem setter
      La figura professionale
      Il curriculum
      Le tecnologie
Forum
Contributi dei visitatori
Link
      Problem solving
      Knowledge management
      Project management
      Management
      TQM (Total Quality Management)
      Marketing management
      Risorse umane
      Benchmarking
      Core business e catena del valore
      Ricerca
      DSS (Decision support systems)
      Pensiero
      Creatività
      Brainstorming
      Comunicazione
      Giochi
          Il dilemma del prigioniero
      Altri link interessanti
      Associazioni
      La mia rete



Definizioni
Se "problem setting" significa "definizione del problema", in un lavoro sul
problem setting la prima cosa da fare è definire i termini.
Questo vale anche come metodologia generale. Prima di affrontare un
argomento qualsiasi è bene mettersi d'accordo sul significato dei termini, per
essere sicuri che non vengano intesi in modo diverso.
Come tutto l'ipertesto, questa pagina è aperta al tuo contributo, nel caso che ti
venga in mente di rettificare una definizione o di definire un altro termine.

Problem setting
Processo teorico e pratico che serve a trasformare un disagio in un
problema, in una questione ben definita. Precede il problem solving,
che trasforma il problema ben definito in un progetto, da gestire
secondo le tecniche del project management.
Il problem setting risponde alla domanda: che cosa fare?
Il problem solving risponde alla domanda: come fare?

Problema
Questione da risolvere partendo da elementi noti mediante il ragionamento, e
per la quale si propongono soluzioni.
Problema di aritmetica, di geometria, di algebra. Formulare, impostare,
risolvere un problema.
I dati del problema = gli elementi noti.
Questione, situazione difficile o complessa di cui si cerca la soluzione (circolare
in auto è un problema).
Persona misteriosa o incomprensibile, il cui comportamento mette in difficoltà
(quella ragazza è un problema)
Dal greco pròblema, da proballo = metto avanti, propongo. (Vocabolario
Gabrielli)
Progetto
Piano relativo ad un lavoro da eseguire, elaborato in base a criteri di fattibilità.
Idea, proposito, intenzione.
Complesso degli studi, disegni, plastici di un'opera da eseguire.
Dal francese projeter, tardo latino proiectare. (Vocabolario Gabrielli)

L'etimologia di problema e progetto ci porta a qualcosa che si spinge in
avanti, verso una visione futura. Proiettare se stessi e la propria
immaginazione verso altri tempi, altri luoghi, altre situazioni.

Il problema nasce comunque da una proiezione nel futuro e dal peso del
passato (poiché le cose sono andate in un certo modo, vorrei che andassero in
un altro modo).
Teorema
Proposizione che viene dimostrata mediante un ragionamento fondato su
ipotesi o proposizioni assunte come vere o su proposizioni precedentemente
dimostrate.
Dal greco theorèo = esamino
Algoritmo
Procedura o formula per risolvere un problema. Il termine deriva dal nome del
matemaico arabo Al-Khowarizmi (sec. IX). Un programma per computer può
essere visto come un elaborato algoritmo. Nelle scienze matematiche e
informatiche un algoritmo generalmente indica una piccola procedura che
risolve un problema ricorrente, o uno schema uniforme per risolvere una
classe di problemi.

Enigma
Breve componimento in prosa o in versi dove, in termini oscuri, ambigui o
allegorici, si esprime un concetto o una parola da indovinare.
Estensione: discorso oscuro, confuso, reticente, difficile da capire. Persona o
cosa difficile a definirsi, spiegarsi, comprendersi; mistero. Gioco enigmistico.
(Vocabolario Gabrielli)

Problem solving
Problem finding – rendersi conto del disagio
Problem setting – definire il problema
Problem analysis – scomporre il problema principale in problemi secondari
(WBS)
Problem solving – eliminare le cause
Decision making – decidere come agire
Decision taking – passare all’azione
(dal glossario di "Gioco e dopogioco", La Meridiana, 1997)

Problema e mistero
Il mistero è una porta chiusa, di cui non si ha la chiave.
Il problema è una porta da aprire, di cui si deve cercare la chiave, la serratura,
il sistema di apertura.

Problema, setting, solving
Che cos'è un problema? Che differenza c'è fra stato ansioso e problema?
Perchè normalmente si parla di problem solving più che di problem setting?
Dove si pone il problem setting di fronte al problem solving?
Quando definire il problema e quando risolverlo?
Chi fa problem setting e chi problem solving?
Come si fa a fare problem setting?
In questo settore cercherò di rispondere a queste domande, che tuttavia
restano aperte ai tuoi contributi.

Che cos’è il problema
Il problema nasce da uno stato di ansia, da una condizione di disagio, dalla
percezione di una carenza.
Tuttavia rappresenta in qualche modo l'uscita dal disagio, il momento in cui si
passa da un atteggiamento passivo ad uno attivo, si prende il toro per le
corna, si cerca di fare qualcosa.
Rendersi conto che una certa situazione altro non è che un problema significa
in qualche modo già uscirne, crearsi una prospettiva da cui le cose possono
essere viste meglio.
In questo settore si affrontano i diversi aspetti del problema, dalla sua
definizione alla sua dissoluzione.

Il problema
Il problema è qualcosa che prima o poi può essere risolto. Un problema
insolubile è un muro che va evitato e aggirato, o un non problema che va
dissolto. Il problema solubile è una scalinata. Il problem setting ci mostra la
scalinata togliendoci dai vicoli ciechi. O addirittura scompone il muro in muretti
più piccoli, trasformandolo in una scalinata. Il problem solving ci fa salire la
scalinata passo dopo passo. Il project management organizza e controlla chi
deve salire, come, quando, dove deve arrivare.
Il debriefing valuta se l’aver salito quella scalinata ha portato effettivamente
alla soluzione sperata, e quali altre scalinate si presentano dal nuovo punto di
vista.
Il problema è una struttura euristica che istruisce un processo di ricerca con
lo scopo di arrivare ad una soluzione. Il processo parte dal riconoscimento di
una situazione irrisolta, dalla definizione dei termini del problema, dalla
corretta formulazione della domanda (problem setting). La domanda viene
posta alla persona o al gruppo di persone che deve risolvere il problema. I
solutori si mettono al lovoro e formulano le loro soluzioni. Da queste, spesso
nasce l’esigenza di porsi nuovi problemi, in un processo più ampio di ricerca e
di miglioramento.
Il problema è un riduttore di complessità, perchè da un insieme indistinto e
intessuto di infinite variabili sceglie solo alcuni elementi e alcune variabili da
prendere in considerazione per arrivare ad una soluzione possibile e
accettabile. Tutta la nostra comunicazione, i nostri rapporti, le nostre azioni si
basano su riduttori di complessità, come modelli, giochi, rappresentazioni,
linguaggi.
Il modello riduce tutte le possibili combinazioni di colonna e capitello allo stile
ionico.
Il gioco permette di contendere solo con i dadi, solo con combinazioni da 2 a
12.
La rappresentazione è un punto di vista, una proiezione, una maschera, un
rituale.
Il messaggio è una sezione del continuum spazio-temporale, una scelta fra le
tante possibili.
Il medium è un processo che fa da tramite fra due poli e li mette in
comunicazione scegliendo (servendosi di) un canale e un codice (una
tecnologia).
Il problema è un elemento del mito, è la sfida che viene lanciata all’eroe, è il
punto interessante di qualsiasi storia.
Una vita troppo piena di problemi è difficile da vivere, ma una vita priva di
problemi è un encefalogramma piatto.

Dall'ansia al problema
C'è differenza fra crearsi problemi (stato ansioso) e definire problemi (stato
calmo).
L'ipocondriaco, il malato immaginario, il depresso si tormentano con problemi
che oggettivamente non esistono.
Quando ci si trova in una situazione di debolezza si tende a subire i problemi
come forze esterne e soverchianti.
Affrontare e definire i problemi presuppone una condizione di forza, sia
psichica, sia di potere.
Il problem setting è un'attività organizzata che di per sè riduce l'ansia e lo
stress.
Definire un problema significa prendere l'iniziativa, non subire gli eventi.
Il problema e il suo ambiente
Il problema va ambientato nel tempo, nel luogo e nel contesto. Se pongo un
problema fuori tempo non viene accettato. Se pongo un problema più adatto
ad un altro luogo non viene accettato.
Devo avere la capacità di intuire il problema, di porlo, di scegliere il momento
giusto, di farmi sostenere da un potere adeguato, di “vendere” il mio
problema, per non fare come Cassandra, che vedeva giusto ma non veniva
creduta.

Il problema e le sue condizioni
Un problema che non dipende da noi è ancora un problema, o piuttosto non è
una condizione da considerare a monte di un problema alla nostra portata? Per
esempio, la pressione fiscale è un problema o una condizione? Per i politici è
un problema, per noi è una condizione.
Il problema è qualcosa di simile agli obiettivi, nel senso che gli obiettivi
devono essere raggiungibili, così come il problema deve essere risolvibile?
Prima di immergersi nel setting del problema, bisogna analizzare la sua natura
per sapere in quale direzione cercare.
Quando non so che fare, significa che mi trovo di fronte ad un problema
insolubile (e allora lo devo spostare al livello di condizione) o che non ho
definito il problema (e allora devo applicare metodologie di problem setting).
Se l’infelicità non è un problema, la felicità non è un obiettivo. Sono ambedue
condizioni.
Una condizione non è un problema, ma è generatrice di problemi. Un handicap
(supponiamo che io sia cieco) non è un problema, ma genera vari problemi:
come faccio a leggere, a comunicare, ad aprire una porta, a sapere che ore
sono?
Spesso ci troviamo in difficoltà perché facciamo confusione fra condizioni e
problemi.
Nel diagramma di Ishikawa, risalendo la scala dei perché, si arriva al vero
perché, e si capisce se esso è alla nostra portata o no. Se non lo è bisogna
assumerlo come condizione, e ridiscendere la serie fino ad incontrare il primo
perché alla nostra portata. Questo può essere il nostro problema, di cui i
perché superiori sono le condizioni.

Il problema come riduttore di complessità
Il problema definito e formulato è un riduttore di complessità, in quanto
sceglie solo alcune variabili da includere in un modello dinamico per ottenere
un risultato, considerato come la soluzione del problema, o per eliminare le
criticità contenute nel problema stesso.
Prendiamo per esempio un normale problema di aritmetica, dove un
negoziante acquista qualcosa e la rivende ad un prezzo più alto. Il problema
domanda quanto guadagna il negoziante.
Per guadagno si intende la differenza fra ricavi e costi. E’ una semplificazione,
in quanto poi andrebbe calcolata l’incidenza fiscale, quanto si spende in casa,
che valore si dà al denaro, quanto si spreca, ecc.
Ovvero la valutazione aritmetica è molto diversa da quella psicologica, che in
realtà è l’unica cosa che conta, perché non è tanto importante la realtà delle
cose, ma la percezione personale che se ne ha.
In tutti i casi della vita se si volessero prendere in cosiderazione tutte le
variabili l’operazione sarebbe talmente lunga e costosa da risultare inutile.
Il problem setting orienta nelle scelte delle variabili da considerare, e aiuta a
creare un modello della vicenda.
In altri termini, quando il negoziante acquista una merce e la rivende,
apparentemente compie un’operazione semplice e ripetitiva. In realtà corre un
rischio, pensa che quella merce si venderà, o crede che si continui a vendere,
è preoccupato perché la moglie sta male, è contrariato perché il figlio ha scelto
altre attività e non trova lavoro. Ma il problema non può prendere in
cosiderazione tutto ciò, perché è un modello, un gioco, una rappresentazione,
un messaggio, un medium.
Il problema è un micromondo, in quanto non tiene conto di tutti gli elementi,
ma solo di quelli funzionali alla rappresentazione di una certa situazione reale.
Per micromondo si intende un dominio artificiale limitato, i cui possibili oggetti
e proprietà e possibili eventi sono definiti in anticipo in modo ristretto ed
esplicito. Gli scacchi, per esempio, sono un micromondo.
Un nuovo ruolo professionale è quello del facilitatore, come descritto nella
recente guida The Facilitator's Fieldbook, di Thomas Justice, che ne prescrive
procedure e linee guida.

Porre bene o male i problemi
     Che cosa è andato male (o bene) ieri?
     Che cosa va male (o bene) oggi?
     Che cosa andrà (potrà andare) male (o bene) domani?
Per un metodo di analisi si può usare la wyndow analysis del CEDAC.
Problem setting               Problem solving         Esempio
Problema posto bene           Problema risolto bene   Messner conquista vetta
Problema posto bene           Problema risolto male   Titanic
Problema posto male           Problema risolto bene   Scoperta dell’America
Problema posto male           Problema risolto male   Suicidio
Problema non posto            Problema risolto bene   Vincita alla lotteria
Problema non posto            Problema risolto male   Incidente auto
Problema non posto            Problema non risolto    Inquinamento
Un problema non posto è che molte aziende non hanno ancora una persona
che si dedichi alla comunicazione, e nemmeno piani di comunicazione.

Problemi non posti sono i costi della non qualità, ecc.
A      Problema non risolto      Genera nuovi problemi difficili da gestire
B      Problema risolto          Genera nuovi problemi che è possibile gestire
                                 bene
C       Problema ignorato        Genera nuovi problemi pressoché ingestibili o
                                 emergenze
A.   traffico urbano --> aumento del traffico
B.   catena di montaggio di Taylor --> ripetitività del lavoro e noia
C.   incubazione dell’AIDS --> AIDS
Si può dare il caso in cui il problema è noto, ma la soluzione è impossibile.
Per esempio, mi trovo in un’aula dove gli allievi sono smotivati, per una
ragione che condivido in pieno (sono stati obbligati a frequentare il corso,
senza conoscerne le finalità). Il problema della smotivazione è noto, ma non
ha soluzione perchè non dipende da noi. In tal senso va accantonato per
individuare un nuovo problema che è possibile risolvere.
Il nuovo problema può essere: come mettere a frutto nel modo migliore una
situazione di aula compromessa?
Il problem setting quindi, oltre che per definire un problema nuovo, si può
usare anche di fronte ad un problema definito e formulato, per vedere se è
definito e formulato bene. Per esempio l'alchimia si era posto il problema di
trasformare i metalli vili in oro. La chimica ha ridefinito il problema.
Il metodo scientifico non fa altro che ridefinire problemi precedenti,
falsificandone le soluzioni.

Problemi ed emergenze
Spesso gli eventi precipitano in modo tale che non si ha il tempo di applicare
una qualsiasi metodologia per definire e risolvere i problemi.
Di fronte all'emergenza non c'è tempo per analizzare la situazione, e si corre
subito ai ripari con azioni tampone. Le decisioni spesso devono essere molto
rapide, e non hanno lo scopo di valutare le alternative per scegliere la
migliore, ma di imboccare subito una strada che porta fuori dalla crisi.
Spesso si va per tentativi, e si cerca di agire subito sugli effetti senza risalire
alle cause, e non si può fare altrimenti. Se una persona è caduta nell'acqua e
non sa nuotare, la prima cosa da fare è tirarla fuori. In un secondo momento
si può cercare di capire perché è caduta nell'acqua, o si può perfino insegnarle
a nuotare.
E' importante ricordarsi di aver adottato un intervento tampone, e di
procedere all'analisi delle cause e alla corretta definizione del problema. In
caso contrario l'emergenza si ripresenterà in modo sempre più grave,
costringendoci ad un continuo tamponamento che rimanda la vera soluzione
del problema.

Morfologia del problema
Il problem setting descrive la situazione e fa le domande. Il problem solving dà
le risposte analizzando il problema e svolgendo alcune operazioni.
Setting
Descrizione: un negoziante acquista 10 articoli a £. 50.000 l’uno e li rivende a
£. 75.000.
Problema: quanto guadagna?
Solving
Analisi: fra l’acquisto e la vendita c’è una differenza, che va calcolata con una
sottrazione. La differenza va moltiplicata per il numero degli articoli.
Operazione: 75.000 – 50.000 = 15.000 x 10 = 150.000
Soluzione (risposta): il negoziante guadagna £. 150.000 (il risultato
dell’operazione è interpretato alla luce della descrizione del setting).
Nel caso di una struttura organizzativa, le condizioni possono essere
determinate dallo sviluppo della tecnologia (introduzione dell’ADSL nelle
telecomunicazioni). Il problem setting pone le domande: che vantaggi ci sono
rispetto all’ISDN? Che rappoto costi/benefici? Va introdotto in tutta la rete
aziendale o solo in una parte per sperimentarne il funzionamento? Come si
combina con i sistemi tradizionali?
Il problem solving stabilisce le seguenti operazioni: raccolta di dati sulle
caratteristiche di prestazioni e costi, ed elaborazione di proiezioni possibili.
Determinazione della rete sperimentale in cui introdurre l’ADSL. Introduzione
del sistema. Controllo comparativo di velocità di trasmissione e
determinazione di pacchetti tipo da trasmettere per ottenere un valido
confronto con altri tipi di trasmissione. Sperimentazione di trasmissioni in
diverse fasce orarie. Individuazione di situazioni critiche di traffico fra rete
sperimentale e rete totale. Relazione finale e progetto generale.

Problema e problemi (iperproblemi)
Normalmente affrontiamo un problema per volta. Se ci troviamo di fronte a
parecchi problemi che ci piombano addosso tutti insieme cadiamo in uno stato
di stress perchè non sappiamo come districarci, a chi dare la precedenza,
come uscirne fuori. In questi casi è bene stabilire le priorità di importanza e di
tempo dei vari problemi, e affrontarli uno per volta.
Tuttavia in genere un problema non è un elemento unico e isolato da tutto il
resto. E' molto più probabile che sia collegato con altri problemi. I collegamenti
danno luogo a strutture sequenziali, gerarchiche o di rete.
La struttura sequenziale implica che il mio problema venga prima e dopo altri
problemi.
La struttura gerarchica va da un problema generale a problemi particolari che
ne fanno parte e la cui soluzione porta alla soluzione del problema generale.
La struttura di rete implica che il mio problema va collegato con altri problemi
vicini e lontani. In questo senso una rete di problemi può essere un
iperproblema, o un metaproblema, in quanto si occupa di altri problemi
guardandoli dall'alto e mettendoli in relazione fra loro.

Agitare problemi
Spesso i problemi vengono agitati invece di affrontarli. E’ una forma di non
comunicazione, dove l’agitare un problema impedisce una seria discussione e
un lavoro concreto per procedere al setting del problema stesso.
Naturalmente quello che si agita è il disagio, non il problema, o almeno un
problema generico e astratto, non un problema ben definito.
Giacchè la definizione del problema implica la delimitazione dell’area di
interesse del problema.
Un problema spesso agitato è quello della disoccupazione. Il setting del
problema della disoccupazione implica di delimitarne gli ambiti alla sfera
politica, o economica, o fiscale, o della formazione. E ancora delimitare le
fasce di età, o la tipologia (attesa del primo lavoro o perdita del lavoro), o la
zona (nord, centro, sud) o il settore (industria, terziario, nuove tecnologie), e
così via.
Il problema agitato si sostituisce al problema ben definito, conserva lo stato
d’ansia e genera i pregiudizi.
Dissolvere il problema
Quando un problema viene agitato senza definirlo non ha soluzione. Ci sono
problemi che non possono essere risolti perché sono al di là dei nostri limiti
umani.
Tutti i problemi metafisici sono di questo genere. Che cosa sarà di noi dopo la
morte, o perchè c'è il dolore, o perchè è stato creato l'universo, sono
interrogativi che ci possiamo porre, ma sappiamo già in partenza che non
avranno risposta.
Le stesse religioni quando danno risposte non le argomentano, ma chiedono
che ci si creda senza porsi altre domande.
I problemi che non possono essere risolti devono essere dissolti, nel senso che
non vanno affrontati come problemi, ma come immagini, sogni, incubi,
illusioni.
Dissolvere i falsi problemi significa poter dedicare tutte le energie a risolvere i
problemi alla nostra portata.
Dissolvere un problema significa dimostrare che non è un problema. Significa
sottoporre il suo enunciato ad un processo di problem setting, per controllare
se si tratta di un problema risolvibile o no.
Eludere un problema è evitarlo, non prenderlo in considerazione. Dissolvere un
problema vuol dire delegittimarlo, non riconoscerlo come problema.
Quando Alessandro Magno si trova davanti al nodo di Gordio, che nessuno era
riuscito a sciogliere fino ad allora, e invece di tentare di scioglierlo come hanno
fatto tutti gli altri lo taglia con un colpo di spada, che cosa fa? Elude il
problema? Lo banalizza? Lo dissolve? Lo risolve con il pensiero laterale?
Le quattro nobili verità di Buddha dissolvono il problema della sofferenza?

 Problem setting e problem solving
 In genere quando ci si riferisce a metodi e tecniche di soluzione dei problemi si
 parla di "problem solving", forse perché si preferisce mettere in evidenza il
 momento risolutorio che ci libera dallo stress del problema.
 Tuttavia il solving viene dopo del setting, ed è anche meno importante dal
 punto di vista gerarchico. Chi pone i problemi in genere ha un potere superiore
 a chi li deve risolvere.
 La soluzione del problema, detta per brevità "problem solving", è un processo
 che ha queste componenti:
Problem        rendersi conto del disagio
finding
Problem        definire il problema
setting
Problem        scomporre il problema principale in problemi
analysis       secondari (WBS)
Problem        eliminare le cause e rispondere alle
solving        domande poste dal problema
Decision       decidere come agire in base alle risposte
making         ottenute
Decision       passare all’azione
taking

Da www.srseuropa.it/Sqm_web/glo/B17.htm:
Componenti centrali del processo di problem solving sono:
  • acquisizione della capacità di visione d'insieme, per cogliere i
       collegamenti e le interdipendenze tra le parti - componenti del
       fenomeno indagato;
  • predisposizione di un metodo di analisi, distinguendo tra aspetti e
       tecniche conosciute e non, ai fini di acquisire nuova conoscenza;
  • apprendimento ed impiego di nuovi modi di pensare e determinazione
       della metodologia di analisi;
  • raccolta di informazioni finalizzate alla suddetta metodologia;
  • sintesi delle informazioni in modo da renderle facilmente percepibili ai
       fini della creazione di semplici scenari di riferimento alternativi;
  • confronto tra scenari di soluzione, impiegando tecniche creative ed
       intuitive;
  • formulazione dello scenario di riferimento, identificando gli orientatori
       che supportano il cambiamento;
  • traduzione dello scenario in risultati aspettati ed indicatori di
       misurazione;
  • sperimentazione e valutazione dei risultati.

Varie sono le tecniche e le modalità di problem solving, attualmente impiegate
nelle imprese di eccellenza. Una delle più interessanti è sintetizzata
nell’acronimo FARE.

Focalizzare    Creare un elenco di problemi                 Descrizione scritta
               Selezionare il problema                      del problema
               Verificare e definire il problema
Analizzare     Decidere cosa è necessario sapere            Valori di
               Raccogliere i dati di riferimento            riferimento
               Determinare i fattori rilevanti              Elenco dei fattori
                                                            critici
Risolvere      Generare soluzioni alternative               Scelta della
               Selezionare una soluzione                    soluzione del
               Sviluppare un piano di attuazione            problema
                                                            Piano di attuazione
Eseguire       Impegnarsi al risultato aspettato            Impegno
               Eseguire il piano                            organizzativo
               Monitorare l'impatto durante                 Piano eseguito
               l'implementazione                            Valutazione dei
                                                            risultati

Come fare problem setting
Si può provare disagio per un falso problema, che una volta affrontato si
dissolve.
Altre volte invece non ci si accorge di qualcosa che non va e che prima o poi
diventerà un disagio manifesto.
Bisogna quindi rendersi sensibili ai piccoli disagi emergenti, percepirli ed
analizzarli.
Va definita la situazione con le condizioni che provocano disagio, e vanno
cercate le vie d'uscita, le direzioni in cui muoversi per cambiare la situazione.
Vanno quindi definiti i termini del problema, in modo da poterlo enunciare, da
poterlo descrivere e raccontare.
Infine il problema va comunicato a tutti coloro che devono condividerne la
soluzione.

Percepire il disagio
Dum Romae consulitur, Saguntum espugnatur. I senatori romani sono
talmente presi dalle loro beghe curiali che non si accorgono di quello che sta
succedendo sui campi di battaglia.
Anche Don Ferrante muore di peste perchè non vuol prenderla in
considerazione.
Alcune emergenze dipendono da casi fortuiti di forza maggiore, ma la maggior
parte di esse deriva da disagi non rilevati.
Spesso le aziende mettono all'ufficio reclami una persona dal carattere difficile,
con lo scopo di scoraggiare le proteste dei clienti. E' un'occasione sprecata,
perchè i clienti che protestano sono ancora affezionati all'azienda. Quelli che
non protestano se ne vanno e basta.
Come i sistemi antincendio sono in grado di rilevare il più esile filo di fumo,
così l'organizzazione si deve dotare di sensori che la rendono attenta e
sensibile ai segnali deboli che le giungono dall'interno e dall'esterno.
Questa è la learning organization, che si trasforma e migliora di giorno in
giorno in base alle notizie che raccoglie ed elabora.
Le nuove tecnologie ci permettono di avere le informazioni immediatamente,
quindi dovrebbe essere più facile accorgersi in tempo delle cose che non
vanno. Tuttavia le informazioni sono tante, ed è difficile distinguere quelle
rilevanti da quelle insignificanti. A tal proposito vanno sviluppati i sistemi
nervosi aziendali, dall'intranet al numero verde, e tutto il knowledge
management.

Analizzare il disagio
Una volta colto il disagio, va analizzato.
 Dove si manifesta, come, quando?
 Quante persone sono coinvolte?
Con quali conseguenze?
Da quanto tempo dura?
Quanto costa?
Provoca rischi, ritardi, perdite di tempo o di materiale?
Come incide sul morale delle persone che in qualche modo ne sono coinvolte?
Si era manifestato altre volte? Con quali caratteristiche e quali conseguenze?

Definire la situazione
Quali sono le condizioni che determinano il disagio? Da quale situazione si
parte? Com'è l'ambiente in cui ci si trova? Quanto incide sulla situazione? Quali
sono gli attori della vicenda? Che cosa fanno? Come si muovono? Con quali
dinamiche? Quali circostanze intervengono nella situazione attuale? Sono
interne o esterne? Quali sono le cause che hanno generato la situazione
attuale? Sono interne o esterne?
Cercare le vie d'uscita
Partendo dalla presa di coscienza del disagio (succede questo), delle condizioni
(la situazione è questa) si cercano le vie d’uscita. Che cosa si vede
all’orizzonte o fuori dei cancelli? Quali sono le porte per uscire e le vie da
imboccare? Su quali direttive ci si può muovere?
Di fronte ad un disagio, se si rimane fermi si ottiene solo di accentuare il
disagio. Quindi bisogna muoversi. A volte un semplice spostamento, un piccolo
cambio di prospettiva, può mostrare vie d’uscita che prima non si vedevano.

Definire i termini del problema
Dopo aver trovato le vie d’uscita, il problema va definito nei suoi termini
specifici, evitando generalizzazioni.
Questo è il vero e proprio problem setting, che si svolge secondo una
metodologia e con l'impiego di tecniche e strumenti.
Spesso i problemi ben definiti sono più limitati e abbordabili dei problemi che
vengono agitati a livello più generico.
Tuttavia è bene rendersi conto di come il nostro problema si intreccia con altri
problemi, se dipende da alcuni problemi o ne determina altri, se ha un
problema più grosso sopra di sé.

Raccontare il problema
Il problema può essere enunciato con formule stereotipate oppure può essere
raccontato con un vero sviluppo narrativo. O ancora può essere mostrato con
immagini e rappresentazioni grafiche.
Se viene raccontato bisogna tener conto dell'arco narrativo, con una
introduzione che espone i preliminari, una successione di eventi in crescendo,
un momento cruciale in cui viene posta la domanda determinante.
Le conclusioni, che sono alla fine di un normale racconto, mancano
nell'esposizione del problema, perchè sono affidate a chi dovrà risolverlo.
Anche nella narrativa la parte avvincente di un racconto è quella che fa
crescere il problema, non quella che lo risolve. In genere con la soluzione del
problema finisce anche il racconto.

Comunicare il problema
Dopo essere stato definito e formulato, il problema deve essere comunicato a
tutte le persone interessate.
Gran parte della comunicazione è comunicazione di problemi.
Le aziende, le organizzazioni, le istituzioni, passano da una comunicazione
celebrativa e autocentrata (come siamo belli e bravi) ad una comunicazione di
negoziazione fra interessi contrapposti, di biasimo di fronte ad una crisi, di
avvertimento perchè non si verifichino altre crisi.
Spesso gli uffici stampa tendono a minimizzare i problemi, invece di
presentarli all'opinione pubblica nella loro giusta rilevanza.
Il problema va comunicato con efficacia a chi deve decidere su programmi e
investimenti necessari a risolvere il problema stesso.

Considerazioni varie
In questo settore ci sono riflessioni a ruota libera sul problema in generale e
sul setting del problema in particolare.
E' un contenitore in cui raccogliere tutto ciò che non trova posto negli altri
capitoli.
Spesso mi limito a porre domande, perché aspetto le tue risposte.
Man mano che argomenti e idee si accumulano, verranno strutturati in settori
ipertestuali specifici.
In una concezione aperta del sito, sono benvenuti i tuoi contributi.

Il leader e il problema
Il problem setting è una delle caratteristiche principali del leader.
E' il leader che intuisce i problemi nuovi e li pone ai suoi collaboratori.
Il problem setting spetta al top management, il problem solving al
management intermedio, ai quadri, ai lavoratori.
Una qualità tipica del leader è la capacità di ridefinire il problema man mano
che si procede nella sua soluzione.
Il leader deve essere dotato di intelligenza analogica per saper trovare le
metafore utili ad impostare il problema, di intelligenza sistemica per
sintetizzare situazioni complesse e ridurle a strutture semplici, di intelligenza
emotiva per coinvolgere tutti i collaboratori nella soluzione del problema (vedi
anche le pagine su pensiero e creatività).

Problema e pensiero
L'arte di pensare, come dice Alberto Oliverio, è anche l'arte di porsi problemi,
che crescono insieme con noi, man mano che la nostra mente diventa più
potente e più complessa.
Ma il pensiero non è unico. Si basa su diversi tipi di intelligenza: logica,
analogica, sistemica, visiva, motoria, emotiva.
Quando affrontiamo un problema, usiamo tutti i tipi di intelligenza. Tuttavia
nella fase di setting del problema si usano soprattutto il pensiero logico,
analogico e sistemico.
Il pensiero logico è deduttivo (dall'idea generale ai casi particolari) o induttivo
(dai casi particolari all'idea generale), con struttura gerarchica e lineare: da A
dipende B, da B dipende C, ecc. E' molto utile per sistemare, organizzare,
definire.
Il pensiero analogico mette in relazione una cosa con l'altra, cercando analogie
o diversità. E' laterale, perchè si allontana dalla linea logica con il gioco delle
metafore, delle visualizzazioni, delle similitudini, dei paradossi. E' utile per
aprire nuove vie.
Il pensiero sistemico crea visioni sintetiche di situazioni molto complesse,
ricche di dati, interdipendenti l'una dall'altra.
Il problem setting usa tecniche di stimolazione della creatività, come il
brainstorming e la sinettica.
Il problem setting è una combinazione fra slancio creativo e metodo.
Il problem setting tiene in gran conto il pensiero analogico e il pensiero
sistemico.
Il pensiero analogico opera per somiglianze, per confronti spesso improbabili,
ma fruttuosi di nuove prospettive.
Il pensiero sistemico opera per larghe sintesi, e aiuta ad orientarsi in situazioni
molto complesse e ricche di dati (Oliverio, p. 72 e 101).
Una teoria che riduce i comportamenti umani a nove tipi fondamentali è
l'Enneagramma, ideato da Gurdjeff alla fine dell'800 e sviluppato da altri in
tempi recenti, applicandolo anche al mondo dell'impresa e a sviluppi
informatici.
Howard Gardner sostiene che non abbiamo un'intelligenza unica, ma sette tipi
diversi di intelligenza, ognuno dei quali può avere la prevalenza nelle diverse
persone.

Le sette intelligenze sono:
   • Intelligenza visiva/spaziale
   • Intelligenza musicale
   • Intelligenza verbale
   • Intelligenza logico/matematica
   • Intelligenza interpersonale
   • Intelligenza intrapersonale
   • Intelligenza corporea / cinestesica

La prevalenza di un tipo o dell'altro di intelligenza ci porta a definire i problemi
in modo visivo, verbale, logico.

La domanda
Il problema è una domanda, la soluzione una risposta.
Non potremmo fare domande, nè a noi stessi nè agli altri, se non
possedessimo un linguaggio. Con il linguaggio l'uomo pone le soluzioni dei suoi
problemi al di fuori del proprio corpo. Invece di farsi crescere una ghiandola ad
inchiostro sulla punta del dito, crea una penna. E' questo che differenzia gli
uomini dagli animali (Popper).
La domanda apre un nuovo discorso, la risposta lo chiude. La domanda pone il
problema, la risposta lo risolve.
Finora abbiamo sviluppato la cultura delle risposte, date dalla direzione
aziendale, dai leader politici, dalle ideologie, dalle religioni.
E' il momento di sviluppare la cultura della domanda, che si pone problemi
senza aspettarsi che vengano risolti, e che quando ottiene le risposte è pronta
a formulare altre domande.
E' un fatto che la nostra pedagogia consiste nel riversare sui fanciulli risposte
senza che essi abbiano posto domande, e alle domande che pongono non si dà
ascolto. Risposte senza domande e domande senza risposte. Quando non
vengono poste domande le risposte non possono essere capite (Popper).
Quando i problemi non sono posti le soluzioni non sono riconosciute.
Ogni domanda pone un problema. Ogni risposta lo risolve. L'enunciazione di un
problema finisce con una domanda che presume una risposta. Se porre i
problemi è più difficile che risolverli, fare domande è più difficile di dare
risposte. Anche perché chi fa domande non sa, chi dà risposte sa. Chi fa
domande deve individuare chi sa dargli risposte.

Diversità di livello fra setting e solving
C’è diversità fra chi pone il problema e chi lo risolve.
Pongo un problema di cui conosco la soluzione, per vedere se il mio
interlocutore arriva alla stessa soluzione (ne so più di lui).
Pongo un problema di cui non conosco la soluzione, sperando che il mio
interlocutore sappia risolverlo (ne sa più di me).
Anche se pongo un problema a me stesso mi trovo nel secondo caso. Come
solutore del mio problema ne so di più di quanto ne sapevo quando mi sono
posto il problema.

L’intervista
L’intervistatore fa domande per professione. Fare domande di routine è facile,
perché girano intorno al problema. Fare domande interessanti è difficile perché
significa che è stato posto bene il problema.
L’intervistato può non rispondere a tono:
       elude il problema
       lo mistifica
       sostituisce un altro problema
Elusione e rifiuto del problema:
       io non posso rispondere
       io non voglio rispondere
       la tua domanda non ha una risposta
       non ti ritengo legittimato a farmi una simile domanda
       non ti stimo abbastanza per permetterti di farmi questa domanda
Domande da farci
Ecco alcune domande che ci possiamo fare prima di affrontare un problema:
       che manca?
       Che voglio?
       Che voglio cambiare?
       Che voglio essere, avere, fare?
       Che voglio sapere?
       Che voglio far sapere?
       Come faccio per essere, avere, fare, sapere, cambiare, migliorare, far
       sapere?
       Che cosa succederà se non affrontiamo il problema?

L’emergenza
L’emergenza colpisce con l’emergere di un problema che non era stato ben
posto prima e costringe ad un improvvisato problem solving.
Il medico ayurvedico tende a curare il sano, non il malato, perchè la situazione
del malato è già compromessa.
Non sempre l’urgente è importante. Spesso conviene tralasciare l’urgente per
dedicarsi all’importante, passando dalla cultura dell’emergenza alla cultura del
progetto. Se si fa una buona manutenzione non c'è bisogno di fare lavori
straordinari. Ma, dice De Masi, agli italiani piace molto di più fare le
inaugurazioni che non fare le manutenzioni.
Per gestire l'emergenza bisogna saltare la fase del problem setting e affrontare
direttamente il problem solving. Oppure si può ricorrere ad un setting molto
rapido, che consenta di affrontare l'emergenza al più presto. Per fare ciò si può
usare il diagramma di affinità.
Bisogna distinguere fra emergenza derivante da eventi imprevisti, catastrofici,
indipendenti dalla nostra volontà e dal nostro potere, e fretta generata da
cattiva programmazione dei tempi, che denota una scarsa familiarità con il
diagramma di Gantt.

Problem setting e gioco
Creare un gioco è una forma di problem setting? Stabilire le regole del gioco fa
parte del problem setting? Organizzare un gioco e farlo fare è problem setting?
Giocare è problem solving? Condurre un gioco è problem solving?
Spesso nella formazione e nella gestione dei gruppi si usa il gioco come
tecnica che mette in moto intelligenza, comportamenti, rappresentazione di
sè. Il gioco può servire ad evitare le tensioni di quando si è "seri", e a
rappresentare in forma di metafora problemi e comportamenti della vita e del
lavoro.
Il bambino stesso, quando gioca, rappresenta scene del mondo dei grandi o di
suoi mondi fantastici, e fa seriamente qualcosa di "finto".
Il gioco dunque ci può essere molto utile per simulare processi e
comportamenti che ritroviamo sia nel problem setting, sia nel problem solving.
Alcuni giochi consistono proprio nel risolvere problemi.
Tipi di gioco:
       esibizione (fare qualcosa di fronte agli altri)
       limitazione (non toccare la palla con le mani)
       simulazione (facciamo che io ero il re e tu il cavallo)
       interpretazione (role play, MUD)
       competizione (chi arriva prima, lotta, pugilato, calcio)
       negoziazione (bridge, poker, role play)
       conquista (ruba bandiera, baseball)
       fortuna (roulette, lotteria)
       abilità (bridge, scacchi)
       soluzione di problemi (enigmistica, caccia al tesoro, adventure game)
I giochi possono essere individuali o di squadra. I primi sviluppano la
competizione, i secondi sviluppano lo spirito di cooperazione, la condivisione di
obiettivi, il senso del team.
I giochi possono avvenire fra due persone, o fra una persona e un avversario
impersonale o molto numeroso (p. es. il mercato). Possono essere a
informazione completa (gli scacchi) o incompleta (giochi a carte coperte).
Sono a somma zero i giochi in cui il guadagno del vincitore è uguale alla
perdita del vinto, e giochi a somma diversa da zero quelli in cui vincitore e
vinto possono avere ambedue da guadagnare o da perdere.
Nel concetto di gioco rientra lo sport, che tuttavia implica aspetti di disciplina
(allenamento) e di business (tutto lo sport professionistico, che però diventa
un lavoro come un altro).
Il gioco può servire ad analizzare la situazione con occhi diversi, a vedere
problemi che altrimenti non erano evidenti.
Quando i giochi si usano professionalmente nella formazione in aula o nella
gestione di gruppi è importante rispettare i tre momenti fondamentali:
       briefing - si spiegano le regole del gioco
       gioco - si fa fare il gioco
       debriefing - si riflette sul gioco fatto traendone le conclusioni utili al
       proprio problema reale.
Problem setting e creatività
L’artista può essere artista di feeling e artista di ricerca.
L’artista di feeling deve esprimersi con calore, deve comunicare le sue
emozioni. Esprime il suo disagio come atto simbolico (l'opera) senza arrivare
alla formulazione di un problema.
L’artista di ricerca deve esplorare territori nuovi, cercare di sviluppare il
linguaggio che usa. Questo tipo di artista pone problemi. La stessa cosa fa un
architetto. L’artigiano o il tecnico risolve problemi.
Il settore ricerca e sviluppo pone problemi. Il settore produzione risolve
problemi.
La creatività è problem setting?
La produttività è problem solving?
Creare è solo inventare o è anche produrre?
La creatività è una qualità innata o una capacità che si può stimolare e
migliorare?
Il problem setting usa tecniche di stimolazione della creatività, come il
brainstorming e la sinettica.
Il problem setting è una combinazione fra slancio creativo e metodo.
Il problem setting tiene in gran conto il pensiero analogico e il pensiero
sistemico.
Il pensiero analogico opera per somiglianze, per confronti spesso improbabili,
ma fruttuosi di nuove prospettive.
Il pensiero sistemico opera per larghe sintesi, e aiuta ad orientarsi in situazioni
molto complesse e ricche di dati (Oliverio, p. 72 e 101).

Problem setting e nuove tecnologie
Le nuove tecnologie dell'informazione e comunicazione da un lato risolvono
tanti problemi, dall'altro ne creano. Ma soprattutto sviluppano un
atteggiamento mentale volto alla definizione e soluzione dei problemi.
Se ci si mette di fronte ad un computer senza avere un'idea sufficientemente
chiara di quello che si vuol fare, si prede tempo e ci si avviluppa nei labirinti
di procedure e interfacce che non ci sono di nessuna utilità.
Se invece si pensa bene a che cosa si vuole fare e si riflette sulla successione
migliore di operazioni per ottenere un certo risultato, il computer diventa un
potente strumento di comunicazione.
Le nuove tecnologie operano con modelli dei processi di pensiero, prime fra
tutti le associazioni ipertestuali. Ci aiutano così a definire i problemi e a
trasformarli in un diagramma di flusso e quindi in un programma o in una
applicazione.
Oggi disponiamo di numerosi programmi che ci aiutano nel brainstorming, nel
benchmarking, nelle decisioni, nelle ricerche, nelle simulazioni.
La stessa posta elettronica ci permette di pensare insieme con altri, perchè lo
scambio di idee è talmente rapido da poter essere utilizzato in un processo
analitico o creativo.
I link di questo sito contengono numerosi riferimenti a programmi che ci
mettono in condizione di definire e risolvere problemi lavorando insieme con
gli altri o da soli, interagendo con il computer.
Problema e plot narrativo
Il romanziere che propone un plot narrativo pone un problema che verrà
risolto nel corso della narrazione. Verrà risolto bene nel caso di un lieto fine, o
male se la conclusione è tragica.
E' tipico il caso del giallo, dove il romanziere pone il problema all'investigatore,
e il lettore si diverte a vedere come l'investigatore risolverà il problema. Il
setting del problema quindi è a monte, e precede l'inizio della narrazione.
La soluzione può essere ignota al lettore, che quindi accompagna
l'investigatore nel suo problem solving, oppure può essere manifestata, come
il tipico plot del tenente Colombo, dove si parte dal delitto e si vede l'assassino
che lo ha compiuto, e tutto il gioco consiste nel vedere come l'investigatore
riuscirà a capire quello che noi già sappiamo.
Ogni narrazione è un problema, in quanto vanno definiti i termini e va
sviluppato un processo.
Ogni problema è una narrazione, in quanto c'è un setting che precede un
solving e la soluzione.
L'autore può essere onnisciente, come un burattinaio che muove i suoi
personaggi, trattando il problema in modo oggettivo, o può mettersi nei panni
di un personaggio. In questo caso il problema diventerà soggettivo.
L'eroe del racconto può essere quello che risolve il problema, o quello che lo
pone. Il primo è un uomo d'azione, il secondo è una persona di pensiero, uno
stratega o un essere sovrumano.
E' importante il rapporto da uno a molti. Ci può essere uno che pone il
problema a molti che lo devono risolvere (stratega), o uno che riesce a
risolvere problemi posti da molti (il leader carismatico).
Nel plot narrativo spesso si lascia il problema indefinito, o si presentano
situazioni in cui il problema appare chiaro al lettore, ma non al protagonista,
che sceglie modi sbagliati per risolverlo e che si avviluppa nelle spire del
dramma.

Aree di interesse
Il problem setting si applica con risultati positivi a qualsiasi attività, in ogni
tipo di organizzazione, dal lavoro personale ai grandi progetti che impegnano
parecchie imprese per un lungo periodo di tempo.
L'organizzazione deve adattarsi ai rapidi cambiamenti sociali, ambientali,
tecnologici, di mercato, e deve fronteggiare la pressione della concorrenza.
La gestione delle conoscenze e delle informazioni, o knowledge
management, è il settore cruciale di una moderna organizzazione.
Il marketing diventa sempre più analitico, perché va dal consumatore di
massa ad una relazione personalizzata con il cliente.
La comunicazione deve fare i conti con i nuovi media e con la grande
quantità di informazioni in cui siamo immersi.
Lo sviluppo delle risorse umane impone nuova attenzione alla formazione e
alla motivazione di chi lavora.
L'individuazione del core business e della catena del valore spinge a
scremare le attività significative, mettendo fuori quelle complementari.
Lo sviluppo del new business spinge all'innovazione di prodotto e alla
scoperta di nuove nicchie di mercato.
E infine, la regina del problem setting è la qualità. Soddisfazione del cliente,
miglioramento continuo, qualità totale impongono di porsi problemi anche
quando le cose vanno bene, perché è sempre possibile farle andare meglio.

Organizzazione aziendale
L'impatto delle nuove tecnologie impone alle imprese continui sforzi di
riorganizzazione.
Campi di applicazione:
      automazione e razionalizzazione della mano d'opera;
      outsourcing (affidare a strutture esterne attività complementari);
      trasformazione da impresa chiusa a impresa - rete;
      evoluzione dal processo, prodotto e servizio alla conoscenza (know how,
      knowledge);
      individuazione della migliore catena del valore;
      workflow management (sviluppo del "sistema nervoso aziendale", con
      condivisione istantanea delle informazioni);
      organizzazione e gestione di una intranet;
      riduzione dei livelli gerarchici;
      riduzione del time to market;
      realizzazione della learning organization, con una cultura flessibile e
      adattabile a tutte le sollecitazioni.

Knowledge management
Il knowledge management, o gestione della conoscenza, va inteso
come raccolta e organizzazione delle informazioni, diffusione delle informazioni
alle persone che ne hanno bisogno, perfezionamento costante delle
informazioni tramite l'analisi e la collaborazione.
E' legato ai processi e agli obiettivi di un'attività, e al riconoscimento della
necessità di condividere le informazioni.
E' la gestione del flusso di informazioni per far arrivare le informazioni giuste
alle persone che ne hanno bisogno, affinché possano utilizzarle velocemente.
Inform-azione è un verbo, cioè un'azione. Non è un nome, cioè qualcosa di
statico.
Il fine del knowledge management è di aumentare il livello del quoziente
intellettivo dell'azienda.
Il quoziente intellettivo dell'azienda è la misura in cui coloro che lavorano
insieme sanno condividere le informazioni in modo semplice ed esteso; il modo
in cui ognuno è in grado di sviluppare le idee degli altri; la condivisione di
conoscenze storiche e attuali; l'uso migliore dell'apprendimento individuale e
dello scambio di idee.
Il potere non deriva da un sapere custodito, bensì da un sapere partecipato.
(Bill Gates, pag.225-6)
Il sapere da implicito e tacito, difficile da capire e da comunicare, deve
diventare sapere esplicito, facile da descrivere, codificare e documentare
(Nonaka e Takeuki, 1995). Così le conoscenze passano dall'individuo al
gruppo, e l'impresa genera conoscenza in quanto collettività che deve
condividere saperi.
Le fasi sono quattro:
• Socializzazione, dal sapere tacito al sapere tacito (affiancamento sul
          lavoro, apprendistato).
    • Articolazione, dal sapere tacito al sapere esplicito (metafore, concetti,
          ipotesi, modelli, analogie).
    • Combinazione, dei saperi espliciti (gestione documentazioni elettroniche,
          reti di conoscenze).
    • Interiorizzazione, dal sapere esplicito al sapere tacito a livello più alto
      (learning organization).
Il knowledge management è fondamentale per un buon problem setting, che si
basa sull'elaborazione di informazioni di buona qualità, sulle tecniche di
ricerca, la raccolta dei dati, sulle analisi di storia e di trend, sulla capacità di
prendere decisioni.

Marketing
Lo sviluppo delle nuove tecnologie dell'informazione e comunicazione ha
cambiato il marketing, che ha potuto avvalersi di potenti strumenti di analisi
statistica e di data base.
Da scienza dei consumi di massa è diventato prima marketing di nicchia, poi
marketing relazionale, infine "permission marketing", dove l'azienda, grazie ad
Internet, chiede al possibile cliente il permesso di stabilire un rapporto con lui
(opt-in = opzione per entrare).
Come fare piani di nuovo marketing, tenendo conto delle nuove tecnologie?
Come far emergere i nuovi problemi di mercati globali e locali in continua
turbolenza?
Con i metodi del problem setting.

Comunicazione
Nella comunicazione il problema chiave deriva dall'espansione di Internet. Oggi
un piano di comunicazione non ne può fare a meno, ma non si sa ancora bene
come rendere visibile una presenza sul web, come combinare i media
tradizionali con i nuovi media, come rivolgersi a pubblici collegati e a pubblici
non collegati con la rete.
L'interattività del web capovolge l'atteggiamento del destinatario, che non è
più passivo di fronte a messaggi che gli vengono sparati contro, ma diventa
attivo e va in cerca delle informazioni che gli interessano. La comunicazione
push della televisione diventa pull nel web, perché il navigatore tira a sé le
informazioni.
Tuttavia anche nel web si usa la comunicazione push (banner, e-zine), ma va
combinata con il pull, in quanto si deve chiedere al destinatario se vuole che
gli vengano inviati i nostri messaggi.
Questa forma di comunicazione per esempio è l'abbonamento gratuito ad una
rivista web (e-zine = electronic magazine), come la rivista di cultura
informatica di Apogeo (www.apogeonline.com) o le altre riviste indicate nei
link di questo sito.
La comunicazione evolve da una comunicazione generica, rivolta alla massa e
basata principalmente sulla pubblicità, ad una comunicazione specializzata,
rivolta a pubblici particolari (comunicazione ambientale, finanziaria, di crisi,
lobby).
Si deve fare attenzione ai linguaggi, che a volte devono essere globali, altre
volte locali, e devono tener conto di società multietniche e di differenti religioni
e costumi. I prodotti diffusi in modo uniforme in tutto il mondo non sono più di
otto. Tutti gli altri devono essere adattati alle culture locali.
Penso che la comunicazione sarà sempre più orientata su Internet. La
comunicazione interna sarà intranet, quella esterna sarà internet.

Risorse umane
Le persone che lavorano devono avere capacità di fare e disponibilità a fare.
Se sono capaci ma non disponibili, non hanno un buon rendimento. Se sono
disponibili ma incapaci sono pericolose, perché possono fare con buona volontà
cose sbagliate.
Una matrice ci aiuta a collocare capacità e disponibilità, per migliorare la
qualità del servizio.

              capacità
disponibilità bassa capacità              alta capacità
              alta disponibilità          alta disponibilità

               FORMAZIONE                 OK
               bassa capacità             alta capacità
               bassa disponibilità        bassa disponibilità
                                          INCENTIVAZIONE E
               ALTRA MANSIONE             MOTIVAZIONE

Uno strumento come la farfalla aiuta a definire le competenze, da quelle di
base a quelle più raffinate.
Definite le competenze da acquisire, si può fare un piano di formazione per
sviluppare le capacità.
Se invece si deve migliorare la disponibilità, bisogna lavorare sulla
incentivazione (che vantaggi ho a fare meglio il mio lavoro?) e sulla
motivazione (perché devo fare meglio? con quali obiettivi per me
interessanti?).
Con la flessibilità sempre più marcata oggi è più difficile contare sul senso di
appartenenza all'azienda, e sulla condivisione della mission aziendale.
Si dovrà contare sempre più sull'appartenenza ad un team o ad un progetto,
come accade per il cast di una produzione cinematografica, dove tutti i
partecipanti sentono appartenenza a quel film, ma una volta finita la
produzione ognuno se ne va per la sua strada, salvo riunirsi per un nuovo film.
Questo modello sarà sempre più adottato nel lavoro moderno, in tutti i tipi di
organizzazione.

Qual è il mio core business?
Il problem setting aiuta a definire il core business, l'attività propria
dell'impresa. Si pone le domande:
Qual è il mio business?
       E' ancora quello di ieri?
       Lo sta cambiando la concorrenza?
       Lo sta cambiando un'evoluzione tecnologica?
Qual è il valore aggiunto? La ragione vera del fatturato e del profitto?
Alcune considerazioni:
       Non vendo camion ma chilometri percorsi in 3 anni.
       Non vendo computer ma operazioni svolte in 2 anni.
       Vendere bene un’auto nuova significa comprare bene un’auto usata.
Una volta individuato il core business, si tende a mettere fuori lavorazioni e
reparti che non hanno strettamente a che fare con esso (outsourcing).
Lo spinoff aziendale disaggrega l'impresa in unità produttive più piccole e
spesso indipendenti, trasforma i centri di costo in centri di profitto autonomo,
il lavoratore dipendente in imprenditore o lavoratore autonomo.

Catena del valore
L'attività specifica dell'azienda va inserita nella giusta catena del valore. Per
esempio, il core business di uno stilista di moda è la creazione di modelli, ma
la catena del valore va dalle stoffe alle calzature alla cosmetica alla
distribuzione del prét a porter.
La catena del valore è figlia di una concezione di rete, dove quello che conta
sono i collegamenti significativi lungo il percorso della filiera che va dalla
produzione alla distribuzione al riciclo.
Le domande da fare sono:
Come inserire il proprio core business nella giusta catena del valore?
Quali sono i business marginali complementari al mio business?
Come posso collegarmi con essi?

New business
Dove è il nostro new business? Come fare ad aprirsi verso di esso?
Restare fedeli alle proprie tradizioni o aprirsi spregiudicatamente
all'innovazione?
Fare ricerca e innovazione sul prodotto, sul processo, sulle tecnologie?
Fare ricerche sul mercato? Sui bisogni dei clienti?
Determinare nuove esigenze dei clienti anticipandone i bisogni?
Analizzare i cambiamenti derivati dalle nuove tecnologie? I fenomeni delle
nuove imprese basate su Internet, come Virgilio?
Rovesciare le logiche di mercato, regalando invece di vendere? (Tiscali, Linux)

Qualità
Le politiche di qualità sono generatrici continue di problemi. C'è il problema
della qualità. Come raggiungerla? Come ottenere la soddisfazione e la fedeltà
del cliente? E c'è la qualità del problema. Il problema è stato bene impostato?
E' stato fatto bene il problem setting?
Vedi anche Qualitest, Criticità, Matrice di Grassetti, Galgano.

La qualità
La qualità è un valore immateriale che determina la preferenza di un prodotto
o di un servizio, la soddisfazione di chi acquista e usa quel prodotto/servizio, la
motivazione a continuare ad acquistare o usare quel prodotto/servizio.
C’è una qualità assoluta, che consiste nel livello massimo di eccellenza di un
prodotto o servizio (lo stato dell’arte, il campione del mondo, il capolavoro
d’arte...).
C’è una qualità relativa, che consiste nell’ottimizzazione fra produzione,
distribuzione, assistenza, qualità, prezzo.
Noi ci interessiamo a questo tipo di qualità.
La qualità relativa, per quanto immateriale, deve essere controllabile e
misurabile. I processi per ottenere la qualità possono essere analizzati,
descritti e procedurati.
Procedurizzazione, controllo e misura permettono la certificazione di qualità in
base a parametri di confronto stabiliti.
L’impegno nella qualità è di per sé un generatore di problemi. Dobbiamo
sviluppare un progetto di qualità totale? Dobbiamo realizzare un salto
qualitativo? O è meglio procedere per piccoli miglioramenti continui? Come
promuoviamo in azienda l’orientamento alla qualità?
La qualità va applicata anche al problema. La definizione del problema è di
buona qualità? Il processo di soluzione del problema è di buona qualità o può
essere migliorato?
Qualità totale
I controlli di qualità tradizionalmente vengono fatti solo sul prodotto. Ma il
prodotto, anche se è l’output essenziale, è solo uno degli elementi che
costituiscono l’impresa.
La qualità totale tiene conto di tutti gli elementi e gli aspetti dell’azienda,
mirando a realizzare una catena virtuosa che parte dai fornitori, passa per la
produzione e distribuzione, arriva ai clienti finali.
La qualità totale si basa sul principio per cui la qualità di un processo qualsiasi
è la qualità più bassa di un singolo elemento del processo, così come la
resistenza di una catena è la resistenza dell’anello più debole.
La qualità totale si occupa perciò della ricerca e innovazione, della produzione,
della manutenzione, della distribuzione, della sicurezza e ambiente, delle
risorse umane, della formazione, della comunicazione, ecc.
Eccellenza
La ricerca dell’eccellenza è la ricerca del livello massimo possibile in un
determinato campo. L’azienda eccellente è quella che diventa leader del
mercato, o della nicchia di mercato.
Miglioramento continuo
In giapponese “kaizen”, è l’impegno ad apportare ogni giorno piccoli
miglioramenti ovunque si può. Anche se la qualità attuale non è eccellente, il
miglioramento continuo porta verso l’eccellenza. Nel kaizen ci si accontenta del
livello attuale, purché ci si impegni a migliorarlo, anche se di poco. Qualità
totale ed eccellenza presumono l’impegno di tutta l’organizzazione. Il kaizen lo
possiamo fare da soli, ognuno secondo le sue possibilità.
Il kaizen si può applicare ai processi (automazione, logistica), al tempo
(approccio just in time, riduzione del time to market), alle persone
(formazione dei team), alle tecnologie (aggiornamento tecnologico).
Il kaizen (tanti piccoli miglioramenti) si contrappone al kairyo (un grande
miglioramento). Il kairyo viene deciso dalla direzione e viene fatto con un
grande investimento. Il kaizen viene fatto ogni giorno da tutto il personale. In
una organizzazione i due approcci dovrebbero coesistere e integrarsi.
Il kaizen può essere applicato al prodotto/servizio, al processo e
all’organizzazione, alle persone, alle tecnologie. Il kaizen applicato alle persone
ne sviluppa il potenziale creativo e la motivazione, e costruisce lo spirito di
team.
Qualità e comunicazione interna
La qualità va “venduta” all’interno dell’azienda, coinvolgendo e motivando
tutto il personale. Prevede perciò una grande attenzione alla comunicazione
interna ed al clima aziendale.
Circoli di qualità
Sono piccoli gruppi di lavoratori che svolgono volontariamente attività di
controllo di qualità nel proprio settore o in altri settori dell’azienda.
I circoli servono a:
       migliorare la leadership e le capacità gestionali dei capi intermedi e dei
       supervisori;
       innalzare il livello del morale dei dipendenti e creare un ambiente
       favorevole al miglioramento;
       costituire un nucleo attivo per realizzare la qualità di tutta
       l’organizzazione.
Gli obiettivi dei circoli sono, oltre al miglioramento dell’azienda, il rispetto
dell’uomo e di un ambiente dove abbia un senso lavorare, e lo sviluppo delle
capacità umane.
I circoli tendono a sviluppare la creatività dei partecipanti, ad ampliarne la
visione oltre i limiti del proprio posto di lavoro, a potenziare la propria
personalità in rapporto con gli altri. Per queste ragioni i circoli devono essere
sostenuti dalla direzione, altrimenti diventano frustranti.
Certificazione di qualità
Sono state stabilite norme internazionali che stabiliscono la qualità di prodotti
e processi, come le ISO 9000. Con l’appartenenza alla comunità europea le
aziende tendono a certificare la loro qualità, con l’applicazione delle norme. Per
esempio, il marchio CE è applicato su apparecchiature a norma europea.
L’azienda che decide di certificarsi si impegna in un radicale processo di
riorganizzazione e di ottimizzazione.
Controllo di qualità
Il controllo di qualità applica metodologie e strumenti alla ricerca dei problemi,
alla loro soluzione, alla misura di parametri qualitativi e al loro confronto con
determinati standard interni o esterni all’azienda (benchmarking).
Customer care e customer satisfaction
La cura del cliente si basa sul principio che il cliente è sempre un essere
umano. Se vendiamo cibo per cani, chi compra è un uomo. Se vendiamo pezzi
di ricambio di una locomotiva, chi compra è un uomo. Questo compratore deve
essere curato e soddisfatto.
Ciò che soddisfa il cliente non è la prestazione normale, ma la prestazione
sorprendente. Se entrando in una camera d’albergo troviamo il bagno in
ordine, il pavimento pulito e il letto rifatto, e nel bagno ci sono gli
asciugamani, la cosa ci sembra normale. Se troviamo un cioccolatino, un fiore,
un accappatoio, siamo piacevolmente sorpresi e ci sentiamo coccolati.
La customer care è la cura del cliente, e si basa sul principio che costa di più
acquisire un nuovo cliente che conservare quello che già si ha. Da ciò deriva
una evoluzione del marketing, che da strategico (conquistare posizioni e fette
di mercato) diventa relazionale (curare la relazione con il cliente).
I sette nuovi strumenti per il controllo della qualità
Concordemente con quanto detto da Mizuno (1988), la giapponese Society for
Quality Control Technique Development ha proposto i sette nuovi strumenti
per la qualità. Dopo una ricerca mondiale, nel 1976 hanno proposto questi
nuovi strumenti per il controllo della qualità:
      Diagramma di relazioni
      Diagramma di affinità (metodo KJ)
      Diagramma sistematico ad albero
      Diagramma a matrice
      Analisi dati a matrice
      Process decision program Chart (PDPC)
      Diagramma a frecce
Essi sono stati scelti in base a questi criteri:
      la capacità di completare compiti
      la capacità di eliminare difetti
      la capacità di assistere nello scambio di informazioni
      la capacità di disseminare informazioni alle parti coinvolte
      la capacità di usare "espressioni non filtrate".

Quando ricorrere al problem setting
Quando ci si deve porre il problema?
Quando le cose vanno male no, perché il problema è già emerso (però quello
che è emerso potrebbe essere il sintomo, non la causa).
Quando vanno bene, perché porsi problemi? (ma è quello che normalmente fa
il ricercatore o il manager eccellente).
Prima del problema c'è la percezione di un disagio, di una carenza. C'è un
bisogno da soddisfare. C'è uno stato ansioso di fronte a minacce indefinite.
Il problem setting ci aiuta ad affrontare il disagio, a individuare il bisogno, a
passare dallo stato ansioso alla visione chiara del problema da risolvere.
E’ importante esaminare le condizioni che provocano disagio e separarle
dall’ambito in cui possiamo intervenire, entro il quale dobbiamo cercare la
definizione del problema.
Per cercare le condizioni possiamo indagare dal generale al particolare,
analizzando lo scenario (situazioni globali e locali, tendenze), il contesto
strategico in cui la nostra organizzazione si trova ad operare,
l'organizzazione per cui operiamo, il settore di nostra competenza,
l'argomento specifico del problema da definire.
Possiamo anche rovesciare il processo, partendo dall'argomento specifico e
collocandolo via via nei contesti più ampi.
In genere si tende a porsi i problemi man mano che si presentano nello
svolgimento di un processo. Sarebbe bene invece definire i problemi il più
possibile a monte del processo.

Lo scenario
La situazione di inadeguatezza e di disagio può derivare da cambiamenti di
scenario più o meno ampi e importanti, come rivolgimenti politici, introduzione
di nuove normative, processi di formazione dell’Unione Europea, introduzione
dell’Euro, globalizzazione dell’economia, impatto delle nuove tecnologie
dell’informazione e comunicazione.
I problemi generali vanno sempre riferiti al nostro problema.

Il contesto strategico
La situazione problematica può derivare dall’ambiente socio-economico in cui
ci si trova:
        cambiamenti del mercato,
        politiche di occupazione,
        determinazione della catena del valore,
        tensioni sociali e sindacali,
        condizioni ambientali,
        pressione della concorrenza,
        innovazioni tecnologiche, di processo e di prodotto.
Le condizioni di contesto vanno riferite al settore e all'argomento di cui ci
occupiamo, ma anche alla catena del valore in cui si colloca il nostro core
business.
Per risolvere un problema bisogna coinvolgere chiunque si trovi nel suo
percorso critico, indipendentemente dal fatto che sia all'interno o all'esterno
dell'azienda (Bill Gates, p. 206).

L'organizzazione
Le situazioni problematiche possono derivare da cause che riguardano la
propria organizzazione:
      introduzione di nuove tecnologie,
      innovazioni nei processi produttivi,
      ristrutturazioni,
      relazioni fra unità produttiva e holding,
      acquisizioni e cambiamenti di proprietà,
      mutamenti nella vision del top management,
      individuazione di nuove nicchie di mercato,
      determinazione del core business,
      politiche di outsourcing.
Il problema può essere generato da decisioni prese dall'alto (licenziamenti,
cessioni).
Il problema può essere posto dal basso (circoli di qualità o problemi sindacali).

Il settore
Il setting del problema può riguardare situazioni tipiche del settore in cui
operiamo:
       marketing,
       comunicazione,
       personale,
       commerciale,
       produzione,
       amministrazione.
Il problem setting può essere applicato a settori specifici.
Nell’informatica, serve per definire un problema di software o di hardware.
Nell’organizzazione, serve per definire un problema di ottimizzazione (qualità,
eliminazione degli sprechi, riduzione del time to market).
Nella comunicazione, può definire un problema da affrontare con la
comunicazione (crisis management, clima interno, rapporti con il trade,
campagne stampa).

L’argomento
Dopo aver analizzato i contesti più ampi, possiamo affrontare il tema specifico
di cui ci dobbiamo occupare.
L'argomento specifico può essere la progettazione di un nuovo corso di
formazione, di una campagna pubblicitaria, l'ideazione di un nuovo prodotto, la
riqualificazione del personale.
Bisogna cominciare a individuare le condizioni che determinano il disagio.
Dalle condizioni vanno individuate tutte le situazioni a rischio e i processi di
cambiamento, ponendosi le domande:
       che cosa cambierà?
       quali saranno le conseguenze del cambiamento?
       chi ne sarà interessato?
       quali saranno i rischi e le opportunità?
In base alle condizioni e alle situazioni a rischio si determinano i problemi.

Problem setting e project management
Problem setting e problem solving sono processi articolati e complessi, che si
svolgono secondo le modalità di un progetto.
Il problem setting sta a monte del project management, in quanto se un
problema non è definito è impossibile mettere mano ad un progetto.
Oppure il project management è il sistema che gestisce tutto il processo
progettuale, dal problem setting all’output finale del progetto.
Si tratta di scegliere il punto di vista. Se si parte dalla carenza iniziale si è
orientati al problema e alla sua definizione, da cui dipende tutto il resto. Se si
parte dagli obiettivi che si intende raggiungere si è orientati al progetto, che
comprende vari problemi da definire e da risolvere.
Il problem setting definisce il problema, il project management ne gestisce la
soluzione.
Il project management scompone il problema in problemi più piccoli, li affida ai
responsabili, pianifica la successione delle operazioni nel tempo, gestisce
l'avanzamento del progetto fino alla sua conclusione.
Le fasi tipiche del project management sono in "Problem solving". Il più diffuso
programma informatico con cui si gestiscono i progetti è MS Project.
Lo strumento per pianificare, cercare soluzioni, verificarle e applicarle è la
Ruota di Deming o PDCA.

Metodologia
Saper “vedere” un problema è un atto creativo o un processo di indagine?
Quando Eratostene decide di calcolare la circonferenza della Terra in un'epoca
in cui non si pensava neanche che la terra fosse sferica ha un lampo di genio o
attiva un processo mentale?
C’è un metodo per definire i problemi?
Il metodo è unico e valido per qualsiasi tipo di problema, o va adattato in base
all'argomento e alle circostanze? (questo era l'interrogativo di Wittgenstein).
Leonardo osserva, Galileo verifica con esperimenti, Cartesio deduce.
Il problema può manifestarsi come un lampo o affiorare piano piano come una
figura che emerge dalla nebbia.
Un metodo può essere definire gli output desiderati (che cosa vogliamo
ottenere) e gli input che siamo in grado di dare (dati da immettere, azioni da
fare), e se vogliamo dare gli input tutti a monte o anche durante l’utilizzazione
(interattività).
La definizione di output e input è problem setting. Tutto quello che si
organizza per trasformare gli input in output è problem solving.
E’ facile sapere quando un problema è ben risolto: basta controllare i risultati.
Se sono conformi all’output desiderato, il problema è risolto bene.
E’ molto difficile valutare se un problema è posto bene. E’ un problema o una
condizione? Gli output richiesti sono coerenti con gli input e le specifiche (le
condizioni) del problema?
Il concetto è un’idea statica.
Il problema è un’idea dinamica, è un motore inferenziale che spinge a
muoversi in diverse direzioni.
Il problem setting può essere affrontato da una persona sola, ma in base alla
sua complessità può essere più produttivo affrontarlo in gruppo. Il leader del
progetto costituirà un team da destinare al problema da definire e da
risolvere.
Il processo metodologico parte dal disagio, che sta prima del setting del
problema. Poi analizza lo scenario, per tutto ciò che ha a che fare con
l'organizzazione in esame, e per le linee di sviluppo possibili. Quindi analizza la
situazione interna, e la storia di quanto è avvenuto prima. Cerca di capire
dove si sta andando con l'analisi dei trend. Si evidenziano quindi le aree di
criticità. Si organizza la raccolta dei dati, e si attivano tecniche di
stimolazione della creatività. A questo punto si è in grado di definire il
problema, e di organizzarne la soluzione con le tecniche di problem solving.
Tutto il progetto infine si gestisce con le tecniche di project management.

Team e competenze
Il problema è affrontato e risolto da persone che devono saper lavorare
insieme e condividere l'impegno a definire e risolvere il problema.
Intorno ad ogni problema quindi c'è un team, una squadra che collabora e
vuole vincere, cioè vuole risolvere il problema.
Il team si distingue da un gruppo qualsiasi di persone perché condivide un
compito, un allenamento o una preparazione, strategia e tattiche, visione del
gioco, concordia sul risultato da raggiungere. Nel team l'individuo conserva
tutto il suo valore, ma si integra con gli altri in un rapporto win win (se mi
muovo bene io, ti muovi meglio anche tu).
I componenti del team devono avere le competenze adeguate al problema da
affrontare.
Le competenze relative ad un certo compito sono valutate in base alla
differenza fra il compito atteso e il compito svolto.
Se la differenza è minima le competenze sono buone, se il compito atteso è
più alto sono insufficienti, se è più basso sono ottime, ma se è troppo basso
sono sprecate, perché la stessa persona poteva essere destinata ad altri
compiti (per revisionare il carburatore della mia macchina non serve un
meccanico di formula 1).
Nelle attività a competenza diffusa si trovano molte persone capaci di fornire
una prestazione accettabile. Nelle attività a competenza specializzata se ne
trovano molte meno e le sovraprestazioni possono essere molto costose.

Il disagio
Prima di affrontare il setting del problema va individuata la carenza, la
condizione che genera disagio e il tipo di disagio emergente.
Il disagio può dipendere da uno stato (non ci sono prodotti nuovi in catalogo),
una tendenza (gli impianti stanno invecchiando) o un evento (si è rotta una
macchina).
Il disagio può creare le condizioni, o le condizioni possono creare il disagio.
Disagio e condizioni difficili spingono ad intuire un problema che, per essere
risolto, deve essere definito bene.
Se il setting sta a monte del problema ma è già una tecnica, una metodologia,
un’attività, ancora più a monte c’è un senso di inadeguatezza, un timore, una
curiosità, un bisogno o un desiderio, un’ambizione.
       Inadeguatezza = manca qualcosa
       Timore = ho paura che
       Curiosità = vorrei sapere
       Bisogno = vorrei avere
       Ambizione = vorrei essere
       impotenza = vorrei fare
Le condizioni possono essere limitanti, possono costringere, possono impedire,
possono favorire, possono stimolare.
Le condizioni vanno individuate in coppie di opposti (positivo/negativo) in
quanto vincoli o opportunità:
       limitare/favorire
       aprire/chiudere
       accelerare/frenare
       spingere/tirare
       crescere/diminuire
       salire/scendere
       guadagnare/perdere
       vicino/lontano
       vecchio/nuovo
       lento/veloce
       sviluppo/depressione
       alto/basso
       ecc.
In molti casi della vita si sente un bisogno, ma si cerca di soddisfarlo nel modo
sbagliato. Così facendo la soddisfazione accentua il bisogno invece di placarlo.
Può essere il caso di chi ha bisogno di essere apprezzato sul lavoro, ma per
ottenere considerazione si comporta in modo brusco, e quindi viene trattato
con crescente freddezza.
Watzlawick parla di ipersoluzioni, come di atteggiamenti che pretendono di
risolvere un problema mal posto o insolubile.
Spesso ci si pongono problemi inesistenti e si ignorano condizioni
oggettivamente più problematiche.
Uno strumento valido per determinare le cause di una situazione negativa è il
diagramma causa/effetto.

Analisi di scenario
Lo scenario va analizzato per tutto ciò che ha a che fare con l’organizzazione in
esame, e per le linee di sviluppo possibili.
Per esempio, per un’impresa di trasporti, lo scenario riguarda la mobilità nel
territorio oggi e domani.
Lo scenario si analizza con strumenti di ricerca come i rapporti Censis e Ispes
che ogni anno fanno il quadro della situazione socio-economica dell'Italia, con
la lettura dei giornali e delle rassegne stampa, con ricerche in biblioteca e su
Internet.
Programmi di supporto alle decisioni (DSS, EIS) e le analisi di scenario che si
possono fare con Excel sono strumenti informatici utili al manager che deve
determinare un problema partendo dallo scenario.

Analisi della situazione interna
Che cosa succede all’interno dell’organizzazione? Il disagio riguarda tutta
l'impresa, o un solo settore?
Come strumenti di analisi si può partire dalla window analysis, con cui
confrontiamo il nostro problema con un problema analogo di un altro settore o
un altro ente.
Per risalire alle condizioni e alle cause del disagio si usa il diagramma
causa/effetto.
Anche le chiacchiere di corridoio sono molto utili per raccogliere informazioni
interne.
Tutta la comunicazione interna oggi può essere gestita da una intranet,
mentre una extranet può gestire tutta la catena del valore.

Analisi della storia
Si dice che la storia è maestra di vita. Anche con il nostro problema, possiamo
cercare di sapere che cosa è successo finora nell’organizzazione, limitatamente
al tema di cui ci occupiamo.
La ricerca può essere fatta consultando gli archivi aziendali o intervistando chi
c'era già, all'interno e all'esterno dell'azienda (consulenti, fornitori, clienti).
Si possono analizzare i precedenti dello stesso problema, o di problemi simili.
Si può capire attraverso quali vicende si è arrivati fino al punto in cui ci si
trova.
L'analisi dei precedenti può essere fatta con il pensiero analogico, che porta a
cercare fonti utili da dirigere sul bersaglio di cui ci occupiamo, come i
precedenti giuridici per preparare una causa.
I casi storici quindi non sempre sono identici al caso che stiamo studiando, ma
sono simili. Si tratta di individuare le similitudini e comprendere le relazioni
che ci sono con il nostro caso.
Un confronto su quanto accaduto ad altri si può fare con la tecnica della
window analysis.
Analisi del trend
Quando i fenomeni sono molto evidenti è già troppo tardi per affrontarli.
Bisogna stare attenti a cogliere i segnali deboli, e a capire se cresceranno o
diminuiranno fino a scomparire.
Tuttavia c'era chi diceva che il futuro si può prevedere bene solo quando è già
passato.
I segnali deboli interagiscono con molte altre forze, quindi è difficile
descriverne l'evoluzione con una curva precisa.
Nelle analisi di situazioni complesse, piene di tante variabili, si usano
strumenti volutamente imprecisi e approssimati che aiutano a far individuare
una tendenza. La tendenza non descrive un comportamento singolo ben
delineato, ma rappresenta un insieme di comportamenti non ben definiti e non
del tutto omogenei.

Aree di criticità
Bill Gates dice che per dirigere bene un'impresa è molto importante imparare
ad ascoltare le cattive notizie, da qualunque parte esse vengano: clienti,
concorrenti, fornitori, collaboratori, dipendenti.
Per individuare le aree di criticità e valutarne l'incidenza ci si può basare sulla
propria sensibilità e sul proprio intuito, oppure si possono usare tecniche
adatte.
Essere esigenti con se stessi e inclini al perfezionismo è senz'altro una buona
base di partenza, purchè non sconfini nella paranoia. Tecniche più oggettive
tuttavia possono fornirci informazioni diverse, spesso sorprendenti.
Il Qualitest è un metodo semplice e pratico con cui si individuano le varie
componenti del tema da analizzare, e se ne vota da 1 a 10 l'importanza loro
attribuita e la qualità che se ne percepisce. Le votazioni sono fatte da persone
di caratteristiche diverse. La media delle votazioni e lo scarto fra importanza e
qualità mettono in evidenza le voci su cui si deve intervenire.
La Matrice di Grassetti serve a calcolare i costi della non qualità, e cioè quanto
costa trascurare un problema.
Il diagramma di Ishikawa aiuta a scoprire le vere cause di una situazione
critica. E' molto utile in proposito la variante CEDAC, che si svolge con
interventi scritti in un certo periodo di tempo.

Organizzazione della raccolta dei dati
Tutti i dati possibili relativi all'argomento di cui ci si occupa devono essere
raccolti, classificati e organizzati.
Tipi di dati:
       dati numerici e quantitativi (valutazioni finanziarie, misurazioni);
       informazioni;
       documentazione su casi precedenti e simili;
       immagini (disegni, fotografie, filmati);
       letteratura (libri e articoli);
       registrazioni sonore;
       colloqui e interviste faccia a faccia.
Nella raccolta dei dati bisogna chiedersi:
       che cosa è avvenuto,
       che cosa sta avvenendo,
che cosa potrebbe avvenire.
Le informazioni devono essere:
       tempestive,
       affidabili,
       veritiere,
       verificabili.
Sono utili sia le informazioni formali (verbali di riunioni, lettere, tabulati, ecc.)
sia quelle informali (rapporti personali, chiacchiere di corridoio).
I dati vanno classificati secondo strutture gerarchiche, dal generale al
particolare.
Le nuove tecnologie mettono a disposizione il data base relazionale, dove i dati
possono essere archiviati in tabelle omogenee, e le ricerche possono essere
fatte mettendo in relazione una tabella con l'altra.
Una efficace intranet dovrebbe mettere a disposizione immediata tutti i dati
che servono. Bill Gates dice che il valore aggiunto di un knowledge worker non
è nel cercare le informazioni, ma nell'elaborarle per produrre nuova
conoscenza.

Stimolazione della creatività
Don Abbondio diceva che il coraggio uno non se lo può dare. E la creatività ce
la possiamo dare?
E' una qualità innata o una capacità che possiamo sviluppare?
Nella soluzione dei problemi, quanta parte è metodo e quanta è illuminazione
creativa?
Se partiamo dal presupposto che i bambini sono creativi per natura, e poi con
l'educazione perdono creatività per adattarsi alle regole della famiglia e della
società, basterebbe risvegliare quella creatività naturale.
Ma è vero che tutti i bambini sono creativi?
Creatività è fantasia sfrenata e libera da vincoli, o è un modo diverso di
interpretare le regole del gioco, di reagire a condizioni ed eventi?
E' invenzione di qualcosa che non esisteva, o combinazione inedita di cose
esistenti?
De Masi dice che le persone si dividono in burocrati e creativi. I burocrati
applicano il regolamento. Se si presenta un problema che non è previsto dal
regolamento, fanno un'altra regola e non risolvono il problema, rafforzano solo
il loro potere. I creativi ignorano il regolamento e affrontano allegramente il
problema, anche se spesso cozzano contro il potere dei burocrati.
Per determinare i problemi è necessario uscire dalla routine quotidiana, dalle
abitudini consolidate, dal timore del nuovo e del diverso.
Si deve provare a cambiare il proprio punto di vista, mettendosi nei panni di
un'altra persona, un ruolo diverso, una struttura. Come vedrei la cosa se fossi
il fornitore, o il sindacato?
A tal proposito si può cercare di cambiare il punto di vista da soli, con la
propria fantasia, oppure in gruppo, con la tecnica del role play.
Dopo aver visto le cose in modo diverso, si attiva un processo di
accumulazione delle idee, con la tecnica del brainstorming. Più idee vengono
fuori, meglio è, anche se sono stravaganti. Un'idea stimola l'altra.
Anche i 6 cappelli possono essere utili. Basta indossare il cappello verde. De
Bono ha teorizzato l'uso del pensiero laterale, un modo di pensare per
associazioni che diverge dalla linearità del pensiero logico.
Il processo creativo si conclude con la selezione delle idee, per affinità e per
rilevanza, con la tecnica del diagramma di affinità, o con qualsiasi altra tecnica
di associazione convergente.

La decisione
Nel problem setting, come nel problem solving, bisogna prendere decisioni.
Una volta analizzata la situazione, raccolti i dati, individuate le criticità, si
presentano varie possibilità. Ci troviamo di fronte ad un problema di marketing
o di comunicazione? Bisogna prendere una decisione, altrimenti non si arriva
alla definizione del problema.
La decisione può essere istantanea, e può dipendere da un intuito, da un
sentimento di chi deve decidere. Oppure può essere presa in seguito ad un
processo mentale più o meno complesso. In questo caso ci sono strumenti
informatici che guidano il processo decisionale, e sono i programmi di DSS
(decision support system). Oppure si possono usare strumenti più semplici
come l'analisi del campo di forze o il diagramma di Pareto.
La capacità di decidere è tipica del manager di alto livello. Le nuove tecnologie
tendono però a distribuire l'intelligenza anche ai livelli più bassi del processo e
del prodotto. Di conseguenza anche la decisione tende a spostarsi verso il
basso, per cui il lavoratore non è più l'appendice tayloriana di una catena di
montaggio, ma è un'intelligenza umana che interagisce con un'intelligenza
artificiale.
Il problem setting è un procedimento che orienta le mie decisioni, le scelte fra
alternative diverse.
Se dovessi prendere decisioni in base ad un problema non definito, l’unica
possibilità sarebbe ricorrere ai pregiudizi (ai sistemi limbici del cervello).
Se il problema è definito, ogni decisione dimezza il campo delle ambiguità, e
mi porta verso la soluzione del problema.
La decisione, in quanto scelta fra alternative, è un riduttore di complessità. Per
esempio, se scelgo fra 8 alternative ugualmente probabili, la scelta di 1
alternativa richiede 3 passaggi. Naturalmente le cose si complicano se le
alternative non sono ugualmente probabili.
A volte le decisioni sono incerte, fra due o più alternative che sembrano
equivalenti.
In questi casi, invece di rimanere paralizzati, ci si può affidare all’indicazione
del caso, alla divinazione, all’inconscio.
Gli antichi auguri consultavano il fegato degli animali sacrificati o il volo degli
uccelli. I cinesi consultano I Ching, e lo faccio anche io con un mio gruppo di
lavoro creativo.
Ikkyu, maestro zen illuminato, quando nei suoi vagabondaggi si trovava di
fronte ad un bivio, lanciava la sua collanina e andava nella direzione indicata
dalla caduta di essa.

Definire e comunicare il problema
Definire bene un problema è in gran parte averlo risolto (Benedetto Croce).
Prima di aver risolto un problema è difficile definirlo bene (E. De Bono).
Definizione del problema
Finalmente è giunto il momento in cui il problema può essere definito e
formulato con chiarezza.
Dal materiale raccolto vanno estratte le parole chiave. Da queste parole si
arriva all'enunciazione del problema.
Il problema può essere definito secondo questo schema:
Dato che (disagio iniziale) e tenendo conto che (condizioni), come fare per
(problem setting) ottenere (soluzioni attese)?
Comunicazione del problema
Tutto il setting del problema si basa sulla comunicazione. Il leader e i
collaboratori devono comunicare costantemente fra di loro per attivare i
metodi e le tecniche. Ma devono comunicare anche con il resto
dell'organizzazione per ottenere dati e informazioni utili.
Una volta definito e formulato, il problema va comunicato all'interno
dell'organizzazione, e se è il caso anche all'esterno.
La frase "questo è un problema tuo, non mio" significa che io non sono
disposto a interessarmi di del problema che mi proponi.
Il problema quindi va "venduto" per ottenere consenso intorno all'opportunità
di risolverlo. E anche per ottenere decisioni e finanziamenti.
Per comunicare con più efficacia il problema si può ricorrere all'analogia.
Catone in senato estrasse dalla toga alcuni fichi freschi che venivano da
Cartagine. Con questo voleva dire che Cartagine era talmente vicina da
rappresentare una seria minaccia per Roma, e che dunque doveva essere
distrutta.
Un modo per comunicare il problema al di fuori del cerchio degli addetti ai
lavori in senso stretto è il principio del RIMB (Raccontalo In Modo Banale), di
cui parla la scrittrice di thriller Kathy Reichs. E' il modo di parlare del proprio
progetto che si usa per le raccolte di fondi, i party, le riunioni inaugurali, i
consigli di amministrazione, dove si semplifica tutto al massimo, evitando
tecnicismi e approfondimenti.
Leader e collaboratori nel problem setting
Il leader ha la funzione di coagulare intorno a sè le criticità (come un magnete
o un parafulmine). I collaboratori devono essere impegnati in modo creativo,
con spirito di team. Devono essere sensibilizzati ai vantaggi che deriverebbero
dalla soluzione del problema e alle conseguenze negative che si
verificherebbero se il problema non venisse risolto.
Il leader con i collaboratori, e i collaboratori fra di loro, devono curare molto la
comunicazione, che avviene con incontri diretti e telefonate, ma ormai più
spesso con le nuove tecnologie della intranet, ivi compresa l'e-mail, gli spazi di
incontri virtuali e la teleconferenza.
Se il problema si trova in una fase riservata di studio va posto in uno spazio
intranet accessibile solo al gruppo di lavoro che si occupa del problema.
Quando è il momento di comunicare il problema a tutta l'azienda dallo spazio
chiuso lo si sposta negli spazi comuni dell'intranet e se necessario anche
dell'extranet.

Organizzazione del problem solving
Una volta definito con chiarezza il problema in tutti i suoi aspetti, si può
passare alla fase del problem solving.
Il problem solving viene bene solo se è preceduto da un corretto problem
setting.
Chi ha definito il problema può affrontarne anche la soluzione. Più spesso però
i manager di alto livello pongono il problema e ne affidano la soluzione a livelli
più bassi.
In questo caso andrà costituito il team di problem solving.
Il processo di soluzione del problema va organizzato con le tecniche di project
management.
Si parte dal briefing, dove vengono descritte tutte le specifiche del problema
da risolvere e del progetto da gestire. Si procede con la gerarchizzazione dei
problemi, dai problemi generali ai sottoproblemi. Si passa quindi alla
pianificazione applicando la tecnica della work breakdown structure (WBS),
con cui si suddividono i compiti in singole attività, e si disegnano i diagrammi
PERT e Gantt per visualizzare la struttura logica e la programmazione
temporale delle operazioni. Si confrontano le soluzioni attese con quelle
ottenute, e si fa una relazione con le soluzioni ottenute. Si conclude con il
debriefing, discussione finale su tutto il processo di problem solving.

Briefing
Il setting del problema dà luogo al briefing del progetto di problem solving.
Il briefing è il documento in cui sono concordate tutte le specifiche del
progetto: obiettivi, tempi, costi, risorse a disposizione, settori
interessati.
Una delle più famose metodologie per definire le specifiche di progetto risale a
Lasswell ed era usata fin dagli anni 30 nel giornalismo. Si basa su cinque W e
una H:
       Who – chi è il referente o il committente, a chi ci si rivolge
       What – che cosa si deve fare (progetto)
       Where – dove si deve intervenire
       When – quando va fatto
       Why – perché si fa (obiettivo)
       How - Come si deve fare – questo è lo sviluppo stesso del progetto.
       Altra domanda importante è: QUANTO SI PUO' SPENDERE?
Un buon metodo per determinare le specifiche di progetto è quello di rifarsi ad
un progetto precedente, utilizzando le cose che sono andate bene e integrando
quelle che non erano adeguate.
Il briefing ci viene dato dal committente, o siamo noi a raccoglierlo
intervistando il committente. Elementi costitutivi del briefing sono i dati di
base che servono per fare una proposta, elaborare un progetto, compiere
un'azione. Quando viene dal cliente non è detto che vada seguito alla lettera.
Sulla base di esso possiamo comunque fare proposte alternative che magari
rispondono in maniera più completa ai bisogni che hanno generato il briefing,
e che fanno parte della nostra consulenza. Essere propositivi e saper motivare
(negoziare) le nostre proposte può essere una buona base per avere successo
con la piena soddisfazione del cliente.

Gerarchizzazione dei problemi
Il problem solving si può sviluppare in una struttura gerarchica ad albero, o se
si vuole i problemi possono essere annidati l’uno dentro l’altro. Il
macroproblema avrà la sua macrosoluzione, e sarà formato da microproblemi,
ognuno con la sua microsoluzione.
Per esempio, si sente il bisogno di modernizzare la comunicazione in azienda.
Problem setting A = si usa troppa carta, bisogna riorganizzare tutto con
workflow management.
        --Problem setting AA – digitalizzare le singole postazioni di lavoro
              ----Problem setting AAA – bisogna usare un word processor
                    ----Soluzione AAA – fare un corso di Word e installarlo in tutti
i computer
              ----Problem setting AAB – bisogna mettere tutti i documenti in un
data base
                    ----Soluzione AAB – organizzare tutto con Access
              ----Problem setting AAC – bisogna usare un foglio di calcolo
                    ----Soluzione AAC – fare un corso di Excel e installarlo in
tutti i computer
        --Soluzione AA – pc su ogni posto di lavoro, con software e
addestramento
        --Problem setting AB – far comunicare fra loro i computer aziendali
              ----Problem setting ABA – mettere in rete tutti i computer
                    ----Soluzione ABA – rete locale ethernet
              ----Problem setting ABB – far usare l’e-mail a tutti i dipendenti
                    ----Soluzione ABB – installare e fare un corso di Outlook
express
        --Soluzione AB – realizzazione di una intranet aziendale
Soluzione A – mettere i computer in rete, installare Office 2000 e imparare ad
usarlo.

Per riuscire a scomporre un problema generico e aggregato in sottoproblemi
più specifici, si possono fare domande di chiarimento e precisazione, che
aiutano a definire gli argomenti, e quindi ne mettono in evidenza gli elementi
che li compongono e che costituiscono i sottoproblemi.
Problemi affini, complementari o concatenati si possono raggruppare in un
problema che li raccoglie (procedimento inverso alla wbs: generalizzazione o
accorpamento delle attività).
I problemi periodici si ripresentano a scadenze fisse.
Le procedure ricorsive nella soluzione di un problema includono la generazione
di un nuovo problema.

Pianificazione
Dopo aver definito e gerarchizzato il problema si procede alla pianificazione
delle azioni che portano alla sua soluzione.

Con la WBS si individuano le singole attività e si assegnano alle persone che
dovranno svolgerle. Le attività generali sono suddivise in attività particolari,
indipendenti o collegate fra loro.

Le attività sono rappresentate visivamente con il sinottico PERT, che evidenzia
le loro concatenazioni e strutturazioni logiche ed i percorsi critici, ovvero quelle
A Problsett It
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  • 1. Umberto Santucci Problem setting Come definire i problemi per poterli risolvere Fin da bambini abbiamo dovuto risolvere tanti problemi. Ma quanti di noi sono capaci di porsi nuovi problemi? Quanti sanno trasformare uno stato di ansia o di timore in un problema da risolvere? Quanti conoscono un metodo con cui porre correttamente il problema, definirlo, strutturarlo? In genere si parla di problem solving. Ma per risolvere un problema bisogna averlo posto. Il problem setting è l’arte di porsi i problemi. Ma perché porsi problemi? Non bastano quelli che abbiamo già? I problemi sono come gli alberi. Da piccoli possono essere sradicati con una mano, ma se crescono c’è bisogno di un bulldozer. E’ meglio prevenire che curare. Lo scopo di questo ipertesto è individuare un metodo per il problem setting. Nel momento in cui una situazione è ben definita, è già superata. Oggi bisogna attrezzarsi per affrontare ogni giorno la sfida dell'indefinito, del mutante, dell'ignoto. Perciò è fondamentale, invece di acquisire saperi intesi come materiali da capitalizzare e da usare in futuro, dotarsi di metodi e strumenti adatti ad acquisire ed elaborare nuove conoscenze, a definire e risolvere problemi che, una volta ben definiti, sono già superati. In questa sede ci occupiamo principalmente dell’impresa, intesa sia come azienda che produce, sia come organizzazione, dall’istituzione alla associazione no profit. Tuttavia metodi, tecniche e strumenti vanno bene per qualsiasi altro ambito. Aree di interesse di questo lavoro: comunicazione risorse e relazioni umane management delle conoscenze e dell'informazione organizzazione aziendale determinazione del core business determinazione del new business marketing qualità
  • 2. Sommario Definizioni Problema, setting, solving Che cos'è il problema Il problema Dall'ansia al problema Il problema e il suo ambiente Problema e condizioni Il problema come riduttore di complessità Porre bene o male i problemi Problemi ed emergenze Morfologia del problema Problema e problemi Agitare problemi Dissolvere il problema Problem setting e problem solving Come fare problem setting Percepire il disagio Analizzare il disagio Definire la situazione Cercare le vie d’uscita Definire i termini del problema Raccontare il problema Comunicare il problema Considerazioni varie Il leader e il problema Problema e pensiero La domanda Emergenza Problem setting e gioco Problem setting e creatività Problem setting e nuove tecnologie dell'informazione e comunicazione Problema e plot narrativo Aree di interesse Organizzazione aziendale Knowledge management Marketing Comunicazione Risorse umane Core business New business Qualità Quando si ricorre al problem setting Lo scenario Il contesto strategico L’organizzazione Il settore L’argomento
  • 3. Problem setting e project management Metodologia Team e competenze Il disagio Analisi di scenario Analisi della situazione interna Analisi della storia Analisi dei trend Evidenziazione delle aree di criticità Raccolta dei dati Attivazione di tecniche creative Definizione e comunicazione del problema Organizzazione del problem solving Briefing Gerarchizzazione dei problemi Pianificazione Soluzioni Debriefing Tecniche e strumenti Tecniche di analisi Tecniche di domanda Tecniche di ricerca Analisi di tendenza Tecniche mentali Brainstorming 6 cappelli per pensare Sinettica Mappe mentali Outliner Flow chart Tecniche di decisione Giochi e simulazioni Giochi di simulazione Giochi d'aula e di gruppo Role play Dilemma del prigioniero Simulazioni al computer Realtà virtuale Qualità Benchmarking Diagramma causa/effetto CEDAC Diagramma di affinità Qualitest Farfalla (competenze) Diagramma di Pareto Analisi del campo di forze PDCA (plan, do, check, act) Matrice di Grassetti
  • 4. Project Management Ms Project Work breakdown structure (WBS) PERT Gantt Una nuova professione? Il problem setter La farfalla per le competenze del problem setter La figura professionale Il curriculum Le tecnologie Forum Contributi dei visitatori Link Problem solving Knowledge management Project management Management TQM (Total Quality Management) Marketing management Risorse umane Benchmarking Core business e catena del valore Ricerca DSS (Decision support systems) Pensiero Creatività Brainstorming Comunicazione Giochi Il dilemma del prigioniero Altri link interessanti Associazioni La mia rete Definizioni Se "problem setting" significa "definizione del problema", in un lavoro sul problem setting la prima cosa da fare è definire i termini. Questo vale anche come metodologia generale. Prima di affrontare un argomento qualsiasi è bene mettersi d'accordo sul significato dei termini, per essere sicuri che non vengano intesi in modo diverso. Come tutto l'ipertesto, questa pagina è aperta al tuo contributo, nel caso che ti venga in mente di rettificare una definizione o di definire un altro termine. Problem setting Processo teorico e pratico che serve a trasformare un disagio in un problema, in una questione ben definita. Precede il problem solving,
  • 5. che trasforma il problema ben definito in un progetto, da gestire secondo le tecniche del project management. Il problem setting risponde alla domanda: che cosa fare? Il problem solving risponde alla domanda: come fare? Problema Questione da risolvere partendo da elementi noti mediante il ragionamento, e per la quale si propongono soluzioni. Problema di aritmetica, di geometria, di algebra. Formulare, impostare, risolvere un problema. I dati del problema = gli elementi noti. Questione, situazione difficile o complessa di cui si cerca la soluzione (circolare in auto è un problema). Persona misteriosa o incomprensibile, il cui comportamento mette in difficoltà (quella ragazza è un problema) Dal greco pròblema, da proballo = metto avanti, propongo. (Vocabolario Gabrielli) Progetto Piano relativo ad un lavoro da eseguire, elaborato in base a criteri di fattibilità. Idea, proposito, intenzione. Complesso degli studi, disegni, plastici di un'opera da eseguire. Dal francese projeter, tardo latino proiectare. (Vocabolario Gabrielli) L'etimologia di problema e progetto ci porta a qualcosa che si spinge in avanti, verso una visione futura. Proiettare se stessi e la propria immaginazione verso altri tempi, altri luoghi, altre situazioni. Il problema nasce comunque da una proiezione nel futuro e dal peso del passato (poiché le cose sono andate in un certo modo, vorrei che andassero in un altro modo). Teorema Proposizione che viene dimostrata mediante un ragionamento fondato su ipotesi o proposizioni assunte come vere o su proposizioni precedentemente dimostrate. Dal greco theorèo = esamino Algoritmo Procedura o formula per risolvere un problema. Il termine deriva dal nome del matemaico arabo Al-Khowarizmi (sec. IX). Un programma per computer può essere visto come un elaborato algoritmo. Nelle scienze matematiche e informatiche un algoritmo generalmente indica una piccola procedura che risolve un problema ricorrente, o uno schema uniforme per risolvere una classe di problemi. Enigma Breve componimento in prosa o in versi dove, in termini oscuri, ambigui o allegorici, si esprime un concetto o una parola da indovinare.
  • 6. Estensione: discorso oscuro, confuso, reticente, difficile da capire. Persona o cosa difficile a definirsi, spiegarsi, comprendersi; mistero. Gioco enigmistico. (Vocabolario Gabrielli) Problem solving Problem finding – rendersi conto del disagio Problem setting – definire il problema Problem analysis – scomporre il problema principale in problemi secondari (WBS) Problem solving – eliminare le cause Decision making – decidere come agire Decision taking – passare all’azione (dal glossario di "Gioco e dopogioco", La Meridiana, 1997) Problema e mistero Il mistero è una porta chiusa, di cui non si ha la chiave. Il problema è una porta da aprire, di cui si deve cercare la chiave, la serratura, il sistema di apertura. Problema, setting, solving Che cos'è un problema? Che differenza c'è fra stato ansioso e problema? Perchè normalmente si parla di problem solving più che di problem setting? Dove si pone il problem setting di fronte al problem solving? Quando definire il problema e quando risolverlo? Chi fa problem setting e chi problem solving? Come si fa a fare problem setting? In questo settore cercherò di rispondere a queste domande, che tuttavia restano aperte ai tuoi contributi. Che cos’è il problema Il problema nasce da uno stato di ansia, da una condizione di disagio, dalla percezione di una carenza. Tuttavia rappresenta in qualche modo l'uscita dal disagio, il momento in cui si passa da un atteggiamento passivo ad uno attivo, si prende il toro per le corna, si cerca di fare qualcosa. Rendersi conto che una certa situazione altro non è che un problema significa in qualche modo già uscirne, crearsi una prospettiva da cui le cose possono essere viste meglio. In questo settore si affrontano i diversi aspetti del problema, dalla sua definizione alla sua dissoluzione. Il problema Il problema è qualcosa che prima o poi può essere risolto. Un problema insolubile è un muro che va evitato e aggirato, o un non problema che va dissolto. Il problema solubile è una scalinata. Il problem setting ci mostra la scalinata togliendoci dai vicoli ciechi. O addirittura scompone il muro in muretti più piccoli, trasformandolo in una scalinata. Il problem solving ci fa salire la scalinata passo dopo passo. Il project management organizza e controlla chi deve salire, come, quando, dove deve arrivare.
  • 7. Il debriefing valuta se l’aver salito quella scalinata ha portato effettivamente alla soluzione sperata, e quali altre scalinate si presentano dal nuovo punto di vista. Il problema è una struttura euristica che istruisce un processo di ricerca con lo scopo di arrivare ad una soluzione. Il processo parte dal riconoscimento di una situazione irrisolta, dalla definizione dei termini del problema, dalla corretta formulazione della domanda (problem setting). La domanda viene posta alla persona o al gruppo di persone che deve risolvere il problema. I solutori si mettono al lovoro e formulano le loro soluzioni. Da queste, spesso nasce l’esigenza di porsi nuovi problemi, in un processo più ampio di ricerca e di miglioramento. Il problema è un riduttore di complessità, perchè da un insieme indistinto e intessuto di infinite variabili sceglie solo alcuni elementi e alcune variabili da prendere in considerazione per arrivare ad una soluzione possibile e accettabile. Tutta la nostra comunicazione, i nostri rapporti, le nostre azioni si basano su riduttori di complessità, come modelli, giochi, rappresentazioni, linguaggi. Il modello riduce tutte le possibili combinazioni di colonna e capitello allo stile ionico. Il gioco permette di contendere solo con i dadi, solo con combinazioni da 2 a 12. La rappresentazione è un punto di vista, una proiezione, una maschera, un rituale. Il messaggio è una sezione del continuum spazio-temporale, una scelta fra le tante possibili. Il medium è un processo che fa da tramite fra due poli e li mette in comunicazione scegliendo (servendosi di) un canale e un codice (una tecnologia). Il problema è un elemento del mito, è la sfida che viene lanciata all’eroe, è il punto interessante di qualsiasi storia. Una vita troppo piena di problemi è difficile da vivere, ma una vita priva di problemi è un encefalogramma piatto. Dall'ansia al problema C'è differenza fra crearsi problemi (stato ansioso) e definire problemi (stato calmo). L'ipocondriaco, il malato immaginario, il depresso si tormentano con problemi che oggettivamente non esistono. Quando ci si trova in una situazione di debolezza si tende a subire i problemi come forze esterne e soverchianti. Affrontare e definire i problemi presuppone una condizione di forza, sia psichica, sia di potere. Il problem setting è un'attività organizzata che di per sè riduce l'ansia e lo stress. Definire un problema significa prendere l'iniziativa, non subire gli eventi.
  • 8. Il problema e il suo ambiente Il problema va ambientato nel tempo, nel luogo e nel contesto. Se pongo un problema fuori tempo non viene accettato. Se pongo un problema più adatto ad un altro luogo non viene accettato. Devo avere la capacità di intuire il problema, di porlo, di scegliere il momento giusto, di farmi sostenere da un potere adeguato, di “vendere” il mio problema, per non fare come Cassandra, che vedeva giusto ma non veniva creduta. Il problema e le sue condizioni Un problema che non dipende da noi è ancora un problema, o piuttosto non è una condizione da considerare a monte di un problema alla nostra portata? Per esempio, la pressione fiscale è un problema o una condizione? Per i politici è un problema, per noi è una condizione. Il problema è qualcosa di simile agli obiettivi, nel senso che gli obiettivi devono essere raggiungibili, così come il problema deve essere risolvibile? Prima di immergersi nel setting del problema, bisogna analizzare la sua natura per sapere in quale direzione cercare. Quando non so che fare, significa che mi trovo di fronte ad un problema insolubile (e allora lo devo spostare al livello di condizione) o che non ho definito il problema (e allora devo applicare metodologie di problem setting). Se l’infelicità non è un problema, la felicità non è un obiettivo. Sono ambedue condizioni. Una condizione non è un problema, ma è generatrice di problemi. Un handicap (supponiamo che io sia cieco) non è un problema, ma genera vari problemi: come faccio a leggere, a comunicare, ad aprire una porta, a sapere che ore sono? Spesso ci troviamo in difficoltà perché facciamo confusione fra condizioni e problemi. Nel diagramma di Ishikawa, risalendo la scala dei perché, si arriva al vero perché, e si capisce se esso è alla nostra portata o no. Se non lo è bisogna assumerlo come condizione, e ridiscendere la serie fino ad incontrare il primo perché alla nostra portata. Questo può essere il nostro problema, di cui i perché superiori sono le condizioni. Il problema come riduttore di complessità Il problema definito e formulato è un riduttore di complessità, in quanto sceglie solo alcune variabili da includere in un modello dinamico per ottenere un risultato, considerato come la soluzione del problema, o per eliminare le criticità contenute nel problema stesso. Prendiamo per esempio un normale problema di aritmetica, dove un negoziante acquista qualcosa e la rivende ad un prezzo più alto. Il problema domanda quanto guadagna il negoziante. Per guadagno si intende la differenza fra ricavi e costi. E’ una semplificazione, in quanto poi andrebbe calcolata l’incidenza fiscale, quanto si spende in casa, che valore si dà al denaro, quanto si spreca, ecc. Ovvero la valutazione aritmetica è molto diversa da quella psicologica, che in realtà è l’unica cosa che conta, perché non è tanto importante la realtà delle cose, ma la percezione personale che se ne ha.
  • 9. In tutti i casi della vita se si volessero prendere in cosiderazione tutte le variabili l’operazione sarebbe talmente lunga e costosa da risultare inutile. Il problem setting orienta nelle scelte delle variabili da considerare, e aiuta a creare un modello della vicenda. In altri termini, quando il negoziante acquista una merce e la rivende, apparentemente compie un’operazione semplice e ripetitiva. In realtà corre un rischio, pensa che quella merce si venderà, o crede che si continui a vendere, è preoccupato perché la moglie sta male, è contrariato perché il figlio ha scelto altre attività e non trova lavoro. Ma il problema non può prendere in cosiderazione tutto ciò, perché è un modello, un gioco, una rappresentazione, un messaggio, un medium. Il problema è un micromondo, in quanto non tiene conto di tutti gli elementi, ma solo di quelli funzionali alla rappresentazione di una certa situazione reale. Per micromondo si intende un dominio artificiale limitato, i cui possibili oggetti e proprietà e possibili eventi sono definiti in anticipo in modo ristretto ed esplicito. Gli scacchi, per esempio, sono un micromondo. Un nuovo ruolo professionale è quello del facilitatore, come descritto nella recente guida The Facilitator's Fieldbook, di Thomas Justice, che ne prescrive procedure e linee guida. Porre bene o male i problemi Che cosa è andato male (o bene) ieri? Che cosa va male (o bene) oggi? Che cosa andrà (potrà andare) male (o bene) domani? Per un metodo di analisi si può usare la wyndow analysis del CEDAC. Problem setting Problem solving Esempio Problema posto bene Problema risolto bene Messner conquista vetta Problema posto bene Problema risolto male Titanic Problema posto male Problema risolto bene Scoperta dell’America Problema posto male Problema risolto male Suicidio Problema non posto Problema risolto bene Vincita alla lotteria Problema non posto Problema risolto male Incidente auto Problema non posto Problema non risolto Inquinamento Un problema non posto è che molte aziende non hanno ancora una persona che si dedichi alla comunicazione, e nemmeno piani di comunicazione. Problemi non posti sono i costi della non qualità, ecc. A Problema non risolto Genera nuovi problemi difficili da gestire B Problema risolto Genera nuovi problemi che è possibile gestire bene C Problema ignorato Genera nuovi problemi pressoché ingestibili o emergenze A. traffico urbano --> aumento del traffico B. catena di montaggio di Taylor --> ripetitività del lavoro e noia C. incubazione dell’AIDS --> AIDS Si può dare il caso in cui il problema è noto, ma la soluzione è impossibile.
  • 10. Per esempio, mi trovo in un’aula dove gli allievi sono smotivati, per una ragione che condivido in pieno (sono stati obbligati a frequentare il corso, senza conoscerne le finalità). Il problema della smotivazione è noto, ma non ha soluzione perchè non dipende da noi. In tal senso va accantonato per individuare un nuovo problema che è possibile risolvere. Il nuovo problema può essere: come mettere a frutto nel modo migliore una situazione di aula compromessa? Il problem setting quindi, oltre che per definire un problema nuovo, si può usare anche di fronte ad un problema definito e formulato, per vedere se è definito e formulato bene. Per esempio l'alchimia si era posto il problema di trasformare i metalli vili in oro. La chimica ha ridefinito il problema. Il metodo scientifico non fa altro che ridefinire problemi precedenti, falsificandone le soluzioni. Problemi ed emergenze Spesso gli eventi precipitano in modo tale che non si ha il tempo di applicare una qualsiasi metodologia per definire e risolvere i problemi. Di fronte all'emergenza non c'è tempo per analizzare la situazione, e si corre subito ai ripari con azioni tampone. Le decisioni spesso devono essere molto rapide, e non hanno lo scopo di valutare le alternative per scegliere la migliore, ma di imboccare subito una strada che porta fuori dalla crisi. Spesso si va per tentativi, e si cerca di agire subito sugli effetti senza risalire alle cause, e non si può fare altrimenti. Se una persona è caduta nell'acqua e non sa nuotare, la prima cosa da fare è tirarla fuori. In un secondo momento si può cercare di capire perché è caduta nell'acqua, o si può perfino insegnarle a nuotare. E' importante ricordarsi di aver adottato un intervento tampone, e di procedere all'analisi delle cause e alla corretta definizione del problema. In caso contrario l'emergenza si ripresenterà in modo sempre più grave, costringendoci ad un continuo tamponamento che rimanda la vera soluzione del problema. Morfologia del problema Il problem setting descrive la situazione e fa le domande. Il problem solving dà le risposte analizzando il problema e svolgendo alcune operazioni. Setting Descrizione: un negoziante acquista 10 articoli a £. 50.000 l’uno e li rivende a £. 75.000. Problema: quanto guadagna? Solving Analisi: fra l’acquisto e la vendita c’è una differenza, che va calcolata con una sottrazione. La differenza va moltiplicata per il numero degli articoli. Operazione: 75.000 – 50.000 = 15.000 x 10 = 150.000 Soluzione (risposta): il negoziante guadagna £. 150.000 (il risultato dell’operazione è interpretato alla luce della descrizione del setting). Nel caso di una struttura organizzativa, le condizioni possono essere determinate dallo sviluppo della tecnologia (introduzione dell’ADSL nelle telecomunicazioni). Il problem setting pone le domande: che vantaggi ci sono rispetto all’ISDN? Che rappoto costi/benefici? Va introdotto in tutta la rete
  • 11. aziendale o solo in una parte per sperimentarne il funzionamento? Come si combina con i sistemi tradizionali? Il problem solving stabilisce le seguenti operazioni: raccolta di dati sulle caratteristiche di prestazioni e costi, ed elaborazione di proiezioni possibili. Determinazione della rete sperimentale in cui introdurre l’ADSL. Introduzione del sistema. Controllo comparativo di velocità di trasmissione e determinazione di pacchetti tipo da trasmettere per ottenere un valido confronto con altri tipi di trasmissione. Sperimentazione di trasmissioni in diverse fasce orarie. Individuazione di situazioni critiche di traffico fra rete sperimentale e rete totale. Relazione finale e progetto generale. Problema e problemi (iperproblemi) Normalmente affrontiamo un problema per volta. Se ci troviamo di fronte a parecchi problemi che ci piombano addosso tutti insieme cadiamo in uno stato di stress perchè non sappiamo come districarci, a chi dare la precedenza, come uscirne fuori. In questi casi è bene stabilire le priorità di importanza e di tempo dei vari problemi, e affrontarli uno per volta. Tuttavia in genere un problema non è un elemento unico e isolato da tutto il resto. E' molto più probabile che sia collegato con altri problemi. I collegamenti danno luogo a strutture sequenziali, gerarchiche o di rete. La struttura sequenziale implica che il mio problema venga prima e dopo altri problemi. La struttura gerarchica va da un problema generale a problemi particolari che ne fanno parte e la cui soluzione porta alla soluzione del problema generale. La struttura di rete implica che il mio problema va collegato con altri problemi vicini e lontani. In questo senso una rete di problemi può essere un iperproblema, o un metaproblema, in quanto si occupa di altri problemi guardandoli dall'alto e mettendoli in relazione fra loro. Agitare problemi Spesso i problemi vengono agitati invece di affrontarli. E’ una forma di non comunicazione, dove l’agitare un problema impedisce una seria discussione e un lavoro concreto per procedere al setting del problema stesso. Naturalmente quello che si agita è il disagio, non il problema, o almeno un problema generico e astratto, non un problema ben definito. Giacchè la definizione del problema implica la delimitazione dell’area di interesse del problema. Un problema spesso agitato è quello della disoccupazione. Il setting del problema della disoccupazione implica di delimitarne gli ambiti alla sfera politica, o economica, o fiscale, o della formazione. E ancora delimitare le fasce di età, o la tipologia (attesa del primo lavoro o perdita del lavoro), o la zona (nord, centro, sud) o il settore (industria, terziario, nuove tecnologie), e così via. Il problema agitato si sostituisce al problema ben definito, conserva lo stato d’ansia e genera i pregiudizi.
  • 12. Dissolvere il problema Quando un problema viene agitato senza definirlo non ha soluzione. Ci sono problemi che non possono essere risolti perché sono al di là dei nostri limiti umani. Tutti i problemi metafisici sono di questo genere. Che cosa sarà di noi dopo la morte, o perchè c'è il dolore, o perchè è stato creato l'universo, sono interrogativi che ci possiamo porre, ma sappiamo già in partenza che non avranno risposta. Le stesse religioni quando danno risposte non le argomentano, ma chiedono che ci si creda senza porsi altre domande. I problemi che non possono essere risolti devono essere dissolti, nel senso che non vanno affrontati come problemi, ma come immagini, sogni, incubi, illusioni. Dissolvere i falsi problemi significa poter dedicare tutte le energie a risolvere i problemi alla nostra portata. Dissolvere un problema significa dimostrare che non è un problema. Significa sottoporre il suo enunciato ad un processo di problem setting, per controllare se si tratta di un problema risolvibile o no. Eludere un problema è evitarlo, non prenderlo in considerazione. Dissolvere un problema vuol dire delegittimarlo, non riconoscerlo come problema. Quando Alessandro Magno si trova davanti al nodo di Gordio, che nessuno era riuscito a sciogliere fino ad allora, e invece di tentare di scioglierlo come hanno fatto tutti gli altri lo taglia con un colpo di spada, che cosa fa? Elude il problema? Lo banalizza? Lo dissolve? Lo risolve con il pensiero laterale? Le quattro nobili verità di Buddha dissolvono il problema della sofferenza? Problem setting e problem solving In genere quando ci si riferisce a metodi e tecniche di soluzione dei problemi si parla di "problem solving", forse perché si preferisce mettere in evidenza il momento risolutorio che ci libera dallo stress del problema. Tuttavia il solving viene dopo del setting, ed è anche meno importante dal punto di vista gerarchico. Chi pone i problemi in genere ha un potere superiore a chi li deve risolvere. La soluzione del problema, detta per brevità "problem solving", è un processo che ha queste componenti: Problem rendersi conto del disagio finding Problem definire il problema setting Problem scomporre il problema principale in problemi analysis secondari (WBS) Problem eliminare le cause e rispondere alle solving domande poste dal problema Decision decidere come agire in base alle risposte making ottenute Decision passare all’azione taking Da www.srseuropa.it/Sqm_web/glo/B17.htm:
  • 13. Componenti centrali del processo di problem solving sono: • acquisizione della capacità di visione d'insieme, per cogliere i collegamenti e le interdipendenze tra le parti - componenti del fenomeno indagato; • predisposizione di un metodo di analisi, distinguendo tra aspetti e tecniche conosciute e non, ai fini di acquisire nuova conoscenza; • apprendimento ed impiego di nuovi modi di pensare e determinazione della metodologia di analisi; • raccolta di informazioni finalizzate alla suddetta metodologia; • sintesi delle informazioni in modo da renderle facilmente percepibili ai fini della creazione di semplici scenari di riferimento alternativi; • confronto tra scenari di soluzione, impiegando tecniche creative ed intuitive; • formulazione dello scenario di riferimento, identificando gli orientatori che supportano il cambiamento; • traduzione dello scenario in risultati aspettati ed indicatori di misurazione; • sperimentazione e valutazione dei risultati. Varie sono le tecniche e le modalità di problem solving, attualmente impiegate nelle imprese di eccellenza. Una delle più interessanti è sintetizzata nell’acronimo FARE. Focalizzare Creare un elenco di problemi Descrizione scritta Selezionare il problema del problema Verificare e definire il problema Analizzare Decidere cosa è necessario sapere Valori di Raccogliere i dati di riferimento riferimento Determinare i fattori rilevanti Elenco dei fattori critici Risolvere Generare soluzioni alternative Scelta della Selezionare una soluzione soluzione del Sviluppare un piano di attuazione problema Piano di attuazione Eseguire Impegnarsi al risultato aspettato Impegno Eseguire il piano organizzativo Monitorare l'impatto durante Piano eseguito l'implementazione Valutazione dei risultati Come fare problem setting Si può provare disagio per un falso problema, che una volta affrontato si dissolve. Altre volte invece non ci si accorge di qualcosa che non va e che prima o poi diventerà un disagio manifesto. Bisogna quindi rendersi sensibili ai piccoli disagi emergenti, percepirli ed analizzarli. Va definita la situazione con le condizioni che provocano disagio, e vanno cercate le vie d'uscita, le direzioni in cui muoversi per cambiare la situazione.
  • 14. Vanno quindi definiti i termini del problema, in modo da poterlo enunciare, da poterlo descrivere e raccontare. Infine il problema va comunicato a tutti coloro che devono condividerne la soluzione. Percepire il disagio Dum Romae consulitur, Saguntum espugnatur. I senatori romani sono talmente presi dalle loro beghe curiali che non si accorgono di quello che sta succedendo sui campi di battaglia. Anche Don Ferrante muore di peste perchè non vuol prenderla in considerazione. Alcune emergenze dipendono da casi fortuiti di forza maggiore, ma la maggior parte di esse deriva da disagi non rilevati. Spesso le aziende mettono all'ufficio reclami una persona dal carattere difficile, con lo scopo di scoraggiare le proteste dei clienti. E' un'occasione sprecata, perchè i clienti che protestano sono ancora affezionati all'azienda. Quelli che non protestano se ne vanno e basta. Come i sistemi antincendio sono in grado di rilevare il più esile filo di fumo, così l'organizzazione si deve dotare di sensori che la rendono attenta e sensibile ai segnali deboli che le giungono dall'interno e dall'esterno. Questa è la learning organization, che si trasforma e migliora di giorno in giorno in base alle notizie che raccoglie ed elabora. Le nuove tecnologie ci permettono di avere le informazioni immediatamente, quindi dovrebbe essere più facile accorgersi in tempo delle cose che non vanno. Tuttavia le informazioni sono tante, ed è difficile distinguere quelle rilevanti da quelle insignificanti. A tal proposito vanno sviluppati i sistemi nervosi aziendali, dall'intranet al numero verde, e tutto il knowledge management. Analizzare il disagio Una volta colto il disagio, va analizzato. Dove si manifesta, come, quando? Quante persone sono coinvolte? Con quali conseguenze? Da quanto tempo dura? Quanto costa? Provoca rischi, ritardi, perdite di tempo o di materiale? Come incide sul morale delle persone che in qualche modo ne sono coinvolte? Si era manifestato altre volte? Con quali caratteristiche e quali conseguenze? Definire la situazione Quali sono le condizioni che determinano il disagio? Da quale situazione si parte? Com'è l'ambiente in cui ci si trova? Quanto incide sulla situazione? Quali sono gli attori della vicenda? Che cosa fanno? Come si muovono? Con quali dinamiche? Quali circostanze intervengono nella situazione attuale? Sono interne o esterne? Quali sono le cause che hanno generato la situazione attuale? Sono interne o esterne?
  • 15. Cercare le vie d'uscita Partendo dalla presa di coscienza del disagio (succede questo), delle condizioni (la situazione è questa) si cercano le vie d’uscita. Che cosa si vede all’orizzonte o fuori dei cancelli? Quali sono le porte per uscire e le vie da imboccare? Su quali direttive ci si può muovere? Di fronte ad un disagio, se si rimane fermi si ottiene solo di accentuare il disagio. Quindi bisogna muoversi. A volte un semplice spostamento, un piccolo cambio di prospettiva, può mostrare vie d’uscita che prima non si vedevano. Definire i termini del problema Dopo aver trovato le vie d’uscita, il problema va definito nei suoi termini specifici, evitando generalizzazioni. Questo è il vero e proprio problem setting, che si svolge secondo una metodologia e con l'impiego di tecniche e strumenti. Spesso i problemi ben definiti sono più limitati e abbordabili dei problemi che vengono agitati a livello più generico. Tuttavia è bene rendersi conto di come il nostro problema si intreccia con altri problemi, se dipende da alcuni problemi o ne determina altri, se ha un problema più grosso sopra di sé. Raccontare il problema Il problema può essere enunciato con formule stereotipate oppure può essere raccontato con un vero sviluppo narrativo. O ancora può essere mostrato con immagini e rappresentazioni grafiche. Se viene raccontato bisogna tener conto dell'arco narrativo, con una introduzione che espone i preliminari, una successione di eventi in crescendo, un momento cruciale in cui viene posta la domanda determinante. Le conclusioni, che sono alla fine di un normale racconto, mancano nell'esposizione del problema, perchè sono affidate a chi dovrà risolverlo. Anche nella narrativa la parte avvincente di un racconto è quella che fa crescere il problema, non quella che lo risolve. In genere con la soluzione del problema finisce anche il racconto. Comunicare il problema Dopo essere stato definito e formulato, il problema deve essere comunicato a tutte le persone interessate. Gran parte della comunicazione è comunicazione di problemi. Le aziende, le organizzazioni, le istituzioni, passano da una comunicazione celebrativa e autocentrata (come siamo belli e bravi) ad una comunicazione di negoziazione fra interessi contrapposti, di biasimo di fronte ad una crisi, di avvertimento perchè non si verifichino altre crisi. Spesso gli uffici stampa tendono a minimizzare i problemi, invece di presentarli all'opinione pubblica nella loro giusta rilevanza. Il problema va comunicato con efficacia a chi deve decidere su programmi e investimenti necessari a risolvere il problema stesso. Considerazioni varie In questo settore ci sono riflessioni a ruota libera sul problema in generale e sul setting del problema in particolare.
  • 16. E' un contenitore in cui raccogliere tutto ciò che non trova posto negli altri capitoli. Spesso mi limito a porre domande, perché aspetto le tue risposte. Man mano che argomenti e idee si accumulano, verranno strutturati in settori ipertestuali specifici. In una concezione aperta del sito, sono benvenuti i tuoi contributi. Il leader e il problema Il problem setting è una delle caratteristiche principali del leader. E' il leader che intuisce i problemi nuovi e li pone ai suoi collaboratori. Il problem setting spetta al top management, il problem solving al management intermedio, ai quadri, ai lavoratori. Una qualità tipica del leader è la capacità di ridefinire il problema man mano che si procede nella sua soluzione. Il leader deve essere dotato di intelligenza analogica per saper trovare le metafore utili ad impostare il problema, di intelligenza sistemica per sintetizzare situazioni complesse e ridurle a strutture semplici, di intelligenza emotiva per coinvolgere tutti i collaboratori nella soluzione del problema (vedi anche le pagine su pensiero e creatività). Problema e pensiero L'arte di pensare, come dice Alberto Oliverio, è anche l'arte di porsi problemi, che crescono insieme con noi, man mano che la nostra mente diventa più potente e più complessa. Ma il pensiero non è unico. Si basa su diversi tipi di intelligenza: logica, analogica, sistemica, visiva, motoria, emotiva. Quando affrontiamo un problema, usiamo tutti i tipi di intelligenza. Tuttavia nella fase di setting del problema si usano soprattutto il pensiero logico, analogico e sistemico. Il pensiero logico è deduttivo (dall'idea generale ai casi particolari) o induttivo (dai casi particolari all'idea generale), con struttura gerarchica e lineare: da A dipende B, da B dipende C, ecc. E' molto utile per sistemare, organizzare, definire. Il pensiero analogico mette in relazione una cosa con l'altra, cercando analogie o diversità. E' laterale, perchè si allontana dalla linea logica con il gioco delle metafore, delle visualizzazioni, delle similitudini, dei paradossi. E' utile per aprire nuove vie. Il pensiero sistemico crea visioni sintetiche di situazioni molto complesse, ricche di dati, interdipendenti l'una dall'altra. Il problem setting usa tecniche di stimolazione della creatività, come il brainstorming e la sinettica. Il problem setting è una combinazione fra slancio creativo e metodo. Il problem setting tiene in gran conto il pensiero analogico e il pensiero sistemico. Il pensiero analogico opera per somiglianze, per confronti spesso improbabili, ma fruttuosi di nuove prospettive. Il pensiero sistemico opera per larghe sintesi, e aiuta ad orientarsi in situazioni molto complesse e ricche di dati (Oliverio, p. 72 e 101).
  • 17. Una teoria che riduce i comportamenti umani a nove tipi fondamentali è l'Enneagramma, ideato da Gurdjeff alla fine dell'800 e sviluppato da altri in tempi recenti, applicandolo anche al mondo dell'impresa e a sviluppi informatici. Howard Gardner sostiene che non abbiamo un'intelligenza unica, ma sette tipi diversi di intelligenza, ognuno dei quali può avere la prevalenza nelle diverse persone. Le sette intelligenze sono: • Intelligenza visiva/spaziale • Intelligenza musicale • Intelligenza verbale • Intelligenza logico/matematica • Intelligenza interpersonale • Intelligenza intrapersonale • Intelligenza corporea / cinestesica La prevalenza di un tipo o dell'altro di intelligenza ci porta a definire i problemi in modo visivo, verbale, logico. La domanda Il problema è una domanda, la soluzione una risposta. Non potremmo fare domande, nè a noi stessi nè agli altri, se non possedessimo un linguaggio. Con il linguaggio l'uomo pone le soluzioni dei suoi problemi al di fuori del proprio corpo. Invece di farsi crescere una ghiandola ad inchiostro sulla punta del dito, crea una penna. E' questo che differenzia gli uomini dagli animali (Popper). La domanda apre un nuovo discorso, la risposta lo chiude. La domanda pone il problema, la risposta lo risolve. Finora abbiamo sviluppato la cultura delle risposte, date dalla direzione aziendale, dai leader politici, dalle ideologie, dalle religioni. E' il momento di sviluppare la cultura della domanda, che si pone problemi senza aspettarsi che vengano risolti, e che quando ottiene le risposte è pronta a formulare altre domande. E' un fatto che la nostra pedagogia consiste nel riversare sui fanciulli risposte senza che essi abbiano posto domande, e alle domande che pongono non si dà ascolto. Risposte senza domande e domande senza risposte. Quando non vengono poste domande le risposte non possono essere capite (Popper). Quando i problemi non sono posti le soluzioni non sono riconosciute. Ogni domanda pone un problema. Ogni risposta lo risolve. L'enunciazione di un problema finisce con una domanda che presume una risposta. Se porre i problemi è più difficile che risolverli, fare domande è più difficile di dare risposte. Anche perché chi fa domande non sa, chi dà risposte sa. Chi fa domande deve individuare chi sa dargli risposte. Diversità di livello fra setting e solving C’è diversità fra chi pone il problema e chi lo risolve. Pongo un problema di cui conosco la soluzione, per vedere se il mio interlocutore arriva alla stessa soluzione (ne so più di lui).
  • 18. Pongo un problema di cui non conosco la soluzione, sperando che il mio interlocutore sappia risolverlo (ne sa più di me). Anche se pongo un problema a me stesso mi trovo nel secondo caso. Come solutore del mio problema ne so di più di quanto ne sapevo quando mi sono posto il problema. L’intervista L’intervistatore fa domande per professione. Fare domande di routine è facile, perché girano intorno al problema. Fare domande interessanti è difficile perché significa che è stato posto bene il problema. L’intervistato può non rispondere a tono: elude il problema lo mistifica sostituisce un altro problema Elusione e rifiuto del problema: io non posso rispondere io non voglio rispondere la tua domanda non ha una risposta non ti ritengo legittimato a farmi una simile domanda non ti stimo abbastanza per permetterti di farmi questa domanda Domande da farci Ecco alcune domande che ci possiamo fare prima di affrontare un problema: che manca? Che voglio? Che voglio cambiare? Che voglio essere, avere, fare? Che voglio sapere? Che voglio far sapere? Come faccio per essere, avere, fare, sapere, cambiare, migliorare, far sapere? Che cosa succederà se non affrontiamo il problema? L’emergenza L’emergenza colpisce con l’emergere di un problema che non era stato ben posto prima e costringe ad un improvvisato problem solving. Il medico ayurvedico tende a curare il sano, non il malato, perchè la situazione del malato è già compromessa. Non sempre l’urgente è importante. Spesso conviene tralasciare l’urgente per dedicarsi all’importante, passando dalla cultura dell’emergenza alla cultura del progetto. Se si fa una buona manutenzione non c'è bisogno di fare lavori straordinari. Ma, dice De Masi, agli italiani piace molto di più fare le inaugurazioni che non fare le manutenzioni. Per gestire l'emergenza bisogna saltare la fase del problem setting e affrontare direttamente il problem solving. Oppure si può ricorrere ad un setting molto rapido, che consenta di affrontare l'emergenza al più presto. Per fare ciò si può usare il diagramma di affinità. Bisogna distinguere fra emergenza derivante da eventi imprevisti, catastrofici, indipendenti dalla nostra volontà e dal nostro potere, e fretta generata da
  • 19. cattiva programmazione dei tempi, che denota una scarsa familiarità con il diagramma di Gantt. Problem setting e gioco Creare un gioco è una forma di problem setting? Stabilire le regole del gioco fa parte del problem setting? Organizzare un gioco e farlo fare è problem setting? Giocare è problem solving? Condurre un gioco è problem solving? Spesso nella formazione e nella gestione dei gruppi si usa il gioco come tecnica che mette in moto intelligenza, comportamenti, rappresentazione di sè. Il gioco può servire ad evitare le tensioni di quando si è "seri", e a rappresentare in forma di metafora problemi e comportamenti della vita e del lavoro. Il bambino stesso, quando gioca, rappresenta scene del mondo dei grandi o di suoi mondi fantastici, e fa seriamente qualcosa di "finto". Il gioco dunque ci può essere molto utile per simulare processi e comportamenti che ritroviamo sia nel problem setting, sia nel problem solving. Alcuni giochi consistono proprio nel risolvere problemi. Tipi di gioco: esibizione (fare qualcosa di fronte agli altri) limitazione (non toccare la palla con le mani) simulazione (facciamo che io ero il re e tu il cavallo) interpretazione (role play, MUD) competizione (chi arriva prima, lotta, pugilato, calcio) negoziazione (bridge, poker, role play) conquista (ruba bandiera, baseball) fortuna (roulette, lotteria) abilità (bridge, scacchi) soluzione di problemi (enigmistica, caccia al tesoro, adventure game) I giochi possono essere individuali o di squadra. I primi sviluppano la competizione, i secondi sviluppano lo spirito di cooperazione, la condivisione di obiettivi, il senso del team. I giochi possono avvenire fra due persone, o fra una persona e un avversario impersonale o molto numeroso (p. es. il mercato). Possono essere a informazione completa (gli scacchi) o incompleta (giochi a carte coperte). Sono a somma zero i giochi in cui il guadagno del vincitore è uguale alla perdita del vinto, e giochi a somma diversa da zero quelli in cui vincitore e vinto possono avere ambedue da guadagnare o da perdere. Nel concetto di gioco rientra lo sport, che tuttavia implica aspetti di disciplina (allenamento) e di business (tutto lo sport professionistico, che però diventa un lavoro come un altro). Il gioco può servire ad analizzare la situazione con occhi diversi, a vedere problemi che altrimenti non erano evidenti. Quando i giochi si usano professionalmente nella formazione in aula o nella gestione di gruppi è importante rispettare i tre momenti fondamentali: briefing - si spiegano le regole del gioco gioco - si fa fare il gioco debriefing - si riflette sul gioco fatto traendone le conclusioni utili al proprio problema reale.
  • 20. Problem setting e creatività L’artista può essere artista di feeling e artista di ricerca. L’artista di feeling deve esprimersi con calore, deve comunicare le sue emozioni. Esprime il suo disagio come atto simbolico (l'opera) senza arrivare alla formulazione di un problema. L’artista di ricerca deve esplorare territori nuovi, cercare di sviluppare il linguaggio che usa. Questo tipo di artista pone problemi. La stessa cosa fa un architetto. L’artigiano o il tecnico risolve problemi. Il settore ricerca e sviluppo pone problemi. Il settore produzione risolve problemi. La creatività è problem setting? La produttività è problem solving? Creare è solo inventare o è anche produrre? La creatività è una qualità innata o una capacità che si può stimolare e migliorare? Il problem setting usa tecniche di stimolazione della creatività, come il brainstorming e la sinettica. Il problem setting è una combinazione fra slancio creativo e metodo. Il problem setting tiene in gran conto il pensiero analogico e il pensiero sistemico. Il pensiero analogico opera per somiglianze, per confronti spesso improbabili, ma fruttuosi di nuove prospettive. Il pensiero sistemico opera per larghe sintesi, e aiuta ad orientarsi in situazioni molto complesse e ricche di dati (Oliverio, p. 72 e 101). Problem setting e nuove tecnologie Le nuove tecnologie dell'informazione e comunicazione da un lato risolvono tanti problemi, dall'altro ne creano. Ma soprattutto sviluppano un atteggiamento mentale volto alla definizione e soluzione dei problemi. Se ci si mette di fronte ad un computer senza avere un'idea sufficientemente chiara di quello che si vuol fare, si prede tempo e ci si avviluppa nei labirinti di procedure e interfacce che non ci sono di nessuna utilità. Se invece si pensa bene a che cosa si vuole fare e si riflette sulla successione migliore di operazioni per ottenere un certo risultato, il computer diventa un potente strumento di comunicazione. Le nuove tecnologie operano con modelli dei processi di pensiero, prime fra tutti le associazioni ipertestuali. Ci aiutano così a definire i problemi e a trasformarli in un diagramma di flusso e quindi in un programma o in una applicazione. Oggi disponiamo di numerosi programmi che ci aiutano nel brainstorming, nel benchmarking, nelle decisioni, nelle ricerche, nelle simulazioni. La stessa posta elettronica ci permette di pensare insieme con altri, perchè lo scambio di idee è talmente rapido da poter essere utilizzato in un processo analitico o creativo. I link di questo sito contengono numerosi riferimenti a programmi che ci mettono in condizione di definire e risolvere problemi lavorando insieme con gli altri o da soli, interagendo con il computer.
  • 21. Problema e plot narrativo Il romanziere che propone un plot narrativo pone un problema che verrà risolto nel corso della narrazione. Verrà risolto bene nel caso di un lieto fine, o male se la conclusione è tragica. E' tipico il caso del giallo, dove il romanziere pone il problema all'investigatore, e il lettore si diverte a vedere come l'investigatore risolverà il problema. Il setting del problema quindi è a monte, e precede l'inizio della narrazione. La soluzione può essere ignota al lettore, che quindi accompagna l'investigatore nel suo problem solving, oppure può essere manifestata, come il tipico plot del tenente Colombo, dove si parte dal delitto e si vede l'assassino che lo ha compiuto, e tutto il gioco consiste nel vedere come l'investigatore riuscirà a capire quello che noi già sappiamo. Ogni narrazione è un problema, in quanto vanno definiti i termini e va sviluppato un processo. Ogni problema è una narrazione, in quanto c'è un setting che precede un solving e la soluzione. L'autore può essere onnisciente, come un burattinaio che muove i suoi personaggi, trattando il problema in modo oggettivo, o può mettersi nei panni di un personaggio. In questo caso il problema diventerà soggettivo. L'eroe del racconto può essere quello che risolve il problema, o quello che lo pone. Il primo è un uomo d'azione, il secondo è una persona di pensiero, uno stratega o un essere sovrumano. E' importante il rapporto da uno a molti. Ci può essere uno che pone il problema a molti che lo devono risolvere (stratega), o uno che riesce a risolvere problemi posti da molti (il leader carismatico). Nel plot narrativo spesso si lascia il problema indefinito, o si presentano situazioni in cui il problema appare chiaro al lettore, ma non al protagonista, che sceglie modi sbagliati per risolverlo e che si avviluppa nelle spire del dramma. Aree di interesse Il problem setting si applica con risultati positivi a qualsiasi attività, in ogni tipo di organizzazione, dal lavoro personale ai grandi progetti che impegnano parecchie imprese per un lungo periodo di tempo. L'organizzazione deve adattarsi ai rapidi cambiamenti sociali, ambientali, tecnologici, di mercato, e deve fronteggiare la pressione della concorrenza. La gestione delle conoscenze e delle informazioni, o knowledge management, è il settore cruciale di una moderna organizzazione. Il marketing diventa sempre più analitico, perché va dal consumatore di massa ad una relazione personalizzata con il cliente. La comunicazione deve fare i conti con i nuovi media e con la grande quantità di informazioni in cui siamo immersi. Lo sviluppo delle risorse umane impone nuova attenzione alla formazione e alla motivazione di chi lavora. L'individuazione del core business e della catena del valore spinge a scremare le attività significative, mettendo fuori quelle complementari. Lo sviluppo del new business spinge all'innovazione di prodotto e alla scoperta di nuove nicchie di mercato.
  • 22. E infine, la regina del problem setting è la qualità. Soddisfazione del cliente, miglioramento continuo, qualità totale impongono di porsi problemi anche quando le cose vanno bene, perché è sempre possibile farle andare meglio. Organizzazione aziendale L'impatto delle nuove tecnologie impone alle imprese continui sforzi di riorganizzazione. Campi di applicazione: automazione e razionalizzazione della mano d'opera; outsourcing (affidare a strutture esterne attività complementari); trasformazione da impresa chiusa a impresa - rete; evoluzione dal processo, prodotto e servizio alla conoscenza (know how, knowledge); individuazione della migliore catena del valore; workflow management (sviluppo del "sistema nervoso aziendale", con condivisione istantanea delle informazioni); organizzazione e gestione di una intranet; riduzione dei livelli gerarchici; riduzione del time to market; realizzazione della learning organization, con una cultura flessibile e adattabile a tutte le sollecitazioni. Knowledge management Il knowledge management, o gestione della conoscenza, va inteso come raccolta e organizzazione delle informazioni, diffusione delle informazioni alle persone che ne hanno bisogno, perfezionamento costante delle informazioni tramite l'analisi e la collaborazione. E' legato ai processi e agli obiettivi di un'attività, e al riconoscimento della necessità di condividere le informazioni. E' la gestione del flusso di informazioni per far arrivare le informazioni giuste alle persone che ne hanno bisogno, affinché possano utilizzarle velocemente. Inform-azione è un verbo, cioè un'azione. Non è un nome, cioè qualcosa di statico. Il fine del knowledge management è di aumentare il livello del quoziente intellettivo dell'azienda. Il quoziente intellettivo dell'azienda è la misura in cui coloro che lavorano insieme sanno condividere le informazioni in modo semplice ed esteso; il modo in cui ognuno è in grado di sviluppare le idee degli altri; la condivisione di conoscenze storiche e attuali; l'uso migliore dell'apprendimento individuale e dello scambio di idee. Il potere non deriva da un sapere custodito, bensì da un sapere partecipato. (Bill Gates, pag.225-6) Il sapere da implicito e tacito, difficile da capire e da comunicare, deve diventare sapere esplicito, facile da descrivere, codificare e documentare (Nonaka e Takeuki, 1995). Così le conoscenze passano dall'individuo al gruppo, e l'impresa genera conoscenza in quanto collettività che deve condividere saperi. Le fasi sono quattro:
  • 23. • Socializzazione, dal sapere tacito al sapere tacito (affiancamento sul lavoro, apprendistato). • Articolazione, dal sapere tacito al sapere esplicito (metafore, concetti, ipotesi, modelli, analogie). • Combinazione, dei saperi espliciti (gestione documentazioni elettroniche, reti di conoscenze). • Interiorizzazione, dal sapere esplicito al sapere tacito a livello più alto (learning organization). Il knowledge management è fondamentale per un buon problem setting, che si basa sull'elaborazione di informazioni di buona qualità, sulle tecniche di ricerca, la raccolta dei dati, sulle analisi di storia e di trend, sulla capacità di prendere decisioni. Marketing Lo sviluppo delle nuove tecnologie dell'informazione e comunicazione ha cambiato il marketing, che ha potuto avvalersi di potenti strumenti di analisi statistica e di data base. Da scienza dei consumi di massa è diventato prima marketing di nicchia, poi marketing relazionale, infine "permission marketing", dove l'azienda, grazie ad Internet, chiede al possibile cliente il permesso di stabilire un rapporto con lui (opt-in = opzione per entrare). Come fare piani di nuovo marketing, tenendo conto delle nuove tecnologie? Come far emergere i nuovi problemi di mercati globali e locali in continua turbolenza? Con i metodi del problem setting. Comunicazione Nella comunicazione il problema chiave deriva dall'espansione di Internet. Oggi un piano di comunicazione non ne può fare a meno, ma non si sa ancora bene come rendere visibile una presenza sul web, come combinare i media tradizionali con i nuovi media, come rivolgersi a pubblici collegati e a pubblici non collegati con la rete. L'interattività del web capovolge l'atteggiamento del destinatario, che non è più passivo di fronte a messaggi che gli vengono sparati contro, ma diventa attivo e va in cerca delle informazioni che gli interessano. La comunicazione push della televisione diventa pull nel web, perché il navigatore tira a sé le informazioni. Tuttavia anche nel web si usa la comunicazione push (banner, e-zine), ma va combinata con il pull, in quanto si deve chiedere al destinatario se vuole che gli vengano inviati i nostri messaggi. Questa forma di comunicazione per esempio è l'abbonamento gratuito ad una rivista web (e-zine = electronic magazine), come la rivista di cultura informatica di Apogeo (www.apogeonline.com) o le altre riviste indicate nei link di questo sito. La comunicazione evolve da una comunicazione generica, rivolta alla massa e basata principalmente sulla pubblicità, ad una comunicazione specializzata, rivolta a pubblici particolari (comunicazione ambientale, finanziaria, di crisi, lobby).
  • 24. Si deve fare attenzione ai linguaggi, che a volte devono essere globali, altre volte locali, e devono tener conto di società multietniche e di differenti religioni e costumi. I prodotti diffusi in modo uniforme in tutto il mondo non sono più di otto. Tutti gli altri devono essere adattati alle culture locali. Penso che la comunicazione sarà sempre più orientata su Internet. La comunicazione interna sarà intranet, quella esterna sarà internet. Risorse umane Le persone che lavorano devono avere capacità di fare e disponibilità a fare. Se sono capaci ma non disponibili, non hanno un buon rendimento. Se sono disponibili ma incapaci sono pericolose, perché possono fare con buona volontà cose sbagliate. Una matrice ci aiuta a collocare capacità e disponibilità, per migliorare la qualità del servizio. capacità disponibilità bassa capacità alta capacità alta disponibilità alta disponibilità FORMAZIONE OK bassa capacità alta capacità bassa disponibilità bassa disponibilità INCENTIVAZIONE E ALTRA MANSIONE MOTIVAZIONE Uno strumento come la farfalla aiuta a definire le competenze, da quelle di base a quelle più raffinate. Definite le competenze da acquisire, si può fare un piano di formazione per sviluppare le capacità. Se invece si deve migliorare la disponibilità, bisogna lavorare sulla incentivazione (che vantaggi ho a fare meglio il mio lavoro?) e sulla motivazione (perché devo fare meglio? con quali obiettivi per me interessanti?). Con la flessibilità sempre più marcata oggi è più difficile contare sul senso di appartenenza all'azienda, e sulla condivisione della mission aziendale. Si dovrà contare sempre più sull'appartenenza ad un team o ad un progetto, come accade per il cast di una produzione cinematografica, dove tutti i partecipanti sentono appartenenza a quel film, ma una volta finita la produzione ognuno se ne va per la sua strada, salvo riunirsi per un nuovo film. Questo modello sarà sempre più adottato nel lavoro moderno, in tutti i tipi di organizzazione. Qual è il mio core business? Il problem setting aiuta a definire il core business, l'attività propria dell'impresa. Si pone le domande: Qual è il mio business? E' ancora quello di ieri? Lo sta cambiando la concorrenza? Lo sta cambiando un'evoluzione tecnologica?
  • 25. Qual è il valore aggiunto? La ragione vera del fatturato e del profitto? Alcune considerazioni: Non vendo camion ma chilometri percorsi in 3 anni. Non vendo computer ma operazioni svolte in 2 anni. Vendere bene un’auto nuova significa comprare bene un’auto usata. Una volta individuato il core business, si tende a mettere fuori lavorazioni e reparti che non hanno strettamente a che fare con esso (outsourcing). Lo spinoff aziendale disaggrega l'impresa in unità produttive più piccole e spesso indipendenti, trasforma i centri di costo in centri di profitto autonomo, il lavoratore dipendente in imprenditore o lavoratore autonomo. Catena del valore L'attività specifica dell'azienda va inserita nella giusta catena del valore. Per esempio, il core business di uno stilista di moda è la creazione di modelli, ma la catena del valore va dalle stoffe alle calzature alla cosmetica alla distribuzione del prét a porter. La catena del valore è figlia di una concezione di rete, dove quello che conta sono i collegamenti significativi lungo il percorso della filiera che va dalla produzione alla distribuzione al riciclo. Le domande da fare sono: Come inserire il proprio core business nella giusta catena del valore? Quali sono i business marginali complementari al mio business? Come posso collegarmi con essi? New business Dove è il nostro new business? Come fare ad aprirsi verso di esso? Restare fedeli alle proprie tradizioni o aprirsi spregiudicatamente all'innovazione? Fare ricerca e innovazione sul prodotto, sul processo, sulle tecnologie? Fare ricerche sul mercato? Sui bisogni dei clienti? Determinare nuove esigenze dei clienti anticipandone i bisogni? Analizzare i cambiamenti derivati dalle nuove tecnologie? I fenomeni delle nuove imprese basate su Internet, come Virgilio? Rovesciare le logiche di mercato, regalando invece di vendere? (Tiscali, Linux) Qualità Le politiche di qualità sono generatrici continue di problemi. C'è il problema della qualità. Come raggiungerla? Come ottenere la soddisfazione e la fedeltà del cliente? E c'è la qualità del problema. Il problema è stato bene impostato? E' stato fatto bene il problem setting? Vedi anche Qualitest, Criticità, Matrice di Grassetti, Galgano. La qualità La qualità è un valore immateriale che determina la preferenza di un prodotto o di un servizio, la soddisfazione di chi acquista e usa quel prodotto/servizio, la motivazione a continuare ad acquistare o usare quel prodotto/servizio. C’è una qualità assoluta, che consiste nel livello massimo di eccellenza di un prodotto o servizio (lo stato dell’arte, il campione del mondo, il capolavoro d’arte...).
  • 26. C’è una qualità relativa, che consiste nell’ottimizzazione fra produzione, distribuzione, assistenza, qualità, prezzo. Noi ci interessiamo a questo tipo di qualità. La qualità relativa, per quanto immateriale, deve essere controllabile e misurabile. I processi per ottenere la qualità possono essere analizzati, descritti e procedurati. Procedurizzazione, controllo e misura permettono la certificazione di qualità in base a parametri di confronto stabiliti. L’impegno nella qualità è di per sé un generatore di problemi. Dobbiamo sviluppare un progetto di qualità totale? Dobbiamo realizzare un salto qualitativo? O è meglio procedere per piccoli miglioramenti continui? Come promuoviamo in azienda l’orientamento alla qualità? La qualità va applicata anche al problema. La definizione del problema è di buona qualità? Il processo di soluzione del problema è di buona qualità o può essere migliorato? Qualità totale I controlli di qualità tradizionalmente vengono fatti solo sul prodotto. Ma il prodotto, anche se è l’output essenziale, è solo uno degli elementi che costituiscono l’impresa. La qualità totale tiene conto di tutti gli elementi e gli aspetti dell’azienda, mirando a realizzare una catena virtuosa che parte dai fornitori, passa per la produzione e distribuzione, arriva ai clienti finali. La qualità totale si basa sul principio per cui la qualità di un processo qualsiasi è la qualità più bassa di un singolo elemento del processo, così come la resistenza di una catena è la resistenza dell’anello più debole. La qualità totale si occupa perciò della ricerca e innovazione, della produzione, della manutenzione, della distribuzione, della sicurezza e ambiente, delle risorse umane, della formazione, della comunicazione, ecc. Eccellenza La ricerca dell’eccellenza è la ricerca del livello massimo possibile in un determinato campo. L’azienda eccellente è quella che diventa leader del mercato, o della nicchia di mercato. Miglioramento continuo In giapponese “kaizen”, è l’impegno ad apportare ogni giorno piccoli miglioramenti ovunque si può. Anche se la qualità attuale non è eccellente, il miglioramento continuo porta verso l’eccellenza. Nel kaizen ci si accontenta del livello attuale, purché ci si impegni a migliorarlo, anche se di poco. Qualità totale ed eccellenza presumono l’impegno di tutta l’organizzazione. Il kaizen lo possiamo fare da soli, ognuno secondo le sue possibilità. Il kaizen si può applicare ai processi (automazione, logistica), al tempo (approccio just in time, riduzione del time to market), alle persone (formazione dei team), alle tecnologie (aggiornamento tecnologico). Il kaizen (tanti piccoli miglioramenti) si contrappone al kairyo (un grande miglioramento). Il kairyo viene deciso dalla direzione e viene fatto con un grande investimento. Il kaizen viene fatto ogni giorno da tutto il personale. In una organizzazione i due approcci dovrebbero coesistere e integrarsi. Il kaizen può essere applicato al prodotto/servizio, al processo e all’organizzazione, alle persone, alle tecnologie. Il kaizen applicato alle persone
  • 27. ne sviluppa il potenziale creativo e la motivazione, e costruisce lo spirito di team. Qualità e comunicazione interna La qualità va “venduta” all’interno dell’azienda, coinvolgendo e motivando tutto il personale. Prevede perciò una grande attenzione alla comunicazione interna ed al clima aziendale. Circoli di qualità Sono piccoli gruppi di lavoratori che svolgono volontariamente attività di controllo di qualità nel proprio settore o in altri settori dell’azienda. I circoli servono a: migliorare la leadership e le capacità gestionali dei capi intermedi e dei supervisori; innalzare il livello del morale dei dipendenti e creare un ambiente favorevole al miglioramento; costituire un nucleo attivo per realizzare la qualità di tutta l’organizzazione. Gli obiettivi dei circoli sono, oltre al miglioramento dell’azienda, il rispetto dell’uomo e di un ambiente dove abbia un senso lavorare, e lo sviluppo delle capacità umane. I circoli tendono a sviluppare la creatività dei partecipanti, ad ampliarne la visione oltre i limiti del proprio posto di lavoro, a potenziare la propria personalità in rapporto con gli altri. Per queste ragioni i circoli devono essere sostenuti dalla direzione, altrimenti diventano frustranti. Certificazione di qualità Sono state stabilite norme internazionali che stabiliscono la qualità di prodotti e processi, come le ISO 9000. Con l’appartenenza alla comunità europea le aziende tendono a certificare la loro qualità, con l’applicazione delle norme. Per esempio, il marchio CE è applicato su apparecchiature a norma europea. L’azienda che decide di certificarsi si impegna in un radicale processo di riorganizzazione e di ottimizzazione. Controllo di qualità Il controllo di qualità applica metodologie e strumenti alla ricerca dei problemi, alla loro soluzione, alla misura di parametri qualitativi e al loro confronto con determinati standard interni o esterni all’azienda (benchmarking). Customer care e customer satisfaction La cura del cliente si basa sul principio che il cliente è sempre un essere umano. Se vendiamo cibo per cani, chi compra è un uomo. Se vendiamo pezzi di ricambio di una locomotiva, chi compra è un uomo. Questo compratore deve essere curato e soddisfatto. Ciò che soddisfa il cliente non è la prestazione normale, ma la prestazione sorprendente. Se entrando in una camera d’albergo troviamo il bagno in ordine, il pavimento pulito e il letto rifatto, e nel bagno ci sono gli asciugamani, la cosa ci sembra normale. Se troviamo un cioccolatino, un fiore, un accappatoio, siamo piacevolmente sorpresi e ci sentiamo coccolati. La customer care è la cura del cliente, e si basa sul principio che costa di più acquisire un nuovo cliente che conservare quello che già si ha. Da ciò deriva una evoluzione del marketing, che da strategico (conquistare posizioni e fette di mercato) diventa relazionale (curare la relazione con il cliente).
  • 28. I sette nuovi strumenti per il controllo della qualità Concordemente con quanto detto da Mizuno (1988), la giapponese Society for Quality Control Technique Development ha proposto i sette nuovi strumenti per la qualità. Dopo una ricerca mondiale, nel 1976 hanno proposto questi nuovi strumenti per il controllo della qualità: Diagramma di relazioni Diagramma di affinità (metodo KJ) Diagramma sistematico ad albero Diagramma a matrice Analisi dati a matrice Process decision program Chart (PDPC) Diagramma a frecce Essi sono stati scelti in base a questi criteri: la capacità di completare compiti la capacità di eliminare difetti la capacità di assistere nello scambio di informazioni la capacità di disseminare informazioni alle parti coinvolte la capacità di usare "espressioni non filtrate". Quando ricorrere al problem setting Quando ci si deve porre il problema? Quando le cose vanno male no, perché il problema è già emerso (però quello che è emerso potrebbe essere il sintomo, non la causa). Quando vanno bene, perché porsi problemi? (ma è quello che normalmente fa il ricercatore o il manager eccellente). Prima del problema c'è la percezione di un disagio, di una carenza. C'è un bisogno da soddisfare. C'è uno stato ansioso di fronte a minacce indefinite. Il problem setting ci aiuta ad affrontare il disagio, a individuare il bisogno, a passare dallo stato ansioso alla visione chiara del problema da risolvere. E’ importante esaminare le condizioni che provocano disagio e separarle dall’ambito in cui possiamo intervenire, entro il quale dobbiamo cercare la definizione del problema. Per cercare le condizioni possiamo indagare dal generale al particolare, analizzando lo scenario (situazioni globali e locali, tendenze), il contesto strategico in cui la nostra organizzazione si trova ad operare, l'organizzazione per cui operiamo, il settore di nostra competenza, l'argomento specifico del problema da definire. Possiamo anche rovesciare il processo, partendo dall'argomento specifico e collocandolo via via nei contesti più ampi. In genere si tende a porsi i problemi man mano che si presentano nello svolgimento di un processo. Sarebbe bene invece definire i problemi il più possibile a monte del processo. Lo scenario La situazione di inadeguatezza e di disagio può derivare da cambiamenti di scenario più o meno ampi e importanti, come rivolgimenti politici, introduzione di nuove normative, processi di formazione dell’Unione Europea, introduzione dell’Euro, globalizzazione dell’economia, impatto delle nuove tecnologie dell’informazione e comunicazione.
  • 29. I problemi generali vanno sempre riferiti al nostro problema. Il contesto strategico La situazione problematica può derivare dall’ambiente socio-economico in cui ci si trova: cambiamenti del mercato, politiche di occupazione, determinazione della catena del valore, tensioni sociali e sindacali, condizioni ambientali, pressione della concorrenza, innovazioni tecnologiche, di processo e di prodotto. Le condizioni di contesto vanno riferite al settore e all'argomento di cui ci occupiamo, ma anche alla catena del valore in cui si colloca il nostro core business. Per risolvere un problema bisogna coinvolgere chiunque si trovi nel suo percorso critico, indipendentemente dal fatto che sia all'interno o all'esterno dell'azienda (Bill Gates, p. 206). L'organizzazione Le situazioni problematiche possono derivare da cause che riguardano la propria organizzazione: introduzione di nuove tecnologie, innovazioni nei processi produttivi, ristrutturazioni, relazioni fra unità produttiva e holding, acquisizioni e cambiamenti di proprietà, mutamenti nella vision del top management, individuazione di nuove nicchie di mercato, determinazione del core business, politiche di outsourcing. Il problema può essere generato da decisioni prese dall'alto (licenziamenti, cessioni). Il problema può essere posto dal basso (circoli di qualità o problemi sindacali). Il settore Il setting del problema può riguardare situazioni tipiche del settore in cui operiamo: marketing, comunicazione, personale, commerciale, produzione, amministrazione. Il problem setting può essere applicato a settori specifici. Nell’informatica, serve per definire un problema di software o di hardware. Nell’organizzazione, serve per definire un problema di ottimizzazione (qualità, eliminazione degli sprechi, riduzione del time to market).
  • 30. Nella comunicazione, può definire un problema da affrontare con la comunicazione (crisis management, clima interno, rapporti con il trade, campagne stampa). L’argomento Dopo aver analizzato i contesti più ampi, possiamo affrontare il tema specifico di cui ci dobbiamo occupare. L'argomento specifico può essere la progettazione di un nuovo corso di formazione, di una campagna pubblicitaria, l'ideazione di un nuovo prodotto, la riqualificazione del personale. Bisogna cominciare a individuare le condizioni che determinano il disagio. Dalle condizioni vanno individuate tutte le situazioni a rischio e i processi di cambiamento, ponendosi le domande: che cosa cambierà? quali saranno le conseguenze del cambiamento? chi ne sarà interessato? quali saranno i rischi e le opportunità? In base alle condizioni e alle situazioni a rischio si determinano i problemi. Problem setting e project management Problem setting e problem solving sono processi articolati e complessi, che si svolgono secondo le modalità di un progetto. Il problem setting sta a monte del project management, in quanto se un problema non è definito è impossibile mettere mano ad un progetto. Oppure il project management è il sistema che gestisce tutto il processo progettuale, dal problem setting all’output finale del progetto. Si tratta di scegliere il punto di vista. Se si parte dalla carenza iniziale si è orientati al problema e alla sua definizione, da cui dipende tutto il resto. Se si parte dagli obiettivi che si intende raggiungere si è orientati al progetto, che comprende vari problemi da definire e da risolvere. Il problem setting definisce il problema, il project management ne gestisce la soluzione. Il project management scompone il problema in problemi più piccoli, li affida ai responsabili, pianifica la successione delle operazioni nel tempo, gestisce l'avanzamento del progetto fino alla sua conclusione. Le fasi tipiche del project management sono in "Problem solving". Il più diffuso programma informatico con cui si gestiscono i progetti è MS Project. Lo strumento per pianificare, cercare soluzioni, verificarle e applicarle è la Ruota di Deming o PDCA. Metodologia Saper “vedere” un problema è un atto creativo o un processo di indagine? Quando Eratostene decide di calcolare la circonferenza della Terra in un'epoca in cui non si pensava neanche che la terra fosse sferica ha un lampo di genio o attiva un processo mentale? C’è un metodo per definire i problemi? Il metodo è unico e valido per qualsiasi tipo di problema, o va adattato in base all'argomento e alle circostanze? (questo era l'interrogativo di Wittgenstein). Leonardo osserva, Galileo verifica con esperimenti, Cartesio deduce.
  • 31. Il problema può manifestarsi come un lampo o affiorare piano piano come una figura che emerge dalla nebbia. Un metodo può essere definire gli output desiderati (che cosa vogliamo ottenere) e gli input che siamo in grado di dare (dati da immettere, azioni da fare), e se vogliamo dare gli input tutti a monte o anche durante l’utilizzazione (interattività). La definizione di output e input è problem setting. Tutto quello che si organizza per trasformare gli input in output è problem solving. E’ facile sapere quando un problema è ben risolto: basta controllare i risultati. Se sono conformi all’output desiderato, il problema è risolto bene. E’ molto difficile valutare se un problema è posto bene. E’ un problema o una condizione? Gli output richiesti sono coerenti con gli input e le specifiche (le condizioni) del problema? Il concetto è un’idea statica. Il problema è un’idea dinamica, è un motore inferenziale che spinge a muoversi in diverse direzioni. Il problem setting può essere affrontato da una persona sola, ma in base alla sua complessità può essere più produttivo affrontarlo in gruppo. Il leader del progetto costituirà un team da destinare al problema da definire e da risolvere. Il processo metodologico parte dal disagio, che sta prima del setting del problema. Poi analizza lo scenario, per tutto ciò che ha a che fare con l'organizzazione in esame, e per le linee di sviluppo possibili. Quindi analizza la situazione interna, e la storia di quanto è avvenuto prima. Cerca di capire dove si sta andando con l'analisi dei trend. Si evidenziano quindi le aree di criticità. Si organizza la raccolta dei dati, e si attivano tecniche di stimolazione della creatività. A questo punto si è in grado di definire il problema, e di organizzarne la soluzione con le tecniche di problem solving. Tutto il progetto infine si gestisce con le tecniche di project management. Team e competenze Il problema è affrontato e risolto da persone che devono saper lavorare insieme e condividere l'impegno a definire e risolvere il problema. Intorno ad ogni problema quindi c'è un team, una squadra che collabora e vuole vincere, cioè vuole risolvere il problema. Il team si distingue da un gruppo qualsiasi di persone perché condivide un compito, un allenamento o una preparazione, strategia e tattiche, visione del gioco, concordia sul risultato da raggiungere. Nel team l'individuo conserva tutto il suo valore, ma si integra con gli altri in un rapporto win win (se mi muovo bene io, ti muovi meglio anche tu). I componenti del team devono avere le competenze adeguate al problema da affrontare. Le competenze relative ad un certo compito sono valutate in base alla differenza fra il compito atteso e il compito svolto. Se la differenza è minima le competenze sono buone, se il compito atteso è più alto sono insufficienti, se è più basso sono ottime, ma se è troppo basso sono sprecate, perché la stessa persona poteva essere destinata ad altri compiti (per revisionare il carburatore della mia macchina non serve un meccanico di formula 1).
  • 32. Nelle attività a competenza diffusa si trovano molte persone capaci di fornire una prestazione accettabile. Nelle attività a competenza specializzata se ne trovano molte meno e le sovraprestazioni possono essere molto costose. Il disagio Prima di affrontare il setting del problema va individuata la carenza, la condizione che genera disagio e il tipo di disagio emergente. Il disagio può dipendere da uno stato (non ci sono prodotti nuovi in catalogo), una tendenza (gli impianti stanno invecchiando) o un evento (si è rotta una macchina). Il disagio può creare le condizioni, o le condizioni possono creare il disagio. Disagio e condizioni difficili spingono ad intuire un problema che, per essere risolto, deve essere definito bene. Se il setting sta a monte del problema ma è già una tecnica, una metodologia, un’attività, ancora più a monte c’è un senso di inadeguatezza, un timore, una curiosità, un bisogno o un desiderio, un’ambizione. Inadeguatezza = manca qualcosa Timore = ho paura che Curiosità = vorrei sapere Bisogno = vorrei avere Ambizione = vorrei essere impotenza = vorrei fare Le condizioni possono essere limitanti, possono costringere, possono impedire, possono favorire, possono stimolare. Le condizioni vanno individuate in coppie di opposti (positivo/negativo) in quanto vincoli o opportunità: limitare/favorire aprire/chiudere accelerare/frenare spingere/tirare crescere/diminuire salire/scendere guadagnare/perdere vicino/lontano vecchio/nuovo lento/veloce sviluppo/depressione alto/basso ecc. In molti casi della vita si sente un bisogno, ma si cerca di soddisfarlo nel modo sbagliato. Così facendo la soddisfazione accentua il bisogno invece di placarlo. Può essere il caso di chi ha bisogno di essere apprezzato sul lavoro, ma per ottenere considerazione si comporta in modo brusco, e quindi viene trattato con crescente freddezza. Watzlawick parla di ipersoluzioni, come di atteggiamenti che pretendono di risolvere un problema mal posto o insolubile. Spesso ci si pongono problemi inesistenti e si ignorano condizioni oggettivamente più problematiche.
  • 33. Uno strumento valido per determinare le cause di una situazione negativa è il diagramma causa/effetto. Analisi di scenario Lo scenario va analizzato per tutto ciò che ha a che fare con l’organizzazione in esame, e per le linee di sviluppo possibili. Per esempio, per un’impresa di trasporti, lo scenario riguarda la mobilità nel territorio oggi e domani. Lo scenario si analizza con strumenti di ricerca come i rapporti Censis e Ispes che ogni anno fanno il quadro della situazione socio-economica dell'Italia, con la lettura dei giornali e delle rassegne stampa, con ricerche in biblioteca e su Internet. Programmi di supporto alle decisioni (DSS, EIS) e le analisi di scenario che si possono fare con Excel sono strumenti informatici utili al manager che deve determinare un problema partendo dallo scenario. Analisi della situazione interna Che cosa succede all’interno dell’organizzazione? Il disagio riguarda tutta l'impresa, o un solo settore? Come strumenti di analisi si può partire dalla window analysis, con cui confrontiamo il nostro problema con un problema analogo di un altro settore o un altro ente. Per risalire alle condizioni e alle cause del disagio si usa il diagramma causa/effetto. Anche le chiacchiere di corridoio sono molto utili per raccogliere informazioni interne. Tutta la comunicazione interna oggi può essere gestita da una intranet, mentre una extranet può gestire tutta la catena del valore. Analisi della storia Si dice che la storia è maestra di vita. Anche con il nostro problema, possiamo cercare di sapere che cosa è successo finora nell’organizzazione, limitatamente al tema di cui ci occupiamo. La ricerca può essere fatta consultando gli archivi aziendali o intervistando chi c'era già, all'interno e all'esterno dell'azienda (consulenti, fornitori, clienti). Si possono analizzare i precedenti dello stesso problema, o di problemi simili. Si può capire attraverso quali vicende si è arrivati fino al punto in cui ci si trova. L'analisi dei precedenti può essere fatta con il pensiero analogico, che porta a cercare fonti utili da dirigere sul bersaglio di cui ci occupiamo, come i precedenti giuridici per preparare una causa. I casi storici quindi non sempre sono identici al caso che stiamo studiando, ma sono simili. Si tratta di individuare le similitudini e comprendere le relazioni che ci sono con il nostro caso. Un confronto su quanto accaduto ad altri si può fare con la tecnica della window analysis.
  • 34. Analisi del trend Quando i fenomeni sono molto evidenti è già troppo tardi per affrontarli. Bisogna stare attenti a cogliere i segnali deboli, e a capire se cresceranno o diminuiranno fino a scomparire. Tuttavia c'era chi diceva che il futuro si può prevedere bene solo quando è già passato. I segnali deboli interagiscono con molte altre forze, quindi è difficile descriverne l'evoluzione con una curva precisa. Nelle analisi di situazioni complesse, piene di tante variabili, si usano strumenti volutamente imprecisi e approssimati che aiutano a far individuare una tendenza. La tendenza non descrive un comportamento singolo ben delineato, ma rappresenta un insieme di comportamenti non ben definiti e non del tutto omogenei. Aree di criticità Bill Gates dice che per dirigere bene un'impresa è molto importante imparare ad ascoltare le cattive notizie, da qualunque parte esse vengano: clienti, concorrenti, fornitori, collaboratori, dipendenti. Per individuare le aree di criticità e valutarne l'incidenza ci si può basare sulla propria sensibilità e sul proprio intuito, oppure si possono usare tecniche adatte. Essere esigenti con se stessi e inclini al perfezionismo è senz'altro una buona base di partenza, purchè non sconfini nella paranoia. Tecniche più oggettive tuttavia possono fornirci informazioni diverse, spesso sorprendenti. Il Qualitest è un metodo semplice e pratico con cui si individuano le varie componenti del tema da analizzare, e se ne vota da 1 a 10 l'importanza loro attribuita e la qualità che se ne percepisce. Le votazioni sono fatte da persone di caratteristiche diverse. La media delle votazioni e lo scarto fra importanza e qualità mettono in evidenza le voci su cui si deve intervenire. La Matrice di Grassetti serve a calcolare i costi della non qualità, e cioè quanto costa trascurare un problema. Il diagramma di Ishikawa aiuta a scoprire le vere cause di una situazione critica. E' molto utile in proposito la variante CEDAC, che si svolge con interventi scritti in un certo periodo di tempo. Organizzazione della raccolta dei dati Tutti i dati possibili relativi all'argomento di cui ci si occupa devono essere raccolti, classificati e organizzati. Tipi di dati: dati numerici e quantitativi (valutazioni finanziarie, misurazioni); informazioni; documentazione su casi precedenti e simili; immagini (disegni, fotografie, filmati); letteratura (libri e articoli); registrazioni sonore; colloqui e interviste faccia a faccia. Nella raccolta dei dati bisogna chiedersi: che cosa è avvenuto, che cosa sta avvenendo,
  • 35. che cosa potrebbe avvenire. Le informazioni devono essere: tempestive, affidabili, veritiere, verificabili. Sono utili sia le informazioni formali (verbali di riunioni, lettere, tabulati, ecc.) sia quelle informali (rapporti personali, chiacchiere di corridoio). I dati vanno classificati secondo strutture gerarchiche, dal generale al particolare. Le nuove tecnologie mettono a disposizione il data base relazionale, dove i dati possono essere archiviati in tabelle omogenee, e le ricerche possono essere fatte mettendo in relazione una tabella con l'altra. Una efficace intranet dovrebbe mettere a disposizione immediata tutti i dati che servono. Bill Gates dice che il valore aggiunto di un knowledge worker non è nel cercare le informazioni, ma nell'elaborarle per produrre nuova conoscenza. Stimolazione della creatività Don Abbondio diceva che il coraggio uno non se lo può dare. E la creatività ce la possiamo dare? E' una qualità innata o una capacità che possiamo sviluppare? Nella soluzione dei problemi, quanta parte è metodo e quanta è illuminazione creativa? Se partiamo dal presupposto che i bambini sono creativi per natura, e poi con l'educazione perdono creatività per adattarsi alle regole della famiglia e della società, basterebbe risvegliare quella creatività naturale. Ma è vero che tutti i bambini sono creativi? Creatività è fantasia sfrenata e libera da vincoli, o è un modo diverso di interpretare le regole del gioco, di reagire a condizioni ed eventi? E' invenzione di qualcosa che non esisteva, o combinazione inedita di cose esistenti? De Masi dice che le persone si dividono in burocrati e creativi. I burocrati applicano il regolamento. Se si presenta un problema che non è previsto dal regolamento, fanno un'altra regola e non risolvono il problema, rafforzano solo il loro potere. I creativi ignorano il regolamento e affrontano allegramente il problema, anche se spesso cozzano contro il potere dei burocrati. Per determinare i problemi è necessario uscire dalla routine quotidiana, dalle abitudini consolidate, dal timore del nuovo e del diverso. Si deve provare a cambiare il proprio punto di vista, mettendosi nei panni di un'altra persona, un ruolo diverso, una struttura. Come vedrei la cosa se fossi il fornitore, o il sindacato? A tal proposito si può cercare di cambiare il punto di vista da soli, con la propria fantasia, oppure in gruppo, con la tecnica del role play. Dopo aver visto le cose in modo diverso, si attiva un processo di accumulazione delle idee, con la tecnica del brainstorming. Più idee vengono fuori, meglio è, anche se sono stravaganti. Un'idea stimola l'altra.
  • 36. Anche i 6 cappelli possono essere utili. Basta indossare il cappello verde. De Bono ha teorizzato l'uso del pensiero laterale, un modo di pensare per associazioni che diverge dalla linearità del pensiero logico. Il processo creativo si conclude con la selezione delle idee, per affinità e per rilevanza, con la tecnica del diagramma di affinità, o con qualsiasi altra tecnica di associazione convergente. La decisione Nel problem setting, come nel problem solving, bisogna prendere decisioni. Una volta analizzata la situazione, raccolti i dati, individuate le criticità, si presentano varie possibilità. Ci troviamo di fronte ad un problema di marketing o di comunicazione? Bisogna prendere una decisione, altrimenti non si arriva alla definizione del problema. La decisione può essere istantanea, e può dipendere da un intuito, da un sentimento di chi deve decidere. Oppure può essere presa in seguito ad un processo mentale più o meno complesso. In questo caso ci sono strumenti informatici che guidano il processo decisionale, e sono i programmi di DSS (decision support system). Oppure si possono usare strumenti più semplici come l'analisi del campo di forze o il diagramma di Pareto. La capacità di decidere è tipica del manager di alto livello. Le nuove tecnologie tendono però a distribuire l'intelligenza anche ai livelli più bassi del processo e del prodotto. Di conseguenza anche la decisione tende a spostarsi verso il basso, per cui il lavoratore non è più l'appendice tayloriana di una catena di montaggio, ma è un'intelligenza umana che interagisce con un'intelligenza artificiale. Il problem setting è un procedimento che orienta le mie decisioni, le scelte fra alternative diverse. Se dovessi prendere decisioni in base ad un problema non definito, l’unica possibilità sarebbe ricorrere ai pregiudizi (ai sistemi limbici del cervello). Se il problema è definito, ogni decisione dimezza il campo delle ambiguità, e mi porta verso la soluzione del problema. La decisione, in quanto scelta fra alternative, è un riduttore di complessità. Per esempio, se scelgo fra 8 alternative ugualmente probabili, la scelta di 1 alternativa richiede 3 passaggi. Naturalmente le cose si complicano se le alternative non sono ugualmente probabili. A volte le decisioni sono incerte, fra due o più alternative che sembrano equivalenti. In questi casi, invece di rimanere paralizzati, ci si può affidare all’indicazione del caso, alla divinazione, all’inconscio. Gli antichi auguri consultavano il fegato degli animali sacrificati o il volo degli uccelli. I cinesi consultano I Ching, e lo faccio anche io con un mio gruppo di lavoro creativo. Ikkyu, maestro zen illuminato, quando nei suoi vagabondaggi si trovava di fronte ad un bivio, lanciava la sua collanina e andava nella direzione indicata dalla caduta di essa. Definire e comunicare il problema Definire bene un problema è in gran parte averlo risolto (Benedetto Croce). Prima di aver risolto un problema è difficile definirlo bene (E. De Bono).
  • 37. Definizione del problema Finalmente è giunto il momento in cui il problema può essere definito e formulato con chiarezza. Dal materiale raccolto vanno estratte le parole chiave. Da queste parole si arriva all'enunciazione del problema. Il problema può essere definito secondo questo schema: Dato che (disagio iniziale) e tenendo conto che (condizioni), come fare per (problem setting) ottenere (soluzioni attese)? Comunicazione del problema Tutto il setting del problema si basa sulla comunicazione. Il leader e i collaboratori devono comunicare costantemente fra di loro per attivare i metodi e le tecniche. Ma devono comunicare anche con il resto dell'organizzazione per ottenere dati e informazioni utili. Una volta definito e formulato, il problema va comunicato all'interno dell'organizzazione, e se è il caso anche all'esterno. La frase "questo è un problema tuo, non mio" significa che io non sono disposto a interessarmi di del problema che mi proponi. Il problema quindi va "venduto" per ottenere consenso intorno all'opportunità di risolverlo. E anche per ottenere decisioni e finanziamenti. Per comunicare con più efficacia il problema si può ricorrere all'analogia. Catone in senato estrasse dalla toga alcuni fichi freschi che venivano da Cartagine. Con questo voleva dire che Cartagine era talmente vicina da rappresentare una seria minaccia per Roma, e che dunque doveva essere distrutta. Un modo per comunicare il problema al di fuori del cerchio degli addetti ai lavori in senso stretto è il principio del RIMB (Raccontalo In Modo Banale), di cui parla la scrittrice di thriller Kathy Reichs. E' il modo di parlare del proprio progetto che si usa per le raccolte di fondi, i party, le riunioni inaugurali, i consigli di amministrazione, dove si semplifica tutto al massimo, evitando tecnicismi e approfondimenti. Leader e collaboratori nel problem setting Il leader ha la funzione di coagulare intorno a sè le criticità (come un magnete o un parafulmine). I collaboratori devono essere impegnati in modo creativo, con spirito di team. Devono essere sensibilizzati ai vantaggi che deriverebbero dalla soluzione del problema e alle conseguenze negative che si verificherebbero se il problema non venisse risolto. Il leader con i collaboratori, e i collaboratori fra di loro, devono curare molto la comunicazione, che avviene con incontri diretti e telefonate, ma ormai più spesso con le nuove tecnologie della intranet, ivi compresa l'e-mail, gli spazi di incontri virtuali e la teleconferenza. Se il problema si trova in una fase riservata di studio va posto in uno spazio intranet accessibile solo al gruppo di lavoro che si occupa del problema. Quando è il momento di comunicare il problema a tutta l'azienda dallo spazio chiuso lo si sposta negli spazi comuni dell'intranet e se necessario anche dell'extranet. Organizzazione del problem solving Una volta definito con chiarezza il problema in tutti i suoi aspetti, si può passare alla fase del problem solving.
  • 38. Il problem solving viene bene solo se è preceduto da un corretto problem setting. Chi ha definito il problema può affrontarne anche la soluzione. Più spesso però i manager di alto livello pongono il problema e ne affidano la soluzione a livelli più bassi. In questo caso andrà costituito il team di problem solving. Il processo di soluzione del problema va organizzato con le tecniche di project management. Si parte dal briefing, dove vengono descritte tutte le specifiche del problema da risolvere e del progetto da gestire. Si procede con la gerarchizzazione dei problemi, dai problemi generali ai sottoproblemi. Si passa quindi alla pianificazione applicando la tecnica della work breakdown structure (WBS), con cui si suddividono i compiti in singole attività, e si disegnano i diagrammi PERT e Gantt per visualizzare la struttura logica e la programmazione temporale delle operazioni. Si confrontano le soluzioni attese con quelle ottenute, e si fa una relazione con le soluzioni ottenute. Si conclude con il debriefing, discussione finale su tutto il processo di problem solving. Briefing Il setting del problema dà luogo al briefing del progetto di problem solving. Il briefing è il documento in cui sono concordate tutte le specifiche del progetto: obiettivi, tempi, costi, risorse a disposizione, settori interessati. Una delle più famose metodologie per definire le specifiche di progetto risale a Lasswell ed era usata fin dagli anni 30 nel giornalismo. Si basa su cinque W e una H: Who – chi è il referente o il committente, a chi ci si rivolge What – che cosa si deve fare (progetto) Where – dove si deve intervenire When – quando va fatto Why – perché si fa (obiettivo) How - Come si deve fare – questo è lo sviluppo stesso del progetto. Altra domanda importante è: QUANTO SI PUO' SPENDERE? Un buon metodo per determinare le specifiche di progetto è quello di rifarsi ad un progetto precedente, utilizzando le cose che sono andate bene e integrando quelle che non erano adeguate. Il briefing ci viene dato dal committente, o siamo noi a raccoglierlo intervistando il committente. Elementi costitutivi del briefing sono i dati di base che servono per fare una proposta, elaborare un progetto, compiere un'azione. Quando viene dal cliente non è detto che vada seguito alla lettera. Sulla base di esso possiamo comunque fare proposte alternative che magari rispondono in maniera più completa ai bisogni che hanno generato il briefing, e che fanno parte della nostra consulenza. Essere propositivi e saper motivare (negoziare) le nostre proposte può essere una buona base per avere successo con la piena soddisfazione del cliente. Gerarchizzazione dei problemi Il problem solving si può sviluppare in una struttura gerarchica ad albero, o se si vuole i problemi possono essere annidati l’uno dentro l’altro. Il
  • 39. macroproblema avrà la sua macrosoluzione, e sarà formato da microproblemi, ognuno con la sua microsoluzione. Per esempio, si sente il bisogno di modernizzare la comunicazione in azienda. Problem setting A = si usa troppa carta, bisogna riorganizzare tutto con workflow management. --Problem setting AA – digitalizzare le singole postazioni di lavoro ----Problem setting AAA – bisogna usare un word processor ----Soluzione AAA – fare un corso di Word e installarlo in tutti i computer ----Problem setting AAB – bisogna mettere tutti i documenti in un data base ----Soluzione AAB – organizzare tutto con Access ----Problem setting AAC – bisogna usare un foglio di calcolo ----Soluzione AAC – fare un corso di Excel e installarlo in tutti i computer --Soluzione AA – pc su ogni posto di lavoro, con software e addestramento --Problem setting AB – far comunicare fra loro i computer aziendali ----Problem setting ABA – mettere in rete tutti i computer ----Soluzione ABA – rete locale ethernet ----Problem setting ABB – far usare l’e-mail a tutti i dipendenti ----Soluzione ABB – installare e fare un corso di Outlook express --Soluzione AB – realizzazione di una intranet aziendale Soluzione A – mettere i computer in rete, installare Office 2000 e imparare ad usarlo. Per riuscire a scomporre un problema generico e aggregato in sottoproblemi più specifici, si possono fare domande di chiarimento e precisazione, che aiutano a definire gli argomenti, e quindi ne mettono in evidenza gli elementi che li compongono e che costituiscono i sottoproblemi. Problemi affini, complementari o concatenati si possono raggruppare in un problema che li raccoglie (procedimento inverso alla wbs: generalizzazione o accorpamento delle attività). I problemi periodici si ripresentano a scadenze fisse. Le procedure ricorsive nella soluzione di un problema includono la generazione di un nuovo problema. Pianificazione Dopo aver definito e gerarchizzato il problema si procede alla pianificazione delle azioni che portano alla sua soluzione. Con la WBS si individuano le singole attività e si assegnano alle persone che dovranno svolgerle. Le attività generali sono suddivise in attività particolari, indipendenti o collegate fra loro. Le attività sono rappresentate visivamente con il sinottico PERT, che evidenzia le loro concatenazioni e strutturazioni logiche ed i percorsi critici, ovvero quelle