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PASQUALE STANZIALE
MATERIALI D’INDAGINE
SULLA SETTIMANA SANTA A SESSA AURUNCA
NELL’ALTO CASERTANO
OFFICINE KULTURALI AURUNKE
EBook 2015
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a mio figlio Angelo Duhul
PASQUALE STANZIALE
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SULLA SETTIMANA SANTA A SESSA AURUNCA
NELL’ALTO CASERTANO
OFFICINE KULTURALI AURUNKE
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MATERIALI D’INDAGINE SULLA SETTIMANA SANTA
A SESSA AURUNCA NELL’ALTO CASERTANO
© by Pasquale Stanziale 2015
Foto: lamiasettimanasanta4d1.blogspotcom
Disegni di Luigi Cappelli
Foto dell’autore: Giulia Trasacco photogr.
MATERIALI D’INDAGINE
SULLA SETTIMANA SANTA A SESSA AURUNCA
NELL’ALTO CASERTANO
1- I riti-spettacolo, la temporalità, il sincretismo, l’identità (1998 2014)…1
2- Il sacro, il mistero, l’ontologia (1998 2014)…………………………….17
3- Il sistema rituale-spettacolare…………………………………………..29
4- Breve excursus psicoanalitico…………………………………………..48
5- Il cibo dei vivi…………………………………………………………….58
6- Nota conclusiva…………………………………………………………..63
7- Appendice antologica
1- Una pagina di folklore sessano. Giovedì santo
di Nando Tommasino (1943) ……………......................................65
2- Turismo e mass media
di Francesco Ianniello (2005)…………………………………….70
3- Catarsi ed estasi visiva
di Francesco Ianniello (2005)…………………………………….73
4- Atti del primo convegno diocesano delle confraternite
Comunicazione di Antonio Varone (1988)………………………76
5- Atti del primo convegno diocesano delle confraternite
La formazione cristiana del confratello
di A. Aniello L. Fiordaliso P. Pauroso (1988)…………………78
6-Atti del primo convegno diocesano delle confraternite
Le Confraternite e le feste popolari
di Ferruccio Parrini (1988)………………………………………….80
7-Introduzione ai riti quaresimali ed alle processioni penitenziali
di Pier Luigi Gallo (1988)…………………………………………..82
8- S. Lazzaro
di Rosa Anna Bova (2004)………………………………………….85
8- Bibliografia essenziale……………………………………………………87
9- Concetti-chiave…………………………………………………………...92
1
1- I riti-spettacolo, la temporalità, il sincretismo, l’identità
(1998 2014)
1- Vi è ormai una certa mole di scritti- su quelli che Paolo Toschi, nel suo
fondamentale libro sulle origini del teatro italiano (1999), chiama riti-spettacolo-
riguardo la Settimana Santa di Sessa Aurunca. Nel leggere questi scritti si nota
spesso un accavallarsi ed un confondersi dei livelli disciplinari. Vengono in
modo eterogeneo usati concetti antropologici, sociologici e storici realizzando
ambiti divulgativi che, pur se suggestivi, ad una lettura più avvertita risultano
non corretti e disarticolati dal punto di vista epistemologico e delle pertinenze
disciplinari. L'utilizzo di una trasversalità analitica è giustificato solo nell'ambito
di una antropologia generale sussuntiva. Il problema è che andrebbero distinti
2
sia i livelli di analisi nonché gli ambiti descrittivi da quelli ipoteticamente
interpretativi.
2- I classici modelli sociologici di comunità e società (Gemeinschaft e
Gesellschaft) di Tönnies sono stati variamente usati da chi scrive e da vari
studiosi per analisi relative alla nostra zona. In effetti questi modelli, pur se
considerati criticamente da alcuni sociologi, ben si prestano a definire ambiti
differenziali e mutamenti sociali della società locale e presentano anche rimandi
di tipo antropologico interessanti.
Per la società locale abbiamo scritto, oltre venti anni fa, che ciò che la
caratterizzava era un modello culturale basato sulla coesistenza tra elementi
comunitari ed elementi societari, coesistenza, spesso contraddittoria e frenante
in una prospettiva di emancipazione sociale. Avendo verificato, in nostri lavori
(P. Stanziale 1999 2014), questa analisi, ci sembra importante sottolineare, in
prima istanza, che nella Settimana Santa a Sessa sia individuabile un
significativo ritorno ad un ambito di comunità. In questa
settimana il tessuto sociale locale si ritrova stretto intorno ad una tradizione in
cui si riconosce in modo profondamente emozionale.
È una ritrovata dimensione comunitaria che riguarda il vissuto individuale e che
in questa dimensione tende a riprendere i rapporti sociali comunitari di là da
ogni ruolo sociale normale quotidiano. Si tratta, in effetti, del recupero di una
certa identità sociale la quale viene a delinearsi come modalità di esercizio della
fede e pertiene alla memoria storica della comunità.
Valori abbastanza radicati quindi, dai quali non si può assolutamente
prescindere in qualunque tipo di analisi sociale, valori che si presentano
in modo sempre più condiviso quanto maggiore è quella che in sociologia si
chiama insicurezza ontologica.
Ciò che va invece sottolineato ed affermato con forza è che tutto ciò costituisce
solo un aspetto della identità sociale. Il voler assolutizzare questo aspetto può
essere fuorviante e pericolosamente regressivo. L'identità sociale, infatti, è un
concetto più ampio e dinamico. Questa identità si costruisce anzitutto accettando
le sfide che emergono dai bisogni sociali e dal mutamento delle condizioni
economico-produttive ed attraverso una elaborazione culturale consapevole.
3- Non completo rilievo è stato dato alla collocazione temporale della
Settimana Santa in relazione al sincretismo religioso: ciò che in ambito
antropologico è certamente significativo e si presta a valutazioni ed
interpretazioni non secondarie.
3
La Settimana Santa in generale si colloca, con i suoi riti-spettacolo, in un
ambito temporale originariamente pertinente alla fine ed all'inizio di un ciclo
agrario, periodo ricco di rituali e di feste propri delle culture rurali pre-
cristiane quali quelle della nostra zona. Tutti questi rituali e queste feste hanno
come costanti coppie oppositive quali: inverno e primavera, morte e nascita,
vecchio e nuovo, le tenebre e la luce, fame e sazietà, povertà e ricchezza, il
basso ventre e la testa ecc.. La festa per eccellenza era il Carnevale con il suo
universo simbolico comprendente anche il gioco, la maschera ecc. Tutto ciò è
ben rilevabile dagli studi da J. Frazer in poi, fino a M. Bachtin ed altri, studi
teorici e di verifica sul campo.
Il sincretismo religioso riguarda l'inglobamento di elementi di questa originaria
cultura nell'ambito delle feste, dei riti-spettacolo e delle varie celebrazioni.
Questo perché gli elementi culturali pre-cristiani, come il Carnevale,
rispondevano a precisi ed ineliminabili bisogni dello spirito umano, come del
resto mostra Claude Lèvi-Strauss che giunge a parlare, in tal senso, di una
psico-logica strutturale. La Chiesa stessa riconosce il sincretismo e, nell'epoca
contemporanea, invita a distinguere ciò che è documento antropologico da ciò
che è autentico e consapevole esercizio di fede. Nelle epoche precedenti la
Chiesa non potendo eliminare l'elemento magico-rituale lo ha inglobato, in
qualche modo, in effetti neutralizzandolo.
Da qui la necessità di individuare nei riti spettacolo quegli elementi che
rimandano a stratificazioni culturali, a persistenze ed a modalità di
appropriazione simboliche nell'ambito dei riti-spettacolo stessi.
Nello studio della Settimana Santa un'analisi esauriente e dettagliata delle
stratificazioni culturali non è stata ancora prodotta. Per nostra parte possiamo
accennare ad alcuni aspetti che riteniamo importanti.
Non è quindi casuale che ci sia una continuità temporale tra la Settimana Santa e
la festa del Santo protettore (Madonna del Popolo) a Sessa Aurunca, come non
è casuale la continuità tra gli eventi della sera del 18 marzo e la festa di S.
Giuseppe a Cascano. In questa continuità sono presenti sia forme di sincretismo
che l'accorpamento degli eventi festivi e celebrativi nel calendario festivo
religioso, a suo tempo posto in atto dalla Chiesa. Ovvero la scansione delle
coppie penitenza/festa o festività-precristiana/festa cristiana.
Anzitutto l'elemento festivo, il cibo e il fuoco ci sembrano elementi pertinenti
al sincretismo religioso e ciò collega, in qualche modo, la festa di S. Giuseppe
di Cascano, la tradizione dei falò, in questo periodo presente in altre borgate, e
la processione del Venerdì Santo.
4
L'elemento festivo riguarda aspetti.... collaterali dei riti-spettacolo della
Settimana Santa, aspetti comunitari o anche trasgressivi secondo le modalità
dell'appropriazione del simbolo: un meccanismo di cui parleremo in seguito.
Per quanto riguarda la sera del 18 marzo a Cascano ribadiamo la nostra
convinzione che gli elementi in gioco sono relativi all'originario universo festivo
rurale di marca carnevalesca. Non bisogna dimenticare che ogni segno, nelle sue
significazioni storiche va considerato anzitutto per il suo originario carattere
strutturale (necessità) e poi per le significazioni successive in cui viene a
calarsi. Così ciò che prima era accesso al cibo carnevalesco può venire ad
assumere poi altre significazioni in un contesto culturale diverso.
In ogni caso il fuoco, elemento presente nell'arco degli eventi di cui si è parlato
in precedenza (Cascano, altre borgate, Venerdì Santo sessano) sicuramente è
derivante dalle feste del fuoco di cui parla, originariamente, Frazer (1973)
(l'albero in fiamme che diviene falò carnevalesco- poi il
fuoco ritualmente purificatore), eventi festivi dell'originaria cultura rurale,
presenti in gran parte del territorio europeo. Qui la simbologia è abbastanza
traducibile nell'ambito delle coppie oppositive di cui si è parlato in precedenza.
“I “carracciuni" sono dei falò accesi nei vari quartieri della
cittadina al passaggio della processione del venerdì santo: si fa
a gara tra chi accende il falò più grande, che risulta essere quello
di Piazza Mercato, dove lo spazio è di più ampio respiro;
durante il periodo Quaresimale i confratelli che dopo le cene
conviviali si riuniscono per cantare alcune "botte" di Miserere
per le strade del centro storico, accendono dei piccoli falò
bruciando vecchi manifesti. La parola "caracciuni" deriva dallo
spagnolo Caraca che sta ad indicare una nave o barca da
trasporto, oppure mercé, balle o anche il materiale
d’imballaggio (botti - casse, ecc.); in senso traslato i fuochi
alimentati da una suppellettile inservibile, come casse, scatole
ecc. (N. Borrelli 1984).
Frazer (1973) scrive che i falò erano accesi in epoca precristiana
dai contadini europei durante la primavera e l’autunno, ma molti
anche alla fine dell’autunno e d’inverno, soprattutto la vigilia
d’Ognissanti, il giorno di Natale e la vigilia dell’epifania.
I falò ardevano anche nel periodo pasquale. Oltre alle feste di
Quaresima, i fuochi erano accesi il Sabato Santo, alla vigilia di
5
Pasqua. Nei paesi cattolici, quando si spengono tutti i lumi nelle
chiese, si accendono dei fuochi, ora con 1' acciarino e la silice,
ora con una grande lente. Alla fiamma di questo fuoco si
accende il grande cero pasquale che poi è utilizzato per
riaccendere tutti i lumi spenti della chiesa. Le ceneri del falò
pasquale con le ceneri delle palme consacrate sono mescolate
con le sementi al tempo delle seminagioni.
II carattere pagano delle feste del fuoco è evidente. Nella
Germania centrale (J. G. Frazer 1973) e del nord fino ad oriente,
i falò pasquali fiammeggiano sulle colline. Molto prima della
Pasqua i giovani si danno da fare a raccogliere i combustibili,
aiutati dai contadini; i villaggi vicini gareggiano nell'accensione
dei falò più grandi. Secondo i contadini fin dove giunge la loro
luce i campi saranno fertili e le case su cui splendono saranno
immuni da malattie. Quando le fiamme calano in alcuni luoghi
barili di catrame sono spinti giù dalle colline, dai falò vengono
accese delle torce agitate per i campi. Frazer (1973) afferma che
il fuoco, in ogni sua forma, (falò, torce, cenere sparsa dal rogo
semispento) è considerato promotore della crescita dei raccolti,
del benessere dell'uomo e delle bestie, o positivamente
stimolandoli, o negativamente allontanando i pericoli che li
minacciano. Ci sono due spiegazioni diverse alle feste del fuoco
dal cui contesto sono enucleabili due teorie: la prima che si può
chiamare teoria solare e si basa sul principio della magia
imitativa la quale sostiene che, per assicurare la provvista
necessaria di luce solare agli uomini, alle piante e agli animali, si
accendevano dei fuochi ad imitazione del sole; la seconda è
chiamata teoria della purificazione, la quale sostiene il principio
che le feste del fuoco non hanno contatti con il sole, ma in ogni
caso hanno un'intenzione purificatrice con il fine di bruciare e
distruggere le influenze negative concepite come streghe,
demoni o mostri oppure infezioni e corruzione diffusi nell'aria.
Dunque due teorie diverse, una positiva e l'altra negativa, una
basata sulla forza di rigenerazione del sole per la crescita e lo
sviluppo delle piante, l'altra è la forza di distruzione degli
elementi negativi ed anche minaccia verso gli uomini, le piante e
gli animali.
I fuochi non sono presenti soltanto a Sessa Aurunca, ma anche
in occasione di altre festività, nel periodo di fine inverno - inizio
6
primavera, nella zona circostante quella interessata, a dimostrare
una certa continuità.”
(R. A. Bove 2004) .
Un esempio da rilevare potrebbe essere la festa di S. Giuseppe a Cascano che si
svolge il 18 Marzo ed a cui abbiamo già accennato. Qualche giorno prima della
ricorrenza vengono preparati dei ceppi di legno di grosse dimensioni e fasci di
sterpi, posti in alcuni crocevia del paese, in luoghi determinati dalla tradizione.
Nei giorni precedenti la festività sono distribuite le "coccetelle", delle pagnottelle
fatte preparare dai fornai locali in segno di devozione oppure per una grazia
ricevuta dal Santo e, mentre si svolge la festa, è distribuito vino e cibo nelle
abitazioni aperte anche agli estranei.
Riprendendo le tesi del Frazer, il fuoco è qui un elemento propiziatorio, come fine
ed inizio di un ciclo (agrario). Esso può distruggere e purificare e può essere
anche luce e sole (P. Stanziale 1988).
Va anche valutato il valore scenografico dei falò nell'ambito urbano unitamente
alla musica ed all'andamento processionale nel Venerdì Santo a Sessa Aurunca
nel ricreare, come sempre, quell'atmosfera mistica altamente coinvolgente che
spiega l'attaccamento dei sessani a questo rito-spettacolo. In tale ambito
particolarmente suggestivo risulta essere il passaggio della processione nell'area di
Piazza Mercato. In concomitanza con questo passaggio vengono accesi falò
sempre più consistenti con fiamme altissime.
Per concludere questa parte vorrei dire che mi rendo conto che è difficile per
una certa tradizione di pensiero accettare il sincretismo per la convivenza di
elementi pre-cristiani con quelli cristiani, ma ciò non può essere eluso in una
prospettiva di lettura analitica dei riti-spettacolo i quali restano pur sempre una
notevolissima testimonianza culturale implicando un vissuto importante
nell'esercizio della fede.
4- Va rilevato quindi che un aspetto non completamente studiato
rispetto alla Settimana Santa sessana è quello psicologico. Qualcosa, su tale
aspetto, affiora dal contesto degli studi disponibili ma non in modo organico e
articolato. In effetti le modalità di rappresentazione del sacro e le motivazioni
relative alle manifestazioni della fede nella società locale sono ben un
argomento da tesi di laurea o di uno studio che andrebbe realizzato attraverso
una seria ricerca sul campo utilizzando gli opportuni strumenti delle scienze
umane.
7
5- Diciamo subito che nell'ambito dei riti-spettacolo della Settimana Santa a
Sessa un momento certamente degno di rilievo è quello relativo all'incontro tra i
Misteri di S. Carlo e quelli dell'Addolorata nella processione del Sabato mattina.
Alle 8,30, all'imbocco di via Roma, nella parte bassa di Corso Lucilio vi è la
confluenza dei gruppi processionali relativi a due gruppi statuari (Misteri).
Questa confluenza procede in modo lento per il tipico andamento ondeggiante
(cunnulella, il termine non è casuale) e si sviluppa sulle note di un pezzo
musicale di fine '800 del maestro Vella, “Una lacrima sulla tomba di mia
madre”. I due gruppi statuari sembrano affrontarsi in una specie di danza
mistica.
Il momento è particolarmente coinvolgente dal punto di vista spettacolare ed
emotivo. Per alcuni attimi il tempo sembra fermarsi per lasciare al rito-
spettacolo tutta la pienezza della sua carica emozionale ed ha certo ragione il
Toschi (1999) a parlare, in tali casi, di catarsi. È questa una circostanza in cui
le modalità di vivere e di manifestare la fede si presentano con una intensità
paragonabile probabilmente solo con la celebrazione dell' Ufficio delle tenebre,
un rito-spettacolo evocativo che viene celebrato nella Chiesa di S. Giovanni a
Villa il Mercoledì.
“È da specificare, a tale riguardo, che fino al 1968 le processioni
che partivano l'una dalla Chiesa di S. Carlo, con il gruppo
statuario della Deposizione e l'altro dalla Chiesa di S. Matteo,
con il gruppo in legno e cartapesta dell'Addolorata, non
potevano incontrarsi, pena gravi sciagure per la città e dovevano
costituire due cortei distinti; ma la vera ragione era di natura
politica: negli anni anteriori al Fascismo vi era la
contrapposizione tra il partito radicale rappresentato dalla
famiglia Mazzarella a Sessa ed il partito liberale rappresentato
dai Ciocchi di Cascano, i primi che seguivano il gruppo della
Deposizione e i secondi dell'Addolorata. Oggi non è più così, i
due cortei costituiscono un'unica processione che parte dalle
rispettive Chiese per incontrarsi lungo Corso Lucilio, all'altezza
della villa comunale, proseguendo insieme, con un percorso
simile a quella del Venerdì.”
(R. A. Bova 2004)
6-Ed a proposito dell'Ufficio delle tenebre va rilevata una certa analogia tra
questo rito-spettacolo e un altro rito-spettacolo citato variamente dagli studiosi
di questi argomenti. Si tratta di un sermone semidrammatico che si tiene il
8
Giovedì Santo a Lioni in provincia di Avellino. In questo sermone- che è
certamente meno complesso ritualmente e simbolicamente di quello di Sessa-
l'oratore, ad un certo punto, parla della terra che si oscurò e tremò, così la luce
si spegne e si sente un forte rumore, come nell'Ufficio delle tenebre.
“Il mattutino delle tenebre segna l’inizio del triduo pasquale la
sera del mercoledì santo che risale al XIII-XIV secolo quando
venne spostato l’ufficio notturno dalle prime ore della notte del
giovedì sera, hora vigesima prima vel circa, del giorno
precedente. L’ufficio del triduo si discosta notevolmente dalla
forma usuale, riproducendo il tipo dell’Ufficio romano primitivo.
Il nome di Mattutino delle tenebre è dovuto al fatto che termina a
lumi spenti. L’impressione di lutto e di tristezza è suggerito da un
doppio livello di liturgia, uno interiore, fornito dai mirabili testi,
dai responsori, delle lezioni, dei salmi, uno esteriore scenografico,
d’immediata percezione, costituito dalla graduale estinzione delle
luci.
Un arredo liturgico caratteristico dell’Ufficio notturno di questi tre
giorni è la SAETTA (hericia, Herice) sorta di candeliere
triangolare, che porta infisse 15 candele de cera comune (cera
vergine) le quali vengono estinte successivamente alla fine di ogni
salmo (9 dei notturni e 5 delle Lodi), ad eccezione dell’ultima che,
al termine del Benedictus, si nasconde accesa dietro l’altare. (M.
Righetti 2005).
Il significato della cerimonia è, secondo il liturgista medievale
Amalario più che un gesto di mestizia, un simbolo della morte di
Cristo “Quod lumen acclesiae extinguitur in his noctibus. Videtur
nobis aptari ipsi soli justitiae, qui extinctus est et sepultus tribus
diebus et tribus noctibus”.
L’uso più singolare era dettato dalla rubriche che prescriveva alla
fine delle lodi fragor, et stretpitibus aliquantulum. Agli studiosi
della liturgia sfugge il senso di questa azione.
La funzione di semplice congedo del fragor fu, a livello popolare,
in ogni caso arricchita di significati più complessi e per quanto
prescritta dalle rubriche la piccola cerimonia creò non pochi
eccessi. Molti sinodi si preoccuparono di limitare i rumori
proibendo di usare ad esempio malleis seu ferreis seu ligneis (Uno
degli strumenti più usati per lo strepito erano le bacchette, talvolta
9
ornate di intagli sulla corteccia e poi usate, come nel Forlivese, per
la battitura dei panni, perché proteggevano dai tarli (DEF ecc). Le
costituzioni sinodali di Volterra del 1590 proibivano sibile,
cornuumque strepitus, et inconvenientes pulsationes”.
(C. Bernardi 1991).
7- Situazione che va evidenziata, tra altre, è quella relativa alla presenza
maschile che è evidentemente prevalente nei riti- spettacolo della Settimana
Santa la presenza femminile è preminente nell'ambito penitenziale come modo
di vivere e manifestare la fede. Le donne alluttate con i grossi ceri, scalze, nella
processione del Sabato mattina, sono legate, in gran parte, all'esercizio del voto-
che non vede differenze di classe- in una ambito in cui la speranza, il vissuto e
una specie di rispondenza sacrificale-contrattuale caratterizzano questo tipo di
religiosità.
8- Considerazioni varie possono essere fatte sulla veste confraternale. Va rilevata
la fondamentale funzione disidentificante/sacrificio- e quindi penitenziale- a
vantaggio di un servizio anonimo- originaria di tale veste. Va altresì rilevato il
fatto che tale veste, tradizionalmente, non sembra adempiere più a questa sua
funzione originaria per assumere, sempre di più, una funzione ostentativa nel non
uso del cappuccio o nella sua eliminazione nei riti-spettacolo. Del resto, per
quanto riguarda gli analoghi riti-spettacolo spagnoli, ci è sembrato di constatare
che tale problema non si pone.
9- Le valutazioni sulla veste confraternale si connettono con un concetto che, a
nostro avviso, è importante per tutta una serie di spunti analitici che gli
conseguono: e che riguardano ancora le modalità di appropriazione del
simbolo.
Si tratta di esaminare le rappresentazioni a livello psicologico che si vengono a
stabilire tra i fedeli e le simbologia presente nei riti spettacolo della Settimana
Santa. Questa è certamente una ipotesi di studio che richiederebbe una
articolazione sperimentale ed anche una ricerca storica pertinente
all'immaginario religioso.
Per quanto ci riguarda vogliamo richiamare l'attenzione su qualche situazione
che ci sembra particolarmente interessante, ovvero il rapporto tra il Fratello e il
Mistero. Ci sembra che ci si possa richiamare a quanto la
letteratura psicosociologico-religiosa riporta su temi analoghi quando si parla di
condivisione del pathos.
10
Il Fratello che porta il Mistero è certamente preso, coinvolto in modo, dunque,
simpatetico. Il suo rapporto col Mistero, o col Santo che porta sulle spalla, in
senso generale, è un rapporto emotivo legato al significato simbolico
del Mistero che viene vissuto come marcatura fisica (sacri-ficio)
ma anche come privilegio personale e/o di gruppo (confraternitale).
Vengono a delinearsi quindi varie componenti psicologiche ma, mi sembra, che
centrale sia quella in cui viene ad emergere, in qualche modo, una specie di
pietas, uno stato che ben porta a comprendere come il Fratello culli il Mistero
nell'andamento processionale o, come questo andamento, nel clima che viene a
crearsi possa confermare l'ipotesi di una danza mistica. Certamente è
pensabile che la cunnulella, di cui si parlava in precedenza, possa connettersi
con queste riflessioni.
A tale proposito va rilevato che quasi tutti gli studiosi sono d'accorso sul fatto
che caratteristica del corteo processionale antico fossero la musica e la danza. Si
parla di legami stretti tra danza e processione e tra danza e forme drammatiche.
La danza, come scrive Toschi (1999), era presente nei riti-spettacolo del
cristianesimo delle origini e nelle chiese antiche e si svolgeva nella parte
sopraelevata dell'altare. Successivamente, con il corteo processionale, che
traccia un percorso benedetto, all'esterno della chiesa, la danza permane come
parte della celebrazione.
Successivamente la danza viene decisamente avversata dalla chiesa e cancellata
dai riti-spettacolo. Ma il Toschi (1999) stesso descrive vari riti-spettacolo
processionali in cui sono opportunamente integrati spazi di danza
a conclusione delle celebrazioni, ciò ad indicarne, in qualche modo la
persistenza. Anche in tal caso si può parlare di appropriazione del simbolo
secondo modalità che costituiscono un ambito di esercizio della fede
storicamente determinato.
10- L'appropriazione del simbolo da parte dei fedeli comporta storicamente vari
problemi che riguardano più che un rapporto tra poteri un rapporto tra culture,
ovvero tra una cultura, che tende ad adattare ai propri ambiti di vissuto
individuale e/o di gruppo gli elementi simbolico-liturgici e una cultura che tende
a salvaguardare l'azione liturgica di là dalle secolarizzazioni contingenti.
Tale rapporto talvolta viene a configurarsi in modo conflittuale. Possiamo dire,
in ogni caso, che istituzionalmente l'azione liturgica si presenta con i caratteri
dell'essere pubblica e ufficiale, essa è presieduta da un ministro della
Chiesa, cui spetta la funzione di iniziativa relativamente alla partecipazione dei
11
fedeli all'azione liturgica nei riti-spettacolo, ma cui spetta, altresì, la necessaria
osservanza della tradizione. È quindi nella tradizione che va considerata
l'appropriazione del simbolo: ciò che costituisce un aspetto
importante relativamente anche all'ambito del sincretismo.
11- Ora che si stanno opportunamente studiando, in modo comparativo, i riti-
spettacolo sessani e quelli spagnoli, sarà certamente possibile arrivare
a delineare in modo articolato differenze e influenze culturali. Influenze: ovvero
esame delle modalità dei rapporti tra religiosità e cultura dei poteri spagnoli
nell'ambito della Chiesa locale; differenziazioni: per ciò che ha
ipotizzato Pietro Perrotta, in una non proprio recente discussione, per cui,
rispetto al ricco décor barocco dei riti-spettacolo spagnoli, si rileva l'essenzialità
di quelli sessani.
Questo per motivi anche economici e per la non vicinanza con Roma delle città
spagnole luogo dei riti-spettacolo. Io insisterei su questo secondo punto, per ciò
che riguarda una maggiore osservanza e marcatura controriformistica della
chiesa locale: una ipotesi che andrebbe opportunamente verificata.
Ciò anche in relazione al fatto che dall' 800 d. C. fino al Concilio di Trento si è
sviluppato il teatro religioso in tutta la penisola, fenomeno culturale cui, pare,
non fosse estranea Sessa. Successivamente, con la Controriforma, sono state
eliminate le teatralizzazioni nell'ambito dei riti-spettacolo con una maggiore
marcatura della simbologia penitenziale
“Inoltre la processione del Venerdì Santo di Sessa ricalca
moltissimo, in tutti i suoi aspetti coreutici e scenografici, la
grande processione di Siviglia in Spagna, dove ritroviamo con
un ruolo di prim'ordine una Confraternita aggregata
all'Arciconfraternita del SS. Crocifisso di S. Marcello in Roma,
denominata Real, ilustre y fervorosa hermandad de la Sagrada
12
Expiracion de N.S. Jesuchristo y Maria Santissima de las
Aguas (A. Leòn, 1981); moltissime sono state quindi le
influenze della religiosità e delle usanze spagnole nei territori
soggetti alla loro dominazione, e lo stesso culto particolare della
figura del Cristo morto e della Deposizione è uno degli aspetti
più caratteristici della religiosità iberica. (S. Corbin, 1960).
Inoltre la data di aggregazione della Confraternita di Sessa a
quella di S. Marcello risale al 1609, periodo in cui la
dominazione spagnola in Campania era quanto mai presente (A.
Varone, 1986); da questi elementi e dalla diffusione di uno stile
di canto che potremmo definire a voce piena e lacerata (R.
Leydi, 1973) in tutte le regioni del Mediterraneo occidentale, è
emersa dunque l'ipotesi di una comune matrice arabo-andalusa
che si sia diffusa in seguito nei territori occupati dal Regno di
Spagna; esempi di questo genere di canto possono essere il
canto flamenco, le saetas (canto proprio della processione
sivigliana eseguito in due diverse tonalità) e il jipio, lamento di
dolore tipico del canto andaluso
……………………………………………………………………
Ricordiamo, a questo punto, che il Venerdì Santo a Siviglia,
nell’ambito di quella che viene chiamata la “Madrugà” escono
ben sei processioni organizzate da altrettante confraternite: “El
Silenzio”, “El Gran Poder”, “La Macarena”, “El Calvario”, “La
Esperanza de Triana” e “Los Gitanos”.
…………………………………………………………………..
Il passo tenuto dai portatori dei Misteri durante la processione è
un esempio di quel che a Sessa viene chiamata la cunnulella,
ovvero un’oscillazione in avanti e indietro del corpo,
determinata dal lento avanzare di tre passi e del retrocedere di
uno, cosicché il gruppo plastico sembra navigare sulla folla,
come se fluttuasse sulle onde; questa andatura processionale è
una caratteristica rintracciabile, insieme a molte altre, anche
nelle processioni penitenziali spagnole ed in particolar modo
nelle processioni della settimana santa di Siviglia, dove i pasos
(cioè i misteri plastici) vengono fatti oscillare secondo un
movimento chiamato mecita (letteralmente dondolio) che
ricorda il cullare delle madri con i propri bambini.
13
Numerose sono infatti le analogie tra la processione di Sessa e
Aurunca e quelle di Siviglia; in ambedue vi è la presenza di
confraternite, misteri plastici, percorsi di marcia precisi, bande e
cantori tradizionali, sebbene le processioni sivigliane assumano
delle proporzioni gigantesche rispetto a quella suessana, sia
come durata (un’intera settimana quasi senza soste) che come
affluenza (fino a centomila persone il giorno del venerdì santo).
Tali analogie rientrano in un quadro rituale proprio delle
processioni penitenziali e delle manifestazioni della religiosità
popolare del Meridione europeo, e sono riconducibili, come
abbiamo visto in precedenza, ad una comune origine cinque-
seicentesca improntate alla fede ed alle idee ed alle forme della
ritualità cattolica controriformista”.
(P. L. Gallo 1988)
12- Pertinente a queste note, ma solo per ciò che riguarda specificamente il
sincretismo- e per ciò che riguarda le modalità di esercizio della fede
nell'ambito della storia religiosa locale- c'è un evento riportato da
Nicola Borrelli nel suo libro sulle tradizioni aurunche e già pubblicato in una
rivista nel 1923.
Si tratta di un rito dal Borrelli definito magico-religioso cui si
ricorreva in occasione di siccità prolungata, nella
frazione Piedimonte di Sessa. Dopo la novena e le preghiere a
S. Erasmo, in assenza di pioggia, i capi del paese chiedevano al
parroco di far uscire la Croce. Questi, dopo qualche
resistenza, acconsentiva che avesse luogo il rito penitenziale.
Al suono della campana il popolo si adunava nella piazza del
paese e quindi il parroco guidava la processione verso il rivolo,
una processione che comprendeva giovani e vecchi coronati di
spine, portatori di pesanti sassi, di pesanti croci, di pesanti
catene. Alcuni camminavano a piedi nudi, altri si flagellavano.
Tutti recitavano il Mea culpa o intonavano l' Evviva la croce. La
processione raggiungeva il rivolo e il parroco immergeva la base
della Croce nell'acqua tra le preghiere della gente. Borrelli scrive
che tale rito risale al XV° secolo ed è simile ad altri riscontrabili
in altre civiltà con poche variazioni.
14
Un primo elemento significativo nella descrizione del Borrelli è
la marcatura di classe per cui è attraverso la mediazione del
potere egemone dei capi del paese che si realizzava il rito.
Ovvero è sul rapporto tra detentori dei poteri (capi del paese -
parroco) che si giocava l'evento penitenziale, ma in
cui l'esercizio della penitenza riguardava il popolo non certo i
maggiorenti del villaggio, come li definiva il Borrelli, pur
essendo generale l'interesse per cui ci si rivolgeva alla divinità.
Borrelli stesso sottolinea l'evidente sincretismo presente in tale
rito quando scrive un poco riduttivamente: ...” Il tradizionale
rito aurunco, dunque, riposa su un remotissimo diffuso concetto
magico mimetico, di poi inseritosi, come tanti altri, nel rituale
della Chiesa, o meglio, di antiche chiesuole rurali.” (N.
Borrelli1984).
Per quanto riguarda il concetto magico-mimetico di cui
parla Borrelli, esso può essere formulato strutturalmente come
evento giocato su simbolismi articolati in un sistema
significativo:
(indifferenza)- (cerchio collettivo simpatetico) (sacrificio)-
(grazia) (negatività)- (simbolo-Croce-attrattore di
bene)(acqua in basso)- (acqua in alto).
13- La nota precedente ci richiama ad una ipotesi di studio che, in senso
generale, può essere abbastanza produttiva: la rilettura di testi "classici"
attraverso l'ottica delle scienze umane contemporanee. Lo stesso Borrelli si
presta bene per tale approccio, allo stesso modo lo scrittore sessano Pasquale De
Luca e la rilevante opera di Giuseppe Tommasino.
Ovvero di là dalle letture storiche e letterarie l'universo di questi lavori può ben
rivelarsi una fonte di informazioni nuova nella prospettiva suddetta. Penso, ad
esempio, al quadro sociale della società sessana che può emergere dai Racconti
silvani di De Luca del 1888. Allo stesso modo il libro di Toschi più che uno
studio sulle origini del teatro italiano- nel 1955 le scienze umane ancora
non erano emerse con le loro metodologie di ricerca- rappresenta certamente un
rilevante insieme di fonti.
14- Un orizzonte che andrebbe opportunamente esplorato in modo definitivo è
quello dei rapporti tra Montecassino e la Chiesa sessana. Non va dimenticato
che il più importante "monumento" del teatro religioso del medioevo è la
15
Passione cassinese scoperta negli anni '20 da Inguanez (al cui ritrovamento era
presente il compianto Gabriele Inglese di Ausonia, questi ci procurò una copia
della suddetta Passione che abbiamo provveduto a far tradurre ad Anna Casella-
e che andrebbe opportunamente pubblicata). Questa Passione è notevole
anzitutto come sceneggiatura, poi come rimando ad una impegnativa macchina
teatrale che veniva messa in opera dai monaci stessi e, infine, perché presenta il
Pianto della Madonna in volgare. Ciò che sta ad indicare il fatto che la
partecipazione del popolo alla drammatizzazione avveniva in quest'ultima parte.
Ecco, questo passaggio è importante per delineare delle ipotesi. C'è stato un
momento in cui parte del rito-spettacolo è passato dall'ambito clericale-
nobiliare, all'ambito popolare, con tutte le appropriazioni e le modificazioni
linguistiche conseguenti.
È ipotizzabile che anche il canto lirico seguisse questo schema come anche il
canto del Te Deum che chiudeva molti uffici drammatici. Queste riflessioni
potrebbero riguardare- in qualche modo- anche il Miserere del Venerdì
Santo sessano al cui proposito De Luca nei suoi Ricordi di Pasque lontane
(Riv. Campana 1921- citato dal Borrelli in Tradizioni aurunche) parla anche di
libri pieni di scoli di cera su cui guardano i tre cantanti: un particolare che oggi è
cambiato dato i tre confratelli cantano il Miserere (v. 50 Davide) senza leggere
per una pratica di gruppo sviluppatasi per decenni e di cui sono
tradizionalmente depositari.
Una recente ricerca, poi, relativa a documenti del ‘700, ha fatto emergere una
ipotesi, abbastanza plausibile, secondo la quale nei tempi andati venivano fatti
venire da Napoli, dal Conservatorio della Pietà dei Turchini, i giovani cantori
del “Miserere”, detti “angiolilli” – una “paranza” (gruppo di tre o multiplo di
tre) per ogni mistero – e che, in seguito, cantori locali abbiano preso il posto di
questi riproducendo quel “Miserere” secondo modalità che hanno portato
all’attuale forma e che gli odierni gruppi di bambini abbigliati da angioletti
dinanzi ad ogni mistero (in origine anche di sesso maschile) siano quindi
retaggio degli “angiolilli” napoletani. (G.L. Sasso, V. Calenzo 2015).
Anche in questo caso sarebbe valida l'idea per cui l'evento celebrativo attuale
viene ad essere, per vari aspetti, il risultato dell'appropriazione dell'elemento
liturgico da parte laica secondo modalità storicamente determinate di
espressione della fede nei riti-spettacolo.
Citiamo qui una cronaca in cui si siamo imbattuti nelle nostre ricerche. Si tratta
di una cantillazione della Passione che presenta qualche analogia con il
Miserere Sessano.
16
“La celebrazione eucaristica della Domenica delle palme conserva
l’impronta primitiva del giorno dedicato esclusivamente alla
memoria della passione. Si legge il racconto evangelico di Matteo
nella sua forma solenne e drammatizzata. La passio è eseguita da
tre cantori, di cui uno rappresenta la parte di cronista, l’altra di N.
Signore, il terzo delle varie persone che entrano a parlare del
racconto, fu introdotto verso il mille nelle chiese del Nord e poi
imitato dappertutto.
Nella cantillazione della Passione, il testo si recita molto
giudiziosamente su tre gradi differenti: i passaggi del recitativo in
stile diretto si leggono in tono medio; le parole pronunciate dai
discepoli e dai giudei sono cantillate nel tono superiore, cioè una
quarta al di sopra del racconto, infine le parole di Cristo sono
cantillate nel tono grave, nella quinta inferiore del racconto.
I segni c (celeriter) per il racconto e t (tenete, tarde) per le parole
di Cristo indicavano fin dal IV secolo la velocità di esecuzione
quando era solo il diacono a leggere il racconto . Dopo
l’introduzione dei tre lettori si cominciò nel XVI sec. a comporre
polifonicamente le parole della folla e dei discepoli
(M. Huglo 1956).
15- Un altro aspetto, relativo alle celebrazioni della Settimana Santa sessana,
che pure andrebbe esaminato è quello che riguarda il rito-spettacolo come
alienazione necessitante nella prospettiva di una risposta all'insicurezza
ontologica cui abbiamo accennato in precedenza. Ma qui ci muoviamo in
un'area compresa tra psicoanalisi, filosofia e sociologia, diversa da
quella relativa al punto 2.
Si può accennare al fatto che parte della società locale, nella più ampia crisi
dell'identità, degli spiazzamenti comunicativi e della crisi di valori : ovvero tutto
ciò che converge nella domanda ontologica (senso dell'essere), trova in un
segmento spazio-temporale tradizionale-religioso una
rispondenza identificatoria e valoriale. Tale fatto partecipa alla costruzione di
un vissuto di cui andrebbero esaminate le rappresentazioni individuali del sacro
al fine di definire la religiosità locale nelle sue eventuali specificità. Queste
rappresentazioni individuali potrebbero presentare quadri- ipotetici- con
contenuti psicologici oscillanti da una consapevole religiosità moderna a
forme di alienazione sostanzialmente emotive ecc.- ma questa è un'altra storia da
verificare.
17
2- Il sacro, il mistero, l’ontologia (2001 2014)
1- La Settimana Santa a Sessa Aurunca si presenta come un insieme complesso
di rituali che non escludono l'aspetto sincretico- come già visto- il quale emerge
principalmente riguardo all'ambito festivo agrario originario con riferimento al
fuoco, alla scansione temporale, allo spazio festivo stesso, come abbiamo già
accennato in precedenza.
2- I rituali, nella loro sequenza temporale, vengono a delinearsi come un vero e
proprio "sistema", ovvero un percorso o sequenza che interessa quasi tutto lo
spazio urbano, polarizzandosi nelle chiese, culminando nella processione del
venerdì ed in quella del Sabato mattina, che non ne è un prolungamento, ma
che acquista una propria specificità con la confluenza dei "misteri" e con la
distribuzione della ruta e dei ceri benedetti. La processione della Madonna del
18
Popolo, poi, si presenta ancora distinta rispetto alla Settimana Santa con la sua
caratterizzazione patronale e organicamente popolare.
Va quindi sottolineato il fatto che la Settimana Santa sessana si presenta con una
organicità ed una interconnessione di eventi - dal lunedì al sabato – che le
conferiscono una specificità culturale di gran livello se posta in relazione al
quadro degli eventi pasquali presenti nel meridione d’Italia.
3- In effetti, con la Settimana Santa, il sacro si installa a Sessa Aurunca,
potentemente nell'ordine temporale con la sua struttura simbolica. Il "sacro" qui
assume il carattere di "numinoso" ovvero quello che R. Otto (1966) chiama
"sentimento originario e specifico" .
Il numinoso tende a rivelarsi, secondo Otto, come "mysterium", ciò che richiama
i "misteri", nome dato ai gruppi statuari della Settimana Santa sessana.
Un mysterium, quindi, che viene a caratterizzarsi come sentimento e come
emozione relativamente a ciò che è "angoscia", "tremendum" e "fascinans"
(J. Cazeneuve 1996): tre termini che sembrano ben delineare lo spazio
psicologico correlato al sistema rituale generale della Settimana Santa sessana.
L'inquietudine, un senso di attrazione, di paura e di speranza: ciò sembra
caratterizzare una certa dimensione psicologica nell'esercizio della fede. In tale
ambito la condizione umana trova nella tensione verso la "potenza" la ricerca di
un riscatto, una pausa esistenziale che l'ordine simbolico religioso tende a
ridefinire in un prospettiva di speranza e di rassicurazione.
4- Il rito religioso, in tale ambito, afferma la sua funzione canonica di
mediazione tra la condizione umana e la trascendenza (J. Cazeneuve 1996).
L'angoscia del mistero soggettivo così tende a rapportarsi col mistero
universale. Ciò in una scansione temporale periodica che viene a segnare
costantemente l'esistenza individuale. La Settimana Santa così, nei
fedeli sessani, diviene un appuntamento, un bisogno di trascendenza ed un
ritrovar-si rituale (V. Ago E. Galletta G. L. Sasso A. Aurola in I. Censi C.
Favale F. Rizzi 2009) e, laddove il bisogno stesso di trascendenza viene a
sfumare, ecco che l'elemento comunitario festivo viene a costituire l'altro
riscontro necessitante.
5- Il rito, nella sua funzione di mediazione-partecipazione, stabilisce un legame
con la potenza del numinoso attraverso le "azioni simboliche". Di queste, nel
contesto della Settimana Santa, è possibile schematizzarne alcune come segue.
-Accendere il fuoco (rituale) (uomo).
-Partecipare alle processioni e alle cerimonie in chiesa (uomo- donna).
19
-Partecipare alle attività confraternitali (veste, portare il Mistero ecc.) (uomo).
-Portare il cero (donna).
-Vestire di nero (donna).
-Cantare (uomo- donna).
-Danzare (uomo-donna).
-Pregare (uomo-donna).
L'azione simbolica così viene a rappresentare una modalità di accesso
all’universo simbolico della Settimana Santa ma definisce, in tale ordine, anche
un ruolo nel contesto dell'ordine sociale.
Ma l’elemento simbolico centrale è costituito dai Misteri con tutta la loro carica
di sofferenza e di dolore.
“I Misteri del Venerdì - custoditi nella chiesa di S. Giovanni a
Villa dall'Arciconfraternita del SS. Crocifisso - sono di
cartapesta e risalgono al periodo barocco: il loro autore non è
noto, ma potrebbe trattarsi di un artigiano locale perfezionatosi
presso qualche scuola o bottega napoletana o di un artista della
scuola napoletana. Le origini dell'arte della cartapesta sono un
po' controverse. In Spagna, l'esistenza di antiche statue di
cartapesta in alcune chiese, soprattutto in Andalusia, viene fatta
risalire dal popolo del luogo all'influenza araba che avrebbe
importato in quei posti una propria tecnica. Nel periodo della
dominazione, è possibile collegare l'influenza della cultura
spagnola al rapporto particolare che lega Venezia, durante il
'600, ai mercanti meridionali salentini, ma fu nel secolo
successivo che la cartapesta importata da Venezia soppiantò la
produzione lignea degli artigiani di Lecce (B. Tragni 1986).
Ma anche nella Napoli del Seicento erano attivi diversi maestri
cartapistari e da Napoli giunsero a Lecce gli oggetti "in carta"
che circolavano nelle dimore (e non ancora nelle chiese). Napoli
potrebbe dunque essere il referente artistico di Lecce e non altre
città. Nella seconda metà del '700 le nuove forme di ritualità
religiosa legate al mondo confraternale ed alle processioni della
Settimana Santa si servirono della statuaria in cartapesta per i
Misteri ( C. Ragusa 1997).
La figura del Cristo della Passione non predomina solo
nell’Italia Meridionale, ma anche nell'America Latina, dove
sono presenti popolazioni oppresse: come esempio si guardino,
20
oltre i crocifissi e i calvari delle zone rurali, i mezzi busti
dell’Ecce Homo, collocati nelle chiese e nelle edicole votive
delle città meridionali, o le statue della Vergine Addolorata.
Nell'Ecce Homo il povero, l'oppresso, l'abbandonato si
rispecchiava, dolorante sia nel corpo che nelle ferite dello
spirito, si identificava ed abbracciava in vita la propria croce.
Similmente in Maria Addolorata ai piedi del Figlio crocifisso, si
rispecchiava la donna meridionale: ciò si verificava non soltanto
nel vestito nero che indossavano, ma nel volto scavato dalla
sofferenza e dalla fatica, che però era nello stesso tempo molto
dignitoso. (D. Pizzuti, P. Giannoni 1979).
A Sessa il primo Mistero, rappresenta l’annunciazione
dell'angelo nell'orto del Getsemani: l'angelo è sollevato in aria,
mentre Gesù è in ginocchio, in preghiera, sorpreso in questo
modo dal messaggio divino; nel secondo Mistero Gesù è
spogliato ed è legato per le mani alla colonna, dove sarà
fustigato dai Farisei: il suo capo è rivolto verso il basso, il suo
corpo presenta le ferite inferte da coloro che lo faranno
condannare; nel terzo Mistero Cristo è seduto su di uno sgabello,
con una canna fra le mani, è vestito con un mantello color
porpora con la corona di spine: "Ecce Homo ", "Ecco l'Uomo",
schernito di fronte all'umanità; il quarto Mistero rappresenta
Gesù caduto sotto il peso della Croce, sulla strada che lo porterà
al Calvario, con la mano sollevata a chiedere un aiuto che non
otterrà dall'uomo.
I quattro Misteri sono circondati da angeli di cartapesta, da
lanterne illuminate e da fiori adagiati sulla pedana che li
sostiene. L'altra statua è il "Cristo Morto", preceduto dai
bambini che reggono turiboli d'incenso, che si trova su di una
lettiga coperta da un "pallio"nero (una specie di drappo) retto da
sei lunghe aste; seguono "le Tre Marie" (Maria madre di Gesù,
Maria di Cleofa, Maria di Magdala), vestite a lutto e in lacrime
per la morte di Cristo.
(R. A. Bova 2004)
Allo stesso modo il sangue partecipa all’ordine del simbolico legando la
sofferenza del reale con l’immaginario della sofferenza rivissuta (vedi Cap. 3).
“Un elemento essenziale presente nel periodo della morte e
resurrezione di Cristo è il sangue. A questo proposito, possiamo
citare L. M. Lombardi Satriani, il quale rileva che in tutti i rituali
pasquali è presente, in forma più o meno esplicita, il sangue,
elemento fondamentale della vicenda vita-morte-vita; queste
processioni, che si svolgono in numerosi centri meridionali
(Caltanisetta, Trapani, alcuni paesi dell'area palermitana, etc.), si
servono di gruppi statuari rappresentanti momenti della Passione
21
e Morte di Cristo dove l'elemento che ricorre maggiormente è il
sangue (sia che dell 'Hecce Homo, o dell'ascesa al calvario o
della ferita al costato, etc.), non si tratta soltanto di
manifestazioni commemorative: attraverso l'evento teatralizzato,
è come se in quel momento il sacrificio divino si compisse, è
come se il sangue di Cristo fosse versato in quel momento per la
rigenerazione della comunità intera. Per rafforzare la sua tesi,
Lombardi Satriani cita Mircea Eliade, il quale affermerebbe che
Morte e Resurrezione di Cristo avvengono realmente agli occhi
del cristiano, non sono soltanto commemorate durante la
Settimana Santa, poiché il tempo teofanico si ripete e diventa
presente e quindi un vero cristiano si sente contemporaneo di tali
eventi, da lui definiti trans – isterici. (L. M. Lombardi Satriani
2000).”
(R. A. Bova 2004)
6- Questa settimana sessana dunque sembra articolarsi tra alcuni parametri
fondamentali che sono: la trascendenza, la partecipazione, la propiziazione, la
rassicurazione, la purificazione, il festivo, ma anche la "trasgressione" che
rimane come resto, residuo, produzione ineliminabile (faremo più avanti un
riferimento in tal senso alla psicoanalisi lacaniana) (P. Stanziale 2014), Questa
trasgressione emerge dal contesto della letteratura su questa Settimana Santa ma
è anche avvertibile in talune violazioni dell'ordine simbolico vigente nella
Settimana stessa, nelle "appropriazioni" che tendono a personalizzare
eccessivamente l'elemento simbolico e di cui abbiamo parlato nell'articolo
precedente, nell'emergere di elementi di derivazione vetero-carnevalesca legati
al cibo, al vino, a forme parodiche dei rituali (emerse in epoca recente) e al
festivo.
7- La Settimana Santa sessana costituisce anche un canale comunicativo con il
sacro ed un modo di "agire" sullo stesso. Si tratta di riconoscere la trascendenza
(J. Cazeneuve 1996), di comunicare con essa attraverso la preghiera, attraverso
il comportamento rituale e le azioni di cui abbiamo già parlato.
La preghiera, in particolare, legata al desiderio umano, ha molto a che vedere
con il sogno e con l'immaginario, sia esso quello individuale, sia esso quello
collettivo comprendente le strutture definite dall'ordine simbolico.
Allo stesso modo il "sacrificio" o il "sacrificio-dono" è comunicazione, offerta
rituale e propiziazione: elementi che questa Settimana sessana si
presenta talora in modo unificato, talora in modo diversificato tra uomini e
donne come abbiano già visto.
22
Le donne alluttate
Piccole e minute vivono in mistica sofferenza sotto il pesante
peso della base che sostiene il Cristo, la Vergine Addolorata e la
enorme croce che sovrasta la scena, sopportando sulla propria
testa il peso della Morte di Cristo. Pregano, piangono, soffrono
scalze non si curano della cera che, colando dalle enormi
candele cade bollente sui piedi perché esse vivono per tutta la
processione in magico dialogo con la Vergine. Sono vestite
proprio come la Madonna: un grembiule nero orlato al collo ed
ai polsi con un righello bianco, che ogni sabato dell'anno
indosseranno per perpetuare il ricordo del rito.
In questa processione la dominanza spettacolare è certamente
data dal lutto corale, da questa espressione di cordoglio
popolare che si carica di valore religioso-sociale.
Il peso delle candele delle pie donne, il dolore dell'andare scalze,
la mortificazione del rito, la fatica dei congregati che sopportano
sulle spalle il peso delle immagini, sono pegni che l’individuo e
la comunità pagano quale riscatto del voto ripetuto da
generazioni.
La partecipazione di tante donne potrebbe leggersi come la
solidarietà espressa dalle donne della città al dolore di una di
loro, alla quale sono vicine da sempre.
Il ruolo delle pie donne può essere fatto risalire, come qualcuno
ha voluto, alla tradizione delle prefiche. Le stiche
partecipazionali ed emotive vanno al di là delle prezzolate
lamentazioni femminili di un tempo, assumendo invece gli
aspetti di partecipazione familiare al cordoglio per la morte di
Cristo, che le donne mediano insieme ai confratelli in un
rapporto di mutua solidarietà tra popolo e gruppi confessionali.
A questi la gente si rivolge senza vergogna, perché in questa
magica atmosfera il dolore è di tutti. Nessuno quindi rimane
meravigliato quando qualcuno, con la voce rotta dal pianto, si
rivolge alla Madonna implorando grazie ed impegnando
interceda alle segrete istanze di ogni madre, di ogni moglie, di
ciascuna donna. Esse vengono da ogni parte d'Italia e d'Europa
dove lavorano, a perpetuare questa promessa: ogni anno si
conquistano sempre lo stesso posto al fianco o addirittura "sotto
il Calvario", cercando così un magico contatto fisico con la
statua.
(P. Perrotta 1986)
“[…] Nella processione del Venerdì Santo le pie donne
formano un tutt’uno con il "mistero delle Tre Marie"
(raffigurante Maria Addolorata, Maria di Magdala e Maria di
Cleofa) dell'Arciconfraternita del SS. Crocifisso, che non a
23
caso, a differenza degli altri misteri dolorosi (portati a spalla)
viene portato "a braccio" proprio per far sì che le statue
possano restare ad altezza di donna. Le pie donne appaiono,
anche visivamente, come una continuazione ideale delle Tre
Marie, formando con Esse un unico corpo ondeggiante che
avvolge il Cristo morto e lo culla nel suo triste percorso che
rievoca l’ascesa al Calvario ma anche la sepoltura.
Nella processione del Sabato Santo, invece, appare più
stretto il legale simbiotico che si instaura tra le pie donne e la
Vergine Addolorata che si staglia sulle pie donne, distrutta,
abbracciando il Suo Figlio esanime. Un dolore straziante,
unico, incomprensibile, emana dalla splendida statua
dell'Arciconfraternita del SS. Rifugio, un dolore unico ed
incomprensibile come quello di tante donne che hanno
vissuto la stessa terribile esperienza ma al tempo stesso un
dolore che fa da contraltare all’immenso amore che solo una
madre può provare per il proprio figlio e che alla fine è
l'elemento che traspare con maggior forza dalla sacra icona.
In questo caso le donne alluttate sembrano quasi trasportare
con la loro forza spirituale il simulacro della Pietà
evidenziando tutta la loro vicinanza (che trascende quasi
nell'immedesimazione) con la Vergine Addolorata.
Ma esaminiamo ora agli aspetti più pratici, e non meno
importanti, di questa antica tradizione. Quando inizia il voto,
come si svolge e come si conclude ? Domande semplici, per
molti scontate, ma che in realtà celano una molteplicità di
risposte e tradizioni che vengono tramandate di generazione
in generazione.
Il voto inizia, di norma, in età adolescenziale ma in realtà
anche le bimbe più piccole hanno già un ruolo non
secondario nelle processioni e cioè quello di vestirsi da
angioletto. Non è raro vedere donne alluttate che portano in
processione le loro figlie o nipotine vestite da angioletti che
agitano i loro turiboli pieni di odoroso incenso. Quando la
bimba crescerà e non potrà più vestirsi da angioletto, il passo
sarà breve ….. inizierà ad accompagnare la madre o la nonna
24
portando la candela, inizialmente piccola e proporzionata
alla sua forza, poi sempre più grande e pesante. Sarà
riconoscibile perché non indosserà ancora il velo ed il
camice. Giunta in età adolescenziale (anche se non esiste
un’età fissa) avverrà lo “svezzamento” e la ragazza, deciderà
autonomamente se intraprendere il voto o meno. Se deciderà
di farlo, la sua "mentore" le commissionerà il camice nero
con il caratteristico bordino bianco orlato che sarà benedetto
dal parroco durante la benedizione della casa che avviene
nella Settimana Santa. Quel camice la accompagnerà finché
vivrà ed anche dopo ….
La donna alluttata sceglierà liberamente se offrire il proprio
voto al Cristo Morto, nella processione del Venerdì, o alla
Vergine Addolorata, nella processione del Sabato, o anche in
entrambi i giorni, ed ancora se accompagnerà la processione
scalza o meno. Sono scelte personali, strettamente dipendenti
dalla grazia chiesta o ottenuta, motivazioni intime e riservate
che come tali vanno rispettate. Operata la scelta, nel giorno
della processione, l’alluttata indosserà il camice nero fin da
appena sveglia. Non si pettinerà, non si truccherà, non
mangerà. Si recherà presso la Chiesa da cui partirà la
processione con buon anticipo, si avvicinerà alle statue,
ancora ferme sugli scranni, inizierà a pregare ed accenderà il
cero non appena inizierà il canto del Miserere (per il
Venerdì) oppure quando l’Addolorata inizierà a muoversi
nella Chiesa del SS. Rifugio (per il Sabato). Alcune saranno
scalze, altre porteranno candele pesantissime, ognuna
secondo le proprie intenzioni personali.
La posizione di ogni alluttata è già prestabilita, eredità di una
madre o di una nonna e lì resterà per tutta la processione,
partecipando alle preghiere intonate dai cappellani ed alla
cunnulella quando suonerà la banda. Perché è bene chiarire
che le donne alluttate fanno la cunnulella, seguendo il
movimento delle statue per essere con esse una sola cosa, un
unico corpus, senza altri intenti e soprattutto senza alcun
fanatismo (come alcuni, invece, ritengono).
25
Finita la processione, l'alluttata donerà ciò che resta della
candela alla confraternita che ha organizzato la processione,
ricevendone in cambio un pezzetto con un ramoscello di ruta
oppure una camelia che conserverà con cura per tutto l’anno
(la candela, ad esempio, sarà accesa durante i temporali, per
dominare l’ancestrale paura che attanaglia l'animo di fronte
al manifestarsi della potenza della natura). Ma tutto questo,
solo dopo essersi accostata ancora una volta alla Statua, per
l’ultimo bacio di commiato.
Alcune donne, specie quelle più anziane, indosseranno il
camice fino alla mezzanotte del Sabato, proseguendo il
digiuno. Al suono delle campane che annuncia la S. Pasqua,
si inginocchieranno, e dopo essersi fatte il segno della croce
svestiranno il camice e si recheranno alla veglia pasquale.
Altre alluttare, invece, rinnoveranno il loro voto indossando
il camice nero in tutti i venerdì o i sabato (a seconda della
processione prescelta) dell’anno. Quando un'alluttata non
può partecipare alla processione, perché malata o anziana,
indosserà comunque il camice nel giorno della processione
(se sarà in grado di farlo), e così, anche se solo
indirettamente, continuerà il suo voto e manterrà inalterato il
legame con il Cristo Morto o l’Addolorata.
Se il voto ha una scadenza temporale (cosa abbastanza rara)
oppure se il camice dovrà essere sostituito per l’inevitabile
usura del tempo, dovrà essere bruciato, preferibilmente sui
falò della processione del Venerdì Santo. Medesima sorte
toccherà al camice in morte dell’alluttata, allorquando
dapprima sarà posto sul feretro (secondo le intenzioni della
famiglia) e poi bruciato sul falò della successiva processione
dei Misteri.
Una piccola curiosità, in conclusione, la voglio dedicare alla
tradizione, a metà strada tra mito e leggenda, della cosiddetta
“protezione della Madonna”. Nelle donne più anziane è
ferma la convinzione che durante il voto la Madonna le
protegga da qualsiasi accidente o problema fisico.[..]”
(P. Ago 2009)
26
8- Una rilevanza certa ha, nella Settimana Santa sessana l'elemento catartico,
purificatorio, cui abbiamo già accennato. Tale elemento è legato a molti
elementi comportamentali e simbolici ma costituisce, a nostro parere, ciò che
caratterizza principalmente l'ambito partecipativo. Si tratta di una dimensione
psicologica fondamentalmente legata all'ambito emozionale a cui non è estraneo
l'apparato spettacolare dei riti.
La full-immersion in un universo simbolico che si richiama ai temi fondamentali
della vita, della morte, della speranza; una spettacolarità fatta di suoni, di
colori, paesaggi che vengono a trans-figurarsi come scenografia dei rituali: tutto
opera un coinvolgimento profondo delle persone dal punto di vita emotivo.
In effetti si tratta di passare attraverso una periodica esperienza psicologica che
tende a tradursi in una specie di "leggerezza", una forma di rassicurazione aperta
alla speranza: un passaggio rituale, insomma, metafora che richiama le
classiche opposizioni tra vecchio e nuovo, vita e morte, disperazione e speranza,
le tenebre e la luce e quindi, inverno e primavera, vecchio ciclo agrario - nuovo
ciclo agrario, vecchie radici e nuovi alberi, il lavoro e la festa e, dunque, la
morte e la resurrezione.
9- La Settimana Santa sessana rappresenta un appuntamento con la morte e col
dolore. Ovvero questi elementi naturali che sono la morte e il
dolore divengono oggetto di elaborazione culturale (E. De Martino
2001) esorcizzazione simbolica di uno "scandalo" (la morte stessa) comune a
molte civiltà.
La Settimana Santa sessana- come altri eventi del genere- segna il
trionfo della elaborazione della morte umana da parte del Cristianesimo. La
passione di Cristo e la sua Resurrezione hanno offerto una visione del mondo
che, nel suo proprio ambito, ha prodotto il superamento definitivo della
"insostenibilità" della morte dell'uomo, aprendo al passaggio verso una "vita
vera" collocata nell'ambito del divino. (M. Massenzio 2000).
Un appuntamento, dunque, con la morte, una morte che è di ordine rituale-
liturgico, ma che è anche la "propria" morte. Qui il tema della morte si intreccia
indissolubilmente con il tempo: la partecipazione è "l'esser-ci-ancora" ovvero
rassicurazione rispetto al tempo della morte; la partecipazione è anche
elaborazione generale, ma anche individuale della morte nel
senso heideggeriano del "precorrimento" della propria morte (quando
mancherò a questo appuntamento....) ovvero accettazione della propria
27
singolarità finita. In ogni caso è la resurrezione che viene a rappresentare lo
sbocco, il risultato dell'elaborazione. Si tratta di una "apertura" che è per il
cristiano speranza, riscatto della condizione umana operata dal sacrificio di
Cristo secondo lo schema sacrificio-riscatto proprio dell'ordine simbolico
religioso.
10- Una visione del tempo, quindi, che comprende la "possibilità di essere" e/o
di "esser-ci", ancora una volta in una prospettiva heideggeriana che sembra
abbastanza esplicativa in questo ordine di problemi in cui viene ineluttabilmente
ad emergere, come abbiamo già visto, la domanda sul "senso dell'essere" nella
misura in cui si delinea una potente offerta simbolica come risposta e nella
misura in cui una modalità di "autenticazione" dell'esistenza è,
heideggerianamente, proprio l'assunzione dell'angoscia, ovvero dell'essere-per-
la-morte, una assunzione però notevolmente diversa dagli esiti
dell’esistenzialismo umanistico.
Il tempo, dunque, la dimensione di cui la Settimana Santa come evento
periodico si fa metafora ancora una volta della morte, della vita, del ritorno, un
andamento ciclico che ben la filosofia ci spiega come "differenza,e ripetizione"
(G. Deleuze 1997) e come possibile lettura evolutiva del nietzschiano "ritorno
dell'uguale".
Ma ci sembra pure valido il tema della "sosta", il prodursi di una periodica
parentesi temporale che viene a sostenere, scandendosi tra tempo di lavoro e
tempo festivo, prima un ripiegarsi sacrificale dell'essere su se stesso (la morte,
il sacrificio), e poi l'aprirsi alla possibilità-speranza attraverso la resurrezione-
festa.
Questa sosta o parentesi temporale, come altri eventi del genere, è una vera e
propria "pausa di ordine ontologico" costitutiva dell'ordine simbolico religioso,
da intendersi pure come proposta di smascheramento dell'esistenza nel suo
tragico dualismo di vita e di morte, di dolore e di gioia.
11- In una diversa prospettiva M. Eliade (1973) parla del tempo sacro. Un
tempo che in Grecia ed in India viene visto come ciclico ma che nel Giudaismo
è una dimensione che ha un inizio ed un termine. Si tratta del tempo cristiano
per cui Dio si è incarnato partecipando storicamente alla condizione umana.
Quello che nel vangelo è l’Illud tempus è il tempo storico della vicenda terrena
di Gesù in Giudea, a cui il cristiano, nella liturgia, è invitato a partecipare. Si
tratta di rivivere ogni anno la passione di Cristo che ha come fine la salvezza
dell’uomo in senso transtorico.
28
12- Per quanto riguarda il tempo festivo (F. Jesi 1977) esso celebra l’incontro
col sacro. La festa rappresenta la pace e la gioia contro il caos e contro la routine
giornaliera. La festa implica un salto, l’accesso ad un diverso piano di esistenza
nel quale l’uomo incontra ciò che dà un senso superiore alla sua esistenza.
29
3- Il sistema rituale-spettacolare
1- Prima di schematizzare il sistema rituale- spettacolare proprio della Settimana
Santa a Sessa Aurunca riteniamo utile accennare all’importanza della tradizione
religiosa sessana la quale, vuoi per la posizione geografica (tappa e incrocio tra
importanti arterie di comunicazione fin da epoca precristiana), vuoi per una
vocazione cristiana propria per cui “ebbe gran favore da alcuni santi ed altri
eroi che si degnarono di favorirla non solo della loro presenza ma anche
d’abitarvi per qualche spazio di tempo” (L. Sacco in P. Perrotta 1978), vuoi
anche per la vicinanza all’abbazia di Montecassino, Sessa è stata definita una
cittadella della fede (M. Volante in P. Perrotta 1986). A tale proposito si nota
che nel 1600 a Sessa vi erano 11 conventi con 400 religiosi, con altre cento
addetti, tra parroci e chierici se ne contavano 77 e Perrotta (1978) conclude che
su 6000 anime, intorno al 1691 circa 1/10 degli abitanti ruotava intorno al
30
mondo clericale. Ciò non poteva non avere peso nella vita della città e,
malgrado la rivoluzione francese e tutti gli avvenimenti successivi, ancora oggi
si riscontra una religiosità che certamente è parte dell’ethos locale.
2- Insistiamo sul fatto che gli eventi della Settimana Santa si presentano come
un vero e proprio sistema articolato nel tempo e nello spazio urbano con propri
codici simbolici in relazione tra loro. Lo schema che è possibile delineare è il
seguente.
Un sistema articolato tra interno ed esterno, che intreccia percorsi urbani
articolati tra le chiese e comprendente quattro scansioni fondamentali ed a cui va
aggiunta la Pasqua e festa patronale.
-Processioni penitenziali (dal lunedì al mercoledì con il terremoto biblico il
mercoledì pomeriggio).
-Il giovedì con la visita ai sepolcri.
-La processione del venerdì santo.
-La processione del sabato santo.
Periodo Evento Simbologia Nota
Lunedì santo
mattina
Processione
penitenziale
Arciconfraternita
S. Biagio.
Mozzetta
granata
Dalla chiesa
dell’Annunziata
alla Cattedrale.
-Esposizione SS.
Sacramento
-Canto Benedictus
(cantico di
Zaccaria) -Te Deum
(Per tutte le processioni
penitenziali dal lunedì
santo
al mercoledì santo)
Lunedì santo
pomeriggio
Processione
penitenziale
Confraternita
della Vergine del
Rifugio
Mozzettta
verde
Dalla chiesa del Rifugio
alla Cattedrale
Martedì santo
mattina
Processione
penitenziale
Confraternita del
SS. Crocifisso
Mozzetta
nera
Dalla chiesa di S.
Giovanni a Villa alla
Cattedrale
Martedì santo
pomeriggio
Processione
penitenziale
Mozzetta
celeste
Dalla Chiesa di S.
Francesco (Immacolata)
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Arciconfraternita
della SS.
Concezione
alla Cattedrale
Mercoledì santo
mattino
Processione
penitenziale
Congregazione di
S. Carlo
Borromeo
Mozzetta
rosso
vermiglio
Dalla chiesa di S. Carlo
alla Cattedrale
Mercoledì santo
pomeriggio
Processione
penitenziale
Arciconfraternita
SS. Rosario
Capitolo
diocesano e clero
Messa Crismale
Messa
degli Olii
Cattedrale
Mercoledì santo
sera
Funzione
paraliturgica
Candeliere
triangolare
con
spegnimento
progressivo
Rievocazione
terremoto
biblico
Organo
Canti
(interamente in latino)
Giovedì santo
sera
Visita ai Sepolcri nelle
chiese
Altare della
reposizione
Visitare il
sepolcro
Silenzio delle
campane
Usanza dello struscio
per le vie cittadine
Venerdì santo
sera
Processione dei Misteri
Miserere
Danza mistica
Falò
Tromba
Marce funebri
Donne alluttate
Angioletti
1-Cristo nel
Getsemani
2-Cristo legato
alla colonna
3-Ecce Homo
4-Gesù sotto la
croce
5-Croce con vari
simboli di
sofferenza
6-Il corpo di
Cristo disteso
7-Le tre Marie
Nasce dalla
chiesa di S.
Giovanni a Villa
Arciconfraternita
del SS.
Crocefisso
Percorso
articolato nel
centro storico
cittadino
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Sabato
santo
mattina
Due processioni che nascono
dalla Chiesa del Rifugio e
dalla chiesa di S. Carlo e che si
congiungono formando una
sola processione
Mistero di S.
Carlo
L’Addolorata
Donne
alluttate
Confraternite del
SS. Rifugio e S.
Carlo
Percorso articolato
nel centro storico
cittadino
Distribuzione dei
candelotti e della ruta
avente poteri terapeutici
Pasqua di
Resurrezione
Scioglimento
delle campane
3- Come si vede si tratta di un sistema complesso caratterizzato da una ricca
simbologia e da percorsi che coinvolgono tutto lo spazio del centro storico con
una continuità temporale cadenzata culminante con la processione del venerdì
santo che costituisce il rito-spettacolo più coinvolgente, unitamente all’Ufficio
delle Tenebre, del mercoledì santo ed all’incontro tra misteri il sabato santo. Lo
spazio urbano del centro storico diviene lo spazio rappresentativo del pathos
religioso.
Percorsi, colori, musica, fuoco, danza mistica, gruppi statuari: tutto ciò
costituisce una sequenza di eventi centrati sul tema della morte, del dolore
umano e della speranza ovvero un fermo-immagine dell’uomo che annulla il
tempo sequenziale per immergersi in una dimensione ontologica.
4- È importante rilevare, quindi, che fondamento dell’anno liturgico è il ciclo
pasquale che si articola in tre fasi:
-preparazione ascetica ovvero i quaranta giorni di Quaresima (dal mercoledì
delle ceneri alla domenica delle Palme);
-la Settimana Santa con la Pasqua;
-le feste dell’Ascensione e della Pentecoste.
Questa scansione viene a coincidere con la tripartizione dei riti di passaggio
secondo Van Gennep (1981) e Turner (1986) ovvero: la separazione (pre-
liminare), la transizione (liminare) l’incorporazione (post-liminare).
Nella separazione di delimita in modo deciso il tempo sacro da quello profano.
Ovvero un cambiamento della qualità del tempo, cioè l’essere fuori dal tempo.
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Ciò comporta una serie di comportamenti simbolici che tende ad invertire ciò
che è secolare e rovescia, inverte lo status sociale.
L’imposizione delle ceneri, quindi, segna la fine del tempo profano carnevalesco
e l’inizio di un periodo di conversione caratterizzato da pratiche penitenziali tra
cui il digiuno.
La seconda fase è quella della liminarità, dell’umiltà, della sottomissione e del
silenzio, commemorando colui che si è umiliato fino alla morte.
La terza fase comprende fenomeni ed azioni simboliche che rappresentano il
raggiungimento da parte dei soggetti, di una nuova posizione stabile e ben
definita nel complesso della società.
Queste ripartizioni corrispondono- in linea di massima- al seguente schema
temporale sessano.
17 gennaio- S. Antonio Abate >……….>Mercoledì delle Ceneri – TEMPO
CARNEVALESCO
Mercoledì delle Ceneri>………………..>Domenica delle Palme – TEMPO DI
QUARESIMA
Domenica delle Palme >………………..>Domenica di Pasqua-SETTIMANA
SANTA
-Cene conviviali: Mercoledì delle Ceneri, ogni venerdì di marzo, mercoledì
santo.
-Esposizione dei Misteri: i venerdì di marzo.
-Canto del miserere: mercoledì delle Ceneri, ogni venerdì di Quaresima.
5- Ma nel periodo pasquale avvengono anche altri riti di passaggio:
quello stagionale- dall’inverno alla primavera, come abbiamo visto;
quello catecumenale attraverso il battesimo;
quello del peccatore che con l’espiazione viene ammesso alla comunione dei
santi;
34
quello delle comunità cristiane che aspirano a passare ad uno stadio superiore di
perfezione;
quello della società civile che nella riconciliazione vuole superare dissapori e
conflitti.
Dinamiche quindi che iniziano al cambiamento, riti di passaggio che producono
mutamento. Molti riti di passaggio sono irreversibili mentre vi sono riti
calendariali (C. Bernardi 1991) come la Pasqua in cui c’è la ripetizione da
parte di tutti. La Pasqua, quindi, è un insieme di riti di passaggio per cui vi è un
passaggio divino dalla morte alla resurrezione che fonda i passaggi
dell’umanità.
6- Andando indietro nel tempo è facile notare come la processione principale
della settimana santa fosse collocata al giovedì santo, sia per l’usanza di
anticipare, in pratica, di un giorno gli eventi, sia per la centralità del culto
eucaristico a partire dal ‘500. Vi sono quindi in Italia processioni che rispettano
la scansione temporale della liturgia.
7- Toschi (1999) ha individuato alcuni parametri storici nelle processioni della
Settimana Santa:
-forme drammatiche in cui i personaggi della passione sono rappresentati da
fedeli in costume;
-forme drammatiche in cui vi è la presenza di gruppi statuari e ciò secondo le
prescrizioni del Concilio di Trento:
-sermoni semidrammatici riguardanti la chiesa ortodossa in cui è presente
l’influsso bizantino.
Questa tipologia corrisponde allo schema delle quattro funzioni:
aspetto devozionale, penitenziale, catechetico, rappresentativo.
A Sessa Aurunca è abbastanza marcato l’aspetto devozionale, allo stesso modo
l’aspetto rappresentativo si realizza nella pregnanza dei riti-spettacolo. Per
quanto riguarda l’aspetto penitenziale esso è relativo:
agli uomini per la veste confraternitale e per la mobilità dei misteri in cui il
sacrificio è anche onore e pathos;
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alle donne, per il loro essere alluttate (veste nere, ceri pesanti, spesso scalze)
nelle processioni del venerdì e sabato.
Per quanto riguarda l’aspetto catechetico esso riguarda le omelie, i sermoni ecc..
8- Sintesi vivente del messaggio cristiano le processioni della settimana santa si
strutturano secondo una articolazione logica tra annuncio e conversione.
L’annuncio deve produrre segni di conversione, con atti di pentimento,
preghiere, penitenze, devozione. È il contesto socioculturale (per tale punto si
rimanda al ns. P. Stanziale 1999- in cui la società locale viene studiata in una
prospettiva socio-antropologica) a determinare le modalità sia dell’annuncio
che del comportamento rituale: ciò significa che debbono essere individuate le
ragioni storiche dei diversi riti.
Da tener presente a questo punto le resistenze clericali verso alcune forme
rappresentative le quali, malgrado varie restrizioni emergono continuamente nei
riti-spettacolo. In ogni caso l’ambito di riferimento imprescindibile rimane
quello devozionale, penitenziale e catechetico.
9- Poco si riflette sul concetto di processione penitenziale che può essere intesa
come un’usanza formale-spettacolare lasciando in secondo piano, o
rimuovendo, la penitenza che in varie località si presentava e si presenta spesso
anche in forme esasperate e cruente. In effetti spesso si scambiano le
processioni penitenziali con le processioni devozionali che hanno una
caratterizzazione d’ossequio e di preghiera.
10- Per quanto riguarda il rito battesimale della lavanda dei piedi si rileva che
questo rituale ripete il mistero della purificazione che, non l’acqua, ma lo spirito
del Messia crocifisso e resuscitato opera sui fedeli. Dall’umiliazione del Messia
si trae esempio per la vita cristiana praticando l’umiltà e l’amore.
Ricordiamo, inoltre, che Sant’Agostino imporrà all’occidente latino una lettura
del rito che fa leva sull’exemplum humilitatis e sulla valenza penitenziale del
rito che in epoca moderna è avulso dal suo contesto battesimale. La lavanda dei
piedi rimanda non al battesimo ma alla penitenza e si riferisce anche alla
tradizione monastica agostiniana del lavare i piedi ad ospiti e pellegrini.
Quindi, da una parte il vescovo imita fedelmente il gesto di Cristo, dall’altra,
contro l’esattezza storica- dato che solo Cristo nel vangelo lava i piedi agli
apostoli- si mette in atto letteralmente l’ordine di Cristo di amarsi tra fratelli con
il reciproco servizio tra i discepoli.
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11- Elemento distintivo del giovedì santo sono i cosiddetti Sepolcri. Nella messa
del giovedì santo si consacrano varie ostie riservate per il giorno seguente. La
riserva eucaristica a partire dall’XI° sec. non fu più collocata nella sacrestia ma
viene deposta in chiesa sopra un altare o in luogo appositamente preparato
Il termine sepolcro è un termine popolare inappropriato poiché con la riserva
eucaristica non si può alludere alla morte di Cristo, dato che questa non è ancora
liturgicamente commemorabile.
In ogni caso il i sepolcri del giovedì santo sono preparati con cura e “si usava,
in genere, prepararli con piccole bare contenenti frumento germogliato o
chiuso al buio o cespi d’erba sbiancata con calce. Questi giardini di Adone
molto diffusi in altre regioni alludono alla morte/rinascita, ricordata anche in
una bella preghiera popolare: Sarò morto e resuscitato come il grano sopra la
terra “(N. Ciceri 1968).
In relazione ai sepolcri, in ogni caso, le indicazioni della Chiesa sono chiare.
Sono state ripetute nel 1988 dalla Congregazione per il Culto divino nel
documento per la Preparazione e celebrazione delle feste pasquali.
“Si stabilisce che «il tabernacolo o custodia non deve avere la
forma di un sepolcro. Si eviti il termine stesso di «sepolcro»:
infatti la cappella della deposizione viene allestita non per
rappresentare «la sepoltura del Signore», ma per custodire il
pane eucaristico per la comunione, che verrà distribuito il
venerdì nella passione del Signore».
La custodia è un invito a quell’adorazione singolare che segue la
celebrazione della messa nella Cena del Signore: nel ricordo di
quando Gesù ha consegnato l’Eucaristia alla sua Chiesa, l’altare
della deposizione deve essere preparato e addobbato in modo
conveniente per l’adorazione pubblica fino alla mezzanotte.
Dopo la mezzanotte l’adorazione dovrà svolgersi senza
solennità, perché la Chiesa ricorda il giorno della passione del
Signore, di cui farà memoria liturgica nel pomeriggio.”
12- Dal contesto delle interviste rilasciate da confratelli a vari studenti
universitari- per le loro tesi sulla Settimana Santa ed ai media- sono state
rilevate convergenze di risposte su un arco di temi come schematizzato qui di
seguito.
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La Settimana Santa
-Essenzialità e partecipazione caratterizzano la Settimana Santa a Sessa
Aurunca.
-La Settimana Santa richiama alla propria terra d’origine i sessani che vivono
altrove.
-Caratterizzazione principale della Settimana Santa è la pietas popolare.
-Caratteristiche della Settimana Santa sessana sono il ruolo centrale della fede e
l’impermeabilità ai cambiamenti.
-Nella Settimana Santa in generale, si esprime la fede.
-Si constata il declino della fede, in generale.
-La differenza tra i riti della Settimana Santa sessana ed i riti presenti in altre
località del Sud d’Italia sono principalmente la pietas popolare ed il contesto
scenografico.
-Allo spettacolo generalizzato si oppone, nella Settimana Santa, lo spettacolo
del pathos religioso.
-Esistono varie forme di fabulazioni e di persone fissate relativamente alla
Settimana Santa.
Le processioni
-Le processioni sono ancora fortemente penitenziali.
-Si riscontra una pietas popolare maggiore nella processione del sabato.
-Nelle processioni, per quanto riguarda la popolazione esistono attori principali
e comparse.
-Il vescovo Costantini fece bene a sospendere le processioni in nome di una
effettiva religiosità. In pratica però voleva ridurre le processioni ad una Via
Crucis.
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I confratelli
-In gran parte dei casi essere confratello è motivato dalla visibilità che si ottiene.
-Non vi è all’interno delle Confraternite una divisione classista e politica come
per il passato.
-La discendenza esprime un rispecchiamento.
-I Misteri talvolta sono assegnati ai portatori confratelli per anzianità.
-Portare i misteri era talvolta appannaggio di qualche famiglia.
-Furono introdotti turni fissi per tutta la processione relativamente ai confratelli
portatori dei Misteri. Ma qualche confratello fa portare al figlio il mistero in una
alternanza anziani/giovani.
I turisti
-Una eccessiva presenza di turisti può essere un problema.
-Esistono forme di esibizione rispetto all’interesse dei turisti per i riti della
Settimana Santa. Va sottolineato che l’eccesso di osservazione da parte di
questi turisti non deve giungere a snaturare il senso dei riti.
Il Vescovo Nogaro
-Ruolo fondamentale del Vescovo Nogaro, che più di tutti ha contribuito alla
riorganizzazione delle Confraternite.
Il Miserere
-Il Miserere non può essere esportato modificandolo.
I giovani
-I motivi che spingono i giovani a partecipare alle processioni sono riconducibili
alla famiglia, alle amicizie, al fascino dei riti.
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-Partecipare ai riti della Settimana Santa è un modo per i giovani di uscire fuori
da una omologazione generale, è la ricerca di una identità ma anche una forma
di emulazione.
Il cappuccio
-Oggi si pone la questione di portare il cappuccio abbassato durante le
processioni ma nel passato, come si evince dalle fotografie, il cappuccio si
portava alzato senza problemi.
-È giusto che il cappuccio si porti abbassato.
-Il cappuccio alzato è fattore di una visione collettiva.
Le Confraternite
-Nelle Confraternite la fede popolare si dovrebbe realizzare nei comportamenti
sociali.
- Dall’esterno le Confraternite sono viste come sette segrete e con invidia.
Cene conviviali e tradizione
-Le cene conviviali sono un modo di vivere la cristianità, forme celebrative, si
fanno racconti di vita, si raccontano aneddoti, si fa il santo Lazzaro e si fanno
botte di Miserere.
-Mangiare un pezzo di baccalà e bere vino durante le processioni significava,
prima del Vescovo Costantini, fare la tradizione.
-È tradizione, dopo le processioni penitenziali, per i confratelli, fermarsi in
sagrestia per le i taralli e il vino.
Varie
-Esistono talvolta rapporti conflittuali tra le Confraternite e la Curia.
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-I carracciuni avevano una funzione di illuminazione dei riti.
-Va ricordata la circostanza secondo cui, in passato, i malati venivano fatti
passare (anche con le lettighe) sopra le ceneri dei carracciuni, dopo il transito
della processione.
-Vuole la tradizione che la statua dell’Addolorata sia opera di un carcerato da
cui il la Madonna dei carcerati della Chiesa del SS. Rifugio.
Emerge dalle interviste- come dal contesto della letteratura relativa- un contrasto
tra un cattolicesimo ufficiale, con un richiamo ad una ortodossia effettiva, ed un
cattolicesimo popolare rappresentato dal popolo che segue la processione e gli
stessi confratelli. Oltre alle direttive emanate dal Vescovo Costantini, anche il
Vescovo Nogaro, per la regolamentazione interna delle confraternite, ha curato
la redazione di uno statuto pubblicato nel 1988 e molto apprezzato da tutti.
13- Per quanto riguarda il concetto di pietas popolare, che viene continuamente
richiamato nelle interviste, riteniamo utile citare due documenti che inquadrano
in modo abbastanza esauriente questo concetto.
PIETA' POPOLARE E LITURGIA
Nel volgere dei secoli, il popolo di Dio ha attraversato stagioni
differenti che hanno variamente influito sul modo di esprimere il
culto cristiano. Non basta infatti coltivare un qualsiasi rapporto
con Dio, giacché la Chiesa esprime nella preghiera la propria
fede nel Dio di Gesù Cristo, impegnandosi a tradurre in vita
vissuta le mozioni dello Spirito Santo.
Se la liturgia pervade ininterrottamente ogni comunità cristiana
al di là del tempo e dello spazio, dalle prime comunità
apostoliche fino alle odierne, bisogna nondimeno riconoscere
l’influsso avuto, su modi e forme di preghiera, dalla sensibilità
ecclesiale, culturale e sociale di un dato momento storico che ha
generato forme diverse di pietà popolare.
Insieme alla celebrazione liturgica, “fonte e culmine della vita
della Chiesa” come ricorda il Concilio Vaticano II, la tradizione
testimonia pertanto una grande ricchezza di modalità di orazione
privata e comunitaria: è l’ambito generalmente chiamato “pietà
popolare” o “religiosità popolare” o “devozionale”, avente una
significativa incidenza nella vita spirituale dei fedeli.
La Chiesa ha sempre avuto coscienza del necessario rapporto
che deve avere con la Liturgia un tale ambito, nel rispetto della
41
fisionomia propria, essendo meno normato pur senza cadere
nello spontaneismo. Si sente spesso dire, che alla codificazione
della Liturgia si contrappone la creatività che contrassegna la
pietà popolare, dove – si dice – la gente semplice ritrova più
facilmente se stessa. Come in ogni generalizzazione c’è qualcosa
di vero in questo, ma anche di molto parziale: ecco perché si è
sentita la necessità di redigere un Documento che richiamasse i
principi e desse indicazioni ed orientamenti al fine di maturare
quell’armonizzazione tra Liturgia e pietà popolare auspicato dai
Padri del Concilio Vaticano II.
L’importanza della pietà popolare
La pietà popolare è un tesoro della Chiesa: per capirlo, basti
immaginare la povertà che ne risulterebbe per la storia della
spiritualità cristiana d’Occidente l’assenza del Rosario o della
Via Crucis. Sono due esempi soltanto, ma sufficientemente
evidenti della posta in gioco. Qualcuno potrebbe obiettare circa
la preziosità della pietà popolare, citando al contrario pratiche di
superstizione falsamente rivestite di religiosità. Dunque, proprio
per aiutare a riflettere e a discernere con sapienza in tale materia
si è preparato un Direttorio. Dopo il Concilio Vaticano II,
restava ancora, per certi versi, da affrontare il discorso toccato
dal documento Sacrosanctum Concilium sul rapporto tra
Liturgia e pietà popolare. Nell’affermare il primato della
Liturgia, “Culmine a cui tende l’azione della Chiesa e, insieme,
fonte da cui promana tutta la sua virtù” (Sacrosanctum
Concilium, n. 10), il Concilio ricordava anche che “La vita
spirituale non si esaurisce nella partecipazione alla sola
Liturgia” (ibidem, n. 12). Ad alimentare la vita spirituale dei
fedeli vi sono, infatti, anche i pii esercizi del popolo cristiano,
specialmente quelli raccomandati dalla Sede Apostolica e
praticati nelle Chiese particolari su mandato o con
l’approvazione del Vescovo. Nel richiamare l’importanza che
tali espressioni cultuali siano conformi alle leggi e alle norme
della Chiesa, i Padri conciliari ne hanno tracciato l’ambito della
comprensione teologica e pastorale: “I pii esercizi siano ordinati
in modo da essere in armonia con la sacra Liturgia, da essa
traggano in qualche modo ispirazione, e ad essa, data la sua
natura di gran lunga superiore, conducano il popolo cristiano”
(ibidem, n. 13).
L’argomento della pietà popolare fu riproposto tra i compiti del
42
rinnovamento postconciliare dallo stesso Giovanni Paolo II nella
Lettera apostolica Vicesimus quintus annus: la “pietà popolare
non può essere né ignorata, né trattata con indifferenza o
disprezzo, perché è ricca di valori, e già di per sé esprime
l’atteggiamento religioso di fronte a Dio. Ma essa ha bisogno di
essere di continuo evangelizzata, affinché la fede, che esprime,
divenga un atto sempre più maturo ed autentico. Tanto i pii
esercizi del popolo cristiano, quanto altre forme di devozione,
sono accolti e raccomandati purché non sostituiscano e non si
mescolino alle celebrazioni liturgiche. Un’autentica pastorale
liturgica saprà appoggiarsi sulle ricchezze della pietà popolare,
purificarle e orientarle verso la Liturgia come offerta dei popoli”
(n. 18). Ecco allora l’importanza di conoscere il valore della
pietà popolare, di tutelarne la genuina sostanza, di purificarla
dove fosse necessario, di illuminarla con la luce della Sacra
Scrittura, di orientarla alla Sacra Liturgia, senza contrapporla ad
essa.
Favorire l’interiorità
La pietà popolare è espressione della fede. È risaputo che la fede
viene misurata dalla sua pratica nelle circostanze concrete della
vita. In quest’ottica, le molteplici forme di genuina pietà
popolare sono anzitutto la testimonianza della fede dei semplici
di cuore, espressa in modo immediato, sottolineando ora l’uno,
ora l’altro degli aspetti della fede, senza pretendere di
abbracciare contemporaneamente tutto il contenuto della fede
cristiana.
Gli stessi elementi “sensibili”, “corporali” e “visibili”, che
caratterizzano la pietà popolare, sono il segno dell’interiore
desiderio dei fedeli di dire la propria adesione a Cristo, l’amore
alla Vergine Maria, l’invocazione dei Santi: toccare
un’immagine del Crocifisso o della Beata Vergine Addolorata
ha il senso di volere in qualche modo avere a che fare con quel
dolore; fare un pellegrinaggio a piedi, affrontando fatica e spese,
è un segno per manifestare l’interiore desiderio di avvicinarsi al
Mistero reso visibile dal Santuario.
Le genuine manifestazioni di pietà popolare affondano sempre,
in un modo o nell’altro, le loro radici nei Misteri della fede
cristiana, sebbene talvolta abbiano elementi di origine pre-
cristiana.
43
Se il passare del tempo e il cambiamento di mentalità e della
società hanno potuto offuscarne talvolta la riconoscibilità
cristiana o enfatizzarne l’esteriorità a scapito dell’interiorità, è
compito dei Pastori della Chiesa aiutare a riscoprire, in tali
manifestazioni, il legame vitale con il credere e il vivere in
Cristo.
Da un lato, bisogna che nelle formule di preghiera e nei gesti di
devozione posti da cristiani sia riconoscibile la fede cristiana,
qualificata dal necessario riferimento alla Rivelazione biblica, e
dall’altro, non si può esigere che ogni singola pratica di fede
esprima la pienezza della Rivelazione. Del resto, la pietà
popolare non si esaurisce in se stessa, ma ha la funzione di
preparare il cuore e di disporre lo spirito a ricevere la Grazia
divina elargitaci attraverso la celebrazione liturgica del Mistero
di Cristo.
Se la pietà popolare non deve sostituirsi alla Liturgia, la Liturgia
non elimina le altre legittime forme di esprimere la fede in
Cristo Salvatore. Lo ha ricordato recentemente il Santo Padre
nel Messaggio rivolto nel settembre del 2001 alla Plenaria della
Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei
Sacramenti:
“La religiosità popolare, che si esprime in forme diversificate e
diffuse, quando è genuina, ha come sorgente la fede e deve
essere, pertanto, apprezzata e favorita. Essa, nelle sue
manifestazioni più autentiche, non si contrappone alla centralità
della Sacra Liturgia, ma, favorendo la fede del popolo che la
considera
una sua connaturale espressione religiosa, predispone alla
celebrazione dei Sacri Misteri. Il corretto rapporto tra queste due
espressioni di fede deve tener presenti alcuni punti fermi e, tra
questi, innanzitutto che la Liturgia è il centro della vita della
Chiesa e nessun’altra espressione religiosa può sostituirla od
essere considerata allo stesso livello. È importante ribadire,
inoltre, che la religiosità popolare ha il suo naturale
coronamento nella celebrazione liturgica, verso la quale, pur non
confluendovi abitualmente, deve idealmente orientarsi, e ciò
deve essere illustrato con un’appropriata catechesi” .
44
Un testo per tutti
La pietà popolare ha il suo risvolto nella vita, sia privata che
pubblica. Ha ancora senso portare un abito votivo, baciare
un’immagine sacra, recarsi ad un Santuario in pellegrinaggio,
appendere un Crocifisso alle pareti di casa o negli ambienti di
lavoro, fare suffragi per l’anima di un defunto? E quale è il loro
autentico significato, in modo che sia la santità della vita a
manifestarsi attraverso tali segni e gesti?
Nell’esporre questa complessa materia, qual è appunto la pietà
popolare, si sono tenuti presenti il passato e il presente, la
teologia e la pastorale, il vissuto dei singoli fedeli e delle
comunità cristiane, nel rispetto delle loro tradizioni e del
contesto culturale diversificato a seconda dei Paesi. Sarà
compito dei Vescovi, con l’aiuto dei loro diretti collaboratori, in
modo speciale i Rettori dei Santuari, stabilire norme e dare
orientamenti concreti tenendo conto delle situazioni locali. Sono
destinatari del Direttorio, oltre ai Vescovi, i sacerdoti e quanti
hanno responsabilità nella cura animarum, così come le
famiglie, i movimenti, le associazioni, le confraternite
Card. Jorge A. Medina Estévez (www.donbosco-torino.it)
LA PIETÀ POPOLARE
L’espressione “pietà popolare” designa il complesso di
manifestazioni, prevalentemente di carattere comunitario, che
nell’ambito della fede cristiana si esprime non secondo i moduli
e le leggi proprie della liturgia, ma in forme peculiari sorte dal
genio di un popolo e dalla sua cultura e rispondenti a precisi
orientamenti spirituali di gruppi di fedeli. Essa fa riferimento
esplicitamente alla rivelazione cristiana, cioè alla fede in Dio
Uno e Trino, in Cristo vero Dio e vero uomo, Salvatore di tutto
il genere umano e alla Chiesa, che è “in Cristo come sacramento
o segno e strumento dell’intima comunione con Dio e dell’unità
di tutto il genere umano”.
I fondamenti dottrinali sono la Sacra Scrittura e il “Credo” della
Chiesa.
45
L’aggettivo popolare richiede una puntualizzazione.
Immediatamente esso suscita una reazione negativa: sembra
indicare espressioni devozionali scadenti, implicitamente
opposte a manifestazioni cultuali scelte, elitarie, velatamente
aristocratiche. Ma nel nostro caso “popolare” non va inteso
pregiudizialmente in senso negativo perché esprime relazione
con il popolo, cioè con il “popolo di Dio”, al quale appartengono
fedeli colti e illetterati, poveri e ricchi, chierici e laici. Esso
indica, invece, positivamente, che la manifestazione cultuale trae
origine dal popolo e, compiuta per il popolo, è portatrice di
valori propri del popolo di Dio.
Conseguentemente possiamo così definire la “pietà popolare”:
“Il complesso di manifestazioni cultuali che sono in sintonia con
la cultura di un popolo e ne esprimono l’identità” .
Ma quali sono le caratteristiche, i valori e gli orientamenti della
pietà popolare?Come connotati e valori della pietà popolare
sono indicati normalmente la spontaneità, in quanto essa nasce
non tanto dal ragionamento quanto dal sentimento; l’apertura
alla trascendenza come superamento della povertà “esistenziale”
in cui spesso il popolo vive; il linguaggio totale con il quale la
pietà popolare trasmette la fede non con il ragionamento ma con
il silenzio e la parola, il canto e la danza, il gesto individuale e
l’azione corale, l’immagine e il colore; la concretezza con cui la
pietà popolare dialoga con Dio e affronta i problemi della vita
quotidiana segnata spesso dal dolore e dalla fatica (povertà,
malattia, mancanza di istruzione e di lavoro …), i grandi cicli
dell’esistenza (nascita, crescita e maturazione, matrimonio,
anzianità, morte, aldilà) e i contenuti che le danno colore e
calore (l’amicizia, l’amore, la solidarietà); la saggezza che tende
a congiungere in una sintesi vitale divino e umano, spirito e
corpo, persona e comunità, fede e patria, intelligenza e affetto; la
memoria che porta a trasmettere il passato come “racconto” e a
vederlo come un “fattore di identità” per il gruppo e la
collettività; la solidarietà che si incontra più facilmente tra gli
umili, i poveri, i semplici che non hanno ideologie che li
dividono, ma esperienze di vita e sofferenze che li uniscono: per
gli umili e i semplici la condivisione – del pane, del tempo, della
parola – è un fatto normale intuendo che non possono aspirare
alle ricchezze del cielo senza condividere i beni della terra.
46
………………………………………………………………..
Le Confraternite non possono organizzare feste, né possono
costituirsi autonomamente in comitato senza l’autorizzazione del
parroco, al quale compete la presidenza e la richiesta del nulla
osta alla Curia. Le Confraternite inoltre sono tenute ad osservare
le presenti norme e quindi devono anch’esse provvedere al
rendiconto amministrativo nei termini stabiliti di un mese;
- sono rigorosamente vietati spettacoli leggeri o di altro tipo, che
non diano garanzia nei contenuti, nel linguaggio,
nell’abbigliamento, nell’organizzazione per rispetto del decoro e
della dignità che una festa religiosa richiede. Si preferiscano
invece spettacoli folk, musica seria, di gruppi teatrali (meritevoli
di riscoperta e di riproposta sono le “drammatizzazioni
tradizionali della vita del santo”), di giochi popolari che
coinvolgono la gente del luogo e ne promuovono una migliore
integrazione sociale: l’identità di un paese non si misura da una
serata fantastica, ma dalla partecipazione attiva della gente ai
festeggiamenti.
- La processione è una espressione pubblica di fede. Perciò non
è consentito lasciarla in balia dello spontaneismo, bensì occorre
curarla e guidarla in maniera tale che sia realmente una corale
testimonianza dei genuini sentimenti religiosi della
comunità.Pertanto:
• Le processioni si possono tenere solo se c’è un concorso di
popolo.
• Il corteo, guidato dal sacerdote o da un diacono, sia
organizzato in modo da favorire il raccoglimento e la preghiera.
• Non è lecito attaccare denari alla statua che peraltro non può
essere messa all’asta e trasportata dai migliori offerenti. Non è
consentito ugualmente raccogliere offerte e fermare la
processione mentre si sparano fuochi artificiali.
• I comitati non possono in nessun modo interferire nella
processione.
47
• Secondo itinerari concordati con il Consiglio Pastorale
Parrocchiale le processioni seguano le vie principali e siano di
breve durata, contenute possibilmente nello spazio di due ore.
• Parte delle offerte raccolte in occasione della festa sia riservata
a gesti di carità ed a rendere più belle le nostre chiese.
Conferenza Episcopale Campana - Caserta 2013
14- Per quanto riguarda la tradizione, come viene intesa nel contesto delle
interviste, essa è relativa ad usanze che rappresentano una modalità di vivere
l’evento religioso modalità che talvolta si giocano tra emozione e trasgressione
a cui non estraneo l’elemento che potremmo definire di festività latente.
È quindi l’antropologia psicoanalitica ad aiutarci su questo piano d’indagine
quando troviamo la teoria dei registri soggettivi e la teoria della trasgressione
intrinseca di derivazione hegeliana.
Proviamo quindi a cercare di dare una comprensione più avvertita di quanto
avviene nella Settimana Santa a Sessa Aurunca servendoci dei recenti strumenti
di analisi offerti dalle scienze umane.
48
4- Breve excursus psicoanalitico
1- Premesso che la psicoanalisi contemporanea ha posto in evidenza come il
bisogno di trascendenza sia effettivamente un bisogno da collocare al posto
giusto nella piramide propria della teoria dei bisogni di A. Maslow (2010),
vediamo che psicoanalisti come V. Frankl (2000) e lo stesso J. Lacan (2006)
individuano nell’uomo un senso di religiosità inconscia che è possibile definire
trascendenza immanente.
Ciò di là dalla note posizioni freudiane relative all’origine della religione ed alle
psicopatologie di derivazione religiosa.
2- Intanto relativamente al vissuto religioso esso ha un’importanza fondamentale
relativamente alla percezione ed alle rappresentazioni (psichiche) della
settimana santa e ciò risulta dai racconti di vita e dalle interviste.
Settimana santa sessa aurunca 7.0
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Settimana santa sessa aurunca 7.0

  • 1. PASQUALE STANZIALE MATERIALI D’INDAGINE SULLA SETTIMANA SANTA A SESSA AURUNCA NELL’ALTO CASERTANO OFFICINE KULTURALI AURUNKE EBook 2015 www.slideshare.net/geseleh
  • 2. a mio figlio Angelo Duhul
  • 3.
  • 4. PASQUALE STANZIALE MATERIALI D’INDAGINE SULLA SETTIMANA SANTA A SESSA AURUNCA NELL’ALTO CASERTANO OFFICINE KULTURALI AURUNKE EBOOK 2015 www.slideshare.net/geseleh
  • 5. MATERIALI D’INDAGINE SULLA SETTIMANA SANTA A SESSA AURUNCA NELL’ALTO CASERTANO © by Pasquale Stanziale 2015 Foto: lamiasettimanasanta4d1.blogspotcom Disegni di Luigi Cappelli Foto dell’autore: Giulia Trasacco photogr.
  • 6. MATERIALI D’INDAGINE SULLA SETTIMANA SANTA A SESSA AURUNCA NELL’ALTO CASERTANO 1- I riti-spettacolo, la temporalità, il sincretismo, l’identità (1998 2014)…1 2- Il sacro, il mistero, l’ontologia (1998 2014)…………………………….17 3- Il sistema rituale-spettacolare…………………………………………..29 4- Breve excursus psicoanalitico…………………………………………..48 5- Il cibo dei vivi…………………………………………………………….58 6- Nota conclusiva…………………………………………………………..63 7- Appendice antologica 1- Una pagina di folklore sessano. Giovedì santo di Nando Tommasino (1943) ……………......................................65 2- Turismo e mass media di Francesco Ianniello (2005)…………………………………….70 3- Catarsi ed estasi visiva di Francesco Ianniello (2005)…………………………………….73 4- Atti del primo convegno diocesano delle confraternite Comunicazione di Antonio Varone (1988)………………………76 5- Atti del primo convegno diocesano delle confraternite La formazione cristiana del confratello di A. Aniello L. Fiordaliso P. Pauroso (1988)…………………78
  • 7. 6-Atti del primo convegno diocesano delle confraternite Le Confraternite e le feste popolari di Ferruccio Parrini (1988)………………………………………….80 7-Introduzione ai riti quaresimali ed alle processioni penitenziali di Pier Luigi Gallo (1988)…………………………………………..82 8- S. Lazzaro di Rosa Anna Bova (2004)………………………………………….85 8- Bibliografia essenziale……………………………………………………87 9- Concetti-chiave…………………………………………………………...92
  • 8. 1 1- I riti-spettacolo, la temporalità, il sincretismo, l’identità (1998 2014) 1- Vi è ormai una certa mole di scritti- su quelli che Paolo Toschi, nel suo fondamentale libro sulle origini del teatro italiano (1999), chiama riti-spettacolo- riguardo la Settimana Santa di Sessa Aurunca. Nel leggere questi scritti si nota spesso un accavallarsi ed un confondersi dei livelli disciplinari. Vengono in modo eterogeneo usati concetti antropologici, sociologici e storici realizzando ambiti divulgativi che, pur se suggestivi, ad una lettura più avvertita risultano non corretti e disarticolati dal punto di vista epistemologico e delle pertinenze disciplinari. L'utilizzo di una trasversalità analitica è giustificato solo nell'ambito di una antropologia generale sussuntiva. Il problema è che andrebbero distinti
  • 9. 2 sia i livelli di analisi nonché gli ambiti descrittivi da quelli ipoteticamente interpretativi. 2- I classici modelli sociologici di comunità e società (Gemeinschaft e Gesellschaft) di Tönnies sono stati variamente usati da chi scrive e da vari studiosi per analisi relative alla nostra zona. In effetti questi modelli, pur se considerati criticamente da alcuni sociologi, ben si prestano a definire ambiti differenziali e mutamenti sociali della società locale e presentano anche rimandi di tipo antropologico interessanti. Per la società locale abbiamo scritto, oltre venti anni fa, che ciò che la caratterizzava era un modello culturale basato sulla coesistenza tra elementi comunitari ed elementi societari, coesistenza, spesso contraddittoria e frenante in una prospettiva di emancipazione sociale. Avendo verificato, in nostri lavori (P. Stanziale 1999 2014), questa analisi, ci sembra importante sottolineare, in prima istanza, che nella Settimana Santa a Sessa sia individuabile un significativo ritorno ad un ambito di comunità. In questa settimana il tessuto sociale locale si ritrova stretto intorno ad una tradizione in cui si riconosce in modo profondamente emozionale. È una ritrovata dimensione comunitaria che riguarda il vissuto individuale e che in questa dimensione tende a riprendere i rapporti sociali comunitari di là da ogni ruolo sociale normale quotidiano. Si tratta, in effetti, del recupero di una certa identità sociale la quale viene a delinearsi come modalità di esercizio della fede e pertiene alla memoria storica della comunità. Valori abbastanza radicati quindi, dai quali non si può assolutamente prescindere in qualunque tipo di analisi sociale, valori che si presentano in modo sempre più condiviso quanto maggiore è quella che in sociologia si chiama insicurezza ontologica. Ciò che va invece sottolineato ed affermato con forza è che tutto ciò costituisce solo un aspetto della identità sociale. Il voler assolutizzare questo aspetto può essere fuorviante e pericolosamente regressivo. L'identità sociale, infatti, è un concetto più ampio e dinamico. Questa identità si costruisce anzitutto accettando le sfide che emergono dai bisogni sociali e dal mutamento delle condizioni economico-produttive ed attraverso una elaborazione culturale consapevole. 3- Non completo rilievo è stato dato alla collocazione temporale della Settimana Santa in relazione al sincretismo religioso: ciò che in ambito antropologico è certamente significativo e si presta a valutazioni ed interpretazioni non secondarie.
  • 10. 3 La Settimana Santa in generale si colloca, con i suoi riti-spettacolo, in un ambito temporale originariamente pertinente alla fine ed all'inizio di un ciclo agrario, periodo ricco di rituali e di feste propri delle culture rurali pre- cristiane quali quelle della nostra zona. Tutti questi rituali e queste feste hanno come costanti coppie oppositive quali: inverno e primavera, morte e nascita, vecchio e nuovo, le tenebre e la luce, fame e sazietà, povertà e ricchezza, il basso ventre e la testa ecc.. La festa per eccellenza era il Carnevale con il suo universo simbolico comprendente anche il gioco, la maschera ecc. Tutto ciò è ben rilevabile dagli studi da J. Frazer in poi, fino a M. Bachtin ed altri, studi teorici e di verifica sul campo. Il sincretismo religioso riguarda l'inglobamento di elementi di questa originaria cultura nell'ambito delle feste, dei riti-spettacolo e delle varie celebrazioni. Questo perché gli elementi culturali pre-cristiani, come il Carnevale, rispondevano a precisi ed ineliminabili bisogni dello spirito umano, come del resto mostra Claude Lèvi-Strauss che giunge a parlare, in tal senso, di una psico-logica strutturale. La Chiesa stessa riconosce il sincretismo e, nell'epoca contemporanea, invita a distinguere ciò che è documento antropologico da ciò che è autentico e consapevole esercizio di fede. Nelle epoche precedenti la Chiesa non potendo eliminare l'elemento magico-rituale lo ha inglobato, in qualche modo, in effetti neutralizzandolo. Da qui la necessità di individuare nei riti spettacolo quegli elementi che rimandano a stratificazioni culturali, a persistenze ed a modalità di appropriazione simboliche nell'ambito dei riti-spettacolo stessi. Nello studio della Settimana Santa un'analisi esauriente e dettagliata delle stratificazioni culturali non è stata ancora prodotta. Per nostra parte possiamo accennare ad alcuni aspetti che riteniamo importanti. Non è quindi casuale che ci sia una continuità temporale tra la Settimana Santa e la festa del Santo protettore (Madonna del Popolo) a Sessa Aurunca, come non è casuale la continuità tra gli eventi della sera del 18 marzo e la festa di S. Giuseppe a Cascano. In questa continuità sono presenti sia forme di sincretismo che l'accorpamento degli eventi festivi e celebrativi nel calendario festivo religioso, a suo tempo posto in atto dalla Chiesa. Ovvero la scansione delle coppie penitenza/festa o festività-precristiana/festa cristiana. Anzitutto l'elemento festivo, il cibo e il fuoco ci sembrano elementi pertinenti al sincretismo religioso e ciò collega, in qualche modo, la festa di S. Giuseppe di Cascano, la tradizione dei falò, in questo periodo presente in altre borgate, e la processione del Venerdì Santo.
  • 11. 4 L'elemento festivo riguarda aspetti.... collaterali dei riti-spettacolo della Settimana Santa, aspetti comunitari o anche trasgressivi secondo le modalità dell'appropriazione del simbolo: un meccanismo di cui parleremo in seguito. Per quanto riguarda la sera del 18 marzo a Cascano ribadiamo la nostra convinzione che gli elementi in gioco sono relativi all'originario universo festivo rurale di marca carnevalesca. Non bisogna dimenticare che ogni segno, nelle sue significazioni storiche va considerato anzitutto per il suo originario carattere strutturale (necessità) e poi per le significazioni successive in cui viene a calarsi. Così ciò che prima era accesso al cibo carnevalesco può venire ad assumere poi altre significazioni in un contesto culturale diverso. In ogni caso il fuoco, elemento presente nell'arco degli eventi di cui si è parlato in precedenza (Cascano, altre borgate, Venerdì Santo sessano) sicuramente è derivante dalle feste del fuoco di cui parla, originariamente, Frazer (1973) (l'albero in fiamme che diviene falò carnevalesco- poi il fuoco ritualmente purificatore), eventi festivi dell'originaria cultura rurale, presenti in gran parte del territorio europeo. Qui la simbologia è abbastanza traducibile nell'ambito delle coppie oppositive di cui si è parlato in precedenza. “I “carracciuni" sono dei falò accesi nei vari quartieri della cittadina al passaggio della processione del venerdì santo: si fa a gara tra chi accende il falò più grande, che risulta essere quello di Piazza Mercato, dove lo spazio è di più ampio respiro; durante il periodo Quaresimale i confratelli che dopo le cene conviviali si riuniscono per cantare alcune "botte" di Miserere per le strade del centro storico, accendono dei piccoli falò bruciando vecchi manifesti. La parola "caracciuni" deriva dallo spagnolo Caraca che sta ad indicare una nave o barca da trasporto, oppure mercé, balle o anche il materiale d’imballaggio (botti - casse, ecc.); in senso traslato i fuochi alimentati da una suppellettile inservibile, come casse, scatole ecc. (N. Borrelli 1984). Frazer (1973) scrive che i falò erano accesi in epoca precristiana dai contadini europei durante la primavera e l’autunno, ma molti anche alla fine dell’autunno e d’inverno, soprattutto la vigilia d’Ognissanti, il giorno di Natale e la vigilia dell’epifania. I falò ardevano anche nel periodo pasquale. Oltre alle feste di Quaresima, i fuochi erano accesi il Sabato Santo, alla vigilia di
  • 12. 5 Pasqua. Nei paesi cattolici, quando si spengono tutti i lumi nelle chiese, si accendono dei fuochi, ora con 1' acciarino e la silice, ora con una grande lente. Alla fiamma di questo fuoco si accende il grande cero pasquale che poi è utilizzato per riaccendere tutti i lumi spenti della chiesa. Le ceneri del falò pasquale con le ceneri delle palme consacrate sono mescolate con le sementi al tempo delle seminagioni. II carattere pagano delle feste del fuoco è evidente. Nella Germania centrale (J. G. Frazer 1973) e del nord fino ad oriente, i falò pasquali fiammeggiano sulle colline. Molto prima della Pasqua i giovani si danno da fare a raccogliere i combustibili, aiutati dai contadini; i villaggi vicini gareggiano nell'accensione dei falò più grandi. Secondo i contadini fin dove giunge la loro luce i campi saranno fertili e le case su cui splendono saranno immuni da malattie. Quando le fiamme calano in alcuni luoghi barili di catrame sono spinti giù dalle colline, dai falò vengono accese delle torce agitate per i campi. Frazer (1973) afferma che il fuoco, in ogni sua forma, (falò, torce, cenere sparsa dal rogo semispento) è considerato promotore della crescita dei raccolti, del benessere dell'uomo e delle bestie, o positivamente stimolandoli, o negativamente allontanando i pericoli che li minacciano. Ci sono due spiegazioni diverse alle feste del fuoco dal cui contesto sono enucleabili due teorie: la prima che si può chiamare teoria solare e si basa sul principio della magia imitativa la quale sostiene che, per assicurare la provvista necessaria di luce solare agli uomini, alle piante e agli animali, si accendevano dei fuochi ad imitazione del sole; la seconda è chiamata teoria della purificazione, la quale sostiene il principio che le feste del fuoco non hanno contatti con il sole, ma in ogni caso hanno un'intenzione purificatrice con il fine di bruciare e distruggere le influenze negative concepite come streghe, demoni o mostri oppure infezioni e corruzione diffusi nell'aria. Dunque due teorie diverse, una positiva e l'altra negativa, una basata sulla forza di rigenerazione del sole per la crescita e lo sviluppo delle piante, l'altra è la forza di distruzione degli elementi negativi ed anche minaccia verso gli uomini, le piante e gli animali. I fuochi non sono presenti soltanto a Sessa Aurunca, ma anche in occasione di altre festività, nel periodo di fine inverno - inizio
  • 13. 6 primavera, nella zona circostante quella interessata, a dimostrare una certa continuità.” (R. A. Bove 2004) . Un esempio da rilevare potrebbe essere la festa di S. Giuseppe a Cascano che si svolge il 18 Marzo ed a cui abbiamo già accennato. Qualche giorno prima della ricorrenza vengono preparati dei ceppi di legno di grosse dimensioni e fasci di sterpi, posti in alcuni crocevia del paese, in luoghi determinati dalla tradizione. Nei giorni precedenti la festività sono distribuite le "coccetelle", delle pagnottelle fatte preparare dai fornai locali in segno di devozione oppure per una grazia ricevuta dal Santo e, mentre si svolge la festa, è distribuito vino e cibo nelle abitazioni aperte anche agli estranei. Riprendendo le tesi del Frazer, il fuoco è qui un elemento propiziatorio, come fine ed inizio di un ciclo (agrario). Esso può distruggere e purificare e può essere anche luce e sole (P. Stanziale 1988). Va anche valutato il valore scenografico dei falò nell'ambito urbano unitamente alla musica ed all'andamento processionale nel Venerdì Santo a Sessa Aurunca nel ricreare, come sempre, quell'atmosfera mistica altamente coinvolgente che spiega l'attaccamento dei sessani a questo rito-spettacolo. In tale ambito particolarmente suggestivo risulta essere il passaggio della processione nell'area di Piazza Mercato. In concomitanza con questo passaggio vengono accesi falò sempre più consistenti con fiamme altissime. Per concludere questa parte vorrei dire che mi rendo conto che è difficile per una certa tradizione di pensiero accettare il sincretismo per la convivenza di elementi pre-cristiani con quelli cristiani, ma ciò non può essere eluso in una prospettiva di lettura analitica dei riti-spettacolo i quali restano pur sempre una notevolissima testimonianza culturale implicando un vissuto importante nell'esercizio della fede. 4- Va rilevato quindi che un aspetto non completamente studiato rispetto alla Settimana Santa sessana è quello psicologico. Qualcosa, su tale aspetto, affiora dal contesto degli studi disponibili ma non in modo organico e articolato. In effetti le modalità di rappresentazione del sacro e le motivazioni relative alle manifestazioni della fede nella società locale sono ben un argomento da tesi di laurea o di uno studio che andrebbe realizzato attraverso una seria ricerca sul campo utilizzando gli opportuni strumenti delle scienze umane.
  • 14. 7 5- Diciamo subito che nell'ambito dei riti-spettacolo della Settimana Santa a Sessa un momento certamente degno di rilievo è quello relativo all'incontro tra i Misteri di S. Carlo e quelli dell'Addolorata nella processione del Sabato mattina. Alle 8,30, all'imbocco di via Roma, nella parte bassa di Corso Lucilio vi è la confluenza dei gruppi processionali relativi a due gruppi statuari (Misteri). Questa confluenza procede in modo lento per il tipico andamento ondeggiante (cunnulella, il termine non è casuale) e si sviluppa sulle note di un pezzo musicale di fine '800 del maestro Vella, “Una lacrima sulla tomba di mia madre”. I due gruppi statuari sembrano affrontarsi in una specie di danza mistica. Il momento è particolarmente coinvolgente dal punto di vista spettacolare ed emotivo. Per alcuni attimi il tempo sembra fermarsi per lasciare al rito- spettacolo tutta la pienezza della sua carica emozionale ed ha certo ragione il Toschi (1999) a parlare, in tali casi, di catarsi. È questa una circostanza in cui le modalità di vivere e di manifestare la fede si presentano con una intensità paragonabile probabilmente solo con la celebrazione dell' Ufficio delle tenebre, un rito-spettacolo evocativo che viene celebrato nella Chiesa di S. Giovanni a Villa il Mercoledì. “È da specificare, a tale riguardo, che fino al 1968 le processioni che partivano l'una dalla Chiesa di S. Carlo, con il gruppo statuario della Deposizione e l'altro dalla Chiesa di S. Matteo, con il gruppo in legno e cartapesta dell'Addolorata, non potevano incontrarsi, pena gravi sciagure per la città e dovevano costituire due cortei distinti; ma la vera ragione era di natura politica: negli anni anteriori al Fascismo vi era la contrapposizione tra il partito radicale rappresentato dalla famiglia Mazzarella a Sessa ed il partito liberale rappresentato dai Ciocchi di Cascano, i primi che seguivano il gruppo della Deposizione e i secondi dell'Addolorata. Oggi non è più così, i due cortei costituiscono un'unica processione che parte dalle rispettive Chiese per incontrarsi lungo Corso Lucilio, all'altezza della villa comunale, proseguendo insieme, con un percorso simile a quella del Venerdì.” (R. A. Bova 2004) 6-Ed a proposito dell'Ufficio delle tenebre va rilevata una certa analogia tra questo rito-spettacolo e un altro rito-spettacolo citato variamente dagli studiosi di questi argomenti. Si tratta di un sermone semidrammatico che si tiene il
  • 15. 8 Giovedì Santo a Lioni in provincia di Avellino. In questo sermone- che è certamente meno complesso ritualmente e simbolicamente di quello di Sessa- l'oratore, ad un certo punto, parla della terra che si oscurò e tremò, così la luce si spegne e si sente un forte rumore, come nell'Ufficio delle tenebre. “Il mattutino delle tenebre segna l’inizio del triduo pasquale la sera del mercoledì santo che risale al XIII-XIV secolo quando venne spostato l’ufficio notturno dalle prime ore della notte del giovedì sera, hora vigesima prima vel circa, del giorno precedente. L’ufficio del triduo si discosta notevolmente dalla forma usuale, riproducendo il tipo dell’Ufficio romano primitivo. Il nome di Mattutino delle tenebre è dovuto al fatto che termina a lumi spenti. L’impressione di lutto e di tristezza è suggerito da un doppio livello di liturgia, uno interiore, fornito dai mirabili testi, dai responsori, delle lezioni, dei salmi, uno esteriore scenografico, d’immediata percezione, costituito dalla graduale estinzione delle luci. Un arredo liturgico caratteristico dell’Ufficio notturno di questi tre giorni è la SAETTA (hericia, Herice) sorta di candeliere triangolare, che porta infisse 15 candele de cera comune (cera vergine) le quali vengono estinte successivamente alla fine di ogni salmo (9 dei notturni e 5 delle Lodi), ad eccezione dell’ultima che, al termine del Benedictus, si nasconde accesa dietro l’altare. (M. Righetti 2005). Il significato della cerimonia è, secondo il liturgista medievale Amalario più che un gesto di mestizia, un simbolo della morte di Cristo “Quod lumen acclesiae extinguitur in his noctibus. Videtur nobis aptari ipsi soli justitiae, qui extinctus est et sepultus tribus diebus et tribus noctibus”. L’uso più singolare era dettato dalla rubriche che prescriveva alla fine delle lodi fragor, et stretpitibus aliquantulum. Agli studiosi della liturgia sfugge il senso di questa azione. La funzione di semplice congedo del fragor fu, a livello popolare, in ogni caso arricchita di significati più complessi e per quanto prescritta dalle rubriche la piccola cerimonia creò non pochi eccessi. Molti sinodi si preoccuparono di limitare i rumori proibendo di usare ad esempio malleis seu ferreis seu ligneis (Uno degli strumenti più usati per lo strepito erano le bacchette, talvolta
  • 16. 9 ornate di intagli sulla corteccia e poi usate, come nel Forlivese, per la battitura dei panni, perché proteggevano dai tarli (DEF ecc). Le costituzioni sinodali di Volterra del 1590 proibivano sibile, cornuumque strepitus, et inconvenientes pulsationes”. (C. Bernardi 1991). 7- Situazione che va evidenziata, tra altre, è quella relativa alla presenza maschile che è evidentemente prevalente nei riti- spettacolo della Settimana Santa la presenza femminile è preminente nell'ambito penitenziale come modo di vivere e manifestare la fede. Le donne alluttate con i grossi ceri, scalze, nella processione del Sabato mattina, sono legate, in gran parte, all'esercizio del voto- che non vede differenze di classe- in una ambito in cui la speranza, il vissuto e una specie di rispondenza sacrificale-contrattuale caratterizzano questo tipo di religiosità. 8- Considerazioni varie possono essere fatte sulla veste confraternale. Va rilevata la fondamentale funzione disidentificante/sacrificio- e quindi penitenziale- a vantaggio di un servizio anonimo- originaria di tale veste. Va altresì rilevato il fatto che tale veste, tradizionalmente, non sembra adempiere più a questa sua funzione originaria per assumere, sempre di più, una funzione ostentativa nel non uso del cappuccio o nella sua eliminazione nei riti-spettacolo. Del resto, per quanto riguarda gli analoghi riti-spettacolo spagnoli, ci è sembrato di constatare che tale problema non si pone. 9- Le valutazioni sulla veste confraternale si connettono con un concetto che, a nostro avviso, è importante per tutta una serie di spunti analitici che gli conseguono: e che riguardano ancora le modalità di appropriazione del simbolo. Si tratta di esaminare le rappresentazioni a livello psicologico che si vengono a stabilire tra i fedeli e le simbologia presente nei riti spettacolo della Settimana Santa. Questa è certamente una ipotesi di studio che richiederebbe una articolazione sperimentale ed anche una ricerca storica pertinente all'immaginario religioso. Per quanto ci riguarda vogliamo richiamare l'attenzione su qualche situazione che ci sembra particolarmente interessante, ovvero il rapporto tra il Fratello e il Mistero. Ci sembra che ci si possa richiamare a quanto la letteratura psicosociologico-religiosa riporta su temi analoghi quando si parla di condivisione del pathos.
  • 17. 10 Il Fratello che porta il Mistero è certamente preso, coinvolto in modo, dunque, simpatetico. Il suo rapporto col Mistero, o col Santo che porta sulle spalla, in senso generale, è un rapporto emotivo legato al significato simbolico del Mistero che viene vissuto come marcatura fisica (sacri-ficio) ma anche come privilegio personale e/o di gruppo (confraternitale). Vengono a delinearsi quindi varie componenti psicologiche ma, mi sembra, che centrale sia quella in cui viene ad emergere, in qualche modo, una specie di pietas, uno stato che ben porta a comprendere come il Fratello culli il Mistero nell'andamento processionale o, come questo andamento, nel clima che viene a crearsi possa confermare l'ipotesi di una danza mistica. Certamente è pensabile che la cunnulella, di cui si parlava in precedenza, possa connettersi con queste riflessioni. A tale proposito va rilevato che quasi tutti gli studiosi sono d'accorso sul fatto che caratteristica del corteo processionale antico fossero la musica e la danza. Si parla di legami stretti tra danza e processione e tra danza e forme drammatiche. La danza, come scrive Toschi (1999), era presente nei riti-spettacolo del cristianesimo delle origini e nelle chiese antiche e si svolgeva nella parte sopraelevata dell'altare. Successivamente, con il corteo processionale, che traccia un percorso benedetto, all'esterno della chiesa, la danza permane come parte della celebrazione. Successivamente la danza viene decisamente avversata dalla chiesa e cancellata dai riti-spettacolo. Ma il Toschi (1999) stesso descrive vari riti-spettacolo processionali in cui sono opportunamente integrati spazi di danza a conclusione delle celebrazioni, ciò ad indicarne, in qualche modo la persistenza. Anche in tal caso si può parlare di appropriazione del simbolo secondo modalità che costituiscono un ambito di esercizio della fede storicamente determinato. 10- L'appropriazione del simbolo da parte dei fedeli comporta storicamente vari problemi che riguardano più che un rapporto tra poteri un rapporto tra culture, ovvero tra una cultura, che tende ad adattare ai propri ambiti di vissuto individuale e/o di gruppo gli elementi simbolico-liturgici e una cultura che tende a salvaguardare l'azione liturgica di là dalle secolarizzazioni contingenti. Tale rapporto talvolta viene a configurarsi in modo conflittuale. Possiamo dire, in ogni caso, che istituzionalmente l'azione liturgica si presenta con i caratteri dell'essere pubblica e ufficiale, essa è presieduta da un ministro della Chiesa, cui spetta la funzione di iniziativa relativamente alla partecipazione dei
  • 18. 11 fedeli all'azione liturgica nei riti-spettacolo, ma cui spetta, altresì, la necessaria osservanza della tradizione. È quindi nella tradizione che va considerata l'appropriazione del simbolo: ciò che costituisce un aspetto importante relativamente anche all'ambito del sincretismo. 11- Ora che si stanno opportunamente studiando, in modo comparativo, i riti- spettacolo sessani e quelli spagnoli, sarà certamente possibile arrivare a delineare in modo articolato differenze e influenze culturali. Influenze: ovvero esame delle modalità dei rapporti tra religiosità e cultura dei poteri spagnoli nell'ambito della Chiesa locale; differenziazioni: per ciò che ha ipotizzato Pietro Perrotta, in una non proprio recente discussione, per cui, rispetto al ricco décor barocco dei riti-spettacolo spagnoli, si rileva l'essenzialità di quelli sessani. Questo per motivi anche economici e per la non vicinanza con Roma delle città spagnole luogo dei riti-spettacolo. Io insisterei su questo secondo punto, per ciò che riguarda una maggiore osservanza e marcatura controriformistica della chiesa locale: una ipotesi che andrebbe opportunamente verificata. Ciò anche in relazione al fatto che dall' 800 d. C. fino al Concilio di Trento si è sviluppato il teatro religioso in tutta la penisola, fenomeno culturale cui, pare, non fosse estranea Sessa. Successivamente, con la Controriforma, sono state eliminate le teatralizzazioni nell'ambito dei riti-spettacolo con una maggiore marcatura della simbologia penitenziale “Inoltre la processione del Venerdì Santo di Sessa ricalca moltissimo, in tutti i suoi aspetti coreutici e scenografici, la grande processione di Siviglia in Spagna, dove ritroviamo con un ruolo di prim'ordine una Confraternita aggregata all'Arciconfraternita del SS. Crocifisso di S. Marcello in Roma, denominata Real, ilustre y fervorosa hermandad de la Sagrada
  • 19. 12 Expiracion de N.S. Jesuchristo y Maria Santissima de las Aguas (A. Leòn, 1981); moltissime sono state quindi le influenze della religiosità e delle usanze spagnole nei territori soggetti alla loro dominazione, e lo stesso culto particolare della figura del Cristo morto e della Deposizione è uno degli aspetti più caratteristici della religiosità iberica. (S. Corbin, 1960). Inoltre la data di aggregazione della Confraternita di Sessa a quella di S. Marcello risale al 1609, periodo in cui la dominazione spagnola in Campania era quanto mai presente (A. Varone, 1986); da questi elementi e dalla diffusione di uno stile di canto che potremmo definire a voce piena e lacerata (R. Leydi, 1973) in tutte le regioni del Mediterraneo occidentale, è emersa dunque l'ipotesi di una comune matrice arabo-andalusa che si sia diffusa in seguito nei territori occupati dal Regno di Spagna; esempi di questo genere di canto possono essere il canto flamenco, le saetas (canto proprio della processione sivigliana eseguito in due diverse tonalità) e il jipio, lamento di dolore tipico del canto andaluso …………………………………………………………………… Ricordiamo, a questo punto, che il Venerdì Santo a Siviglia, nell’ambito di quella che viene chiamata la “Madrugà” escono ben sei processioni organizzate da altrettante confraternite: “El Silenzio”, “El Gran Poder”, “La Macarena”, “El Calvario”, “La Esperanza de Triana” e “Los Gitanos”. ………………………………………………………………….. Il passo tenuto dai portatori dei Misteri durante la processione è un esempio di quel che a Sessa viene chiamata la cunnulella, ovvero un’oscillazione in avanti e indietro del corpo, determinata dal lento avanzare di tre passi e del retrocedere di uno, cosicché il gruppo plastico sembra navigare sulla folla, come se fluttuasse sulle onde; questa andatura processionale è una caratteristica rintracciabile, insieme a molte altre, anche nelle processioni penitenziali spagnole ed in particolar modo nelle processioni della settimana santa di Siviglia, dove i pasos (cioè i misteri plastici) vengono fatti oscillare secondo un movimento chiamato mecita (letteralmente dondolio) che ricorda il cullare delle madri con i propri bambini.
  • 20. 13 Numerose sono infatti le analogie tra la processione di Sessa e Aurunca e quelle di Siviglia; in ambedue vi è la presenza di confraternite, misteri plastici, percorsi di marcia precisi, bande e cantori tradizionali, sebbene le processioni sivigliane assumano delle proporzioni gigantesche rispetto a quella suessana, sia come durata (un’intera settimana quasi senza soste) che come affluenza (fino a centomila persone il giorno del venerdì santo). Tali analogie rientrano in un quadro rituale proprio delle processioni penitenziali e delle manifestazioni della religiosità popolare del Meridione europeo, e sono riconducibili, come abbiamo visto in precedenza, ad una comune origine cinque- seicentesca improntate alla fede ed alle idee ed alle forme della ritualità cattolica controriformista”. (P. L. Gallo 1988) 12- Pertinente a queste note, ma solo per ciò che riguarda specificamente il sincretismo- e per ciò che riguarda le modalità di esercizio della fede nell'ambito della storia religiosa locale- c'è un evento riportato da Nicola Borrelli nel suo libro sulle tradizioni aurunche e già pubblicato in una rivista nel 1923. Si tratta di un rito dal Borrelli definito magico-religioso cui si ricorreva in occasione di siccità prolungata, nella frazione Piedimonte di Sessa. Dopo la novena e le preghiere a S. Erasmo, in assenza di pioggia, i capi del paese chiedevano al parroco di far uscire la Croce. Questi, dopo qualche resistenza, acconsentiva che avesse luogo il rito penitenziale. Al suono della campana il popolo si adunava nella piazza del paese e quindi il parroco guidava la processione verso il rivolo, una processione che comprendeva giovani e vecchi coronati di spine, portatori di pesanti sassi, di pesanti croci, di pesanti catene. Alcuni camminavano a piedi nudi, altri si flagellavano. Tutti recitavano il Mea culpa o intonavano l' Evviva la croce. La processione raggiungeva il rivolo e il parroco immergeva la base della Croce nell'acqua tra le preghiere della gente. Borrelli scrive che tale rito risale al XV° secolo ed è simile ad altri riscontrabili in altre civiltà con poche variazioni.
  • 21. 14 Un primo elemento significativo nella descrizione del Borrelli è la marcatura di classe per cui è attraverso la mediazione del potere egemone dei capi del paese che si realizzava il rito. Ovvero è sul rapporto tra detentori dei poteri (capi del paese - parroco) che si giocava l'evento penitenziale, ma in cui l'esercizio della penitenza riguardava il popolo non certo i maggiorenti del villaggio, come li definiva il Borrelli, pur essendo generale l'interesse per cui ci si rivolgeva alla divinità. Borrelli stesso sottolinea l'evidente sincretismo presente in tale rito quando scrive un poco riduttivamente: ...” Il tradizionale rito aurunco, dunque, riposa su un remotissimo diffuso concetto magico mimetico, di poi inseritosi, come tanti altri, nel rituale della Chiesa, o meglio, di antiche chiesuole rurali.” (N. Borrelli1984). Per quanto riguarda il concetto magico-mimetico di cui parla Borrelli, esso può essere formulato strutturalmente come evento giocato su simbolismi articolati in un sistema significativo: (indifferenza)- (cerchio collettivo simpatetico) (sacrificio)- (grazia) (negatività)- (simbolo-Croce-attrattore di bene)(acqua in basso)- (acqua in alto). 13- La nota precedente ci richiama ad una ipotesi di studio che, in senso generale, può essere abbastanza produttiva: la rilettura di testi "classici" attraverso l'ottica delle scienze umane contemporanee. Lo stesso Borrelli si presta bene per tale approccio, allo stesso modo lo scrittore sessano Pasquale De Luca e la rilevante opera di Giuseppe Tommasino. Ovvero di là dalle letture storiche e letterarie l'universo di questi lavori può ben rivelarsi una fonte di informazioni nuova nella prospettiva suddetta. Penso, ad esempio, al quadro sociale della società sessana che può emergere dai Racconti silvani di De Luca del 1888. Allo stesso modo il libro di Toschi più che uno studio sulle origini del teatro italiano- nel 1955 le scienze umane ancora non erano emerse con le loro metodologie di ricerca- rappresenta certamente un rilevante insieme di fonti. 14- Un orizzonte che andrebbe opportunamente esplorato in modo definitivo è quello dei rapporti tra Montecassino e la Chiesa sessana. Non va dimenticato che il più importante "monumento" del teatro religioso del medioevo è la
  • 22. 15 Passione cassinese scoperta negli anni '20 da Inguanez (al cui ritrovamento era presente il compianto Gabriele Inglese di Ausonia, questi ci procurò una copia della suddetta Passione che abbiamo provveduto a far tradurre ad Anna Casella- e che andrebbe opportunamente pubblicata). Questa Passione è notevole anzitutto come sceneggiatura, poi come rimando ad una impegnativa macchina teatrale che veniva messa in opera dai monaci stessi e, infine, perché presenta il Pianto della Madonna in volgare. Ciò che sta ad indicare il fatto che la partecipazione del popolo alla drammatizzazione avveniva in quest'ultima parte. Ecco, questo passaggio è importante per delineare delle ipotesi. C'è stato un momento in cui parte del rito-spettacolo è passato dall'ambito clericale- nobiliare, all'ambito popolare, con tutte le appropriazioni e le modificazioni linguistiche conseguenti. È ipotizzabile che anche il canto lirico seguisse questo schema come anche il canto del Te Deum che chiudeva molti uffici drammatici. Queste riflessioni potrebbero riguardare- in qualche modo- anche il Miserere del Venerdì Santo sessano al cui proposito De Luca nei suoi Ricordi di Pasque lontane (Riv. Campana 1921- citato dal Borrelli in Tradizioni aurunche) parla anche di libri pieni di scoli di cera su cui guardano i tre cantanti: un particolare che oggi è cambiato dato i tre confratelli cantano il Miserere (v. 50 Davide) senza leggere per una pratica di gruppo sviluppatasi per decenni e di cui sono tradizionalmente depositari. Una recente ricerca, poi, relativa a documenti del ‘700, ha fatto emergere una ipotesi, abbastanza plausibile, secondo la quale nei tempi andati venivano fatti venire da Napoli, dal Conservatorio della Pietà dei Turchini, i giovani cantori del “Miserere”, detti “angiolilli” – una “paranza” (gruppo di tre o multiplo di tre) per ogni mistero – e che, in seguito, cantori locali abbiano preso il posto di questi riproducendo quel “Miserere” secondo modalità che hanno portato all’attuale forma e che gli odierni gruppi di bambini abbigliati da angioletti dinanzi ad ogni mistero (in origine anche di sesso maschile) siano quindi retaggio degli “angiolilli” napoletani. (G.L. Sasso, V. Calenzo 2015). Anche in questo caso sarebbe valida l'idea per cui l'evento celebrativo attuale viene ad essere, per vari aspetti, il risultato dell'appropriazione dell'elemento liturgico da parte laica secondo modalità storicamente determinate di espressione della fede nei riti-spettacolo. Citiamo qui una cronaca in cui si siamo imbattuti nelle nostre ricerche. Si tratta di una cantillazione della Passione che presenta qualche analogia con il Miserere Sessano.
  • 23. 16 “La celebrazione eucaristica della Domenica delle palme conserva l’impronta primitiva del giorno dedicato esclusivamente alla memoria della passione. Si legge il racconto evangelico di Matteo nella sua forma solenne e drammatizzata. La passio è eseguita da tre cantori, di cui uno rappresenta la parte di cronista, l’altra di N. Signore, il terzo delle varie persone che entrano a parlare del racconto, fu introdotto verso il mille nelle chiese del Nord e poi imitato dappertutto. Nella cantillazione della Passione, il testo si recita molto giudiziosamente su tre gradi differenti: i passaggi del recitativo in stile diretto si leggono in tono medio; le parole pronunciate dai discepoli e dai giudei sono cantillate nel tono superiore, cioè una quarta al di sopra del racconto, infine le parole di Cristo sono cantillate nel tono grave, nella quinta inferiore del racconto. I segni c (celeriter) per il racconto e t (tenete, tarde) per le parole di Cristo indicavano fin dal IV secolo la velocità di esecuzione quando era solo il diacono a leggere il racconto . Dopo l’introduzione dei tre lettori si cominciò nel XVI sec. a comporre polifonicamente le parole della folla e dei discepoli (M. Huglo 1956). 15- Un altro aspetto, relativo alle celebrazioni della Settimana Santa sessana, che pure andrebbe esaminato è quello che riguarda il rito-spettacolo come alienazione necessitante nella prospettiva di una risposta all'insicurezza ontologica cui abbiamo accennato in precedenza. Ma qui ci muoviamo in un'area compresa tra psicoanalisi, filosofia e sociologia, diversa da quella relativa al punto 2. Si può accennare al fatto che parte della società locale, nella più ampia crisi dell'identità, degli spiazzamenti comunicativi e della crisi di valori : ovvero tutto ciò che converge nella domanda ontologica (senso dell'essere), trova in un segmento spazio-temporale tradizionale-religioso una rispondenza identificatoria e valoriale. Tale fatto partecipa alla costruzione di un vissuto di cui andrebbero esaminate le rappresentazioni individuali del sacro al fine di definire la religiosità locale nelle sue eventuali specificità. Queste rappresentazioni individuali potrebbero presentare quadri- ipotetici- con contenuti psicologici oscillanti da una consapevole religiosità moderna a forme di alienazione sostanzialmente emotive ecc.- ma questa è un'altra storia da verificare.
  • 24. 17 2- Il sacro, il mistero, l’ontologia (2001 2014) 1- La Settimana Santa a Sessa Aurunca si presenta come un insieme complesso di rituali che non escludono l'aspetto sincretico- come già visto- il quale emerge principalmente riguardo all'ambito festivo agrario originario con riferimento al fuoco, alla scansione temporale, allo spazio festivo stesso, come abbiamo già accennato in precedenza. 2- I rituali, nella loro sequenza temporale, vengono a delinearsi come un vero e proprio "sistema", ovvero un percorso o sequenza che interessa quasi tutto lo spazio urbano, polarizzandosi nelle chiese, culminando nella processione del venerdì ed in quella del Sabato mattina, che non ne è un prolungamento, ma che acquista una propria specificità con la confluenza dei "misteri" e con la distribuzione della ruta e dei ceri benedetti. La processione della Madonna del
  • 25. 18 Popolo, poi, si presenta ancora distinta rispetto alla Settimana Santa con la sua caratterizzazione patronale e organicamente popolare. Va quindi sottolineato il fatto che la Settimana Santa sessana si presenta con una organicità ed una interconnessione di eventi - dal lunedì al sabato – che le conferiscono una specificità culturale di gran livello se posta in relazione al quadro degli eventi pasquali presenti nel meridione d’Italia. 3- In effetti, con la Settimana Santa, il sacro si installa a Sessa Aurunca, potentemente nell'ordine temporale con la sua struttura simbolica. Il "sacro" qui assume il carattere di "numinoso" ovvero quello che R. Otto (1966) chiama "sentimento originario e specifico" . Il numinoso tende a rivelarsi, secondo Otto, come "mysterium", ciò che richiama i "misteri", nome dato ai gruppi statuari della Settimana Santa sessana. Un mysterium, quindi, che viene a caratterizzarsi come sentimento e come emozione relativamente a ciò che è "angoscia", "tremendum" e "fascinans" (J. Cazeneuve 1996): tre termini che sembrano ben delineare lo spazio psicologico correlato al sistema rituale generale della Settimana Santa sessana. L'inquietudine, un senso di attrazione, di paura e di speranza: ciò sembra caratterizzare una certa dimensione psicologica nell'esercizio della fede. In tale ambito la condizione umana trova nella tensione verso la "potenza" la ricerca di un riscatto, una pausa esistenziale che l'ordine simbolico religioso tende a ridefinire in un prospettiva di speranza e di rassicurazione. 4- Il rito religioso, in tale ambito, afferma la sua funzione canonica di mediazione tra la condizione umana e la trascendenza (J. Cazeneuve 1996). L'angoscia del mistero soggettivo così tende a rapportarsi col mistero universale. Ciò in una scansione temporale periodica che viene a segnare costantemente l'esistenza individuale. La Settimana Santa così, nei fedeli sessani, diviene un appuntamento, un bisogno di trascendenza ed un ritrovar-si rituale (V. Ago E. Galletta G. L. Sasso A. Aurola in I. Censi C. Favale F. Rizzi 2009) e, laddove il bisogno stesso di trascendenza viene a sfumare, ecco che l'elemento comunitario festivo viene a costituire l'altro riscontro necessitante. 5- Il rito, nella sua funzione di mediazione-partecipazione, stabilisce un legame con la potenza del numinoso attraverso le "azioni simboliche". Di queste, nel contesto della Settimana Santa, è possibile schematizzarne alcune come segue. -Accendere il fuoco (rituale) (uomo). -Partecipare alle processioni e alle cerimonie in chiesa (uomo- donna).
  • 26. 19 -Partecipare alle attività confraternitali (veste, portare il Mistero ecc.) (uomo). -Portare il cero (donna). -Vestire di nero (donna). -Cantare (uomo- donna). -Danzare (uomo-donna). -Pregare (uomo-donna). L'azione simbolica così viene a rappresentare una modalità di accesso all’universo simbolico della Settimana Santa ma definisce, in tale ordine, anche un ruolo nel contesto dell'ordine sociale. Ma l’elemento simbolico centrale è costituito dai Misteri con tutta la loro carica di sofferenza e di dolore. “I Misteri del Venerdì - custoditi nella chiesa di S. Giovanni a Villa dall'Arciconfraternita del SS. Crocifisso - sono di cartapesta e risalgono al periodo barocco: il loro autore non è noto, ma potrebbe trattarsi di un artigiano locale perfezionatosi presso qualche scuola o bottega napoletana o di un artista della scuola napoletana. Le origini dell'arte della cartapesta sono un po' controverse. In Spagna, l'esistenza di antiche statue di cartapesta in alcune chiese, soprattutto in Andalusia, viene fatta risalire dal popolo del luogo all'influenza araba che avrebbe importato in quei posti una propria tecnica. Nel periodo della dominazione, è possibile collegare l'influenza della cultura spagnola al rapporto particolare che lega Venezia, durante il '600, ai mercanti meridionali salentini, ma fu nel secolo successivo che la cartapesta importata da Venezia soppiantò la produzione lignea degli artigiani di Lecce (B. Tragni 1986). Ma anche nella Napoli del Seicento erano attivi diversi maestri cartapistari e da Napoli giunsero a Lecce gli oggetti "in carta" che circolavano nelle dimore (e non ancora nelle chiese). Napoli potrebbe dunque essere il referente artistico di Lecce e non altre città. Nella seconda metà del '700 le nuove forme di ritualità religiosa legate al mondo confraternale ed alle processioni della Settimana Santa si servirono della statuaria in cartapesta per i Misteri ( C. Ragusa 1997). La figura del Cristo della Passione non predomina solo nell’Italia Meridionale, ma anche nell'America Latina, dove sono presenti popolazioni oppresse: come esempio si guardino,
  • 27. 20 oltre i crocifissi e i calvari delle zone rurali, i mezzi busti dell’Ecce Homo, collocati nelle chiese e nelle edicole votive delle città meridionali, o le statue della Vergine Addolorata. Nell'Ecce Homo il povero, l'oppresso, l'abbandonato si rispecchiava, dolorante sia nel corpo che nelle ferite dello spirito, si identificava ed abbracciava in vita la propria croce. Similmente in Maria Addolorata ai piedi del Figlio crocifisso, si rispecchiava la donna meridionale: ciò si verificava non soltanto nel vestito nero che indossavano, ma nel volto scavato dalla sofferenza e dalla fatica, che però era nello stesso tempo molto dignitoso. (D. Pizzuti, P. Giannoni 1979). A Sessa il primo Mistero, rappresenta l’annunciazione dell'angelo nell'orto del Getsemani: l'angelo è sollevato in aria, mentre Gesù è in ginocchio, in preghiera, sorpreso in questo modo dal messaggio divino; nel secondo Mistero Gesù è spogliato ed è legato per le mani alla colonna, dove sarà fustigato dai Farisei: il suo capo è rivolto verso il basso, il suo corpo presenta le ferite inferte da coloro che lo faranno condannare; nel terzo Mistero Cristo è seduto su di uno sgabello, con una canna fra le mani, è vestito con un mantello color porpora con la corona di spine: "Ecce Homo ", "Ecco l'Uomo", schernito di fronte all'umanità; il quarto Mistero rappresenta Gesù caduto sotto il peso della Croce, sulla strada che lo porterà al Calvario, con la mano sollevata a chiedere un aiuto che non otterrà dall'uomo. I quattro Misteri sono circondati da angeli di cartapesta, da lanterne illuminate e da fiori adagiati sulla pedana che li sostiene. L'altra statua è il "Cristo Morto", preceduto dai bambini che reggono turiboli d'incenso, che si trova su di una lettiga coperta da un "pallio"nero (una specie di drappo) retto da sei lunghe aste; seguono "le Tre Marie" (Maria madre di Gesù, Maria di Cleofa, Maria di Magdala), vestite a lutto e in lacrime per la morte di Cristo. (R. A. Bova 2004) Allo stesso modo il sangue partecipa all’ordine del simbolico legando la sofferenza del reale con l’immaginario della sofferenza rivissuta (vedi Cap. 3). “Un elemento essenziale presente nel periodo della morte e resurrezione di Cristo è il sangue. A questo proposito, possiamo citare L. M. Lombardi Satriani, il quale rileva che in tutti i rituali pasquali è presente, in forma più o meno esplicita, il sangue, elemento fondamentale della vicenda vita-morte-vita; queste processioni, che si svolgono in numerosi centri meridionali (Caltanisetta, Trapani, alcuni paesi dell'area palermitana, etc.), si servono di gruppi statuari rappresentanti momenti della Passione
  • 28. 21 e Morte di Cristo dove l'elemento che ricorre maggiormente è il sangue (sia che dell 'Hecce Homo, o dell'ascesa al calvario o della ferita al costato, etc.), non si tratta soltanto di manifestazioni commemorative: attraverso l'evento teatralizzato, è come se in quel momento il sacrificio divino si compisse, è come se il sangue di Cristo fosse versato in quel momento per la rigenerazione della comunità intera. Per rafforzare la sua tesi, Lombardi Satriani cita Mircea Eliade, il quale affermerebbe che Morte e Resurrezione di Cristo avvengono realmente agli occhi del cristiano, non sono soltanto commemorate durante la Settimana Santa, poiché il tempo teofanico si ripete e diventa presente e quindi un vero cristiano si sente contemporaneo di tali eventi, da lui definiti trans – isterici. (L. M. Lombardi Satriani 2000).” (R. A. Bova 2004) 6- Questa settimana sessana dunque sembra articolarsi tra alcuni parametri fondamentali che sono: la trascendenza, la partecipazione, la propiziazione, la rassicurazione, la purificazione, il festivo, ma anche la "trasgressione" che rimane come resto, residuo, produzione ineliminabile (faremo più avanti un riferimento in tal senso alla psicoanalisi lacaniana) (P. Stanziale 2014), Questa trasgressione emerge dal contesto della letteratura su questa Settimana Santa ma è anche avvertibile in talune violazioni dell'ordine simbolico vigente nella Settimana stessa, nelle "appropriazioni" che tendono a personalizzare eccessivamente l'elemento simbolico e di cui abbiamo parlato nell'articolo precedente, nell'emergere di elementi di derivazione vetero-carnevalesca legati al cibo, al vino, a forme parodiche dei rituali (emerse in epoca recente) e al festivo. 7- La Settimana Santa sessana costituisce anche un canale comunicativo con il sacro ed un modo di "agire" sullo stesso. Si tratta di riconoscere la trascendenza (J. Cazeneuve 1996), di comunicare con essa attraverso la preghiera, attraverso il comportamento rituale e le azioni di cui abbiamo già parlato. La preghiera, in particolare, legata al desiderio umano, ha molto a che vedere con il sogno e con l'immaginario, sia esso quello individuale, sia esso quello collettivo comprendente le strutture definite dall'ordine simbolico. Allo stesso modo il "sacrificio" o il "sacrificio-dono" è comunicazione, offerta rituale e propiziazione: elementi che questa Settimana sessana si presenta talora in modo unificato, talora in modo diversificato tra uomini e donne come abbiano già visto.
  • 29. 22 Le donne alluttate Piccole e minute vivono in mistica sofferenza sotto il pesante peso della base che sostiene il Cristo, la Vergine Addolorata e la enorme croce che sovrasta la scena, sopportando sulla propria testa il peso della Morte di Cristo. Pregano, piangono, soffrono scalze non si curano della cera che, colando dalle enormi candele cade bollente sui piedi perché esse vivono per tutta la processione in magico dialogo con la Vergine. Sono vestite proprio come la Madonna: un grembiule nero orlato al collo ed ai polsi con un righello bianco, che ogni sabato dell'anno indosseranno per perpetuare il ricordo del rito. In questa processione la dominanza spettacolare è certamente data dal lutto corale, da questa espressione di cordoglio popolare che si carica di valore religioso-sociale. Il peso delle candele delle pie donne, il dolore dell'andare scalze, la mortificazione del rito, la fatica dei congregati che sopportano sulle spalle il peso delle immagini, sono pegni che l’individuo e la comunità pagano quale riscatto del voto ripetuto da generazioni. La partecipazione di tante donne potrebbe leggersi come la solidarietà espressa dalle donne della città al dolore di una di loro, alla quale sono vicine da sempre. Il ruolo delle pie donne può essere fatto risalire, come qualcuno ha voluto, alla tradizione delle prefiche. Le stiche partecipazionali ed emotive vanno al di là delle prezzolate lamentazioni femminili di un tempo, assumendo invece gli aspetti di partecipazione familiare al cordoglio per la morte di Cristo, che le donne mediano insieme ai confratelli in un rapporto di mutua solidarietà tra popolo e gruppi confessionali. A questi la gente si rivolge senza vergogna, perché in questa magica atmosfera il dolore è di tutti. Nessuno quindi rimane meravigliato quando qualcuno, con la voce rotta dal pianto, si rivolge alla Madonna implorando grazie ed impegnando interceda alle segrete istanze di ogni madre, di ogni moglie, di ciascuna donna. Esse vengono da ogni parte d'Italia e d'Europa dove lavorano, a perpetuare questa promessa: ogni anno si conquistano sempre lo stesso posto al fianco o addirittura "sotto il Calvario", cercando così un magico contatto fisico con la statua. (P. Perrotta 1986) “[…] Nella processione del Venerdì Santo le pie donne formano un tutt’uno con il "mistero delle Tre Marie" (raffigurante Maria Addolorata, Maria di Magdala e Maria di Cleofa) dell'Arciconfraternita del SS. Crocifisso, che non a
  • 30. 23 caso, a differenza degli altri misteri dolorosi (portati a spalla) viene portato "a braccio" proprio per far sì che le statue possano restare ad altezza di donna. Le pie donne appaiono, anche visivamente, come una continuazione ideale delle Tre Marie, formando con Esse un unico corpo ondeggiante che avvolge il Cristo morto e lo culla nel suo triste percorso che rievoca l’ascesa al Calvario ma anche la sepoltura. Nella processione del Sabato Santo, invece, appare più stretto il legale simbiotico che si instaura tra le pie donne e la Vergine Addolorata che si staglia sulle pie donne, distrutta, abbracciando il Suo Figlio esanime. Un dolore straziante, unico, incomprensibile, emana dalla splendida statua dell'Arciconfraternita del SS. Rifugio, un dolore unico ed incomprensibile come quello di tante donne che hanno vissuto la stessa terribile esperienza ma al tempo stesso un dolore che fa da contraltare all’immenso amore che solo una madre può provare per il proprio figlio e che alla fine è l'elemento che traspare con maggior forza dalla sacra icona. In questo caso le donne alluttate sembrano quasi trasportare con la loro forza spirituale il simulacro della Pietà evidenziando tutta la loro vicinanza (che trascende quasi nell'immedesimazione) con la Vergine Addolorata. Ma esaminiamo ora agli aspetti più pratici, e non meno importanti, di questa antica tradizione. Quando inizia il voto, come si svolge e come si conclude ? Domande semplici, per molti scontate, ma che in realtà celano una molteplicità di risposte e tradizioni che vengono tramandate di generazione in generazione. Il voto inizia, di norma, in età adolescenziale ma in realtà anche le bimbe più piccole hanno già un ruolo non secondario nelle processioni e cioè quello di vestirsi da angioletto. Non è raro vedere donne alluttate che portano in processione le loro figlie o nipotine vestite da angioletti che agitano i loro turiboli pieni di odoroso incenso. Quando la bimba crescerà e non potrà più vestirsi da angioletto, il passo sarà breve ….. inizierà ad accompagnare la madre o la nonna
  • 31. 24 portando la candela, inizialmente piccola e proporzionata alla sua forza, poi sempre più grande e pesante. Sarà riconoscibile perché non indosserà ancora il velo ed il camice. Giunta in età adolescenziale (anche se non esiste un’età fissa) avverrà lo “svezzamento” e la ragazza, deciderà autonomamente se intraprendere il voto o meno. Se deciderà di farlo, la sua "mentore" le commissionerà il camice nero con il caratteristico bordino bianco orlato che sarà benedetto dal parroco durante la benedizione della casa che avviene nella Settimana Santa. Quel camice la accompagnerà finché vivrà ed anche dopo …. La donna alluttata sceglierà liberamente se offrire il proprio voto al Cristo Morto, nella processione del Venerdì, o alla Vergine Addolorata, nella processione del Sabato, o anche in entrambi i giorni, ed ancora se accompagnerà la processione scalza o meno. Sono scelte personali, strettamente dipendenti dalla grazia chiesta o ottenuta, motivazioni intime e riservate che come tali vanno rispettate. Operata la scelta, nel giorno della processione, l’alluttata indosserà il camice nero fin da appena sveglia. Non si pettinerà, non si truccherà, non mangerà. Si recherà presso la Chiesa da cui partirà la processione con buon anticipo, si avvicinerà alle statue, ancora ferme sugli scranni, inizierà a pregare ed accenderà il cero non appena inizierà il canto del Miserere (per il Venerdì) oppure quando l’Addolorata inizierà a muoversi nella Chiesa del SS. Rifugio (per il Sabato). Alcune saranno scalze, altre porteranno candele pesantissime, ognuna secondo le proprie intenzioni personali. La posizione di ogni alluttata è già prestabilita, eredità di una madre o di una nonna e lì resterà per tutta la processione, partecipando alle preghiere intonate dai cappellani ed alla cunnulella quando suonerà la banda. Perché è bene chiarire che le donne alluttate fanno la cunnulella, seguendo il movimento delle statue per essere con esse una sola cosa, un unico corpus, senza altri intenti e soprattutto senza alcun fanatismo (come alcuni, invece, ritengono).
  • 32. 25 Finita la processione, l'alluttata donerà ciò che resta della candela alla confraternita che ha organizzato la processione, ricevendone in cambio un pezzetto con un ramoscello di ruta oppure una camelia che conserverà con cura per tutto l’anno (la candela, ad esempio, sarà accesa durante i temporali, per dominare l’ancestrale paura che attanaglia l'animo di fronte al manifestarsi della potenza della natura). Ma tutto questo, solo dopo essersi accostata ancora una volta alla Statua, per l’ultimo bacio di commiato. Alcune donne, specie quelle più anziane, indosseranno il camice fino alla mezzanotte del Sabato, proseguendo il digiuno. Al suono delle campane che annuncia la S. Pasqua, si inginocchieranno, e dopo essersi fatte il segno della croce svestiranno il camice e si recheranno alla veglia pasquale. Altre alluttare, invece, rinnoveranno il loro voto indossando il camice nero in tutti i venerdì o i sabato (a seconda della processione prescelta) dell’anno. Quando un'alluttata non può partecipare alla processione, perché malata o anziana, indosserà comunque il camice nel giorno della processione (se sarà in grado di farlo), e così, anche se solo indirettamente, continuerà il suo voto e manterrà inalterato il legame con il Cristo Morto o l’Addolorata. Se il voto ha una scadenza temporale (cosa abbastanza rara) oppure se il camice dovrà essere sostituito per l’inevitabile usura del tempo, dovrà essere bruciato, preferibilmente sui falò della processione del Venerdì Santo. Medesima sorte toccherà al camice in morte dell’alluttata, allorquando dapprima sarà posto sul feretro (secondo le intenzioni della famiglia) e poi bruciato sul falò della successiva processione dei Misteri. Una piccola curiosità, in conclusione, la voglio dedicare alla tradizione, a metà strada tra mito e leggenda, della cosiddetta “protezione della Madonna”. Nelle donne più anziane è ferma la convinzione che durante il voto la Madonna le protegga da qualsiasi accidente o problema fisico.[..]” (P. Ago 2009)
  • 33. 26 8- Una rilevanza certa ha, nella Settimana Santa sessana l'elemento catartico, purificatorio, cui abbiamo già accennato. Tale elemento è legato a molti elementi comportamentali e simbolici ma costituisce, a nostro parere, ciò che caratterizza principalmente l'ambito partecipativo. Si tratta di una dimensione psicologica fondamentalmente legata all'ambito emozionale a cui non è estraneo l'apparato spettacolare dei riti. La full-immersion in un universo simbolico che si richiama ai temi fondamentali della vita, della morte, della speranza; una spettacolarità fatta di suoni, di colori, paesaggi che vengono a trans-figurarsi come scenografia dei rituali: tutto opera un coinvolgimento profondo delle persone dal punto di vita emotivo. In effetti si tratta di passare attraverso una periodica esperienza psicologica che tende a tradursi in una specie di "leggerezza", una forma di rassicurazione aperta alla speranza: un passaggio rituale, insomma, metafora che richiama le classiche opposizioni tra vecchio e nuovo, vita e morte, disperazione e speranza, le tenebre e la luce e quindi, inverno e primavera, vecchio ciclo agrario - nuovo ciclo agrario, vecchie radici e nuovi alberi, il lavoro e la festa e, dunque, la morte e la resurrezione. 9- La Settimana Santa sessana rappresenta un appuntamento con la morte e col dolore. Ovvero questi elementi naturali che sono la morte e il dolore divengono oggetto di elaborazione culturale (E. De Martino 2001) esorcizzazione simbolica di uno "scandalo" (la morte stessa) comune a molte civiltà. La Settimana Santa sessana- come altri eventi del genere- segna il trionfo della elaborazione della morte umana da parte del Cristianesimo. La passione di Cristo e la sua Resurrezione hanno offerto una visione del mondo che, nel suo proprio ambito, ha prodotto il superamento definitivo della "insostenibilità" della morte dell'uomo, aprendo al passaggio verso una "vita vera" collocata nell'ambito del divino. (M. Massenzio 2000). Un appuntamento, dunque, con la morte, una morte che è di ordine rituale- liturgico, ma che è anche la "propria" morte. Qui il tema della morte si intreccia indissolubilmente con il tempo: la partecipazione è "l'esser-ci-ancora" ovvero rassicurazione rispetto al tempo della morte; la partecipazione è anche elaborazione generale, ma anche individuale della morte nel senso heideggeriano del "precorrimento" della propria morte (quando mancherò a questo appuntamento....) ovvero accettazione della propria
  • 34. 27 singolarità finita. In ogni caso è la resurrezione che viene a rappresentare lo sbocco, il risultato dell'elaborazione. Si tratta di una "apertura" che è per il cristiano speranza, riscatto della condizione umana operata dal sacrificio di Cristo secondo lo schema sacrificio-riscatto proprio dell'ordine simbolico religioso. 10- Una visione del tempo, quindi, che comprende la "possibilità di essere" e/o di "esser-ci", ancora una volta in una prospettiva heideggeriana che sembra abbastanza esplicativa in questo ordine di problemi in cui viene ineluttabilmente ad emergere, come abbiamo già visto, la domanda sul "senso dell'essere" nella misura in cui si delinea una potente offerta simbolica come risposta e nella misura in cui una modalità di "autenticazione" dell'esistenza è, heideggerianamente, proprio l'assunzione dell'angoscia, ovvero dell'essere-per- la-morte, una assunzione però notevolmente diversa dagli esiti dell’esistenzialismo umanistico. Il tempo, dunque, la dimensione di cui la Settimana Santa come evento periodico si fa metafora ancora una volta della morte, della vita, del ritorno, un andamento ciclico che ben la filosofia ci spiega come "differenza,e ripetizione" (G. Deleuze 1997) e come possibile lettura evolutiva del nietzschiano "ritorno dell'uguale". Ma ci sembra pure valido il tema della "sosta", il prodursi di una periodica parentesi temporale che viene a sostenere, scandendosi tra tempo di lavoro e tempo festivo, prima un ripiegarsi sacrificale dell'essere su se stesso (la morte, il sacrificio), e poi l'aprirsi alla possibilità-speranza attraverso la resurrezione- festa. Questa sosta o parentesi temporale, come altri eventi del genere, è una vera e propria "pausa di ordine ontologico" costitutiva dell'ordine simbolico religioso, da intendersi pure come proposta di smascheramento dell'esistenza nel suo tragico dualismo di vita e di morte, di dolore e di gioia. 11- In una diversa prospettiva M. Eliade (1973) parla del tempo sacro. Un tempo che in Grecia ed in India viene visto come ciclico ma che nel Giudaismo è una dimensione che ha un inizio ed un termine. Si tratta del tempo cristiano per cui Dio si è incarnato partecipando storicamente alla condizione umana. Quello che nel vangelo è l’Illud tempus è il tempo storico della vicenda terrena di Gesù in Giudea, a cui il cristiano, nella liturgia, è invitato a partecipare. Si tratta di rivivere ogni anno la passione di Cristo che ha come fine la salvezza dell’uomo in senso transtorico.
  • 35. 28 12- Per quanto riguarda il tempo festivo (F. Jesi 1977) esso celebra l’incontro col sacro. La festa rappresenta la pace e la gioia contro il caos e contro la routine giornaliera. La festa implica un salto, l’accesso ad un diverso piano di esistenza nel quale l’uomo incontra ciò che dà un senso superiore alla sua esistenza.
  • 36. 29 3- Il sistema rituale-spettacolare 1- Prima di schematizzare il sistema rituale- spettacolare proprio della Settimana Santa a Sessa Aurunca riteniamo utile accennare all’importanza della tradizione religiosa sessana la quale, vuoi per la posizione geografica (tappa e incrocio tra importanti arterie di comunicazione fin da epoca precristiana), vuoi per una vocazione cristiana propria per cui “ebbe gran favore da alcuni santi ed altri eroi che si degnarono di favorirla non solo della loro presenza ma anche d’abitarvi per qualche spazio di tempo” (L. Sacco in P. Perrotta 1978), vuoi anche per la vicinanza all’abbazia di Montecassino, Sessa è stata definita una cittadella della fede (M. Volante in P. Perrotta 1986). A tale proposito si nota che nel 1600 a Sessa vi erano 11 conventi con 400 religiosi, con altre cento addetti, tra parroci e chierici se ne contavano 77 e Perrotta (1978) conclude che su 6000 anime, intorno al 1691 circa 1/10 degli abitanti ruotava intorno al
  • 37. 30 mondo clericale. Ciò non poteva non avere peso nella vita della città e, malgrado la rivoluzione francese e tutti gli avvenimenti successivi, ancora oggi si riscontra una religiosità che certamente è parte dell’ethos locale. 2- Insistiamo sul fatto che gli eventi della Settimana Santa si presentano come un vero e proprio sistema articolato nel tempo e nello spazio urbano con propri codici simbolici in relazione tra loro. Lo schema che è possibile delineare è il seguente. Un sistema articolato tra interno ed esterno, che intreccia percorsi urbani articolati tra le chiese e comprendente quattro scansioni fondamentali ed a cui va aggiunta la Pasqua e festa patronale. -Processioni penitenziali (dal lunedì al mercoledì con il terremoto biblico il mercoledì pomeriggio). -Il giovedì con la visita ai sepolcri. -La processione del venerdì santo. -La processione del sabato santo. Periodo Evento Simbologia Nota Lunedì santo mattina Processione penitenziale Arciconfraternita S. Biagio. Mozzetta granata Dalla chiesa dell’Annunziata alla Cattedrale. -Esposizione SS. Sacramento -Canto Benedictus (cantico di Zaccaria) -Te Deum (Per tutte le processioni penitenziali dal lunedì santo al mercoledì santo) Lunedì santo pomeriggio Processione penitenziale Confraternita della Vergine del Rifugio Mozzettta verde Dalla chiesa del Rifugio alla Cattedrale Martedì santo mattina Processione penitenziale Confraternita del SS. Crocifisso Mozzetta nera Dalla chiesa di S. Giovanni a Villa alla Cattedrale Martedì santo pomeriggio Processione penitenziale Mozzetta celeste Dalla Chiesa di S. Francesco (Immacolata)
  • 38. 31 Arciconfraternita della SS. Concezione alla Cattedrale Mercoledì santo mattino Processione penitenziale Congregazione di S. Carlo Borromeo Mozzetta rosso vermiglio Dalla chiesa di S. Carlo alla Cattedrale Mercoledì santo pomeriggio Processione penitenziale Arciconfraternita SS. Rosario Capitolo diocesano e clero Messa Crismale Messa degli Olii Cattedrale Mercoledì santo sera Funzione paraliturgica Candeliere triangolare con spegnimento progressivo Rievocazione terremoto biblico Organo Canti (interamente in latino) Giovedì santo sera Visita ai Sepolcri nelle chiese Altare della reposizione Visitare il sepolcro Silenzio delle campane Usanza dello struscio per le vie cittadine Venerdì santo sera Processione dei Misteri Miserere Danza mistica Falò Tromba Marce funebri Donne alluttate Angioletti 1-Cristo nel Getsemani 2-Cristo legato alla colonna 3-Ecce Homo 4-Gesù sotto la croce 5-Croce con vari simboli di sofferenza 6-Il corpo di Cristo disteso 7-Le tre Marie Nasce dalla chiesa di S. Giovanni a Villa Arciconfraternita del SS. Crocefisso Percorso articolato nel centro storico cittadino
  • 39. 32 Sabato santo mattina Due processioni che nascono dalla Chiesa del Rifugio e dalla chiesa di S. Carlo e che si congiungono formando una sola processione Mistero di S. Carlo L’Addolorata Donne alluttate Confraternite del SS. Rifugio e S. Carlo Percorso articolato nel centro storico cittadino Distribuzione dei candelotti e della ruta avente poteri terapeutici Pasqua di Resurrezione Scioglimento delle campane 3- Come si vede si tratta di un sistema complesso caratterizzato da una ricca simbologia e da percorsi che coinvolgono tutto lo spazio del centro storico con una continuità temporale cadenzata culminante con la processione del venerdì santo che costituisce il rito-spettacolo più coinvolgente, unitamente all’Ufficio delle Tenebre, del mercoledì santo ed all’incontro tra misteri il sabato santo. Lo spazio urbano del centro storico diviene lo spazio rappresentativo del pathos religioso. Percorsi, colori, musica, fuoco, danza mistica, gruppi statuari: tutto ciò costituisce una sequenza di eventi centrati sul tema della morte, del dolore umano e della speranza ovvero un fermo-immagine dell’uomo che annulla il tempo sequenziale per immergersi in una dimensione ontologica. 4- È importante rilevare, quindi, che fondamento dell’anno liturgico è il ciclo pasquale che si articola in tre fasi: -preparazione ascetica ovvero i quaranta giorni di Quaresima (dal mercoledì delle ceneri alla domenica delle Palme); -la Settimana Santa con la Pasqua; -le feste dell’Ascensione e della Pentecoste. Questa scansione viene a coincidere con la tripartizione dei riti di passaggio secondo Van Gennep (1981) e Turner (1986) ovvero: la separazione (pre- liminare), la transizione (liminare) l’incorporazione (post-liminare). Nella separazione di delimita in modo deciso il tempo sacro da quello profano. Ovvero un cambiamento della qualità del tempo, cioè l’essere fuori dal tempo.
  • 40. 33 Ciò comporta una serie di comportamenti simbolici che tende ad invertire ciò che è secolare e rovescia, inverte lo status sociale. L’imposizione delle ceneri, quindi, segna la fine del tempo profano carnevalesco e l’inizio di un periodo di conversione caratterizzato da pratiche penitenziali tra cui il digiuno. La seconda fase è quella della liminarità, dell’umiltà, della sottomissione e del silenzio, commemorando colui che si è umiliato fino alla morte. La terza fase comprende fenomeni ed azioni simboliche che rappresentano il raggiungimento da parte dei soggetti, di una nuova posizione stabile e ben definita nel complesso della società. Queste ripartizioni corrispondono- in linea di massima- al seguente schema temporale sessano. 17 gennaio- S. Antonio Abate >……….>Mercoledì delle Ceneri – TEMPO CARNEVALESCO Mercoledì delle Ceneri>………………..>Domenica delle Palme – TEMPO DI QUARESIMA Domenica delle Palme >………………..>Domenica di Pasqua-SETTIMANA SANTA -Cene conviviali: Mercoledì delle Ceneri, ogni venerdì di marzo, mercoledì santo. -Esposizione dei Misteri: i venerdì di marzo. -Canto del miserere: mercoledì delle Ceneri, ogni venerdì di Quaresima. 5- Ma nel periodo pasquale avvengono anche altri riti di passaggio: quello stagionale- dall’inverno alla primavera, come abbiamo visto; quello catecumenale attraverso il battesimo; quello del peccatore che con l’espiazione viene ammesso alla comunione dei santi;
  • 41. 34 quello delle comunità cristiane che aspirano a passare ad uno stadio superiore di perfezione; quello della società civile che nella riconciliazione vuole superare dissapori e conflitti. Dinamiche quindi che iniziano al cambiamento, riti di passaggio che producono mutamento. Molti riti di passaggio sono irreversibili mentre vi sono riti calendariali (C. Bernardi 1991) come la Pasqua in cui c’è la ripetizione da parte di tutti. La Pasqua, quindi, è un insieme di riti di passaggio per cui vi è un passaggio divino dalla morte alla resurrezione che fonda i passaggi dell’umanità. 6- Andando indietro nel tempo è facile notare come la processione principale della settimana santa fosse collocata al giovedì santo, sia per l’usanza di anticipare, in pratica, di un giorno gli eventi, sia per la centralità del culto eucaristico a partire dal ‘500. Vi sono quindi in Italia processioni che rispettano la scansione temporale della liturgia. 7- Toschi (1999) ha individuato alcuni parametri storici nelle processioni della Settimana Santa: -forme drammatiche in cui i personaggi della passione sono rappresentati da fedeli in costume; -forme drammatiche in cui vi è la presenza di gruppi statuari e ciò secondo le prescrizioni del Concilio di Trento: -sermoni semidrammatici riguardanti la chiesa ortodossa in cui è presente l’influsso bizantino. Questa tipologia corrisponde allo schema delle quattro funzioni: aspetto devozionale, penitenziale, catechetico, rappresentativo. A Sessa Aurunca è abbastanza marcato l’aspetto devozionale, allo stesso modo l’aspetto rappresentativo si realizza nella pregnanza dei riti-spettacolo. Per quanto riguarda l’aspetto penitenziale esso è relativo: agli uomini per la veste confraternitale e per la mobilità dei misteri in cui il sacrificio è anche onore e pathos;
  • 42. 35 alle donne, per il loro essere alluttate (veste nere, ceri pesanti, spesso scalze) nelle processioni del venerdì e sabato. Per quanto riguarda l’aspetto catechetico esso riguarda le omelie, i sermoni ecc.. 8- Sintesi vivente del messaggio cristiano le processioni della settimana santa si strutturano secondo una articolazione logica tra annuncio e conversione. L’annuncio deve produrre segni di conversione, con atti di pentimento, preghiere, penitenze, devozione. È il contesto socioculturale (per tale punto si rimanda al ns. P. Stanziale 1999- in cui la società locale viene studiata in una prospettiva socio-antropologica) a determinare le modalità sia dell’annuncio che del comportamento rituale: ciò significa che debbono essere individuate le ragioni storiche dei diversi riti. Da tener presente a questo punto le resistenze clericali verso alcune forme rappresentative le quali, malgrado varie restrizioni emergono continuamente nei riti-spettacolo. In ogni caso l’ambito di riferimento imprescindibile rimane quello devozionale, penitenziale e catechetico. 9- Poco si riflette sul concetto di processione penitenziale che può essere intesa come un’usanza formale-spettacolare lasciando in secondo piano, o rimuovendo, la penitenza che in varie località si presentava e si presenta spesso anche in forme esasperate e cruente. In effetti spesso si scambiano le processioni penitenziali con le processioni devozionali che hanno una caratterizzazione d’ossequio e di preghiera. 10- Per quanto riguarda il rito battesimale della lavanda dei piedi si rileva che questo rituale ripete il mistero della purificazione che, non l’acqua, ma lo spirito del Messia crocifisso e resuscitato opera sui fedeli. Dall’umiliazione del Messia si trae esempio per la vita cristiana praticando l’umiltà e l’amore. Ricordiamo, inoltre, che Sant’Agostino imporrà all’occidente latino una lettura del rito che fa leva sull’exemplum humilitatis e sulla valenza penitenziale del rito che in epoca moderna è avulso dal suo contesto battesimale. La lavanda dei piedi rimanda non al battesimo ma alla penitenza e si riferisce anche alla tradizione monastica agostiniana del lavare i piedi ad ospiti e pellegrini. Quindi, da una parte il vescovo imita fedelmente il gesto di Cristo, dall’altra, contro l’esattezza storica- dato che solo Cristo nel vangelo lava i piedi agli apostoli- si mette in atto letteralmente l’ordine di Cristo di amarsi tra fratelli con il reciproco servizio tra i discepoli.
  • 43. 36 11- Elemento distintivo del giovedì santo sono i cosiddetti Sepolcri. Nella messa del giovedì santo si consacrano varie ostie riservate per il giorno seguente. La riserva eucaristica a partire dall’XI° sec. non fu più collocata nella sacrestia ma viene deposta in chiesa sopra un altare o in luogo appositamente preparato Il termine sepolcro è un termine popolare inappropriato poiché con la riserva eucaristica non si può alludere alla morte di Cristo, dato che questa non è ancora liturgicamente commemorabile. In ogni caso il i sepolcri del giovedì santo sono preparati con cura e “si usava, in genere, prepararli con piccole bare contenenti frumento germogliato o chiuso al buio o cespi d’erba sbiancata con calce. Questi giardini di Adone molto diffusi in altre regioni alludono alla morte/rinascita, ricordata anche in una bella preghiera popolare: Sarò morto e resuscitato come il grano sopra la terra “(N. Ciceri 1968). In relazione ai sepolcri, in ogni caso, le indicazioni della Chiesa sono chiare. Sono state ripetute nel 1988 dalla Congregazione per il Culto divino nel documento per la Preparazione e celebrazione delle feste pasquali. “Si stabilisce che «il tabernacolo o custodia non deve avere la forma di un sepolcro. Si eviti il termine stesso di «sepolcro»: infatti la cappella della deposizione viene allestita non per rappresentare «la sepoltura del Signore», ma per custodire il pane eucaristico per la comunione, che verrà distribuito il venerdì nella passione del Signore». La custodia è un invito a quell’adorazione singolare che segue la celebrazione della messa nella Cena del Signore: nel ricordo di quando Gesù ha consegnato l’Eucaristia alla sua Chiesa, l’altare della deposizione deve essere preparato e addobbato in modo conveniente per l’adorazione pubblica fino alla mezzanotte. Dopo la mezzanotte l’adorazione dovrà svolgersi senza solennità, perché la Chiesa ricorda il giorno della passione del Signore, di cui farà memoria liturgica nel pomeriggio.” 12- Dal contesto delle interviste rilasciate da confratelli a vari studenti universitari- per le loro tesi sulla Settimana Santa ed ai media- sono state rilevate convergenze di risposte su un arco di temi come schematizzato qui di seguito.
  • 44. 37 La Settimana Santa -Essenzialità e partecipazione caratterizzano la Settimana Santa a Sessa Aurunca. -La Settimana Santa richiama alla propria terra d’origine i sessani che vivono altrove. -Caratterizzazione principale della Settimana Santa è la pietas popolare. -Caratteristiche della Settimana Santa sessana sono il ruolo centrale della fede e l’impermeabilità ai cambiamenti. -Nella Settimana Santa in generale, si esprime la fede. -Si constata il declino della fede, in generale. -La differenza tra i riti della Settimana Santa sessana ed i riti presenti in altre località del Sud d’Italia sono principalmente la pietas popolare ed il contesto scenografico. -Allo spettacolo generalizzato si oppone, nella Settimana Santa, lo spettacolo del pathos religioso. -Esistono varie forme di fabulazioni e di persone fissate relativamente alla Settimana Santa. Le processioni -Le processioni sono ancora fortemente penitenziali. -Si riscontra una pietas popolare maggiore nella processione del sabato. -Nelle processioni, per quanto riguarda la popolazione esistono attori principali e comparse. -Il vescovo Costantini fece bene a sospendere le processioni in nome di una effettiva religiosità. In pratica però voleva ridurre le processioni ad una Via Crucis.
  • 45. 38 I confratelli -In gran parte dei casi essere confratello è motivato dalla visibilità che si ottiene. -Non vi è all’interno delle Confraternite una divisione classista e politica come per il passato. -La discendenza esprime un rispecchiamento. -I Misteri talvolta sono assegnati ai portatori confratelli per anzianità. -Portare i misteri era talvolta appannaggio di qualche famiglia. -Furono introdotti turni fissi per tutta la processione relativamente ai confratelli portatori dei Misteri. Ma qualche confratello fa portare al figlio il mistero in una alternanza anziani/giovani. I turisti -Una eccessiva presenza di turisti può essere un problema. -Esistono forme di esibizione rispetto all’interesse dei turisti per i riti della Settimana Santa. Va sottolineato che l’eccesso di osservazione da parte di questi turisti non deve giungere a snaturare il senso dei riti. Il Vescovo Nogaro -Ruolo fondamentale del Vescovo Nogaro, che più di tutti ha contribuito alla riorganizzazione delle Confraternite. Il Miserere -Il Miserere non può essere esportato modificandolo. I giovani -I motivi che spingono i giovani a partecipare alle processioni sono riconducibili alla famiglia, alle amicizie, al fascino dei riti.
  • 46. 39 -Partecipare ai riti della Settimana Santa è un modo per i giovani di uscire fuori da una omologazione generale, è la ricerca di una identità ma anche una forma di emulazione. Il cappuccio -Oggi si pone la questione di portare il cappuccio abbassato durante le processioni ma nel passato, come si evince dalle fotografie, il cappuccio si portava alzato senza problemi. -È giusto che il cappuccio si porti abbassato. -Il cappuccio alzato è fattore di una visione collettiva. Le Confraternite -Nelle Confraternite la fede popolare si dovrebbe realizzare nei comportamenti sociali. - Dall’esterno le Confraternite sono viste come sette segrete e con invidia. Cene conviviali e tradizione -Le cene conviviali sono un modo di vivere la cristianità, forme celebrative, si fanno racconti di vita, si raccontano aneddoti, si fa il santo Lazzaro e si fanno botte di Miserere. -Mangiare un pezzo di baccalà e bere vino durante le processioni significava, prima del Vescovo Costantini, fare la tradizione. -È tradizione, dopo le processioni penitenziali, per i confratelli, fermarsi in sagrestia per le i taralli e il vino. Varie -Esistono talvolta rapporti conflittuali tra le Confraternite e la Curia.
  • 47. 40 -I carracciuni avevano una funzione di illuminazione dei riti. -Va ricordata la circostanza secondo cui, in passato, i malati venivano fatti passare (anche con le lettighe) sopra le ceneri dei carracciuni, dopo il transito della processione. -Vuole la tradizione che la statua dell’Addolorata sia opera di un carcerato da cui il la Madonna dei carcerati della Chiesa del SS. Rifugio. Emerge dalle interviste- come dal contesto della letteratura relativa- un contrasto tra un cattolicesimo ufficiale, con un richiamo ad una ortodossia effettiva, ed un cattolicesimo popolare rappresentato dal popolo che segue la processione e gli stessi confratelli. Oltre alle direttive emanate dal Vescovo Costantini, anche il Vescovo Nogaro, per la regolamentazione interna delle confraternite, ha curato la redazione di uno statuto pubblicato nel 1988 e molto apprezzato da tutti. 13- Per quanto riguarda il concetto di pietas popolare, che viene continuamente richiamato nelle interviste, riteniamo utile citare due documenti che inquadrano in modo abbastanza esauriente questo concetto. PIETA' POPOLARE E LITURGIA Nel volgere dei secoli, il popolo di Dio ha attraversato stagioni differenti che hanno variamente influito sul modo di esprimere il culto cristiano. Non basta infatti coltivare un qualsiasi rapporto con Dio, giacché la Chiesa esprime nella preghiera la propria fede nel Dio di Gesù Cristo, impegnandosi a tradurre in vita vissuta le mozioni dello Spirito Santo. Se la liturgia pervade ininterrottamente ogni comunità cristiana al di là del tempo e dello spazio, dalle prime comunità apostoliche fino alle odierne, bisogna nondimeno riconoscere l’influsso avuto, su modi e forme di preghiera, dalla sensibilità ecclesiale, culturale e sociale di un dato momento storico che ha generato forme diverse di pietà popolare. Insieme alla celebrazione liturgica, “fonte e culmine della vita della Chiesa” come ricorda il Concilio Vaticano II, la tradizione testimonia pertanto una grande ricchezza di modalità di orazione privata e comunitaria: è l’ambito generalmente chiamato “pietà popolare” o “religiosità popolare” o “devozionale”, avente una significativa incidenza nella vita spirituale dei fedeli. La Chiesa ha sempre avuto coscienza del necessario rapporto che deve avere con la Liturgia un tale ambito, nel rispetto della
  • 48. 41 fisionomia propria, essendo meno normato pur senza cadere nello spontaneismo. Si sente spesso dire, che alla codificazione della Liturgia si contrappone la creatività che contrassegna la pietà popolare, dove – si dice – la gente semplice ritrova più facilmente se stessa. Come in ogni generalizzazione c’è qualcosa di vero in questo, ma anche di molto parziale: ecco perché si è sentita la necessità di redigere un Documento che richiamasse i principi e desse indicazioni ed orientamenti al fine di maturare quell’armonizzazione tra Liturgia e pietà popolare auspicato dai Padri del Concilio Vaticano II. L’importanza della pietà popolare La pietà popolare è un tesoro della Chiesa: per capirlo, basti immaginare la povertà che ne risulterebbe per la storia della spiritualità cristiana d’Occidente l’assenza del Rosario o della Via Crucis. Sono due esempi soltanto, ma sufficientemente evidenti della posta in gioco. Qualcuno potrebbe obiettare circa la preziosità della pietà popolare, citando al contrario pratiche di superstizione falsamente rivestite di religiosità. Dunque, proprio per aiutare a riflettere e a discernere con sapienza in tale materia si è preparato un Direttorio. Dopo il Concilio Vaticano II, restava ancora, per certi versi, da affrontare il discorso toccato dal documento Sacrosanctum Concilium sul rapporto tra Liturgia e pietà popolare. Nell’affermare il primato della Liturgia, “Culmine a cui tende l’azione della Chiesa e, insieme, fonte da cui promana tutta la sua virtù” (Sacrosanctum Concilium, n. 10), il Concilio ricordava anche che “La vita spirituale non si esaurisce nella partecipazione alla sola Liturgia” (ibidem, n. 12). Ad alimentare la vita spirituale dei fedeli vi sono, infatti, anche i pii esercizi del popolo cristiano, specialmente quelli raccomandati dalla Sede Apostolica e praticati nelle Chiese particolari su mandato o con l’approvazione del Vescovo. Nel richiamare l’importanza che tali espressioni cultuali siano conformi alle leggi e alle norme della Chiesa, i Padri conciliari ne hanno tracciato l’ambito della comprensione teologica e pastorale: “I pii esercizi siano ordinati in modo da essere in armonia con la sacra Liturgia, da essa traggano in qualche modo ispirazione, e ad essa, data la sua natura di gran lunga superiore, conducano il popolo cristiano” (ibidem, n. 13). L’argomento della pietà popolare fu riproposto tra i compiti del
  • 49. 42 rinnovamento postconciliare dallo stesso Giovanni Paolo II nella Lettera apostolica Vicesimus quintus annus: la “pietà popolare non può essere né ignorata, né trattata con indifferenza o disprezzo, perché è ricca di valori, e già di per sé esprime l’atteggiamento religioso di fronte a Dio. Ma essa ha bisogno di essere di continuo evangelizzata, affinché la fede, che esprime, divenga un atto sempre più maturo ed autentico. Tanto i pii esercizi del popolo cristiano, quanto altre forme di devozione, sono accolti e raccomandati purché non sostituiscano e non si mescolino alle celebrazioni liturgiche. Un’autentica pastorale liturgica saprà appoggiarsi sulle ricchezze della pietà popolare, purificarle e orientarle verso la Liturgia come offerta dei popoli” (n. 18). Ecco allora l’importanza di conoscere il valore della pietà popolare, di tutelarne la genuina sostanza, di purificarla dove fosse necessario, di illuminarla con la luce della Sacra Scrittura, di orientarla alla Sacra Liturgia, senza contrapporla ad essa. Favorire l’interiorità La pietà popolare è espressione della fede. È risaputo che la fede viene misurata dalla sua pratica nelle circostanze concrete della vita. In quest’ottica, le molteplici forme di genuina pietà popolare sono anzitutto la testimonianza della fede dei semplici di cuore, espressa in modo immediato, sottolineando ora l’uno, ora l’altro degli aspetti della fede, senza pretendere di abbracciare contemporaneamente tutto il contenuto della fede cristiana. Gli stessi elementi “sensibili”, “corporali” e “visibili”, che caratterizzano la pietà popolare, sono il segno dell’interiore desiderio dei fedeli di dire la propria adesione a Cristo, l’amore alla Vergine Maria, l’invocazione dei Santi: toccare un’immagine del Crocifisso o della Beata Vergine Addolorata ha il senso di volere in qualche modo avere a che fare con quel dolore; fare un pellegrinaggio a piedi, affrontando fatica e spese, è un segno per manifestare l’interiore desiderio di avvicinarsi al Mistero reso visibile dal Santuario. Le genuine manifestazioni di pietà popolare affondano sempre, in un modo o nell’altro, le loro radici nei Misteri della fede cristiana, sebbene talvolta abbiano elementi di origine pre- cristiana.
  • 50. 43 Se il passare del tempo e il cambiamento di mentalità e della società hanno potuto offuscarne talvolta la riconoscibilità cristiana o enfatizzarne l’esteriorità a scapito dell’interiorità, è compito dei Pastori della Chiesa aiutare a riscoprire, in tali manifestazioni, il legame vitale con il credere e il vivere in Cristo. Da un lato, bisogna che nelle formule di preghiera e nei gesti di devozione posti da cristiani sia riconoscibile la fede cristiana, qualificata dal necessario riferimento alla Rivelazione biblica, e dall’altro, non si può esigere che ogni singola pratica di fede esprima la pienezza della Rivelazione. Del resto, la pietà popolare non si esaurisce in se stessa, ma ha la funzione di preparare il cuore e di disporre lo spirito a ricevere la Grazia divina elargitaci attraverso la celebrazione liturgica del Mistero di Cristo. Se la pietà popolare non deve sostituirsi alla Liturgia, la Liturgia non elimina le altre legittime forme di esprimere la fede in Cristo Salvatore. Lo ha ricordato recentemente il Santo Padre nel Messaggio rivolto nel settembre del 2001 alla Plenaria della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti: “La religiosità popolare, che si esprime in forme diversificate e diffuse, quando è genuina, ha come sorgente la fede e deve essere, pertanto, apprezzata e favorita. Essa, nelle sue manifestazioni più autentiche, non si contrappone alla centralità della Sacra Liturgia, ma, favorendo la fede del popolo che la considera una sua connaturale espressione religiosa, predispone alla celebrazione dei Sacri Misteri. Il corretto rapporto tra queste due espressioni di fede deve tener presenti alcuni punti fermi e, tra questi, innanzitutto che la Liturgia è il centro della vita della Chiesa e nessun’altra espressione religiosa può sostituirla od essere considerata allo stesso livello. È importante ribadire, inoltre, che la religiosità popolare ha il suo naturale coronamento nella celebrazione liturgica, verso la quale, pur non confluendovi abitualmente, deve idealmente orientarsi, e ciò deve essere illustrato con un’appropriata catechesi” .
  • 51. 44 Un testo per tutti La pietà popolare ha il suo risvolto nella vita, sia privata che pubblica. Ha ancora senso portare un abito votivo, baciare un’immagine sacra, recarsi ad un Santuario in pellegrinaggio, appendere un Crocifisso alle pareti di casa o negli ambienti di lavoro, fare suffragi per l’anima di un defunto? E quale è il loro autentico significato, in modo che sia la santità della vita a manifestarsi attraverso tali segni e gesti? Nell’esporre questa complessa materia, qual è appunto la pietà popolare, si sono tenuti presenti il passato e il presente, la teologia e la pastorale, il vissuto dei singoli fedeli e delle comunità cristiane, nel rispetto delle loro tradizioni e del contesto culturale diversificato a seconda dei Paesi. Sarà compito dei Vescovi, con l’aiuto dei loro diretti collaboratori, in modo speciale i Rettori dei Santuari, stabilire norme e dare orientamenti concreti tenendo conto delle situazioni locali. Sono destinatari del Direttorio, oltre ai Vescovi, i sacerdoti e quanti hanno responsabilità nella cura animarum, così come le famiglie, i movimenti, le associazioni, le confraternite Card. Jorge A. Medina Estévez (www.donbosco-torino.it) LA PIETÀ POPOLARE L’espressione “pietà popolare” designa il complesso di manifestazioni, prevalentemente di carattere comunitario, che nell’ambito della fede cristiana si esprime non secondo i moduli e le leggi proprie della liturgia, ma in forme peculiari sorte dal genio di un popolo e dalla sua cultura e rispondenti a precisi orientamenti spirituali di gruppi di fedeli. Essa fa riferimento esplicitamente alla rivelazione cristiana, cioè alla fede in Dio Uno e Trino, in Cristo vero Dio e vero uomo, Salvatore di tutto il genere umano e alla Chiesa, che è “in Cristo come sacramento o segno e strumento dell’intima comunione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano”. I fondamenti dottrinali sono la Sacra Scrittura e il “Credo” della Chiesa.
  • 52. 45 L’aggettivo popolare richiede una puntualizzazione. Immediatamente esso suscita una reazione negativa: sembra indicare espressioni devozionali scadenti, implicitamente opposte a manifestazioni cultuali scelte, elitarie, velatamente aristocratiche. Ma nel nostro caso “popolare” non va inteso pregiudizialmente in senso negativo perché esprime relazione con il popolo, cioè con il “popolo di Dio”, al quale appartengono fedeli colti e illetterati, poveri e ricchi, chierici e laici. Esso indica, invece, positivamente, che la manifestazione cultuale trae origine dal popolo e, compiuta per il popolo, è portatrice di valori propri del popolo di Dio. Conseguentemente possiamo così definire la “pietà popolare”: “Il complesso di manifestazioni cultuali che sono in sintonia con la cultura di un popolo e ne esprimono l’identità” . Ma quali sono le caratteristiche, i valori e gli orientamenti della pietà popolare?Come connotati e valori della pietà popolare sono indicati normalmente la spontaneità, in quanto essa nasce non tanto dal ragionamento quanto dal sentimento; l’apertura alla trascendenza come superamento della povertà “esistenziale” in cui spesso il popolo vive; il linguaggio totale con il quale la pietà popolare trasmette la fede non con il ragionamento ma con il silenzio e la parola, il canto e la danza, il gesto individuale e l’azione corale, l’immagine e il colore; la concretezza con cui la pietà popolare dialoga con Dio e affronta i problemi della vita quotidiana segnata spesso dal dolore e dalla fatica (povertà, malattia, mancanza di istruzione e di lavoro …), i grandi cicli dell’esistenza (nascita, crescita e maturazione, matrimonio, anzianità, morte, aldilà) e i contenuti che le danno colore e calore (l’amicizia, l’amore, la solidarietà); la saggezza che tende a congiungere in una sintesi vitale divino e umano, spirito e corpo, persona e comunità, fede e patria, intelligenza e affetto; la memoria che porta a trasmettere il passato come “racconto” e a vederlo come un “fattore di identità” per il gruppo e la collettività; la solidarietà che si incontra più facilmente tra gli umili, i poveri, i semplici che non hanno ideologie che li dividono, ma esperienze di vita e sofferenze che li uniscono: per gli umili e i semplici la condivisione – del pane, del tempo, della parola – è un fatto normale intuendo che non possono aspirare alle ricchezze del cielo senza condividere i beni della terra.
  • 53. 46 ……………………………………………………………….. Le Confraternite non possono organizzare feste, né possono costituirsi autonomamente in comitato senza l’autorizzazione del parroco, al quale compete la presidenza e la richiesta del nulla osta alla Curia. Le Confraternite inoltre sono tenute ad osservare le presenti norme e quindi devono anch’esse provvedere al rendiconto amministrativo nei termini stabiliti di un mese; - sono rigorosamente vietati spettacoli leggeri o di altro tipo, che non diano garanzia nei contenuti, nel linguaggio, nell’abbigliamento, nell’organizzazione per rispetto del decoro e della dignità che una festa religiosa richiede. Si preferiscano invece spettacoli folk, musica seria, di gruppi teatrali (meritevoli di riscoperta e di riproposta sono le “drammatizzazioni tradizionali della vita del santo”), di giochi popolari che coinvolgono la gente del luogo e ne promuovono una migliore integrazione sociale: l’identità di un paese non si misura da una serata fantastica, ma dalla partecipazione attiva della gente ai festeggiamenti. - La processione è una espressione pubblica di fede. Perciò non è consentito lasciarla in balia dello spontaneismo, bensì occorre curarla e guidarla in maniera tale che sia realmente una corale testimonianza dei genuini sentimenti religiosi della comunità.Pertanto: • Le processioni si possono tenere solo se c’è un concorso di popolo. • Il corteo, guidato dal sacerdote o da un diacono, sia organizzato in modo da favorire il raccoglimento e la preghiera. • Non è lecito attaccare denari alla statua che peraltro non può essere messa all’asta e trasportata dai migliori offerenti. Non è consentito ugualmente raccogliere offerte e fermare la processione mentre si sparano fuochi artificiali. • I comitati non possono in nessun modo interferire nella processione.
  • 54. 47 • Secondo itinerari concordati con il Consiglio Pastorale Parrocchiale le processioni seguano le vie principali e siano di breve durata, contenute possibilmente nello spazio di due ore. • Parte delle offerte raccolte in occasione della festa sia riservata a gesti di carità ed a rendere più belle le nostre chiese. Conferenza Episcopale Campana - Caserta 2013 14- Per quanto riguarda la tradizione, come viene intesa nel contesto delle interviste, essa è relativa ad usanze che rappresentano una modalità di vivere l’evento religioso modalità che talvolta si giocano tra emozione e trasgressione a cui non estraneo l’elemento che potremmo definire di festività latente. È quindi l’antropologia psicoanalitica ad aiutarci su questo piano d’indagine quando troviamo la teoria dei registri soggettivi e la teoria della trasgressione intrinseca di derivazione hegeliana. Proviamo quindi a cercare di dare una comprensione più avvertita di quanto avviene nella Settimana Santa a Sessa Aurunca servendoci dei recenti strumenti di analisi offerti dalle scienze umane.
  • 55. 48 4- Breve excursus psicoanalitico 1- Premesso che la psicoanalisi contemporanea ha posto in evidenza come il bisogno di trascendenza sia effettivamente un bisogno da collocare al posto giusto nella piramide propria della teoria dei bisogni di A. Maslow (2010), vediamo che psicoanalisti come V. Frankl (2000) e lo stesso J. Lacan (2006) individuano nell’uomo un senso di religiosità inconscia che è possibile definire trascendenza immanente. Ciò di là dalla note posizioni freudiane relative all’origine della religione ed alle psicopatologie di derivazione religiosa. 2- Intanto relativamente al vissuto religioso esso ha un’importanza fondamentale relativamente alla percezione ed alle rappresentazioni (psichiche) della settimana santa e ciò risulta dai racconti di vita e dalle interviste.