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Il periodico di informazione sulla Sanità Integrativa
HEALTH
marzo/aprile 2018 - N°24
in evidenza
Aaa cercasi medico di famiglia. Nel 2023, per effetto dei
pensionamenti, cesseranno di lavorare 45mila medici per i
qualinoncorrisponderannoaltrettantenuoveassunzioni
solidarietà
zero farmaci
attualità
Citrus – L’Orto Italiano
e Fondazione Umberto
Veronesi insieme per
“I Limoni per la Ricerca”
Cosa significa essere
infermiere volontario
della Croce Rossa?
Doll therapy, la terapia
non farmacologica
per i pazienti affetti da
demenze
Crescono i casi di
femminicidio in Italia
Siglato 1° accordo tra
Sanità Militare e Sistema
Sanitario Regionale
Health Online
periodico bimestrale di
informazione sulla Sanità
Integrativa
Anno 5°
marzo/aprile 2018 - N°24
Direttore responsabile
Nicoletta Mele
Direttore editoriale
Ing. Roberto Anzanello
Comitato di redazione
Alessandro Brigato
Mariachiara Manopulo
Giulia Riganelli
Hanno collaborato
a questo numero:
Beatrice Casella
Giuseppe Iannone
Alessandro Notarnicola
Silvia Terracciano
Direzione e Proprietà
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Tutti i diritti sono riservati. Nessuna
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direttore editoriale. Articoli, notizie e
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n. 2/2016 - diffusione telematica
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HEALTH
Sulla stampa nazionale sempre più spesso si leggono
argomentazioni diffuse sull’opportunità di sostenere la sanità
integrativa, si confonde la sanità integrativa con quella privata,
si ipotizzano modelli economici di supporto alla sanità pubblica in
realtà insostenibili, creando di fatto una confusione nella quale il
cittadino ha serie difficoltà a comprendere e ad orientarsi.
Come sempre dalle colonne di Health Online riteniamo opportuno
fare chiarezza, esplicitando concetti semplici e suffragati da
elementifacilmentemisurabiliperconsentireatuttidicomprendere
quale sia il modo migliore per gestire il proprio diritto alla salute,
ricordiamo sancito dalla nostra Costituzione.
Se schematizziamo il nostro sistema sanitario con un modello a tre
pilastri è però facile comprendere quali siano le logiche di base e
quali le strade da seguire.
Nel primo pilastro, la sanità pubblica, è indispensabile considerare
chelaspesaècaratterizzatadaelementichenonsonocomprimibili
se non a discapito della qualità della vita di tutti i cittadini, ove
infatti l’invecchiamento della popolazione, l’ampliamento della
scienza medica e lo sviluppo della tecnologia sanitaria sono
tutti aspetti che, se migliorati costantemente, consentono, in
proporzione quasi diretta, un costante miglioramento della nostra
qualità di vita.
Ma nel contempo tali elementi spingono tutti in direzione di un
aumento della spesa sanitaria pubblica, perché l’invecchiamento
della popolazione determina un aumento del numero degli anziani
che hanno maggiore necessità sanitarie, l’ampliamento della
scienza medica richiede sempre maggiori risorse economiche per
la ricerca e l’organizzazione di nuovi approcci medici, lo sviluppo
della tecnologia richiede un costante ed imponente investimento
in strumenti medici sempre più precisi e sofisticati.
È semplice quindi dedurre che nessuno Stato, neanche il più ricco
al mondo, potrà sostenere la capacita di garantire assistenza
sanitaria a tutti i suoi cittadini in qualsiasi forma o protocollo,
da cui ne discende che la spese sanitaria pubblica dovrà
necessariamente essere orientata al sostegno delle fasce più
deboli della popolazione.
Ma qualcuno commenta che allora molti per la sanità
pagherebbero due volte, la prima con gli oneri sul reddito e la
seconda contribuendo a qualche protezione integrativa e/o
privata, ma dobbiamo comprendere bene che così non è, in
quanto tutti coloro che hanno possibilità reddituali da un certo
valore in su, in realtà, contribuiscono con gli oneri sanitari sui
loro redditi a sostenere la protezione sanitaria delle fasce più
deboli, provvedendo poi con altre risorse economiche proprie,
correttamente sostenute da vantaggi fiscali come già è, a
provvedere direttamente per se stessi e le proprie famiglie.
Per provvedere a sé stessi ed alle proprie famiglie la soluzione non
è che la sanità integrativa, cioè quel tipo si assistenza sanitaria
basata sul concetto di mutualità applicato fin dai tempi antichi,
quando ancora non esisteva nessun tipo di assistenza sanitaria
pubblica, quindi associandosi agli enti abilitati a gestire tale
modello che sono i Fondi Sanitari, le Società Generali di Mutuo
Soccorso e le Casse di Assistenza Sanitaria.
Tali enti, ricordiamo sono senza scopo di lucro, quindi utilizzano
le risorse economiche versate dai cittadini che si associano,
ridistribuendole su principi mutualistici a quelli tra loro, e può
capitare a chiunque, che sono colpiti da problematiche sanitarie.
Quindi, chi afferma che la sanità integrativa, il nostro secondo
pilastro, distoglie risorse dalla sanità pubblica fa un errore
marchiano, perché in realtà la sanità integrativa utilizza,
applicando il principio della mutualità, le risorse economiche che
comunque i cittadini già spendono di tasca propria - le ultime
stime dicono che nel nostro Paese tale somma raggiunge i 40
miliardi di euro - per fornire servizi sanitari che il sistema pubblico
non è in grado di garantire nei tempi e nei modi, in quanto deve
dedicarsi alle fasce più deboli della popolazione.
E’ anche necessario chiarire che la sanità integrativa, gestita
secondi i principi mutualistici da enti senza scopo di lucro, nulla
ha a che vedere con la sanità privata, gestita da società per
azioni che hanno come obbiettivo la redditività, che costituisce
il terzo pilastro del nostro modello garantendo, in questo caso
correttamente senza vantaggi fiscali, alle fasce a più alto reddito
la possibilità di godere di prestazioni a pagamento secondo i loro
desiderata in termini di tempistiche e modalità di erogazione del
servizio.
In sintesi il modello sanitario italiano, che per diverso tempo è stato
un esempio mondiale in realtà lo è rimasto anche oggi, perché
grazie agli interventi legislativi e fiscali operati negli ultimi trent’anni
consente, e dovrà consentirlo sempre di più, con il pilastro pubblico
l’accesso alle cure alle fasce più deboli della popolazione, alla cui
spesa economica contribuiscono tutti i cittadini che lavorano con
una piccola parte del loro reddito, secondo un corretto principio
di equità sociale.
Ma nel contempo il nostro sistema consente anche a chi ha
un reddito superiore ad importi definiti di avvalersi del principio
mutualistico, gestito da enti senza scopo di lucro, godendo di
opportuni vantaggi fiscali ed evitando di appesantire gli interventi
ed i costi delle strutture pubbliche, quindi contribuendo, in questo
modo, a garantirsi le prestazioni necessarie per se e le proprie
famiglie, operando contestualmente una migliore razionalizzazione
della sanità pubblica.
Infine, il sistema permette, inoltre, a chi ha redditi elevati di avvalersi,
a sua scelta di coperture sanitarie e prestazioni privatistiche a
pagamento, senza gravare in alcun modo nei sui costi dello Stato
dedicati al primo pilastro, nè sul principio mutualistico gestito dal
secondo pilastro.
Con chiarezza dobbiamo dire concludendo che quindi, a nostro
avviso, questo è il modello corretto e questa è la strada da
sostenere, evitando speculazioni verbali e dietrologie sociali, per
dedicare invece gli sforzi di tutti ad efficientare il sistema pubblico,
incentivare e diffondere il sistema mutualistico integrativo,
consentire a chi può di scegliere il sistema privato senza più
confusioni tra sanità pubblica, sanità integrativa e sanità privata.
A cura di Roberto Anzanello
editoriale
Tra sanità pubblica, sanità integrativa
e sanità privata
22
13
16
28
Cromoterapia:
la terapia dei colori
Disturbo d’ansia
generlizzato
Aaa cercasi medico di famiglia: in pensione
circa 15 mila medici di base…chi li sostituirà?
in evidenza
19
I limoni
per la solidarietà
I tumori cerebrali del
bambino e dell’adolescente: una sfida aperta
08
Prevenzione tumore della pelle:
mappatura e monitoraggio dei nei
32
Cosa significa essere infermiere volontario
della Croce Rossa?
35
Quando il peggior nemico è dentro casa.
Crescono i casi di femminicidio
38
42
44
46
Doll therapy, la terapia non farmacologica
per i pazienti affetti da demenze
Progressi innovativi per l’odontoiatria con
l’Implantologia Computer Guidata
I 5 esercizi Tibetani: cosa
sono e come si praticano?
In Romagna siglato primo accordo
tra Sanità Militare e Sistema Sanitario Regionale
Health tips
Sapevi che...
Il modo migliore per
migliorare la salute
dell’intestino è bere
molta acqua. Per
favorire una buona
funzione intestinale,
infatti, è importante
aiutare il transito del
cibo mantenendo
le pareti intestinali
idratate e quindi più
“scivolose”.
Meglio evitare
le bevande
zuccherate, sì
invece a tisane e
succhi freschi.
ll tè matcha è spesso contenuto nelle creme
schiarenti e antirughe, perché è uno scrigno
di antiossidanti, soprattutto di bioflavonoidi, di
polifenoli e di vitamina C. Un mix
che uniforma il colorito e ha un
effetto rimpolpante e liftante poiché
stimola il collagene e
ne contrasta la degradazione.
Il ping pong richiede per quasi tutto il tempo una posizione
di semi-squat, che fa lavorare molto le gambe e rassoda
i glutei. Inoltre, gli scatti continui aiutano a sviluppare riflessi
e coordinazione. In una partita di 75 minuti di medio livello i
velocissimi scambi fanno bruciare fino a 400 calorie.
Per combattere l’ansia e le paure, anche
ingiustificate, arreda la camera con oggetti di colore
turchese o celeste acqua poiché sono calmanti e aiutano
ad attenuare gli stati di inquietudine.
Chi soffre di reflusso deve
evitare cibi grassi e piccanti,
formaggi a pasta molle,
pomodori, cipolle, agrumi,
frutta secca, cioccolato,
bibite gassate, tè, caffè, vino e
alcolici in genere. Via libera
al limone che, pur essendo
un agrume, viene considerato
un alcalinizzante, utile per
compensare l’acidosi.
L’olio di semi di lino è ricco di acidi grassi essenziali del gruppo
Omega 3, 6 e 9. Aiuta ad avere e mantenere una pelle liscia,
setosa e ben nutrita. Può essere usato come anti age per il viso,
come ristrutturante del contorno occhi e come elasticizzante e
nutriente per il corpo.
La mela è uno dei frutti con il
maggior effetto antiossidante,
grazie alla presenza di catechina
e quercitina, contenute
soprattutto nella buccia. Si consiglia quindi
di acquistare mele biologiche, meglio se
verdi (perché meno ricche di zuccheri) e
consumarle senza sbucciarle.
Andare in bicicletta regolarmente
migliora la salute del cuore e riduce
il rischio di essere esposti a
patologie cardiovascolari
come ictus, ipertensione e infarto.
Secondo uno studio inglese, chi usa
la bici per gli spostamenti quotidiani
beneficia di una
diminuzione del rischio
di sviluppare patologie
cardiovascolari pari
all’11%.
8
Prevenzione tumore
della pelle: mappatura e
monitoraggio dei nei
a cura di
Nicoletta Mele
Tutti ne abbiamo almeno uno sul corpo, in alcuni casi
sono visibili in altri no, sono di varie dimensioni, solitamente
di colore scuro: sono i nei, chiamati anche nevi, quelle
macchioline antiestetiche sulla pelle che necessitano di
un controllo periodico perché c’è il rischio che possano
diventare tumori della pelle particolarmente aggressivi,
come il melanoma.
Il melanoma cutaneo è un tumore che deriva dalla
trasformazione tumorale dei melanociti, alcune delle
cellule che formano la pelle, e colpisce soprattutto
attorno ai 45-50 anni, anche se l’età media alla diagnosi
si è abbassata negli ultimi decenni.
In Italia i dati AIRTUM (Associazione italiana registri tumori)
parlano di circa 13 casi ogni 100.000 persone, con una
stima che si aggira attorno a 3.150 nuovi casi ogni anno
tra gli uomini e 2.850 tra le donne. Inoltre, l’incidenza è in
continua crescita ed è addirittura raddoppiata negli ultimi
10 anni. È opportuno ricordare che il melanoma cutaneo
rappresenta solo una piccola percentuale (circa il 5%) di
tutti i tumori che colpiscono la pelle.
Dal punto di vista clinico, si distinguono 4 tipologie di
melanoma cutaneo: melanoma a diffusione superficiale
(il più comune, rappresenta circa 70% di tutti i melanomi
cutanei), lentigo maligna melanoma, melanoma
lentigginoso acrale e melanoma nodulare (il più
aggressivo, rappresenta circa il 10-15% dei melanomi
cutanei).
9
A differenza dei primi tre tipi, che hanno
inizialmente una crescita superficiale, il
melanoma nodulare è più aggressivo e invade
il tessuto in profondità sin dalle sue prime fasi.
I melanomi cutanei originano su una cute
integra o da nevi preesistenti, che sono
presenti fin dalla nascita o dalla prima infanzia
(congeniti) o compaiono durante il corso della
vita (acquisiti). (Fonte AIRC)
È quindi molto importante, nel corso della vita,
sottoporsi a dei controlli periodici dei nei per
ridurre il rischio di sviluppare tumori della pelle.
Perché il neo può trasformarsi in melanoma? A cosa
bisogna prestare attenzione? Quali sono gli esami di
screening e ogni quanto tempo devono essere eseguiti?
Chi sono i soggetti più a rischio?
Health Online l’ha chiesto al dott. Stefano Veglio
Specialista in Dermatologia presso Aosta e Dubai.
Dott. Veglio, cosa sono i nei? Può spiegare da cosa è
formata la pelle e qual è il ruolo dei melanociti?
“I nei sono costituiti da un’aggregazione di particolari
melanociti, cellule che producono la melanina. Sono
posizionati tra i due strati più superficiali della pelle,
epidermide e derma, fondamentali rispettivamente per
proteggere e dare struttura a questo nostro prezioso
rivestimento. Queste cellule servono per produrre il
pigmento che ci protegge dagli effetti nocivi dei raggi
ultravioletti. Il motivo perché nei nevi si aggregano
a formare le macchie che conosciamo è del tutto
sconosciuto”.
Ci sono vari tipi di nei e nel tempo la medicina li ha
tipicizzati e classificati perché da loro può nascere una
forma di tumore aggressivo: il melanoma cutaneo. Quali
sono le cause?
“Come per la maggior
parte dei tumori le cause
rimangono sconosciute,
ma possiamo dare
comunque un ruolo
importante alla
p r e d i s p o s i z i o n e
genetica ed al numero
di scottature subite in età
giovanile”.
Quali sono le
caratteristiche del neo
da non trascurare? C’è
un tipo di neo che è più
predisposto a diventare tumore?
“Conta molto il cambiamento di un neo o la
comparsa di un neo nuovo dopo i 25 anni. Non è
facile definire con esattezza che tipo di aspetto
può avere un neo maligno ma sicuramente una
modifica di una lesione preesistente o un neo
di recente comparsa deve creare un sospetto.
Sicuramente più a rischio risultano i nei piatti e
quelli già presenti alla nascita”.
Le immagini rappresentano dei melanomi, le
può spiegare?
“Le immagini rappresentano effettivamente esempi
classici di melanoma: nei piatti, lievemente irregolari
nei bordi e con un colore non omogeneo. Ho scelto
queste foto perché a volte nei di questo tipo vengono
effettivamente sottovalutati dai pazienti, più attirati invece
da nei sporgenti palpabili al tatto. Riuscire a diagnosticare
un melanoma in questa fase consente in molti casi di
salvare la vita al paziente: il melanoma piatto è in genere
più sottile, mentre quando questo tumore comincia ad
ispessirsi molto spesso si espande anche in profondità, con
rischio altissimo di metastasi agli organi interni”.
Non è la sede, ma il tipo di neo che fa la differenza. È
così?
“È corretto, ma non bisogna dimenticare che i nei sulle
mani e sui piedi sono più a rischio di sviluppare tumori
maggiormente aggressivi. Molte volte si è preoccupati
per nei alle pieghe o in zone di sfregamento, ma questi
aspetti sono in generale poco importanti. Non è infatti
il traumatismo che fa trasformare un neo da benigno in
maligno: è necessario osservare le modifiche di un neo in
colore, forma e dimensioni”.
La bruttezza estetica
di un neo può essere
oppure no un fattore
d’allarme?
“Assolutamente no.
La maggior parte
delle persone si
preoccupano di nei in
rilievo esteticamente
brutti ma di fatto meno
pericolosi. Ovviamente
un melanoma ignorato
e trascurato dà luogo ad
una lesione sicuramente
brutta da vedere”.
10
da melanoma. La genetica costituisce un aspetto da
non sottovalutare: sono ormai possibili sistemi nuovi
per indagare la predisposizione genetica personale
verso molti tipi di tumore, compreso il melanoma, che
probabilmente diventeranno nei prossimi anni strumento
fondamentale di prevenzione”.
Un altro fattore di prevenzione importante è una moderata
esposizione al sole…
“La luce solare come sappiamo dona benessere e
aiuta a calcificare le ossa: si tratta soprattutto di evitare
scottature ed esposizioni sconsiderate, soprattutto nei
primi 20 anni di vita.
La nazione che a livello mondiale presenta la più alta
incidenza di melanoma è l’Australia, popolata da molti
individui di razza celtica che sono stati esposti a pesanti
irradiazioni solari in un clima
tropicale sicuramente inadatto
alla propria carnagione. Per il
resto bisogna ricordare che il
sole interviene più pesantemente
nello sviluppo di altri tipi di tumori
cutanei, come i carcinomi
cutanei”.
Secondo un vecchio luogo
comune “il neo non si tocca”,
invece oggi spesso si consiglia
di rimuovere un neo considerato
a rischio. È la tecnica chirurgica
quella più indicata?
“Sicuramente sì. Asportare chirurgicamente un neo con
bisturi e punti di sutura non espone assolutamente a rischi
di proliferazione tumorale. I laser invece, per quanto
ora siano sofisticati, non garantiscono assolutamente
un’asportazione completa del neo ed espongono
il paziente a recidive della lesione tanto inestetiche
quanto fonte di preoccupazione relativa alla natura della
ricrescita”.
Prevenzione e monitoraggio, queste sono le principali
azioni per evitare dei rischi per la salute.
Ognuno di noi ha almeno un neo sul proprio corpo e
quelli visibili soprattutto sul viso, per qualcuno possono
rappresentare un disagio.
Non per il celebre conduttore e giornalista di Rai Uno Bruno
Vespa che sembra ne abbia in totale 25, come dichiarato
scherzosamente in un’intervista, aggiungendo che ogni
anno si sottopone alla mappatura della sua faccia e
fotografa i nei, quelle macchioline antiestetiche… ma
non per tutti!
Parliamo di prevenzione. Il neo di per sé è innocuo, ma
può diventare un tumore. La presenza di nei non è un
allarme, ma occorre comunque prestare attenzione. In
che modo è possibile fare prevenzione?
“È consigliabile sottoporsi ad una visita dermatologica una
volta all’anno, con controlli all’occorrenza più frequenti in
caso di lesioni nuove o in crescita. Per persone con molti
nei può essere indicata la cosiddetta “mappatura”, che
corrisponde poi ad una fotografia di tutte le aree del
corpo utile per capire se qualche lesione si modifica o
compare “ex-novo”.
È una procedura del tutto indolore, molto utile in casi
selezionati. Potrebbe anche essere semplice effettuare
foto con l’aiuto di un famigliare: stampare e archiviate
possono servire per semplici controlli autogestiti che
risultano utili per capire se qualcosa si fosse modificato
rispetto al passato”.
È importante rivolgersi sempre al
dermatologo, ma è altrettanto
importante l’autocontrollo.
Esiste l’acronimo ABCDE, in cosa
consiste?
Si riferisce alle caratteristiche di
un neo sospetto:
A: Asimmetria della lesione
B: Bordi spesso frastagliati o
irregolari
C: Colore irregolare o nero pece
D: Dimensioni più grandi rispetto
agli altri nei
E: Evoluzione, ovvero le modifiche nel tempo della lesione.
Bisogna ricordare che difficilmente sono presenti
nel melanoma contemporaneamente tutte queste
caratteristiche: basta notarne anche solo una ed è
necessario eseguire un controllo dermatologico. Il parere
conclusivo sulla benignità della lesione spetta ovviamente
allo specialista anche utilizzando un prezioso sistema di
indagine, la dermatoscopia, una lente che consente di
vedere il neo nei suoi aspetti più profondi e che fornisce
strumenti diagnostici ormai considerati indispensabili per
la diagnosi di melanoma”.
Tutti dobbiamo sottoporci regolarmente al controllo dei
nei, a che età è consigliato il primo consulto? E chi sono i
soggetti più a rischio? C’è una predisposizione genetica?
“In genere si consigliano i primi controlli dopo
l’adolescenza. Sicuramente più a rischio sono le
persone con la pelle chiara, soprattutto se hanno subito
scottature in età giovanile, e quelle con familiari colpiti
10
Presentano
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Il Fondo Garanzia Salute nasce nell’ottica di offrire un servizio in linea con i principi cardine
cui si ispira una Società di Mutuo Soccorso, la solidarietà e la cooperazione, che riconoscono
nella sanità integrativa l’unica forma di assistenza concreta e sostenibile che opera senza
scopo di lucro.
La volontà di diffondere il più possibile il principio di prevenzione ha spinto Mutua MBA
ad affidarsi a Radio Radio, emittente radiofonica romana che sin dalla sua nascita si è
caratterizzata come talk radio, ed elaborare per gli ascoltatori un’offerta di 9 sussidi:
Pop, Rock, Techno e Dance dedicati agli under 65,
Jazz, Classica, Blues, Country e Folk per gli over 65.
La sanità d’eccellenza per le
famiglie di Radio Radio!
12
SBM è una società di ricerca italiana all’avanguardia con
la finalità chiara di offrire il proprio patrimonio di studi per
realizzare una vera rivoluzione scientifico-culturale, attraverso
la diffusione di soluzioni di comprovata efficacia. I prodotti
SBM nascono da una rigorosa ricerca, documentata da lavori
scientifici e da brevetti nazionali e internazionali, e sono
sviluppati con l’idea di trasmettere al consumatore il valore e
l’originalità di un approccio che guarda alla cura della salute
prima che della malattia.
SBM mette a frutto la scienza, traducendola in implicazioni
praticheperilbenecomune,ovverotrasformandoevalorizzando
un solido patrimonio scientifico nella produzione e nella
diffusione di soluzioni frutto esclusivo della ricerca. SBM è
una società del gruppo Health Italia S.p.A., una delle più grandi
realtà attive nella promozione della salute e nel panorama della
sanità integrativa italiana.
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Sede legale: via Domenico Tardini, 35 - 00167 - Roma
Sede operativa: via di Santa Cornelia, 9 - 00060 - Formello
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parzialmente idrolizzato, calcio e vitamina D che contribuiscono alla
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essenziali. (Brevetto: IT1299131)
È un integratore alimentare contenente 7 g di collagene parzialmen-
te idrolizzato e prontamente assimilabile. Il collagene è fisiologica-
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00167 R
Sede ope
via di Santa C
00060 Fo
SBM è una Società del Gru
Quotata al mercat
SCIENZA
SECONDO
NATURA
13
a cura di
Giuseppe Iannone Disturbo d’ansia
generlizzato
Ansia o ansie?
Esistono diverse forme di ansia, alcune patologiche altre
no. All’interno dei disturbi d’ansia distinguiamo tra una
prima variante che definiamo ansia generalizzata (di cui
parleremo in questo articolo) e forme di ansia panica
e di ansia fobica (di cui tratteremo nei prossimi numeri
di Health Online). Inoltre l’ansia è un sintomo presente
anche in altre patologie, tra cui la depressione, le psicosi,
il disturbo bipolare, il disturbo da stress post-traumatico e
in alcune disfunzioni sessuali.
Cosa si intende per disturbo d’ansia generalizzato?
L’ansia generalizzata è un disturbo d’ansia contrassegnato
dalla presenza di un’allerta costante che oscura ogni
esperienza, ogni incontro, ogni possibilità, dei quali si
tende a vederne soltanto gli aspetti minacciosi. Il focus
della preoccupazione non è limitato a una situazione o a
un oggetto particolare ma tende a spostarsi da un oggetto
all’altro e investe sia grandi incombenze (responsabilità
lavorative, alla salute dei familiari, ecc.) che piccole
(paura di far tardi ad un appuntamento, svolgere le
faccende domestiche, ecc.). Le preoccupazioni possono
riguardare sia il futuro che gli eventi passati.
I principali criteri diagnostici di un disturbo d’ansia
generalizzato sono i seguenti:
a) ansia e preoccupazione eccessive, presenti per
la maggior parte del giorno, per almeno 6 mesi, e che
investono diverse attività o eventi;
b) difficoltà nel controllare la preoccupazione;
c) almeno 3 dei seguenti sintomi: irrequietezza,
affaticamento, difficoltà a concentrarsi, irritabilità,
tensione muscolare, alterazioni del sonno;
d) disagio o compromissione del funzionamento in ambito
sociale, lavorativo, scolastico, ecc.
Quali sono i principali fattori di rischio?
Esistono fattori di rischio temperamentali (come l’essere
eccessivamente inibiti, la tendenza a evitare il pericolo
e l’affettività negativa), fattori di rischio ambientali
(avversità infantili o l’iperprotettività genitoriale, sebbene,
va specificato, queste condizioni non sono specifiche,
né sufficienti o necessarie, per porre diagnosi), e fattori
genetici non specifici.
13
1414
L’ansia può manifestarsi nei bambini?
Sì, certo. Faccio una breve inciso. Il ruolo dell’amigdala
nei disturbi d’ansia è stato ampiamente studiato. Oggi
sappiamo che questa struttura a forma di mandorla,
situata nel lobo temporale, è implicata nella gestione
delle emozioni, e in particolare della paura. Quando uno
stimolo viene percepito come pericoloso, l’amigdala
invia segnali di emergenza alle altre parti del cervello,
stimola il rilascio di ormoni, mobilita i centri del movimento,
attiva il sistema cardiovascolare, i muscoli e l’intestino,
permettendoci di fuggire o di attaccare. Si è visto che
l’amigdala è attiva sin dalla nascita, ben prima delle altre
strutture deputate ad inibirne la sua attività. Proprio per
questo motivo i neonati non sono in condizioni di gestire
sensazioni di paura o angoscia. Il genitore può agire per
calmare il neonato in due modi: calmandolo nel momento
in cui il neonato sperimenta la paura (questo favorisce
lo sviluppo delle competenze di regolazione emotiva) o
allontanandolo da un’eccessiva e costante esposizione
alla paura (in questo modo il
neonato ha minori probabilità
di sviluppare un’ipersensibilità
alla paura). Un’eccessiva
attività dell’amigdala invece
è correlata a ipervigilanza e
sopravvalutazione del pericolo,
fenomeni che si manifestano in
chi soffre di un disturbo d’ansia.
Fortunatamente interventi
psicoterapeutici sono in grado di
diminuire l’attività dell’amigdala
e a ridurre così la frequenza e
l’intensità della paura.
Quanto è comune il disturbo d’ansia generalizzato?
L’età media di insorgenza del disturbo d’ansia
generalizzato è di 30 anni e le donne sono 2 volte più
a rischio rispetto agli uomini di sviluppare il disturbo.
Un recente studio epidemiologico sulla prevalenza dei
disturbi mentali promosso dall’Oms e dall’Università di
Harvard ha riscontrato una prevalenza 2% circa nel
campione studiato in Italia. Va anche detto che il tasso
di diagnosi errate nel caso del GAD è davvero alta e
ciò credo sia dovuto in parte all’erronea interpretazione
di alcuni sintomi (tremori, sudorazione, nausea, diarrea,
tachicardia, dispnea, vertigini, ecc.) che spesso non
vengono ricondotti ad un disturbo d’ansia ma a un
disturbo fisico, in parte all’elevata comorbilità tra l’ansia
generalizzata e la depressione o l’uso di sostanze. Non
dovrebbe invece essere posta diagnosi di disturbo d’ansia
generalizzato nel caso in cui i sintomi siano ascrivibili
ad una condizione medica (come l’iperteroidismo), a
sostanze/farmaci, o ad altri disturbi (come il disturbo
d’ansia sociale, il disturbo ossessivo-compulsivo il disturbo
da stress post-traumatico o i disturbi depressivi, bipolari o
psicotici).
L’ansia è sempre negativa? È possibile distinguere l’ansia
“normale” da quella patologica?
No, l’ansia non è sempre negativa. Anzi, una certa dose
di ansia e apprensività di fronte a un evento inusuale
e pericoloso è sicuramente funzionale alla nostra
sopravvivenza. Tuttavia, nel caso del disturbo d’ansia
generalizzato le preoccupazioni diventano eccessive,
pervasive, angoscianti, hanno maggiore durata, si
verificano spesso in assenza di fattori scatenanti e
interferiscono con il funzionamento lavorativo e sociale.
L’ansia patologica si accompagna a sintomi fisici (come
irrequietezza, tensione muscolare, sentirsi con i nervi
a fior di pelle, tremori, sudorazione, nausea, diarrea),
sintomi di iperattivazione vegetativa (aumento del
battito cardiaco, difficoltà di respirazione, vertigini),
affaticamento, difficoltà a concentrarsi, vuoti di memoria,
irritabilità e alterazioni del sonno.
Al contrario, la preoccupazione
non patologica non presenta tali
caratteristiche.
Quali sono ad oggi gli interventi
più efficaci per curare il disturbo
d’ansia generalizzato?
Se non trattata l’ansia
generalizzata può avere durata
cronica. Una buona psicoterapia
è efficace tanto quanto i farmaci,
con il vantaggio che il paziente
non esperisce alcun effetto
collaterale dalla psicoterapia. Sebbene il trattamento
farmacologico sia piuttosto efficace nel ridurre i sintomi
Va aggiunto che gli antidepressivi o le benzodiazepine
non sono efficaci nel lungo termine: infatti, il rischio
di una ricaduta è maggiore per chi assume farmaci
rispetto a chi intraprende un percorso psicoterapico. Nel
caso delle benzodiazepine, poi, occorre considerare
che provocano dipendenza e che quindi dovrebbero
essere usate solo per brevissimi periodi. Un intervento
psicologico è indispensabile per riuscire a modificare i
modi di essere patologici della persona e per aiutarla a
gestire le preoccupazioni. La storia di vita di una persona,
così come la sua personalità, hanno infatti un’importanza
essenziale nella comprensione delle radici dell’ansia
stessa. L’attività fisica è un discreto coadiuvante nel
processo di guarigione.
Naturalmente si può prevedere una combinazione degli
interventi sopra citati. Ad ogni modo è opportuno che
ogni intervento sia personalizzato e cucito addosso a
ciascun paziente, proprio come si farebbe con un abito
sartoriale.
15
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16
Cromoterapia:
la terapia dei colori
a cura di
Silvia Terracciano
La cromoterapia fa parte del gruppo delle discipline
olistiche/alternative che utilizza i colori per il trattamento di
specifici disturbi. Insegna come i colori possono aiutare ad
ottenere il massimo benessere.
Alla base della cromoterapia vi è la convinzione che i
colori possano influenzare il corpo e la mente, col fine di
ripristinare e favorire l’equilibrio psico-fisico.
Lacromoterapiasfruttalevibrazionicromaticheperristabilire
l’equilibrio energetico alterato. L’irradiazione colorata
provoca l’assorbimento di onde elettromagnetiche con
una frequenza oscillatoria, che varia da colore a colore,
stimolando la risonanza vibratoria degli atomi contenuti
nelle cellule.
Il nostro organismo assorbe i colori in modi diversi.
• Irradiazione: uso di lampade colorate o filtri, in grado di
irradiare il colore su una specifica parte del corpo.
• Alimentazione: i colori dei cibi che ingeriamo entrano in
contatto con il nostro organismo, si
parlainquestocasodicromodieta.
• Abbigliamento: indossare
un capo di abbigliamento di
uno specifico colore produce
sensazioni differenti sull’organismo.
• Arredamento: la scelta dei
colori che ci circondano a casa,
così come in ufficio, non è da
sottovalutare, per esempio il colore
blu è indicato per la camera da
letto, per il suo effetto rilassante.
• Massaggi: i colori possono essere
assorbiti dal corpo attraverso l’uso di
oli colorati e pigmenti da massaggio.
• Meditazione: si possono evocare i colori mentalmente,
attraverso specifici esercizi di rilassamento.
Quali sono i principali benefici della cromoterapia?
• I colori dilatano o restringono i vasi sanguigni;
• aumentano la produzione di globuli rossi, bianchi ed
enzimi;
• sostengono il sistema immunitario;
• fortificano i tessuti;
• favoriscono il trasporto di ossigeno nel sangue;
• estendono la coscienza.
Non esistono ancora documentazioni che confermino
scientificamente questi effetti, sicuro è che i colori
influenzano gli stati d’animo. Così come è esperienza
comune che la luce influenzi il tono dell’umore: in inverno
tende a far capolino il “cattivo” umore, con la primavera
invece è come se tutti un risorgessimo, con un umore
decisamente migliore.
Il colore è energia che viene assorbita dal nostro organismo
a vari livelli (fisico, chimico, psichico) e attraverso vari
canali, non solo quello della vista: gli strati cutanei e la
calotta cranica sono particolarmente ricettivi.
I colori sono quindi una realtà fisica oggettiva che viene
resa soggettiva dalla percezione che ognuno di noi ha di
queste frequenze.
Ma come un colore può influire sull’organismo e sulla
mente?
In generale i colori caldi, come il rosso, l’arancio, il giallo
e il verde chiaro, vengono impiegati per dare energia
quando manca, quindi in casi di stanchezza o pressione
bassa. I colori freddi, invece, aiutano a togliere l’energia in
eccesso e si rivelano utili contro i dolori.
• Il rosso ha un effetto eccitante, in grado di favorire
l’attività muscolare, cardiaca e
circolatoria, pertanto è il colore
dell’azione. Sulla psiche ha un
effetto energizzante, inoltre stimola
la libido, per questo è collegato
nella simbologia ad amore e
passione.
• Il blu ha un effetto rilassante,
è indicato per curare problemi
di tachicardia e pressione alta.
Aiuta a guarire dalle infiammazioni
soprattutto alla gola, alle
articolazioni e ai denti inoltre
allevia emicrania e cefalee.
• Il verde ha un effetto calmante e lenitivo, è il colore della
natura con proprietà riequilibranti. Considerato curativo
per coloro che soffrono di stress e ansia, dona serenità e
induce calma. Allevia i crampi e i disturbi dell’apparato
gastrointestinale, inoltre è indicato in caso di insonnia e
disturbi del sonno. Nella simbologia collegato alla speranza
e alla fortuna.
• L’arancione ha un effetto energizzante e rallegrante,
viene spesso impiegato per infondere ottimismo e voglia di
vivere, induce positività.
• Il giallo aiuta la concentrazione, ha effetti benefici sul
pancreas ed è depurativo.
La cromoterapia rientra nelle cure dolci della medicina
alternativa come terapie di benessere, che prevedono
trattamenti naturali e meno invasivi rispetto alla medicina
e alle cure tradizionali.
È bene precisare però che non c’è un diploma in
cromoterapia, anche se ci sono dei medici che operano
con questa pratica.
17
La cromoterapia è rivolta a quelle persone che vogliono
preservare l’equilibrio psico-fisico, associando questa
disciplina ad altre terapie olistiche.
È applicabile a chiunque dai bambini agli anziani.
Non può sostituire le cure tradizionali ma solo affiancarle o
agire in prevenzione.
18
supportare
favorire
promuovere
Costituita per iniziativa di Health Italia, Mutua MBA e Coopsalute, la Fondazione Basis è un ente no-profit
che svolge le proprie attività nei settori dell’assistenza socio-sanitaria, nella promozione e nella gestione
di servizi culturali, educativi, sportivi e ricreativi allo scopo di fornire sostegno a soggetti deboli quali,
ad esempio, persone svantaggiate per malattia, disabilità fisica e/o psichica, indigenti, minori e persone
anziane non autosufficienti. Nello svolgimento delle proprie attività istituzionali, la Fondazione si propone di
sensibilizzare l’opinione pubblica su tematiche quali la difesa e la tutela della salute, incentivando il concorso e
la partecipazione di tutte le realtà che costituiscono espressione della società civile.
Fondazione Basis ha ottenuto risultati significativi, soprattutto grazie al contributo di molti donatori, che
rafforzano l’entusiasmo e la volontà nel proseguire per la strada intrapresa.
Se credi nella nostra missione e nell’importanza che la nostra Fondazione può rivestire in ambito sociale
effettua una donazione o diventa volontario inviandoci per email la tua candidatura!
Effettua
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Fondazione Basis | c/o Palasalute - Via di Santa Cornelia, 9 | 00060 | Formello (RM) | www.fondazionebasis.org | info@fondazionebasis.org
19
Citrus – L’Orto Italiano e Fondazione Umberto Veronesi
insieme per “I Limoni per la Ricerca”, iniziativa volta a
sostenere la ricerca nel campo della nutrigenomica, la
scienza che studia l’azione degli alimenti sui nostri geni per
prevenire l’insorgenza di alcune malattie.
A casa di Marianna i prodotti della terra e una dieta
equilibrata basata sulla qualità e sulla freschezza dei
prodotti sono due argomenti di sacrale importanza. “Il cibo
è amore di famiglia, una passione vera che ci sprona a
valorizzare i tesori delle nostre campagne per farli scoprire
a tutta l’Italia”, dichiara la 25enne Marianna Palella CEO e
Founder di Citrus – L’Orto Italiano. Rispetto per la tradizione
agricola sulla base delle richieste dei consumatori di oggi,
lavoro di squadra tra agricoltori e con gli interlocutori della
grande distribuzione. Questi i pilastri su cui si regge “Citrus
- L’Orto Italiano” azienda ortofrutticola di Cesena alla
creatività e all’intuito di Marianna Palella. Health Online
l’ha intervistata.
Quali sono i prodotti di Citrus?
“Il limone, che come tutti i nostri agrumi non è trattato in
superficie per sensibilizzare all’utilizzo della buccia che
contiene il limonene, molecola antitumorale; il bergamotto
che ha una forma simile all’arancia, schiacciata nei poli e
dal colore giallo prima e verde quando la stagionalità è
sul finire.
Il nostro paniere è stato studiato dai nutrizionisti di
Fondazione Umberto Veronesi e contiene prodotti amici
della salute e utili per fare prevenzione a tavola. Offriamo
anche fichi e broccoli di Puglia, pere coscia di Bronte,
pomodorini dal seme autoctono, aglio di Voghiera ed erbe
aromatiche siciliane per ridurre l’utilizzo del sale in cucina”.
a cura di
Alessandro Notarnicola I limoni per la
solidarietà
20
Qualità è la vostra parola chiave?
“Il nostro progetto punta sulla qualità del prodotto,
garantita dalla filiera, e sulla capacità di intercettare i
desideri dei consumatori, sempre più consapevoli e per
questo giustamente esigenti in fatto di alimentazione.
Abbiamo scommesso su varietà 100 per cento italiane
ma considerate minori; le abbiamo riscoperte per la loro
bontà ma anche per il loro valore nutritivo e le abbiamo
riproposte sugli scaffali delle principali insegne della
distribuzione italiana”.
La qualità richiama la salute e qui inizia la seconda missione
di “Citrus, l’Orto Italiano”, non è così?
“Da sempre sosteniamo la ricerca scientifica di Fondazione
Umberto Veronesi (8 le borse di ricerca consegnate finora),
e anche quest’anno siamo stati il partner esclusivo della
seconda edizione dell’iniziativa “I limoni per la ricerca”.
I limoni testimonial della Ricerca?
“Esattamente.Rappresentanounesempiodicollaborazione
possibile tra fornitore e grande distribuzione, nell’obiettivo
comune di un’azione di responsabilità sociale: 40 centesimi
a retina saranno devoluti alla Fondazione Umberto Veronesi
per finanziare la ricerca scientifica.
La prima edizione de “I Limoni per la Ricerca” si è svolta
un anno fa e grazie all’adesione di 1.800 punti vendita, ha
permesso di raccogliere 90 mila euro che hanno finanziato
il lavoro di 3 ricercatrici: Lorena Coretti, Benedetta Raspini
e Laura Simoni”.
Da dove nasce l’idea?
“Dalla volontà di diffondere l’uso del limone per le
sue proprietà nutritive e preventive, come la molecola
antitumorale contenuta nella buccia: il limonene. Per
questa ragione Citrus - L’Orto Italiano, da sempre vicina a
queste tematiche, offre solo limoni italiani e non trattati in
superficie.
Crediamo fortemente nella ricerca scientifica come
motore di innovazione e principale leva competitiva del
nostro Paese, come sinonimo di pace, di speranza e di
valori”.
Ne parla con emozione. Pensa che questo progetto
presenti l’agricoltura come braccio della medicina?
“Sono affascinata dalla magia che si crea intorno a questo
progetto che vede tutti coinvolti allo scopo comune di
sostenere la ricerca scientifica: GDO, Produzione, Clienti,
Scienza insieme per contribuire a un futuro migliore e a una
società più consapevole”.
Il limone è più comunemente
conosciuto come una buona
fonte di vitamina C.
Come la maggior parte degli
agrumi, contiene un ampio
elenco di altri nutrienti essenziali:
carboidrati (zuccheri e fibre),
potassio, acido folico, calcio,
tiamina, niacina, vitamina
B6, fosforo, magnesio, rame,
riboflavina, acido pantotenico
e una varietà di composti
fitochimici.
La vitamina C svolge un ruolo
chiave nella formazione del
collagene, entra in gioco
nell’assorbimento del ferro
inorganico (non –eme);
inoltre come antiossidante,
la vitamina C può aiutare
ad evitare il danno cellulare
da “radicali liberi” implicato
nella progressione di diverse
malattie tra cui il cancro, le
malattie cardiovascolari e la
formazione della cataratta.
Nel limone, in particolare nella
buccia, sono presenti fitochimici
come monoterpeni, limonoidi,
flavonoidi, carotenoidi ed acidi
idrossicinnamici.
Questi composti hanno
dimostrato in diversi studi
scientifici capacità antiossidanti,
effetti sulla differenziazione
cellulare e potere detossificante
che renderebbero i limoni, se
regolarmente consumati, una
componente importante di una
dieta volta a ridurre il rischio di
malattia.
Approfondimento
Nessuna distinzione per numero di componenti della famiglia
Nessuna distinzione di età
Sussidi per Single o Nucleo familiare
Detraibilità fiscale (Art. 15 TUIR)
Nessuna disdetta all’associato
Durata del rapporto associativo illimitata
Soci e non “numeri”
perché abbiamo scelto mba?
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assistenza rimborso ticket
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visite specialistichesussidi per tutti check up
Mutua MBA è da sempre impegnata nell’assistenza sanitaria integrativa e rappresenta
l’innovazione, il dinamismo e la qualità nella mutualità italiana ponendosi come
“supplemento” alle carenze, ad oggi evidenti, del Servizio Sanitario Nazionale.
Vanta un costante incremento del numero di Soci Promotori e propone numerose
combinazioni assistenziali che offrono un’ampia gamma di prestazioni sanitarie a
costi agevolati per oltre 350.000 assistiti, tra famiglie e nuclei.
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22
Le neoplasie in età pediatrica, leucemie, linfomi e tumori
solidi, colpiscono 1 bambino ogni 650 entro i 15 anni di età.
Secondo i dati, in Italia ogni anno ci sono 120-140 nuovi casi
per milione di bambini sotto i 15 anni. Questo significa che si
ammalano di tumore o leucemia circa 1700 bambini, circa
5 ogni giorno. I tumori infantili sono molto diversi dai tumori
degli adulti per tipo, per velocità di accrescimento e per
prognosi. Nel bambino, in generale, il tumore più frequente
è il gruppo delle leucemie (33%), seguito dai tumori del
sistema nervoso centrale (SNC) (22%), i linfomi (12%), il
neuroblastoma (7%), i sarcomi dei tessuti molli (7%) e i tumori
ossei (6,4%). Le percentuali variano secondo la fascia
d’età. Altri tumori più rari ancora sono il retinoblastoma,
l’epatoblastoma, il Sarcoma di Ewing, i tumori delle cellule
germinali e altri tipi estremamente rari.
“Le neoplasie in età pediatrica – ha spiegato la dott.ssa
Monica Cellini, referente Oncoematologia Pediatrica del
Dipartimento Materno-Infantile dell’Azienda Ospedaliero –
Universitaria di Modena - sono da considerarsi per la loro
incidenza patologie rare ma, tra queste, i tumori cerebrali
sono al secondo posto dopo le leucemie. Negli anni sono
stati compiuti notevoli progressi nella cura delle patologie
oncoematologiche pediatriche con risultati veramente
confortanti, ad esempio per quanto riguarda le leucemie
infantili, ma i tumori cerebrali rappresentano ancora una
sfida aperta”.
La dottoressa Cellini ha parlato di sfida aperta, come il titolo
di un convegno che si è svolto di recente presso l’Azienda
Ospedaliero – Universitaria di Modena che ha visto riunite
diverse figure professionali.
Per saperne di più, Health Online ha intervistato la dottoressa
MonicaCellinieilpresidentediASEOP(AssociazioneSostegno
Ematologia Oncologia Pediatrica) Onlus, Erio Bagni.
I tumori cerebrali del
bambino e dell’adolescente:
una sfida aperta
a cura di
Alessia Elem
23
Dottoressa, le neoplasie in età pediatrica e
nello specifico i tumori cerebrali sono purtroppo
frequenti. Quali sono i sintomi ai quali prestare
attenzione per arrivare ad una diagnosi precoce?
“I sintomi di esordio di questa patologia sono
spesso subdoli e quindi a volte si possono avere
diagnosi tardive. Nella maggior parte dei casi i
sintomi più frequenti sono legati all’ipertensione
endocranica quindi cefalea, vomito, difficoltà di
equilibrio, alterazioni dei movimenti oculari con
strabismo fino al sopore, convulsioni e coma
nei casi più avanzati. Sintomi particolari e di più difficile
interpretazione possono essere quelli legati ad alterazioni
comportamentali e disturbi dell’umore”.
Negli anni le innovazioni negli strumenti diagnostici e nelle
terapie hanno portato a dei risultati soddisfacenti, ma la
sfida è ancora aperta. Di cosa si è discusso nel corso del
Convegno?
“Al convegno sono state presentate le figure professionali
di eccellenza che lavorano a Modena con noi ogni giorno,
usufruendo di attrezzature all’avanguardia, e sono stati
presentati i risultati ottenuti nel campo delle patologie
neuroncologiche pediatriche negli ultimi anni. Risultati
prestigiosi che sicuramente mettono in luce l’esperienza
modenese nel campo pediatrico e non solo”.
È fondamentale iniziare una terapia mirata ed efficace.
Qual è il protocollo che viene seguito? E quali sono le
nuove terapie?
“La terapia ovviamente deve essere la più precisa
possibile ed oggi, con i grandi progressi fatti dall’anatomia-
patologica in termini di conoscenza dei tumori cerebrali
soprattutto nel campo della biologia molecolare, questo si
sta sempre più avverando. I tumori cerebrali sono di tanti tipi
istologici diversi, a seconda delle cellule da cui originano,
ed hanno caratteristiche di aggressività differenti, per
cui per ciascun istotipo c’è un protocollo di chemio e/o
radioterapia specifico.
Nel campo di nuove terapie al momento non abbiamo
grandi novità, alcuni farmaci che sembravano molto
promettenti in vitro in realtà in vivo non hanno dato risultati
altrettanto soddisfacenti. I nuovi farmaci vengono testati
prima su pazienti adulti e successivamente nei bambini,
ma ad oggi anche nel mondo degli adulti non sembrano
esserci novità di rilievo”.
Quali sono le figure professionali essenziali affinché si arrivi a
raggiungere delle cure soddisfacenti?
“Neuroradiologo, neurochirurgo, anatomo-patologo,
oncologo, radioterapista, psicologo, fisiatra e fisioterapista
sono le figure essenziali per poter offrire il meglio al paziente
con patologia neuro-oncologica”.
Quanto è importante la presenza di un’equipe
multidisciplinare?
“L’equipe mutidisciplinare è fondamentale per la
presa in carico del paziente con patologia neuro-
oncologica, sia adulto che bambino. A Modena
nell’Azienda Ospedaliero-Universitaria che
raggruppa i due ospedali Policlinico e Baggiovara
è in atto un PDTA (Percorso Diagnostico
Terapeutico Assistenziale) che prevede la presa in
carico di tutti i pazienti diagnosticati nelle due strutture che
vengono poi inseriti nel percorso più idoneo per la propria
patologia. Questo fa sì che il paziente si senta assistito e
supportato durante il suo percorso di malattia avendo
appuntamenti per terapie, controlli ecc. già pianificati”.
Qual è il rapporto che si instaura tra voi specialisti, i piccoli
pazienti e le rispettive famiglie?
“Si tratta di un rapporto molto stretto, si parla di ‘alleanza
terapeutica’ perché ovviamente le cure mediche sono
importanti ma senza un lavoro di equipe che coinvolga
tutte le figure che ruotano intorno al bambino non si fanno
grandiprogressi.Quindiinprimislafamiglia(genitoriefratelli)
che si trovano in prima linea ad affrontare questo difficile
percorso accompagnati dai medici, dagli infermieri, dallo
psicologo di reparto e da tutte le figure che sono presenti
nei vari momenti di degenza: insegnanti, volontari, clown
che possono contribuire a rendere meno difficile questo
particolare momento della vita di un bambino”.
Il ruolo della famiglia, come quella di tutti gli specialisti,
è fondamentale per la cura del bambino. Nel 1988
un gruppo di genitori di bambini affetti da patologie
oncoematologiche, insieme alla Professoressa Fausta
Massolo, allora Direttrice del Reparto di Oncoematologia
Pediatrica del Policlinico di Modena, decise di dare vita
ad ASEOP (Associazione Sostegno Ematologia Oncologia
Pediatrica) con il fine principale di sostenere la ricerca e la
cura, fornire un punto di riferimento competente e solidale
alle famiglie ed ai bambini colpiti dalla malattia, rispondere
ai loro dubbi e difendere i loro diritti.
Health Online ha rivolto qualche domanda al Presidente
dell’Associazione ASEOP Onlus, Erio Bagni.
Quali sono stati i risultati raggiunti in questi anni e quali sono
i progetti per il futuro?
“Con la nascita dell’Associazione si è voluto dare un
piccolo ma importante contributo che tutt’oggi, a distanza
di 30 anni dalla fondazione, continua quotidianamente.
Molti passi avanti sono stati fatti, molti sono ancora da fare.
ASEOP significa: Aiutare e Accogliere i bambini affetti da
patologie oncoematologiche e non, e le loro famiglie, sia
2424
durante che dopo il periodo di degenza, con particolare
riguardo all’ospitalità presso la Casa di Fausta, rivolta a
coloro che provengono da zone lontane dell’Italia e del
mondo, al sostentamento per coloro che presentano
particolari difficoltà economiche, al disbrigo delle formalità
burocratiche (es. L. 104), alla frequenza scolastica sia
nel periodo di degenza che non, all’aspetto ludico ed
al reinserimento dei piccoli pazienti fuori terapia nella
società. Inoltre, ASEOP contribuisce in modo concreto
al miglioramento strutturale e strumentale del reparto
pediatrico dove i bambini vengono seguiti.
L’accoglienzaèdasempreilpuntodiforzadell’Associazione
e proprio per questo che lo scorso anno c’è stata la
riqualificazione degli arredi delle stanze di degenza del
Reparto di oncoematologia pediatrica del Policlinico di
Modena inaugurati nel mese di ottobre del 2017.
La riqualificazione degli arredi all’interno delle 5 stanze di
degenza ha fatto in modo che i bambini, i ragazzi e le loro
famiglie vengano accolti dai colori del mare, del cielo,
del sole e dei prati, elementi naturali che meglio di altri
trasmettono una sensazione di
benessere e tranquillità ma allo
stesso tempo di forza e vitalità.
Quindi colori che attirano e arredi
mai ingombranti ma gradevoli
alla vista e anche al tatto. Certo,
i colori e le forme non risolvono
la malattia, ma aiutano molto la
psiche che ha l’oneroso compito
di sorreggerli nei momenti più
difficili. ASEOP promuove e
sostiene la ricerca in ambito
oncoematologico ed in questo periodo stiamo lavorando
allo sviluppo di una cultura scientifica e sostenendo il lavoro
dei ricercatori. Le borse di studio e le attrezzature donate
sono rese possibili grazie al contributo di tanti donatori che
traducono in gesti spesso silenziosi e anonimi la convinzione
di dover fare la propria parte a sostegno della cura.
Altro fiore all’occhiello, per quanto concerne i progetti
ideati e realizzati da ASEOP, è il progetto di cooperazione
internazionale “Un Ponte per la Vita Italia Paraguay”. Nello
specifico, ASEOP negli anni ha seguito la formazione di
medici ed infermieri operanti presso l’Ospedale Pediatrico
Ninos de Acosta Nu, ha sostenuto a livello economico la
chemioterapia ed ha contribuito alla realizzazione di una
struttura ospedaliera che oggi vanta il primato come
terapia, indice di guarigione ed assistenza pubblica in
Paraguay e in America Latina.
Tra gli obiettivi di ASEOP c’è quello di sensibilizzare e
diffondere la conoscenza di tematiche specifiche quali
le patologie oncoematologiche e non in età pediatrica,
le modalità terapeutiche, il trapianto di midollo osseo, di
cellule staminali emopoietiche da sangue periferico e da
cordone ombelicale. Per interagire ed estendere anche
la conoscenza scientifica a livello territoriale in modo
concertato e collaborativo, l’Associazione organizza degli
incontri di formazione ed informazione aperti ai genitori,
ai soci, ai volontari, ai medici di base ed al personale
infermieristico.
Per il futuro c’è la volontà di continuare con le attività
menzionate a sostegno delle famiglie e di promuovere
il coinvolgimento di nuovi medici presso il Dipartimento
Materno Infantile del policlinico di Modena, affinché si
occupino in modo continuo della ricerca nell’ambito del
programma realizzato dal Prof. Dominici e della clinica
in reparto, affinché ricerca e cura diventino un binomio
inscindibile”.
Aiutare i bambini e le loro famiglie, sensibilizzare e diffondere
la conoscenza delle patologie oncoematologiche,
organizzare incontri e promuovere la ricerca sono gli
obiettivi dell’Associazione. In cosa consiste il vostro lavoro
quotidiano?
“Il lavoro quotidiano di ASEOP consiste nel sostegno totale
del bambino e della sua famiglia durante il percorso
terapeutico.
Punto principale dell’agire
di ASEOP, che fu il principio
ispiratore dei fondatori 30 anni fa,
è rappresentato dal servizio alle
famiglie che caratterizza l’attività
quotidiana dell’associazione che
è così suddiviso:
• Servizio di Accoglienza: Un
gruppo di volontari insieme al
personale strutturato ASEOP si
occupa di accogliere le famiglie
sin dal momento della diagnosi. Tra i loro compiti vi è quello
di illustrare tutti i servizi presenti in ospedale e quelli offerti
dall’Associazione.
• Assistenza burocratica: l’ufficio fornisce un supporto
operativo alle famiglie relativamente all’espletamento
delle formalità burocratiche come l’attivazione della
Legge 104, invalidità civile, ecc.
• Assistenza alla famiglia in ospedale e presso la Casa di
Fausta. I principali problemi che la famiglia deve affrontare
e sui quali riceve sostegno dall’assistenza sono:
- solitudine ed isolamento;
- necessità di assistenza ai fratelli;
- organizzazione del lavoro e della gestione familiare.
Il ricovero in ospedale è quasi sempre un evento traumatico
per il bambino. Le relazioni interpersonali a cui egli era
abituato mutano improvvisamente, si allenta la fiducia
nell’onnipotenza dei genitori, il vissuto dell’abbandono può
farsi sempre più presente e tale cambiamento determina
un senso di instabilità emotiva e di confusione. In una CASA
lontano da CASA, come la Casa di Fausta, il bambino può
trovare un aggancio a sua misura in un’abitazione nella
quale può ritrovare i propri famigliari, compresi i fratelli
spesso costretti a vivere in un contesto di separazione, e
le proprie abitudini. Un collegamento ed una mediazione
25
tra più contesti grazie alla presenza costante dei volontari
e del personale sanitario, un ruolo spesso funzionale alla
creazione di quella base comunicativa che può facilitare
l’adattamento del bambino ospedalizzato e della sua
famiglia: La Casa di Fausta in tale contesto rappresenta la
‘continuità’ nel ‘cambiamento’.
• Assistenza economica: alcune famiglie si trovano ad
affrontare la malattia del figlio in condizioni di grave
disagio economico. Al proposito ASEOP, su segnalazione
degli assistenti sociali o organi preposti, si attiva erogando
contributi principalmente per:
- sussidi mensili temporanei;
- rimborso spese farmaci e materiale sanitario;
- acquisto generi alimentari e abbigliamento;
- spese trasporti;
- spese alloggiamento nel caso in cui il bambino e la
famiglia si rechino i un altro presidio ospedaliero per
effettuare ulteriori accertamenti o controlli;
• Assistenza Psicologica: quando nel percorso di vita di
una famiglia irrompe la malattia di un figlio/a, l’impatto
psicologico e sociale sono molto forti. È necessario un
supporto globale che aiuti il bambino/adolescente, i suoi
genitori e fratelli/sorelle ad affrontare le difficoltà che
incontreranno. La risposta più efficace a queste necessità
è quella di una presa in carico dell’intero nucleo familiare,
intendendo il supporto psicologico e sociale come un
servizio integrato nel sistema di cura. ASEOP, in accordo
con i Responsabili del reparto ed il responsabile del
Servizio di Psicologia, ha fortemente voluto e sostenuto
economicamente la presenza di uno psicologo che
lavora in integrazione ai medici e all’Associazione presso
il reparto di Oncoematologia Pediatrica. Recentemente
il Policlinico, vista l’importanza di questa figura, si è fatto
carico direttamente del contratto per la psicologa del
reparto”.
Com’è nata l’idea della Casa di Fausta?
“Dopo un attento monitoraggio dei ricoveri e dimissioni da
parte dell’Associazione ASEOP, si è potuto constatare un
elevato afflusso, presso il Dipartimento stesso, di pazienti
di età compresa fra 0 e 16 anni e di una scarsa offerta di
ospitalità da parte del territorio ‘dignitosa ed economica’,
soprattutto in quelle situazioni in cui la permanenza è
prevista per un lungo periodo (sovente circa due anni) con
prevedibile disagio emotivo, organizzativo ed economico
per l’intero nucleo familiare. E così che si è pensato di
realizzare il progetto di accoglienza ‘La Casa di Fausta’,
inaugurata il 22 marzo del 2016. La struttura è costituita da
12 nuclei abitativi indipendenti, una biblioteca, un’area
ludica interna ed esterna, una palestra per la riabilitazione
motoria, due uffici. A prova della necessità della presenza
di una struttura come quella realizzata da ASEOP sono
le giornate di occupazione dei 12 appartamenti per
un totale di 3363 nell’anno 2017. Degno di nota il parco
giochi esterno alla Casa di Fausta, completato nel mese di
26
gennaio 2017, il quale è quotidianamente frequentato da
numerosi bambini e loro famiglie ospiti presso la casa stessa
e dagli abitanti residenti nel quartiere. Un luogo di incontro
e di unione.
Aspetto molto importante è rappresentato dall’iter avviato
negli ultimi mesi dell’anno 2017, e giunto a conclusione
nel mese di gennaio scorso, con l’Azienda Unità Sanitaria
Locale AUSL di Modena in merito alla stesura del Protocollo
di Accoglienza presso La Casa di Fausta di donne con
gravidanze a termine provenienti dal Distretto di Pavullo e
dall’area montana del distretto di Vignola.
Per quanto concerne gli aspetti operativi, il documento
definisce che il ginecologo e l’ostetrica del Punto Nascita
del Policlinico di Modena, a nome e per conto dell’Azienda
USL di Modena, in presenza degli elementi condivisi in
apposito protocollo tra AUSL di Modena e il Policlinico stesso
e in assenza di travaglio attivo o altre indicazioni meritevoli
di ospedalizzazione, potranno suggerire alla paziente di
trattenersi, in attesa del parto, presso Casa di Fausta. In tal
senso gli operatori del Policlinico, ottenuto il consenso da
parte della donna, contatteranno la segreteria di ASEOP
per informare dell’arrivo della paziente accompagnata da
un suo familiare. La donna, nell’imminenza del parto, potrà
recarsi al Punto Nascita Policlinico o direttamente, se in grado
di deambulare o attivando il servizio di emergenza 118”.
Ha una storia particolare da raccontare come messaggio
di speranza per i bambini e le loro famiglie?
“Le storie che si potrebbero raccontare come messaggio
di speranza sono tante. Occorre dire che ogni guarigione
raggiunta, ogni ritorno alla vita è un messaggio di speranza
ed un occhio rivolto al futuro. Una la porto nel cuore, quella
di Matias.
Matias è un bambino di 7 anni, al quale una malattia
oncologica ha sconvolto l’esistenza. È un bambino che
vive ad Asuncion in Paraguay e vede nel suo arrivo al
Policlinico di Modena l’ultimo viaggio che molti chiamano
‘della speranza’. Andiamo a prendere Matias e la mamma
Carmen in aeroporto e ciò che troviamo è quello che mai
nessuno auspica di vivere. Matias ha la febbre altissima,
respira a fatica e per questo senza esitare percorriamo
la distanza Aeroporto Malpensa - Ospedale Policlinico
di Modena incuranti dei limiti, l’unica cosa che conta è
arrivare in tempo. Giorni e mesi di ricoveri in ospedale,
ore e ore di pesanti terapie, decine di visite e indagini
diagnostiche.
La sua realtà quotidiana non è più scandita solo dai
giochi e dalle attività con gli amici, ma da ritmi necessari
a combattere la patologia. Ma se il corpo è alle prese con
una guerra interna per sconfiggere il nemico e si trasforma
momentaneamente, perché i capelli cadono oppure il viso
diventa un po’ gonfio, la sua mente pensa ai giorni sereni in
Paraguay. Matias ha trascorso mesi chiuso nel suo silenzio,
senza parlare o sorridere con nessuno, combattendo
giornalmente in un isolamento assordante. Matias, al di là
di qualsiasi previsione, riesce a sconfiggere il male. I medici
dicono a Carmen che può fare ritorno in Paraguay, ad
Asuncion dove li aspetta la famiglia. Il giorno del rientro
arriva, andiamo a prendere Matias e Carmen presso la
struttura di accoglienza ASEOP dove hanno soggiornato
nei lunghi ed interminabili mesi di terapia. Carichiamo
i bagagli, controlliamo che nulla sia stato dimenticato
ed in quell’occasione Matias, per la prima volta, con un
grande sorriso ringrazia tutti e dice che vuole un pallone
per giocare a basket. Oggi Matias ha 22 anni, gioca a
basket ed è prossimo alla laurea in biotecnologie con uno
sguardo rivolto verso il futuro”.
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al servizio della salute e del benessere
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28
Aaa cercasi medico di famiglia:
in pensione circa 15 mila medici
di base…chi li sostituirà?
a cura di
Nicoletta Mele
Sta arrivando il dottore! A piedi o a cavallo, per visitare i
malati a domicilio.
Era il medico condotto, sapeva fare tutto ed era reperibile
24 ore su 24, una vera e propria figura di riferimento per
l’intera comunità. Negli anni, il medico condotto ha
cambiato la sua immagine e le condizioni lavorative,
grazie anche al supporto della guardia medica. Oggi
è conosciuto come medico di base o di famiglia, un
professionista importante per i cittadini che, secondo i
recenti dati diffusi dalla Federazione Medici di Medicina
Generale (Fimmg), tra 5 anni, rischia l’estinzione.
Nel 2023, per effetto dei pensionamenti, cesseranno di
lavorare 45mila medici, di cui 30mila ospedalieri e 14.908
medici di famiglia, per i quali non corrisponderanno
altrettante nuove assunzioni.
Il problema maggiore è che alle uscite non sono previste
altrettante, o quanto meno adeguate, entrate: per i
medici di base, infatti, le borse per il corso di formazione in
medicina generale messe a disposizione sono oggi circa
1.100 l’anno e se il numero rimarrà costante, secondo
l’analisi della Fimmg, ad essere rimpiazzati, al 2028, saranno
non più di 11mila medici, mantenendo un saldo in negativo
a quella data di oltre 22mila unità.
L’anno in cui si registrerà il picco delle uscite, sarà il 2022
29
che vedrà andare in pensione 3.902 medici di famiglia.
Sicilia, Lombardia, Campania e Lazio saranno le regioni
che registreranno, sia nel breve che nel lungo periodo,
le maggiori sofferenze, con conseguenze soprattutto
per i cittadini che si ritroveranno senza lo storico punto di
riferimento per la tutela della salute.
“Nei prossimi 5-8 anni - ha dichiarato Silvestro Scotti,
segretario Fimmg - i pensionamenti priveranno 14 milioni di
italiani della figura del medico di famiglia”.
Viste le premesse, per il prossimo futuro l’Italia sembra essere
destinata a diventare un Paese senza dottori. Come si è
arrivati a questa situazione critica? E si può fare qualcosa
per salvare il salvabile?
Health Online ha intervistato il dott. Silvestro Scotti, segretario
della Federazione Medici di Medicina Generale (FIMMG).
Dott. Scotti, l’Italia tra qualche anno rischia di diventare
davvero un Paese senza dottori? Oggi qual è la situazione?
E quali sono state le cause che hanno portato a registrare
uno scenario di questo tipo?
“Stiamo parlando di futuro ma, ad esser onesti e ragionando
in termini di programmazione, il problema è già presente.
Il rischio dell’estinzione della categoria è elevato, perché
purtroppo oggi investire sul rapporto medico-paziente
è diventato una seconda o terza scelta. Il problema è
che tra qualche anno mancheranno 15 mila medici di
famiglia e non è stato formato un numero sufficiente per
far fronte al ricambio generazionale. Le cause che hanno
portato a questa situazione sono state denunciate dalla
nostra Federazione di medicina generale da ormai troppi
anni ed oggi siamo arrivati alla resa dei conti. Negli anni,
la formazione è rimasta invariata. Prima del 1991 bastava
laurearsi in medicina per diventare medico di famiglia, con
la nuova normativa europea - l’Italia si è adeguata solo
nel 1994 - è stato introdotto un corso di formazione prima
biennale e poi triennale e questo ha portato alla necessità
mancata di programmazione nella medicina generale.
Oggi c’è bisogno di una politica formativa indirizzata verso
la medicina di famiglia, perché l’università italiana non
prepara i laureandi, i quali scoprono la medicina di base
solo quando sono già laureati”.
Non è un problema emerso
all’improvviso. Che tipo di
programmazione doveva essere
fatta per evitarlo?
È un problema che denunciamo da
tempo e adesso il rischio maggiore è
che il paziente non avrà più il diritto
di scelta. Si doveva verificare la formazione di medici di
base in proporzione al numero di abitanti. Chi pensa
che la gestione delle cure primarie possa essere risolta
centralizzando l’offerta sbaglia. Un medico di famiglia ogni
90 Kmq è un’offerta di cure primarie?
Basterebbe considerare che le sole aree metropolitane
di 14 città italiane accolgono 21.000.000 di cittadini in
poco più del 10% della superficie del territorio italiano
per comprendere che nel rimanente 90% (270.000 Kmq)
la restante metà dei cittadini non avrà riferimenti sanitari
territoriali, avendo già oggi un’offerta assistenziale con
strutture lontane e non facilmente raggiungibili. Non
comprendere che quel medico di famiglia di quel paesino,
di quei cittadini, di quegli anziani, di quegli ammalati è
presidio sanitario indispensabile, significa perseguire la
scomparsa del Servizio sanitario nazionale”.
La carenza di medici di base interessa tutta la penisola
e si sta diffondendo a macchia d’olio. Qual è la regione
italiana che presenta maggiori criticità? E sono i piccoli
centri ad essere più penalizzati?
“Le regioni del nord come il Friuli Venezia Giulia, la
Valle d’Aosta e il Trentino Alto Adige presentano delle
criticità per ragioni di dispersione territoriale. La regione
Lombardia in questo momento sta mascherando molto
bene il problema, ma presto avrà il maggior numero
di pensionamenti. In media c’è un medico di base ogni
1000/1500 abitanti, oggi abbiamo 1 medico ogni 1450
abitanti, questo dato conferma che siamo quasi al limite
nella scelta del medico. Ecco quindi che si verificherà la
perdita del diritto di scelta da parte del paziente. Questa
situazione, ormai da anni, si sta riscontrando non solo nelle
grandi città, ma anche nelle zone periferiche”.
14.908 pensionamenti da qui al 2022. Secondo voi, il 2022
sarà l’anno del picco. Perché?
“C’è una crescita esponenziale nei prossimi anni
perché abbiamo una categoria dei medici di famiglia
mediamente avanti con l’età e non si è determinata
una giusta programmazione per
formarne nuovi, anche alla luce
della nuova normativa europea. Il
problema appena raggiungerà il
picco sarà visibile nelle grandi città”.
Secondo le stime, su circa 8000
laureati l’anno solo circa 1000 si
specializzano in medicina generale.
Perché? Diventare medico di
in evidenza
30
cittadini italiani il diritto di essere curati tutti nello stesso
modo devono essere garantiti investimenti economici
sul numero e sulla qualità della formazione dei medici di
medicina generale, sul personale sanitario e amministrativo
nei nostri studi e sulle tecnologie.
Se il numero delle borse di studio regionali rimarrà circa
1100 come ora, tra 10 anni saranno rimpiazzati solo 11.000
medici, con un saldo negativo
di oltre 22.000. Le dimensioni di
questo problema richiedono un
intervento urgente.
Subordinare la medicina di
base al sistema gerarchico degli
ospedali è stato un fallimento,
è necessario invece fornire al
medico di famiglia tutti quegli
strumenti in grado di coordinarsi
con il personale infermieristico e
le farmacie territoriali sia in termini
di prevenzione che di cure”.
Tutti auspichiamo che il rischio
scomparsa non diventi realtà
perché il medico di famiglia
resta sempre un punto di riferimento importante per l’intera
comunità. Secondo lei, in questa situazione si avverte
addirittura la necessità di tornare alla figura del vecchio
medico condotto?
“Il medico condotto rappresentava una figura di riferimento
per i cittadini come lo è oggi il medico di famiglia. Quando
c’è il pericolo di perdere qualcosa allora ci si rende conto
del suo vero valore, è arrivato il momento che la politica
nazionale e regionale ne prenda atto. È necessario un forte
rilancio della medicina di base, ma non solo in termini di
aumento di borse di studio, ma anche di un’organizzazione
medica più efficiente”.
famiglia non è un lavoro prestigioso e abbastanza
soddisfacente? Il problema principale è la formazione e la
remunerazione?
“Sotto l’occhio del ciclone c’è sia la formazione che
la remunerazione. L’Università italiana già imposta la
formazione per fare gli specialisti e non i medici di famiglia.
Per poter fare il medico di
medicina generale, è necessario
partecipare ed essere resi idonei
in corsi gestiti dalle Regioni:
durano tre anni e offrono ai
medici selezionati borse di studio
di 800 euro al mese. Le scuole di
specializzazione delle Università,
che danno il titolo necessario
per lavorare negli ospedali,
durano 4-5 anni, e garantiscono
una remunerazione mensile di
circa 1600 euro. È quindi assai
più probabile che il giovane
laureato preferisca partecipare
alle selezioni nazionali per
l’ammissione alle scuole di
specializzazione che ai concorsi regionali per i pochi posti
disponibili per diventare medico di medicina generale.
Affinché i giovani si affezionino alla medicina di base gli
elementi importanti sono sia il percorso per l’abilitazione
e l’esperienza, sia una politica un po’ più indirizzata verso
questa branca medica. I giovani dopo la laurea per
abilitarsi frequentano per 3 mesi gli ambulatori, vedendo
così tanti casi e patologie diverse e si rendono conto
dell’importanza del rapporto che si crea tra medico di
base e paziente”.
Qual è la situazione nel resto d’Europa?
“Le cure primarie sono legate al sistema
sanitario di ogni Paese, l’Inghilterra
presenta una situazione simile a quella
italiana. L’Italia è il Paese europeo con
la più bassa retribuzione economica”.
In Italia la popolazione invecchia
velocemente e il tema dell’assistenza
territoriale rappresenta una priorità.
Secondo lei, quali possono essere gli
interventi indispensabili per continuare
a garantire a tutti i cittadini il diritto
alle cure e all’assistenza domiciliare?
È necessaria una forte riforma del
sistema?
“Per poter continuare a garantire ai
30
31
Scegliere
ITALIA
32
Cosa significa essere
infermiere volontario della
Croce Rossa?
a cura di
Beatrice Casella
Martedì 8 maggio si è celebrata la giornata mondiale della
Croce Rossa, la più grande organizzazione umanitaria
del mondo. Predispone circa 1.500 volontari anche in
campo sanitario. Ma cosa significa essere infermiere
volontario della Croce Rossa? Ne abbiamo parlato con la
“crocerossina” Benedetta Colasanti.
Come è arrivata alla Croce Rossa Italiana?
“Sognavo di diventare “crocerossina” fin da quando
ero piccola quindi, appena compiuti i 18 anni, ho fatto
domanda per entrare nel Corpo”.
È sempre stato un suo sogno diventare Infermiera
Volontaria di questo ente?
“Si, sono cresciuta con la “leggenda” della Crocerossina
quindi direi proprio di si!”
Esiste ancora in Italia il corso di laurea per diventare
un’infermiera crocerossina? Se sì, bisogna accedervi
passando un test d’ingresso?
“Esiste una scuola - non un vero e proprio corso di laurea
universitario -, la scuola delle Infermiere Volontarie, che
si tiene presso ogni Ispettorato locale/provinciale della
Croce Rossa Italiana. Dura 2 anni e consiste in lezioni
di teoria e di tirocinio – quindi pratica - presso Ospedali
Militari (ove fossero presenti) e Civili. Una volta superato
l’esame, si ha il titolo di Infermiera Volontaria della Croce
Rossa Italiana che viene equiparato al titolo civile di
O.S.S.S. (Operatore Socio Sanitario Specializzato). L’iter
per accedervi consiste nel presentarsi presso l’Ispettorato
della propria città e fare un colloquio psicoattitudinale
con l’Ispettrice e le Vici Ispettrici in presenza, spesso,
anche di psicologi. Dopo aver sostenuto questo colloquio
si avrà l’esito, positivo o negativo. In caso
di esito positivo si procede poi con tutti gli
adempimenti burocratici per i documenti
da presentare”.
Ha mai partecipato a delle spedizioni
all’estero?
“No purtroppo, inizialmente per motivi di
studio e poi di lavoro e famiglia”.
La Croce Rossa è caratterizzata da sette principi
fondamentali: umanità, imparzialità, neutralità,
indipendenza, volontarietà, unità e universalità. Ritiene
che vengano rispettati allo stesso modo da tutti i volontari
e dipendenti dell’organizzazione?
“Io credo ci sia una differenza abissale tra essere
Volontario ed essere Dipendente. Con il Volontariato si
entra quasi in un mondo ovattato dove sai che si devono
rispettare questi sette principi (ma anche molti altri non
esplicati) dal punto di vista soprattutto etico. Quando
si diventa volontari di Croce Rossa, oltre a “sposare”
l’Associazione, si sposa anche un modus vivendi che
diventa poi intrinseco nella persona. Da Dipendente non si
hanno le identiche sensazioni, perché anche se si fa parte
sempre della stessa Associazione, comunque, volendo o
no, entrano in gioco anche altri interessi che esulano dal
puro volontariato”.
Cosa differenzia, secondo lei, un volontario da un
dipendente della Red Cross?
“La differenzia sostanziale credo sia lo stato d’animo con
cui si esplicano le attività. Con il Volontariato, l’unico
obiettivo è quello di sentirsi utile per gli altri e gioire nel
sapere di fare qualcosa che sai possa rendere felice la
persona che hai di fronte, o comunque, sei contento nel
sentirti utile per la società (ricordo che la Croce Rossa non
si occupa solo ed esclusivamente di assistenza sanitaria).
Nell’essere invece dipendente c’è, bene o male, sempre
un secondo fine, il guadagno e la carriera”.
Ci indichi, da un suo punto di vista, i progressi che la Croce
Rossa dovrebbe attuare per garantire un reale e costante
miglioramento del sistema sanitario italiano.
“La Croce Rossa, non essendo autonoma
sotto questo punto di vista, collabora
e segue le direttive dettate dal Servizio
Sanitario Nazionale, operando sempre
in base ai suoi principi fondamentali ma
garantendo comunque una linea comune
con il SSN, lì dove agisce in simbiosi con
esso perché, ripeto, la Croce Rossa esplica
la sua attività in molti campi e non solo in
quello sanitario”.
33
34
tutta la tua salute,
ora, in un’app!
Nasce MyMBA, l’app dedicata ai soci di Mutua
MBA, attraverso cui è possibile accedere a tutti
i servizi legati alla tua posizione o sussidio
direttamente dal tuo smartphone o tablet.
35
“Ho ancora paura di mio marito per il suo carattere violento
e aggressivo”. Chi non ricorda le parole di Antonietta
Gargiulo, la donna di Cisterna di Latina, alla vigilia della
strage compiuta per mano dell’ex marito, l’appuntato dei
carabinieri Luigi Capasso, nella quale sono morte, insieme al
padre che si è suicidato dopo ore di trattative con le forze
dell’ordine, le due figlie di 8 e 13 anni. Lei è miracolosamente
sopravvissuta. Una storia quella di Antonietta che ha
tenuto con il fiato sospeso l’opinione pubblica, l’ennesimo
femminicidio, dove gli autori nella maggior parte dei casi,
sono ex fidanzati o ex mariti.
I casi di femminicidio in Italia purtroppo dal 2016 sono
tornati a crescere, come testimoniano i fatti di cronaca che
confermano i dati dell’ultimo rapporto Eures sul femminicidio
in Italia: nei primi 10 mesi del 2017 sono stati 114 i casi, più di
uno ogni 3 giorni.
Dal 2000 al 2017, la quasi totalità degli autori di femminicidio
risulta essere un uomo (91,9%), a fronte dell’8,1% di donne.
La quota si attesta nel 2016 al 92%, salendo al 93% per
quelli in ambito familiare. Anche per quanto riguarda l’età
degli autori, come per le vittime, si registra un maggiore
coinvolgimento di over 64 (23,4% a fronte del 15,8%
mediamente rilevato negli ultimi 16 anni) e di 45-54enni
(24,1%). L’età media degli autori subisce nell’ultimo anno
un netto aumento, passando da 46,3 anni nel periodo 2000-
2016 a 50,3 nel 2016.
Il contesto prevalente del femminicidio si conferma quello
familiare e della sfera affettiva, ma in aumento anche gli altri
“femminicidi di prossimità” (nel contesto amicale, lavorativo,
di vicinato), saliti da 11 a 18 (+63,8%) tra 2015 e 2016.
Nell’ultimo anno, i femminicidi “di coppia” rappresentano il
64,3% di quelli familiari: è il tarlo del possesso e della gelosia
a spiegare la percentuale più elevata di omicidi di donne
(30,3% di quelli familiari), seguiti da quelli scaturiti da conflitti e
dissapori quotidiani (24,8%); in crescita (+58,3%) i femminicidi
legati all’ampia area del disagio, soprattutto della vittima
(19 casi, pari al 17,4% del totale, a fronte dei 12 del 2015), in
particolare nelle coppie anziane; nel 13,8% dei casi si rileva
un disturbo mentale dell’autore.
“I dati sulla violenza sulle donne sono insopportabili, così
come lo è sapere che ogni due giorni e mezzo una donna
viene uccisa. Uccisa per mano di chi in teoria dovrebbe
a cura di
Alessia Elem Quando il peggior
nemico è dentro casa.
Crescono i casi di femminicidio
35
36
amarla. È una scadenza macabra. Per
rendere meno spaventose queste cifre c’è
da fare molto e c’è da farlo insieme”. Questo
il commento dell’ex Presidente della Camera
dei Deputati. Laura Boldrini, nel corso del
seminario “Fermare la violenza sulle donne.
Insieme si può fare”, svoltosi a novembre
dello scorso anno presso il Senato della
Repubblica e organizzato dalla Commissione
parlamentare d’inchiesta sul femminicidio.
Il femminicidio è un problema di ordine culturale ed in
questo contesto l’informazione e la denuncia assumono un
ruolo primario, perché, come ha affermato l’ex presidente
del Senato, Pietro Grasso, “i media possono fare molto per
cambiare le cose, soprattutto nel modo attraverso il quale
raccontano queste vicende così delicate. La vita, la morte,
il dolore di queste donne è enorme e drammaticamente
reale”.
È quindi molto importante condividere le proprie esperienze
e non chiudersi nelle mura domestiche avvolti dalla
paura. Una testimonial d’eccezione è Gessica Notaro, la
giovane riminese sfigurata con l’acido il 10 gennaio del
2017 dall’ex fidanzato Jorge Edson Tavares e scampata
miracolosamente alla morte. Tavares è stato condannato
a dieci anni di carcere con il rito abbreviato. Gessica ce
l’ha fatta e oggi festeggia la sua “seconda vita”, come
ama definirla, raccontando la sua esperienza e dando così
forza e speranza a tutte quelle donne vittima di violenza.
Ha fatto parte del cast dell’ultima edizione dello show di Rai
Uno Ballando con le Stelle in coppia
con Stefano Oradei, ottenendo un
grande successo di pubblico non
solo per la sua determinazione ma
anche per la bravura nel ballo. La
forza dei media è sorprendente e può
cambiare le cose e questo l’hanno
capito bene gli avvocati di Tavares,
che hanno inviato una missiva
al Ministero della Giustizia e resa
pubblica, nella quale hanno scritto che “non si comprende
la necessità di così continue e pressanti divulgazioni da
parte della signora Notaro. No al processo mediatico, no
alla spettacolarizzazione dei casi, no alla riprovazione
dell’avvocato difensore, no all’anticipazione del giudizio
attraverso la gogna mediatica”. Non si è fatta attendere la
risposta di Gessica, appoggiata da tutto il team del talent
show: “Più mi dicono di tacere, più continuerò a parlare”.
L’ex miss riminese non si è fermata neanche di fronte alle
minacce degli stalker delle donne che lei sta aiutando, ma
non intende fermarsi: “vado avanti, mi devono ammazzare”.
Jessica va avanti nonostante tutto, nonostante la paura lei è
ha vinto contro la violenza. È riuscita a riprendersi in mano la
sua vita, ha ritrovato l’amore, è tornata a lavorare con i suoi
amati delfini grazie anche alla sua famiglia.
“Da qualche parte ho letto che una donna stalkerizzata è
una donna sola. Qualche volta è vero, non
sempre ovviamente. E non si tratta di essere
fisicamente sole, ma chiuse in se stesse,
pronte a difendere più il segreto di un amore
malato che la propria vita. È questo che
insegna il comportamento di Jessica Notaro.”
Il commento della psicologa-psicoterapeuta
Marinella Cozzolino, autore del libro “Il peggior
nemico, storie di amore difficili” uscito nel
2001, che propone un’analisi del fenomeno
dei delitti familiari e passionali.
“Nel lontano 2000 - ha spiegato la Cozzolino - ho fatto
una ricerca sui delitti familiari. Quella ricerca è diventata
un libro. Sono anche uno psicologo giuridico e le relazioni
affettive deviate e perverse sono il mio campo di studio. Ho
analizzato i 266 casi di delitti familiari di cui hanno trattato i
giornali da agosto 1999 a dicembre 2000. Un anno e mezzo.
I numeri non sono quelli di oggi ma non si possono definire
bassi. All’epoca le vittime di delitti familiari finivano sui giornali
solo se ci scappava il morto. Questi casi quindi si riferiscono
solo agli omicidi. Il reato di stalking già presente in America
da più di vent’anni all’epoca, in Italia ancora non esisteva.
Oggi abbiamo una legge sullo stalking ed anche circa 25
centri in Italia che si offrono per aiutare uomini in difficoltà
ed incapaci di gestire gelosia ossessiva ed abbandono”.
La fotografia da lei scattata nel 2000 può essere uguale o no
a quella di oggi?
“I dati che riporto si riferiscono a quel periodo, ma sono
perfettamente sovrapponibili a
quelli di oggi. Il legame tra vittima e
carnefice, l’arma usata per il delitto
e il movente, sono gli stessi. In diciotto
anni non è cambiato assolutamente
nulla, anzi la situazione è peggiorata
e il numero di vittime raddoppiato”.
Come da lei spiegato, a differenza
di oggi, in passato si finiva sui giornali
solo se ci scappava il morto. Cosa è cambiato negli anni?
“Anche in questo caso poco e nulla. Si parla di donne
abusate dai propri compagni solo quando muoiono
o rischiano la vita. Per il resto, segregazione, violenza
psicologica e fisica, percosse di qualsiasi natura ancora
troppo spesso non vengono denunciate. I fatti che
accadono, purtroppo, danno adito a questo. A distanza
di poco, pochissimo tempo, la donna che ha denunciato
ed il suo carnefice si ritrovano a vivere sullo stesso viale o
sullo stesso pianerottolo, non è ammissibile. Avere paura è
legittimo, non sentirsi tutelati è cronaca”.
Secondo l’ultimo rapporto Eures sul femminicidio in Italia
i numeri continuano a salire. Perché avvengono i delitti
familiari?
37
“Il delitto familiare è frutto della cultura maschilista del
possesso. Finché non ci saranno modi e forme di educazione
all’affettività diversi dal nulla che ci avvolge, la situazione
sarà sempre peggiore. Vanno educati gli uomini, ma anche
le donne, a non cadere in alcune trappole a difendersi
prima che sia troppo tardi. Non dimentichiamo che molte
di queste persone, i carnefici, sono affette da vere e proprie
patologie psichiatriche di cui nessuno si è mai occupato
primadell’episodioomicida.Vogliamodefinirementalmente
equilibrato chi uccide i figli per punire la moglie?”
Vittimaecarnefice.Chisono?Sullabasedellasuaesperienza
può spiegare qual è il meccanismo messo in atto?
“Vittima e carnefice sono due persone che a loro modo
si amano. O almeno così credono. È spesso, fin dall’inizio
della storia che si notano comportamenti anomali del
partner carnefice, che però vengono sottovalutati. Non
c’è sempre un comune denominatore. Ci sono uomini che
sono stati traditori seriali per tutta la durata della relazione
con la donna che poi hanno ucciso nel momento in cui lei
ha detto basta. In casi così non si può parlare di gelosia e
neanche di paura dell’abbandono. In altri casi abbiamo
soggetti assolutamente dipendenti dalla donna con cui
hanno una relazione. È come se lei fosse una parte del
loro valore. Valore che poi perdono quando lei decide di
andar via”.
È possibile, e come evitare di entrare nel tunnel pericoloso?
“L’omicidio o il tentato omicidio sono solo l’apice di
un’escalation di violenze e soprusi che appartengono al
quotidiano di tutte le donne ferite a morte dai mariti. Si va da
cose apparentemente leggere, come il divieto di vestire in
un certo modo, di frequentare le amiche, il divieto ad uscire
senza il marito, a guidare, a studiare, e potrei continuare.
Nulla di tutto questo appartiene all’amore, che è innanzitutto
riconoscimento dell’individualità dell’altro. Bisogna andare
via alla prima esperienza violenta, non aspettare che la
situazione degeneri, sperando invece che migliori”.
L’appello delle Istituzioni (le parole dell’ex Presidente della
Camera Boldrini) e dei media è rivolto anche agli uomini
ai quali si chiede di uscire dal silenzio perché la battaglia
contro il femminicidio si vince solo se si è tutti uniti. Cosa ne
pensa? Secondo lei è possibile riuscire ad aiutare gli uomini
a cambiare?
“Certo che è possibile. Paradossalmente bisognerebbe
dare voce a chi è in galera per questi reati. Cosa ci hanno
guadagnato?
Se proprio non riusciamo ad aiutare gli uomini a cambiare,
dobbiamo rendere le donne competenti rispetto ai rischi
che corrono in determinate situazioni e spingere lo Stato a
cambiare una legge inconsistente e quindi inutile”.
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ITALIA
38
Doll therapy, la terapia non
farmacologica per i pazienti
affetti da demenze
a cura di
Nicoletta Mele
Una bambola per stimolare l’empatia e le emozioni dei
pazienti affetti da demenze: è la Doll Therapy o “terapia
della bambola”, sperimentata in tutto il mondo, e in grado
di ridurre le alterazioni del comportamento.
Secondo diversi studi la terapia può essere utilizzata sia con
persone che hanno problemi del comportamento, sia in
situazioni di ansia, agitazione o, al contrario, depressione
ed apatia, per incentivare la relazione e per contenere gli
sbalzi d’umore.
Nasce in Svezia dall’idea di Britt Marie Egedius Jakobsson,
psicoterapeuta, che ha utilizzato la bambola per
stimolare l’empatia e le emozioni del proprio figlio affetto
da autismo. Da quel momento in poi, e con uno sviluppo
sempre maggiore, le bambole dedicate alla terapia
come le “Empathy Doll” diventano in tutta Europa un
oggetto simbolo nella relazione di aiuto. Esse verranno
usate per stimolare l’emotività e l’empatia di bambini
ed adulti e successivamente come elemento di cura e
terapia per i malati di demenza.
La popolazione italiana dal 2001 al 2011 ha subito un forte
incremento demografico, crescendo di più di due milioni
di unità, grazie al miglioramento della spettanza e della
qualità della vita. Secondo le stime dell’Istat (Rapporto
annuale 2017), se nel 2001 gli ultrasessantacinquenni
costituivano circa il 18% della popolazione, oggi
raggiungono il 22% del totale e nel 2043 oltrepasseranno
il 32%. L’aumento della spettanza di vita media ha
portato con sé una maggior diffusione delle patologie
associate all’invecchiamento. Tra queste, la diffusione
delle demenze si presenta come un fenomeno sociale
drammatico, che incide pesantemente sulla vita del
singolo malato e della sua rete familiare. L’Alzheimer’s
Disease International ha stimato a livello mondiale per il
2017 quasi 10 milioni di nuovi casi di demenza all’anno
(di cui circa 5 di Alzheimer), cioè un nuovo caso ogni
3,2 secondi. Si tratta di una crescita che porterà ad una
quota complessiva di 74,7 milioni di malati nel 2030 e 131,5
milioni nel 2050. I numeri di questa “epidemia” parlano
chiaro e si traducono in costi sia sociali che economici
38
39
estremamente rilevanti. I costi diretti
dell’assistenza in Italia ammontano ad oltre
11 miliardi di euro, di cui il 73% a carico delle
famiglie. Nel nostro Paese sono 1,2 milioni le
persone affette da demenza.
La limitata efficacia delle terapie
farmacologiche e la plasticità del cervello
umano sono le ragioni più importanti del
crescente interesse per le terapie non
farmacologiche come ad esempio la “Doll
Therapy” o “Terapia della Bambola”.
È un trattamento di tipo non farmacologico,
che viene applicato in area geriatrica per
il trattamento dei disturbi comportamentali
nella persona affetta da demenza.
Quali sono le sue azioni e quali i benefici per i pazienti
dementi degenti in RSA?
Health Online l’ha chiesto al Prof. Giancarlo Isaia,
Professore Ordinario di Medicina Interna e Geriatria
all’Università di Torino e Responsabile del reparto di
Geriatria e Malattie Metaboliche dell’Osso dell’ospedale
Molinette della Città della Salute di Torino, struttura che
ha attivato di recente la terapia.
“Le azioni della Doll Therapy - ha spiegato Isaia - possono
realizzarsi sia a livello preventivo che di cura, attraverso
il supporto alla salute che può derivare da alcuni
benefici dell’intervento organizzato sistematicamente e
professionalmente, quali:
• la modulazione di stati d’ansia e di agitazione e delle
loro manifestazioni sintomatiche come aggressività,
insonnia, apatia o wandering;
• la conseguente possibilità di ridurre sensibilmente il
ricorso ai sedativi;
• la riduzione di condizioni di apatia e depressione,
caratterizzate da disinteresse ed inattività totale;
• la capacità di rispondere ai bisogni emotivi-affettivi che,
malgrado il deterioramento cognitivo, rimangono presenti
ma non sono più soddisfatti come in età precedenti;
• la possibilità di ostacolare il deterioramento di alcune
abilità cognitive e di sostenere l’utilizzo di prassi motorie
che fungono da stimolo delle abilità residue.
A partire dall’osservazione delle potenzialità di questa
terapia, essa può essere considerata un metodo
integrativo, piuttosto che alternativo, ma anche uno
strumento di riabilitazione in grado di aiutare a
ridurre e compensare le compromissioni funzionali
degenerative”.
Per i pazienti dementi degenti in RSA, quali sono
stati i risultati raggiunti?
“Datipreliminaridimostranocheperquestipazienti
la terapia con la bambola è stata utile nel
ridurre i sintomi di aggressività ed il carico
infermieristico in pazienti lungodegenti, con
effetti migliori dell’approccio farmacologico
tradizionale nel sedare i pazienti agitati
senza avere effetti collaterali”.
È possibile anche ridurre l’uso di farmaci con
un miglioramento del quadro clinico del
paziente?
“A questo riguardo, occorre precisare che
attualmente purtroppo non esistono terapie
validate per bloccare o per invertire i processi
che portano al deterioramento del cervello
e che tutte le terapie farmacologiche
attualmente disponibili sono definite “sintomatiche”,
ossia hanno il compito di controllare e rallentare i sintomi
della malattia. Non si può escludere tuttavia che questo
approccio non farmacologico possa consentire di ridurre
i farmaci, non di rado gravati da effetti indesiderati”.
Come avviene il trattamento? Qual è il ruolo e quali sono
i parametri di scelta della bambola?
“Prima di tutto si effettua una valutazione clinica
preliminare e, sulla base di griglie di osservazione e della
conoscenza della biografia dei soggetti interessati,
vengono scelti i momenti più opportuni per consegnare
la bambola terapeutica, che viene riconosciuta come
un bambino e quindi accudita. Questo momento di
relazione con la bambola, che può durare anche un’ora,
è fonte di emozioni positive come la gioia, la tenerezza,
la sorpresa e può dare la sensazione di riappropriarsi di
un ruolo avuto in passato (prendersi cura) e di elementi
della propria storia di vita. Vengono scelti i pazienti che
presentino disturbi del comportamento come problemi
di agitazione durante le cure di base, l’insonnia notturna,
l’affaccendamento, il vagabondaggio e l’apatia”.
Da cosa nasce l’idea di applicare la Doll Therapy presso
la struttura da lei diretta?
“Gli Specialisti neurogeriatri della SC Geriatria e Malattie
Metaboliche dell’osso da me diretta si applicano da
moltissimi anni alla diagnosi ed alla terapia della demenza
e sono stati coinvolti in numerose sperimentazioni
cliniche. Essendo una struttura universitaria,
abbiamo ritenuto istituzionalmente doveroso
esplorare nuove strade nel trattamento di questi
difficili pazienti, ad integrazione dei trattamenti
farmacologici, anche per dare un “messaggio”
di tipo culturale di apertura verso nuovi approcci
non farmacologici nel trattamento di numerose
40
malattie croniche. Inoltre vorremmo aggiungere nostri
dati a quelli già presenti in letteratura apportando i risultati
scientifici della nostra esperienza”
Perché oggi sempre più spesso si utilizzano terapie non
farmacologiche come la Doll
Therapy?
“Proprio la sostanziale inefficacia
dei farmaci, non privi di effetti
collaterali, ha stimolato in tutto il
mondo approcci non farmacologici
come la Doll o la Pet Therapy, che
certamente non provocano effetti
secondari, sono di costo limitato,
hanno dato risultati incoraggianti
sia sui pazienti che sul personale curante e che pertanto
meritano di essere sperimentate”.
Quali sono i suoi consigli?
“Considerando lo sviluppo demografico del genere
umano, sempre più orientato ad un incremento nel
numero di persone anziane, molte delle quali soffriranno
di disturbi cognitivi, ritengo anzitutto importante che le
Istituzioni si occupino maggiormente di questi malati,
fornendo supporto di tipo socio-assistenziale sia al
paziente sia alla famiglia, ed
addestrando i caregiver all’uso
di terapie alternative come
appunto la Doll Therpy. Spesso
infatti la demenza è definita
anche “malattia della famiglia”,
perché, pur interessando a
livello organico il paziente, i suoi
effetti negativi colpiscono, e
colpiscono duramente, anche
coloro che fanno parte della vita
quotidiana del malato. Inoltre è importante intervenire
sull’ambiente (“milieu therapy”), adattando le strutture
ambientali alle limitazioni fisiche e psichiche del paziente,
per renderlo compatibile con le sue capacità, garantirgli
sicurezza e aiutandolo così a mantenere il suo miglior
grado funzionale possibile.”
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  • 1. Il periodico di informazione sulla Sanità Integrativa HEALTH marzo/aprile 2018 - N°24 in evidenza Aaa cercasi medico di famiglia. Nel 2023, per effetto dei pensionamenti, cesseranno di lavorare 45mila medici per i qualinoncorrisponderannoaltrettantenuoveassunzioni solidarietà zero farmaci attualità Citrus – L’Orto Italiano e Fondazione Umberto Veronesi insieme per “I Limoni per la Ricerca” Cosa significa essere infermiere volontario della Croce Rossa? Doll therapy, la terapia non farmacologica per i pazienti affetti da demenze Crescono i casi di femminicidio in Italia Siglato 1° accordo tra Sanità Militare e Sistema Sanitario Regionale
  • 2.
  • 3. Health Online periodico bimestrale di informazione sulla Sanità Integrativa Anno 5° marzo/aprile 2018 - N°24 Direttore responsabile Nicoletta Mele Direttore editoriale Ing. Roberto Anzanello Comitato di redazione Alessandro Brigato Mariachiara Manopulo Giulia Riganelli Hanno collaborato a questo numero: Beatrice Casella Giuseppe Iannone Alessandro Notarnicola Silvia Terracciano Direzione e Proprietà Health Italia Via di Santa Cornelia, 9 00060 - Formello (RM) info@healthonline.it Tutti i diritti sono riservati. Nessuna parte può essere riprodotta in alcun modo senza permesso scritto del direttore editoriale. Articoli, notizie e recensioni firmati o siglati esprimono soltanto l’opinione dell’autore e comportano di conseguenza esclusivamente la sua responsabilità diretta. iscritto presso il Registro Stampa del Tribunale di Tivoli n. 2/2016 - diffusione telematica n.3/2016 - diffusione cartacea 9 maggio 2016 ImPaginazione e grafica Giulia Riganelli immagini © Fotolia Tiratura 103.054 copie Visita anche il sito www.healthonline.it potrai scaricare la versione digitale di questo numero e di quelli precedenti! E se non vuoi perderti neanche una delle prossime uscite contattaci via email a info@healthonline.it e richiedi l’abbonamento gratuito alla rivista, sarà nostra premura inviarti via web ogni uscita! Per la tua pubblicità su Health Online contatta mkt@healthonline.it HEALTH
  • 4. Sulla stampa nazionale sempre più spesso si leggono argomentazioni diffuse sull’opportunità di sostenere la sanità integrativa, si confonde la sanità integrativa con quella privata, si ipotizzano modelli economici di supporto alla sanità pubblica in realtà insostenibili, creando di fatto una confusione nella quale il cittadino ha serie difficoltà a comprendere e ad orientarsi. Come sempre dalle colonne di Health Online riteniamo opportuno fare chiarezza, esplicitando concetti semplici e suffragati da elementifacilmentemisurabiliperconsentireatuttidicomprendere quale sia il modo migliore per gestire il proprio diritto alla salute, ricordiamo sancito dalla nostra Costituzione. Se schematizziamo il nostro sistema sanitario con un modello a tre pilastri è però facile comprendere quali siano le logiche di base e quali le strade da seguire. Nel primo pilastro, la sanità pubblica, è indispensabile considerare chelaspesaècaratterizzatadaelementichenonsonocomprimibili se non a discapito della qualità della vita di tutti i cittadini, ove infatti l’invecchiamento della popolazione, l’ampliamento della scienza medica e lo sviluppo della tecnologia sanitaria sono tutti aspetti che, se migliorati costantemente, consentono, in proporzione quasi diretta, un costante miglioramento della nostra qualità di vita. Ma nel contempo tali elementi spingono tutti in direzione di un aumento della spesa sanitaria pubblica, perché l’invecchiamento della popolazione determina un aumento del numero degli anziani che hanno maggiore necessità sanitarie, l’ampliamento della scienza medica richiede sempre maggiori risorse economiche per la ricerca e l’organizzazione di nuovi approcci medici, lo sviluppo della tecnologia richiede un costante ed imponente investimento in strumenti medici sempre più precisi e sofisticati. È semplice quindi dedurre che nessuno Stato, neanche il più ricco al mondo, potrà sostenere la capacita di garantire assistenza sanitaria a tutti i suoi cittadini in qualsiasi forma o protocollo, da cui ne discende che la spese sanitaria pubblica dovrà necessariamente essere orientata al sostegno delle fasce più deboli della popolazione. Ma qualcuno commenta che allora molti per la sanità pagherebbero due volte, la prima con gli oneri sul reddito e la seconda contribuendo a qualche protezione integrativa e/o privata, ma dobbiamo comprendere bene che così non è, in quanto tutti coloro che hanno possibilità reddituali da un certo valore in su, in realtà, contribuiscono con gli oneri sanitari sui loro redditi a sostenere la protezione sanitaria delle fasce più deboli, provvedendo poi con altre risorse economiche proprie, correttamente sostenute da vantaggi fiscali come già è, a provvedere direttamente per se stessi e le proprie famiglie. Per provvedere a sé stessi ed alle proprie famiglie la soluzione non è che la sanità integrativa, cioè quel tipo si assistenza sanitaria basata sul concetto di mutualità applicato fin dai tempi antichi, quando ancora non esisteva nessun tipo di assistenza sanitaria pubblica, quindi associandosi agli enti abilitati a gestire tale modello che sono i Fondi Sanitari, le Società Generali di Mutuo Soccorso e le Casse di Assistenza Sanitaria. Tali enti, ricordiamo sono senza scopo di lucro, quindi utilizzano le risorse economiche versate dai cittadini che si associano, ridistribuendole su principi mutualistici a quelli tra loro, e può capitare a chiunque, che sono colpiti da problematiche sanitarie. Quindi, chi afferma che la sanità integrativa, il nostro secondo pilastro, distoglie risorse dalla sanità pubblica fa un errore marchiano, perché in realtà la sanità integrativa utilizza, applicando il principio della mutualità, le risorse economiche che comunque i cittadini già spendono di tasca propria - le ultime stime dicono che nel nostro Paese tale somma raggiunge i 40 miliardi di euro - per fornire servizi sanitari che il sistema pubblico non è in grado di garantire nei tempi e nei modi, in quanto deve dedicarsi alle fasce più deboli della popolazione. E’ anche necessario chiarire che la sanità integrativa, gestita secondi i principi mutualistici da enti senza scopo di lucro, nulla ha a che vedere con la sanità privata, gestita da società per azioni che hanno come obbiettivo la redditività, che costituisce il terzo pilastro del nostro modello garantendo, in questo caso correttamente senza vantaggi fiscali, alle fasce a più alto reddito la possibilità di godere di prestazioni a pagamento secondo i loro desiderata in termini di tempistiche e modalità di erogazione del servizio. In sintesi il modello sanitario italiano, che per diverso tempo è stato un esempio mondiale in realtà lo è rimasto anche oggi, perché grazie agli interventi legislativi e fiscali operati negli ultimi trent’anni consente, e dovrà consentirlo sempre di più, con il pilastro pubblico l’accesso alle cure alle fasce più deboli della popolazione, alla cui spesa economica contribuiscono tutti i cittadini che lavorano con una piccola parte del loro reddito, secondo un corretto principio di equità sociale. Ma nel contempo il nostro sistema consente anche a chi ha un reddito superiore ad importi definiti di avvalersi del principio mutualistico, gestito da enti senza scopo di lucro, godendo di opportuni vantaggi fiscali ed evitando di appesantire gli interventi ed i costi delle strutture pubbliche, quindi contribuendo, in questo modo, a garantirsi le prestazioni necessarie per se e le proprie famiglie, operando contestualmente una migliore razionalizzazione della sanità pubblica. Infine, il sistema permette, inoltre, a chi ha redditi elevati di avvalersi, a sua scelta di coperture sanitarie e prestazioni privatistiche a pagamento, senza gravare in alcun modo nei sui costi dello Stato dedicati al primo pilastro, nè sul principio mutualistico gestito dal secondo pilastro. Con chiarezza dobbiamo dire concludendo che quindi, a nostro avviso, questo è il modello corretto e questa è la strada da sostenere, evitando speculazioni verbali e dietrologie sociali, per dedicare invece gli sforzi di tutti ad efficientare il sistema pubblico, incentivare e diffondere il sistema mutualistico integrativo, consentire a chi può di scegliere il sistema privato senza più confusioni tra sanità pubblica, sanità integrativa e sanità privata. A cura di Roberto Anzanello editoriale Tra sanità pubblica, sanità integrativa e sanità privata
  • 5. 22 13 16 28 Cromoterapia: la terapia dei colori Disturbo d’ansia generlizzato Aaa cercasi medico di famiglia: in pensione circa 15 mila medici di base…chi li sostituirà? in evidenza 19 I limoni per la solidarietà I tumori cerebrali del bambino e dell’adolescente: una sfida aperta 08 Prevenzione tumore della pelle: mappatura e monitoraggio dei nei 32 Cosa significa essere infermiere volontario della Croce Rossa?
  • 6. 35 Quando il peggior nemico è dentro casa. Crescono i casi di femminicidio 38 42 44 46 Doll therapy, la terapia non farmacologica per i pazienti affetti da demenze Progressi innovativi per l’odontoiatria con l’Implantologia Computer Guidata I 5 esercizi Tibetani: cosa sono e come si praticano? In Romagna siglato primo accordo tra Sanità Militare e Sistema Sanitario Regionale
  • 7. Health tips Sapevi che... Il modo migliore per migliorare la salute dell’intestino è bere molta acqua. Per favorire una buona funzione intestinale, infatti, è importante aiutare il transito del cibo mantenendo le pareti intestinali idratate e quindi più “scivolose”. Meglio evitare le bevande zuccherate, sì invece a tisane e succhi freschi. ll tè matcha è spesso contenuto nelle creme schiarenti e antirughe, perché è uno scrigno di antiossidanti, soprattutto di bioflavonoidi, di polifenoli e di vitamina C. Un mix che uniforma il colorito e ha un effetto rimpolpante e liftante poiché stimola il collagene e ne contrasta la degradazione. Il ping pong richiede per quasi tutto il tempo una posizione di semi-squat, che fa lavorare molto le gambe e rassoda i glutei. Inoltre, gli scatti continui aiutano a sviluppare riflessi e coordinazione. In una partita di 75 minuti di medio livello i velocissimi scambi fanno bruciare fino a 400 calorie. Per combattere l’ansia e le paure, anche ingiustificate, arreda la camera con oggetti di colore turchese o celeste acqua poiché sono calmanti e aiutano ad attenuare gli stati di inquietudine. Chi soffre di reflusso deve evitare cibi grassi e piccanti, formaggi a pasta molle, pomodori, cipolle, agrumi, frutta secca, cioccolato, bibite gassate, tè, caffè, vino e alcolici in genere. Via libera al limone che, pur essendo un agrume, viene considerato un alcalinizzante, utile per compensare l’acidosi. L’olio di semi di lino è ricco di acidi grassi essenziali del gruppo Omega 3, 6 e 9. Aiuta ad avere e mantenere una pelle liscia, setosa e ben nutrita. Può essere usato come anti age per il viso, come ristrutturante del contorno occhi e come elasticizzante e nutriente per il corpo. La mela è uno dei frutti con il maggior effetto antiossidante, grazie alla presenza di catechina e quercitina, contenute soprattutto nella buccia. Si consiglia quindi di acquistare mele biologiche, meglio se verdi (perché meno ricche di zuccheri) e consumarle senza sbucciarle. Andare in bicicletta regolarmente migliora la salute del cuore e riduce il rischio di essere esposti a patologie cardiovascolari come ictus, ipertensione e infarto. Secondo uno studio inglese, chi usa la bici per gli spostamenti quotidiani beneficia di una diminuzione del rischio di sviluppare patologie cardiovascolari pari all’11%.
  • 8. 8 Prevenzione tumore della pelle: mappatura e monitoraggio dei nei a cura di Nicoletta Mele Tutti ne abbiamo almeno uno sul corpo, in alcuni casi sono visibili in altri no, sono di varie dimensioni, solitamente di colore scuro: sono i nei, chiamati anche nevi, quelle macchioline antiestetiche sulla pelle che necessitano di un controllo periodico perché c’è il rischio che possano diventare tumori della pelle particolarmente aggressivi, come il melanoma. Il melanoma cutaneo è un tumore che deriva dalla trasformazione tumorale dei melanociti, alcune delle cellule che formano la pelle, e colpisce soprattutto attorno ai 45-50 anni, anche se l’età media alla diagnosi si è abbassata negli ultimi decenni. In Italia i dati AIRTUM (Associazione italiana registri tumori) parlano di circa 13 casi ogni 100.000 persone, con una stima che si aggira attorno a 3.150 nuovi casi ogni anno tra gli uomini e 2.850 tra le donne. Inoltre, l’incidenza è in continua crescita ed è addirittura raddoppiata negli ultimi 10 anni. È opportuno ricordare che il melanoma cutaneo rappresenta solo una piccola percentuale (circa il 5%) di tutti i tumori che colpiscono la pelle. Dal punto di vista clinico, si distinguono 4 tipologie di melanoma cutaneo: melanoma a diffusione superficiale (il più comune, rappresenta circa 70% di tutti i melanomi cutanei), lentigo maligna melanoma, melanoma lentigginoso acrale e melanoma nodulare (il più aggressivo, rappresenta circa il 10-15% dei melanomi cutanei).
  • 9. 9 A differenza dei primi tre tipi, che hanno inizialmente una crescita superficiale, il melanoma nodulare è più aggressivo e invade il tessuto in profondità sin dalle sue prime fasi. I melanomi cutanei originano su una cute integra o da nevi preesistenti, che sono presenti fin dalla nascita o dalla prima infanzia (congeniti) o compaiono durante il corso della vita (acquisiti). (Fonte AIRC) È quindi molto importante, nel corso della vita, sottoporsi a dei controlli periodici dei nei per ridurre il rischio di sviluppare tumori della pelle. Perché il neo può trasformarsi in melanoma? A cosa bisogna prestare attenzione? Quali sono gli esami di screening e ogni quanto tempo devono essere eseguiti? Chi sono i soggetti più a rischio? Health Online l’ha chiesto al dott. Stefano Veglio Specialista in Dermatologia presso Aosta e Dubai. Dott. Veglio, cosa sono i nei? Può spiegare da cosa è formata la pelle e qual è il ruolo dei melanociti? “I nei sono costituiti da un’aggregazione di particolari melanociti, cellule che producono la melanina. Sono posizionati tra i due strati più superficiali della pelle, epidermide e derma, fondamentali rispettivamente per proteggere e dare struttura a questo nostro prezioso rivestimento. Queste cellule servono per produrre il pigmento che ci protegge dagli effetti nocivi dei raggi ultravioletti. Il motivo perché nei nevi si aggregano a formare le macchie che conosciamo è del tutto sconosciuto”. Ci sono vari tipi di nei e nel tempo la medicina li ha tipicizzati e classificati perché da loro può nascere una forma di tumore aggressivo: il melanoma cutaneo. Quali sono le cause? “Come per la maggior parte dei tumori le cause rimangono sconosciute, ma possiamo dare comunque un ruolo importante alla p r e d i s p o s i z i o n e genetica ed al numero di scottature subite in età giovanile”. Quali sono le caratteristiche del neo da non trascurare? C’è un tipo di neo che è più predisposto a diventare tumore? “Conta molto il cambiamento di un neo o la comparsa di un neo nuovo dopo i 25 anni. Non è facile definire con esattezza che tipo di aspetto può avere un neo maligno ma sicuramente una modifica di una lesione preesistente o un neo di recente comparsa deve creare un sospetto. Sicuramente più a rischio risultano i nei piatti e quelli già presenti alla nascita”. Le immagini rappresentano dei melanomi, le può spiegare? “Le immagini rappresentano effettivamente esempi classici di melanoma: nei piatti, lievemente irregolari nei bordi e con un colore non omogeneo. Ho scelto queste foto perché a volte nei di questo tipo vengono effettivamente sottovalutati dai pazienti, più attirati invece da nei sporgenti palpabili al tatto. Riuscire a diagnosticare un melanoma in questa fase consente in molti casi di salvare la vita al paziente: il melanoma piatto è in genere più sottile, mentre quando questo tumore comincia ad ispessirsi molto spesso si espande anche in profondità, con rischio altissimo di metastasi agli organi interni”. Non è la sede, ma il tipo di neo che fa la differenza. È così? “È corretto, ma non bisogna dimenticare che i nei sulle mani e sui piedi sono più a rischio di sviluppare tumori maggiormente aggressivi. Molte volte si è preoccupati per nei alle pieghe o in zone di sfregamento, ma questi aspetti sono in generale poco importanti. Non è infatti il traumatismo che fa trasformare un neo da benigno in maligno: è necessario osservare le modifiche di un neo in colore, forma e dimensioni”. La bruttezza estetica di un neo può essere oppure no un fattore d’allarme? “Assolutamente no. La maggior parte delle persone si preoccupano di nei in rilievo esteticamente brutti ma di fatto meno pericolosi. Ovviamente un melanoma ignorato e trascurato dà luogo ad una lesione sicuramente brutta da vedere”.
  • 10. 10 da melanoma. La genetica costituisce un aspetto da non sottovalutare: sono ormai possibili sistemi nuovi per indagare la predisposizione genetica personale verso molti tipi di tumore, compreso il melanoma, che probabilmente diventeranno nei prossimi anni strumento fondamentale di prevenzione”. Un altro fattore di prevenzione importante è una moderata esposizione al sole… “La luce solare come sappiamo dona benessere e aiuta a calcificare le ossa: si tratta soprattutto di evitare scottature ed esposizioni sconsiderate, soprattutto nei primi 20 anni di vita. La nazione che a livello mondiale presenta la più alta incidenza di melanoma è l’Australia, popolata da molti individui di razza celtica che sono stati esposti a pesanti irradiazioni solari in un clima tropicale sicuramente inadatto alla propria carnagione. Per il resto bisogna ricordare che il sole interviene più pesantemente nello sviluppo di altri tipi di tumori cutanei, come i carcinomi cutanei”. Secondo un vecchio luogo comune “il neo non si tocca”, invece oggi spesso si consiglia di rimuovere un neo considerato a rischio. È la tecnica chirurgica quella più indicata? “Sicuramente sì. Asportare chirurgicamente un neo con bisturi e punti di sutura non espone assolutamente a rischi di proliferazione tumorale. I laser invece, per quanto ora siano sofisticati, non garantiscono assolutamente un’asportazione completa del neo ed espongono il paziente a recidive della lesione tanto inestetiche quanto fonte di preoccupazione relativa alla natura della ricrescita”. Prevenzione e monitoraggio, queste sono le principali azioni per evitare dei rischi per la salute. Ognuno di noi ha almeno un neo sul proprio corpo e quelli visibili soprattutto sul viso, per qualcuno possono rappresentare un disagio. Non per il celebre conduttore e giornalista di Rai Uno Bruno Vespa che sembra ne abbia in totale 25, come dichiarato scherzosamente in un’intervista, aggiungendo che ogni anno si sottopone alla mappatura della sua faccia e fotografa i nei, quelle macchioline antiestetiche… ma non per tutti! Parliamo di prevenzione. Il neo di per sé è innocuo, ma può diventare un tumore. La presenza di nei non è un allarme, ma occorre comunque prestare attenzione. In che modo è possibile fare prevenzione? “È consigliabile sottoporsi ad una visita dermatologica una volta all’anno, con controlli all’occorrenza più frequenti in caso di lesioni nuove o in crescita. Per persone con molti nei può essere indicata la cosiddetta “mappatura”, che corrisponde poi ad una fotografia di tutte le aree del corpo utile per capire se qualche lesione si modifica o compare “ex-novo”. È una procedura del tutto indolore, molto utile in casi selezionati. Potrebbe anche essere semplice effettuare foto con l’aiuto di un famigliare: stampare e archiviate possono servire per semplici controlli autogestiti che risultano utili per capire se qualcosa si fosse modificato rispetto al passato”. È importante rivolgersi sempre al dermatologo, ma è altrettanto importante l’autocontrollo. Esiste l’acronimo ABCDE, in cosa consiste? Si riferisce alle caratteristiche di un neo sospetto: A: Asimmetria della lesione B: Bordi spesso frastagliati o irregolari C: Colore irregolare o nero pece D: Dimensioni più grandi rispetto agli altri nei E: Evoluzione, ovvero le modifiche nel tempo della lesione. Bisogna ricordare che difficilmente sono presenti nel melanoma contemporaneamente tutte queste caratteristiche: basta notarne anche solo una ed è necessario eseguire un controllo dermatologico. Il parere conclusivo sulla benignità della lesione spetta ovviamente allo specialista anche utilizzando un prezioso sistema di indagine, la dermatoscopia, una lente che consente di vedere il neo nei suoi aspetti più profondi e che fornisce strumenti diagnostici ormai considerati indispensabili per la diagnosi di melanoma”. Tutti dobbiamo sottoporci regolarmente al controllo dei nei, a che età è consigliato il primo consulto? E chi sono i soggetti più a rischio? C’è una predisposizione genetica? “In genere si consigliano i primi controlli dopo l’adolescenza. Sicuramente più a rischio sono le persone con la pelle chiara, soprattutto se hanno subito scottature in età giovanile, e quelle con familiari colpiti 10
  • 11. Presentano Diventa un associato e cambia adesso il tuo futuro, richiedi la consulenza di un promotore! www.garanziasalute.it garanziasalute@radioradio.it Il Fondo Garanzia Salute nasce nell’ottica di offrire un servizio in linea con i principi cardine cui si ispira una Società di Mutuo Soccorso, la solidarietà e la cooperazione, che riconoscono nella sanità integrativa l’unica forma di assistenza concreta e sostenibile che opera senza scopo di lucro. La volontà di diffondere il più possibile il principio di prevenzione ha spinto Mutua MBA ad affidarsi a Radio Radio, emittente radiofonica romana che sin dalla sua nascita si è caratterizzata come talk radio, ed elaborare per gli ascoltatori un’offerta di 9 sussidi: Pop, Rock, Techno e Dance dedicati agli under 65, Jazz, Classica, Blues, Country e Folk per gli over 65. La sanità d’eccellenza per le famiglie di Radio Radio!
  • 12. 12 SBM è una società di ricerca italiana all’avanguardia con la finalità chiara di offrire il proprio patrimonio di studi per realizzare una vera rivoluzione scientifico-culturale, attraverso la diffusione di soluzioni di comprovata efficacia. I prodotti SBM nascono da una rigorosa ricerca, documentata da lavori scientifici e da brevetti nazionali e internazionali, e sono sviluppati con l’idea di trasmettere al consumatore il valore e l’originalità di un approccio che guarda alla cura della salute prima che della malattia. SBM mette a frutto la scienza, traducendola in implicazioni praticheperilbenecomune,ovverotrasformandoevalorizzando un solido patrimonio scientifico nella produzione e nella diffusione di soluzioni frutto esclusivo della ricerca. SBM è una società del gruppo Health Italia S.p.A., una delle più grandi realtà attive nella promozione della salute e nel panorama della sanità integrativa italiana. SBM s.r.l. Sede legale: via Domenico Tardini, 35 - 00167 - Roma Sede operativa: via di Santa Cornelia, 9 - 00060 - Formello È un integratore alimentare costituito da una miscela di collagene parzialmente idrolizzato, calcio e vitamina D che contribuiscono alla normale funzione muscolare e al mantenimento di ossa normali. E’ indicato nello sport e in tutte le situazioni in cui la norma le dieta non riesce a compensare le perdite degli elementi nutritivi essenziali. (Brevetto: IT1299131) È un integratore alimentare contenente 7 g di collagene parzialmen- te idrolizzato e prontamente assimilabile. Il collagene è fisiologica- mente importante per l’elasticità della pelle,la consistenza dei capelli e delle unghie. (Brevetti: IT1221757; US4749684; IT1299131) CHERASANcu ® È un integratore alimentare a base di collagene idrolizzato e calcio, utile per la normale funzione degli enzimi e dei processi digestivi. Il mantenimento dei livelli fisiologici di acidità dello stomaco è indispensabile per la corretta digestione e per l’assorbimento dei principi nutritivi. (Brevetti: 15425001; PCT/EP20160/050275; US15/542336) È un gel ad uso cutaneo a base di collagene idrolizzato che forma una barrierabiologicacheproteggelacutedagliagentinocivielarigenera. Svolge un’azione preventiva e di controllo nei confronti dei danni cutanei causati da agenti esterni. (Brevetti: IT1379327; WO2009083768) RESPIRELL® È uno spray nasale a base di collagene idrolizzato che protegge le mucose umettandole e liberando gli aminoacidi necessari per la rigenerazione del tessuto sofferente. Esercita un effetto barriera da allergeni e altri agenti irritanti. Non contiene cortisonici, vasocostrit- tori e antistaminici. (Brevetti: IT1379327; WO2009083768) BONARTROoa® GADIREL® YTTIOGEL® È un integratore alimentare a base di collagene idrolizzato, calcio, vitamina C e xilitolo. Nutre, protegge e riequilibra il cavo orale rispet- tandone l’omeostasi fisiologica. Contribuisce alla normale funzione delle gengive e al mantenimento di denti sani. (Brevetti: 15425001; PCT/EP20160/050275; US15/542336) GADIREL oro® È un dispositivo medico a base di collagene idrolizzato che protegge e nutre l’unghia. Applicato localmente ripara l’unghia dai danni subiti e la preserva dagli attacchi esterni, mediante una barriera che favorisce la sua rigenerazione. (Brevetti: IT1379327; WO2009083768) CHERASANcu unghie ® Acquist www.farmacon I prodotti SBM sono frutto SBM s Sede leg via Domenico 00167 R Sede ope via di Santa C 00060 Fo SBM è una Società del Gru Quotata al mercat SCIENZA SECONDO NATURA
  • 13. 13 a cura di Giuseppe Iannone Disturbo d’ansia generlizzato Ansia o ansie? Esistono diverse forme di ansia, alcune patologiche altre no. All’interno dei disturbi d’ansia distinguiamo tra una prima variante che definiamo ansia generalizzata (di cui parleremo in questo articolo) e forme di ansia panica e di ansia fobica (di cui tratteremo nei prossimi numeri di Health Online). Inoltre l’ansia è un sintomo presente anche in altre patologie, tra cui la depressione, le psicosi, il disturbo bipolare, il disturbo da stress post-traumatico e in alcune disfunzioni sessuali. Cosa si intende per disturbo d’ansia generalizzato? L’ansia generalizzata è un disturbo d’ansia contrassegnato dalla presenza di un’allerta costante che oscura ogni esperienza, ogni incontro, ogni possibilità, dei quali si tende a vederne soltanto gli aspetti minacciosi. Il focus della preoccupazione non è limitato a una situazione o a un oggetto particolare ma tende a spostarsi da un oggetto all’altro e investe sia grandi incombenze (responsabilità lavorative, alla salute dei familiari, ecc.) che piccole (paura di far tardi ad un appuntamento, svolgere le faccende domestiche, ecc.). Le preoccupazioni possono riguardare sia il futuro che gli eventi passati. I principali criteri diagnostici di un disturbo d’ansia generalizzato sono i seguenti: a) ansia e preoccupazione eccessive, presenti per la maggior parte del giorno, per almeno 6 mesi, e che investono diverse attività o eventi; b) difficoltà nel controllare la preoccupazione; c) almeno 3 dei seguenti sintomi: irrequietezza, affaticamento, difficoltà a concentrarsi, irritabilità, tensione muscolare, alterazioni del sonno; d) disagio o compromissione del funzionamento in ambito sociale, lavorativo, scolastico, ecc. Quali sono i principali fattori di rischio? Esistono fattori di rischio temperamentali (come l’essere eccessivamente inibiti, la tendenza a evitare il pericolo e l’affettività negativa), fattori di rischio ambientali (avversità infantili o l’iperprotettività genitoriale, sebbene, va specificato, queste condizioni non sono specifiche, né sufficienti o necessarie, per porre diagnosi), e fattori genetici non specifici. 13
  • 14. 1414 L’ansia può manifestarsi nei bambini? Sì, certo. Faccio una breve inciso. Il ruolo dell’amigdala nei disturbi d’ansia è stato ampiamente studiato. Oggi sappiamo che questa struttura a forma di mandorla, situata nel lobo temporale, è implicata nella gestione delle emozioni, e in particolare della paura. Quando uno stimolo viene percepito come pericoloso, l’amigdala invia segnali di emergenza alle altre parti del cervello, stimola il rilascio di ormoni, mobilita i centri del movimento, attiva il sistema cardiovascolare, i muscoli e l’intestino, permettendoci di fuggire o di attaccare. Si è visto che l’amigdala è attiva sin dalla nascita, ben prima delle altre strutture deputate ad inibirne la sua attività. Proprio per questo motivo i neonati non sono in condizioni di gestire sensazioni di paura o angoscia. Il genitore può agire per calmare il neonato in due modi: calmandolo nel momento in cui il neonato sperimenta la paura (questo favorisce lo sviluppo delle competenze di regolazione emotiva) o allontanandolo da un’eccessiva e costante esposizione alla paura (in questo modo il neonato ha minori probabilità di sviluppare un’ipersensibilità alla paura). Un’eccessiva attività dell’amigdala invece è correlata a ipervigilanza e sopravvalutazione del pericolo, fenomeni che si manifestano in chi soffre di un disturbo d’ansia. Fortunatamente interventi psicoterapeutici sono in grado di diminuire l’attività dell’amigdala e a ridurre così la frequenza e l’intensità della paura. Quanto è comune il disturbo d’ansia generalizzato? L’età media di insorgenza del disturbo d’ansia generalizzato è di 30 anni e le donne sono 2 volte più a rischio rispetto agli uomini di sviluppare il disturbo. Un recente studio epidemiologico sulla prevalenza dei disturbi mentali promosso dall’Oms e dall’Università di Harvard ha riscontrato una prevalenza 2% circa nel campione studiato in Italia. Va anche detto che il tasso di diagnosi errate nel caso del GAD è davvero alta e ciò credo sia dovuto in parte all’erronea interpretazione di alcuni sintomi (tremori, sudorazione, nausea, diarrea, tachicardia, dispnea, vertigini, ecc.) che spesso non vengono ricondotti ad un disturbo d’ansia ma a un disturbo fisico, in parte all’elevata comorbilità tra l’ansia generalizzata e la depressione o l’uso di sostanze. Non dovrebbe invece essere posta diagnosi di disturbo d’ansia generalizzato nel caso in cui i sintomi siano ascrivibili ad una condizione medica (come l’iperteroidismo), a sostanze/farmaci, o ad altri disturbi (come il disturbo d’ansia sociale, il disturbo ossessivo-compulsivo il disturbo da stress post-traumatico o i disturbi depressivi, bipolari o psicotici). L’ansia è sempre negativa? È possibile distinguere l’ansia “normale” da quella patologica? No, l’ansia non è sempre negativa. Anzi, una certa dose di ansia e apprensività di fronte a un evento inusuale e pericoloso è sicuramente funzionale alla nostra sopravvivenza. Tuttavia, nel caso del disturbo d’ansia generalizzato le preoccupazioni diventano eccessive, pervasive, angoscianti, hanno maggiore durata, si verificano spesso in assenza di fattori scatenanti e interferiscono con il funzionamento lavorativo e sociale. L’ansia patologica si accompagna a sintomi fisici (come irrequietezza, tensione muscolare, sentirsi con i nervi a fior di pelle, tremori, sudorazione, nausea, diarrea), sintomi di iperattivazione vegetativa (aumento del battito cardiaco, difficoltà di respirazione, vertigini), affaticamento, difficoltà a concentrarsi, vuoti di memoria, irritabilità e alterazioni del sonno. Al contrario, la preoccupazione non patologica non presenta tali caratteristiche. Quali sono ad oggi gli interventi più efficaci per curare il disturbo d’ansia generalizzato? Se non trattata l’ansia generalizzata può avere durata cronica. Una buona psicoterapia è efficace tanto quanto i farmaci, con il vantaggio che il paziente non esperisce alcun effetto collaterale dalla psicoterapia. Sebbene il trattamento farmacologico sia piuttosto efficace nel ridurre i sintomi Va aggiunto che gli antidepressivi o le benzodiazepine non sono efficaci nel lungo termine: infatti, il rischio di una ricaduta è maggiore per chi assume farmaci rispetto a chi intraprende un percorso psicoterapico. Nel caso delle benzodiazepine, poi, occorre considerare che provocano dipendenza e che quindi dovrebbero essere usate solo per brevissimi periodi. Un intervento psicologico è indispensabile per riuscire a modificare i modi di essere patologici della persona e per aiutarla a gestire le preoccupazioni. La storia di vita di una persona, così come la sua personalità, hanno infatti un’importanza essenziale nella comprensione delle radici dell’ansia stessa. L’attività fisica è un discreto coadiuvante nel processo di guarigione. Naturalmente si può prevedere una combinazione degli interventi sopra citati. Ad ogni modo è opportuno che ogni intervento sia personalizzato e cucito addosso a ciascun paziente, proprio come si farebbe con un abito sartoriale.
  • 15. 15 Nell’Health Point la tua salute è sempre sotto controllo, in modo veloce, innovativo e vicino a te! L’Health Point è un centro servizi di telemedicina che, con l’assistenza di personale infermieristico qualificato, propone oltre 40 servizi sia localmente che in televisita con un medico specialista. Il punto sulla tua salute Scopri l’Health Point più vicino a te su www.healthpoint.srl Health Point S.r.l. - Gruppo Health Italia S.p.A. Tel. +39 06 40411457 - info@healthpoint.srl
  • 16. 16 Cromoterapia: la terapia dei colori a cura di Silvia Terracciano La cromoterapia fa parte del gruppo delle discipline olistiche/alternative che utilizza i colori per il trattamento di specifici disturbi. Insegna come i colori possono aiutare ad ottenere il massimo benessere. Alla base della cromoterapia vi è la convinzione che i colori possano influenzare il corpo e la mente, col fine di ripristinare e favorire l’equilibrio psico-fisico. Lacromoterapiasfruttalevibrazionicromaticheperristabilire l’equilibrio energetico alterato. L’irradiazione colorata provoca l’assorbimento di onde elettromagnetiche con una frequenza oscillatoria, che varia da colore a colore, stimolando la risonanza vibratoria degli atomi contenuti nelle cellule. Il nostro organismo assorbe i colori in modi diversi. • Irradiazione: uso di lampade colorate o filtri, in grado di irradiare il colore su una specifica parte del corpo. • Alimentazione: i colori dei cibi che ingeriamo entrano in contatto con il nostro organismo, si parlainquestocasodicromodieta. • Abbigliamento: indossare un capo di abbigliamento di uno specifico colore produce sensazioni differenti sull’organismo. • Arredamento: la scelta dei colori che ci circondano a casa, così come in ufficio, non è da sottovalutare, per esempio il colore blu è indicato per la camera da letto, per il suo effetto rilassante. • Massaggi: i colori possono essere assorbiti dal corpo attraverso l’uso di oli colorati e pigmenti da massaggio. • Meditazione: si possono evocare i colori mentalmente, attraverso specifici esercizi di rilassamento. Quali sono i principali benefici della cromoterapia? • I colori dilatano o restringono i vasi sanguigni; • aumentano la produzione di globuli rossi, bianchi ed enzimi; • sostengono il sistema immunitario; • fortificano i tessuti; • favoriscono il trasporto di ossigeno nel sangue; • estendono la coscienza. Non esistono ancora documentazioni che confermino scientificamente questi effetti, sicuro è che i colori influenzano gli stati d’animo. Così come è esperienza comune che la luce influenzi il tono dell’umore: in inverno tende a far capolino il “cattivo” umore, con la primavera invece è come se tutti un risorgessimo, con un umore decisamente migliore. Il colore è energia che viene assorbita dal nostro organismo a vari livelli (fisico, chimico, psichico) e attraverso vari canali, non solo quello della vista: gli strati cutanei e la calotta cranica sono particolarmente ricettivi. I colori sono quindi una realtà fisica oggettiva che viene resa soggettiva dalla percezione che ognuno di noi ha di queste frequenze. Ma come un colore può influire sull’organismo e sulla mente? In generale i colori caldi, come il rosso, l’arancio, il giallo e il verde chiaro, vengono impiegati per dare energia quando manca, quindi in casi di stanchezza o pressione bassa. I colori freddi, invece, aiutano a togliere l’energia in eccesso e si rivelano utili contro i dolori. • Il rosso ha un effetto eccitante, in grado di favorire l’attività muscolare, cardiaca e circolatoria, pertanto è il colore dell’azione. Sulla psiche ha un effetto energizzante, inoltre stimola la libido, per questo è collegato nella simbologia ad amore e passione. • Il blu ha un effetto rilassante, è indicato per curare problemi di tachicardia e pressione alta. Aiuta a guarire dalle infiammazioni soprattutto alla gola, alle articolazioni e ai denti inoltre allevia emicrania e cefalee. • Il verde ha un effetto calmante e lenitivo, è il colore della natura con proprietà riequilibranti. Considerato curativo per coloro che soffrono di stress e ansia, dona serenità e induce calma. Allevia i crampi e i disturbi dell’apparato gastrointestinale, inoltre è indicato in caso di insonnia e disturbi del sonno. Nella simbologia collegato alla speranza e alla fortuna. • L’arancione ha un effetto energizzante e rallegrante, viene spesso impiegato per infondere ottimismo e voglia di vivere, induce positività. • Il giallo aiuta la concentrazione, ha effetti benefici sul pancreas ed è depurativo. La cromoterapia rientra nelle cure dolci della medicina alternativa come terapie di benessere, che prevedono trattamenti naturali e meno invasivi rispetto alla medicina e alle cure tradizionali. È bene precisare però che non c’è un diploma in cromoterapia, anche se ci sono dei medici che operano con questa pratica.
  • 17. 17 La cromoterapia è rivolta a quelle persone che vogliono preservare l’equilibrio psico-fisico, associando questa disciplina ad altre terapie olistiche. È applicabile a chiunque dai bambini agli anziani. Non può sostituire le cure tradizionali ma solo affiancarle o agire in prevenzione.
  • 18. 18 supportare favorire promuovere Costituita per iniziativa di Health Italia, Mutua MBA e Coopsalute, la Fondazione Basis è un ente no-profit che svolge le proprie attività nei settori dell’assistenza socio-sanitaria, nella promozione e nella gestione di servizi culturali, educativi, sportivi e ricreativi allo scopo di fornire sostegno a soggetti deboli quali, ad esempio, persone svantaggiate per malattia, disabilità fisica e/o psichica, indigenti, minori e persone anziane non autosufficienti. Nello svolgimento delle proprie attività istituzionali, la Fondazione si propone di sensibilizzare l’opinione pubblica su tematiche quali la difesa e la tutela della salute, incentivando il concorso e la partecipazione di tutte le realtà che costituiscono espressione della società civile. Fondazione Basis ha ottenuto risultati significativi, soprattutto grazie al contributo di molti donatori, che rafforzano l’entusiasmo e la volontà nel proseguire per la strada intrapresa. Se credi nella nostra missione e nell’importanza che la nostra Fondazione può rivestire in ambito sociale effettua una donazione o diventa volontario inviandoci per email la tua candidatura! Effettua un bonifico bancario IBAN: IT 14 U 03359 01600 100000140646 intestato a: Fondazione Basis Via di Santa Cornelia, 9 - 00060 - Formello (RM) Effettua un assegno bancario non trasferibile intestato a: Fondazione Basis ed inviato mezzo posta a: Fondazione Basis Via di Santa Cornelia, 9 - 00060 - Formello (RM) Fondazione Basis | c/o Palasalute - Via di Santa Cornelia, 9 | 00060 | Formello (RM) | www.fondazionebasis.org | info@fondazionebasis.org
  • 19. 19 Citrus – L’Orto Italiano e Fondazione Umberto Veronesi insieme per “I Limoni per la Ricerca”, iniziativa volta a sostenere la ricerca nel campo della nutrigenomica, la scienza che studia l’azione degli alimenti sui nostri geni per prevenire l’insorgenza di alcune malattie. A casa di Marianna i prodotti della terra e una dieta equilibrata basata sulla qualità e sulla freschezza dei prodotti sono due argomenti di sacrale importanza. “Il cibo è amore di famiglia, una passione vera che ci sprona a valorizzare i tesori delle nostre campagne per farli scoprire a tutta l’Italia”, dichiara la 25enne Marianna Palella CEO e Founder di Citrus – L’Orto Italiano. Rispetto per la tradizione agricola sulla base delle richieste dei consumatori di oggi, lavoro di squadra tra agricoltori e con gli interlocutori della grande distribuzione. Questi i pilastri su cui si regge “Citrus - L’Orto Italiano” azienda ortofrutticola di Cesena alla creatività e all’intuito di Marianna Palella. Health Online l’ha intervistata. Quali sono i prodotti di Citrus? “Il limone, che come tutti i nostri agrumi non è trattato in superficie per sensibilizzare all’utilizzo della buccia che contiene il limonene, molecola antitumorale; il bergamotto che ha una forma simile all’arancia, schiacciata nei poli e dal colore giallo prima e verde quando la stagionalità è sul finire. Il nostro paniere è stato studiato dai nutrizionisti di Fondazione Umberto Veronesi e contiene prodotti amici della salute e utili per fare prevenzione a tavola. Offriamo anche fichi e broccoli di Puglia, pere coscia di Bronte, pomodorini dal seme autoctono, aglio di Voghiera ed erbe aromatiche siciliane per ridurre l’utilizzo del sale in cucina”. a cura di Alessandro Notarnicola I limoni per la solidarietà
  • 20. 20 Qualità è la vostra parola chiave? “Il nostro progetto punta sulla qualità del prodotto, garantita dalla filiera, e sulla capacità di intercettare i desideri dei consumatori, sempre più consapevoli e per questo giustamente esigenti in fatto di alimentazione. Abbiamo scommesso su varietà 100 per cento italiane ma considerate minori; le abbiamo riscoperte per la loro bontà ma anche per il loro valore nutritivo e le abbiamo riproposte sugli scaffali delle principali insegne della distribuzione italiana”. La qualità richiama la salute e qui inizia la seconda missione di “Citrus, l’Orto Italiano”, non è così? “Da sempre sosteniamo la ricerca scientifica di Fondazione Umberto Veronesi (8 le borse di ricerca consegnate finora), e anche quest’anno siamo stati il partner esclusivo della seconda edizione dell’iniziativa “I limoni per la ricerca”. I limoni testimonial della Ricerca? “Esattamente.Rappresentanounesempiodicollaborazione possibile tra fornitore e grande distribuzione, nell’obiettivo comune di un’azione di responsabilità sociale: 40 centesimi a retina saranno devoluti alla Fondazione Umberto Veronesi per finanziare la ricerca scientifica. La prima edizione de “I Limoni per la Ricerca” si è svolta un anno fa e grazie all’adesione di 1.800 punti vendita, ha permesso di raccogliere 90 mila euro che hanno finanziato il lavoro di 3 ricercatrici: Lorena Coretti, Benedetta Raspini e Laura Simoni”. Da dove nasce l’idea? “Dalla volontà di diffondere l’uso del limone per le sue proprietà nutritive e preventive, come la molecola antitumorale contenuta nella buccia: il limonene. Per questa ragione Citrus - L’Orto Italiano, da sempre vicina a queste tematiche, offre solo limoni italiani e non trattati in superficie. Crediamo fortemente nella ricerca scientifica come motore di innovazione e principale leva competitiva del nostro Paese, come sinonimo di pace, di speranza e di valori”. Ne parla con emozione. Pensa che questo progetto presenti l’agricoltura come braccio della medicina? “Sono affascinata dalla magia che si crea intorno a questo progetto che vede tutti coinvolti allo scopo comune di sostenere la ricerca scientifica: GDO, Produzione, Clienti, Scienza insieme per contribuire a un futuro migliore e a una società più consapevole”. Il limone è più comunemente conosciuto come una buona fonte di vitamina C. Come la maggior parte degli agrumi, contiene un ampio elenco di altri nutrienti essenziali: carboidrati (zuccheri e fibre), potassio, acido folico, calcio, tiamina, niacina, vitamina B6, fosforo, magnesio, rame, riboflavina, acido pantotenico e una varietà di composti fitochimici. La vitamina C svolge un ruolo chiave nella formazione del collagene, entra in gioco nell’assorbimento del ferro inorganico (non –eme); inoltre come antiossidante, la vitamina C può aiutare ad evitare il danno cellulare da “radicali liberi” implicato nella progressione di diverse malattie tra cui il cancro, le malattie cardiovascolari e la formazione della cataratta. Nel limone, in particolare nella buccia, sono presenti fitochimici come monoterpeni, limonoidi, flavonoidi, carotenoidi ed acidi idrossicinnamici. Questi composti hanno dimostrato in diversi studi scientifici capacità antiossidanti, effetti sulla differenziazione cellulare e potere detossificante che renderebbero i limoni, se regolarmente consumati, una componente importante di una dieta volta a ridurre il rischio di malattia. Approfondimento
  • 21. Nessuna distinzione per numero di componenti della famiglia Nessuna distinzione di età Sussidi per Single o Nucleo familiare Detraibilità fiscale (Art. 15 TUIR) Nessuna disdetta all’associato Durata del rapporto associativo illimitata Soci e non “numeri” perché abbiamo scelto mba? rimborso interventialta diagnostica assistenza rimborso ticket conservazione cellule staminali visite specialistichesussidi per tutti check up Mutua MBA è da sempre impegnata nell’assistenza sanitaria integrativa e rappresenta l’innovazione, il dinamismo e la qualità nella mutualità italiana ponendosi come “supplemento” alle carenze, ad oggi evidenti, del Servizio Sanitario Nazionale. Vanta un costante incremento del numero di Soci Promotori e propone numerose combinazioni assistenziali che offrono un’ampia gamma di prestazioni sanitarie a costi agevolati per oltre 350.000 assistiti, tra famiglie e nuclei. Mutua MBA c/o Palasalute - Via di Santa Cornelia, 9 - 00060 - Formello (RM) Tel. +39 06 90198060 - Fax +39 06 61568364 www.mbamutua.org integratori alimentari
  • 22. 22 Le neoplasie in età pediatrica, leucemie, linfomi e tumori solidi, colpiscono 1 bambino ogni 650 entro i 15 anni di età. Secondo i dati, in Italia ogni anno ci sono 120-140 nuovi casi per milione di bambini sotto i 15 anni. Questo significa che si ammalano di tumore o leucemia circa 1700 bambini, circa 5 ogni giorno. I tumori infantili sono molto diversi dai tumori degli adulti per tipo, per velocità di accrescimento e per prognosi. Nel bambino, in generale, il tumore più frequente è il gruppo delle leucemie (33%), seguito dai tumori del sistema nervoso centrale (SNC) (22%), i linfomi (12%), il neuroblastoma (7%), i sarcomi dei tessuti molli (7%) e i tumori ossei (6,4%). Le percentuali variano secondo la fascia d’età. Altri tumori più rari ancora sono il retinoblastoma, l’epatoblastoma, il Sarcoma di Ewing, i tumori delle cellule germinali e altri tipi estremamente rari. “Le neoplasie in età pediatrica – ha spiegato la dott.ssa Monica Cellini, referente Oncoematologia Pediatrica del Dipartimento Materno-Infantile dell’Azienda Ospedaliero – Universitaria di Modena - sono da considerarsi per la loro incidenza patologie rare ma, tra queste, i tumori cerebrali sono al secondo posto dopo le leucemie. Negli anni sono stati compiuti notevoli progressi nella cura delle patologie oncoematologiche pediatriche con risultati veramente confortanti, ad esempio per quanto riguarda le leucemie infantili, ma i tumori cerebrali rappresentano ancora una sfida aperta”. La dottoressa Cellini ha parlato di sfida aperta, come il titolo di un convegno che si è svolto di recente presso l’Azienda Ospedaliero – Universitaria di Modena che ha visto riunite diverse figure professionali. Per saperne di più, Health Online ha intervistato la dottoressa MonicaCellinieilpresidentediASEOP(AssociazioneSostegno Ematologia Oncologia Pediatrica) Onlus, Erio Bagni. I tumori cerebrali del bambino e dell’adolescente: una sfida aperta a cura di Alessia Elem
  • 23. 23 Dottoressa, le neoplasie in età pediatrica e nello specifico i tumori cerebrali sono purtroppo frequenti. Quali sono i sintomi ai quali prestare attenzione per arrivare ad una diagnosi precoce? “I sintomi di esordio di questa patologia sono spesso subdoli e quindi a volte si possono avere diagnosi tardive. Nella maggior parte dei casi i sintomi più frequenti sono legati all’ipertensione endocranica quindi cefalea, vomito, difficoltà di equilibrio, alterazioni dei movimenti oculari con strabismo fino al sopore, convulsioni e coma nei casi più avanzati. Sintomi particolari e di più difficile interpretazione possono essere quelli legati ad alterazioni comportamentali e disturbi dell’umore”. Negli anni le innovazioni negli strumenti diagnostici e nelle terapie hanno portato a dei risultati soddisfacenti, ma la sfida è ancora aperta. Di cosa si è discusso nel corso del Convegno? “Al convegno sono state presentate le figure professionali di eccellenza che lavorano a Modena con noi ogni giorno, usufruendo di attrezzature all’avanguardia, e sono stati presentati i risultati ottenuti nel campo delle patologie neuroncologiche pediatriche negli ultimi anni. Risultati prestigiosi che sicuramente mettono in luce l’esperienza modenese nel campo pediatrico e non solo”. È fondamentale iniziare una terapia mirata ed efficace. Qual è il protocollo che viene seguito? E quali sono le nuove terapie? “La terapia ovviamente deve essere la più precisa possibile ed oggi, con i grandi progressi fatti dall’anatomia- patologica in termini di conoscenza dei tumori cerebrali soprattutto nel campo della biologia molecolare, questo si sta sempre più avverando. I tumori cerebrali sono di tanti tipi istologici diversi, a seconda delle cellule da cui originano, ed hanno caratteristiche di aggressività differenti, per cui per ciascun istotipo c’è un protocollo di chemio e/o radioterapia specifico. Nel campo di nuove terapie al momento non abbiamo grandi novità, alcuni farmaci che sembravano molto promettenti in vitro in realtà in vivo non hanno dato risultati altrettanto soddisfacenti. I nuovi farmaci vengono testati prima su pazienti adulti e successivamente nei bambini, ma ad oggi anche nel mondo degli adulti non sembrano esserci novità di rilievo”. Quali sono le figure professionali essenziali affinché si arrivi a raggiungere delle cure soddisfacenti? “Neuroradiologo, neurochirurgo, anatomo-patologo, oncologo, radioterapista, psicologo, fisiatra e fisioterapista sono le figure essenziali per poter offrire il meglio al paziente con patologia neuro-oncologica”. Quanto è importante la presenza di un’equipe multidisciplinare? “L’equipe mutidisciplinare è fondamentale per la presa in carico del paziente con patologia neuro- oncologica, sia adulto che bambino. A Modena nell’Azienda Ospedaliero-Universitaria che raggruppa i due ospedali Policlinico e Baggiovara è in atto un PDTA (Percorso Diagnostico Terapeutico Assistenziale) che prevede la presa in carico di tutti i pazienti diagnosticati nelle due strutture che vengono poi inseriti nel percorso più idoneo per la propria patologia. Questo fa sì che il paziente si senta assistito e supportato durante il suo percorso di malattia avendo appuntamenti per terapie, controlli ecc. già pianificati”. Qual è il rapporto che si instaura tra voi specialisti, i piccoli pazienti e le rispettive famiglie? “Si tratta di un rapporto molto stretto, si parla di ‘alleanza terapeutica’ perché ovviamente le cure mediche sono importanti ma senza un lavoro di equipe che coinvolga tutte le figure che ruotano intorno al bambino non si fanno grandiprogressi.Quindiinprimislafamiglia(genitoriefratelli) che si trovano in prima linea ad affrontare questo difficile percorso accompagnati dai medici, dagli infermieri, dallo psicologo di reparto e da tutte le figure che sono presenti nei vari momenti di degenza: insegnanti, volontari, clown che possono contribuire a rendere meno difficile questo particolare momento della vita di un bambino”. Il ruolo della famiglia, come quella di tutti gli specialisti, è fondamentale per la cura del bambino. Nel 1988 un gruppo di genitori di bambini affetti da patologie oncoematologiche, insieme alla Professoressa Fausta Massolo, allora Direttrice del Reparto di Oncoematologia Pediatrica del Policlinico di Modena, decise di dare vita ad ASEOP (Associazione Sostegno Ematologia Oncologia Pediatrica) con il fine principale di sostenere la ricerca e la cura, fornire un punto di riferimento competente e solidale alle famiglie ed ai bambini colpiti dalla malattia, rispondere ai loro dubbi e difendere i loro diritti. Health Online ha rivolto qualche domanda al Presidente dell’Associazione ASEOP Onlus, Erio Bagni. Quali sono stati i risultati raggiunti in questi anni e quali sono i progetti per il futuro? “Con la nascita dell’Associazione si è voluto dare un piccolo ma importante contributo che tutt’oggi, a distanza di 30 anni dalla fondazione, continua quotidianamente. Molti passi avanti sono stati fatti, molti sono ancora da fare. ASEOP significa: Aiutare e Accogliere i bambini affetti da patologie oncoematologiche e non, e le loro famiglie, sia
  • 24. 2424 durante che dopo il periodo di degenza, con particolare riguardo all’ospitalità presso la Casa di Fausta, rivolta a coloro che provengono da zone lontane dell’Italia e del mondo, al sostentamento per coloro che presentano particolari difficoltà economiche, al disbrigo delle formalità burocratiche (es. L. 104), alla frequenza scolastica sia nel periodo di degenza che non, all’aspetto ludico ed al reinserimento dei piccoli pazienti fuori terapia nella società. Inoltre, ASEOP contribuisce in modo concreto al miglioramento strutturale e strumentale del reparto pediatrico dove i bambini vengono seguiti. L’accoglienzaèdasempreilpuntodiforzadell’Associazione e proprio per questo che lo scorso anno c’è stata la riqualificazione degli arredi delle stanze di degenza del Reparto di oncoematologia pediatrica del Policlinico di Modena inaugurati nel mese di ottobre del 2017. La riqualificazione degli arredi all’interno delle 5 stanze di degenza ha fatto in modo che i bambini, i ragazzi e le loro famiglie vengano accolti dai colori del mare, del cielo, del sole e dei prati, elementi naturali che meglio di altri trasmettono una sensazione di benessere e tranquillità ma allo stesso tempo di forza e vitalità. Quindi colori che attirano e arredi mai ingombranti ma gradevoli alla vista e anche al tatto. Certo, i colori e le forme non risolvono la malattia, ma aiutano molto la psiche che ha l’oneroso compito di sorreggerli nei momenti più difficili. ASEOP promuove e sostiene la ricerca in ambito oncoematologico ed in questo periodo stiamo lavorando allo sviluppo di una cultura scientifica e sostenendo il lavoro dei ricercatori. Le borse di studio e le attrezzature donate sono rese possibili grazie al contributo di tanti donatori che traducono in gesti spesso silenziosi e anonimi la convinzione di dover fare la propria parte a sostegno della cura. Altro fiore all’occhiello, per quanto concerne i progetti ideati e realizzati da ASEOP, è il progetto di cooperazione internazionale “Un Ponte per la Vita Italia Paraguay”. Nello specifico, ASEOP negli anni ha seguito la formazione di medici ed infermieri operanti presso l’Ospedale Pediatrico Ninos de Acosta Nu, ha sostenuto a livello economico la chemioterapia ed ha contribuito alla realizzazione di una struttura ospedaliera che oggi vanta il primato come terapia, indice di guarigione ed assistenza pubblica in Paraguay e in America Latina. Tra gli obiettivi di ASEOP c’è quello di sensibilizzare e diffondere la conoscenza di tematiche specifiche quali le patologie oncoematologiche e non in età pediatrica, le modalità terapeutiche, il trapianto di midollo osseo, di cellule staminali emopoietiche da sangue periferico e da cordone ombelicale. Per interagire ed estendere anche la conoscenza scientifica a livello territoriale in modo concertato e collaborativo, l’Associazione organizza degli incontri di formazione ed informazione aperti ai genitori, ai soci, ai volontari, ai medici di base ed al personale infermieristico. Per il futuro c’è la volontà di continuare con le attività menzionate a sostegno delle famiglie e di promuovere il coinvolgimento di nuovi medici presso il Dipartimento Materno Infantile del policlinico di Modena, affinché si occupino in modo continuo della ricerca nell’ambito del programma realizzato dal Prof. Dominici e della clinica in reparto, affinché ricerca e cura diventino un binomio inscindibile”. Aiutare i bambini e le loro famiglie, sensibilizzare e diffondere la conoscenza delle patologie oncoematologiche, organizzare incontri e promuovere la ricerca sono gli obiettivi dell’Associazione. In cosa consiste il vostro lavoro quotidiano? “Il lavoro quotidiano di ASEOP consiste nel sostegno totale del bambino e della sua famiglia durante il percorso terapeutico. Punto principale dell’agire di ASEOP, che fu il principio ispiratore dei fondatori 30 anni fa, è rappresentato dal servizio alle famiglie che caratterizza l’attività quotidiana dell’associazione che è così suddiviso: • Servizio di Accoglienza: Un gruppo di volontari insieme al personale strutturato ASEOP si occupa di accogliere le famiglie sin dal momento della diagnosi. Tra i loro compiti vi è quello di illustrare tutti i servizi presenti in ospedale e quelli offerti dall’Associazione. • Assistenza burocratica: l’ufficio fornisce un supporto operativo alle famiglie relativamente all’espletamento delle formalità burocratiche come l’attivazione della Legge 104, invalidità civile, ecc. • Assistenza alla famiglia in ospedale e presso la Casa di Fausta. I principali problemi che la famiglia deve affrontare e sui quali riceve sostegno dall’assistenza sono: - solitudine ed isolamento; - necessità di assistenza ai fratelli; - organizzazione del lavoro e della gestione familiare. Il ricovero in ospedale è quasi sempre un evento traumatico per il bambino. Le relazioni interpersonali a cui egli era abituato mutano improvvisamente, si allenta la fiducia nell’onnipotenza dei genitori, il vissuto dell’abbandono può farsi sempre più presente e tale cambiamento determina un senso di instabilità emotiva e di confusione. In una CASA lontano da CASA, come la Casa di Fausta, il bambino può trovare un aggancio a sua misura in un’abitazione nella quale può ritrovare i propri famigliari, compresi i fratelli spesso costretti a vivere in un contesto di separazione, e le proprie abitudini. Un collegamento ed una mediazione
  • 25. 25 tra più contesti grazie alla presenza costante dei volontari e del personale sanitario, un ruolo spesso funzionale alla creazione di quella base comunicativa che può facilitare l’adattamento del bambino ospedalizzato e della sua famiglia: La Casa di Fausta in tale contesto rappresenta la ‘continuità’ nel ‘cambiamento’. • Assistenza economica: alcune famiglie si trovano ad affrontare la malattia del figlio in condizioni di grave disagio economico. Al proposito ASEOP, su segnalazione degli assistenti sociali o organi preposti, si attiva erogando contributi principalmente per: - sussidi mensili temporanei; - rimborso spese farmaci e materiale sanitario; - acquisto generi alimentari e abbigliamento; - spese trasporti; - spese alloggiamento nel caso in cui il bambino e la famiglia si rechino i un altro presidio ospedaliero per effettuare ulteriori accertamenti o controlli; • Assistenza Psicologica: quando nel percorso di vita di una famiglia irrompe la malattia di un figlio/a, l’impatto psicologico e sociale sono molto forti. È necessario un supporto globale che aiuti il bambino/adolescente, i suoi genitori e fratelli/sorelle ad affrontare le difficoltà che incontreranno. La risposta più efficace a queste necessità è quella di una presa in carico dell’intero nucleo familiare, intendendo il supporto psicologico e sociale come un servizio integrato nel sistema di cura. ASEOP, in accordo con i Responsabili del reparto ed il responsabile del Servizio di Psicologia, ha fortemente voluto e sostenuto economicamente la presenza di uno psicologo che lavora in integrazione ai medici e all’Associazione presso il reparto di Oncoematologia Pediatrica. Recentemente il Policlinico, vista l’importanza di questa figura, si è fatto carico direttamente del contratto per la psicologa del reparto”. Com’è nata l’idea della Casa di Fausta? “Dopo un attento monitoraggio dei ricoveri e dimissioni da parte dell’Associazione ASEOP, si è potuto constatare un elevato afflusso, presso il Dipartimento stesso, di pazienti di età compresa fra 0 e 16 anni e di una scarsa offerta di ospitalità da parte del territorio ‘dignitosa ed economica’, soprattutto in quelle situazioni in cui la permanenza è prevista per un lungo periodo (sovente circa due anni) con prevedibile disagio emotivo, organizzativo ed economico per l’intero nucleo familiare. E così che si è pensato di realizzare il progetto di accoglienza ‘La Casa di Fausta’, inaugurata il 22 marzo del 2016. La struttura è costituita da 12 nuclei abitativi indipendenti, una biblioteca, un’area ludica interna ed esterna, una palestra per la riabilitazione motoria, due uffici. A prova della necessità della presenza di una struttura come quella realizzata da ASEOP sono le giornate di occupazione dei 12 appartamenti per un totale di 3363 nell’anno 2017. Degno di nota il parco giochi esterno alla Casa di Fausta, completato nel mese di
  • 26. 26 gennaio 2017, il quale è quotidianamente frequentato da numerosi bambini e loro famiglie ospiti presso la casa stessa e dagli abitanti residenti nel quartiere. Un luogo di incontro e di unione. Aspetto molto importante è rappresentato dall’iter avviato negli ultimi mesi dell’anno 2017, e giunto a conclusione nel mese di gennaio scorso, con l’Azienda Unità Sanitaria Locale AUSL di Modena in merito alla stesura del Protocollo di Accoglienza presso La Casa di Fausta di donne con gravidanze a termine provenienti dal Distretto di Pavullo e dall’area montana del distretto di Vignola. Per quanto concerne gli aspetti operativi, il documento definisce che il ginecologo e l’ostetrica del Punto Nascita del Policlinico di Modena, a nome e per conto dell’Azienda USL di Modena, in presenza degli elementi condivisi in apposito protocollo tra AUSL di Modena e il Policlinico stesso e in assenza di travaglio attivo o altre indicazioni meritevoli di ospedalizzazione, potranno suggerire alla paziente di trattenersi, in attesa del parto, presso Casa di Fausta. In tal senso gli operatori del Policlinico, ottenuto il consenso da parte della donna, contatteranno la segreteria di ASEOP per informare dell’arrivo della paziente accompagnata da un suo familiare. La donna, nell’imminenza del parto, potrà recarsi al Punto Nascita Policlinico o direttamente, se in grado di deambulare o attivando il servizio di emergenza 118”. Ha una storia particolare da raccontare come messaggio di speranza per i bambini e le loro famiglie? “Le storie che si potrebbero raccontare come messaggio di speranza sono tante. Occorre dire che ogni guarigione raggiunta, ogni ritorno alla vita è un messaggio di speranza ed un occhio rivolto al futuro. Una la porto nel cuore, quella di Matias. Matias è un bambino di 7 anni, al quale una malattia oncologica ha sconvolto l’esistenza. È un bambino che vive ad Asuncion in Paraguay e vede nel suo arrivo al Policlinico di Modena l’ultimo viaggio che molti chiamano ‘della speranza’. Andiamo a prendere Matias e la mamma Carmen in aeroporto e ciò che troviamo è quello che mai nessuno auspica di vivere. Matias ha la febbre altissima, respira a fatica e per questo senza esitare percorriamo la distanza Aeroporto Malpensa - Ospedale Policlinico di Modena incuranti dei limiti, l’unica cosa che conta è arrivare in tempo. Giorni e mesi di ricoveri in ospedale, ore e ore di pesanti terapie, decine di visite e indagini diagnostiche. La sua realtà quotidiana non è più scandita solo dai giochi e dalle attività con gli amici, ma da ritmi necessari a combattere la patologia. Ma se il corpo è alle prese con una guerra interna per sconfiggere il nemico e si trasforma momentaneamente, perché i capelli cadono oppure il viso diventa un po’ gonfio, la sua mente pensa ai giorni sereni in Paraguay. Matias ha trascorso mesi chiuso nel suo silenzio, senza parlare o sorridere con nessuno, combattendo giornalmente in un isolamento assordante. Matias, al di là di qualsiasi previsione, riesce a sconfiggere il male. I medici dicono a Carmen che può fare ritorno in Paraguay, ad Asuncion dove li aspetta la famiglia. Il giorno del rientro arriva, andiamo a prendere Matias e Carmen presso la struttura di accoglienza ASEOP dove hanno soggiornato nei lunghi ed interminabili mesi di terapia. Carichiamo i bagagli, controlliamo che nulla sia stato dimenticato ed in quell’occasione Matias, per la prima volta, con un grande sorriso ringrazia tutti e dice che vuole un pallone per giocare a basket. Oggi Matias ha 22 anni, gioca a basket ed è prossimo alla laurea in biotecnologie con uno sguardo rivolto verso il futuro”.
  • 27. Coopsalute il primo network italiano in forma cooperativa al servizio della salute e del benessere PuntodiincontrotralaDomandael’Offertadiprestazionineisettoridell’Assistenza SanitariaIntegrativa,deiserviziSocioAssistenzialieSocioSanitari,grazieaFamilydea si rivolge anche al comparto del Welfare e dei servizi ai privati! Coopsalute - Società Cooperativa per Azioni c/o Palasalute - Via di Santa Cornelia, 9 - 00060 - Formello (RM) - Italia | www.coopsalute.org | Facebook: Coopsalute Per i servizi sanitari e socio assistenziali, anche domiciliari: 800.511.311 Per le Strutture del Network o a coloro che intendano candidarsi al convenzionamento: Ufficio Convenzioni: 06.9019801 (Tasto 2) e-mail: network@coopsalute.com www.familydea.it
  • 28. 28 Aaa cercasi medico di famiglia: in pensione circa 15 mila medici di base…chi li sostituirà? a cura di Nicoletta Mele Sta arrivando il dottore! A piedi o a cavallo, per visitare i malati a domicilio. Era il medico condotto, sapeva fare tutto ed era reperibile 24 ore su 24, una vera e propria figura di riferimento per l’intera comunità. Negli anni, il medico condotto ha cambiato la sua immagine e le condizioni lavorative, grazie anche al supporto della guardia medica. Oggi è conosciuto come medico di base o di famiglia, un professionista importante per i cittadini che, secondo i recenti dati diffusi dalla Federazione Medici di Medicina Generale (Fimmg), tra 5 anni, rischia l’estinzione. Nel 2023, per effetto dei pensionamenti, cesseranno di lavorare 45mila medici, di cui 30mila ospedalieri e 14.908 medici di famiglia, per i quali non corrisponderanno altrettante nuove assunzioni. Il problema maggiore è che alle uscite non sono previste altrettante, o quanto meno adeguate, entrate: per i medici di base, infatti, le borse per il corso di formazione in medicina generale messe a disposizione sono oggi circa 1.100 l’anno e se il numero rimarrà costante, secondo l’analisi della Fimmg, ad essere rimpiazzati, al 2028, saranno non più di 11mila medici, mantenendo un saldo in negativo a quella data di oltre 22mila unità. L’anno in cui si registrerà il picco delle uscite, sarà il 2022
  • 29. 29 che vedrà andare in pensione 3.902 medici di famiglia. Sicilia, Lombardia, Campania e Lazio saranno le regioni che registreranno, sia nel breve che nel lungo periodo, le maggiori sofferenze, con conseguenze soprattutto per i cittadini che si ritroveranno senza lo storico punto di riferimento per la tutela della salute. “Nei prossimi 5-8 anni - ha dichiarato Silvestro Scotti, segretario Fimmg - i pensionamenti priveranno 14 milioni di italiani della figura del medico di famiglia”. Viste le premesse, per il prossimo futuro l’Italia sembra essere destinata a diventare un Paese senza dottori. Come si è arrivati a questa situazione critica? E si può fare qualcosa per salvare il salvabile? Health Online ha intervistato il dott. Silvestro Scotti, segretario della Federazione Medici di Medicina Generale (FIMMG). Dott. Scotti, l’Italia tra qualche anno rischia di diventare davvero un Paese senza dottori? Oggi qual è la situazione? E quali sono state le cause che hanno portato a registrare uno scenario di questo tipo? “Stiamo parlando di futuro ma, ad esser onesti e ragionando in termini di programmazione, il problema è già presente. Il rischio dell’estinzione della categoria è elevato, perché purtroppo oggi investire sul rapporto medico-paziente è diventato una seconda o terza scelta. Il problema è che tra qualche anno mancheranno 15 mila medici di famiglia e non è stato formato un numero sufficiente per far fronte al ricambio generazionale. Le cause che hanno portato a questa situazione sono state denunciate dalla nostra Federazione di medicina generale da ormai troppi anni ed oggi siamo arrivati alla resa dei conti. Negli anni, la formazione è rimasta invariata. Prima del 1991 bastava laurearsi in medicina per diventare medico di famiglia, con la nuova normativa europea - l’Italia si è adeguata solo nel 1994 - è stato introdotto un corso di formazione prima biennale e poi triennale e questo ha portato alla necessità mancata di programmazione nella medicina generale. Oggi c’è bisogno di una politica formativa indirizzata verso la medicina di famiglia, perché l’università italiana non prepara i laureandi, i quali scoprono la medicina di base solo quando sono già laureati”. Non è un problema emerso all’improvviso. Che tipo di programmazione doveva essere fatta per evitarlo? È un problema che denunciamo da tempo e adesso il rischio maggiore è che il paziente non avrà più il diritto di scelta. Si doveva verificare la formazione di medici di base in proporzione al numero di abitanti. Chi pensa che la gestione delle cure primarie possa essere risolta centralizzando l’offerta sbaglia. Un medico di famiglia ogni 90 Kmq è un’offerta di cure primarie? Basterebbe considerare che le sole aree metropolitane di 14 città italiane accolgono 21.000.000 di cittadini in poco più del 10% della superficie del territorio italiano per comprendere che nel rimanente 90% (270.000 Kmq) la restante metà dei cittadini non avrà riferimenti sanitari territoriali, avendo già oggi un’offerta assistenziale con strutture lontane e non facilmente raggiungibili. Non comprendere che quel medico di famiglia di quel paesino, di quei cittadini, di quegli anziani, di quegli ammalati è presidio sanitario indispensabile, significa perseguire la scomparsa del Servizio sanitario nazionale”. La carenza di medici di base interessa tutta la penisola e si sta diffondendo a macchia d’olio. Qual è la regione italiana che presenta maggiori criticità? E sono i piccoli centri ad essere più penalizzati? “Le regioni del nord come il Friuli Venezia Giulia, la Valle d’Aosta e il Trentino Alto Adige presentano delle criticità per ragioni di dispersione territoriale. La regione Lombardia in questo momento sta mascherando molto bene il problema, ma presto avrà il maggior numero di pensionamenti. In media c’è un medico di base ogni 1000/1500 abitanti, oggi abbiamo 1 medico ogni 1450 abitanti, questo dato conferma che siamo quasi al limite nella scelta del medico. Ecco quindi che si verificherà la perdita del diritto di scelta da parte del paziente. Questa situazione, ormai da anni, si sta riscontrando non solo nelle grandi città, ma anche nelle zone periferiche”. 14.908 pensionamenti da qui al 2022. Secondo voi, il 2022 sarà l’anno del picco. Perché? “C’è una crescita esponenziale nei prossimi anni perché abbiamo una categoria dei medici di famiglia mediamente avanti con l’età e non si è determinata una giusta programmazione per formarne nuovi, anche alla luce della nuova normativa europea. Il problema appena raggiungerà il picco sarà visibile nelle grandi città”. Secondo le stime, su circa 8000 laureati l’anno solo circa 1000 si specializzano in medicina generale. Perché? Diventare medico di in evidenza
  • 30. 30 cittadini italiani il diritto di essere curati tutti nello stesso modo devono essere garantiti investimenti economici sul numero e sulla qualità della formazione dei medici di medicina generale, sul personale sanitario e amministrativo nei nostri studi e sulle tecnologie. Se il numero delle borse di studio regionali rimarrà circa 1100 come ora, tra 10 anni saranno rimpiazzati solo 11.000 medici, con un saldo negativo di oltre 22.000. Le dimensioni di questo problema richiedono un intervento urgente. Subordinare la medicina di base al sistema gerarchico degli ospedali è stato un fallimento, è necessario invece fornire al medico di famiglia tutti quegli strumenti in grado di coordinarsi con il personale infermieristico e le farmacie territoriali sia in termini di prevenzione che di cure”. Tutti auspichiamo che il rischio scomparsa non diventi realtà perché il medico di famiglia resta sempre un punto di riferimento importante per l’intera comunità. Secondo lei, in questa situazione si avverte addirittura la necessità di tornare alla figura del vecchio medico condotto? “Il medico condotto rappresentava una figura di riferimento per i cittadini come lo è oggi il medico di famiglia. Quando c’è il pericolo di perdere qualcosa allora ci si rende conto del suo vero valore, è arrivato il momento che la politica nazionale e regionale ne prenda atto. È necessario un forte rilancio della medicina di base, ma non solo in termini di aumento di borse di studio, ma anche di un’organizzazione medica più efficiente”. famiglia non è un lavoro prestigioso e abbastanza soddisfacente? Il problema principale è la formazione e la remunerazione? “Sotto l’occhio del ciclone c’è sia la formazione che la remunerazione. L’Università italiana già imposta la formazione per fare gli specialisti e non i medici di famiglia. Per poter fare il medico di medicina generale, è necessario partecipare ed essere resi idonei in corsi gestiti dalle Regioni: durano tre anni e offrono ai medici selezionati borse di studio di 800 euro al mese. Le scuole di specializzazione delle Università, che danno il titolo necessario per lavorare negli ospedali, durano 4-5 anni, e garantiscono una remunerazione mensile di circa 1600 euro. È quindi assai più probabile che il giovane laureato preferisca partecipare alle selezioni nazionali per l’ammissione alle scuole di specializzazione che ai concorsi regionali per i pochi posti disponibili per diventare medico di medicina generale. Affinché i giovani si affezionino alla medicina di base gli elementi importanti sono sia il percorso per l’abilitazione e l’esperienza, sia una politica un po’ più indirizzata verso questa branca medica. I giovani dopo la laurea per abilitarsi frequentano per 3 mesi gli ambulatori, vedendo così tanti casi e patologie diverse e si rendono conto dell’importanza del rapporto che si crea tra medico di base e paziente”. Qual è la situazione nel resto d’Europa? “Le cure primarie sono legate al sistema sanitario di ogni Paese, l’Inghilterra presenta una situazione simile a quella italiana. L’Italia è il Paese europeo con la più bassa retribuzione economica”. In Italia la popolazione invecchia velocemente e il tema dell’assistenza territoriale rappresenta una priorità. Secondo lei, quali possono essere gli interventi indispensabili per continuare a garantire a tutti i cittadini il diritto alle cure e all’assistenza domiciliare? È necessaria una forte riforma del sistema? “Per poter continuare a garantire ai 30
  • 32. 32 Cosa significa essere infermiere volontario della Croce Rossa? a cura di Beatrice Casella Martedì 8 maggio si è celebrata la giornata mondiale della Croce Rossa, la più grande organizzazione umanitaria del mondo. Predispone circa 1.500 volontari anche in campo sanitario. Ma cosa significa essere infermiere volontario della Croce Rossa? Ne abbiamo parlato con la “crocerossina” Benedetta Colasanti. Come è arrivata alla Croce Rossa Italiana? “Sognavo di diventare “crocerossina” fin da quando ero piccola quindi, appena compiuti i 18 anni, ho fatto domanda per entrare nel Corpo”. È sempre stato un suo sogno diventare Infermiera Volontaria di questo ente? “Si, sono cresciuta con la “leggenda” della Crocerossina quindi direi proprio di si!” Esiste ancora in Italia il corso di laurea per diventare un’infermiera crocerossina? Se sì, bisogna accedervi passando un test d’ingresso? “Esiste una scuola - non un vero e proprio corso di laurea universitario -, la scuola delle Infermiere Volontarie, che si tiene presso ogni Ispettorato locale/provinciale della Croce Rossa Italiana. Dura 2 anni e consiste in lezioni di teoria e di tirocinio – quindi pratica - presso Ospedali Militari (ove fossero presenti) e Civili. Una volta superato l’esame, si ha il titolo di Infermiera Volontaria della Croce Rossa Italiana che viene equiparato al titolo civile di O.S.S.S. (Operatore Socio Sanitario Specializzato). L’iter per accedervi consiste nel presentarsi presso l’Ispettorato della propria città e fare un colloquio psicoattitudinale con l’Ispettrice e le Vici Ispettrici in presenza, spesso, anche di psicologi. Dopo aver sostenuto questo colloquio si avrà l’esito, positivo o negativo. In caso di esito positivo si procede poi con tutti gli adempimenti burocratici per i documenti da presentare”. Ha mai partecipato a delle spedizioni all’estero? “No purtroppo, inizialmente per motivi di studio e poi di lavoro e famiglia”. La Croce Rossa è caratterizzata da sette principi fondamentali: umanità, imparzialità, neutralità, indipendenza, volontarietà, unità e universalità. Ritiene che vengano rispettati allo stesso modo da tutti i volontari e dipendenti dell’organizzazione? “Io credo ci sia una differenza abissale tra essere Volontario ed essere Dipendente. Con il Volontariato si entra quasi in un mondo ovattato dove sai che si devono rispettare questi sette principi (ma anche molti altri non esplicati) dal punto di vista soprattutto etico. Quando si diventa volontari di Croce Rossa, oltre a “sposare” l’Associazione, si sposa anche un modus vivendi che diventa poi intrinseco nella persona. Da Dipendente non si hanno le identiche sensazioni, perché anche se si fa parte sempre della stessa Associazione, comunque, volendo o no, entrano in gioco anche altri interessi che esulano dal puro volontariato”. Cosa differenzia, secondo lei, un volontario da un dipendente della Red Cross? “La differenzia sostanziale credo sia lo stato d’animo con cui si esplicano le attività. Con il Volontariato, l’unico obiettivo è quello di sentirsi utile per gli altri e gioire nel sapere di fare qualcosa che sai possa rendere felice la persona che hai di fronte, o comunque, sei contento nel sentirti utile per la società (ricordo che la Croce Rossa non si occupa solo ed esclusivamente di assistenza sanitaria). Nell’essere invece dipendente c’è, bene o male, sempre un secondo fine, il guadagno e la carriera”. Ci indichi, da un suo punto di vista, i progressi che la Croce Rossa dovrebbe attuare per garantire un reale e costante miglioramento del sistema sanitario italiano. “La Croce Rossa, non essendo autonoma sotto questo punto di vista, collabora e segue le direttive dettate dal Servizio Sanitario Nazionale, operando sempre in base ai suoi principi fondamentali ma garantendo comunque una linea comune con il SSN, lì dove agisce in simbiosi con esso perché, ripeto, la Croce Rossa esplica la sua attività in molti campi e non solo in quello sanitario”.
  • 33. 33
  • 34. 34 tutta la tua salute, ora, in un’app! Nasce MyMBA, l’app dedicata ai soci di Mutua MBA, attraverso cui è possibile accedere a tutti i servizi legati alla tua posizione o sussidio direttamente dal tuo smartphone o tablet.
  • 35. 35 “Ho ancora paura di mio marito per il suo carattere violento e aggressivo”. Chi non ricorda le parole di Antonietta Gargiulo, la donna di Cisterna di Latina, alla vigilia della strage compiuta per mano dell’ex marito, l’appuntato dei carabinieri Luigi Capasso, nella quale sono morte, insieme al padre che si è suicidato dopo ore di trattative con le forze dell’ordine, le due figlie di 8 e 13 anni. Lei è miracolosamente sopravvissuta. Una storia quella di Antonietta che ha tenuto con il fiato sospeso l’opinione pubblica, l’ennesimo femminicidio, dove gli autori nella maggior parte dei casi, sono ex fidanzati o ex mariti. I casi di femminicidio in Italia purtroppo dal 2016 sono tornati a crescere, come testimoniano i fatti di cronaca che confermano i dati dell’ultimo rapporto Eures sul femminicidio in Italia: nei primi 10 mesi del 2017 sono stati 114 i casi, più di uno ogni 3 giorni. Dal 2000 al 2017, la quasi totalità degli autori di femminicidio risulta essere un uomo (91,9%), a fronte dell’8,1% di donne. La quota si attesta nel 2016 al 92%, salendo al 93% per quelli in ambito familiare. Anche per quanto riguarda l’età degli autori, come per le vittime, si registra un maggiore coinvolgimento di over 64 (23,4% a fronte del 15,8% mediamente rilevato negli ultimi 16 anni) e di 45-54enni (24,1%). L’età media degli autori subisce nell’ultimo anno un netto aumento, passando da 46,3 anni nel periodo 2000- 2016 a 50,3 nel 2016. Il contesto prevalente del femminicidio si conferma quello familiare e della sfera affettiva, ma in aumento anche gli altri “femminicidi di prossimità” (nel contesto amicale, lavorativo, di vicinato), saliti da 11 a 18 (+63,8%) tra 2015 e 2016. Nell’ultimo anno, i femminicidi “di coppia” rappresentano il 64,3% di quelli familiari: è il tarlo del possesso e della gelosia a spiegare la percentuale più elevata di omicidi di donne (30,3% di quelli familiari), seguiti da quelli scaturiti da conflitti e dissapori quotidiani (24,8%); in crescita (+58,3%) i femminicidi legati all’ampia area del disagio, soprattutto della vittima (19 casi, pari al 17,4% del totale, a fronte dei 12 del 2015), in particolare nelle coppie anziane; nel 13,8% dei casi si rileva un disturbo mentale dell’autore. “I dati sulla violenza sulle donne sono insopportabili, così come lo è sapere che ogni due giorni e mezzo una donna viene uccisa. Uccisa per mano di chi in teoria dovrebbe a cura di Alessia Elem Quando il peggior nemico è dentro casa. Crescono i casi di femminicidio 35
  • 36. 36 amarla. È una scadenza macabra. Per rendere meno spaventose queste cifre c’è da fare molto e c’è da farlo insieme”. Questo il commento dell’ex Presidente della Camera dei Deputati. Laura Boldrini, nel corso del seminario “Fermare la violenza sulle donne. Insieme si può fare”, svoltosi a novembre dello scorso anno presso il Senato della Repubblica e organizzato dalla Commissione parlamentare d’inchiesta sul femminicidio. Il femminicidio è un problema di ordine culturale ed in questo contesto l’informazione e la denuncia assumono un ruolo primario, perché, come ha affermato l’ex presidente del Senato, Pietro Grasso, “i media possono fare molto per cambiare le cose, soprattutto nel modo attraverso il quale raccontano queste vicende così delicate. La vita, la morte, il dolore di queste donne è enorme e drammaticamente reale”. È quindi molto importante condividere le proprie esperienze e non chiudersi nelle mura domestiche avvolti dalla paura. Una testimonial d’eccezione è Gessica Notaro, la giovane riminese sfigurata con l’acido il 10 gennaio del 2017 dall’ex fidanzato Jorge Edson Tavares e scampata miracolosamente alla morte. Tavares è stato condannato a dieci anni di carcere con il rito abbreviato. Gessica ce l’ha fatta e oggi festeggia la sua “seconda vita”, come ama definirla, raccontando la sua esperienza e dando così forza e speranza a tutte quelle donne vittima di violenza. Ha fatto parte del cast dell’ultima edizione dello show di Rai Uno Ballando con le Stelle in coppia con Stefano Oradei, ottenendo un grande successo di pubblico non solo per la sua determinazione ma anche per la bravura nel ballo. La forza dei media è sorprendente e può cambiare le cose e questo l’hanno capito bene gli avvocati di Tavares, che hanno inviato una missiva al Ministero della Giustizia e resa pubblica, nella quale hanno scritto che “non si comprende la necessità di così continue e pressanti divulgazioni da parte della signora Notaro. No al processo mediatico, no alla spettacolarizzazione dei casi, no alla riprovazione dell’avvocato difensore, no all’anticipazione del giudizio attraverso la gogna mediatica”. Non si è fatta attendere la risposta di Gessica, appoggiata da tutto il team del talent show: “Più mi dicono di tacere, più continuerò a parlare”. L’ex miss riminese non si è fermata neanche di fronte alle minacce degli stalker delle donne che lei sta aiutando, ma non intende fermarsi: “vado avanti, mi devono ammazzare”. Jessica va avanti nonostante tutto, nonostante la paura lei è ha vinto contro la violenza. È riuscita a riprendersi in mano la sua vita, ha ritrovato l’amore, è tornata a lavorare con i suoi amati delfini grazie anche alla sua famiglia. “Da qualche parte ho letto che una donna stalkerizzata è una donna sola. Qualche volta è vero, non sempre ovviamente. E non si tratta di essere fisicamente sole, ma chiuse in se stesse, pronte a difendere più il segreto di un amore malato che la propria vita. È questo che insegna il comportamento di Jessica Notaro.” Il commento della psicologa-psicoterapeuta Marinella Cozzolino, autore del libro “Il peggior nemico, storie di amore difficili” uscito nel 2001, che propone un’analisi del fenomeno dei delitti familiari e passionali. “Nel lontano 2000 - ha spiegato la Cozzolino - ho fatto una ricerca sui delitti familiari. Quella ricerca è diventata un libro. Sono anche uno psicologo giuridico e le relazioni affettive deviate e perverse sono il mio campo di studio. Ho analizzato i 266 casi di delitti familiari di cui hanno trattato i giornali da agosto 1999 a dicembre 2000. Un anno e mezzo. I numeri non sono quelli di oggi ma non si possono definire bassi. All’epoca le vittime di delitti familiari finivano sui giornali solo se ci scappava il morto. Questi casi quindi si riferiscono solo agli omicidi. Il reato di stalking già presente in America da più di vent’anni all’epoca, in Italia ancora non esisteva. Oggi abbiamo una legge sullo stalking ed anche circa 25 centri in Italia che si offrono per aiutare uomini in difficoltà ed incapaci di gestire gelosia ossessiva ed abbandono”. La fotografia da lei scattata nel 2000 può essere uguale o no a quella di oggi? “I dati che riporto si riferiscono a quel periodo, ma sono perfettamente sovrapponibili a quelli di oggi. Il legame tra vittima e carnefice, l’arma usata per il delitto e il movente, sono gli stessi. In diciotto anni non è cambiato assolutamente nulla, anzi la situazione è peggiorata e il numero di vittime raddoppiato”. Come da lei spiegato, a differenza di oggi, in passato si finiva sui giornali solo se ci scappava il morto. Cosa è cambiato negli anni? “Anche in questo caso poco e nulla. Si parla di donne abusate dai propri compagni solo quando muoiono o rischiano la vita. Per il resto, segregazione, violenza psicologica e fisica, percosse di qualsiasi natura ancora troppo spesso non vengono denunciate. I fatti che accadono, purtroppo, danno adito a questo. A distanza di poco, pochissimo tempo, la donna che ha denunciato ed il suo carnefice si ritrovano a vivere sullo stesso viale o sullo stesso pianerottolo, non è ammissibile. Avere paura è legittimo, non sentirsi tutelati è cronaca”. Secondo l’ultimo rapporto Eures sul femminicidio in Italia i numeri continuano a salire. Perché avvengono i delitti familiari?
  • 37. 37 “Il delitto familiare è frutto della cultura maschilista del possesso. Finché non ci saranno modi e forme di educazione all’affettività diversi dal nulla che ci avvolge, la situazione sarà sempre peggiore. Vanno educati gli uomini, ma anche le donne, a non cadere in alcune trappole a difendersi prima che sia troppo tardi. Non dimentichiamo che molte di queste persone, i carnefici, sono affette da vere e proprie patologie psichiatriche di cui nessuno si è mai occupato primadell’episodioomicida.Vogliamodefinirementalmente equilibrato chi uccide i figli per punire la moglie?” Vittimaecarnefice.Chisono?Sullabasedellasuaesperienza può spiegare qual è il meccanismo messo in atto? “Vittima e carnefice sono due persone che a loro modo si amano. O almeno così credono. È spesso, fin dall’inizio della storia che si notano comportamenti anomali del partner carnefice, che però vengono sottovalutati. Non c’è sempre un comune denominatore. Ci sono uomini che sono stati traditori seriali per tutta la durata della relazione con la donna che poi hanno ucciso nel momento in cui lei ha detto basta. In casi così non si può parlare di gelosia e neanche di paura dell’abbandono. In altri casi abbiamo soggetti assolutamente dipendenti dalla donna con cui hanno una relazione. È come se lei fosse una parte del loro valore. Valore che poi perdono quando lei decide di andar via”. È possibile, e come evitare di entrare nel tunnel pericoloso? “L’omicidio o il tentato omicidio sono solo l’apice di un’escalation di violenze e soprusi che appartengono al quotidiano di tutte le donne ferite a morte dai mariti. Si va da cose apparentemente leggere, come il divieto di vestire in un certo modo, di frequentare le amiche, il divieto ad uscire senza il marito, a guidare, a studiare, e potrei continuare. Nulla di tutto questo appartiene all’amore, che è innanzitutto riconoscimento dell’individualità dell’altro. Bisogna andare via alla prima esperienza violenta, non aspettare che la situazione degeneri, sperando invece che migliori”. L’appello delle Istituzioni (le parole dell’ex Presidente della Camera Boldrini) e dei media è rivolto anche agli uomini ai quali si chiede di uscire dal silenzio perché la battaglia contro il femminicidio si vince solo se si è tutti uniti. Cosa ne pensa? Secondo lei è possibile riuscire ad aiutare gli uomini a cambiare? “Certo che è possibile. Paradossalmente bisognerebbe dare voce a chi è in galera per questi reati. Cosa ci hanno guadagnato? Se proprio non riusciamo ad aiutare gli uomini a cambiare, dobbiamo rendere le donne competenti rispetto ai rischi che corrono in determinate situazioni e spingere lo Stato a cambiare una legge inconsistente e quindi inutile”. KNOW YOUR HOME, Protect your health. Scopri gli inquinamenti nella tua casa con N1 N1 è il primo dispositivo specifico per il monitoraggio delle principali fonti di inquinamento indoor che con il tempo possono nuocere alla salute della famiglia. www.nuvap.comwww.healthitalia.it/check-up ITALIA
  • 38. 38 Doll therapy, la terapia non farmacologica per i pazienti affetti da demenze a cura di Nicoletta Mele Una bambola per stimolare l’empatia e le emozioni dei pazienti affetti da demenze: è la Doll Therapy o “terapia della bambola”, sperimentata in tutto il mondo, e in grado di ridurre le alterazioni del comportamento. Secondo diversi studi la terapia può essere utilizzata sia con persone che hanno problemi del comportamento, sia in situazioni di ansia, agitazione o, al contrario, depressione ed apatia, per incentivare la relazione e per contenere gli sbalzi d’umore. Nasce in Svezia dall’idea di Britt Marie Egedius Jakobsson, psicoterapeuta, che ha utilizzato la bambola per stimolare l’empatia e le emozioni del proprio figlio affetto da autismo. Da quel momento in poi, e con uno sviluppo sempre maggiore, le bambole dedicate alla terapia come le “Empathy Doll” diventano in tutta Europa un oggetto simbolo nella relazione di aiuto. Esse verranno usate per stimolare l’emotività e l’empatia di bambini ed adulti e successivamente come elemento di cura e terapia per i malati di demenza. La popolazione italiana dal 2001 al 2011 ha subito un forte incremento demografico, crescendo di più di due milioni di unità, grazie al miglioramento della spettanza e della qualità della vita. Secondo le stime dell’Istat (Rapporto annuale 2017), se nel 2001 gli ultrasessantacinquenni costituivano circa il 18% della popolazione, oggi raggiungono il 22% del totale e nel 2043 oltrepasseranno il 32%. L’aumento della spettanza di vita media ha portato con sé una maggior diffusione delle patologie associate all’invecchiamento. Tra queste, la diffusione delle demenze si presenta come un fenomeno sociale drammatico, che incide pesantemente sulla vita del singolo malato e della sua rete familiare. L’Alzheimer’s Disease International ha stimato a livello mondiale per il 2017 quasi 10 milioni di nuovi casi di demenza all’anno (di cui circa 5 di Alzheimer), cioè un nuovo caso ogni 3,2 secondi. Si tratta di una crescita che porterà ad una quota complessiva di 74,7 milioni di malati nel 2030 e 131,5 milioni nel 2050. I numeri di questa “epidemia” parlano chiaro e si traducono in costi sia sociali che economici 38
  • 39. 39 estremamente rilevanti. I costi diretti dell’assistenza in Italia ammontano ad oltre 11 miliardi di euro, di cui il 73% a carico delle famiglie. Nel nostro Paese sono 1,2 milioni le persone affette da demenza. La limitata efficacia delle terapie farmacologiche e la plasticità del cervello umano sono le ragioni più importanti del crescente interesse per le terapie non farmacologiche come ad esempio la “Doll Therapy” o “Terapia della Bambola”. È un trattamento di tipo non farmacologico, che viene applicato in area geriatrica per il trattamento dei disturbi comportamentali nella persona affetta da demenza. Quali sono le sue azioni e quali i benefici per i pazienti dementi degenti in RSA? Health Online l’ha chiesto al Prof. Giancarlo Isaia, Professore Ordinario di Medicina Interna e Geriatria all’Università di Torino e Responsabile del reparto di Geriatria e Malattie Metaboliche dell’Osso dell’ospedale Molinette della Città della Salute di Torino, struttura che ha attivato di recente la terapia. “Le azioni della Doll Therapy - ha spiegato Isaia - possono realizzarsi sia a livello preventivo che di cura, attraverso il supporto alla salute che può derivare da alcuni benefici dell’intervento organizzato sistematicamente e professionalmente, quali: • la modulazione di stati d’ansia e di agitazione e delle loro manifestazioni sintomatiche come aggressività, insonnia, apatia o wandering; • la conseguente possibilità di ridurre sensibilmente il ricorso ai sedativi; • la riduzione di condizioni di apatia e depressione, caratterizzate da disinteresse ed inattività totale; • la capacità di rispondere ai bisogni emotivi-affettivi che, malgrado il deterioramento cognitivo, rimangono presenti ma non sono più soddisfatti come in età precedenti; • la possibilità di ostacolare il deterioramento di alcune abilità cognitive e di sostenere l’utilizzo di prassi motorie che fungono da stimolo delle abilità residue. A partire dall’osservazione delle potenzialità di questa terapia, essa può essere considerata un metodo integrativo, piuttosto che alternativo, ma anche uno strumento di riabilitazione in grado di aiutare a ridurre e compensare le compromissioni funzionali degenerative”. Per i pazienti dementi degenti in RSA, quali sono stati i risultati raggiunti? “Datipreliminaridimostranocheperquestipazienti la terapia con la bambola è stata utile nel ridurre i sintomi di aggressività ed il carico infermieristico in pazienti lungodegenti, con effetti migliori dell’approccio farmacologico tradizionale nel sedare i pazienti agitati senza avere effetti collaterali”. È possibile anche ridurre l’uso di farmaci con un miglioramento del quadro clinico del paziente? “A questo riguardo, occorre precisare che attualmente purtroppo non esistono terapie validate per bloccare o per invertire i processi che portano al deterioramento del cervello e che tutte le terapie farmacologiche attualmente disponibili sono definite “sintomatiche”, ossia hanno il compito di controllare e rallentare i sintomi della malattia. Non si può escludere tuttavia che questo approccio non farmacologico possa consentire di ridurre i farmaci, non di rado gravati da effetti indesiderati”. Come avviene il trattamento? Qual è il ruolo e quali sono i parametri di scelta della bambola? “Prima di tutto si effettua una valutazione clinica preliminare e, sulla base di griglie di osservazione e della conoscenza della biografia dei soggetti interessati, vengono scelti i momenti più opportuni per consegnare la bambola terapeutica, che viene riconosciuta come un bambino e quindi accudita. Questo momento di relazione con la bambola, che può durare anche un’ora, è fonte di emozioni positive come la gioia, la tenerezza, la sorpresa e può dare la sensazione di riappropriarsi di un ruolo avuto in passato (prendersi cura) e di elementi della propria storia di vita. Vengono scelti i pazienti che presentino disturbi del comportamento come problemi di agitazione durante le cure di base, l’insonnia notturna, l’affaccendamento, il vagabondaggio e l’apatia”. Da cosa nasce l’idea di applicare la Doll Therapy presso la struttura da lei diretta? “Gli Specialisti neurogeriatri della SC Geriatria e Malattie Metaboliche dell’osso da me diretta si applicano da moltissimi anni alla diagnosi ed alla terapia della demenza e sono stati coinvolti in numerose sperimentazioni cliniche. Essendo una struttura universitaria, abbiamo ritenuto istituzionalmente doveroso esplorare nuove strade nel trattamento di questi difficili pazienti, ad integrazione dei trattamenti farmacologici, anche per dare un “messaggio” di tipo culturale di apertura verso nuovi approcci non farmacologici nel trattamento di numerose
  • 40. 40 malattie croniche. Inoltre vorremmo aggiungere nostri dati a quelli già presenti in letteratura apportando i risultati scientifici della nostra esperienza” Perché oggi sempre più spesso si utilizzano terapie non farmacologiche come la Doll Therapy? “Proprio la sostanziale inefficacia dei farmaci, non privi di effetti collaterali, ha stimolato in tutto il mondo approcci non farmacologici come la Doll o la Pet Therapy, che certamente non provocano effetti secondari, sono di costo limitato, hanno dato risultati incoraggianti sia sui pazienti che sul personale curante e che pertanto meritano di essere sperimentate”. Quali sono i suoi consigli? “Considerando lo sviluppo demografico del genere umano, sempre più orientato ad un incremento nel numero di persone anziane, molte delle quali soffriranno di disturbi cognitivi, ritengo anzitutto importante che le Istituzioni si occupino maggiormente di questi malati, fornendo supporto di tipo socio-assistenziale sia al paziente sia alla famiglia, ed addestrando i caregiver all’uso di terapie alternative come appunto la Doll Therpy. Spesso infatti la demenza è definita anche “malattia della famiglia”, perché, pur interessando a livello organico il paziente, i suoi effetti negativi colpiscono, e colpiscono duramente, anche coloro che fanno parte della vita quotidiana del malato. Inoltre è importante intervenire sull’ambiente (“milieu therapy”), adattando le strutture ambientali alle limitazioni fisiche e psichiche del paziente, per renderlo compatibile con le sue capacità, garantirgli sicurezza e aiutandolo così a mantenere il suo miglior grado funzionale possibile.”