1. L’Introduzione al Decameron presenta una struttura tripartita. Ne analizziamo
qui la prima parte, che consiste in un breve prologo e nella descrizione
fisiologica della peste che colpì Firenze nel 1348; seguiranno la descrizione
degli effetti sociali del contagio [I10b] e il racconto di come si sia formata
quell’«allegra brigata» di giovani che diverranno poi i narratori delle novelle
[I10c].
Prologo
Nel Prologo [1] l’autore-narratore, rivolgendosi a un pubblico femminile, quelle
«graziosissime donne» cui ha già chiarito di voler rivolgere il Decameron [I9],
presenta il «grave e noioso principio» dell’intera opera, cioè la «pestifera
mortalità trapassata». Vengono così indicate le coordinate storiche necessarie
a comprendere appieno il significato del Decameron. Francesco De Sanctis
parlerà di quest’opera come di una «commedia umana», sottolineando al
tempo stesso l’analogia e la differenza con il poema dantesco. La definizione di
“commedia”, nel senso in cui il termine era usato nel Medioevo, può in effetti
adattarsi all’opera di Boccaccio perché essa, come quella di Dante, perviene a
una conclusione positiva partendo da un incipit doloroso. Ma l’azione in
Boccaccio – a differenza di quanto avviene in Dante – è tutta collocata nella
concreta realtà terrena. Boccaccio, presentando la peste come un evento
eccezionale di cui non è possibile spiegare univocamente la causa, sottolinea a
ogni modo la necessità strutturale di tale «orrido cominciamento» attraverso
una similitudine con il viandante di montagna, che saprà meglio apprezzare la
vetta raggiunta se vi sarà pervenuto percorrendo un sentiero difficile ed erto.
La similitudine del viaggio lascia trasparire un secondo modello oltre a quello di
Dante: si tratta del Petrarca delle Familiares (si pensi in particolare alla lettera
sull’ascesa al monte Ventoso [H12]), da cui sembra provenire l’immagine
della scalata verso vette difficili raggiungibili solo per sentieri impervi.
La descrizione fisiologica della peste
Un’espressione retorica solenne, latineggiante («Dico adunque»), volta a
conferire al discorso un tono elevato secondo quanto stabilito dall’ars dictandi,
apre la descrizione del diffondersi dell’epidemia. Per definire in modo realistico
e storicamente esatto l’accadimento, Boccaccio ne fornisce subito le coordinate
storiche («erano gli anni della fruttifera incarnazione del Figliuolo di Dio al
numero pervenuti di milletrecentoquarantotto») e geografiche («quando nella
egregia città di Fiorenza…»), a ribadire che si sta qui narrando un fatto
realmente accaduto, testimoniato dai documenti e di cui ha avuto diretta
esperienza il narratore stesso. Quest’ultimo infatti garantisce la veridicità di
alcuni tra i dettagli più impressionanti, invocando direttamente la
testimonianza dei propri occhi (come nell’episodio dei due porci collocato alla
fine di questo brano). La descrizione della peste può apparire più opera di un
cronista che di un narratore: Boccaccio infatti esprime con linguaggio e stile
adeguati un fatto realmente accaduto. Ma al tempo stesso, come ogni scrittore
medievale fedele alla tecnica dell’imitatio, egli non dimentica gli esempi classici
di descrizione letteraria delle pestilenze .
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2. La solennità dello stile
Il Decameron si presenta nel suo complesso come un’opera pluristilistica,
capace di alternare diversi registri in coerenza con la varietà dei temi trattati.
Nell’Introduzione possiamo riconoscere uno stile solenne, di intonazione alta.
Prendiamo in esame il passo con cui si apre la descrizione fisiologica della
peste («Dico adunque… ampliata» [2]). La descrizione inizia con due periodi
ipotattici – più breve il primo, più ampio e complesso il secondo – divisi da un
punto e virgola. Numerosi sono gli aggettivi che connotano la peste come un
evento eccezionale e catastrofico (oltre a «mortifera», si notino «inique» e
«inumerabile»; funzione simile ha l’avverbio «miserabilmente»). La sintassi è
latineggiante: già nel primo dei due periodi è possibile evidenziare l’inversione
dell’ordine degli elementi della frase («pervenne la mortifera pestilenza»). Nel
secondo periodo, tipicamente latina appare la collocazione del nesso relativo
«la quale» a inizio di frase, subito dopo il punto e virgola: il verbo che ha «la
quale» come soggetto comparirà solo a fine enunciato («s’era ampliata»), dopo
una serie di subordinate implicite espresse al gerundio o al participio. Il ritmo
del testo è garantito da raffinati espedienti retorici come il cursus velox che
incontriamo al termine della prima frase («mortìfera pestilénza») . 2
Latineggiante è anche il collegamento con la frase successiva (la congiunzione
«E» introduce una proposizione causale espressa con il gerundio): lo stile
solenne prevale infatti anche negli altri periodi che descrivono la pestilenza
osservandola con l’occhio attento del patologo, e si ritrova nella
rappresentazione fortemente realistica della diffusione dei «gavoccioli» e degli
altri sintomi del male.
La collocazione del brano nell’Introduzione
La descrizione degli effetti fisiologici della peste non è fine a se stessa e va
inquadrata nel contesto di questa ampia Introduzione. Non è causale la
similitudine che avvicina questo «orrido cominciamento» del Decameron a una
montagna da scalare con fatica per potere poi godere del «bellissimo piano e
dilettevole» che è posto al di là di essa [1]. L’epidemia è infatti l’ostacolo che
la Natura e la Fortuna impongono all’uomo e al dispiegarsi della sua natura
sociale. La seconda parte dell’Introduzione [I10b] sarà pertanto dedicata ai
devastanti effetti sociali che il diffondersi del contagio produce sulla
cittadinanza fiorentina.
Oltre a quello greco di Tucidide (Guerra del Peloponneso, II, 49 ss.), scrittore del V secolo a.C.
di cui Boccaccio poteva avere conoscenza indiretta, e oltre al modello latino di Lucrezio (De
Rerum Natura, VI), si può richiamare l’opera di Paolo Diacono (Historia Langobardorum, II, 4),
scrittore tardolatino dell’VIII sec. d.C. che narrò gli eventi relativi all’epidemia diffusasi sotto
Giustiniano (565).
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Si definisce cursus la «collocazione ritmica delle due ultime parole di una frase. Si distinguono
quattro tipi di cursus medievale: a) il cursus planus: esempi di Dante: cogitatióne metíri;
siámo suggétti; b) il cursus velox: esempi di Dante: consília respondémus; desíderan(o) di
sapére; c) il cursus tardus: esempi di Dante: prodésse tentábimus; párte dell’ánima; d) il
cursus trispondaicus; es.: ésse videátur» (Angelo Marchese, Dizionario di retorica e stilistica,
Milano, Mondadori, 1978). Nel testo qui analizzato si possono trovare esempi di cursus planus
come «caddero in terra» o «toccator trasportare».