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     CONFERENZA DI DURBAN: UN’ALTRA KYOTO?


           “EXPECTATIONS LOW
         BUT URGENCY VERY HIGH”
             Dal 28 novembre al 9 dicembre 2011, Durban, Sudafrica


1 dicembre 2011                              a cura di Renato Brunetta
Indice
2



       Il Protocollo di kyoto: ultimo anno di vita?
       Il clima prigioniero del “G2” USA-Cina? La posizione dell’economista francese
        Jean Paul Maréchal
       “Il dilemma del prigioniero”
       I blocchi contrapposti
       I Paesi Alba
       L’Europa può svolgere un ruolo chiave
       La green Economy salverà il clima
          Il punto di Gianni Silvestrini, direttore scientifico del Kyoto Club

          Il caso Cina

          Quali i rischi di uno stallo di Kyoto?

       La proposta libica
Protocollo di Kyoto: ultimo anno di vita?
3


       Il 28 novembre 2011 si è aperto a Durban, in Sudafrica, il vertice mondiale delle Nazioni
        Unite sui cambiamenti climatici (la 17/a Conferenza delle parti, in breve Cop17)
       L’iniziativa per la lotta ai cambiamenti ambientali avviata nel 1992 dall’ONU non ha
        ancora dato i risultati sperati. Il Protocollo di Kyoto, firmato l’11 dicembre 1997 in
        occasione della Conferenza COP3 della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui
        cambiamenti climatici (UNFCCC), ed entrato in vigore il 16 febbraio 2005, dopo la
        ratifica anche da parte della Russia, regola le emissioni di gas serra per limitare il
        riscaldamento globale
       Tale trattato scade alla fine del prossimo anno, ma non è stato firmato da quei paesi
        che producono la maggior quantità di CO2, come USA e Cina, che insieme emettono
        quasi la metà dell’anidride carbonica totale
       L’esaurimento del Protocollo di Kyoto viene dato per imminente: l’unico accordo
        vincolante sottoscritto dalla comunità internazionale (ma non dagli Usa) dopo 7 anni di
        tortuosissime trattative, è ormai prossimo al capolinea
Il clima prigioniero del “G2” USA-Cina?
La posizione dell’economista francese Jean Paul Maréchal
4



    Jean Paul Maréchal, economista dell'università francese di Rennes, sostiene che quello
     che lui definisce il "G2" condizionerebbe i negoziati sul clima: idea largamente condivisa
     dalla maggior parte degli osservatori internazionali

    Con un'economia mondiale dominata da due Paesi ad uno stadio economico molto
     diverso, un caso assolutamente nuovo dall'inizio della rivoluzione industriale, Usa e Cina
     si trovano ad essere sia rivali che interdipendenti e, secondo l'economista francese, “i
     cinesi hanno bisogno dei consumatori americani ed i consumatori americani della Cina
     per finanziare il loro credito. Questa situazione interdipendente conduce al fatto che il
     clima è stato preso in ostaggio dal G2. Nessuna soluzione sostenibile è pensabile senza
     l'impegno degli Usa e della Cina, che rappresentano il 40% delle emissioni di gas serra
     mondiali. Allo stesso tempo, nessuno dei due ha interesse a muoversi se l'altro non si
     muove. E se non partono, nessuno sembra pronto a muoversi. E' quel che in economia si
     chiama il dilemma del prigioniero”
“Il dilemma del prigioniero”
5


   Punto chiave sembrano essere le posizioni nella quali si sono arroccate le due
    superpotenze:
       gli Stati Uniti sono disposti a sottoscrivere un accordo vincolante soltanto se verranno
        imposte le stesse condizioni a Pechino
       al contrario, la Cina aderirà ad un nuovo trattato non prima di aver consolidato la
        propria condizione economica
   Perciò, sostengono praticamente all’unanimità gli osservatori, il massimo che ci si può
    attendere da questa sessione è una proroga al 2015 del protocollo di Kyoto, mai ratificato
    dagli Usa e privo di obblighi per la Cina, che altrimenti dovrà essere accantonato entro la
    fine del prossimo anno. Sembra poco, in realtà sarebbe già un successo. Perché il
    conflitto fra le due superpotenze del clima, esploso nel 2009 a Copenhagen, non è
    l’unico a condizionare gli esiti del negoziato
I blocchi contrapposti
6


    Al fianco della Cina si schierano le altre economie emergenti che compongono il
    cosiddetto Basic, vale a dire Brasile, Sudafrica e India, che ormai raggiungono
    complessivamente il 54% delle emissioni, e galoppano verso indici del Pil da primo
    mondo. Quest’ultima, nonostante l’impegno volontario a ridurre del 25 per cento le
    emissioni entro il 2020, ha aumentato del 60 per cento le proprie emissioni rispetto a
    dieci anni fa e secondo l’Agenzia internazionale dell’energia rappresenta oggi il terzo
    inquinatore mondiale
   Gli Usa, contrari a un accordo che non includa i Paesi emergenti, come la Cina, è
    supportata nella sua linea dalla posizione di Russia e Giappone comunque contrari a un
    Kyoto 2. Paesi, quest’ultimi, che, sempre in nome della competitività, hanno già fatto
    sapere che in mancanza di un accordo fra i principali inquinatori si chiameranno fuori da
    qualsiasi ipotesi di prosecuzione del trattato. Da Ottawa, invece, sembra sia già arrivato il
    ritiro ufficiale della firma a partire dal mese prossimo
I paesi dell’Alba
7



   Sul versante opposto i paesi dell’Alba (vale a dire Venezuela, Cuba, Bolivia, Ecuador,
    Honduras, Nicaragua, Dominica, Saint Vincent e Grenadine, Antigua e Barbuda), ancora
    al di fuori dei processi di rapida industrializzazione, che si dicono fortemente preoccupati
    per il “vuoto legislativo” che potrebbe seguire al tramonto del protocollo di Kyoto
   Questi paesi chiedono inoltre di rilanciare il dibattito sul Fondo verde per il clima (100
    miliardi di dollari all’anno entro il 2020) approvato lo scorso anno a Cancun
L’Europa può svolgere un ruolo chiave
8


   L’occasione che si presenta per il Vecchio Continente, proprio in funzione dello stallo fra i
    blocchi, è preziosa. Lo scorso 16 novembre, infatti, a Strasburgo è stata approvata una
    risoluzione che rilancia il ruolo dell’Ue nelle politiche globali verso l’economia low carbon
    auspicando la riconversione del sistema energetico alle rinnovabili ed evocando una vera
    e propria «road map della green economy».
   In più si propone di rimuovere entro il 2020 tutti gli incentivi dannosi per l’ambiente
    avanzando l’idea di una tassa mondiale sulle transazioni finanziare per «promuovere la
    protezione del clima e della biodiversità nei paesi in via di sviluppo».
   I negoziatori europei prendono tempo: “Aderiremo al nuovo trattato – ha dichiarato il
    capo della delegazione, Artur Runge-Metzger – soltanto se avremo la certezza che altri
    paesi lo faranno”
   Forse con un po’ di coraggio l’Unione potrebbe spezzare la morsa nella quale Cina e Stati
    Uniti tengono in scacco la comunità internazionale attraverso una proposta che tenga
    insieme gli investimenti nell’innovazione e una normativa transitoria in grado di tutelare
    gli interessi dei paesi più deboli ai quali il global warming ha già presentato il conto
La green economy salverà il clima
         Il punto di Gianni Silvestrini, direttore scientifico del Kyoto Club
    9

       Ad un anno dalla fine della prima fase del Protocollo di Kyoto (dicembre 2012) il livello
        mondiale delle emissioni antropiche di CO2 ha raggiunto i 33 miliardi di tonnellate nel 2010;
        considerando anche gli altri gas climalteranti questo valore aumenta di un altro 50%,
        espresso in termini di CO2eq
                                                 Evoluzione del forcing radiativo dei gas
       Nel 2011 l’incremento delle              climalteranti a partire dal 1979
        emissioni di anidride carbonica è
        stato il più alto mai registrato,
        +6%, una quantità pari a oltre
        quattro volte le emissioni
        italiane. Anche se quasi tutti gli
        altri gas climalteranti hanno
        rallentato la loro crescita, i dati
        risultano      essere     allarmanti.
        L’atteggiamento        degli    attori
        internazionali       non      sembra
        riflettere la gravità del momento
La green economy salverà il clima
                                     Il caso Cina
10


    Un caso particolare è quello della Cina, la principale protagonista dell’aumento della
     produzione di anidride carbonica. Il solo incremento registratosi negli ultimi 10 anni è
     superiore alle attuali emissioni degli Usa. Eppure dalla Cina si intravede anche la chiave
     della risposta alla sfida climatica.
    Primo paese per potenza eolica installata, potrebbe presto diventare il primo anche per
     potenza solare. Per motivi sia interni, i devastanti impatti ambientali dell’attuale modello,
     sia internazionali, il notevole appeal dei mercati green, la Cina sta decisamente virando il
     timone della propria economia. Secondo il China Council of International Co-operation on
     Environment and Development, diretto dal vicepremier Li Keqiang, la Cina potrà
     creare 9,5 milioni di posti di lavoro e aumentare il Pil di circa 1.000 miliardi di euro con
     una politica di decarbonizzazione dell’economia grazie a politiche sull’efficienza e sulle
     rinnovabili
    Il dodicesimo piano quinquennale (2011-15) della potenza asiatica passerà alla storia
     come il primo “green oriented”, indicando come prioritari efficienza energetica e
     rinnovabili. Nei settori della green economy verranno investiti 468 miliardi di dollari, più
     del doppio rispetto al precedente piano
La green economy salverà il clima
           Quali i rischi di uno stallo di Kyoto?
11


    Tale quadro intrernazionale non rende però le prospettive più rassicuranti sul breve
     periodo. Ma chiarisce come, fra qualche anno, si potrebbero verificare le condizioni per
     raggiungere un vero accordo internazionale sul clima. Forse si riuscirà così a evitare un
     esito catastrofico del riscaldamento del pianeta, ma sicuramente si supererà
     l’incremento di 2°C che era l’obbiettivo della conferenza di Copenaghen (2009) e
     l’indicazione della comunità scientifica internazionale. Eppure, non mancano gli studi,
     l’ultimo dell’Ocse, che confermano come questo obbiettivo potrebbe essere raggiunto
     con un dimezzamento delle emissioni climalteranti entro il 2050 e un impatto molto
     limitato sulla crescita del Pil (-0,2%/a), contenendo quindi gli effetti del riscaldamento
     globale
LA PROPOSTA LIBICA
12


    A Durban, la delegazione di scienziati libici, ha esposto il proprio rimedio naturale al
     surriscaldamento del pianeta, azzerando le emissioni di biossido di carbonio entro il
     2021.
    L’iniziativa libica propugnata dal leader del team, Muftah Elarbash:
        il processo di raffreddamento andrebbe avviato entro il 2014, nel deserto libico, dove
         andrebbero create zone permanenti di bassa pressione che sfruttando i venti possano
         generare energia rinnovabile e a basso costo
        «Due miliardi di case saranno illuminate, la desalinizzazione dell'acqua di mare sarà
         economicamente sostenibile e il cibo sarà disponibile in abbondanza - promette il foglietto
         illustrativo. La desertificazione rallenterà e regredirà, così molta acqua di mare si trasformerà
         in acqua fresca, il livello dei mari scenderà, isole e coste saranno salve»

        Per    i   dettagli    tecnici,    la   delegazione      invita    a    visitare   il   suo   sito
         www.amecosys.com/libyaninitiative bloccato dal Centro congressi di Durban perché il sito è
         ritenuto «potenzialmente pericoloso»

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Conferenza di Dubay

  • 1. 1.3 ENVIRONMENT i think tanks www.freefoundation.com CONFERENZA DI DURBAN: UN’ALTRA KYOTO? “EXPECTATIONS LOW BUT URGENCY VERY HIGH” Dal 28 novembre al 9 dicembre 2011, Durban, Sudafrica 1 dicembre 2011 a cura di Renato Brunetta
  • 2. Indice 2  Il Protocollo di kyoto: ultimo anno di vita?  Il clima prigioniero del “G2” USA-Cina? La posizione dell’economista francese Jean Paul Maréchal  “Il dilemma del prigioniero”  I blocchi contrapposti  I Paesi Alba  L’Europa può svolgere un ruolo chiave  La green Economy salverà il clima  Il punto di Gianni Silvestrini, direttore scientifico del Kyoto Club  Il caso Cina  Quali i rischi di uno stallo di Kyoto?  La proposta libica
  • 3. Protocollo di Kyoto: ultimo anno di vita? 3  Il 28 novembre 2011 si è aperto a Durban, in Sudafrica, il vertice mondiale delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (la 17/a Conferenza delle parti, in breve Cop17)  L’iniziativa per la lotta ai cambiamenti ambientali avviata nel 1992 dall’ONU non ha ancora dato i risultati sperati. Il Protocollo di Kyoto, firmato l’11 dicembre 1997 in occasione della Conferenza COP3 della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC), ed entrato in vigore il 16 febbraio 2005, dopo la ratifica anche da parte della Russia, regola le emissioni di gas serra per limitare il riscaldamento globale  Tale trattato scade alla fine del prossimo anno, ma non è stato firmato da quei paesi che producono la maggior quantità di CO2, come USA e Cina, che insieme emettono quasi la metà dell’anidride carbonica totale  L’esaurimento del Protocollo di Kyoto viene dato per imminente: l’unico accordo vincolante sottoscritto dalla comunità internazionale (ma non dagli Usa) dopo 7 anni di tortuosissime trattative, è ormai prossimo al capolinea
  • 4. Il clima prigioniero del “G2” USA-Cina? La posizione dell’economista francese Jean Paul Maréchal 4  Jean Paul Maréchal, economista dell'università francese di Rennes, sostiene che quello che lui definisce il "G2" condizionerebbe i negoziati sul clima: idea largamente condivisa dalla maggior parte degli osservatori internazionali  Con un'economia mondiale dominata da due Paesi ad uno stadio economico molto diverso, un caso assolutamente nuovo dall'inizio della rivoluzione industriale, Usa e Cina si trovano ad essere sia rivali che interdipendenti e, secondo l'economista francese, “i cinesi hanno bisogno dei consumatori americani ed i consumatori americani della Cina per finanziare il loro credito. Questa situazione interdipendente conduce al fatto che il clima è stato preso in ostaggio dal G2. Nessuna soluzione sostenibile è pensabile senza l'impegno degli Usa e della Cina, che rappresentano il 40% delle emissioni di gas serra mondiali. Allo stesso tempo, nessuno dei due ha interesse a muoversi se l'altro non si muove. E se non partono, nessuno sembra pronto a muoversi. E' quel che in economia si chiama il dilemma del prigioniero”
  • 5. “Il dilemma del prigioniero” 5  Punto chiave sembrano essere le posizioni nella quali si sono arroccate le due superpotenze:  gli Stati Uniti sono disposti a sottoscrivere un accordo vincolante soltanto se verranno imposte le stesse condizioni a Pechino  al contrario, la Cina aderirà ad un nuovo trattato non prima di aver consolidato la propria condizione economica  Perciò, sostengono praticamente all’unanimità gli osservatori, il massimo che ci si può attendere da questa sessione è una proroga al 2015 del protocollo di Kyoto, mai ratificato dagli Usa e privo di obblighi per la Cina, che altrimenti dovrà essere accantonato entro la fine del prossimo anno. Sembra poco, in realtà sarebbe già un successo. Perché il conflitto fra le due superpotenze del clima, esploso nel 2009 a Copenhagen, non è l’unico a condizionare gli esiti del negoziato
  • 6. I blocchi contrapposti 6  Al fianco della Cina si schierano le altre economie emergenti che compongono il cosiddetto Basic, vale a dire Brasile, Sudafrica e India, che ormai raggiungono complessivamente il 54% delle emissioni, e galoppano verso indici del Pil da primo mondo. Quest’ultima, nonostante l’impegno volontario a ridurre del 25 per cento le emissioni entro il 2020, ha aumentato del 60 per cento le proprie emissioni rispetto a dieci anni fa e secondo l’Agenzia internazionale dell’energia rappresenta oggi il terzo inquinatore mondiale  Gli Usa, contrari a un accordo che non includa i Paesi emergenti, come la Cina, è supportata nella sua linea dalla posizione di Russia e Giappone comunque contrari a un Kyoto 2. Paesi, quest’ultimi, che, sempre in nome della competitività, hanno già fatto sapere che in mancanza di un accordo fra i principali inquinatori si chiameranno fuori da qualsiasi ipotesi di prosecuzione del trattato. Da Ottawa, invece, sembra sia già arrivato il ritiro ufficiale della firma a partire dal mese prossimo
  • 7. I paesi dell’Alba 7  Sul versante opposto i paesi dell’Alba (vale a dire Venezuela, Cuba, Bolivia, Ecuador, Honduras, Nicaragua, Dominica, Saint Vincent e Grenadine, Antigua e Barbuda), ancora al di fuori dei processi di rapida industrializzazione, che si dicono fortemente preoccupati per il “vuoto legislativo” che potrebbe seguire al tramonto del protocollo di Kyoto  Questi paesi chiedono inoltre di rilanciare il dibattito sul Fondo verde per il clima (100 miliardi di dollari all’anno entro il 2020) approvato lo scorso anno a Cancun
  • 8. L’Europa può svolgere un ruolo chiave 8  L’occasione che si presenta per il Vecchio Continente, proprio in funzione dello stallo fra i blocchi, è preziosa. Lo scorso 16 novembre, infatti, a Strasburgo è stata approvata una risoluzione che rilancia il ruolo dell’Ue nelle politiche globali verso l’economia low carbon auspicando la riconversione del sistema energetico alle rinnovabili ed evocando una vera e propria «road map della green economy».  In più si propone di rimuovere entro il 2020 tutti gli incentivi dannosi per l’ambiente avanzando l’idea di una tassa mondiale sulle transazioni finanziare per «promuovere la protezione del clima e della biodiversità nei paesi in via di sviluppo».  I negoziatori europei prendono tempo: “Aderiremo al nuovo trattato – ha dichiarato il capo della delegazione, Artur Runge-Metzger – soltanto se avremo la certezza che altri paesi lo faranno”  Forse con un po’ di coraggio l’Unione potrebbe spezzare la morsa nella quale Cina e Stati Uniti tengono in scacco la comunità internazionale attraverso una proposta che tenga insieme gli investimenti nell’innovazione e una normativa transitoria in grado di tutelare gli interessi dei paesi più deboli ai quali il global warming ha già presentato il conto
  • 9. La green economy salverà il clima Il punto di Gianni Silvestrini, direttore scientifico del Kyoto Club 9  Ad un anno dalla fine della prima fase del Protocollo di Kyoto (dicembre 2012) il livello mondiale delle emissioni antropiche di CO2 ha raggiunto i 33 miliardi di tonnellate nel 2010; considerando anche gli altri gas climalteranti questo valore aumenta di un altro 50%, espresso in termini di CO2eq Evoluzione del forcing radiativo dei gas  Nel 2011 l’incremento delle climalteranti a partire dal 1979 emissioni di anidride carbonica è stato il più alto mai registrato, +6%, una quantità pari a oltre quattro volte le emissioni italiane. Anche se quasi tutti gli altri gas climalteranti hanno rallentato la loro crescita, i dati risultano essere allarmanti. L’atteggiamento degli attori internazionali non sembra riflettere la gravità del momento
  • 10. La green economy salverà il clima Il caso Cina 10  Un caso particolare è quello della Cina, la principale protagonista dell’aumento della produzione di anidride carbonica. Il solo incremento registratosi negli ultimi 10 anni è superiore alle attuali emissioni degli Usa. Eppure dalla Cina si intravede anche la chiave della risposta alla sfida climatica.  Primo paese per potenza eolica installata, potrebbe presto diventare il primo anche per potenza solare. Per motivi sia interni, i devastanti impatti ambientali dell’attuale modello, sia internazionali, il notevole appeal dei mercati green, la Cina sta decisamente virando il timone della propria economia. Secondo il China Council of International Co-operation on Environment and Development, diretto dal vicepremier Li Keqiang, la Cina potrà creare 9,5 milioni di posti di lavoro e aumentare il Pil di circa 1.000 miliardi di euro con una politica di decarbonizzazione dell’economia grazie a politiche sull’efficienza e sulle rinnovabili  Il dodicesimo piano quinquennale (2011-15) della potenza asiatica passerà alla storia come il primo “green oriented”, indicando come prioritari efficienza energetica e rinnovabili. Nei settori della green economy verranno investiti 468 miliardi di dollari, più del doppio rispetto al precedente piano
  • 11. La green economy salverà il clima Quali i rischi di uno stallo di Kyoto? 11  Tale quadro intrernazionale non rende però le prospettive più rassicuranti sul breve periodo. Ma chiarisce come, fra qualche anno, si potrebbero verificare le condizioni per raggiungere un vero accordo internazionale sul clima. Forse si riuscirà così a evitare un esito catastrofico del riscaldamento del pianeta, ma sicuramente si supererà l’incremento di 2°C che era l’obbiettivo della conferenza di Copenaghen (2009) e l’indicazione della comunità scientifica internazionale. Eppure, non mancano gli studi, l’ultimo dell’Ocse, che confermano come questo obbiettivo potrebbe essere raggiunto con un dimezzamento delle emissioni climalteranti entro il 2050 e un impatto molto limitato sulla crescita del Pil (-0,2%/a), contenendo quindi gli effetti del riscaldamento globale
  • 12. LA PROPOSTA LIBICA 12  A Durban, la delegazione di scienziati libici, ha esposto il proprio rimedio naturale al surriscaldamento del pianeta, azzerando le emissioni di biossido di carbonio entro il 2021.  L’iniziativa libica propugnata dal leader del team, Muftah Elarbash:  il processo di raffreddamento andrebbe avviato entro il 2014, nel deserto libico, dove andrebbero create zone permanenti di bassa pressione che sfruttando i venti possano generare energia rinnovabile e a basso costo  «Due miliardi di case saranno illuminate, la desalinizzazione dell'acqua di mare sarà economicamente sostenibile e il cibo sarà disponibile in abbondanza - promette il foglietto illustrativo. La desertificazione rallenterà e regredirà, così molta acqua di mare si trasformerà in acqua fresca, il livello dei mari scenderà, isole e coste saranno salve»  Per i dettagli tecnici, la delegazione invita a visitare il suo sito www.amecosys.com/libyaninitiative bloccato dal Centro congressi di Durban perché il sito è ritenuto «potenzialmente pericoloso»