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LA RICERCA DI CIVILTÀ EXTRATERRESTRI
                       di Walter Ferreri




      ASSOCIAZIONI ECO & ALADINO - info: ecoassociazione@yahoo.it
            Media Partner Gravita Zero - www.gravita-zero.org




                   Torino, 17 ottobre 2009
E’ da quattro secoli che l’uomo osserva il cielo attraverso telescopi, di potenza
via via crescente, fino ai colossi dei nostri giorni, e da circa ottant’anni lo
“ascolta” con quelle grandi “orecchie” chiamate radiotelescopi. Lo sviluppo di
questi strumenti ed il loro intenso uso hanno portato ad un grande numero di
scoperte; gli astri ci hanno svelato molti dei loro segreti. Le sostanze che
compongono le stelle, la loro distanza, i movimenti e la massa dei pianeti, sono
tutte cose oggi piuttosto ben note. Ma per quanto interessanti possano essere le
caratteristiche dei mondi che ci circondano, è molto più entusiasmante scoprire
se qualcuno di questi ospita una civiltà evoluta, paragonabile alla nostra.

Il fatto che amminoacidi (mattoni della vita) – molecole di struttura ancora
relativamente semplice, contenenti da 20 a 30 atomi circa di acqua, metano,
ammoniaca, ecc. – siano stati rintracciati su meteoriti, ha fornito molte speranze
in questo senso. Ricordiamo che da esattamente venti tipi diversi di tali acidi si
formano le proteine e le cellule di piante, batteri e animali sono formate da
proteine. Sfortunatamente, per noi abitanti della Terra, che conosciamo
“soltanto” milioni di proteine diverse, il numero delle possibili combinazioni è di
gran lunga superiore a tutti gli atomi presenti nell’universo!

Le ricerche su possibili intelligenze extraterrestri, cioè quelle che vanno sotto il
nome generico di SETI (Search for Extra Terrestrial Intelligence) non sono
mancate. Già alcuni grandi telescopi del XIX secolo furono utilizzati anche a
questo scopo. I giganteschi rifrattori (telescopi a lenti) di Lick e Yerkes (USA)
vennero costruiti grazie ad ingenti donazioni di privati, ai quali non era estranea
l’idea di imbattersi in una civiltà extraterrestre.

Verso la fine del XIX secolo, gran parte delle speranze era riposta su Marte. Il
“pianeta rosso” agli osservatori dell’epoca rivelava delle calotte polari, regioni
“verdi”, nubi, tempeste di sabbia e “canali”. Questi ultimi vennero interpretati da
molti come costruzioni artificiali degli abitanti di Marte, cioè dei marziani. In
seguito si assistette all’apparizione di punti luminosi, che alcuni interpretarono
come segnali dei marziani rivolti agli abitanti della Terra; altri, dopo la seconda
guerra mondiale, come esplosioni atomiche. Ma sia gli uni che gli altri erano in
errore; si trattava, in realtà, della riflessione della luce del Sole su superfici
ghiacciate.

Con l’avvento dell’astronautica, negli anni ’60, divenne possibile inviare
direttamente su Marte delle sonde automatiche, delle quali la prima felicemente
arrivata (Mariner 4, nel 1965) rivelò un’intensa craterizzazione ma neppure
l’ombra di canali artificiali. La spugna alle speranze di vita evoluta su Marte venne
passata dalle sonde Viking negli anni ’70, quando divenne oltremodo evidente che
nel sistema solare solo la Terra ospita una civiltà evoluta. I canali, che avevano
dato adito a molte speranze, dovevano poi rivelarsi una specie di “illusione
ottica”, una cui spiegazione esauriente richiede molte pagine.
Apparve quindi chiaro che una eventuale civiltà extraterrestre doveva essere
cercata al di fuori del sistema solare, sui possibili pianeti di altre stelle, che si è
iniziato a scoprire nel 1995 e riuscire a fotografare nel 2008. Il fatto che ora
siamo in grado di vedere direttamente pianeti intorno ad altre stelle, fa ritenere
che la vita, anche quella intelligente, possa essere molto diffusa nell’universo, ma,
naturalmente, non ce ne fornisce alcuna prova.

Per sapere se attualmente vi sono civiltà extraterrestri la speranza più grande è
riposta nei radiotelescopi, che sono attualmente in grado di rivelare un’emissione
della potenza di un’emittente televisiva a distanze di decine di anni-luce. Proprio
con uno di questi strumenti, nel 1967 si ebbe, finalmente, l’impressione di
ricevere segnali artificiali extraterrestri. Ma si trattava di un falso allarme. Pochi
mesi dopo ci s’accorse che i segnali erano causati dalla rapida rotazione di una
stella di neutroni. In seguito furono scoperte altre di queste stelle, che per tale
caratteristica vennero battezzate pulsar.

Oggigiorno l’ostacolo della sensibilità dei radiotelescopi può dirsi in parte
superato, ma ne permangono altri due: dove puntare le antenne e su quali
frequenze sintonizzarsi. Per superare il primo punto si è ragionato in questo
modo. Presumibilmente anche altre possibili civiltà analoghe alla nostra hanno
bisogno di un lunghissimo tempo per potersi evolvere dalle forme di vita più
semplici a quelle più complesse tipo i mammiferi. Esse richiedono che la luce e il
calore ricevuto dal loro sole (che dev’essere ricco di metalli e quindi di
popolazione I come il nostro) sia costante o non troppo variabile su un arco
molto lungo di tempo. Quindi, tutte le stelle fortemente variabili o di breve
durata (milioni di anni) sono da escludere. Inoltre, il pianeta deve trovarsi
all’interno della cosiddetta ecosfera, cioè ad una distanza dalla sua stella tale che il
calore ricevuto sia sufficiente a promuovere i processi vitali ma non così alto da
impedirli. Secondo Dole un pianeta abitabile per l’uomo deve ricevere da 0,65 a
1,9 volte l’energia ricevuta dalla Terra se vengono considerati altri fattori che
giocano a favore. Per il nostro Sole, usando un modello climatico semplificato,
questo significa una distanza compresa fra 0,72 e 1,2 unità astronomiche. Queste
considerazioni ed altre hanno portato i ricercatori a scegliere stelle di tipo
solare, cioè né troppo calde né troppo “fredde” e con un’età di almeno 4-5
miliardi di anni. Queste limitazioni portano a concludere che solo 3-4 stelle su
1000 soddisfano queste esigenze.

Per scavalcare l’altro problema si è supposto che eventuali esseri extraterrestri
abbiano scelto per comunicare una frequenza poco disturbata dalle sorgenti
naturali, come i quasar, le galassie, l’idrogeno galattico, ecc. e tale da far pensare
subito ad una fonte artificiale. Si è pensato che l’intervallo ottimale sia quello
compreso fra 1420 e 1665 MHs (da 21 a 18 cm; la “pozza d’acqua”). Anche con
una scelta così selettiva, le frequenze disponibili sono 24,5 milioni (se il segnale
trasmesso avesse una larghezza di 10 hertz, corrispondente a quello entro cui è
possibile l’ascolto delle nostre emittenti radio); questo significa che se si
decidesse di ascoltarne ciascuna per solo un minuto, occorrerebbero quasi 50
anni per sintonizzarsi su tutte! Ma i progressi dell’elettronica hanno reso
disponibili delle apparecchiature in grado di controllare simultaneamente
moltissime lunghezze d’onda.

Con queste premesse, e con molte altre, si sono intraprese delle ricerche. La
prima meritevole di questo nome è il progetto OZMA, portato avanti negli anni
’60 negli Stati Uniti con un radiotelescopio da 26 metri. Furono “ascoltate” per
un totale di 300 ore due stelle vicine (a circa 11 anni-luce); Tau Ceti ed Epsilon
Eridani lungo l’arco di due mesi alla lunghezza d’onda di 21 cm – 1420 MHz,
senza alcun risultato. Questo non scoraggiò il promotore (Frank Drake) e gli altri
ricercatori poiché in seguito vennero intraprese ricerche più ambiziose,
osservando un maggior numero di stelle e con radiotelescopi più grandi. Nel
1964 a Byurakan, in Armenia, si tenne un congresso nazionale sovietico sul
problema della comunicazione con civiltà extraterrestri e per questo si parlò di
CETI (Communication with Extra Terrestrial Intelligence), sigla poi abbandonata
perché troppo ambiziosa.

Inutile dire che finora nessuna ricerca ha portato ad un risultato positivo; se
questo avvenisse, l’uomo della strada non lo apprenderebbe certo da un articolo
di una pubblicazione scientifica, ma a caratteri cubitali dai quotidiani o da edizioni
speciali di telegiornali e giornali radio, tanto la notizia sarebbe sensazionale.
    Comunque, percentualmente solo poche stelle consentono lo sviluppo della
vita sui loro pianeti e pochissime sarebbero quelle i cui eventuali pianeti ospitano
una civiltà evoluta (in grado di comunicare con noi). Le stime variano in modo
abissale da studioso a studioso. I più pessimisti arrivano ad affermare che nella
nostra Galassia solo la Terra ospiterebbe una vita evoluta ora; i più ottimisti
credono invece che attualmente vi siano milioni di civiltà! Lo scrivente, che si
posiziona tra i moderati pessimisti, ritiene che il numero delle civiltà con il quale
potremmo comunicare nell’ambito della nostra Galassia sia nell’ordine del
centinaio.

Un punto molto controverso, che agisce drasticamente sul risultato, è la durata di
una civiltà tecnologica; si va dai pochi secoli dei pessimisti ai milioni di anni degli
ottimisti. Il fatto è che noi non sappiamo se una civiltà evoluta tenda ad
autodistruggersi poco dopo aver raggiunto la capacità di costruire armi
altamente distruttive, oppure se ai suoi progressi tecnologici si accompagni un
proporzionale senso di responsabilità e saggezza. Se fosse vera la prima ipotesi, i
pessimisti avrebbero ragione e le civiltà tecnologiche presenti ora nella nostra
Galassia non sarebbero più di una decina; all’opposto, nella seconda eventualità,
esse potrebbero raggiungere e superare il milione.
Altri ricercatori hanno pensato di inviare dei messaggi nel cosmo, indicando in un
linguaggio matematico ritenuto universale, chi e dove siamo. Il più famoso di
questi messaggi radio verso altre stelle rimane ancora oggi quello irradiato nel
1974 in codice binario con il grande radiotelescopio di Arecibo a Portorico
(parabola da 305 metri di diametro!) e diretto verso M13. Qualcuno ha fatto
presente che è imprudente segnalare la nostra presenza, in quanto potremmo
divenire vittima di una civiltà più evoluta. E la storia, perlomeno quella terrestre,
insegna che il contatto fra due differenti civiltà è stato spesso traumatico per il
popolo tecnologicamente e militarmente meno avanzato. Ma è troppo tardi, e
non tanto per il segnale di Arecibo. La nostra presenza è continuamente
segnalata da diverse decine d’anni dalle trasmissioni televisive (meno da quelle
radiofoniche), le cui emittenti irradiano nello spazio fiotti di onde
elettromagnetiche, che si dirigono un po’ in tutte le direzioni (ma soprattutto
tangenzialmente alla superficie). Ancora più “visibili” sono i segnali originati da
quei radar militari per l’avviso tempestivo del lancio di missili balistici.

Le ricerche future si basano sull’utilizzazione di radiotelescopi più potenti, tra i
quali segnaliamo quello parabolico cinese da 500 (cinquecento!) metri di
diametro e lo SKA (Square Kilometre Array). Quest’ultimo, con una incredibile
superficie di raccolta di un chilometro quadrato, nasce dalla cooperazione di 19
diversi Paesi (tra i quali l’Italia). Se tutto procede come previsto, lo SKA, che ha
un’area utile 13,7 volte maggiore di quella di Arecibo, diventerà operativo nel
2020. Inoltre , con r icevitor i multicanali in gr ado di setacciare
contemporaneamente non meno di duecento milioni di canali!

Ma le civiltà più evolute della nostra potrebbero benissimo utilizzare forme di
segnali delle quali non sospettiamo neppure l’esistenza. Forse le onde radio, per
noi quanto di meglio, per tali civiltà sono paragonabili al tam tam dei tamburi.
Forse, chissà, il nostro globo è immerso in segnali extraterrestri che siamo
incapaci di raccogliere e decodificare.

Ma perché dedicare tempo, soldi ed energie a queste ricerche? Perché, dicono i
promotori, lo scambio di informazioni che ne seguirebbe in caso di successo
avrebbe un valore immenso, incalcolabile; forse potremmo accedere a
conoscenze scientifiche che altrimenti richiederebbero migliaia di anni ed
apprendere come evitare un olocausto nucleare per una possibile
autodistruzione.




    Per coloro che desiderano approfondire questo l’argomento segnaliamo il volume
              “C’è vita nell’universo?”, che ha come autori Battaglia e Ferreri
         e che è stato edito dalla casa editrice Lindau di Torino nell’ottobre 2008.
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LA RICERCA DI CIVILTÀ EXTRATERRESTRI

  • 1. LA RICERCA DI CIVILTÀ EXTRATERRESTRI di Walter Ferreri ASSOCIAZIONI ECO & ALADINO - info: ecoassociazione@yahoo.it Media Partner Gravita Zero - www.gravita-zero.org Torino, 17 ottobre 2009
  • 2. E’ da quattro secoli che l’uomo osserva il cielo attraverso telescopi, di potenza via via crescente, fino ai colossi dei nostri giorni, e da circa ottant’anni lo “ascolta” con quelle grandi “orecchie” chiamate radiotelescopi. Lo sviluppo di questi strumenti ed il loro intenso uso hanno portato ad un grande numero di scoperte; gli astri ci hanno svelato molti dei loro segreti. Le sostanze che compongono le stelle, la loro distanza, i movimenti e la massa dei pianeti, sono tutte cose oggi piuttosto ben note. Ma per quanto interessanti possano essere le caratteristiche dei mondi che ci circondano, è molto più entusiasmante scoprire se qualcuno di questi ospita una civiltà evoluta, paragonabile alla nostra. Il fatto che amminoacidi (mattoni della vita) – molecole di struttura ancora relativamente semplice, contenenti da 20 a 30 atomi circa di acqua, metano, ammoniaca, ecc. – siano stati rintracciati su meteoriti, ha fornito molte speranze in questo senso. Ricordiamo che da esattamente venti tipi diversi di tali acidi si formano le proteine e le cellule di piante, batteri e animali sono formate da proteine. Sfortunatamente, per noi abitanti della Terra, che conosciamo “soltanto” milioni di proteine diverse, il numero delle possibili combinazioni è di gran lunga superiore a tutti gli atomi presenti nell’universo! Le ricerche su possibili intelligenze extraterrestri, cioè quelle che vanno sotto il nome generico di SETI (Search for Extra Terrestrial Intelligence) non sono mancate. Già alcuni grandi telescopi del XIX secolo furono utilizzati anche a questo scopo. I giganteschi rifrattori (telescopi a lenti) di Lick e Yerkes (USA) vennero costruiti grazie ad ingenti donazioni di privati, ai quali non era estranea l’idea di imbattersi in una civiltà extraterrestre. Verso la fine del XIX secolo, gran parte delle speranze era riposta su Marte. Il “pianeta rosso” agli osservatori dell’epoca rivelava delle calotte polari, regioni “verdi”, nubi, tempeste di sabbia e “canali”. Questi ultimi vennero interpretati da molti come costruzioni artificiali degli abitanti di Marte, cioè dei marziani. In seguito si assistette all’apparizione di punti luminosi, che alcuni interpretarono come segnali dei marziani rivolti agli abitanti della Terra; altri, dopo la seconda guerra mondiale, come esplosioni atomiche. Ma sia gli uni che gli altri erano in errore; si trattava, in realtà, della riflessione della luce del Sole su superfici ghiacciate. Con l’avvento dell’astronautica, negli anni ’60, divenne possibile inviare direttamente su Marte delle sonde automatiche, delle quali la prima felicemente arrivata (Mariner 4, nel 1965) rivelò un’intensa craterizzazione ma neppure l’ombra di canali artificiali. La spugna alle speranze di vita evoluta su Marte venne passata dalle sonde Viking negli anni ’70, quando divenne oltremodo evidente che nel sistema solare solo la Terra ospita una civiltà evoluta. I canali, che avevano dato adito a molte speranze, dovevano poi rivelarsi una specie di “illusione ottica”, una cui spiegazione esauriente richiede molte pagine.
  • 3. Apparve quindi chiaro che una eventuale civiltà extraterrestre doveva essere cercata al di fuori del sistema solare, sui possibili pianeti di altre stelle, che si è iniziato a scoprire nel 1995 e riuscire a fotografare nel 2008. Il fatto che ora siamo in grado di vedere direttamente pianeti intorno ad altre stelle, fa ritenere che la vita, anche quella intelligente, possa essere molto diffusa nell’universo, ma, naturalmente, non ce ne fornisce alcuna prova. Per sapere se attualmente vi sono civiltà extraterrestri la speranza più grande è riposta nei radiotelescopi, che sono attualmente in grado di rivelare un’emissione della potenza di un’emittente televisiva a distanze di decine di anni-luce. Proprio con uno di questi strumenti, nel 1967 si ebbe, finalmente, l’impressione di ricevere segnali artificiali extraterrestri. Ma si trattava di un falso allarme. Pochi mesi dopo ci s’accorse che i segnali erano causati dalla rapida rotazione di una stella di neutroni. In seguito furono scoperte altre di queste stelle, che per tale caratteristica vennero battezzate pulsar. Oggigiorno l’ostacolo della sensibilità dei radiotelescopi può dirsi in parte superato, ma ne permangono altri due: dove puntare le antenne e su quali frequenze sintonizzarsi. Per superare il primo punto si è ragionato in questo modo. Presumibilmente anche altre possibili civiltà analoghe alla nostra hanno bisogno di un lunghissimo tempo per potersi evolvere dalle forme di vita più semplici a quelle più complesse tipo i mammiferi. Esse richiedono che la luce e il calore ricevuto dal loro sole (che dev’essere ricco di metalli e quindi di popolazione I come il nostro) sia costante o non troppo variabile su un arco molto lungo di tempo. Quindi, tutte le stelle fortemente variabili o di breve durata (milioni di anni) sono da escludere. Inoltre, il pianeta deve trovarsi all’interno della cosiddetta ecosfera, cioè ad una distanza dalla sua stella tale che il calore ricevuto sia sufficiente a promuovere i processi vitali ma non così alto da impedirli. Secondo Dole un pianeta abitabile per l’uomo deve ricevere da 0,65 a 1,9 volte l’energia ricevuta dalla Terra se vengono considerati altri fattori che giocano a favore. Per il nostro Sole, usando un modello climatico semplificato, questo significa una distanza compresa fra 0,72 e 1,2 unità astronomiche. Queste considerazioni ed altre hanno portato i ricercatori a scegliere stelle di tipo solare, cioè né troppo calde né troppo “fredde” e con un’età di almeno 4-5 miliardi di anni. Queste limitazioni portano a concludere che solo 3-4 stelle su 1000 soddisfano queste esigenze. Per scavalcare l’altro problema si è supposto che eventuali esseri extraterrestri abbiano scelto per comunicare una frequenza poco disturbata dalle sorgenti naturali, come i quasar, le galassie, l’idrogeno galattico, ecc. e tale da far pensare subito ad una fonte artificiale. Si è pensato che l’intervallo ottimale sia quello compreso fra 1420 e 1665 MHs (da 21 a 18 cm; la “pozza d’acqua”). Anche con una scelta così selettiva, le frequenze disponibili sono 24,5 milioni (se il segnale trasmesso avesse una larghezza di 10 hertz, corrispondente a quello entro cui è
  • 4. possibile l’ascolto delle nostre emittenti radio); questo significa che se si decidesse di ascoltarne ciascuna per solo un minuto, occorrerebbero quasi 50 anni per sintonizzarsi su tutte! Ma i progressi dell’elettronica hanno reso disponibili delle apparecchiature in grado di controllare simultaneamente moltissime lunghezze d’onda. Con queste premesse, e con molte altre, si sono intraprese delle ricerche. La prima meritevole di questo nome è il progetto OZMA, portato avanti negli anni ’60 negli Stati Uniti con un radiotelescopio da 26 metri. Furono “ascoltate” per un totale di 300 ore due stelle vicine (a circa 11 anni-luce); Tau Ceti ed Epsilon Eridani lungo l’arco di due mesi alla lunghezza d’onda di 21 cm – 1420 MHz, senza alcun risultato. Questo non scoraggiò il promotore (Frank Drake) e gli altri ricercatori poiché in seguito vennero intraprese ricerche più ambiziose, osservando un maggior numero di stelle e con radiotelescopi più grandi. Nel 1964 a Byurakan, in Armenia, si tenne un congresso nazionale sovietico sul problema della comunicazione con civiltà extraterrestri e per questo si parlò di CETI (Communication with Extra Terrestrial Intelligence), sigla poi abbandonata perché troppo ambiziosa. Inutile dire che finora nessuna ricerca ha portato ad un risultato positivo; se questo avvenisse, l’uomo della strada non lo apprenderebbe certo da un articolo di una pubblicazione scientifica, ma a caratteri cubitali dai quotidiani o da edizioni speciali di telegiornali e giornali radio, tanto la notizia sarebbe sensazionale. Comunque, percentualmente solo poche stelle consentono lo sviluppo della vita sui loro pianeti e pochissime sarebbero quelle i cui eventuali pianeti ospitano una civiltà evoluta (in grado di comunicare con noi). Le stime variano in modo abissale da studioso a studioso. I più pessimisti arrivano ad affermare che nella nostra Galassia solo la Terra ospiterebbe una vita evoluta ora; i più ottimisti credono invece che attualmente vi siano milioni di civiltà! Lo scrivente, che si posiziona tra i moderati pessimisti, ritiene che il numero delle civiltà con il quale potremmo comunicare nell’ambito della nostra Galassia sia nell’ordine del centinaio. Un punto molto controverso, che agisce drasticamente sul risultato, è la durata di una civiltà tecnologica; si va dai pochi secoli dei pessimisti ai milioni di anni degli ottimisti. Il fatto è che noi non sappiamo se una civiltà evoluta tenda ad autodistruggersi poco dopo aver raggiunto la capacità di costruire armi altamente distruttive, oppure se ai suoi progressi tecnologici si accompagni un proporzionale senso di responsabilità e saggezza. Se fosse vera la prima ipotesi, i pessimisti avrebbero ragione e le civiltà tecnologiche presenti ora nella nostra Galassia non sarebbero più di una decina; all’opposto, nella seconda eventualità, esse potrebbero raggiungere e superare il milione.
  • 5. Altri ricercatori hanno pensato di inviare dei messaggi nel cosmo, indicando in un linguaggio matematico ritenuto universale, chi e dove siamo. Il più famoso di questi messaggi radio verso altre stelle rimane ancora oggi quello irradiato nel 1974 in codice binario con il grande radiotelescopio di Arecibo a Portorico (parabola da 305 metri di diametro!) e diretto verso M13. Qualcuno ha fatto presente che è imprudente segnalare la nostra presenza, in quanto potremmo divenire vittima di una civiltà più evoluta. E la storia, perlomeno quella terrestre, insegna che il contatto fra due differenti civiltà è stato spesso traumatico per il popolo tecnologicamente e militarmente meno avanzato. Ma è troppo tardi, e non tanto per il segnale di Arecibo. La nostra presenza è continuamente segnalata da diverse decine d’anni dalle trasmissioni televisive (meno da quelle radiofoniche), le cui emittenti irradiano nello spazio fiotti di onde elettromagnetiche, che si dirigono un po’ in tutte le direzioni (ma soprattutto tangenzialmente alla superficie). Ancora più “visibili” sono i segnali originati da quei radar militari per l’avviso tempestivo del lancio di missili balistici. Le ricerche future si basano sull’utilizzazione di radiotelescopi più potenti, tra i quali segnaliamo quello parabolico cinese da 500 (cinquecento!) metri di diametro e lo SKA (Square Kilometre Array). Quest’ultimo, con una incredibile superficie di raccolta di un chilometro quadrato, nasce dalla cooperazione di 19 diversi Paesi (tra i quali l’Italia). Se tutto procede come previsto, lo SKA, che ha un’area utile 13,7 volte maggiore di quella di Arecibo, diventerà operativo nel 2020. Inoltre , con r icevitor i multicanali in gr ado di setacciare contemporaneamente non meno di duecento milioni di canali! Ma le civiltà più evolute della nostra potrebbero benissimo utilizzare forme di segnali delle quali non sospettiamo neppure l’esistenza. Forse le onde radio, per noi quanto di meglio, per tali civiltà sono paragonabili al tam tam dei tamburi. Forse, chissà, il nostro globo è immerso in segnali extraterrestri che siamo incapaci di raccogliere e decodificare. Ma perché dedicare tempo, soldi ed energie a queste ricerche? Perché, dicono i promotori, lo scambio di informazioni che ne seguirebbe in caso di successo avrebbe un valore immenso, incalcolabile; forse potremmo accedere a conoscenze scientifiche che altrimenti richiederebbero migliaia di anni ed apprendere come evitare un olocausto nucleare per una possibile autodistruzione. Per coloro che desiderano approfondire questo l’argomento segnaliamo il volume “C’è vita nell’universo?”, che ha come autori Battaglia e Ferreri e che è stato edito dalla casa editrice Lindau di Torino nell’ottobre 2008.