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CARATTERISTICHE ENOGASTRONOMICHE E PRODOTTI TIPICI
L’Abruzzo è una regione prevalentemente montuosa, che presenta
caratteristiche morfologiche piuttosto simile al molise in cui agricoltura e
pastorizia sono fortemente sviluppate e suggeriscono una “cucina di terra” dai
sapori decisi e genuini, basata su carne ovina, formaggi e verdure, compresi i
legumi. L’alimento principale è rappresentato, soprattutto in Abruzzo, dalla pasta
fatta in casa, conosciuta ormai in tutta Italia, come gli spaghetti alla chitarra,
quasi sempre conditi con pancetta affumicata, pecorino piccante e peperoncino,
oppure con ragù di agnello o di maiale. Una ricetta dell’antica trazione è la
zuppa “le virtù” , che in origine veniva preparata impiegando sette legumi
secchi, sette verdure fresche, sette legumi freschi, sette qualità di carne, sette
condimenti e sette tipi di pasta con l’aggiunta di qualche chicco di riso, il tutto
cotto per sette ore. La ricetta, usualmente cucinata agli inizi di maggio,
riecheggia antichi riti propiziatori pagani, anche se oggi sono diffuse versioni
meno laboriose. Nei secondi piatti di carne emergono con grande forza gli
elementi caratteristici di una tradizione pastorale di altri tempi, che
contraddistinguono pietanze come l’agnello “a catturo”, cioè cucinato all’aperto
in un paiolo di rame (catturo), appeso ad un treppiede, ma anche l’agnello
cacio e uova, tipico della zona di Teramo e gli arrosticini . Con le interiora del
capretto e dell’agnello, insaporite con erbe e aromi diversi, sugo di pomodoro e
vino, si prepara un altro secondo piatto tipico, chiamato diversamente, a
seconda della provincia di provenienza: “tuncenelle” nel chietino, “mazzarelle”
a Teramo e “marro” nella zona de l’Aquila. La carne di maiale è invece
incontrastata protagonista di due specialità regionali: la Ventricina di Vasto e la
Mortadella di Campotosto, prodotta in quantità molto limitate, utilizzando
esclusivamente maiali allevati nel territorio dei monti della Laga.
La Mortadella di Campotosto rappresenta uno dei tra presidi Slow Food della
regione, insieme alla Lenticchia di Santo Stefano di Sessanio e al formaggio
Canestrato di Castel del Monte.
L’allevamento e la trasformazione dei suini occupa un ruolo di rilievo
nell’economia agroalimentare dell’Italia centromeridionale, Abruzzo compreso,
dove è nato, a Carpineto Sinello, un piccolo paese dell’entroterra vastese, il
primo e unico museo del maiale.
La tradizione casearia trova la sua migliore espressione nella produzione di
formaggi prodotti con latte di pecora, anche se la vera particolarità è
rappresentata dal Pecorino di Farindola, unico formaggio al mondo preparato
con il caglio di maiale; molto rinomata anche la produzione di caci, primo fra
tutti, il Cacio Marcetto.
La coltivazione del mandorlo è un altro elemento che accomuna Abruzzo e
Molise ad alcune regioni del sud Italia, in particolare Campania e Sicilia. E’
notizia relativamente recente che l’Abruzzo contribuirà alla strategia nazionale
di rilancio del settore mandorliero, voluta dal Ministero delle Politiche Agricole.
Le mandorle migliori provengono dalla Valle della Peligna, non a caso
Sulmona, cittadina posizionata al centro della valle, vanta una tradizione
secolare nella produzione di confetti e ospita, oltre ad un svariato numero di
imprese industriali e artigianali che producono confetti deliziosi e non solo con le
mandorle, il Museo dell’Arte e della Tecnologia Confettiera.
Dagli insediamenti sulla fascia costiera, dove è fervida l’attività di pescaggio,
traggono origine rinomate pietanze a base di pesce del mare Adriatico,
impiegato per paste, risotti e fritture, anche se la massima esaltazione dei
sapori del mare si scopre nelle zuppe. Localmente chiamata “brodetto”, la
zuppa di pesce in Abruzzo è declinata in almeno due versioni: quella di Vasto e
quella di Pescara, benché il più conosciuto e apprezzato resti il Brodetto alla
Vastese.
Un’altra specialità del litorale Adriatico abruzzese è il pesce a “scapece”, cioè
fritto e conservato sotto aceto in appositi mastelli di legno, pratica diffusa tra i
pescatori per conservare il pescato non venduto e che, nella zona, prevede
anche l’uso dello zafferano, giacché l’Abruzzo vanta la migliore produzione
mondale di questa pregiata spezia, coltivata sull’altopiano di Navelli, non
lontano da L’Aquila. Lo zafferano dell’Aquila ha ricevuto il riconoscimento D.O.P
nel 2005.
A Vasto, entrambe le specialità sono molte bene interpretate al Ristorante Lo
Scudo, nel centro storico, oppure nella zona del porto turistico alla Trattoria da
Ferri, Loc. Punta Penna tel. 0873367782.
Per quanto concerne la produzione vitivinicola, è quasi inutile citare il
celeberrimo Montepulciano d’Abruzzo Dalle stesse uve si ricava anche l’ottimo
rosato Cerasuolo d’Abruzzo. Tra i vini bianchi, oltre all’ormai noto Trebbiano
d’Abruzzo, si evidenzia - tutelato dal marchio Abruzzo DOC - il Pecorino. I vini
abruzzesi , negli ultimi anni, stanno raggiungendo traguardi di qualità, prestigio
e diffusione impensabili solo pochi anni fa, basti pensare che un vino abruzzese
risulta essere il secondo vino più venduto negli Stati Uniti.
CARATTERISTICHE ENOGASTRONOMICHE E PRODOTTI TIPICI
La Basilicata è regione tra le meno densamente popolate d'Italia. La sua cucina
tipica è pochissimo conosciuta, e ancor più ignorati sono i prodotti delle sue
campagne, povere ma ricche di tradizioni.
Il vero baluardo della Basilicata nel mondo è il suo vino più importante:
l'Aglianico del Vulture. Grazie all'operato straordinario di vari produttori, questo
vino rosso corposo, perfetto da accostare a umidi e grandi piatti di carne, è
diventato assai noto anche all'estero.
Da qualche anno, sul tema dei prodotti gastronomici, ha avuto luogo
un'autentica riscoperta della Pezzente (o Pezzenta) della montagna materana.
Si tratta di una salsiccia di maiale oltremodo saporita, un tempo ritenuta roba da
poveri (il nome dice tutto) e oggi molto apprezzata dai gourmet: nell'impasto,
oltre a finocchietto e aglio, entra anche un altro illustre prodotto della lucania, il
peperone di Senise.
Una salsiccia non troppo dissimile da questa è quella di Cancellara, citata
addirittura dagli antichi romani e condita con robuste dosi di peperoncino rosso
in polvere. Nel resto della regione si fanno poi pancette, capicolli e prosciutti
crudi, e svariate salsicce dette Lucaniche, della cui famiglia fa parte quella già
citata di Cancellara. Assai ricercata è la Soperzata di Rivello, un salame della
famiglia delle soppressate meridionali, con impasto tagliato a lama di coltello e
poi, dopo l'insaccatura, sottoposto a lieve affumicatura, per poi essere
conservato anche sott'olio.
Sul fronte dei formaggi, il più famoso cacio lucano è forse il Canestrato di
Moliterno IGP, un pecorino stagionato di forte sapore. Anche il Pecorino di
Filiano DOP merita un cenno: spesso di grosse dimensioni, può affrontare
maturazioni lunghissime. Tra i formaggi di latte vaccino, è di grande prestigio il
Caciocavallo Podolico della Basilicata, caseificato a partire da latte di mucche di
razza podolica, meno produttiva delle razze industriali ma di qualità inimitabile.
CARATTERISTICHE ENOGASTRONOMICHE E PRODOTTI TIPICI
Le bontà che offre la Calabria al viaggiatore sono assai variegate e interessanti.
La Calabria è il regno del peperoncino: non c'è cuoco calabrese che non ne
magnifichi le virtù, non solo gastronomiche ma anche mediche e salutistiche. E
il peperoncino, nelle ricette e nei salumi, appare assai frequentemente.
I prodotti più famosi che arricchiscono il loro sapore col peperoncino sono
quattro salumi che possono fregiarsi della DOP: la Soppressata, il Capocollo, la
Salsiccia e la Pancetta. Realizzati in tutta la regione, hanno un gusto fortissimo,
assai debitore del “condimento” a cui le carni sono sottoposte. Sono molto
apprezzate in tutt'Italia.
Ancor più piccante è la celeberrima 'Nduja, tipica del Crotonese e della zona di
Vibo Valentia, ma diffusa anche altrove. Si tratta di carne di maiale macinata
finissimamente e aromatizzata in maniera massiccia con tantissimo
peperoncino. Poi viene insaccata nel budello, oppure messa in vasetti di vetro.
La 'nduja si presta a innumerevoli usi: la si può consumare così com'è,
spalmandola sul pane, oppure cospargerla su un piatto di fusilli calabresi fatti al
ferretto, il formato di pasta più tipico della regione. Un salume assai peculiare è
il Capicollo Azze Anca: malgrado il nome, viene tratto dalla coscia del maiale. E'
originario del comprensorio grecanico, ossia quella porzione di costa ionica,
sotto l'Aspromonte, dove permangono rimasugli di un antico dialetto derivato dal
greco.
Il primo formaggio che viene in mente, parlando di Calabria, è il Caciocavallo
Silano DOP, nato sulla Sila ma oggi producibile, a norma di legge, anche in altre
regioni del Sud Italia. Ha tutte le caratteristiche dei più classici formaggi a pasta
filata. Quanto ai pecorini, una citazione particolare merita il Pecorino Crotonese.
Molto interessante l'utilizzo gastronomico dei funghi della Sila e
dell'Aspromonte: oltre ai porcini, in Calabria si usa mettere sott'olio anche i
cosiddetti rositi, ossia i funghi del genere Lactarius deliciosus.
CARATTERISTICHE ENOGASTRONOMICHE E PRODOTTI TIPICI
Pizza, pasta, mozzarella: tre parole che dicono tutto. Dalla Campania arrivano
le tre cose che, forse ancor più del Colosseo e dei Fori Romani, sono simbolo
dell'Italia nel mondo. Grazie ai nostri emigranti napoletani, la gastronomia
regionale è diventata la più convincente ambasciatrice del nostro Paese. Certo,
la cucina napoletana ha anche altre frecce al suo arco: per esempio, la ricca
minestra maritata, che prima dell'avvento del pomodoro (e quindi della pasta)
era il piatto locale per eccellenza. O il sontuoso, barocco sartù di riso. O ancora,
la carne alla genovese, che a Genova è sconosciuta ma a Napoli è un umido di
manzo e cipolla da cuocere per un'infinità di ore.
Indubbiamente, la Mozzarella di Bufala Campana DOP resta poi il prodotto più
rappresentativo. Prodotta anche in piccole aree della Puglia e del Lazio, questo
autentico monumento dell'arte casearia italiana nasce con due vesti: nei dintorni
di Aversa e Caserta si fanno mozzarelle più consistenti e sapide, mentre a
Paestum, a Capaccio e nella piana del Sele le medesime sono delicatissime. La
cultura del bufalo ha poi altri formaggi-figli, quasi sempre a pasta filata: la
scamorza, il caciocavallo, i bocconcini alla panna. E la ricotta di bufala, che non
è un formaggio ma resta una squisitezza leggendaria. Altri formaggi campani?
La Manteca, o Burrino: una scamorza che al suo interno contiene un cubetto di
burro. E il monumentale Provolone del Monaco, nato sui monti Lattari: un
caciocavallo di lunga stagionatura e dal sapore intensissimo, adatto
all'accostamento con miele di castagno. Dai monti Lattari ci viene pure il
Fiordilatte di Agerola, ossia la più ghiotta interpretazione della mozzarella di
latte di capra. Dal latte di pecora vengono invece gioiellini come il pecorino
bagnolese e il pecorino di Carmasciano, ambedue dell'Irpinia.
CARATTERISTICHE ENOGASTRONOMICHE E PRODOTTI TIPICI
L’agro Nocerino Sarnese è la zona dove regna Il pomodoro S. Marzano, che ha
caratteristiche speciali, è lungo, nervoso, consistente. E’ l'unico che non si
frantuma nella lavorazione; al contrario si mantiene intero e, per così dire, vivo
nel barattolo.
I salumi sono rappresentati dall'arcinoto Salame Napoli: la versione originale è
semplicemente affumicata, mentre spesso all'impasto viene aggiunto
peperoncino. Più rara la Soppressata di Gioi Cilento, tipica del paesino
salernitano: è un salame il cui impasto, macinato a grana particolarmente fine,
viene avvolto attorno a un cubo di lardo bianco. Una chicca da amatori è anche
il beneventano prosciutto di Pietraroja, prodotto in minuscole quantità e
caratterizzato da un sapore intenso e vellutato.
Da ricordare i dolci: la pastiera napoletana è un must, così come le sfogliatelle,
vanto delle migliori pasticcerie. La Pasta trafilata al "bronzo“ è una specialità
della zona di Gragnano (NA), nota per il tipo di lavorazione questo prodotto, è
caratteristico perché la ruvidità della superficie del metallo viene trasmessa
come un' impronta, alla superficie della pasta, permettendo ai condimenti una
miglior attaccatura, alla pasta.
La tradizione vinicola campana risale al tempo della colonizzazione greca,
avvenuta secoli addietro. Il territorio prevalentemente collinare ed il clima mite
rendono la regione adatta alla coltivazione di vitigni di svariati tipi, che
producono tantissimi vini sia bianchi che rossi
Tra i vini, il più ricco e importante è il Taurasi, a base di uva aglianico, il Greco di
Tufo di color giallo paglierino.
CARATTERISTICHE ENOGASTRONOMICHE E PRODOTTI TIPICI
La gastronomia dell’Emilia Romagna è estremamente variegata e ricca di
tipicità. I prodotti DOP e IGP sono innumerevoli, espressione della passione e
del legame che lega gli abitanti della regione al proprio territorio e della lunga
esperienza che gli ha condotti a ricavare dalla terra prodotti di grande qualità,
protagonisti di piatti eccellenti. Con tutta probabilità, le lasagne con il ragù alla
bolognese e i tortellini sono tra i piatti italiani più noti, oltre i confini nazionali,
secondi solo alla pizza e agli spaghetti. Nella regione ha, peraltro, avuto origine
uno dei simboli gastronomici nazionali nel mondo: il Parmigiano Reggiano,
celebrato nella regione anche dall’omonimo Museo ubicato nel comune di
Soragna, in provincia di Parma. Per chi desidera acquistarlo sul territorio,
l’Azienda Biologica Hombre di Modena offre un prodotto biologico, lavorato
secondo tradizione, pur nel rispetto di standard produttivi rigorosi. Per
comprendere la complessità della cultura gastronomica dell’Emilia Romagna è
necessario considerare, sia la dimensione territoriale, sia quella storica, che
hanno entrambe contribuito a determinare lo sviluppo di due differenti tradizioni
culinarie, quella emiliana e quella romagnola. L’utilizzo del grano, introdotto
dagli Etruschi già nell’antichità, accomuna le due tradizioni gastronomiche, che
contano tra le proprie tipicità diverse preparazioni che prevedono l’impiego della
farina, come le Tigelle o Crescentine di Modena, la Stria, tipica focaccia
emiliana, oppure l’Erbazzone, torta salata, sempre di origine emiliana, e la
Ciupeta o Coppia ferrarese. La discriminante fondamentale tra la cucina
emiliana e quella romagnola risiede principalmente nel differente processo di
panificazione tradizionale, che viene interpretato, in Emilia, dal gnocco fritto
che prevede l’impiego di strutto, e in Romagna, area costiera e porta verso
l’oriente, di dominazione bizantina, dalla piadina cotta direttamente sul testo
nella brace, senza lievito, e di chiara ispirazione mediorientale. Il territorio
emiliano, prevalentemente continentale, mostra tratti evidenti della
contaminazione culturale con i Longobardi. L’allevamento del maiale, introdotto
dai Galli e praticato in modo intensivo dai Longobardi, ne è la prova lampante.
La geografia dei prodotti e la loro distribuzione segue le caratteristiche
morfologiche del territorio, delineate dalla presenza dell’Appennino a sud e a
ovest, del fiume Po’ a nord e dal mare Adriatico a est.
La fascia montana offre i prodotti di alpeggio, mentre le zone costiere e fluviali
privilegiano il consumo di pesce di mare e di stagno. Nella Pianura Padana si
praticano l’allevamento e l’agricoltura, la Vacca bianca modenese e la Razza
bovina romagnola, entrambi presidi Slow Food, ne sono esempi straordinari. La
stessa Pianura Padana e le pianure romagnole rappresentano, peraltro, il luogo
di incontro e scambio dei sistemi gastronomici sopra descritti. L’Emilia è terra di
cucina ricca, che propone paste ripiene, sia di carne, sia di magro, come
tortellini e ravioli, che racchiudono ripieni diversi, a seconda della zona, fatti
per esaltare l’ottima sfoglia, realizzata a mano, ma anche, soprattutto a
Bologna, da lasagne e cannelloni, conditi con il celeberrimo ragù alla
bolognese (probabilmente affino parente del ragout francese) e con la
besciamella. Per quanto riguarda i secondi piatti, nel piacentino sono frequenti i
brasati mutuati, con tutta probabilità, dal vicino Piemonte, mentre spostandosi
verso ovest, cioè verso il centro Italia, trionfano gli arrosti. Tuttavia, in Emilia,
l’elemento irrinunciabile di qualsiasi percorso gastronomico, resta degnamente
rappresentato dai derivati del maiale. Oltre ai Ciccioli, cotechini e zamponi,
spiccano gli insaccati: dal Prosciutto di Parma, al Culatello di Zibello (presidio
Slow Food), senza trascurare la Pancetta e la Coppa Piacentina, la Mortadella
Bologna e la Mariola delle colline piacentine e del basso parmense, presidio
Slow Food; un bouquet di prodotti dalla qualità e dal gusto inimitabile. A
Langhirano, nella patria di elezione del prosciutto, ha sede il Museo del
Prosciutto e dei Salumi di Parma, dove è possibile approfondire la conoscenza
dei prodotti e dell’arte salumaria parmense. Per fare rifornimento di salumi,
formaggi e prodotti tipici emiliani di qualità, a un giusto prezzo, è d’obbligo una
tappa a Fidenza, presso Agrifidenza. Per un pranzo o una cena a base di
prodotti nostrani e di cucina emiliana tradizionale ottimamente rivisitata, il luogo
ideale è il ristorante Al Vedel di Colorno, sempre in provincia di Parma. Nel
vasto patrimonio gastronomico emiliano, un posto di sicura eccellenza è
occupato dall’Aceto Balsamico Tradizionale di Modena, preparato
esclusivamente nel territorio della provincia di Modena, utilizzando mosto cotto
e metodi di lavorazione appartenenti a una tradizione millenaria; l’impiego del
balsamico di Modena era difatti già diffuso alla corte degli Estensi. Nella
cittadina di Spilamberto, a questo versatile e straordinario prodotto è dedicato il
Museo del Balsamico Tradizionale, che ospita anche la sede della Consorteria
dell’Aceto Balsamico Tradizionale, una organizzazione che sostiene e
promuove iniziative e manifestazioni dirette alla tutela del prodotto.
Presso il museo è anche possibile acquistare balsamico di Modena, selezionato
dalla Consorteria. Prodotti della tradizione regionale e modenese di ottima
qualità, compresi aceto balsamico tradizionale, parmigiano reggiano, ma anche
pesci dell’Adriatico sono disponibili presso il Mercato Albinelli, un mercato
coperto costruito ai primi del novecento, erede del tradizionale mercato che
animava le strade della città di Modena, già nel Medioevo.
Modena è, tra l’altro, una tappa irrinunciabile in un viaggio alla ricerca delle
eccellenze gastronomiche, non solo regionali, in via Stella, infatti, ha sede
l’Osteria Francescana di Massimo Bottura, chef pluristellato Michelin e
classificato al terzo posto tra i migliori cinquanta chef del mondo, nella ormai
nota competizione the World’s 50 Best Restaurants Guide, organizzata dalla
rivista anglosassone Restaurant Magazine.
Se l’Emilia è ricca e grassa, con una cucina fortemente contraddistinta dall’uso
del burro, come in quasi tutto il nord Italia, la Romagna profuma di spezie e
aromi; la cucina romagnola racconta della contaminazione con il centro e il sud
Italia, comprovata dall’impiego di peperoncino, pomodoro e dalla modalità
diffusa di cottura alla griglia, sicuro retaggio culturale degli spiedi medioevali,
ancora in auge nell’Italia centrale. In Romagna si usa anche l’Olio extravergine
di oliva, prodotto a Brisighella nel ravennate in quantità piuttosto modeste, ma
con una qualità molto elevata. La presenza del mare ha sicuramente inciso
nella tradizione gastronomica delle terre romagnole; qui il pesce trionfa nelle
grigliate, nei fritti e nei guazzetti, ma anche - per pesci di qualità, come rombi,
sampietro e sogliole - servito semplicemente condito con olio e limone. In
provincia di Ferrara, nelle Valli di Comacchio, uno dei più complessi sistemi
lagunari italiani, il vero primo attore in cucina è l’anguilla, marinata nel modo
tradizionale (presidio Slow Food) o interpretata, non solo a Natale, in ben
quarantotto piatti diversi, tra cui alcuni molto ricercati. Molto diffusa anche la
miticoltura. La cucina di carne è presente, soprattutto nell’entroterra e impiega,
per lo più, carne bovina, anche se dal maiale si ricava uno dei prodotto tipici
dell’eccellenza gastronomica ferrarese, la Salamina da Sugo .
Tra i primi piatti prevalgano i Passatelli, le Burricche (un particolare tipo di
agnolotto) e il Pasticcio alla ferrarese, piatto rappresentativo della sontuosa
cucina estense, composto da un involucro di pasta frolla ripieno di pasta corta,
condita con ragù e funghi. Tra le tipicità espresse dalla tradizione gastronomica
romagnola spicca il formaggio di fossa che trova in Valmarecchia,
principalmente nel comune di Sogliano al Rubicone, la sua area di eccellenza.
L’infossatura del formaggio è una pratica che risale al medioevo, quando i
contadini solevano conservare gli alimenti in fosse scavate in ambienti tufacei,
sia per preservarli nel tempo, sia per sottrarli ad eventuali razzie.
In Romagna l’infossatura del formaggio conserva ancora il fascino di una
tradizione antica e le caratteristiche di un rito collettivo; nel mese di agosto, le
fosse vengono preparate bruciandovi all’interno della paglia per assorbire
l’umidità in eccesso e per eliminare eventuali batteri che possono intervenire
nella fermentazione del formaggio.
La fossa viene poi ricoperta con una strato di paglia e, una volta infossato il
formaggio, chiusa con tavole di legno e sabbia per essere riaperta solo tre mesi
dopo, a novembre, nell’ambito dei festeggiamenti organizzati proprio per
celebrare la sfossatura del prezioso formaggio. Prodotto con latte ovino o
vaccino è delizioso saltato in padella con paste o gnocchi, nei ripieni di tortelli e
ravioli, oppure con confetture e miele; può essere anche grattugiato, se giunto
al giusto livello di stagionatura.
A Sogliano al Rubicone esistono molti produttori del rinomato formaggio, alcuni
dei quali organizzano degustazioni e visite alle fosse; la Fossa Pellegrini è una
delle più conosciute, selezionata anche dal Gambero Rosso quale azienda tra i
maggiori produttori di eccellenze gastronomiche, anche per il suo formaggio di
fossa. Nell’Appennino Tosco-Romagnolo, nelle provincia di Forlì-Cesena, si
produce, invece, il Raviggiolo, un latticino piuttosto raro, presidio Slow Food,
realizzato con latte vaccino crudo e da consumarsi fresco, entro tre, quattro
giorni dalla produzione. Un’altra icona gastronomica della Romagna, è
senz’altro la piadina che in Alta Romagna (Forlì e Ravenna) è preparata in una
versione più spessa, mentre nella Bassa Romagna (Riccione) è molto sottile e
sfogliata. Irresistibile in entrambe le versioni, farcita con affettati, verdure e,
soprattutto, con il famosissimo Squacquerone, un altro formaggio DOP tipico
del territorio, è l’indiscussa protagonista gastronomica di una vacanza in
Romagna. E’ buona quasi ovunque, spesso preparata al momento, soprattutto
nei numerosissimi chioschi presenti un po’ su tutto il territorio. Da assaggiare, a
Ravenna, quella de La Piadina dello Chef, in via Teodorico (poco lontano
dall’omonimo mausoleo) tel. 3394071285 e a Rimini quella della Lella.
Nella vasta gamma delle tipicità regionali non mancano certamente prodotti
ortofrutticoli garantiti da marchi DOP e IGP, che ne tutelano la qualità e ne
certificano l’origine, come le Pere dell’Emilia Romagna, le Pesche e le Nettarine
di Romagna, le Ciliegie di Vignola, le Amarene brusche di Modena e il Marrone
di Castel del Rio, cittadina che ospita anche il Museo del Castagno; tra le
verdure troviamo la Patata di Bologna, il Fungo di Borgotaro, lo Scalogno di
Romagna e il pregiato Asparago verde di Altedo.
La grande abbondanza di frutta fresca e secca, suggerisce la preparazione di
dolci tipici, come la crostata di ciliegie e di castagne, ma anche i ravioli di
marroni e le castagnole e, per Natale, il classico Pan Speziale. Inimitabili
anche la Torta Barozzi e la Torta Muratori, tipiche della cittadina di Vignola, da
gustare rigorosamente presso la Pasticceria Gollini , che ne conserva
gelosamente, da generazioni, le ricette originali.
Ad esaltare gli ottimi sapori dei prodotti e delle preparazioni regionali,
concorrono i tantissimi vini dell’Emilia Romagna, ne citiamo solamente alcuni,
tra le DOC più conosciute: Sangiovese di Romagna, Lambrusco di Sorbara,
Lambrusco Salamino di Santa Croce, Lambrusco Grasparossa di Castelvetro,
Bonarda Colli Piacentini, Gotturnio Colli Piacentini, Colli Piacentini Ortrugo,
Albana di Romagna e Trebbiano di Romagna. Gli amanti del vino, non possono
non programmare una sosta alla Enoteca Regionale della Rocca Sforzesca di
Dozza che espone oltre mille etichette di vino da scoprire e degustare.
CARATTERISTICHE ENOGASTRONOMICHE E PRODOTTI TIPICI
Regione affacciata sul mare e soggetta all'influenza dell'Austria e della
Mitteleuropa di lingua slava (la ricetta della Gubana ne è, tra le altre,
testimonianza), il Friuli-Venezia Giulia è una regione oltremodo avvincente dal
punto di vista gastronomico.
Anzitutto, dalle vigne friulane arrivano alcuni dei vini bianchi più buoni d'Italia: le
DOC di riferimento sono Collio, Colli Orientali del Friuli e Isonzo. Qualche acuto
viene anche dalla DOC più grande, Grave del Friuli, mentre le DOC meridionali
come Annia danno luogo a vini molto particolari, dal carattere salino molto
accentuato, a causa della presenza del mare. Impossibile poi dimenticare la
piccola, eroica produzione del Carso giuliano, con vitigni come la vitovska e la
malvasia istriana.
L'altra fonte di notorietà del Friuli nel mondo è il prosciutto. Il Prosciutto di San
Daniele è il prodotto di spicco dell'economia gastronomica regionale, e uno dei
vanti dell'Italia. Il paese di San Daniele del Friuli ha la caratteristica di un
microclima ideale per la stagionatura del prosciutto, e la tradizione, con aziende
della dimensione più disparata, si è mantenuta ancora oggi. Un altro prosciutto
friulano di tutto rispetto, seppure di produzione molto contenuta, è il prosciutto di
Sauris: nato nel paesino carnico in provincia di Udine, è sottoposto a un
processo di affumicatura (processo che coinvolge anche il salame e il cotechino
realizzati in loco). Della Venezia Giulia, e segnatamente di Trieste, è invece
famoso il prosciutto cotto, preso di peso dalla tradizione austro-ungarica
(ricordate il prosciutto di Praga?) e tuttora servito caldo nei localini della
merenda cittadina, i famosi buffet.
Un altro prodotto parecchio conosciuto è il formaggio Montasio, a pasta
semidura, che prende il nome dal massiccio montuoso omonimo ma è ormai
diffuso in tutta la regione. Stesso discorso per il Latteria, un grosso formaggio
dal sapore dolce, che un tempo si caseificava nelle latterie turnarie. Più raro e
peculiare è il Formadi Frant, un tempo ottenuto dai ritagli di forme di formaggi
imperfette, poi compattati insieme con l'aggiunta di panna: il tutto assume un
sapore piccante e pungente.
CARATTERISTICHE ENOGASTRONOMICHE E PRODOTTI TIPICI
Pare che la città di Rieti, nel Lazio, costituisca il centro esatto geografico
dell'Italia. E anche politicamente e culturalmente, il Lazio è una regione
centrale: il capoluogo di regione è Roma, la nostra capitale. In ogni caso, anche
le province laziali offrono al viaggiatore buone possibilità di assaggio.
Tutti conoscono la cucina romana: le paste all'amatriciana, alla carbonara, al
cacio e pepe e alla gricia sono tutte nate fuori Roma, ma tutte felicemente
adottate dalla gastronomia capitolina. Che poi si fregia di altre squisitezze quali
la coratella d'abbacchio che presentiamo, gli involtini al sugo, i saltimbocca, la
minestra di broccoli e arzilla (pesce razza) e altro. Gustosi anche i piatti del
viterbese e della Sabina.
Tra i prodotti, il più noto, il Pecorino Romano DOP, viene in realtà quasi tutto da
caseifici e allevamenti sardi: il nome non si rifà tanto all'Agro Romano, quanto
agli Antichi Romani, che pare ne avessero diritto come razione quando
andavano in guerra. In ogni caso, qualche produttore laziale di questo
formaggio sussiste ancora. Molto più raro e particolare è il Caciofiore della
campagna romana, che si chiama così perché realizzato con caglio vegetale di
cardo o di fiore di carciofo: ha un sapore pieno, allo stesso tempo acidulo e
piccante. Nella parte meridionale della regione, dalle parti di Fondi (Latina), è
tuttora radicata la produzione di Mozzarella di Bufala Campana DOP.
Tra i prodotti di carne, occorre citare la Porchetta di Ariccia IGP, che ha
ottenuto la denominazione europea proprio perché una delle più antiche: è un
maialetto sapientemente disossato e riempito di una mistura di spezie e aglio,
poi cotto al forno molto lentamente. Assai ricercata è la Salsiccia di Monte San
Biagio: nell'omonimo borgo in provincia di Latina, si è tramandata sino ad oggi
l'usanza di insaporire la carne di maiale col coriandolo fresco, facendo poi
saporite salsicce da stagionare.
Il prosciutto più famoso, viceversa, è quello di Bassiano: poco noto a livello
nazionale, questo prosciutto crudo in realtà ha una delicatezza di tutto rispetto.
Il mattino di Pasqua, la tipica “colazione” dei romani è però costituita da uova
sode e Corallina, un salame crudo a impasto molto fine, in cui spicca il grasso
bianco, tagliato a lardelli molto grossi. La Corallina ha una tradizione pure nella
non lontana Umbria.
Per quanto riguarda i vini, i Castelli Romani fanno la parte del leone con le loro
numerose denominazioni: la più blasonata è Frascati Superiore DOCG. Si
tratta, in ogni caso, di vini bianchi spensierati e leggeri. Più devota al vino
rosso è invece la parte sud della regione: vitigni come cesanese e nero buono
stanno dando risultati nient'affatto trascurabili, nelle mani di viticoltori sempre
più capaci.
CARATTERISTICHE ENOGASTRONOMICHE E PRODOTTI TIPICI
E’ sufficiente osservare la conformazione geografica della Liguria per
comprendere che mare e montagna sono le due anime che contraddistinguono
il territorio e che hanno fortemente influenzato le caratteristiche
enogastronomiche regionali. Costretto tra vette aspre e sassose, ripide valli, i
boschi e il mare, il territorio ligure è praticamente privo di larghi spazi
pianeggianti,
non è quindi praticabile l’attività di allevamento, tanto è vero che la carne bovina
è molto poco presente nella tradizione culinaria locale. Tale peculiarità trova
riscontro se si considera che, anche nella Cima alla genovese, conosciutissimo
piatto “di terra” della tradizione, la presenza di carne è, in realtà, limitata al solo
involucro che contiene per lo più verdure, formaggi e pinoli.
Grazie alla loro perseveranza e ad un tenace lavoro sopportato per secoli, gli
abitanti della Liguria sono riusciti a rendere fertili terreni, strappati in prossimità
della costa, da cui ricavano una grande varietà di verdure ed erbe aromatiche:
biete, borragine, rosmarino, timo, maggiorana e il profumatissimo basilico ligure,
con cui si prepara il rinomatissimo pesto.
Verdure e aromi personalizzano alla perfezione minestre, zuppe e torte salate,
tra cui la ben nota Torta Pasqualina. Nella gastronomia ligure sono molto
presenti anche le focacce, solitamente insaporite con erbe, verdure e formaggi,
o semplicemente con l’olio extravergine di oliva, che ha ricevuto il
riconoscimento DOP (Denominazione di Origine Protetta) dall’unione Europea,
come “Olio Extravergine di Oliva Riviera Ligure” e rappresenta uno dei fiori
all’occhiello della regione. Nella storia legata alla tradizione gastronomica della
Liguria si inserisce anche la contesa di Genova con Napoli per la primogenitura
della pasta. Nel porto di Genova giungevano infatti le navi cariche di grani duri
importati dalla Crimea; sono numerosissimi i formati di pasta, nati nella regione,
tra cui: le trofie, i corzetti e i pansoti.
Lo stretto legame con il mare garantisce un pescato ricco, con prevalenza di
pesce azzurro, ma anche di pesci di scoglio e crostacei, che suggeriscono la
preparazione di ricette tipiche come il Ciuppin, zuppa di pesce fatta con i
pesciolini avanzati al mercato e il Cappon Magro, delizioso piatto, in cui il
connubio tra i frutti del mare (pesci e crostacei) e quelli della terra (verdure) è
meravigliosamente celebrato. Nonostante non sia di provenienza locale, ma il
ruolo storico della città di Genova nell’ambito del commercio, ne giustifica la
presenza e l’utilizzo, anche il merluzzo è impiegato per la preparazione di un
altro piatto tipico della tradizione popolare: la Buridda.
La coltivazione della vite sulle terrazze a picco sul mare, favorita dal clima mite,
consente di produrre ottimi vini. Molto noti quelli provenienti dalle Cinque Terre,
tra cui ricordiamo lo schiachettrà e il cinque terre doc.
CARATTERISTICHE ENOGASTRONOMICHE E PRODOTTI TIPICI
Le vicende storiche della Lombardia, hanno visto per lungo tempo una netta
divisione tra le diverse città che, di volta in volta, cadevano sotto il dominio delle
potenze confinanti, subendone inevitabilmente l’influenza, anche per quanto
concerne la tradizione culinaria. E’, pertanto, impossibile parlare di un’unica
tradizione gastronomica lombarda, piuttosto di preparazioni tipiche diverse, che
trovano una propria collocazione nell’ambito delle numerose provincie e città
lombarde. Certo, esistono denominatori comuni, per lo più determinati dai tanti
prodotti che caratterizzano un territorio particolarmente fertile e vario, ricchissimo
di corsi d’acqua. La regione è collocata al centro della più grande pianura
italiana, dove è diffusa la coltivazione di cereali, tra cui il riso, largamente
impiegato nella cucina tradizionale. A Milano si preparano il Risotto alla
Milanese, con il midollo di bue e lo zafferano e il Risotto al Salto, il risotto alla
milanese avanzato, diviso in tortini e ripassato in padella, un tempo protagonista
indiscusso delle cene del dopo teatro a Milano. Tipico della zona del pavese è il
Risotto alla Certosina, con gamberi, funghi e piselli, ma anche il Risotto con le
Rane, offerto un po’ ovunque nelle zone risicole della Lomellina, dove le rane,
soprattutto fritte, sono spesso protagoniste anche dei secondi piatti.
A Bergamo si usa il cuore di vitello per l’elaborazione del Vitello alla
Bergamasca. Vastissima la produzione di formaggi a pasta molle e stagionatura
breve, come stracchino, crescenza e mascarpone, oggi per lo più prodotti a livello
industriale, anche se non mancano eccellenze territoriali frutto di tradizioni locali e
lavorazioni artigianali, come il Pannerone di Lodi. Rinomatissimi anche il
Gorgonzola, prodotto nell’area milanese e nel pavese, il Bitto, formaggio storico
della Valtellina e il Valtellina Casera, impiegato per la preparazione dei famosi
Pizzoccheri della Valtellina. il Taleggio, il Branzi e l’Agrì di Valtorta sono
squisitezze delle alte valli bergamasche, così come lo Stracchino all’Antica. Nella
provincia di Brescia l’eccellenza nella produzione casearia si individua nel Bagòss
di Bagolino e nel Fatulì della Val Saviore, a base di latte di capra. Vanto della
omonima valle è invece la Robiola della Valsassina.
Nel lodigiano, invece, si prepara il Risotto alla Contadina, con fagioli, pomodori,
cotenna di maiale e salsiccia . A Brescia, il riso si usa per preparare il Riso alla
Pitocca (alla povera), detto anche minestra sporca, che prevede l’utilizzo di pollo
e fegatini, mentre nel mantovano i preziosi chicchi troneggiano in almeno tre
ricette tipiche: il Riso con i Trigoli, piante acquatiche perenni, chiamate anche
castagne d’acqua, il Risotto col Puntel (con costine di maiale con l’osso) e il
Risotto con la Zucca.
Il Grana Padano è prodotto praticamente in tutte le provincie lombarde e
proprio nei territori della bassa Lombardia, nell’area compresa tra i fiumi
Adda e Mincio, ha avuto origine, nel lontano medioevo, a cura dei monaci
cistercensi dell’Abbazia di Chiaravalle. Il consumo di formaggio nella regione
è spesso abbinato a quello della polenta, un altro elemento caratterizzante
della cucina tradizionale del nord Italia, protagonista di piatti tipici, diffusi un
po’ in tutte le provincie lombarde. Assolutamente da provare la Polenta
Contadina, una ricetta a base di polenta, pasta di salame, formaggio locale,
panna e spinaci, che ha permesso al Ristorante La Trota di Laxolo, frazione
di Brembilla, piccolo paese della Valle Brembilla, non lontano da San
Pellegrino Terme, di raggiungere una certa notorietà. Nelle valli bresciane e
bergamasche e, soprattutto, in Valtellina è tipica la Polenta Taragna, fatta con
farina di mais, farina di grano saraceno e formaggio.
Nella Pianura Padana sono numerose le coltivazioni di frutta, ortaggi e foraggio,
che ha certamente incentivato l’allevamento bovino e una ricca produzione di
latte e derivati, primo fra tutti il burro, che resta l’elemento distintivo tra la cucina
del nord e quella del sud Italia. La carne bovina, in particolare il vitello, è
protagonista di piatti tipici milanesi, come gli Ossi Buchi, il Vitello Tonnato e la
celebratissima Cotoletta alla Milanese; le frattaglie di bovino sono invece
l’ingrediente fondamentale della Trippa alla Milanese, in dialetto “Busecca”,
piatto storico, dalle umili origini, che i contadini solevano preparare la notte di
Natale e durante le fiere e i mercati del bestiame.
La tradizione gastronomica regionale privilegia cotture lente, per questo
motivo, stracotti e stufati sono largamente diffusi un po’ in tutte le provincie.
Celebratissimo lo Stracotto d’Asino, cucinato nella zona di Bergamo, ma
soprattutto a Mantova, dove l’influenza della fastosa corte rinascimentale dei
Gonzaga, si ritrova anche nel gusto per le spezie e per i sapori agrodolci,
basta pensare alla Mostarda, ai Gnocchi e ai Tortelli di Zucca, spesso serviti
in un inedito accostamento con il cioccolato. La pasta ripiena trionfa un po’
in tutta la regione; i “Casonsei” (casoncelli), di carne o di magro, sono tipici
della bergamasca. A Cremona si mangiano i Marubini, ripieni di midollo di
bue, cotti in brodo di manzo, e i Tortelli Cremaschi, farciti con, uova,
formaggio, uva sultanina e cedro candito, mentre a Mantova predominano gli
Agnoli, ravioli con ripieno di cappone bollito, solitamente serviti con lo stesso
brodo di cappone. I “Caicc” sono grossi ravioli imbottiti con brasato di manzo
e conditi con burro e parmigiano, tipici della Val Camonica, mentre i
Cappellacci, ripieni di stufato di manzo e salamini conservati nello strutto, si
possono facilmente reperire nella zona della Lomellina. Tra i formati di pasta
non ripiena, spiccano le “Bardele coi Marai” (tagliatelle con la borraggine),
disponibili nei territori al confine con il veneto, i Malfatti, preparati con farina e
spinaci e, nel bresciano, i Brofadei, realizzati con un impasto di farina, burro,
uova e latte, fritto, ritagliato in quadratini e, infine, cotto nel brodo.
Il Grano Saraceno, che ha rappresentato fin dall’inizio del secolo scorso, un
elemento fondamentale della dieta dei contadini valtellinesi, è uno dei presidi
slow food della Lombardia, nonché interprete di un’altra preparazione tipica
valtellinese: gli “Sciatt”, frittelle morbide, preparate con grano saraceno,
grappa e un altro formaggio tipico valtellinese, lo Scimudin. Nella provincie di
Bergamo e Como, si usa mangiare “Polenta e Osei”, polenta di farina gialla
con gli uccellini, per lo più tordi, allodole e beccafichi, mentre a Brescia si
cucina la Polenta Pasticciata, una terrina realizzata con strati di polenta,
formaggio locale e prosciutto, poi “passata” al forno. La “Polenta Rustida”,
cioè la polenta avanza e arrostita nel burro, è diffusa nelle provincie di Varese
e Como. Gli animali da cortile e la selvaggina (pollo, oca, lepre, capriolo)
trovano largo impiego nella tradizione gastronomica regionale. A Mantova,
dove convivono tradizioni contadine, ma anche elementi di grande raffinatezza
della cucina di corte dei Gonzaga, è possibile assaggiare l’Anatra Selvatica
in umido, la Lepre alla Cacciatora e la Folaga (uccello acquatico) in umido.
A Varese si prepara la Faraona alla Creta (la ricetta originale prevede la
cottura in un impasto di creta), mentre nel bresciano si cucina l’Oca ai Ferri.
Una preparazione tipica cremonese, di origine rinascimentale, è il Timballo di
Piccione, un involucro di pasta frolla dolce, che accoglie un pasticcio di pasta
corta, condita con un intingolo di piccione disossato. Nella provincia di
Bergamo, trionfano le Terrine di Cacciagione, ma anche il Capriolo in
Umido. Una vera leccornia di Mortara, in provincia di Pavia è il Salame d’Oca
IGP; Esiste anche una versione del salame d’oca crudo e preparato senza
l’aggiunta di carne di maiale, che viene definito Salame Ecumenico d’Oca o
salame della pace, perché ingredienti e lavorazione consentono al prodotto di
essere consumato dagli osservanti delle tre principali religioni monoteiste:
Cristiana, Musulmana ed Ebraica. Altri insaccati tipici lombardi, prodotti con
carne di maiale sono, il Salame di Cremona e il Salame Milano, che unisce a
quella di maiale anche la carne bovina
Molto diffuso sul territorio, il consumo di cotechini, anche se con lo stesso
nome, si identificano spesso prodotti dalle caratteristiche e dal gusto
notevolmente diversi, a seconda della città di provenienza. Da assaggiare il
Cotechino cucinato con la Mostarda di Cremona, ma anche il Cotechino
Mantovano, dal delizioso aroma di vaniglia
A nord, la Pianura Padana è delimitata da una fascia collinare e montuosa
che consente la coltivazione di vigneti e frutteti, mentre i laghi, che occupano
una piana di origine alluvionale, che copre quasi la metà del territorio e i
numerosi fiumi, favoriscono la preparazione di ricette a base di pesce d’acqua
dolce, come lavarello, alborelle e agoni, impiegati sia per i primi, che per i
secondi piatti. Tipico il pesce fritto con la polenta, ma anche i ravioli ripieni
di pesce e il classici risotti abbinati alla tinca e al persico. Ottima l’anguilla
di fiume, proveniente dall’Adda, protagonista di un altro piatto tipico, le
Anguille alla Lombarda, insaporite con un condimento tradizionale a base di
funghi secchi e filetti di acciughe. Tra i pesci di fiume si distingue il luccio,
inserito nell’elenco dei prodotti agroalimentari lombardi da tutelare. E’ un
pesce predatore d’acqua dolce, pescabile nel Mincio, che ha dato origine a
due ricette rivaltesi, considerate prodotti tradizionali dal Ministero delle
Politiche Agricole, Alimentari e Forestali: il Luccio in Salsa e il Luccio in
Bianco, che prevede l’insolito abbinamento con il Grana Padano. I pesci di
lago vengono molto frequentemente preparati “in carpione”, ovvero fritti e
coperti con una salsa fatta con verdure, aceto e vino, metodo che serve anche
per la conservazione. Niente a che vedere con il Carpione del Garda che è,
invece, un pesce prelibato, simile alla trota, ormai quasi totalmente
scomparso, tanto è vero che rappresenta uno dei presidi Slow Food della
Lombardia; in Italia i pochi esemplari rimasti si trovano solo nel Lago di Garda
e la loro pesca è regolamentata con norme molto rigide. Nelle zone lacustri
della Lombardia, I pesci di acqua dolce vengono spesso conservati tramite
essiccatura, famosissimo il Missoltino del Lago di Como e la Sardina
essiccata del lago d’Iseo , entrambi presidi slow food
La presenza dei laghi concorre, inoltre, a mitigare il clima continentale e
permette la coltivazione di prodotti, che solitamente trovano habitat ideale
nelle zone del meridione d’Italia, come ulivi, limoni e cedri; rinomatissimo
l’Olio Extravergine di Oliva DOP Garda.
Tra i dolci spicca il tradizionale Panettone milanese, tipico dolce natalizio, da
comperare nelle pasticcerie che offrono prodotti artigianali, come la
Pasticceria Martesana di Milano e la Pasticceria Busnelli di Arluno, pizza
Cammilo Cavour, 3 Arluno (MI) – tel. 02 9017690. Altri classici sono la Torta
Paradiso, il Pan dei Mei, preparato con farina bianca, farina gialla e fiori di
Sanbuco, la Torta Sbrisolona mantovana, a base di mandorle, la Bisciola
Valtellinese, simile al panettone, ma preparata anche con farina di segale e
molta frutta secca , i tradizionali Amaretti di Saronno e la Miascia, tipica
torta lariana, a base di pane e frutta, fresca e secca.
Spumante DOCG e il Franciacorta Saten, l’Oltrepò pavese, con una produzione
vastissima, tra cui: Oltrepò Pavese Buttafuoco, Oltrepò Pavese Sangue di Giuda,
Oltrepò Pavese rosso e tra i bianchi, l’Oltrepò Pavese metodo classico DOCG e
l’Oltrepò pavese Malvasia fermo e frizzante. Dai territori montani della Valtellina,
area di elezione con le tipiche coltivazioni a terrazzamenti, provengono il
Valtellina Rosso, lo Sforzato e il Valtellina Superiore. L’area del Viadanese e del
Sabbionetano è riconosciuta per la produzione del Lambrusco Mantovano, con
caratteristiche assolutamente distintive rispetto a quello dell’Emilia Romagna,
mentre dalla bergamasca proviene uno dei doc più rari del territorio: il Moscato di
Scanzo. Nella Provincia di Milano è presente un unico doc: il San Colombano al
Lambro. Una menzione particolare va al Lugana, vino bianco proveniente da una
piccola e preziosa area vinicola sulla sponda meridionale del Garda.
Per quanto riguarda la tradizione vitivinicola, la Lombardia vanta una produzione
ampia e diversificata, grazie alla varietà di terreni e di climi. Le zone di elezione
sono la Franciacorta, nota soprattutto per gli spumanti, come il Franciacorta
CARATTERISTICHE ENOGASTRONOMICHE E PRODOTTI TIPICI
La Regione Marche è il risultato dell’unione di più territori: i Marchesati,
altrimenti detti “Marche”, di Ancona, Fano, Ascoli e Macerata; ancora oggi
conserva le sue caratteristiche di pluralità nelle diverse inflessioni dialettali che
riassumono il romagnolo, l’umbro, il romanesco e l’abruzzese e nelle
innumerevoli sfaccettature della cultura gastronomica, che ha assorbito diversi
elementi appartenenti alle cucine tipiche di tante regioni italiane. Quella della
Marche è propriamente una gastronomia di transizione tra nord e sud, con
sapori che mutano diventando via, via più sapidi, mano a mano che dal confine
con l’Emilia Romagna si scende verso sud, in prossimità della regione Abruzzo.
La cucina si distingue principalmente in cucina montana, cucina collinare e
cucina di mare; quest’ultima propone, chiaramente in prossimità delle coste,
primi piatti di mare, come la zuppa di pesce, che assume nomi diversi a
seconda della specifica area di provenienza: il brodetto alla Fanese, cucinato
in tegami di coccio, il brodetto alla Anconetana, preparato con almeno tredici
qualità di pesce, il brodetto alla Sambenedettese e quello di Porto Recanati,
rigorosamente senza pomodoro e aromatizzato con lo zafferano. Un’altra
zuppa tipica è quella di “ballari”, molluschi di scoglio, ormai introvabili; la
regione vede, inoltre, tra i suoi presidi Slow Food i moscioli di Ortonovo, cozze
“selvagge”, che si riproducono naturalmente e vivono attaccate agli scogli
sommersi della costa del Conero. Vicino al confine con l’Emilia Romagna è
usuale trovare i passatelli alla marinara.
Tra i secondi si evidenzia lo stoccafisso all’anconetana, dalla laboriosa e
lunga preparazione, le sarde a scottadito, le “crocette” i “bombi” e i
“garagoli” (molluschi) in porchetta, o al pomodoro. Tra i primi piatti di terra, a
nord, sono frequenti i passatelli, nella versione classica, oppure all’urbinate,
con aggiunta di spinaci; le tagliatelle spesse all’uovo, condite con ragù di carne
e i tortelloni di San Leo, ripieni con ricotta ed erbe selvatiche e la minestra di
cappelletti. I vincisgrassi tripudiano un po’ ovunque nella regione, ma
soprattutto nel maceratese, mentre più a sud, nella zona di Ascoli Piceno,
prevalgono i maccheroncini di Campofilone, lasagne finissime, preparate con
ben dieci uova per ogni chilo di farina e condite con ragù di manzo o di papera
muta, anche se è possibile trovarle anche con il sugo di pesce
Proprio a Campofilone si possono acquistare maccheroncini completamente
fatti a mano nella Bottega Artigianale di Irma Alessiani in via Marina, 1.
Nell’Ascolano è ancora diffuso il “civarro”, una antica zuppa dei piceni, a base
di legumi e farro. Le preparazioni a base di carne ovina, come agnello, castrato
e pecora, sono numerosissime, anche se tra i secondi primeggiano polli e
conigli in “potacchio”, cioè cotti in un umido ristretto a base di vino,
insaporito con rosmarino, prezzemolo aglio e pepe; una modalità di cottura
diffusissima nelle marche e talvolta utilizzata anche per il pesce. Un altro
metodo di condimento molto utilizzato nella cucina marchigiana è quella definito
“in porchetta”, che consiste sostanzialmente nell’aromatizzare i cibi con
finocchietto selvatico, aglio e rosmarino, proprio come si usa per la porchetta
umbra; a tale proposito è imperdibile il “coniglio in porchetta”, ma anche
lumache, vongole e stoccafisso. La carne bovina, nonostante la regione possa
vantare la razza “marchigiana”, parente stretta della “chianina”, è meno diffusa
perché i bovini, storicamente, venivano utilizzati per il lavoro e per la produzione
di latte. Nel nord della regione, in ogni caso, è possibile gustare un ottimo
pasticcio di carne bovina (la pasticciata pesarese) e l’ottima “braciola alla
urbinate”. Le zone collinari offrono ortaggi in grande quantità e qualità: i
cavolfiori di Jesi, i piselli di Potenza Picena, i carciofi di Montelupone, i cardi
della valle del Trodica, protagonisti della rinomatissima “parmigiana di gobbi”, le
fave di Ostra, e i “pincicarelli”, piante cardacee che si trovano solo nella zona
di Ancona, che si gustano fritti, oppure preparati con il classico potacchio. La
fascia montana, in prossimità degli Appennini, accosta a piatti rustici, come la
porchetta, deliziosi sughi e raffinate bruschette, preparate con i tartufi di cui
sono ricche soprattutto la zone di Acqualagna, Visso e Sant’Angelo in Vado.
Questa specifica area geografica garantisce la maggior parte della produzione
nazionale di tartufi di differenti qualità: bianco, bianchetto, nero d’inverno e
scorzone; i tartufi marchigiani sono peraltro gli unici in grado di competere con
quelli piemontesi.
Tra gli insaccati si distingue il ciauscolo, salame spalmabile aromatizzato con
aglio, finocchio, vin cotto e, talvolta, tartufo, reperibile un po’ ovunque nella
regione, anche se le zone di elezione per questa specialità sono le provincie di
Ascoli Piceno e Macerata. Infatti, a Loro Piceno, in via Regina Margherita, 2 si
trova la Macelleria Giuseppe dell’Orso (detto Peppe Cotto), famoso per le sue
rime baciate, per le sculture di lardo e per il suo ciausculo. Nell’Ascolano si
producono anche ottime salsicce di fegato, mentre dalla provincia di Pesaro e
Urbino provengono i noti prosciutti di Carpegna e, dalla zona di Ancona, il
celebre salame di Fabriano (presidio Slow Food).
Nei monti Sibillini, un massiccio montuoso situato tra le Marche e l’Umbria,
maestoso scenario del Parco Nazionale dei Monti Sibillini, si producono ottimi
formaggi, tra cui il pecorino. A Cupi, piccola frazione nel Comune di Visso, è
possibile vedere un interessante Museo della Pastorizia ed è assolutamente
obbligatoria una sosta alla azienda agricola “Pastorello di Cupi”, che produce
formaggi con metodi di antica tradizione, in particolare pecorino fresco o
stagionato, pecorino in foglia di noce, oppure aromatizzato al peperoncino e allo
zafferano. Il consumo di pecorino è molto diffuso anche nella provincia di Ascoli
Piceno; a Monte Rinaldo si produce, tra l’altro, un formaggio pecorino dal
sapore unico, derivante dal particolare aroma conferito dalle foglie di serpillo,
pianto aromatica di cui sono ricchi i pascoli della zona. Tra gli altri formaggi
tipici della regione spiccano le caciotte di Montefeltro, quelle del Fermano, le
casciotte di Urbino e il formaggio di fossa, tipico del Montefeltro marchigiano ed
emiliano. Molti dei formaggi sopra elencati si utilizzano per preparare la
tradizionale pizza al formaggio, che un tempo, allietava la Pasqua dei
marchigiani. Nella Marche la coltivazione dell’ulivo risale all’VIII secolo prima di
Cristo ed è particolarmente diffusa nelle zona di Ascoli Piceno e Macerata. Nella
regione si produce olio extravergine di oliva di ottima qualità, raro e raffinato;
molto rinomato è, ad esempio, l’olio extravergine di oliva di Cartoceto. Con i
frutti di questa pianta secolare si preparano, inoltre, le olive all’Ascolana uno
degli antipasti italiani più conosciuti e diffusi.
I dolci sono per lo più di origine contadina, realizzati con diversi ingredienti, a
basso costo, facilmente reperibili nelle campagne, tra gli altri: i Biscotti al
vino, il Ciambellone e i Funghetti di Offida.
Relativamente all’enologia, le Marche si contraddistinguono per una produzione
all’avanguardia, sia per la qualità del vino, sia per il numero di aziende che
producono vino biodinamico. Tra i vini DOC più rinomati, troviamo: Conero
DOCG, Rosso Piceno, Colli Pesaresi Rosso , Lacrima di Morro d’Alba,
Bianchello del Metauro , Falerio dei Colli Ascolani e il notissimo Verdicchio dei
Castelli di Jesi classico e spumante e il Verdicchio di Matelica classico e
spumante e, infine, la Vernaccia di Serrapetrona (secco e dolce).
CARATTERISTICHE ENOGASTRONOMICHE E PRODOTTI TIPICI
L'agricoltura della regione e‘ molto ricca di tradizioni e di itinerari
enogastronomici ma poco organizzata per la tutela delle denominazioni,
poiché la maggior parte delle specialità viene ancora gelosamente custodita
dalla tradizione familiare.
Oltre all'olio extravergine Molise DOP, sono prodotti tipici del Molise
riconosciuti altri cinque con zona di produzione interregionale.
II Caciocavallo Silano DOP nasce, come la stessa denominazione evidenzia,
in Calabria ma il Molise produce ugualmente dell'ottimo Caciocavallo che si
può acquistare presso i numerosi caseifici artigianali.
Il Vitellone Bianco dell'Appennino Centrale IGP e' un altro prodotto tipico
molisano : l'allevamento delle razze bianche da carne (Romagnola, Chianina,
ma soprattutto Marchigiana) gode di una lunga tradizione. Erano gli animali da
lavoro con cui, aggiogati due a due, si lavorava il terreno; oggi sono allevati per
la produzione di carne. La macellazione avviene tra i 12 e i 24 mesi. La carne
che se ne ricava è di notevole qualità e risente positivamente del fatto che si
tratta di animali allevati per gran parte dell'anno allo stato brado, con largo
impiego di pascolo e foraggi freschi che conferiscono alla carne aromi
caratteristici a seconda della composizione floristica dell'alimento.
Nella regione si producono anche i Salamini Italiani alla Cacciatora DOP,
laMozzarella di Bufala Campana DOP e la Ricotta di Bufala Campana DOP.
Per finire, un itinerario che unisce all'interesse turistico la possibilità di
acquistare sul posto i prodotti di cui sinora si è parlato: da Isernia sino a
Capracotta, passando per Agnone. Lungo la strada - in tutto sono una novantina
di chilometri - e' tutto un susseguirsi di specialita' enogastronomiche. Ad
Agnone, famosa per essere la capitale dell'artigianato delle campane, si
producono ottimi caciocavalli.Un pittoresco comune di alta montagna (1241
metri sul livello del mare), Capracotta , è invece rinomato per la tradizione di un
eccellente carne di castrato.
Tra i vini DOC del Molise - dal Biferno al Pentro d'Isernia - e molti altri ancora -
spicca la Tintilia che costituisce l' ingrediente principale del famoso piatto dello
Scattone.
Nelle vallate umide interne delle provincie di Isernia e Campobasso e' Il Tartufo
Bianco Pregiato a detenere il primato dell'eccellenza del sapore, motivo per cui
viene tanto apprezzato dagli chef di tutto il mondo.
Le aree più rinomate sono S.Pietro Avellana, Capracotta, Carovilli (IS) e Boiano
(CB).
Nelle zone più asciutte si raccoglie in abbondanza lo Scorzone e l'Uncinato.
CARATTERISTICHE ENOGASTRONOMICHE E PRODOTTI TIPICI
La qualità dei prodotti del territorio, una tradizione culinaria ricca e antica e un
attento lavoro di ricerca, modernizzazione e tutela del territorio, inseriscono il
Piemonte tra le mete favorite del turismo enogastronomico in Italia. Dalla terra,
dal bosco e dalla stalla si ottengono prodotti di altissima qualità, come riso,
tartufi (il pregiatissimo bianco d’Alba), nocciole, carne bovina ed una infinita
varietà di formaggi, che concorrono a realizzare moltissimi dei piatti della cucina
tradizionale piemontese, tra cui le “panisse”, i risotti, le paste ripiene
aromatizzate al tartufo o ai formaggi, la gianduia e il rinomatissimo bollito.
Ricette segrete, tramandate di generazione in generazione, danno origine alle
tipiche salse che accompagnano solitamente i piatti di carne, ma anche
formaggi e verdure, come il “bagnet verd”, il “bagnet ross” e la gustosissima
“Bagna Càuda” servita nel “fojot”, tipico contenitore in terracotta con fornellino,
per mantenere la salsa in caldo. La pregiata carne piemontese è spesso
presente anche nei primi piatti, protagonista del ripieno degli agnolotti e dei
tradizionali “ravioli del plin”, serviti con il sugo d’arrosto o con una riduzione al
vino rosso. Per assaggiarli, il luogo ideale si chiama Plin & Tajarin, a Torino, non
lontano dal palazzo di giustizia; il locale è piccolo, ma è una vera e propria oasi
di gusto.
L’indiscusso re dei secondi piatti della trazione regionale del Piemonte è, senza
dubbio, il gran bollito piemontese; la ricetta originale, ricostruita dalla
Accademia Italiana della Cucina, vuole che sia preparato con sette tagli di polpa
(tenerone, scaramella, muscolo di coscia, muscoletto, spalla, fiocco di punta,
cappello del prete), sette ammennicoli (lingua, testina col musetto, coda,
zampino, gallina, cotechino, rollata) e sette salse, o “bagnetti” (verde rustico,
verde ricco, rosso, cren, mostarda, cognà e salsa al miele) e che sia
accompagnato da sette contorni. Una piatto “robusto” e sicuramente
impegnativo, peraltro difficile da trovare nella versione originale, anche se
all’Osteria dei Cinque Piatti a Torino, ripropongono la ricetta storica del bollito
risorgimentale piemontese, proprio come amava gustarlo Vittorio Emanuele II.
La cultura casearia custodisce, soprattutto nella zona delle Langhe, tradizioni
secolari, che portano sulle tavole italiane ottimi formaggi, tra i più conosciuti: il
Murazzano, la Toma Piemontese, la Robiola di Roccaverano e il superlativo
Castelmagno. Da segnalare anche i salumi, come il Salam d'la duja, salsiccia
ricoperta di strutto fuso e preparata in un canestro di terracotta, detto doja, il
fidighin, mortadella di fegato condita con Barbera e purè e il Meiron'd crava,
capra affumicata in salamoia.
Il fine pasto è delizioso con i classici dolci della tradizione tra cui lo zabaione, il
bonet e la torta con le pregiate nocciole delle langhe. Da non trascurare la
lunga tradizione cioccolatiera della città di Torino, che ci ha consegnato grandi
specialità come il “bicerin” e la celebratissima nutella. Torino ha espresso anche
attraverso la passione per il cioccolato la sua attitudine alla innovazione
sperimentando, agli inizi dell’800, un’apparecchiatura che consentiva di
trasformare cacao, vaniglia, acqua e zucchero in una tavoletta solida, dando
vita ad una inedita specialità, il cioccolatino, da allora in poi declinato in infinte
varianti: praline, bonbon, tartufi, cremini e i celeberrimi gianduiotti . Ancora
oggi nella capitale sabauda, hanno sede importanti aziende del settore
(Caffarel, Streglio, Feletti) e, soprattutto, grandi realtà artigianali e antiche
pasticcerie, come quella della famiglia Giordano, l’unica a produrre ancora il
cioccolatino “tagliato a mano”, e quella della famiglia Peyrano. Da Platti, invece,
altro locale storico della città, luogo di ritrovo di intellettuali e borghesi
nell’epoca monarchica, oltre alla pasticceria, si possono apprezzare ottimi
aperitivi con una vastissima scelta di finger food, tartine e canapè.
Di sicura importanza anche la tradizione enologica, valorizzata da produzioni di
assoluta qualità, provenienti delle regioni classiche di eccellenza: Langhe,
Monferrato e Roero; Tra i numerosi ricordiamo: Barolo, Barbaresco, Roero
Arneis, Dolcetto d’Alba, oltre alla ben nota Barbera d’Asti e del Monferrato. Di
grande pregio anche la produzione di vini bianchi, tra cui è impossibile non
ricordare l’Erbaluce di Caluso e il Gavi o Cortese Gavi, nonché numerosi vini
da dessert, tra cui il Moscato d’Asti, e il Brachetto d’Acqui. Molto conosciuti e
celebrati anche le grappe e il vermouth, inventato proprio a Torino, alla fine del
‘700, da Benedetto Carpano.
Non è quindi un caso che, proprio in Piemonte, sia nata l’Associazione Slow
Food, che opera per promuovere il consumo di cibo sano e per la tutela dei
territori e della biodiversità.
CARATTERISTICHE ENOGASTRONOMICHE E PRODOTTI TIPICI
La Puglia è una regione pressoché pianeggiante, l’assenza di rilievi montuosi di
una qualche rilevanza, capaci di rappresentare barriere naturali, sia verso
l’interno, che verso l’esterno, ha contribuito, non solo a rendere piuttosto
omogenea la cucina regionale, ma anche ad esporla all’influenza delle culture
gastronomiche delle regioni confinanti. In effetti, la Puglia condivide non pochi
prodotti e preparazioni con la vicina Basilicata e, in generale, con le altre regioni
del sud; solo per fare un esempio, l’utilizzo delle fave ridotte in purea, è una
modalità costante diffusa anche in Sicilia e Calabria e conosciuta con il nome di
Maccu.
Le dominazioni occorse in epoche antiche, hanno ugualmente contaminato la
gastronomia pugliese, che ha altresì assimilato tradizioni gastronomiche di altri
popoli.
La conformazione del territorio, costituito da zone pianeggianti e collinose e da
un clima particolarmente mite ha, di fatto, privilegiato lo sviluppo dell’agricoltura
e dell’allevamento. La tradizione gastronomica è caratterizzata dall’utilizzo
creativo dei prodotti della terra, in particolare cereali, legumi e ortaggi, tra cui
spiccano due tipicità: il lampascione e il fungo cardoncello. Anche la
frutticoltura, in particolare, gli agrumi trovano nella zona del tarantino un area di
eccellenza; La frutta secca e quella fresca essiccata, in particolare i fichi, è
spesso impiegata insieme a miele e mosto di uva nella preparazione dei dolci
tipici pugliesi: mostaccioli e cartellate. Diffusissima la coltivazione della vite e
dell’ulivo, tanto che la produzione dell’olio extravergine di oliva rappresenta, sia
qualitativamente, che quantitativamente, il portabandiera della regione. Dal
promontorio del Gargano fino al Salento si contano ben cinque oli extravergini
di oliva a denominazione di origine protetta: Dauno DOP, Terre di Bari DOP,
Collina di Brindisi DOP, Terre Tarentine DOP e Terre d’Otranto DOP. Per
assaporarne appieno il gusto, che si distingue a seconda della varietà degli
olivi utilizzati e delle caratteristiche del terreno, è sufficiente abbinarlo ad un'altra
bontà tipica, il pane di Altamura; la cultura gastronomica popolare pugliese è,
del resto, molto legata alla tradizione del pane, alimento povero che
caratterizzava, anticamente, la cucina frugale dell’entroterra; abbrustolito sul
camino e abbinato a olive, erbe di campo, verdure fresche, oppure conservate
sottolio, spesso in modo casuale o determinato dalla disponibilità degli
ingredienti, non mancava nel convivio dei contadini ed è, ancora oggi,
protagonista dei gustosissimi antipasti tipici della cucina pugliese.
I prodotti da forno sono innumerevoli, molti dei quali condivisi con altre regioni
del sud, dai notissimi taralli, spesso aromatizzati con finocchio o peperoncino,
alle friselle, senza tralasciare la tipica focaccia pugliese, condita con il
pomodoro fresco e la gustosissima “puddica”, preparata con farina e patate e
condita con cipolle e pomodoro fresco.
La coltivazione dei cereali, in particolar modo del frumento, racconta sul
territorio una storia antichissima, tanto è vero che la Puglia è considerata
l’antica capitale del grano; pur vantando produzioni industriali di grande qualità,
che la collocano in una posizione di sicuro rilevo nella filiera della produzione di
pasta in Italia, la regione conserva intatta la tradizione della pasta fresca; nel
pranzo della domenica sono, ancora oggi, molto presenti, strascinati,
orecchiette e cavatelli, rigorosamente fatti in casa, conditi con la cima di rapa o
alla barese, con un ragù preparato con carne di maiale, agnello manzo e
salsiccia.
Dalla tradizione contadina provengono anche le zuppe, preparate con cereali e
legumi, una volta lessati in pignate di terra cotta; proprio la zuppa, fave e
cicorie, classica pietanza povera locale, è divenuta di gran moda, negli ultimi
anni, rivisitata da grandi chef e servita nei migliori ristoranti, non solo in Puglia.
La coltura dei legumi dominante in tutta la cucina mediterranea, trova alcune
delle sue eccellenze in due prodotti regionali: il cece nero della Murgia Carsica
e la fava di Carpino.
Lo sviluppo dell’attività di allevamento ha, con il tempo, arricchito quella cucina
frugale povera e, spesso casuale, di uova, formaggi e carne, in prevalenza
ovina, anche se non mancano eccellenze nell’allevamento bovino; tra i presidi
slow food della Puglia, troviamo la Vacca podolica del Gargano e la Capra
garganica.
I formaggi freschi a pasta filata primeggiano nella zona di Andria, luogo di
eccellenza per la produzione e lavorazione del latte, che vede una notevole
presenza di caseifici, anche artigianali; oltre alla famosissima mozzarella,
meritano una menzione particolare la burrata e il Fiordilatte, in particolare
quello prodotto dal Caseificio Olanda, selezionato dal Gambero Rosso tra i
dieci migliori d’Italia.
Quasi totalmente bandita dall’alimentazione moderna, particolarmente attenta
alla salute, in Puglia, la frittura resta una modalità di cottura molto adoperata;
lungo le stradine lastricate del borgo antico di Bari, l’aria è intrisa dall’odore di
frittura proveniente da padelloni fumanti dove, ancora oggi, si friggono
sgagliozze, tranci di polenta fritta e pòpizze, frittelle sferiche croccanti fuori e
morbide dentro, fatte con un semplice impasto di farina; due preparazioni tipiche
della gastronomia tradizionale barese.
Attraversando la Puglia sono tantissimi i colori, gli odori e i sapori che si
sovrappongono, non ultimo quello del pesce, perché la variegata gastronomia
pugliese, si riassume nella antica tradizione contadina delle Murge, nella bontà
dei prodotti essiccati o conservati sottolio, arte e genialità della terra dei trulli,
ma anche nella varietà dei prodotti ittici di cui dispone, grazie agli oltre
ottocento chilometri di costa che la percorrono. Ed ecco la pasta fresca,
sublimata dai meravigliosi sapori del mare, con il ragù declinato alla marinara,
chiamato ciambotto, le zuppe di pesce, il polpo cucinato nella tradizionale
pignata salentina e la tiella di riso patate e cozze, dove traspare con forza la
contaminazione culinaria originata dalla dominazione spagnola; e, per finire,
una irrinunciabile usanza dei baresi, il “crudo di mare”, trionfo di molluschi,
crostacei e prelibati ricci; per assaggiarlo sono due gli indirizzi, entrambi a Torre
a Mare, borgo di pescatori poco distante dal centro della città: da Nicola - viale
Principe di Piemonte, 3 tel 080 5430043 - locale a conduzione familiare con
annessa pescheria e terrazza sul porticciolo, che propone un menù tradizionale,
apprezzabile soprattutto per la freschezza del pesce e la più recente Taverna Le
Rune, biosteria con piatti della cultura mediterranea, interpretati in modo
creativo e con un tocco “fusion”. Insolito, ma riuscito, l’accostamento tra pesce e
birra artigianale.
A dispetto dell’antichissima tradizione della coltivazione della vite, che in Puglia
risale addirittura a circa duemila anni prima di Cristo, la produzione di vini con
prerogative adeguate alla qualità dell’uva, è storia relativamente recente. Fino a
non molti anni fa, infatti, i vini pugliesi servivano prevalentemente per esaltare
vini prodotti al nord. Per contro, oggi, la Puglia ha raggiunto una qualità
elevatissima nella produzione. La gamma è vastissima, dalla Daunia al Salento;
segnaliamo alcuni tra i vini doc maggiormente apprezzati, provenienti da vitigni
autoctoni: San Severo, Cacc'è Mmitte di Lucera, Primitivo di Manduria,
Moscato di Trani, Ostuni, Aleatico di Puglia, Salice Salentino, Leverano,
Squinzano e l’ormai famosissimo Negroamaro. Di recente, la regione ha
ottenuto notevoli riconoscimenti per la produzione di vino rosato, una tipologia
che sta riscuotendo grande interesse tra i consumatori; dei dieci principali vini
rosati prodotti in Italia, ben quattro provengono dal territorio pugliese.
CARATTERISTICHE ENOGASTRONOMICHE E PRODOTTI TIPICI
Un'isola con una gastronomia multiforme: questa è la Sardegna, una regione
che ha tratti quasi “esotici” in molte sue espressioni culturali. La cucina non è da
meno: le aragoste e i tonni di Carloforte convivono con i malloreddus
(gnocchetti sardi), con l'arcinoto maialetto arrosto, e con preparazioni ancor più
ancestrali a base d'agnello, grande risorsa sarda.Proprio da questa cultura della
pecora e della capra, ci viene uno dei prodotti più rari: il callu de cabreddu. Si
tratta di uno stomaco di caprettoin cui è versato latte di capra: il caglio presente
nello stomaco fa coagulare il latte, che diventa così un particolarissimo
formaggio. Anticamente si usava addirittura lo stesso stomaco ancor pieno di
latte di un capretto appena ucciso, sfruttando quindi il latte già presente.Gli altri
formaggi sardi sono senza dubbio più facili da approcciare. Il Pecorino Romano
DOP, che fa riferimento, nel nome, a quei soldati romani cui spettavano razioni
di formaggio, è prodotto quasi totalmente in Sardegna: di grandi dimensioni, è
caratterizzato da una pasta dura, perfetta da grattugiare. Più piccolo, ma
ugualmente idoneo a stagionatura, è anche il Pecorino Sardo DOP, mentre il
Fiore Sardo DOP ha un sapore più dolce. Assai ricercato è il Pecorino di Osilo,
molto raro, prodotto nel Sassarese e caratterizzato dalla pasta molto pressata.
Tra i formaggi di latte di mucca, è oltremodo interessante il Casizolu del
Montiferro: un formaggio della famiglia dei caciocavalli, ottenuto anche da latte
di antica razza sardo-modicana.Salumi? Anzitutto, la salsiccia sarda di maiale,
di forma allungata e spesso piegata a U. Poi, il prosciutto crudo, spesso
ottenuto da maiali allo stato brado: uno dei più famosi è quello di Desulo, un
piccolo centro sulle pendici del massiccio del Gennargentu. Da tempo, inoltre,
qualche azienda ha lanciato la produzione di caratteristici insaccati di pecora,
molto saporiti.E' impossibile chiudere la rassegna gastronomica sarda senza
menzionare la bottarga di muggine, ottenuta dalle uova dei cefali essiccate:
quella dello stagno di Cabras, vicino Oristano, è particolarmente rinomata.Il vino
sardo per antonomasia è il Cannonau, un rosso di gran corpo, ottenuto da
un'uva che si dice imparentata con la grenache.
CARATTERISTICHE ENOGASTRONOMICHE E PRODOTTI TIPICI
La cucina siciliana forse non ha bisogno di presentazioni, eppure va ricordata:
un tripudio di colori, di profumi e di sapori che ha letteralmente conquistato il
mondo. Alzi la mano chi non ha mai assaggiato la pasta con le sarde alla
palermitana. Oppure la pasta alla Norma, con le melanzane (ortaggio in cui i
siculi sono maestri), dedicata dai catanesi alla protagonista dell'opera più nota
del loro concittadino Vincenzo Bellini. Già meno probabile e frequente è
l'assaggio del cuscus (anzi, cuscusu) alla trapanese, o della gelatina di maiale
della Sicilia orientale. Con la dolcissima cassata torniamo invece alle ricette
arcinote, mentre col pani c'a meusa (panino con milza) torniamo alla
poverissima tradizione popolare.
Dalla Sicilia ci viene uno dei più grandi formaggi italiani, anche per dimensione:
il Ragusano. Appartenente alla famiglia dei caciocavalli, ha la forma di un
grosso parallelepipedo, e viene stagionato (anche per molti mesi) letteralmente
“impiccato” a una robusta corda. Imparentati col Ragusano per la filatura della
pasta, ma non per forma e sapore, sono poi la Provola dei Nebrodi e la Provola
delle Madonie. Pure di pasta filata, ma di latte di pecora (unico caso in Italia), è
la morbida, carezzevole Vastedda del Belice, formaggio ricercatissimo e molto
fine malgrado la genesi povera.
Importantissima la cultura del latte di pecora: il Pecorino Siciliano ha ottenuto la
DOP, ma dalle greggi si ottiene anche molto altro. Per esempio, il Piacentinu di
Enna, aromatizzato con pepe e zafferano. O il Maiorchino, di grossa dimensione
e con una percentuale di latte di capra, nato nel territorio dei dintorni di Messina.
Tra i salumi, particolarmente pregiati sono pancette, salami e prosciutti ottenuti
da carni di maiale nero dei Nebrodi. Interessante anche il Salame di
Sant'Angelo in Brolo, caratterizzato dalla macinatura grossa, a punta di coltello.
La Pasqualora è una salsiccia rossa piccante prodotta tradizionalmente nel
Trapanese.
Ricca e variegata è la produzione di vino, orgoglio dell'isola. Ci piace ricordare
uno dei più apprezzati, il Passito di Pantelleria.
CARATTERISTICHE ENOGASTRONOMICHE E PRODOTTI TIPICI
Parlare dell'importanza del mangiare e del bere in Toscana equivarrebbe a
scrivere un libro. Ci limitiamo a dire che la terra granducale è da sempre uno dei
nuclei del buon gusto e del buon vino italiano, nonché patria di una cucina che
non è mai uguale a se stessa. C'è la tradizione marittima di Viareggio e Livorno;
ci sono le ricette di caccia della Maremma; la cucina montanara della
Garfagnana e della Lunigiana; le grandi specialità fiorentine; i sapori poveri del
Mugello. C'è di tutto, insomma. E ci sono, soprattutto, tante zuppe: la pappa col
pomodoro; la ribollita, di cui forniamo la ricetta; la Garmugia lucchese; la
minestra di riso e lampredotto. Quest'ultimo è il quarto stomaco del bovino,
dunque entra nella famiglia delle trippe, che a Firenze e dintorni hanno
grandissime benemerenze.
I vini, rinomati a livello internazionale, contemplano autentici pezzi da novanta
dell'enologia italiana. Per limitarci alle denominazioni, la Santa Trinità è quella
composta da Chianti, Vino Nobile di Montepulciano e Brunello di Montalcino,
tutti e tre a base sangiovese. Negli ultimi trent'anni ha avuto pure grande
successo il vino di Bolgheri, nella fascia litoranea tra Livorno e Piombino: il
Sassicaia ne è un esempio.
Parlare dell'importanza del mangiare e del bere in Toscana equivarrebbe a
scrivere un libro. Ci limitiamo a dire che la terra granducale è da sempre uno dei
nuclei del buon gusto e del buon vino italiano, nonché patria di una cucina che
non è mai uguale a se stessa. C'è la tradizione marittima di Viareggio e Livorno;
ci sono le ricette di caccia della Maremma; la cucina montanara della
Garfagnana e della Lunigiana; le grandi specialità fiorentine; i sapori poveri del
Mugello. C'è di tutto, insomma. E ci sono, soprattutto, tante zuppe: la pappa col
pomodoro; la ribollita, di cui forniamo la ricetta; la Garmugia lucchese; la
minestra di riso e lampredotto. Quest'ultimo è il quarto stomaco del bovino,
dunque entra nella famiglia delle trippe, che a Firenze e dintorni hanno
grandissime benemerenze.
I vini, rinomati a livello internazionale, contemplano autentici pezzi da novanta
dell'enologia italiana. Per limitarci alle denominazioni, la Santa Trinità è quella
composta da Chianti, Vino Nobile di Montepulciano e Brunello di Montalcino,
tutti e tre a base sangiovese. Negli ultimi trent'anni ha avuto pure grande
successo il vino di Bolgheri, nella fascia litoranea tra Livorno e Piombino: il
Sassicaia ne è un esempio.
CARATTERISTICHE ENOGASTRONOMICHE E PRODOTTI TIPICI
Le caratteristiche gastronomiche del Trentino Alto Adige sono il risultato del
delizioso connubio tra la cucina veneta, di tradizione tipicamente italiana, e
quella viennese. L’icona gastronomica è rappresentata dallo speck, ma la
regione offre un vasto catalogo di carni salate, affumicate e stagionate, come la
carne fumada di Siror, ; tra i presidi slow food, troneggiano le ciuighe del
Banale, salame tipico composto da carne suina mescolata con rape e la
mortandela della Valle di Non (da non confondere con la mortadella),
rinomatissima quella di Smarano dove ha sede la storica macelleria salumeria
dei Fratelli Corrà, che lavorano da oltre un secolo carni pregiate e salumi
trentini.
I canederli, fortemente ispirati ai knoedel mitteleuropei, serviti conditi con burro,
speck, oppure in brodo e insaporiti con grana del trentino, sono i protagonisti
incontrastati dei primi piatti; diffusissimi anche gli strangolapreti, una versione
locale degli strozzapreti toscani, importati durante il famoso Concilio di Trento,
che prevedono - come i canederli - l’utilizzo di pane raffermo. Particolarissimi,
anche se molto lontani dalla tradizione gastronomica italiana, sono i cianucei,
ravioli ripieni di marmellata, saltati in padella con burro e pane.
Le vallate lussureggianti e i verdi pascoli del Trentino Alto Adige distesi fino
alle cime più alte delle Dolomiti sostengono una produzione casearia di
altissima qualità: latte, lavorato ancora oggi con le stesse tecniche millenarie
di una volta, burro, yogurt e, soprattutto, formaggi. Il tagliere della regione è
ricchissimo, oltre al classico Dolomiti della Val di Fiemme, si spazia dal
puzzone di Moena, tipico della Val di Fassa, al casolet della Val di Sole, fino al
vezzena della regione di Trento; tra i formaggi freschi spicca la poina, una
specie di ricotta, talvolta salata e affumicata.
Il Grana Padano del Trentino, chiamato Trentingrana, rientra nella
denominazione Grana Padano DOP. Provengono invece dall’arco alpino
tirolese il classicissimo Tirolese e il GrauKaese (formaggio grigio), che si
gusta condito con aceto, oppure olio ed erbe aromatiche; questo formaggio è
il protagonista di una nota ricetta del Cucchiaio d’Argento che lo interpreta
servendolo con cipolla fresca, olio e aceto.
CARATTERISTICHE ENOGASTRONOMICHE E PRODOTTI TIPICI
L'Umbria, il cuore verde d'Italia, si rivela essere una regione assai gratificante
anche per il buongustaio. La cucina umbra è fatta di cose semplici, tradizionali,
molto radicate alle ottime materie prime locali.
L'olio extravergine d'oliva, tanto per dire, può vantare un'importanza produttiva e
qualitativa di tutto rispetto: in questa piccola regione ci sono 27.000 ettari di
oliveti, 250 frantoi, una produzione media collocabile intorno ai 90.000 quintali
annui d'olio di cui 8.000 certificati con la DOP Umbria.
Norcia (Perugia) è città famosissima a livello mangereccio. Anzitutto per il
tartufo nero, appunto, di Norcia: profumato e intrigante, più che a crudo (uso per
cui sono perfetti i tartufi bianchi) è ideale da impiegare in cottura, in preparazioni
anche complesse.
Fa parte del comprensorio di Norcia anche l'altipiano di Castelluccio, da cui
originano le lenticchie di Castelluccio IGP, tra le più famose d'Italia, di piccola
dimensione e dalla buccia sottile.
Terzo famoso prodotto della cittadina è il Prosciutto di Norcia IGP, un prosciutto
crudo che si giova della stagionatura nel particolare microclima della Valnerina.
L'ultimo grande prodotto legato a Norcia è il formaggio pecorino: in Umbria,
come nella vicina Toscana, la cultura del latte di pecora è radicata da secoli.
Altri salumi umbri interessanti? La Barbozza (o, al maschile, Barbozzo) è il
guanciale del suino, debitamente stagionato. Il Mazzafegato, o Ammazzafegato,
è una salsiccia che, come intuibile dal nome, contiene forte percentuale di
fegato suino: è tipica della Valtiberina.
Quanto al bere, in Umbria sono molto noti i bianchi di Orvieto, seppure anche i
rossi, specie nella zona di Torgiano, possano offrire bottiglie interessanti.
CARATTERISTICHE ENOGASTRONOMICHE E PRODOTTI TIPICI
La cultura enogastronomica della Valle d’Aosta è fortemente influenzata
dall’utilizzo esclusivo di prodotti locali, dovuto ai limitatissimi scambi con
l’esterno. A differenza delle altre regioni italiane, che risentono dell’influenza
delle reciproche culture gastronomiche, la cucina valdostana ha, di contro,
grande affinità con le tradizioni culinarie delle regioni transalpine confinanti:
Savoia, Alta Savoia e Vallese.
I prodotti agroalimentari della tradizione locale sono rappresentati dai cereali di
montagna, dalle verdure (rape, patate, cipolle e porri) da mele, pere e
castagne, oltre che dalla carne bovina, suina (rinomatissimo il lardo d’Arnad) e
dalla selvaggina. La carne viene impiegata prevalentemente per “umidi”,
preparati con sughi elaborati, arricchiti di panna e formaggi; notevole la scelta di
salumi e insaccati, assolutamente da assaggiare il prosciutto di Bosses.
Irrinunciabile è anche la polenta, che accompagna sempre i primi piatti. La
produzione casearia è piuttosto varia, sopratutto per quanto riguarda i formaggi
a pasta morbida, tra cui la fontina, protagonista dei pochi piatti che hanno
superato i confini regionali: la fonduta, fontina sciolta con latte, burro e tuorli
d’uovo e la polenta concia.
Totalmente assente è la coltivazione del frumento, tanto è vero che si utilizza il
pane di segale e la pasta non compare del tutto nei menù tradizionali; anche
l’olio extravergine di oliva è scarsamente utilizzato ed è sostituito, nella
preparazione delle pietanze, dal burro o da altri grassi, sia di origine vegetale,
che animale. Anche le zuppe sono molto diffuse, tra tutte, quelle di più antica
tradizione sono la zuppa di Valpelline e la seupetta de Cogne.
La presenza della Alpi che proteggono la regione dalle correnti fredde e umide
provenienti da nord e da ovest ha, già dai tempi dei romani, contribuito a creare
condizioni favorevoli per la coltivazione della vite. La possibilità di effettuare
coltivazione ad altitudini e pendenze diverse, ha inoltre consentito ai “vignerons”
locali, di utilizzare una svariata quantità di vitigni e di produrre vini di ottima
qualità, sia rossi, che bianchi. Tra i più noti, e tra i primi ad ottenere la
denominazione di origine controllata: l’Enfer e il Donnas, ma è possibile anche
degustare Muller Thrugau, Pinot Grigio e Chardonnay di grande pregio. Di pari
passo con quella del vino, naturalmente di grande qualità, anche la produzione
di grappa.
CARATTERISTICHE ENOGASTRONOMICHE E PRODOTTI TIPICI
Impossibile tentare una panoramica gastronomica del Veneto, senza
sottolineare come questa regione sia una delle maggiori produttrici di vino in
Italia. A parte una numerosa quantità di vino di basso prezzo, il Veneto brilla
anzitutto per i vini del Veronese: il Valpolicella e il suo “fratello maggiore”,
l'Amarone, per i rossi, e il Soave per i bianchi. Altra produzione di rinomanza
internazionale è quella del Prosecco, che ha i suoi due poli produttivi più antichi
nella zona di Conegliano e Valdobbiadene, nonché in quella, meno nota, di
Asolo. Vini di tutti i tipi sono poi prodotti sui Monti Berici (Vicenza) e sui Colli
Euganei (Padova), dove tuttora nascono dei Cabernet di grande autenticità.
Tutti si prestano agli accostamenti con la ricca e varia cucina veneta, che vede
la convivenza di ricette montanare (Belluno), baccalà (Vicenza e Venezia),
tradizioni marinare (Venezia), bolliti misti (Verona).
Il Veneto, in ogni caso, è pure famoso per i salumi. La Sopressa, o Soppressa,
non ha bisogno di presentazioni: un salame a grana grossa e di grosso
diametro, che resta morbido per lungo tempo, e dunque può affrontare
stagionature anche lunghe. In quasi tutto il territorio della regione si può trovare
la Soppressa, ma probabilmente quella più famosa e celebrata è la Soprèssa
vicentina. E' degno di nota pure un prosciutto crudo: quello cosiddetto Veneto
Berico Euganeo, il cui nucleo di produzione più illustre è a Montagnana
(Padova), pur essendo diffuso in tutta la zona. Occorre anche citare una
tradizione caratteristica: quella dei salumi equini (bresaola, salame, carne
secca, sfilacci), che è tuttora radicata in alcuni centri della bassa padovana e
non solo.
Sul terreno dei formaggi, il Veneto può farsi vanto dell'Asiago, il più importante
cacio vicentino, che nasce in due versioni: l'Asiago cosiddetto “pressato”, che è
più fresco e morbido, e l'Asiago “d'allevo”, che è a pasta semicotta e può venir
stagionato con successo. Quest'ultimo può recare la menzione “Prodotto della
montagna”, qualora sia fatto in montagna.
Permane una suggestiva produzione di malga, nella zona originaria
dell'Altopiano dei Sette Comuni, la cui produzione di Asiago Stravecchio
(minimo 18 mesi di maturazione) è supportata da Slow Food.
Altro formaggio fondamentale è il Monte Veronese, pure lui beneficiario della
DOP: anche il Monte Veronese distingue inoltre una produzione di pianura e
una più o meno di malga.
Impossibile tentare una panoramica gastronomica del Veneto, senza
sottolineare come questa regione sia una delle maggiori produttrici di vino in
Italia. A parte una numerosa quantità di vino di basso prezzo, il Veneto brilla
anzitutto per i vini del Veronese: il Valpolicella e il suo “fratello maggiore”,
l'Amarone, per i rossi, e il Soave per i bianchi. Altra produzione di rinomanza
internazionale è quella del Prosecco, che ha i suoi due poli produttivi più antichi
nella zona di Conegliano e Valdobbiadene, nonché in quella, meno nota, di
Asolo. Vini di tutti i tipi sono poi prodotti sui Monti Berici (Vicenza) e sui Colli
Euganei (Padova), dove tuttora nascono dei Cabernet di grande autenticità.
Tutti si prestano agli accostamenti con la ricca e varia cucina veneta, che vede
la convivenza di ricette montanare (Belluno), baccalà (Vicenza e Venezia),
tradizioni marinare (Venezia), bolliti misti (Verona).
Il Veneto, in ogni caso, è pure famoso per i salumi. La Sopressa, o Soppressa,
non ha bisogno di presentazioni: un salame a grana grossa e di grosso
diametro, che resta morbido per lungo tempo, e dunque può affrontare
stagionature anche lunghe. In quasi tutto il territorio della regione si può trovare
la Soppressa, ma probabilmente quella più famosa e celebrata è la Soprèssa
vicentina. E' degno di nota pure un prosciutto crudo: quello cosiddetto Veneto
Berico Euganeo, il cui nucleo di produzione più illustre è a Montagnana
(Padova), pur essendo diffuso in tutta la zona. Occorre anche citare una
tradizione caratteristica: quella dei salumi equini (bresaola, salame, carne
secca, sfilacci), che è tuttora radicata in alcuni centri della bassa padovana e
non solo.
Sul terreno dei formaggi, il Veneto può farsi vanto dell'Asiago, il più importante
cacio vicentino, che nasce in due versioni: l'Asiago cosiddetto “pressato”, che è
più fresco e morbido, e l'Asiago “d'allevo”, che è a pasta semicotta e può venir
stagionato con successo. Quest'ultimo può recare la menzione “Prodotto della
montagna”, qualora sia fatto in montagna. Permane una suggestiva produzione
di malga, nella zona originaria dell'Altopiano dei Sette Comuni, la cui
produzione di Asiago Stravecchio (minimo 18 mesi di maturazione) è supportata
da Slow Food.
Altro formaggio fondamentale è il Monte Veronese, pure lui beneficiario della
DOP: anche il Monte Veronese distingue inoltre una produzione di pianura e
una più o meno di malga.

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  • 1. CARATTERISTICHE ENOGASTRONOMICHE E PRODOTTI TIPICI L’Abruzzo è una regione prevalentemente montuosa, che presenta caratteristiche morfologiche piuttosto simile al molise in cui agricoltura e pastorizia sono fortemente sviluppate e suggeriscono una “cucina di terra” dai sapori decisi e genuini, basata su carne ovina, formaggi e verdure, compresi i legumi. L’alimento principale è rappresentato, soprattutto in Abruzzo, dalla pasta fatta in casa, conosciuta ormai in tutta Italia, come gli spaghetti alla chitarra, quasi sempre conditi con pancetta affumicata, pecorino piccante e peperoncino, oppure con ragù di agnello o di maiale. Una ricetta dell’antica trazione è la zuppa “le virtù” , che in origine veniva preparata impiegando sette legumi secchi, sette verdure fresche, sette legumi freschi, sette qualità di carne, sette condimenti e sette tipi di pasta con l’aggiunta di qualche chicco di riso, il tutto cotto per sette ore. La ricetta, usualmente cucinata agli inizi di maggio, riecheggia antichi riti propiziatori pagani, anche se oggi sono diffuse versioni meno laboriose. Nei secondi piatti di carne emergono con grande forza gli elementi caratteristici di una tradizione pastorale di altri tempi, che contraddistinguono pietanze come l’agnello “a catturo”, cioè cucinato all’aperto in un paiolo di rame (catturo), appeso ad un treppiede, ma anche l’agnello cacio e uova, tipico della zona di Teramo e gli arrosticini . Con le interiora del capretto e dell’agnello, insaporite con erbe e aromi diversi, sugo di pomodoro e vino, si prepara un altro secondo piatto tipico, chiamato diversamente, a seconda della provincia di provenienza: “tuncenelle” nel chietino, “mazzarelle” a Teramo e “marro” nella zona de l’Aquila. La carne di maiale è invece incontrastata protagonista di due specialità regionali: la Ventricina di Vasto e la Mortadella di Campotosto, prodotta in quantità molto limitate, utilizzando esclusivamente maiali allevati nel territorio dei monti della Laga.
  • 2. La Mortadella di Campotosto rappresenta uno dei tra presidi Slow Food della regione, insieme alla Lenticchia di Santo Stefano di Sessanio e al formaggio Canestrato di Castel del Monte. L’allevamento e la trasformazione dei suini occupa un ruolo di rilievo nell’economia agroalimentare dell’Italia centromeridionale, Abruzzo compreso, dove è nato, a Carpineto Sinello, un piccolo paese dell’entroterra vastese, il primo e unico museo del maiale. La tradizione casearia trova la sua migliore espressione nella produzione di formaggi prodotti con latte di pecora, anche se la vera particolarità è rappresentata dal Pecorino di Farindola, unico formaggio al mondo preparato con il caglio di maiale; molto rinomata anche la produzione di caci, primo fra tutti, il Cacio Marcetto. La coltivazione del mandorlo è un altro elemento che accomuna Abruzzo e Molise ad alcune regioni del sud Italia, in particolare Campania e Sicilia. E’ notizia relativamente recente che l’Abruzzo contribuirà alla strategia nazionale di rilancio del settore mandorliero, voluta dal Ministero delle Politiche Agricole. Le mandorle migliori provengono dalla Valle della Peligna, non a caso Sulmona, cittadina posizionata al centro della valle, vanta una tradizione secolare nella produzione di confetti e ospita, oltre ad un svariato numero di imprese industriali e artigianali che producono confetti deliziosi e non solo con le mandorle, il Museo dell’Arte e della Tecnologia Confettiera.
  • 3. Dagli insediamenti sulla fascia costiera, dove è fervida l’attività di pescaggio, traggono origine rinomate pietanze a base di pesce del mare Adriatico, impiegato per paste, risotti e fritture, anche se la massima esaltazione dei sapori del mare si scopre nelle zuppe. Localmente chiamata “brodetto”, la zuppa di pesce in Abruzzo è declinata in almeno due versioni: quella di Vasto e quella di Pescara, benché il più conosciuto e apprezzato resti il Brodetto alla Vastese. Un’altra specialità del litorale Adriatico abruzzese è il pesce a “scapece”, cioè fritto e conservato sotto aceto in appositi mastelli di legno, pratica diffusa tra i pescatori per conservare il pescato non venduto e che, nella zona, prevede anche l’uso dello zafferano, giacché l’Abruzzo vanta la migliore produzione mondale di questa pregiata spezia, coltivata sull’altopiano di Navelli, non lontano da L’Aquila. Lo zafferano dell’Aquila ha ricevuto il riconoscimento D.O.P nel 2005. A Vasto, entrambe le specialità sono molte bene interpretate al Ristorante Lo Scudo, nel centro storico, oppure nella zona del porto turistico alla Trattoria da Ferri, Loc. Punta Penna tel. 0873367782. Per quanto concerne la produzione vitivinicola, è quasi inutile citare il celeberrimo Montepulciano d’Abruzzo Dalle stesse uve si ricava anche l’ottimo rosato Cerasuolo d’Abruzzo. Tra i vini bianchi, oltre all’ormai noto Trebbiano d’Abruzzo, si evidenzia - tutelato dal marchio Abruzzo DOC - il Pecorino. I vini abruzzesi , negli ultimi anni, stanno raggiungendo traguardi di qualità, prestigio e diffusione impensabili solo pochi anni fa, basti pensare che un vino abruzzese risulta essere il secondo vino più venduto negli Stati Uniti.
  • 4. CARATTERISTICHE ENOGASTRONOMICHE E PRODOTTI TIPICI La Basilicata è regione tra le meno densamente popolate d'Italia. La sua cucina tipica è pochissimo conosciuta, e ancor più ignorati sono i prodotti delle sue campagne, povere ma ricche di tradizioni. Il vero baluardo della Basilicata nel mondo è il suo vino più importante: l'Aglianico del Vulture. Grazie all'operato straordinario di vari produttori, questo vino rosso corposo, perfetto da accostare a umidi e grandi piatti di carne, è diventato assai noto anche all'estero. Da qualche anno, sul tema dei prodotti gastronomici, ha avuto luogo un'autentica riscoperta della Pezzente (o Pezzenta) della montagna materana. Si tratta di una salsiccia di maiale oltremodo saporita, un tempo ritenuta roba da poveri (il nome dice tutto) e oggi molto apprezzata dai gourmet: nell'impasto, oltre a finocchietto e aglio, entra anche un altro illustre prodotto della lucania, il peperone di Senise. Una salsiccia non troppo dissimile da questa è quella di Cancellara, citata addirittura dagli antichi romani e condita con robuste dosi di peperoncino rosso in polvere. Nel resto della regione si fanno poi pancette, capicolli e prosciutti crudi, e svariate salsicce dette Lucaniche, della cui famiglia fa parte quella già citata di Cancellara. Assai ricercata è la Soperzata di Rivello, un salame della famiglia delle soppressate meridionali, con impasto tagliato a lama di coltello e poi, dopo l'insaccatura, sottoposto a lieve affumicatura, per poi essere conservato anche sott'olio. Sul fronte dei formaggi, il più famoso cacio lucano è forse il Canestrato di Moliterno IGP, un pecorino stagionato di forte sapore. Anche il Pecorino di Filiano DOP merita un cenno: spesso di grosse dimensioni, può affrontare maturazioni lunghissime. Tra i formaggi di latte vaccino, è di grande prestigio il Caciocavallo Podolico della Basilicata, caseificato a partire da latte di mucche di razza podolica, meno produttiva delle razze industriali ma di qualità inimitabile.
  • 5. CARATTERISTICHE ENOGASTRONOMICHE E PRODOTTI TIPICI Le bontà che offre la Calabria al viaggiatore sono assai variegate e interessanti. La Calabria è il regno del peperoncino: non c'è cuoco calabrese che non ne magnifichi le virtù, non solo gastronomiche ma anche mediche e salutistiche. E il peperoncino, nelle ricette e nei salumi, appare assai frequentemente. I prodotti più famosi che arricchiscono il loro sapore col peperoncino sono quattro salumi che possono fregiarsi della DOP: la Soppressata, il Capocollo, la Salsiccia e la Pancetta. Realizzati in tutta la regione, hanno un gusto fortissimo, assai debitore del “condimento” a cui le carni sono sottoposte. Sono molto apprezzate in tutt'Italia. Ancor più piccante è la celeberrima 'Nduja, tipica del Crotonese e della zona di Vibo Valentia, ma diffusa anche altrove. Si tratta di carne di maiale macinata finissimamente e aromatizzata in maniera massiccia con tantissimo peperoncino. Poi viene insaccata nel budello, oppure messa in vasetti di vetro. La 'nduja si presta a innumerevoli usi: la si può consumare così com'è, spalmandola sul pane, oppure cospargerla su un piatto di fusilli calabresi fatti al ferretto, il formato di pasta più tipico della regione. Un salume assai peculiare è il Capicollo Azze Anca: malgrado il nome, viene tratto dalla coscia del maiale. E' originario del comprensorio grecanico, ossia quella porzione di costa ionica, sotto l'Aspromonte, dove permangono rimasugli di un antico dialetto derivato dal greco. Il primo formaggio che viene in mente, parlando di Calabria, è il Caciocavallo Silano DOP, nato sulla Sila ma oggi producibile, a norma di legge, anche in altre regioni del Sud Italia. Ha tutte le caratteristiche dei più classici formaggi a pasta filata. Quanto ai pecorini, una citazione particolare merita il Pecorino Crotonese. Molto interessante l'utilizzo gastronomico dei funghi della Sila e dell'Aspromonte: oltre ai porcini, in Calabria si usa mettere sott'olio anche i cosiddetti rositi, ossia i funghi del genere Lactarius deliciosus.
  • 6. CARATTERISTICHE ENOGASTRONOMICHE E PRODOTTI TIPICI Pizza, pasta, mozzarella: tre parole che dicono tutto. Dalla Campania arrivano le tre cose che, forse ancor più del Colosseo e dei Fori Romani, sono simbolo dell'Italia nel mondo. Grazie ai nostri emigranti napoletani, la gastronomia regionale è diventata la più convincente ambasciatrice del nostro Paese. Certo, la cucina napoletana ha anche altre frecce al suo arco: per esempio, la ricca minestra maritata, che prima dell'avvento del pomodoro (e quindi della pasta) era il piatto locale per eccellenza. O il sontuoso, barocco sartù di riso. O ancora, la carne alla genovese, che a Genova è sconosciuta ma a Napoli è un umido di manzo e cipolla da cuocere per un'infinità di ore. Indubbiamente, la Mozzarella di Bufala Campana DOP resta poi il prodotto più rappresentativo. Prodotta anche in piccole aree della Puglia e del Lazio, questo autentico monumento dell'arte casearia italiana nasce con due vesti: nei dintorni di Aversa e Caserta si fanno mozzarelle più consistenti e sapide, mentre a Paestum, a Capaccio e nella piana del Sele le medesime sono delicatissime. La cultura del bufalo ha poi altri formaggi-figli, quasi sempre a pasta filata: la scamorza, il caciocavallo, i bocconcini alla panna. E la ricotta di bufala, che non è un formaggio ma resta una squisitezza leggendaria. Altri formaggi campani? La Manteca, o Burrino: una scamorza che al suo interno contiene un cubetto di burro. E il monumentale Provolone del Monaco, nato sui monti Lattari: un caciocavallo di lunga stagionatura e dal sapore intensissimo, adatto all'accostamento con miele di castagno. Dai monti Lattari ci viene pure il Fiordilatte di Agerola, ossia la più ghiotta interpretazione della mozzarella di latte di capra. Dal latte di pecora vengono invece gioiellini come il pecorino bagnolese e il pecorino di Carmasciano, ambedue dell'Irpinia.
  • 7. CARATTERISTICHE ENOGASTRONOMICHE E PRODOTTI TIPICI L’agro Nocerino Sarnese è la zona dove regna Il pomodoro S. Marzano, che ha caratteristiche speciali, è lungo, nervoso, consistente. E’ l'unico che non si frantuma nella lavorazione; al contrario si mantiene intero e, per così dire, vivo nel barattolo. I salumi sono rappresentati dall'arcinoto Salame Napoli: la versione originale è semplicemente affumicata, mentre spesso all'impasto viene aggiunto peperoncino. Più rara la Soppressata di Gioi Cilento, tipica del paesino salernitano: è un salame il cui impasto, macinato a grana particolarmente fine, viene avvolto attorno a un cubo di lardo bianco. Una chicca da amatori è anche il beneventano prosciutto di Pietraroja, prodotto in minuscole quantità e caratterizzato da un sapore intenso e vellutato. Da ricordare i dolci: la pastiera napoletana è un must, così come le sfogliatelle, vanto delle migliori pasticcerie. La Pasta trafilata al "bronzo“ è una specialità della zona di Gragnano (NA), nota per il tipo di lavorazione questo prodotto, è caratteristico perché la ruvidità della superficie del metallo viene trasmessa come un' impronta, alla superficie della pasta, permettendo ai condimenti una miglior attaccatura, alla pasta. La tradizione vinicola campana risale al tempo della colonizzazione greca, avvenuta secoli addietro. Il territorio prevalentemente collinare ed il clima mite rendono la regione adatta alla coltivazione di vitigni di svariati tipi, che producono tantissimi vini sia bianchi che rossi Tra i vini, il più ricco e importante è il Taurasi, a base di uva aglianico, il Greco di Tufo di color giallo paglierino.
  • 8. CARATTERISTICHE ENOGASTRONOMICHE E PRODOTTI TIPICI La gastronomia dell’Emilia Romagna è estremamente variegata e ricca di tipicità. I prodotti DOP e IGP sono innumerevoli, espressione della passione e del legame che lega gli abitanti della regione al proprio territorio e della lunga esperienza che gli ha condotti a ricavare dalla terra prodotti di grande qualità, protagonisti di piatti eccellenti. Con tutta probabilità, le lasagne con il ragù alla bolognese e i tortellini sono tra i piatti italiani più noti, oltre i confini nazionali, secondi solo alla pizza e agli spaghetti. Nella regione ha, peraltro, avuto origine uno dei simboli gastronomici nazionali nel mondo: il Parmigiano Reggiano, celebrato nella regione anche dall’omonimo Museo ubicato nel comune di Soragna, in provincia di Parma. Per chi desidera acquistarlo sul territorio, l’Azienda Biologica Hombre di Modena offre un prodotto biologico, lavorato secondo tradizione, pur nel rispetto di standard produttivi rigorosi. Per comprendere la complessità della cultura gastronomica dell’Emilia Romagna è necessario considerare, sia la dimensione territoriale, sia quella storica, che hanno entrambe contribuito a determinare lo sviluppo di due differenti tradizioni culinarie, quella emiliana e quella romagnola. L’utilizzo del grano, introdotto dagli Etruschi già nell’antichità, accomuna le due tradizioni gastronomiche, che contano tra le proprie tipicità diverse preparazioni che prevedono l’impiego della farina, come le Tigelle o Crescentine di Modena, la Stria, tipica focaccia emiliana, oppure l’Erbazzone, torta salata, sempre di origine emiliana, e la Ciupeta o Coppia ferrarese. La discriminante fondamentale tra la cucina emiliana e quella romagnola risiede principalmente nel differente processo di panificazione tradizionale, che viene interpretato, in Emilia, dal gnocco fritto che prevede l’impiego di strutto, e in Romagna, area costiera e porta verso l’oriente, di dominazione bizantina, dalla piadina cotta direttamente sul testo nella brace, senza lievito, e di chiara ispirazione mediorientale. Il territorio emiliano, prevalentemente continentale, mostra tratti evidenti della contaminazione culturale con i Longobardi. L’allevamento del maiale, introdotto dai Galli e praticato in modo intensivo dai Longobardi, ne è la prova lampante. La geografia dei prodotti e la loro distribuzione segue le caratteristiche morfologiche del territorio, delineate dalla presenza dell’Appennino a sud e a ovest, del fiume Po’ a nord e dal mare Adriatico a est.
  • 9. La fascia montana offre i prodotti di alpeggio, mentre le zone costiere e fluviali privilegiano il consumo di pesce di mare e di stagno. Nella Pianura Padana si praticano l’allevamento e l’agricoltura, la Vacca bianca modenese e la Razza bovina romagnola, entrambi presidi Slow Food, ne sono esempi straordinari. La stessa Pianura Padana e le pianure romagnole rappresentano, peraltro, il luogo di incontro e scambio dei sistemi gastronomici sopra descritti. L’Emilia è terra di cucina ricca, che propone paste ripiene, sia di carne, sia di magro, come tortellini e ravioli, che racchiudono ripieni diversi, a seconda della zona, fatti per esaltare l’ottima sfoglia, realizzata a mano, ma anche, soprattutto a Bologna, da lasagne e cannelloni, conditi con il celeberrimo ragù alla bolognese (probabilmente affino parente del ragout francese) e con la besciamella. Per quanto riguarda i secondi piatti, nel piacentino sono frequenti i brasati mutuati, con tutta probabilità, dal vicino Piemonte, mentre spostandosi verso ovest, cioè verso il centro Italia, trionfano gli arrosti. Tuttavia, in Emilia, l’elemento irrinunciabile di qualsiasi percorso gastronomico, resta degnamente rappresentato dai derivati del maiale. Oltre ai Ciccioli, cotechini e zamponi, spiccano gli insaccati: dal Prosciutto di Parma, al Culatello di Zibello (presidio Slow Food), senza trascurare la Pancetta e la Coppa Piacentina, la Mortadella Bologna e la Mariola delle colline piacentine e del basso parmense, presidio Slow Food; un bouquet di prodotti dalla qualità e dal gusto inimitabile. A Langhirano, nella patria di elezione del prosciutto, ha sede il Museo del Prosciutto e dei Salumi di Parma, dove è possibile approfondire la conoscenza dei prodotti e dell’arte salumaria parmense. Per fare rifornimento di salumi, formaggi e prodotti tipici emiliani di qualità, a un giusto prezzo, è d’obbligo una tappa a Fidenza, presso Agrifidenza. Per un pranzo o una cena a base di prodotti nostrani e di cucina emiliana tradizionale ottimamente rivisitata, il luogo ideale è il ristorante Al Vedel di Colorno, sempre in provincia di Parma. Nel vasto patrimonio gastronomico emiliano, un posto di sicura eccellenza è occupato dall’Aceto Balsamico Tradizionale di Modena, preparato esclusivamente nel territorio della provincia di Modena, utilizzando mosto cotto e metodi di lavorazione appartenenti a una tradizione millenaria; l’impiego del balsamico di Modena era difatti già diffuso alla corte degli Estensi. Nella cittadina di Spilamberto, a questo versatile e straordinario prodotto è dedicato il Museo del Balsamico Tradizionale, che ospita anche la sede della Consorteria dell’Aceto Balsamico Tradizionale, una organizzazione che sostiene e promuove iniziative e manifestazioni dirette alla tutela del prodotto.
  • 10. Presso il museo è anche possibile acquistare balsamico di Modena, selezionato dalla Consorteria. Prodotti della tradizione regionale e modenese di ottima qualità, compresi aceto balsamico tradizionale, parmigiano reggiano, ma anche pesci dell’Adriatico sono disponibili presso il Mercato Albinelli, un mercato coperto costruito ai primi del novecento, erede del tradizionale mercato che animava le strade della città di Modena, già nel Medioevo. Modena è, tra l’altro, una tappa irrinunciabile in un viaggio alla ricerca delle eccellenze gastronomiche, non solo regionali, in via Stella, infatti, ha sede l’Osteria Francescana di Massimo Bottura, chef pluristellato Michelin e classificato al terzo posto tra i migliori cinquanta chef del mondo, nella ormai nota competizione the World’s 50 Best Restaurants Guide, organizzata dalla rivista anglosassone Restaurant Magazine. Se l’Emilia è ricca e grassa, con una cucina fortemente contraddistinta dall’uso del burro, come in quasi tutto il nord Italia, la Romagna profuma di spezie e aromi; la cucina romagnola racconta della contaminazione con il centro e il sud Italia, comprovata dall’impiego di peperoncino, pomodoro e dalla modalità diffusa di cottura alla griglia, sicuro retaggio culturale degli spiedi medioevali, ancora in auge nell’Italia centrale. In Romagna si usa anche l’Olio extravergine di oliva, prodotto a Brisighella nel ravennate in quantità piuttosto modeste, ma con una qualità molto elevata. La presenza del mare ha sicuramente inciso nella tradizione gastronomica delle terre romagnole; qui il pesce trionfa nelle grigliate, nei fritti e nei guazzetti, ma anche - per pesci di qualità, come rombi, sampietro e sogliole - servito semplicemente condito con olio e limone. In provincia di Ferrara, nelle Valli di Comacchio, uno dei più complessi sistemi lagunari italiani, il vero primo attore in cucina è l’anguilla, marinata nel modo tradizionale (presidio Slow Food) o interpretata, non solo a Natale, in ben quarantotto piatti diversi, tra cui alcuni molto ricercati. Molto diffusa anche la miticoltura. La cucina di carne è presente, soprattutto nell’entroterra e impiega, per lo più, carne bovina, anche se dal maiale si ricava uno dei prodotto tipici dell’eccellenza gastronomica ferrarese, la Salamina da Sugo .
  • 11. Tra i primi piatti prevalgano i Passatelli, le Burricche (un particolare tipo di agnolotto) e il Pasticcio alla ferrarese, piatto rappresentativo della sontuosa cucina estense, composto da un involucro di pasta frolla ripieno di pasta corta, condita con ragù e funghi. Tra le tipicità espresse dalla tradizione gastronomica romagnola spicca il formaggio di fossa che trova in Valmarecchia, principalmente nel comune di Sogliano al Rubicone, la sua area di eccellenza. L’infossatura del formaggio è una pratica che risale al medioevo, quando i contadini solevano conservare gli alimenti in fosse scavate in ambienti tufacei, sia per preservarli nel tempo, sia per sottrarli ad eventuali razzie. In Romagna l’infossatura del formaggio conserva ancora il fascino di una tradizione antica e le caratteristiche di un rito collettivo; nel mese di agosto, le fosse vengono preparate bruciandovi all’interno della paglia per assorbire l’umidità in eccesso e per eliminare eventuali batteri che possono intervenire nella fermentazione del formaggio. La fossa viene poi ricoperta con una strato di paglia e, una volta infossato il formaggio, chiusa con tavole di legno e sabbia per essere riaperta solo tre mesi dopo, a novembre, nell’ambito dei festeggiamenti organizzati proprio per celebrare la sfossatura del prezioso formaggio. Prodotto con latte ovino o vaccino è delizioso saltato in padella con paste o gnocchi, nei ripieni di tortelli e ravioli, oppure con confetture e miele; può essere anche grattugiato, se giunto al giusto livello di stagionatura.
  • 12. A Sogliano al Rubicone esistono molti produttori del rinomato formaggio, alcuni dei quali organizzano degustazioni e visite alle fosse; la Fossa Pellegrini è una delle più conosciute, selezionata anche dal Gambero Rosso quale azienda tra i maggiori produttori di eccellenze gastronomiche, anche per il suo formaggio di fossa. Nell’Appennino Tosco-Romagnolo, nelle provincia di Forlì-Cesena, si produce, invece, il Raviggiolo, un latticino piuttosto raro, presidio Slow Food, realizzato con latte vaccino crudo e da consumarsi fresco, entro tre, quattro giorni dalla produzione. Un’altra icona gastronomica della Romagna, è senz’altro la piadina che in Alta Romagna (Forlì e Ravenna) è preparata in una versione più spessa, mentre nella Bassa Romagna (Riccione) è molto sottile e sfogliata. Irresistibile in entrambe le versioni, farcita con affettati, verdure e, soprattutto, con il famosissimo Squacquerone, un altro formaggio DOP tipico del territorio, è l’indiscussa protagonista gastronomica di una vacanza in Romagna. E’ buona quasi ovunque, spesso preparata al momento, soprattutto nei numerosissimi chioschi presenti un po’ su tutto il territorio. Da assaggiare, a Ravenna, quella de La Piadina dello Chef, in via Teodorico (poco lontano dall’omonimo mausoleo) tel. 3394071285 e a Rimini quella della Lella. Nella vasta gamma delle tipicità regionali non mancano certamente prodotti ortofrutticoli garantiti da marchi DOP e IGP, che ne tutelano la qualità e ne certificano l’origine, come le Pere dell’Emilia Romagna, le Pesche e le Nettarine di Romagna, le Ciliegie di Vignola, le Amarene brusche di Modena e il Marrone di Castel del Rio, cittadina che ospita anche il Museo del Castagno; tra le verdure troviamo la Patata di Bologna, il Fungo di Borgotaro, lo Scalogno di Romagna e il pregiato Asparago verde di Altedo. La grande abbondanza di frutta fresca e secca, suggerisce la preparazione di dolci tipici, come la crostata di ciliegie e di castagne, ma anche i ravioli di marroni e le castagnole e, per Natale, il classico Pan Speziale. Inimitabili anche la Torta Barozzi e la Torta Muratori, tipiche della cittadina di Vignola, da gustare rigorosamente presso la Pasticceria Gollini , che ne conserva gelosamente, da generazioni, le ricette originali. Ad esaltare gli ottimi sapori dei prodotti e delle preparazioni regionali, concorrono i tantissimi vini dell’Emilia Romagna, ne citiamo solamente alcuni, tra le DOC più conosciute: Sangiovese di Romagna, Lambrusco di Sorbara, Lambrusco Salamino di Santa Croce, Lambrusco Grasparossa di Castelvetro, Bonarda Colli Piacentini, Gotturnio Colli Piacentini, Colli Piacentini Ortrugo, Albana di Romagna e Trebbiano di Romagna. Gli amanti del vino, non possono non programmare una sosta alla Enoteca Regionale della Rocca Sforzesca di Dozza che espone oltre mille etichette di vino da scoprire e degustare.
  • 13. CARATTERISTICHE ENOGASTRONOMICHE E PRODOTTI TIPICI Regione affacciata sul mare e soggetta all'influenza dell'Austria e della Mitteleuropa di lingua slava (la ricetta della Gubana ne è, tra le altre, testimonianza), il Friuli-Venezia Giulia è una regione oltremodo avvincente dal punto di vista gastronomico. Anzitutto, dalle vigne friulane arrivano alcuni dei vini bianchi più buoni d'Italia: le DOC di riferimento sono Collio, Colli Orientali del Friuli e Isonzo. Qualche acuto viene anche dalla DOC più grande, Grave del Friuli, mentre le DOC meridionali come Annia danno luogo a vini molto particolari, dal carattere salino molto accentuato, a causa della presenza del mare. Impossibile poi dimenticare la piccola, eroica produzione del Carso giuliano, con vitigni come la vitovska e la malvasia istriana. L'altra fonte di notorietà del Friuli nel mondo è il prosciutto. Il Prosciutto di San Daniele è il prodotto di spicco dell'economia gastronomica regionale, e uno dei vanti dell'Italia. Il paese di San Daniele del Friuli ha la caratteristica di un microclima ideale per la stagionatura del prosciutto, e la tradizione, con aziende della dimensione più disparata, si è mantenuta ancora oggi. Un altro prosciutto friulano di tutto rispetto, seppure di produzione molto contenuta, è il prosciutto di Sauris: nato nel paesino carnico in provincia di Udine, è sottoposto a un processo di affumicatura (processo che coinvolge anche il salame e il cotechino realizzati in loco). Della Venezia Giulia, e segnatamente di Trieste, è invece famoso il prosciutto cotto, preso di peso dalla tradizione austro-ungarica (ricordate il prosciutto di Praga?) e tuttora servito caldo nei localini della merenda cittadina, i famosi buffet.
  • 14. Un altro prodotto parecchio conosciuto è il formaggio Montasio, a pasta semidura, che prende il nome dal massiccio montuoso omonimo ma è ormai diffuso in tutta la regione. Stesso discorso per il Latteria, un grosso formaggio dal sapore dolce, che un tempo si caseificava nelle latterie turnarie. Più raro e peculiare è il Formadi Frant, un tempo ottenuto dai ritagli di forme di formaggi imperfette, poi compattati insieme con l'aggiunta di panna: il tutto assume un sapore piccante e pungente.
  • 15. CARATTERISTICHE ENOGASTRONOMICHE E PRODOTTI TIPICI Pare che la città di Rieti, nel Lazio, costituisca il centro esatto geografico dell'Italia. E anche politicamente e culturalmente, il Lazio è una regione centrale: il capoluogo di regione è Roma, la nostra capitale. In ogni caso, anche le province laziali offrono al viaggiatore buone possibilità di assaggio. Tutti conoscono la cucina romana: le paste all'amatriciana, alla carbonara, al cacio e pepe e alla gricia sono tutte nate fuori Roma, ma tutte felicemente adottate dalla gastronomia capitolina. Che poi si fregia di altre squisitezze quali la coratella d'abbacchio che presentiamo, gli involtini al sugo, i saltimbocca, la minestra di broccoli e arzilla (pesce razza) e altro. Gustosi anche i piatti del viterbese e della Sabina. Tra i prodotti, il più noto, il Pecorino Romano DOP, viene in realtà quasi tutto da caseifici e allevamenti sardi: il nome non si rifà tanto all'Agro Romano, quanto agli Antichi Romani, che pare ne avessero diritto come razione quando andavano in guerra. In ogni caso, qualche produttore laziale di questo formaggio sussiste ancora. Molto più raro e particolare è il Caciofiore della campagna romana, che si chiama così perché realizzato con caglio vegetale di cardo o di fiore di carciofo: ha un sapore pieno, allo stesso tempo acidulo e piccante. Nella parte meridionale della regione, dalle parti di Fondi (Latina), è tuttora radicata la produzione di Mozzarella di Bufala Campana DOP.
  • 16. Tra i prodotti di carne, occorre citare la Porchetta di Ariccia IGP, che ha ottenuto la denominazione europea proprio perché una delle più antiche: è un maialetto sapientemente disossato e riempito di una mistura di spezie e aglio, poi cotto al forno molto lentamente. Assai ricercata è la Salsiccia di Monte San Biagio: nell'omonimo borgo in provincia di Latina, si è tramandata sino ad oggi l'usanza di insaporire la carne di maiale col coriandolo fresco, facendo poi saporite salsicce da stagionare. Il prosciutto più famoso, viceversa, è quello di Bassiano: poco noto a livello nazionale, questo prosciutto crudo in realtà ha una delicatezza di tutto rispetto. Il mattino di Pasqua, la tipica “colazione” dei romani è però costituita da uova sode e Corallina, un salame crudo a impasto molto fine, in cui spicca il grasso bianco, tagliato a lardelli molto grossi. La Corallina ha una tradizione pure nella non lontana Umbria. Per quanto riguarda i vini, i Castelli Romani fanno la parte del leone con le loro numerose denominazioni: la più blasonata è Frascati Superiore DOCG. Si tratta, in ogni caso, di vini bianchi spensierati e leggeri. Più devota al vino rosso è invece la parte sud della regione: vitigni come cesanese e nero buono stanno dando risultati nient'affatto trascurabili, nelle mani di viticoltori sempre più capaci.
  • 17. CARATTERISTICHE ENOGASTRONOMICHE E PRODOTTI TIPICI E’ sufficiente osservare la conformazione geografica della Liguria per comprendere che mare e montagna sono le due anime che contraddistinguono il territorio e che hanno fortemente influenzato le caratteristiche enogastronomiche regionali. Costretto tra vette aspre e sassose, ripide valli, i boschi e il mare, il territorio ligure è praticamente privo di larghi spazi pianeggianti, non è quindi praticabile l’attività di allevamento, tanto è vero che la carne bovina è molto poco presente nella tradizione culinaria locale. Tale peculiarità trova riscontro se si considera che, anche nella Cima alla genovese, conosciutissimo piatto “di terra” della tradizione, la presenza di carne è, in realtà, limitata al solo involucro che contiene per lo più verdure, formaggi e pinoli. Grazie alla loro perseveranza e ad un tenace lavoro sopportato per secoli, gli abitanti della Liguria sono riusciti a rendere fertili terreni, strappati in prossimità della costa, da cui ricavano una grande varietà di verdure ed erbe aromatiche: biete, borragine, rosmarino, timo, maggiorana e il profumatissimo basilico ligure, con cui si prepara il rinomatissimo pesto.
  • 18. Verdure e aromi personalizzano alla perfezione minestre, zuppe e torte salate, tra cui la ben nota Torta Pasqualina. Nella gastronomia ligure sono molto presenti anche le focacce, solitamente insaporite con erbe, verdure e formaggi, o semplicemente con l’olio extravergine di oliva, che ha ricevuto il riconoscimento DOP (Denominazione di Origine Protetta) dall’unione Europea, come “Olio Extravergine di Oliva Riviera Ligure” e rappresenta uno dei fiori all’occhiello della regione. Nella storia legata alla tradizione gastronomica della Liguria si inserisce anche la contesa di Genova con Napoli per la primogenitura della pasta. Nel porto di Genova giungevano infatti le navi cariche di grani duri importati dalla Crimea; sono numerosissimi i formati di pasta, nati nella regione, tra cui: le trofie, i corzetti e i pansoti. Lo stretto legame con il mare garantisce un pescato ricco, con prevalenza di pesce azzurro, ma anche di pesci di scoglio e crostacei, che suggeriscono la preparazione di ricette tipiche come il Ciuppin, zuppa di pesce fatta con i pesciolini avanzati al mercato e il Cappon Magro, delizioso piatto, in cui il connubio tra i frutti del mare (pesci e crostacei) e quelli della terra (verdure) è meravigliosamente celebrato. Nonostante non sia di provenienza locale, ma il ruolo storico della città di Genova nell’ambito del commercio, ne giustifica la presenza e l’utilizzo, anche il merluzzo è impiegato per la preparazione di un altro piatto tipico della tradizione popolare: la Buridda. La coltivazione della vite sulle terrazze a picco sul mare, favorita dal clima mite, consente di produrre ottimi vini. Molto noti quelli provenienti dalle Cinque Terre, tra cui ricordiamo lo schiachettrà e il cinque terre doc.
  • 19. CARATTERISTICHE ENOGASTRONOMICHE E PRODOTTI TIPICI Le vicende storiche della Lombardia, hanno visto per lungo tempo una netta divisione tra le diverse città che, di volta in volta, cadevano sotto il dominio delle potenze confinanti, subendone inevitabilmente l’influenza, anche per quanto concerne la tradizione culinaria. E’, pertanto, impossibile parlare di un’unica tradizione gastronomica lombarda, piuttosto di preparazioni tipiche diverse, che trovano una propria collocazione nell’ambito delle numerose provincie e città lombarde. Certo, esistono denominatori comuni, per lo più determinati dai tanti prodotti che caratterizzano un territorio particolarmente fertile e vario, ricchissimo di corsi d’acqua. La regione è collocata al centro della più grande pianura italiana, dove è diffusa la coltivazione di cereali, tra cui il riso, largamente impiegato nella cucina tradizionale. A Milano si preparano il Risotto alla Milanese, con il midollo di bue e lo zafferano e il Risotto al Salto, il risotto alla milanese avanzato, diviso in tortini e ripassato in padella, un tempo protagonista indiscusso delle cene del dopo teatro a Milano. Tipico della zona del pavese è il Risotto alla Certosina, con gamberi, funghi e piselli, ma anche il Risotto con le Rane, offerto un po’ ovunque nelle zone risicole della Lomellina, dove le rane, soprattutto fritte, sono spesso protagoniste anche dei secondi piatti.
  • 20. A Bergamo si usa il cuore di vitello per l’elaborazione del Vitello alla Bergamasca. Vastissima la produzione di formaggi a pasta molle e stagionatura breve, come stracchino, crescenza e mascarpone, oggi per lo più prodotti a livello industriale, anche se non mancano eccellenze territoriali frutto di tradizioni locali e lavorazioni artigianali, come il Pannerone di Lodi. Rinomatissimi anche il Gorgonzola, prodotto nell’area milanese e nel pavese, il Bitto, formaggio storico della Valtellina e il Valtellina Casera, impiegato per la preparazione dei famosi Pizzoccheri della Valtellina. il Taleggio, il Branzi e l’Agrì di Valtorta sono squisitezze delle alte valli bergamasche, così come lo Stracchino all’Antica. Nella provincia di Brescia l’eccellenza nella produzione casearia si individua nel Bagòss di Bagolino e nel Fatulì della Val Saviore, a base di latte di capra. Vanto della omonima valle è invece la Robiola della Valsassina. Nel lodigiano, invece, si prepara il Risotto alla Contadina, con fagioli, pomodori, cotenna di maiale e salsiccia . A Brescia, il riso si usa per preparare il Riso alla Pitocca (alla povera), detto anche minestra sporca, che prevede l’utilizzo di pollo e fegatini, mentre nel mantovano i preziosi chicchi troneggiano in almeno tre ricette tipiche: il Riso con i Trigoli, piante acquatiche perenni, chiamate anche castagne d’acqua, il Risotto col Puntel (con costine di maiale con l’osso) e il Risotto con la Zucca.
  • 21. Il Grana Padano è prodotto praticamente in tutte le provincie lombarde e proprio nei territori della bassa Lombardia, nell’area compresa tra i fiumi Adda e Mincio, ha avuto origine, nel lontano medioevo, a cura dei monaci cistercensi dell’Abbazia di Chiaravalle. Il consumo di formaggio nella regione è spesso abbinato a quello della polenta, un altro elemento caratterizzante della cucina tradizionale del nord Italia, protagonista di piatti tipici, diffusi un po’ in tutte le provincie lombarde. Assolutamente da provare la Polenta Contadina, una ricetta a base di polenta, pasta di salame, formaggio locale, panna e spinaci, che ha permesso al Ristorante La Trota di Laxolo, frazione di Brembilla, piccolo paese della Valle Brembilla, non lontano da San Pellegrino Terme, di raggiungere una certa notorietà. Nelle valli bresciane e bergamasche e, soprattutto, in Valtellina è tipica la Polenta Taragna, fatta con farina di mais, farina di grano saraceno e formaggio. Nella Pianura Padana sono numerose le coltivazioni di frutta, ortaggi e foraggio, che ha certamente incentivato l’allevamento bovino e una ricca produzione di latte e derivati, primo fra tutti il burro, che resta l’elemento distintivo tra la cucina del nord e quella del sud Italia. La carne bovina, in particolare il vitello, è protagonista di piatti tipici milanesi, come gli Ossi Buchi, il Vitello Tonnato e la celebratissima Cotoletta alla Milanese; le frattaglie di bovino sono invece l’ingrediente fondamentale della Trippa alla Milanese, in dialetto “Busecca”, piatto storico, dalle umili origini, che i contadini solevano preparare la notte di Natale e durante le fiere e i mercati del bestiame.
  • 22. La tradizione gastronomica regionale privilegia cotture lente, per questo motivo, stracotti e stufati sono largamente diffusi un po’ in tutte le provincie. Celebratissimo lo Stracotto d’Asino, cucinato nella zona di Bergamo, ma soprattutto a Mantova, dove l’influenza della fastosa corte rinascimentale dei Gonzaga, si ritrova anche nel gusto per le spezie e per i sapori agrodolci, basta pensare alla Mostarda, ai Gnocchi e ai Tortelli di Zucca, spesso serviti in un inedito accostamento con il cioccolato. La pasta ripiena trionfa un po’ in tutta la regione; i “Casonsei” (casoncelli), di carne o di magro, sono tipici della bergamasca. A Cremona si mangiano i Marubini, ripieni di midollo di bue, cotti in brodo di manzo, e i Tortelli Cremaschi, farciti con, uova, formaggio, uva sultanina e cedro candito, mentre a Mantova predominano gli Agnoli, ravioli con ripieno di cappone bollito, solitamente serviti con lo stesso brodo di cappone. I “Caicc” sono grossi ravioli imbottiti con brasato di manzo e conditi con burro e parmigiano, tipici della Val Camonica, mentre i Cappellacci, ripieni di stufato di manzo e salamini conservati nello strutto, si possono facilmente reperire nella zona della Lomellina. Tra i formati di pasta non ripiena, spiccano le “Bardele coi Marai” (tagliatelle con la borraggine), disponibili nei territori al confine con il veneto, i Malfatti, preparati con farina e spinaci e, nel bresciano, i Brofadei, realizzati con un impasto di farina, burro, uova e latte, fritto, ritagliato in quadratini e, infine, cotto nel brodo.
  • 23. Il Grano Saraceno, che ha rappresentato fin dall’inizio del secolo scorso, un elemento fondamentale della dieta dei contadini valtellinesi, è uno dei presidi slow food della Lombardia, nonché interprete di un’altra preparazione tipica valtellinese: gli “Sciatt”, frittelle morbide, preparate con grano saraceno, grappa e un altro formaggio tipico valtellinese, lo Scimudin. Nella provincie di Bergamo e Como, si usa mangiare “Polenta e Osei”, polenta di farina gialla con gli uccellini, per lo più tordi, allodole e beccafichi, mentre a Brescia si cucina la Polenta Pasticciata, una terrina realizzata con strati di polenta, formaggio locale e prosciutto, poi “passata” al forno. La “Polenta Rustida”, cioè la polenta avanza e arrostita nel burro, è diffusa nelle provincie di Varese e Como. Gli animali da cortile e la selvaggina (pollo, oca, lepre, capriolo) trovano largo impiego nella tradizione gastronomica regionale. A Mantova, dove convivono tradizioni contadine, ma anche elementi di grande raffinatezza della cucina di corte dei Gonzaga, è possibile assaggiare l’Anatra Selvatica in umido, la Lepre alla Cacciatora e la Folaga (uccello acquatico) in umido. A Varese si prepara la Faraona alla Creta (la ricetta originale prevede la cottura in un impasto di creta), mentre nel bresciano si cucina l’Oca ai Ferri. Una preparazione tipica cremonese, di origine rinascimentale, è il Timballo di Piccione, un involucro di pasta frolla dolce, che accoglie un pasticcio di pasta corta, condita con un intingolo di piccione disossato. Nella provincia di Bergamo, trionfano le Terrine di Cacciagione, ma anche il Capriolo in Umido. Una vera leccornia di Mortara, in provincia di Pavia è il Salame d’Oca IGP; Esiste anche una versione del salame d’oca crudo e preparato senza l’aggiunta di carne di maiale, che viene definito Salame Ecumenico d’Oca o salame della pace, perché ingredienti e lavorazione consentono al prodotto di essere consumato dagli osservanti delle tre principali religioni monoteiste: Cristiana, Musulmana ed Ebraica. Altri insaccati tipici lombardi, prodotti con carne di maiale sono, il Salame di Cremona e il Salame Milano, che unisce a quella di maiale anche la carne bovina
  • 24. Molto diffuso sul territorio, il consumo di cotechini, anche se con lo stesso nome, si identificano spesso prodotti dalle caratteristiche e dal gusto notevolmente diversi, a seconda della città di provenienza. Da assaggiare il Cotechino cucinato con la Mostarda di Cremona, ma anche il Cotechino Mantovano, dal delizioso aroma di vaniglia A nord, la Pianura Padana è delimitata da una fascia collinare e montuosa che consente la coltivazione di vigneti e frutteti, mentre i laghi, che occupano una piana di origine alluvionale, che copre quasi la metà del territorio e i numerosi fiumi, favoriscono la preparazione di ricette a base di pesce d’acqua dolce, come lavarello, alborelle e agoni, impiegati sia per i primi, che per i secondi piatti. Tipico il pesce fritto con la polenta, ma anche i ravioli ripieni di pesce e il classici risotti abbinati alla tinca e al persico. Ottima l’anguilla di fiume, proveniente dall’Adda, protagonista di un altro piatto tipico, le Anguille alla Lombarda, insaporite con un condimento tradizionale a base di funghi secchi e filetti di acciughe. Tra i pesci di fiume si distingue il luccio, inserito nell’elenco dei prodotti agroalimentari lombardi da tutelare. E’ un pesce predatore d’acqua dolce, pescabile nel Mincio, che ha dato origine a due ricette rivaltesi, considerate prodotti tradizionali dal Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali: il Luccio in Salsa e il Luccio in Bianco, che prevede l’insolito abbinamento con il Grana Padano. I pesci di lago vengono molto frequentemente preparati “in carpione”, ovvero fritti e coperti con una salsa fatta con verdure, aceto e vino, metodo che serve anche per la conservazione. Niente a che vedere con il Carpione del Garda che è, invece, un pesce prelibato, simile alla trota, ormai quasi totalmente scomparso, tanto è vero che rappresenta uno dei presidi Slow Food della Lombardia; in Italia i pochi esemplari rimasti si trovano solo nel Lago di Garda e la loro pesca è regolamentata con norme molto rigide. Nelle zone lacustri della Lombardia, I pesci di acqua dolce vengono spesso conservati tramite essiccatura, famosissimo il Missoltino del Lago di Como e la Sardina essiccata del lago d’Iseo , entrambi presidi slow food
  • 25. La presenza dei laghi concorre, inoltre, a mitigare il clima continentale e permette la coltivazione di prodotti, che solitamente trovano habitat ideale nelle zone del meridione d’Italia, come ulivi, limoni e cedri; rinomatissimo l’Olio Extravergine di Oliva DOP Garda. Tra i dolci spicca il tradizionale Panettone milanese, tipico dolce natalizio, da comperare nelle pasticcerie che offrono prodotti artigianali, come la Pasticceria Martesana di Milano e la Pasticceria Busnelli di Arluno, pizza Cammilo Cavour, 3 Arluno (MI) – tel. 02 9017690. Altri classici sono la Torta Paradiso, il Pan dei Mei, preparato con farina bianca, farina gialla e fiori di Sanbuco, la Torta Sbrisolona mantovana, a base di mandorle, la Bisciola Valtellinese, simile al panettone, ma preparata anche con farina di segale e molta frutta secca , i tradizionali Amaretti di Saronno e la Miascia, tipica torta lariana, a base di pane e frutta, fresca e secca.
  • 26. Spumante DOCG e il Franciacorta Saten, l’Oltrepò pavese, con una produzione vastissima, tra cui: Oltrepò Pavese Buttafuoco, Oltrepò Pavese Sangue di Giuda, Oltrepò Pavese rosso e tra i bianchi, l’Oltrepò Pavese metodo classico DOCG e l’Oltrepò pavese Malvasia fermo e frizzante. Dai territori montani della Valtellina, area di elezione con le tipiche coltivazioni a terrazzamenti, provengono il Valtellina Rosso, lo Sforzato e il Valtellina Superiore. L’area del Viadanese e del Sabbionetano è riconosciuta per la produzione del Lambrusco Mantovano, con caratteristiche assolutamente distintive rispetto a quello dell’Emilia Romagna, mentre dalla bergamasca proviene uno dei doc più rari del territorio: il Moscato di Scanzo. Nella Provincia di Milano è presente un unico doc: il San Colombano al Lambro. Una menzione particolare va al Lugana, vino bianco proveniente da una piccola e preziosa area vinicola sulla sponda meridionale del Garda. Per quanto riguarda la tradizione vitivinicola, la Lombardia vanta una produzione ampia e diversificata, grazie alla varietà di terreni e di climi. Le zone di elezione sono la Franciacorta, nota soprattutto per gli spumanti, come il Franciacorta
  • 27. CARATTERISTICHE ENOGASTRONOMICHE E PRODOTTI TIPICI La Regione Marche è il risultato dell’unione di più territori: i Marchesati, altrimenti detti “Marche”, di Ancona, Fano, Ascoli e Macerata; ancora oggi conserva le sue caratteristiche di pluralità nelle diverse inflessioni dialettali che riassumono il romagnolo, l’umbro, il romanesco e l’abruzzese e nelle innumerevoli sfaccettature della cultura gastronomica, che ha assorbito diversi elementi appartenenti alle cucine tipiche di tante regioni italiane. Quella della Marche è propriamente una gastronomia di transizione tra nord e sud, con sapori che mutano diventando via, via più sapidi, mano a mano che dal confine con l’Emilia Romagna si scende verso sud, in prossimità della regione Abruzzo. La cucina si distingue principalmente in cucina montana, cucina collinare e cucina di mare; quest’ultima propone, chiaramente in prossimità delle coste, primi piatti di mare, come la zuppa di pesce, che assume nomi diversi a seconda della specifica area di provenienza: il brodetto alla Fanese, cucinato in tegami di coccio, il brodetto alla Anconetana, preparato con almeno tredici qualità di pesce, il brodetto alla Sambenedettese e quello di Porto Recanati, rigorosamente senza pomodoro e aromatizzato con lo zafferano. Un’altra zuppa tipica è quella di “ballari”, molluschi di scoglio, ormai introvabili; la regione vede, inoltre, tra i suoi presidi Slow Food i moscioli di Ortonovo, cozze “selvagge”, che si riproducono naturalmente e vivono attaccate agli scogli sommersi della costa del Conero. Vicino al confine con l’Emilia Romagna è usuale trovare i passatelli alla marinara.
  • 28. Tra i secondi si evidenzia lo stoccafisso all’anconetana, dalla laboriosa e lunga preparazione, le sarde a scottadito, le “crocette” i “bombi” e i “garagoli” (molluschi) in porchetta, o al pomodoro. Tra i primi piatti di terra, a nord, sono frequenti i passatelli, nella versione classica, oppure all’urbinate, con aggiunta di spinaci; le tagliatelle spesse all’uovo, condite con ragù di carne e i tortelloni di San Leo, ripieni con ricotta ed erbe selvatiche e la minestra di cappelletti. I vincisgrassi tripudiano un po’ ovunque nella regione, ma soprattutto nel maceratese, mentre più a sud, nella zona di Ascoli Piceno, prevalgono i maccheroncini di Campofilone, lasagne finissime, preparate con ben dieci uova per ogni chilo di farina e condite con ragù di manzo o di papera muta, anche se è possibile trovarle anche con il sugo di pesce Proprio a Campofilone si possono acquistare maccheroncini completamente fatti a mano nella Bottega Artigianale di Irma Alessiani in via Marina, 1. Nell’Ascolano è ancora diffuso il “civarro”, una antica zuppa dei piceni, a base di legumi e farro. Le preparazioni a base di carne ovina, come agnello, castrato e pecora, sono numerosissime, anche se tra i secondi primeggiano polli e conigli in “potacchio”, cioè cotti in un umido ristretto a base di vino, insaporito con rosmarino, prezzemolo aglio e pepe; una modalità di cottura diffusissima nelle marche e talvolta utilizzata anche per il pesce. Un altro metodo di condimento molto utilizzato nella cucina marchigiana è quella definito “in porchetta”, che consiste sostanzialmente nell’aromatizzare i cibi con finocchietto selvatico, aglio e rosmarino, proprio come si usa per la porchetta umbra; a tale proposito è imperdibile il “coniglio in porchetta”, ma anche lumache, vongole e stoccafisso. La carne bovina, nonostante la regione possa vantare la razza “marchigiana”, parente stretta della “chianina”, è meno diffusa perché i bovini, storicamente, venivano utilizzati per il lavoro e per la produzione di latte. Nel nord della regione, in ogni caso, è possibile gustare un ottimo pasticcio di carne bovina (la pasticciata pesarese) e l’ottima “braciola alla urbinate”. Le zone collinari offrono ortaggi in grande quantità e qualità: i cavolfiori di Jesi, i piselli di Potenza Picena, i carciofi di Montelupone, i cardi della valle del Trodica, protagonisti della rinomatissima “parmigiana di gobbi”, le fave di Ostra, e i “pincicarelli”, piante cardacee che si trovano solo nella zona di Ancona, che si gustano fritti, oppure preparati con il classico potacchio. La fascia montana, in prossimità degli Appennini, accosta a piatti rustici, come la porchetta, deliziosi sughi e raffinate bruschette, preparate con i tartufi di cui sono ricche soprattutto la zone di Acqualagna, Visso e Sant’Angelo in Vado. Questa specifica area geografica garantisce la maggior parte della produzione nazionale di tartufi di differenti qualità: bianco, bianchetto, nero d’inverno e scorzone; i tartufi marchigiani sono peraltro gli unici in grado di competere con quelli piemontesi.
  • 29. Tra gli insaccati si distingue il ciauscolo, salame spalmabile aromatizzato con aglio, finocchio, vin cotto e, talvolta, tartufo, reperibile un po’ ovunque nella regione, anche se le zone di elezione per questa specialità sono le provincie di Ascoli Piceno e Macerata. Infatti, a Loro Piceno, in via Regina Margherita, 2 si trova la Macelleria Giuseppe dell’Orso (detto Peppe Cotto), famoso per le sue rime baciate, per le sculture di lardo e per il suo ciausculo. Nell’Ascolano si producono anche ottime salsicce di fegato, mentre dalla provincia di Pesaro e Urbino provengono i noti prosciutti di Carpegna e, dalla zona di Ancona, il celebre salame di Fabriano (presidio Slow Food). Nei monti Sibillini, un massiccio montuoso situato tra le Marche e l’Umbria, maestoso scenario del Parco Nazionale dei Monti Sibillini, si producono ottimi formaggi, tra cui il pecorino. A Cupi, piccola frazione nel Comune di Visso, è possibile vedere un interessante Museo della Pastorizia ed è assolutamente obbligatoria una sosta alla azienda agricola “Pastorello di Cupi”, che produce formaggi con metodi di antica tradizione, in particolare pecorino fresco o stagionato, pecorino in foglia di noce, oppure aromatizzato al peperoncino e allo zafferano. Il consumo di pecorino è molto diffuso anche nella provincia di Ascoli Piceno; a Monte Rinaldo si produce, tra l’altro, un formaggio pecorino dal sapore unico, derivante dal particolare aroma conferito dalle foglie di serpillo, pianto aromatica di cui sono ricchi i pascoli della zona. Tra gli altri formaggi tipici della regione spiccano le caciotte di Montefeltro, quelle del Fermano, le casciotte di Urbino e il formaggio di fossa, tipico del Montefeltro marchigiano ed emiliano. Molti dei formaggi sopra elencati si utilizzano per preparare la tradizionale pizza al formaggio, che un tempo, allietava la Pasqua dei marchigiani. Nella Marche la coltivazione dell’ulivo risale all’VIII secolo prima di Cristo ed è particolarmente diffusa nelle zona di Ascoli Piceno e Macerata. Nella regione si produce olio extravergine di oliva di ottima qualità, raro e raffinato; molto rinomato è, ad esempio, l’olio extravergine di oliva di Cartoceto. Con i frutti di questa pianta secolare si preparano, inoltre, le olive all’Ascolana uno degli antipasti italiani più conosciuti e diffusi. I dolci sono per lo più di origine contadina, realizzati con diversi ingredienti, a basso costo, facilmente reperibili nelle campagne, tra gli altri: i Biscotti al vino, il Ciambellone e i Funghetti di Offida. Relativamente all’enologia, le Marche si contraddistinguono per una produzione all’avanguardia, sia per la qualità del vino, sia per il numero di aziende che producono vino biodinamico. Tra i vini DOC più rinomati, troviamo: Conero DOCG, Rosso Piceno, Colli Pesaresi Rosso , Lacrima di Morro d’Alba, Bianchello del Metauro , Falerio dei Colli Ascolani e il notissimo Verdicchio dei Castelli di Jesi classico e spumante e il Verdicchio di Matelica classico e spumante e, infine, la Vernaccia di Serrapetrona (secco e dolce).
  • 30. CARATTERISTICHE ENOGASTRONOMICHE E PRODOTTI TIPICI L'agricoltura della regione e‘ molto ricca di tradizioni e di itinerari enogastronomici ma poco organizzata per la tutela delle denominazioni, poiché la maggior parte delle specialità viene ancora gelosamente custodita dalla tradizione familiare. Oltre all'olio extravergine Molise DOP, sono prodotti tipici del Molise riconosciuti altri cinque con zona di produzione interregionale. II Caciocavallo Silano DOP nasce, come la stessa denominazione evidenzia, in Calabria ma il Molise produce ugualmente dell'ottimo Caciocavallo che si può acquistare presso i numerosi caseifici artigianali. Il Vitellone Bianco dell'Appennino Centrale IGP e' un altro prodotto tipico molisano : l'allevamento delle razze bianche da carne (Romagnola, Chianina, ma soprattutto Marchigiana) gode di una lunga tradizione. Erano gli animali da lavoro con cui, aggiogati due a due, si lavorava il terreno; oggi sono allevati per la produzione di carne. La macellazione avviene tra i 12 e i 24 mesi. La carne che se ne ricava è di notevole qualità e risente positivamente del fatto che si tratta di animali allevati per gran parte dell'anno allo stato brado, con largo impiego di pascolo e foraggi freschi che conferiscono alla carne aromi caratteristici a seconda della composizione floristica dell'alimento. Nella regione si producono anche i Salamini Italiani alla Cacciatora DOP, laMozzarella di Bufala Campana DOP e la Ricotta di Bufala Campana DOP. Per finire, un itinerario che unisce all'interesse turistico la possibilità di acquistare sul posto i prodotti di cui sinora si è parlato: da Isernia sino a Capracotta, passando per Agnone. Lungo la strada - in tutto sono una novantina di chilometri - e' tutto un susseguirsi di specialita' enogastronomiche. Ad Agnone, famosa per essere la capitale dell'artigianato delle campane, si producono ottimi caciocavalli.Un pittoresco comune di alta montagna (1241 metri sul livello del mare), Capracotta , è invece rinomato per la tradizione di un
  • 31. eccellente carne di castrato. Tra i vini DOC del Molise - dal Biferno al Pentro d'Isernia - e molti altri ancora - spicca la Tintilia che costituisce l' ingrediente principale del famoso piatto dello Scattone. Nelle vallate umide interne delle provincie di Isernia e Campobasso e' Il Tartufo Bianco Pregiato a detenere il primato dell'eccellenza del sapore, motivo per cui viene tanto apprezzato dagli chef di tutto il mondo. Le aree più rinomate sono S.Pietro Avellana, Capracotta, Carovilli (IS) e Boiano (CB). Nelle zone più asciutte si raccoglie in abbondanza lo Scorzone e l'Uncinato.
  • 32. CARATTERISTICHE ENOGASTRONOMICHE E PRODOTTI TIPICI La qualità dei prodotti del territorio, una tradizione culinaria ricca e antica e un attento lavoro di ricerca, modernizzazione e tutela del territorio, inseriscono il Piemonte tra le mete favorite del turismo enogastronomico in Italia. Dalla terra, dal bosco e dalla stalla si ottengono prodotti di altissima qualità, come riso, tartufi (il pregiatissimo bianco d’Alba), nocciole, carne bovina ed una infinita varietà di formaggi, che concorrono a realizzare moltissimi dei piatti della cucina tradizionale piemontese, tra cui le “panisse”, i risotti, le paste ripiene aromatizzate al tartufo o ai formaggi, la gianduia e il rinomatissimo bollito. Ricette segrete, tramandate di generazione in generazione, danno origine alle tipiche salse che accompagnano solitamente i piatti di carne, ma anche formaggi e verdure, come il “bagnet verd”, il “bagnet ross” e la gustosissima “Bagna Càuda” servita nel “fojot”, tipico contenitore in terracotta con fornellino, per mantenere la salsa in caldo. La pregiata carne piemontese è spesso presente anche nei primi piatti, protagonista del ripieno degli agnolotti e dei tradizionali “ravioli del plin”, serviti con il sugo d’arrosto o con una riduzione al vino rosso. Per assaggiarli, il luogo ideale si chiama Plin & Tajarin, a Torino, non lontano dal palazzo di giustizia; il locale è piccolo, ma è una vera e propria oasi di gusto. L’indiscusso re dei secondi piatti della trazione regionale del Piemonte è, senza dubbio, il gran bollito piemontese; la ricetta originale, ricostruita dalla Accademia Italiana della Cucina, vuole che sia preparato con sette tagli di polpa (tenerone, scaramella, muscolo di coscia, muscoletto, spalla, fiocco di punta, cappello del prete), sette ammennicoli (lingua, testina col musetto, coda, zampino, gallina, cotechino, rollata) e sette salse, o “bagnetti” (verde rustico, verde ricco, rosso, cren, mostarda, cognà e salsa al miele) e che sia accompagnato da sette contorni. Una piatto “robusto” e sicuramente impegnativo, peraltro difficile da trovare nella versione originale, anche se all’Osteria dei Cinque Piatti a Torino, ripropongono la ricetta storica del bollito risorgimentale piemontese, proprio come amava gustarlo Vittorio Emanuele II. La cultura casearia custodisce, soprattutto nella zona delle Langhe, tradizioni secolari, che portano sulle tavole italiane ottimi formaggi, tra i più conosciuti: il Murazzano, la Toma Piemontese, la Robiola di Roccaverano e il superlativo Castelmagno. Da segnalare anche i salumi, come il Salam d'la duja, salsiccia ricoperta di strutto fuso e preparata in un canestro di terracotta, detto doja, il fidighin, mortadella di fegato condita con Barbera e purè e il Meiron'd crava, capra affumicata in salamoia.
  • 33. Il fine pasto è delizioso con i classici dolci della tradizione tra cui lo zabaione, il bonet e la torta con le pregiate nocciole delle langhe. Da non trascurare la lunga tradizione cioccolatiera della città di Torino, che ci ha consegnato grandi specialità come il “bicerin” e la celebratissima nutella. Torino ha espresso anche attraverso la passione per il cioccolato la sua attitudine alla innovazione sperimentando, agli inizi dell’800, un’apparecchiatura che consentiva di trasformare cacao, vaniglia, acqua e zucchero in una tavoletta solida, dando vita ad una inedita specialità, il cioccolatino, da allora in poi declinato in infinte varianti: praline, bonbon, tartufi, cremini e i celeberrimi gianduiotti . Ancora oggi nella capitale sabauda, hanno sede importanti aziende del settore (Caffarel, Streglio, Feletti) e, soprattutto, grandi realtà artigianali e antiche pasticcerie, come quella della famiglia Giordano, l’unica a produrre ancora il cioccolatino “tagliato a mano”, e quella della famiglia Peyrano. Da Platti, invece, altro locale storico della città, luogo di ritrovo di intellettuali e borghesi nell’epoca monarchica, oltre alla pasticceria, si possono apprezzare ottimi aperitivi con una vastissima scelta di finger food, tartine e canapè. Di sicura importanza anche la tradizione enologica, valorizzata da produzioni di assoluta qualità, provenienti delle regioni classiche di eccellenza: Langhe, Monferrato e Roero; Tra i numerosi ricordiamo: Barolo, Barbaresco, Roero Arneis, Dolcetto d’Alba, oltre alla ben nota Barbera d’Asti e del Monferrato. Di grande pregio anche la produzione di vini bianchi, tra cui è impossibile non ricordare l’Erbaluce di Caluso e il Gavi o Cortese Gavi, nonché numerosi vini da dessert, tra cui il Moscato d’Asti, e il Brachetto d’Acqui. Molto conosciuti e celebrati anche le grappe e il vermouth, inventato proprio a Torino, alla fine del ‘700, da Benedetto Carpano. Non è quindi un caso che, proprio in Piemonte, sia nata l’Associazione Slow Food, che opera per promuovere il consumo di cibo sano e per la tutela dei territori e della biodiversità.
  • 34. CARATTERISTICHE ENOGASTRONOMICHE E PRODOTTI TIPICI La Puglia è una regione pressoché pianeggiante, l’assenza di rilievi montuosi di una qualche rilevanza, capaci di rappresentare barriere naturali, sia verso l’interno, che verso l’esterno, ha contribuito, non solo a rendere piuttosto omogenea la cucina regionale, ma anche ad esporla all’influenza delle culture gastronomiche delle regioni confinanti. In effetti, la Puglia condivide non pochi prodotti e preparazioni con la vicina Basilicata e, in generale, con le altre regioni del sud; solo per fare un esempio, l’utilizzo delle fave ridotte in purea, è una modalità costante diffusa anche in Sicilia e Calabria e conosciuta con il nome di Maccu. Le dominazioni occorse in epoche antiche, hanno ugualmente contaminato la gastronomia pugliese, che ha altresì assimilato tradizioni gastronomiche di altri popoli. La conformazione del territorio, costituito da zone pianeggianti e collinose e da un clima particolarmente mite ha, di fatto, privilegiato lo sviluppo dell’agricoltura e dell’allevamento. La tradizione gastronomica è caratterizzata dall’utilizzo creativo dei prodotti della terra, in particolare cereali, legumi e ortaggi, tra cui spiccano due tipicità: il lampascione e il fungo cardoncello. Anche la frutticoltura, in particolare, gli agrumi trovano nella zona del tarantino un area di eccellenza; La frutta secca e quella fresca essiccata, in particolare i fichi, è spesso impiegata insieme a miele e mosto di uva nella preparazione dei dolci tipici pugliesi: mostaccioli e cartellate. Diffusissima la coltivazione della vite e dell’ulivo, tanto che la produzione dell’olio extravergine di oliva rappresenta, sia qualitativamente, che quantitativamente, il portabandiera della regione. Dal promontorio del Gargano fino al Salento si contano ben cinque oli extravergini di oliva a denominazione di origine protetta: Dauno DOP, Terre di Bari DOP, Collina di Brindisi DOP, Terre Tarentine DOP e Terre d’Otranto DOP. Per assaporarne appieno il gusto, che si distingue a seconda della varietà degli olivi utilizzati e delle caratteristiche del terreno, è sufficiente abbinarlo ad un'altra bontà tipica, il pane di Altamura; la cultura gastronomica popolare pugliese è, del resto, molto legata alla tradizione del pane, alimento povero che caratterizzava, anticamente, la cucina frugale dell’entroterra; abbrustolito sul camino e abbinato a olive, erbe di campo, verdure fresche, oppure conservate sottolio, spesso in modo casuale o determinato dalla disponibilità degli ingredienti, non mancava nel convivio dei contadini ed è, ancora oggi, protagonista dei gustosissimi antipasti tipici della cucina pugliese.
  • 35. I prodotti da forno sono innumerevoli, molti dei quali condivisi con altre regioni del sud, dai notissimi taralli, spesso aromatizzati con finocchio o peperoncino, alle friselle, senza tralasciare la tipica focaccia pugliese, condita con il pomodoro fresco e la gustosissima “puddica”, preparata con farina e patate e condita con cipolle e pomodoro fresco. La coltivazione dei cereali, in particolar modo del frumento, racconta sul territorio una storia antichissima, tanto è vero che la Puglia è considerata l’antica capitale del grano; pur vantando produzioni industriali di grande qualità, che la collocano in una posizione di sicuro rilevo nella filiera della produzione di pasta in Italia, la regione conserva intatta la tradizione della pasta fresca; nel pranzo della domenica sono, ancora oggi, molto presenti, strascinati, orecchiette e cavatelli, rigorosamente fatti in casa, conditi con la cima di rapa o alla barese, con un ragù preparato con carne di maiale, agnello manzo e salsiccia. Dalla tradizione contadina provengono anche le zuppe, preparate con cereali e legumi, una volta lessati in pignate di terra cotta; proprio la zuppa, fave e cicorie, classica pietanza povera locale, è divenuta di gran moda, negli ultimi anni, rivisitata da grandi chef e servita nei migliori ristoranti, non solo in Puglia. La coltura dei legumi dominante in tutta la cucina mediterranea, trova alcune delle sue eccellenze in due prodotti regionali: il cece nero della Murgia Carsica e la fava di Carpino. Lo sviluppo dell’attività di allevamento ha, con il tempo, arricchito quella cucina frugale povera e, spesso casuale, di uova, formaggi e carne, in prevalenza ovina, anche se non mancano eccellenze nell’allevamento bovino; tra i presidi slow food della Puglia, troviamo la Vacca podolica del Gargano e la Capra garganica.
  • 36. I formaggi freschi a pasta filata primeggiano nella zona di Andria, luogo di eccellenza per la produzione e lavorazione del latte, che vede una notevole presenza di caseifici, anche artigianali; oltre alla famosissima mozzarella, meritano una menzione particolare la burrata e il Fiordilatte, in particolare quello prodotto dal Caseificio Olanda, selezionato dal Gambero Rosso tra i dieci migliori d’Italia. Quasi totalmente bandita dall’alimentazione moderna, particolarmente attenta alla salute, in Puglia, la frittura resta una modalità di cottura molto adoperata; lungo le stradine lastricate del borgo antico di Bari, l’aria è intrisa dall’odore di frittura proveniente da padelloni fumanti dove, ancora oggi, si friggono sgagliozze, tranci di polenta fritta e pòpizze, frittelle sferiche croccanti fuori e morbide dentro, fatte con un semplice impasto di farina; due preparazioni tipiche della gastronomia tradizionale barese.
  • 37. Attraversando la Puglia sono tantissimi i colori, gli odori e i sapori che si sovrappongono, non ultimo quello del pesce, perché la variegata gastronomia pugliese, si riassume nella antica tradizione contadina delle Murge, nella bontà dei prodotti essiccati o conservati sottolio, arte e genialità della terra dei trulli, ma anche nella varietà dei prodotti ittici di cui dispone, grazie agli oltre ottocento chilometri di costa che la percorrono. Ed ecco la pasta fresca, sublimata dai meravigliosi sapori del mare, con il ragù declinato alla marinara, chiamato ciambotto, le zuppe di pesce, il polpo cucinato nella tradizionale pignata salentina e la tiella di riso patate e cozze, dove traspare con forza la contaminazione culinaria originata dalla dominazione spagnola; e, per finire, una irrinunciabile usanza dei baresi, il “crudo di mare”, trionfo di molluschi, crostacei e prelibati ricci; per assaggiarlo sono due gli indirizzi, entrambi a Torre a Mare, borgo di pescatori poco distante dal centro della città: da Nicola - viale Principe di Piemonte, 3 tel 080 5430043 - locale a conduzione familiare con annessa pescheria e terrazza sul porticciolo, che propone un menù tradizionale, apprezzabile soprattutto per la freschezza del pesce e la più recente Taverna Le Rune, biosteria con piatti della cultura mediterranea, interpretati in modo creativo e con un tocco “fusion”. Insolito, ma riuscito, l’accostamento tra pesce e birra artigianale. A dispetto dell’antichissima tradizione della coltivazione della vite, che in Puglia risale addirittura a circa duemila anni prima di Cristo, la produzione di vini con prerogative adeguate alla qualità dell’uva, è storia relativamente recente. Fino a non molti anni fa, infatti, i vini pugliesi servivano prevalentemente per esaltare vini prodotti al nord. Per contro, oggi, la Puglia ha raggiunto una qualità elevatissima nella produzione. La gamma è vastissima, dalla Daunia al Salento; segnaliamo alcuni tra i vini doc maggiormente apprezzati, provenienti da vitigni autoctoni: San Severo, Cacc'è Mmitte di Lucera, Primitivo di Manduria, Moscato di Trani, Ostuni, Aleatico di Puglia, Salice Salentino, Leverano, Squinzano e l’ormai famosissimo Negroamaro. Di recente, la regione ha ottenuto notevoli riconoscimenti per la produzione di vino rosato, una tipologia che sta riscuotendo grande interesse tra i consumatori; dei dieci principali vini rosati prodotti in Italia, ben quattro provengono dal territorio pugliese.
  • 38. CARATTERISTICHE ENOGASTRONOMICHE E PRODOTTI TIPICI Un'isola con una gastronomia multiforme: questa è la Sardegna, una regione che ha tratti quasi “esotici” in molte sue espressioni culturali. La cucina non è da meno: le aragoste e i tonni di Carloforte convivono con i malloreddus (gnocchetti sardi), con l'arcinoto maialetto arrosto, e con preparazioni ancor più ancestrali a base d'agnello, grande risorsa sarda.Proprio da questa cultura della pecora e della capra, ci viene uno dei prodotti più rari: il callu de cabreddu. Si tratta di uno stomaco di caprettoin cui è versato latte di capra: il caglio presente nello stomaco fa coagulare il latte, che diventa così un particolarissimo formaggio. Anticamente si usava addirittura lo stesso stomaco ancor pieno di latte di un capretto appena ucciso, sfruttando quindi il latte già presente.Gli altri formaggi sardi sono senza dubbio più facili da approcciare. Il Pecorino Romano DOP, che fa riferimento, nel nome, a quei soldati romani cui spettavano razioni di formaggio, è prodotto quasi totalmente in Sardegna: di grandi dimensioni, è caratterizzato da una pasta dura, perfetta da grattugiare. Più piccolo, ma ugualmente idoneo a stagionatura, è anche il Pecorino Sardo DOP, mentre il Fiore Sardo DOP ha un sapore più dolce. Assai ricercato è il Pecorino di Osilo, molto raro, prodotto nel Sassarese e caratterizzato dalla pasta molto pressata. Tra i formaggi di latte di mucca, è oltremodo interessante il Casizolu del Montiferro: un formaggio della famiglia dei caciocavalli, ottenuto anche da latte di antica razza sardo-modicana.Salumi? Anzitutto, la salsiccia sarda di maiale, di forma allungata e spesso piegata a U. Poi, il prosciutto crudo, spesso ottenuto da maiali allo stato brado: uno dei più famosi è quello di Desulo, un piccolo centro sulle pendici del massiccio del Gennargentu. Da tempo, inoltre, qualche azienda ha lanciato la produzione di caratteristici insaccati di pecora, molto saporiti.E' impossibile chiudere la rassegna gastronomica sarda senza menzionare la bottarga di muggine, ottenuta dalle uova dei cefali essiccate: quella dello stagno di Cabras, vicino Oristano, è particolarmente rinomata.Il vino sardo per antonomasia è il Cannonau, un rosso di gran corpo, ottenuto da un'uva che si dice imparentata con la grenache.
  • 39. CARATTERISTICHE ENOGASTRONOMICHE E PRODOTTI TIPICI La cucina siciliana forse non ha bisogno di presentazioni, eppure va ricordata: un tripudio di colori, di profumi e di sapori che ha letteralmente conquistato il mondo. Alzi la mano chi non ha mai assaggiato la pasta con le sarde alla palermitana. Oppure la pasta alla Norma, con le melanzane (ortaggio in cui i siculi sono maestri), dedicata dai catanesi alla protagonista dell'opera più nota del loro concittadino Vincenzo Bellini. Già meno probabile e frequente è l'assaggio del cuscus (anzi, cuscusu) alla trapanese, o della gelatina di maiale della Sicilia orientale. Con la dolcissima cassata torniamo invece alle ricette arcinote, mentre col pani c'a meusa (panino con milza) torniamo alla poverissima tradizione popolare. Dalla Sicilia ci viene uno dei più grandi formaggi italiani, anche per dimensione: il Ragusano. Appartenente alla famiglia dei caciocavalli, ha la forma di un grosso parallelepipedo, e viene stagionato (anche per molti mesi) letteralmente “impiccato” a una robusta corda. Imparentati col Ragusano per la filatura della pasta, ma non per forma e sapore, sono poi la Provola dei Nebrodi e la Provola delle Madonie. Pure di pasta filata, ma di latte di pecora (unico caso in Italia), è la morbida, carezzevole Vastedda del Belice, formaggio ricercatissimo e molto fine malgrado la genesi povera. Importantissima la cultura del latte di pecora: il Pecorino Siciliano ha ottenuto la DOP, ma dalle greggi si ottiene anche molto altro. Per esempio, il Piacentinu di Enna, aromatizzato con pepe e zafferano. O il Maiorchino, di grossa dimensione e con una percentuale di latte di capra, nato nel territorio dei dintorni di Messina. Tra i salumi, particolarmente pregiati sono pancette, salami e prosciutti ottenuti da carni di maiale nero dei Nebrodi. Interessante anche il Salame di Sant'Angelo in Brolo, caratterizzato dalla macinatura grossa, a punta di coltello. La Pasqualora è una salsiccia rossa piccante prodotta tradizionalmente nel Trapanese. Ricca e variegata è la produzione di vino, orgoglio dell'isola. Ci piace ricordare uno dei più apprezzati, il Passito di Pantelleria.
  • 40. CARATTERISTICHE ENOGASTRONOMICHE E PRODOTTI TIPICI Parlare dell'importanza del mangiare e del bere in Toscana equivarrebbe a scrivere un libro. Ci limitiamo a dire che la terra granducale è da sempre uno dei nuclei del buon gusto e del buon vino italiano, nonché patria di una cucina che non è mai uguale a se stessa. C'è la tradizione marittima di Viareggio e Livorno; ci sono le ricette di caccia della Maremma; la cucina montanara della Garfagnana e della Lunigiana; le grandi specialità fiorentine; i sapori poveri del Mugello. C'è di tutto, insomma. E ci sono, soprattutto, tante zuppe: la pappa col pomodoro; la ribollita, di cui forniamo la ricetta; la Garmugia lucchese; la minestra di riso e lampredotto. Quest'ultimo è il quarto stomaco del bovino, dunque entra nella famiglia delle trippe, che a Firenze e dintorni hanno grandissime benemerenze. I vini, rinomati a livello internazionale, contemplano autentici pezzi da novanta dell'enologia italiana. Per limitarci alle denominazioni, la Santa Trinità è quella composta da Chianti, Vino Nobile di Montepulciano e Brunello di Montalcino, tutti e tre a base sangiovese. Negli ultimi trent'anni ha avuto pure grande successo il vino di Bolgheri, nella fascia litoranea tra Livorno e Piombino: il Sassicaia ne è un esempio.
  • 41. Parlare dell'importanza del mangiare e del bere in Toscana equivarrebbe a scrivere un libro. Ci limitiamo a dire che la terra granducale è da sempre uno dei nuclei del buon gusto e del buon vino italiano, nonché patria di una cucina che non è mai uguale a se stessa. C'è la tradizione marittima di Viareggio e Livorno; ci sono le ricette di caccia della Maremma; la cucina montanara della Garfagnana e della Lunigiana; le grandi specialità fiorentine; i sapori poveri del Mugello. C'è di tutto, insomma. E ci sono, soprattutto, tante zuppe: la pappa col pomodoro; la ribollita, di cui forniamo la ricetta; la Garmugia lucchese; la minestra di riso e lampredotto. Quest'ultimo è il quarto stomaco del bovino, dunque entra nella famiglia delle trippe, che a Firenze e dintorni hanno grandissime benemerenze. I vini, rinomati a livello internazionale, contemplano autentici pezzi da novanta dell'enologia italiana. Per limitarci alle denominazioni, la Santa Trinità è quella composta da Chianti, Vino Nobile di Montepulciano e Brunello di Montalcino, tutti e tre a base sangiovese. Negli ultimi trent'anni ha avuto pure grande successo il vino di Bolgheri, nella fascia litoranea tra Livorno e Piombino: il Sassicaia ne è un esempio.
  • 42. CARATTERISTICHE ENOGASTRONOMICHE E PRODOTTI TIPICI Le caratteristiche gastronomiche del Trentino Alto Adige sono il risultato del delizioso connubio tra la cucina veneta, di tradizione tipicamente italiana, e quella viennese. L’icona gastronomica è rappresentata dallo speck, ma la regione offre un vasto catalogo di carni salate, affumicate e stagionate, come la carne fumada di Siror, ; tra i presidi slow food, troneggiano le ciuighe del Banale, salame tipico composto da carne suina mescolata con rape e la mortandela della Valle di Non (da non confondere con la mortadella), rinomatissima quella di Smarano dove ha sede la storica macelleria salumeria dei Fratelli Corrà, che lavorano da oltre un secolo carni pregiate e salumi trentini. I canederli, fortemente ispirati ai knoedel mitteleuropei, serviti conditi con burro, speck, oppure in brodo e insaporiti con grana del trentino, sono i protagonisti incontrastati dei primi piatti; diffusissimi anche gli strangolapreti, una versione locale degli strozzapreti toscani, importati durante il famoso Concilio di Trento, che prevedono - come i canederli - l’utilizzo di pane raffermo. Particolarissimi, anche se molto lontani dalla tradizione gastronomica italiana, sono i cianucei, ravioli ripieni di marmellata, saltati in padella con burro e pane.
  • 43. Le vallate lussureggianti e i verdi pascoli del Trentino Alto Adige distesi fino alle cime più alte delle Dolomiti sostengono una produzione casearia di altissima qualità: latte, lavorato ancora oggi con le stesse tecniche millenarie di una volta, burro, yogurt e, soprattutto, formaggi. Il tagliere della regione è ricchissimo, oltre al classico Dolomiti della Val di Fiemme, si spazia dal puzzone di Moena, tipico della Val di Fassa, al casolet della Val di Sole, fino al vezzena della regione di Trento; tra i formaggi freschi spicca la poina, una specie di ricotta, talvolta salata e affumicata. Il Grana Padano del Trentino, chiamato Trentingrana, rientra nella denominazione Grana Padano DOP. Provengono invece dall’arco alpino tirolese il classicissimo Tirolese e il GrauKaese (formaggio grigio), che si gusta condito con aceto, oppure olio ed erbe aromatiche; questo formaggio è il protagonista di una nota ricetta del Cucchiaio d’Argento che lo interpreta servendolo con cipolla fresca, olio e aceto.
  • 44. CARATTERISTICHE ENOGASTRONOMICHE E PRODOTTI TIPICI L'Umbria, il cuore verde d'Italia, si rivela essere una regione assai gratificante anche per il buongustaio. La cucina umbra è fatta di cose semplici, tradizionali, molto radicate alle ottime materie prime locali. L'olio extravergine d'oliva, tanto per dire, può vantare un'importanza produttiva e qualitativa di tutto rispetto: in questa piccola regione ci sono 27.000 ettari di oliveti, 250 frantoi, una produzione media collocabile intorno ai 90.000 quintali annui d'olio di cui 8.000 certificati con la DOP Umbria. Norcia (Perugia) è città famosissima a livello mangereccio. Anzitutto per il tartufo nero, appunto, di Norcia: profumato e intrigante, più che a crudo (uso per cui sono perfetti i tartufi bianchi) è ideale da impiegare in cottura, in preparazioni anche complesse. Fa parte del comprensorio di Norcia anche l'altipiano di Castelluccio, da cui originano le lenticchie di Castelluccio IGP, tra le più famose d'Italia, di piccola dimensione e dalla buccia sottile. Terzo famoso prodotto della cittadina è il Prosciutto di Norcia IGP, un prosciutto crudo che si giova della stagionatura nel particolare microclima della Valnerina. L'ultimo grande prodotto legato a Norcia è il formaggio pecorino: in Umbria, come nella vicina Toscana, la cultura del latte di pecora è radicata da secoli. Altri salumi umbri interessanti? La Barbozza (o, al maschile, Barbozzo) è il guanciale del suino, debitamente stagionato. Il Mazzafegato, o Ammazzafegato, è una salsiccia che, come intuibile dal nome, contiene forte percentuale di fegato suino: è tipica della Valtiberina. Quanto al bere, in Umbria sono molto noti i bianchi di Orvieto, seppure anche i rossi, specie nella zona di Torgiano, possano offrire bottiglie interessanti.
  • 45. CARATTERISTICHE ENOGASTRONOMICHE E PRODOTTI TIPICI La cultura enogastronomica della Valle d’Aosta è fortemente influenzata dall’utilizzo esclusivo di prodotti locali, dovuto ai limitatissimi scambi con l’esterno. A differenza delle altre regioni italiane, che risentono dell’influenza delle reciproche culture gastronomiche, la cucina valdostana ha, di contro, grande affinità con le tradizioni culinarie delle regioni transalpine confinanti: Savoia, Alta Savoia e Vallese. I prodotti agroalimentari della tradizione locale sono rappresentati dai cereali di montagna, dalle verdure (rape, patate, cipolle e porri) da mele, pere e castagne, oltre che dalla carne bovina, suina (rinomatissimo il lardo d’Arnad) e dalla selvaggina. La carne viene impiegata prevalentemente per “umidi”, preparati con sughi elaborati, arricchiti di panna e formaggi; notevole la scelta di salumi e insaccati, assolutamente da assaggiare il prosciutto di Bosses. Irrinunciabile è anche la polenta, che accompagna sempre i primi piatti. La produzione casearia è piuttosto varia, sopratutto per quanto riguarda i formaggi a pasta morbida, tra cui la fontina, protagonista dei pochi piatti che hanno superato i confini regionali: la fonduta, fontina sciolta con latte, burro e tuorli d’uovo e la polenta concia. Totalmente assente è la coltivazione del frumento, tanto è vero che si utilizza il pane di segale e la pasta non compare del tutto nei menù tradizionali; anche l’olio extravergine di oliva è scarsamente utilizzato ed è sostituito, nella preparazione delle pietanze, dal burro o da altri grassi, sia di origine vegetale, che animale. Anche le zuppe sono molto diffuse, tra tutte, quelle di più antica tradizione sono la zuppa di Valpelline e la seupetta de Cogne. La presenza della Alpi che proteggono la regione dalle correnti fredde e umide provenienti da nord e da ovest ha, già dai tempi dei romani, contribuito a creare condizioni favorevoli per la coltivazione della vite. La possibilità di effettuare coltivazione ad altitudini e pendenze diverse, ha inoltre consentito ai “vignerons” locali, di utilizzare una svariata quantità di vitigni e di produrre vini di ottima qualità, sia rossi, che bianchi. Tra i più noti, e tra i primi ad ottenere la denominazione di origine controllata: l’Enfer e il Donnas, ma è possibile anche degustare Muller Thrugau, Pinot Grigio e Chardonnay di grande pregio. Di pari passo con quella del vino, naturalmente di grande qualità, anche la produzione di grappa.
  • 46. CARATTERISTICHE ENOGASTRONOMICHE E PRODOTTI TIPICI Impossibile tentare una panoramica gastronomica del Veneto, senza sottolineare come questa regione sia una delle maggiori produttrici di vino in Italia. A parte una numerosa quantità di vino di basso prezzo, il Veneto brilla anzitutto per i vini del Veronese: il Valpolicella e il suo “fratello maggiore”, l'Amarone, per i rossi, e il Soave per i bianchi. Altra produzione di rinomanza internazionale è quella del Prosecco, che ha i suoi due poli produttivi più antichi nella zona di Conegliano e Valdobbiadene, nonché in quella, meno nota, di Asolo. Vini di tutti i tipi sono poi prodotti sui Monti Berici (Vicenza) e sui Colli Euganei (Padova), dove tuttora nascono dei Cabernet di grande autenticità. Tutti si prestano agli accostamenti con la ricca e varia cucina veneta, che vede la convivenza di ricette montanare (Belluno), baccalà (Vicenza e Venezia), tradizioni marinare (Venezia), bolliti misti (Verona). Il Veneto, in ogni caso, è pure famoso per i salumi. La Sopressa, o Soppressa, non ha bisogno di presentazioni: un salame a grana grossa e di grosso diametro, che resta morbido per lungo tempo, e dunque può affrontare stagionature anche lunghe. In quasi tutto il territorio della regione si può trovare la Soppressa, ma probabilmente quella più famosa e celebrata è la Soprèssa vicentina. E' degno di nota pure un prosciutto crudo: quello cosiddetto Veneto Berico Euganeo, il cui nucleo di produzione più illustre è a Montagnana (Padova), pur essendo diffuso in tutta la zona. Occorre anche citare una tradizione caratteristica: quella dei salumi equini (bresaola, salame, carne secca, sfilacci), che è tuttora radicata in alcuni centri della bassa padovana e non solo. Sul terreno dei formaggi, il Veneto può farsi vanto dell'Asiago, il più importante cacio vicentino, che nasce in due versioni: l'Asiago cosiddetto “pressato”, che è più fresco e morbido, e l'Asiago “d'allevo”, che è a pasta semicotta e può venir stagionato con successo. Quest'ultimo può recare la menzione “Prodotto della montagna”, qualora sia fatto in montagna.
  • 47. Permane una suggestiva produzione di malga, nella zona originaria dell'Altopiano dei Sette Comuni, la cui produzione di Asiago Stravecchio (minimo 18 mesi di maturazione) è supportata da Slow Food. Altro formaggio fondamentale è il Monte Veronese, pure lui beneficiario della DOP: anche il Monte Veronese distingue inoltre una produzione di pianura e una più o meno di malga. Impossibile tentare una panoramica gastronomica del Veneto, senza sottolineare come questa regione sia una delle maggiori produttrici di vino in Italia. A parte una numerosa quantità di vino di basso prezzo, il Veneto brilla anzitutto per i vini del Veronese: il Valpolicella e il suo “fratello maggiore”, l'Amarone, per i rossi, e il Soave per i bianchi. Altra produzione di rinomanza internazionale è quella del Prosecco, che ha i suoi due poli produttivi più antichi nella zona di Conegliano e Valdobbiadene, nonché in quella, meno nota, di Asolo. Vini di tutti i tipi sono poi prodotti sui Monti Berici (Vicenza) e sui Colli Euganei (Padova), dove tuttora nascono dei Cabernet di grande autenticità. Tutti si prestano agli accostamenti con la ricca e varia cucina veneta, che vede la convivenza di ricette montanare (Belluno), baccalà (Vicenza e Venezia), tradizioni marinare (Venezia), bolliti misti (Verona). Il Veneto, in ogni caso, è pure famoso per i salumi. La Sopressa, o Soppressa, non ha bisogno di presentazioni: un salame a grana grossa e di grosso diametro, che resta morbido per lungo tempo, e dunque può affrontare stagionature anche lunghe. In quasi tutto il territorio della regione si può trovare la Soppressa, ma probabilmente quella più famosa e celebrata è la Soprèssa vicentina. E' degno di nota pure un prosciutto crudo: quello cosiddetto Veneto Berico Euganeo, il cui nucleo di produzione più illustre è a Montagnana (Padova), pur essendo diffuso in tutta la zona. Occorre anche citare una tradizione caratteristica: quella dei salumi equini (bresaola, salame, carne secca, sfilacci), che è tuttora radicata in alcuni centri della bassa padovana e non solo. Sul terreno dei formaggi, il Veneto può farsi vanto dell'Asiago, il più importante cacio vicentino, che nasce in due versioni: l'Asiago cosiddetto “pressato”, che è più fresco e morbido, e l'Asiago “d'allevo”, che è a pasta semicotta e può venir stagionato con successo. Quest'ultimo può recare la menzione “Prodotto della montagna”, qualora sia fatto in montagna. Permane una suggestiva produzione di malga, nella zona originaria dell'Altopiano dei Sette Comuni, la cui produzione di Asiago Stravecchio (minimo 18 mesi di maturazione) è supportata da Slow Food. Altro formaggio fondamentale è il Monte Veronese, pure lui beneficiario della DOP: anche il Monte Veronese distingue inoltre una produzione di pianura e una più o meno di malga.