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Buona lettura,
Lorenzo Fazio
Direttore editoriale Chiarelettere
6. © 2012 Chiarelettere editore srl
Autori e amici di
chiarelettere
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Carlotta Zavattiero, Luigi Zoja.
7. © 2012 Chiarelettere editore srl
1
PRETESTO f a pagina 132
“ orrei dire ai giovani che
V
è fondamentale recuperare
la memoria della storia italiana,
al di là di questo ventennio.
Vorrei dire loro che devono
assolutamente provare
a ricominciare dal patrimonio,
andato in parte disperso
in quel ’92, con lo stragismo...
per costruire un futuro di legalità.
L’Italia migliore è lì, in quel pezzo
di storia che le stragi hanno
tentato di cancellare.
Da lì, da quel patrimonio etico
e morale, bisogna ricominciare.”
8. © 2012 Chiarelettere editore srl
2
PRETESTO f a pagina 59-60
“ n’azione criminale diventa
U
legittima solo perché
eseguita nell’interesse dello
Stato? E chi può legittimare
una tale azione? Chi ci
difende come cittadini
dall’abuso della ragion di
Stato (soprattutto se questa
viene coperta dal segreto)?”
a pagina 47
f
“ lungo lo Stato ha avuto
A
il volto di Contrada.
L’anomalia era Falcone.”
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f a pagina 39
“ l vero cataclisma per la classe
I
politica è stato l’omicidio Lima.
Le minacce di golpe infatti arrivano
dopo l’omicidio Lima, non dopo
le stragi di Capaci e via D’Amelio.
Questo ci fa capire molto dello
spirito della politica antimafia
in Italia e direi persino dell’essenza
del potere mafioso.”
f a pagina 154
“ ono convinto che tutti
S
gli attacchi alla mia
persona, infondati,
ingenerosi, ingiustificati,
siano soprattutto
strumentali.”
10. © 2012 Chiarelettere editore srl
PRETESTO
3 f a pagina 43
“ a legislazione cosiddetta
L
‘di emergenza’ non è
un’emergenza per tutelare
la quiete pubblica, ma per
tutelare la classe dirigente
che solo nel momento
in cui si sente direttamente
minacciata è pronta a reagire
per legittima difesa. Altro
che antagonismo dello Stato
nei confronti della mafia.”
f a pagina 94
Le leggi che hanno finito per favorire
“
più direttamente il sistema mafioso
sono state emanate con maggioranze
oceaniche.”
11. © 2012 Chiarelettere editore srl
f a pagina 115
“ l magistrato dev’essere indipendente rispetto
I
agli altri poteri, autonomo e imparziale, perché
esercita il controllo della legalità, ma non dev’essere
neutrale.”
f a pagina 149
Non mi pare che
“
allo stato ci siano
le condizioni
per mie candidature
in generale, ma
certamente non mi
candiderei mai
sotto le bandiere
di un partito.”
12. © 2012 Chiarelettere editore srl
© Chiarelettere editore srl
Soci: Gruppo editoriale Mauri Spagnol S.p.A.
Lorenzo Fazio (direttore editoriale)
Sandro Parenzo
Guido Roberto Vitale (con Paolonia Immobiliare S.p.A.)
Sede: Via Melzi d’Eril, 44 - Milano
isbn 978-88-6190-304-3
Prima edizione: novembre 2012
www.chiarelettere.it
blog / interviste / libri in uscita
13. © 2012 Chiarelettere editore srl
Antonio Ingroia
Io so
Giuseppe Lo Bianco
Sandra Rizza
chiarelettere
14. © 2012 Chiarelettere editore srl
Antonio Ingroia è nato a Palermo cinquantatré anni fa. Nel 1987 è en-
trato in magistratura e ha iniziato la carriera al fianco di Giovanni Fal-
cone e soprattutto di Paolo Borsellino, di cui è stato l’allievo prediletto.
Dal 1992 ha svolto la sua attività nella Procura distrettuale antimafia
di Palermo occupandosi di molti processi importanti, da quelli agli alti
funzionari dei servizi segreti Contrada e Mori al processo Dell’Utri,
dall’omicidio Rostagno alla scomparsa del giornalista Mauro De Mau-
ro, fino all’ultima clamorosa inchiesta sulla trattativa Stato-mafia. Dal
2009 è procuratore aggiunto a Palermo e coordinatore della Procura
distrettuale antimafia. Nel novembre 2012 ha accettato l’incarico pro-
postogli dall’Onu di capo dell’Ufficio Indagini della Commissione in-
ternazionale contro l’impunità in Guatemala. Collaboratore de «l’Uni-
tà», di «MicroMega» e di altre riviste, ha scritto vari libri, fra cui C’era
una volta l’intercettazione (Nuovi Equilibri-Stampa alternativa 2009),
Nel labirinto degli dei (Il Saggiatore 2010), Palermo (Melampo 2012).
Giuseppe Lo Bianco, cronista giudiziario da oltre venticinque anni
a Palermo, ha lavorato al «Giornale di Sicilia» e a «L’Ora» negli anni
della guerra di mafia. Oggi collabora con «il Fatto Quotidiano» e con
«MicroMega». Ex corrispondente de «l’Espresso» dalla Sicilia, ha scrit-
to con Franco Viviano La strage degli eroi (Edizioni Arbor 1996). Con
Sandra Rizza, Rita Borsellino. La sfida siciliana (Editori Riuniti 2006),
Il gioco grande. Ipotesi su Provenzano (Editori Riuniti 2006), L’agenda
rossa di Paolo Borsellino (Chiarelettere 2007), Profondo nero (Chiare-
lettere 2009), L’agenda nera (Chiarelettere 2010) e due ebook: Il de-
pistaggio (Chiarelettere 2012) e Petrolio e sangue (Chiarelettere 2012).
Sandra Rizza, per un decennio cronista giudiziaria all’Ansa di Paler-
mo, ha imparato il mestiere di giornalista negli stanzoni de «L’Ora»
di Palermo, negli anni caldi della guerra di mafia, passando presto
alla cronaca nera e giudiziaria. Ha collaborato con «il manifesto» e
con «La Stampa», ed è stata corrispondente dalla Sicilia del settima-
nale «Panorama» negli anni delle stragi 1992-93. Oggi collabora con
«MicroMega» e scrive su «il Fatto Quotidiano». Ha scritto Rita Atria.
Una ragazza contro la mafia (edizioni La Luna 1993). Con Lo Bianco
ha scritto Rita Borsellino. La sfida siciliana (Editori Riuniti 2006), Il
gioco grande. Ipotesi su Provenzano (Editori Riuniti 2006), L’agenda
rossa di Paolo Borsellino (Chiarelettere 2007), Profondo nero (Chiare-
lettere 2009), L’agenda nera (Chiarelettere 2010) e due ebook: Il de-
pistaggio (Chiarelettere 2012) e Petrolio e sangue (Chiarelettere 2012).
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Sommario
io so
Al di là delle prove acquisite 7
Le stragi 17
La Seconda Repubblica 67
Il berlusconismo e l’attacco alle libertà 107
Il conflitto con il Quirinale 135
Arrivederci Italia 151
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Io so. Io so i nomi dei responsabili di quello che viene
chiamato «golpe» (e che in realtà è una serie di «golpe»
istituitasi a sistema di protezione del potere). Io so
i nomi delle persone serie e importanti che stanno
dietro ai tragici ragazzi che hanno scelto le suicide
atrocità fasciste e ai malfattori comuni, siciliani o no,
che si sono messi a disposizione, come killer e sicari.
Io so tutti questi nomi e so tutti i fatti (attentati alle
istituzioni e stragi) di cui si sono resi colpevoli. Io
so. Ma non ho le prove.
Pier Paolo Pasolini
Parafrasando Pasolini, io so che lo Stato ha avuto una
responsabilità nella morte di Paolo Borsellino, e non
mi riferisco soltanto a una responsabilità morale ed
etica. Sono convinto che uomini dello Stato hanno
avuto una responsabilità penale in quell’eccidio. E
le cose emerse negli ultimi anni sul clamoroso – a
dir poco – e criminale depistaggio, non fanno che
confermare questa convinzione.
Antonio Ingroia
23. © 2012 Chiarelettere editore srl
Al di là delle prove acquisite
A vent’anni dalle stragi, si avverte l’esigenza di un appro-
fondimento su quanto è accaduto in Italia dal 1992 a
oggi. È necessario un ripensamento critico che non debba
esclusivamente tener conto delle risultanze processuali.
L’azione della giustizia, infatti, in questo ventennio ha
manifestato tutti i suoi limiti, che consistono nell’esi-
genza prevista dal codice di trovare delle prove concrete,
in ordine a reati specifici e a responsabili individuati con
certezza. Ma non sempre queste prove e questi responsabili
possono essere individuati, specialmente nell’ambito di
indagini su episodi criminali che si iscrivono in una più
ampia «strategia della tensione» fortemente orientata da
interessi politici e da registi occulti, sulla quale sin dai
primi momenti sono calate nebbie e cortine fumogene
finalizzate a depistare l’accertamento della verità. Le
indagini su Capaci e su via D’Amelio, infatti, nonostan-
te il massimo impegno profuso negli ultimi tre anni dal
procuratore di Caltanissetta Sergio Lari e dal suo pool
antimafia, ci offrono oggi un quadro definitivo del livello
della manovalanza delle due stragi, ma non ci svelano
ancora i nomi e i volti dei cosiddetti mandanti a volto
coperto, né quelli dei complici provenienti da ambienti
paraistituzionali, che con tutta probabilità hanno fornito
24. © 2012 Chiarelettere editore srl
8 Io so
assistenza e coperture nella preparazione e nella realizza-
zione degli attentati.
Oggi è pertanto impossibile ripensare agli ultimi vent’anni
della storia italiana costringendo l’analisi all’interno della
cornice giudiziaria e basandoci esclusivamente sulle risultanze
investigative. La storia, per fortuna, non ha gli stessi vincoli
della giustizia: il mestiere di storico e quello di giudice sono
irriducibili e non potranno mai essere sovrapponibili. Ci
piace sempre citare Carlo Ginzburg, che ha rilevato come
«uno storico ha il diritto di scorgere un problema, là dove
un giudice deciderebbe il non luogo a procedere». Per
questo rivendichiamo – come giornalisti e come cittadini – il
diritto di interrogarci e di riflettere, senza l’onere della
prova, sul ventennio berlusconiano e sulle sue origini, anche
tenendo conto delle ipotesi investigative che si sono concluse
con un’archiviazione, non per inconsistenza dell’analisi
(che risulta ancora oggi logicamente e cronologicamente
attendibile) ma per l’assenza di prove certe in ordine a precisi
responsabili. Come diceva Pier Paolo Pasolini, è possibile
sapere e capire anche senza avere le prove.
La nostra riflessione oggi ci porta a ritenere che le stragi
del ’92 e le bombe del ’93 hanno portato a destabilizzare il
quadro istituzionale della Prima Repubblica e ad azzerare
la vecchia classe politica creando un vuoto, colmato
«in progress» dal nuovo soggetto politico, Forza Italia,
scaturito fin dal ’92 da un’intuizione di Marcello Dell’Utri.
Un movimento populista e demagogico che raccoglie e
sviluppa molti dei criteri ispiratori del progetto eversivo
di Licio Gelli, capo della P2, che già dal ’76 sognava
l’affermazione di un partito deideologizzato, fondato
su club territoriali, in grado di manipolare gli umori
dell’elettorato attraverso il controllo esteso dei mezzi di
informazione.
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Al di là delle prove acquisite 9
Il capo del nuovo partito, che nel ’94 si afferma con
un successo elettorale senza precedenti, è l’imprenditore
Silvio Berlusconi, tessera P2 n. 1816, che tra i suoi più
fidati collaboratori arruolerà alcuni «fratelli» della Loggia
Propaganda sciolta nell’82 e ritenuta responsabile di voler
sovvertire l’ordine costituzionale dello Stato. Non a caso
sull’ingente e rapidissima fortuna economica del nuovo
leader pesa come un macigno il sospetto (mai dimostrato)
di aver riciclato i fiabeschi capitali mafiosi del narcotraffico.
Non a caso il nuovo partito, Forza Italia, si afferma proprio
in virtù di una straordinaria campagna pubblicitaria che
utilizza l’impero mediatico (tv e giornali) di Berlusconi,
reclutando le star più popolari del piccolo schermo e un
gran numero di direttori e editorialisti dei quotidiani e dei
settimanali della «famiglia», nella propaganda di regime
che per vent’anni martella senza sosta l’opinione pubblica
italiana, secondo la lezione del Gran Maestro Gelli. E
l’agenda politica dei governi di Berlusconi, in particolare
nell’ultimo decennio, è stata chiaramente improntata a
un’azione di demolizione costante della Carta costituzionale,
con un’aspirazione evidente a soffocare i diritti garantiti e
a sovvertire l’equilibrio tra i poteri (esecutivo, giudiziario
e legislativo) su cui si fonda la democrazia. L’attacco, con
abbondante ricorso all’insulto, all’autonomia dei magistrati,
alle funzioni del parlamento, alla libertà di stampa, è stato il
leitmotiv del discorso berlusconiano in tutto l’arco temporale
del suo premierato.
È per questo che oggi ci sentiamo più che mai legittimati
a chiederci quanto profetica fosse l’ipotesi investigativa
formulata negli anni passati dalla Procura di Palermo
nell’inchiesta denominata «Sistemi criminali» (conclusa
con un’archiviazione), nel corso della quale si era cercato di
individuare in una lobby politico-finanziaria non mafiosa,
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10 Io so
facente capo a Licio Gelli e costituita da massoneria,
finanza illegale, destra eversiva e frange dei servizi segreti,
quell’intelligenza collettiva che avrebbe orientato e affiancato
Cosa nostra nella progettazione e nell’esecuzione delle stragi.
Nell’inchiesta, oltre a Gelli, erano indagati tra gli altri gli
ex missini Stefano Menicacci e Stefano Delle Chiaie, l’ex
ordinovista Rosario Pio Cattafi, il ragioniere delle cosche
Giuseppe Mandalari e i boss Totò Riina, Giuseppe e Filippo
Graviano, tutti accusati di aver «promosso, costituito,
organizzato, diretto e/o partecipato a un’associazione [...]
avente a oggetto il compimento di atti di violenza con fini
di eversione dell’ordine costituzionale».1 Questo perché la
convinzione che il nuovo indirizzo stragista perseguisse, in
realtà, obiettivi che andavano al di là degli interessi esclusivi
di Cosa nostra appare ormai acquisita e fuori discussione.
Non c’è dubbio, infatti, che l’«atipicità» degli attentati
(soprattutto di quelli del ’93) rispetto a quelli tradizionali
di Cosa nostra potesse risultare funzionale non solo alle
finalità «terroristiche» della mafia, ma anche agli scopi di
entità criminali diverse, interessate al conseguimento di
un obiettivo di più ampia portata: ovvero «l’azzeramento
del quadro politico-istituzionale nazionale» e la «totale
destabilizzazione del paese per agevolare la realizzazione
di una forma di golpe che mutasse radicalmente il quadro
politico-istituzionale in modo più idoneo alla realizzazione
degli interessi illeciti mafiosi».2 In poche parole, «la presa del
potere da parte del cosiddetto sistema criminale»,3 anche a
costo di sacrificare l’unità d’Italia. Oggi siamo più che mai
1
Richiesta di archiviazione dell’indagine «Sistemi criminali» (Licio
Gelli + 13), Palermo, 2001.
2
Ibidem.
3
Ibidem.
27. © 2012 Chiarelettere editore srl
Al di là delle prove acquisite 11
autorizzati a chiederci se in queste parole finite in archivio,
e private per sempre di una verifica dibattimentale, c’è la
sconcertante realtà di quanto è accaduto nel nostro paese.
Cos’è veramente successo in Italia? Le stragi hanno
spalancato le porte a un golpe bianco? Il ventennio
berlusconiano, che ne è stato l’esito politico, è la proiezione
istituzionale di un progetto criminale? La classe politica che ci
ha governato, dalla nascita della Seconda Repubblica in poi,
conserva tuttora al suo interno alcuni ingranaggi perversi del
sistema criminale? È in questa chiave – ora che la parabola del
berlusconismo sembra avviata al tramonto – che dobbiamo
leggere la deriva democratica prodotta dalle riforme legislative
proposte (e fortunatamente attuate solo in parte) dai governi
del Cavaliere, con qualche colpo di coda parlamentare sotto il
governo Monti? E perché la sinistra e le forze di opposizione
non sono riuscite a porre un argine a questo assalto di stampo
piduista puntato al cuore della democrazia?
Equivalente italiana del gollismo francese o del peronismo
argentino, la leadership berlusconiana, dal ’94 a oggi, ha
espresso una classe dirigente incline alla corruzione, volgare,
apertamente razzista. Gli affari illeciti delle «cricche» e la
caccia all’extracomunitario, le «ronde» e il bunga bunga,
l’informazione ridotta a dossieraggio e lo spionaggio aziendale,
il lifting e il trapianto dei capelli, la patente di «eroismo»
ai boss omertosi e quella di «diversità antropologica» ai pm
antimafia, il presidente operaio e il milione di posti di lavoro,
il partito dell’amore e lo Stato-azienda, la compravendita di
deputati in parlamento e la cocaina nei ministeri, il contratto
con gli italiani e le barzellette, l’esibizionismo sessuale e la
prostituzione intellettuale e politica (oltre che fisica), sono i
frammenti di un’incultura di massa che, complice la sinistra,
ha trasformato il paese in una squallida caricatura dell’Italietta
fascista, zimbello del mondo intero. Come si spiega, però,
28. © 2012 Chiarelettere editore srl
12 Io so
che la cultura ufficiale, la letteratura e il cinema – tranne
alcune sparute sacche di resistenza – in questo ventennio
sciagurato abbiano finito per scegliere «l’evasione», fingendo
di non accorgersi della degenerazione democratica? Siamo
davanti a una compiuta mafiosizzazione culturale dello Stato?
Sono domande dolorose e spietate. Ma sono domande
che oggi, a vent’anni dal sacrificio di Giovanni Falcone e
Paolo Borsellino, e di tutte le altre vittime delle stragi del
’92 e del ’93, abbiamo il dovere di farci. Anche per capire
dove stiamo andando.
Dopo vent’anni di interrogativi senza risposta, di depistaggi
e di verità parziali, oggi il tramonto del berlusconismo
coincide con la parabola discendente del boss Bernardo
Provenzano, che è stato – secondo la ricostruzione della
Procura di Palermo – l’alter ego occulto del potere, nell’ultimo
ventennio caratterizzato dal patto di convivenza tra Stato
e Cosa nostra. La vicenda ancora tutta da decifrare del
mediatore misterioso che sostiene di aver offerto alla Dna la
cattura di Provenzano, tra il 2003 e il 2005, in cambio di una
taglia di due milioni di euro, è la degna conclusione di una
lunga stagione attraversata dal dialogo sotterraneo tra i boss
e le istituzioni. Il mediatore, tale Vittorio Crescentini (che
dice di aver collaborato con la Cia) è un commercialista che
si accredita come persona di fiducia dei finanzieri di Rieti: nei
tre incontri con i magistrati di via Giulia, rivela che «Binnu
è stanco», che «vuole andare in pensione» e che è disposto a
lasciarsi catturare, a condizione che l’arresto risulti come il
frutto di un «tradimento». Il commercialista però non viene
creduto e il suo «patto di Giuda», secondo la ricostruzione
ufficiale, rimane solo una proposta indecente, per lo
scetticismo manifesto di due capi della Procura nazionale
antimafia: prima Pier Luigi Vigna e poi Piero Grasso. Ma la
fiducia accordata a quella «trattativa» abortita, da altri due pm
29. © 2012 Chiarelettere editore srl
Al di là delle prove acquisite 13
della Dna, Vincenzo Macrì e Alberto Cisterna, riapre oggi
molti interrogativi. In primo luogo, perché Provenzano viene
effettivamente catturato cinque mesi dopo l’ultimo incontro
tra Crescentini e Grasso, con una sorprendente coincidenza
temporale che fa dire al mediatore, informato dell’arresto al
telefono da un finanziere: «L’avete venduto». E poi perché
Cisterna, l’ex braccio destro di Grasso, indagato (e archiviato)
a Reggio Calabria per corruzione in atti giudiziari, a un certo
punto (il 17 giugno 2011) si ritrova interrogato proprio da
Giuseppe Pignatone, il magistrato che l’11 aprile 2006, dalla
Procura di Palermo, coordinò l’arresto del boss corleonese a
Montagna dei Cavalli. Risultato? Tanti riferimenti allusivi
e promesse (o minacce) di vuotare il sacco sui retroscena
di un blitz raccontato ai media di tutto il mondo come un
successo epocale dello Stato. Uno sceneggiatore di questi
vent’anni di berlusconismo italiano non poteva scegliere
un finale migliore – e ovviamente del tutto aperto – della
trattativa tra le istituzioni e Cosa nostra per raccontare la
Seconda Repubblica, inaugurata, come dice Antonio Ingroia,
«sul sangue dei servitori dello Stato». E arrivata ormai al
capolinea, con Provenzano che tenta (o simula) in una cella
di Parma un maldestro suicidio.
Non sappiamo cosa ci aspetta e quale sarà l’epilogo della
Seconda Repubblica e del ventennio berlusconiano. La
transizione, infatti, «potrebbe essere infinita o finire con la
scomparsa dello Stato Italia, frantumato in più staterelli o
sussunto in uno Stato europeo. Potrebbe concludersi in un
regime non più democratico».4 Potrebbe. Se noi abdichiamo
al nostro diritto-dovere di vigilanza democratica.
4
Lucio Caracciolo, L’Italia alla ricerca di se stessa, in Giovanni Sab-
batucci, Vittorio Vidotto, Storia d’Italia, vol. VI, Laterza, Roma-
Bari 1999.
30. © 2012 Chiarelettere editore srl
14 Io so
Per questo è importante rileggere e capire i fatti accaduti.
Per questo abbiamo chiesto a un magistrato come Ingroia,
fino a pochi giorni fa procuratore aggiunto di Palermo e
protagonista negli ultimi vent’anni dell’indagine sui «Sistemi
criminali», su Contrada, sulle holding di Berlusconi, su
Dell’Utri, sul delitto Rostagno, sulla scomparsa di Mauro
De Mauro, e sulla trattativa tra Stato e mafia, di offrirci la
sua analisi sul ventennio trascorso. Ingroia è un uomo che
sa. Anzi, è l’uomo che sa più di tutti. È l’allievo di Falcone
e Borsellino, ed è un testimone privilegiato dei fatti e dei
misfatti del ventennio berlusconiano. È il magistrato che,
da quella trincea del diritto che è stata e continua a essere
la Procura di Palermo, ha conosciuto e interrogato mafiosi,
pentiti, 007, ministri, parlamentari ed ex capi dello Stato,
faccendieri ed estremisti di destra, protagonisti e comprimari
del tragico teatrino della politica italiana tra la Prima e la
Seconda Repubblica. Quello che Ingroia sa, lo sa non solo
in virtù delle sue voluminose indagini e della sua esperienza
investigativa, ma anche perché è un osservatore che, secondo
l’insegnamento di Pasolini, «coordina fatti anche lontani,
mette insieme i pezzi disorganizzati e frammentari di un
intero coerente quadro politico, ristabilisce la logica là dove
sembrano regnare l’arbitrarietà, la follia e il mistero».5 In
una parola: un uomo che pensa. Il ventennale delle stragi
è anche per lui un giro di boa: dopo avere concluso le
indagini sulla «trattativa» e avere assistito alla sentenza
della Cassazione che ha di fatto confermato il bollo di
mafiosità su Marcello Dell’Utri (sia pure con distinguo
temporali), illuminando tutta l’ambiguità di Berlusconi
5
Pier Paolo Pasolini, Cos’è questo golpe?, in «Corriere della Sera», 14
novembre 1974, poi in Scritti corsari (Garzanti, Milano 1975) con
il titolo Il romanzo delle stragi.
31. © 2012 Chiarelettere editore srl
Al di là delle prove acquisite 15
nei suoi rapporti con Cosa nostra, Ingroia ha lasciato la
magistratura per una nuova avventura professionale sotto
l’egida delle Nazioni Unite, sempre nel segno della difesa
di quei valori di legalità e giustizia che hanno segnato la sua
carriera. Ora che non è più un pubblico ministero, ora che
Ingroia è un cittadino libero dai vincoli di stretto riserbo che
la toga gli ha finora imposto, può regalarci una riflessione
ampia sulla stagione berlusconiana che spazia dalla cronaca
giudiziaria alla politica, dall’economia alla cultura, e che non
va letta come una requisitoria, ma come la testimonianza di
una fedele sentinella della Carta costituzionale. «Un giudice»
ha detto Ingroia nell’intervento pubblico che gli è costato
una censura del Csm «ha il dovere di essere imparziale, ma
fra chi difende la Costituzione e chi quotidianamente cerca
di violarla, violentarla, stravolgerla, io so da che parte stare.»
Le sue parole suonano come la più vibrante dichiarazione
d’amore che si possa rivolgere al proprio paese, ricordando
i colleghi uccisi, senza rinunciare al dovere civico di dire
quello che si pensa. Attenendosi alla verità dei fatti, ma a
prescindere dalle prove e dai processi.
Giuseppe Lo Bianco
Sandra Rizza