6. SCANDALO DELLA BANCA DI ROMA Crisi generale del sistema bancario, cause: depressione del 1887-88 investimenti e prestiti nell'edilizia risanamento per il colera del 1884 Per coprire la perdita, la Banca Romana si dà all'emissione di moneta non autorizzata e di biglietti aventi lo stesso numero di serie. GIUGNO 1889, dall'inchiesta intrapresa risulta un disavanzo di 9 milioni di lire. Il giorno dopo l'informazione viene smentita e spiegata con “l'imperizia degli inquirenti”. GIUGNO 1891, di Rudinì si oppone alla diffusione dei risultati dell'inchiesta in senato “in nome dei supremi interessi del Paese e della patria”. DICEMBRE 1892, un inquirente rende noti i risultati: a fronte dei 60.000.000 biglietti autorizzati ne sono stati emessi 113.000.000, di cui 40.000.000 in serie doppia. GENNAIO 1893, il Presidente della Corte dei Conti conferma l'irregolarità; il governatore della banca e il direttore vengono arrestati e confessano di aver versato somme di denaro a ministri, tra i quali Giolitti e Crispi. MARZO 1893, un comitato di 7 parlamentari indaga: nella relazione di novembre emerge il coinvolgimento di 22 parlamentari, tra cui Crispi. 1894, al processo viene votata l'assoluzione degli imputati: per evitare l'implicazione di uomini di spicco, infatti, i giudici fanno sparire dei documenti fondamentali per la dimostrazione della colpevolezza degli imputati. Effetti dello scandalo: risonanza nell'opinione pubblica crollo del Credito mobiliare e crollo della Banca Generale Per limitare il caos finanziario, Giolitti riordina il sistema creditizio, costituendo la Banca d'Italia 1893, crisi politica; dimissioni di Giolitti; salita a Capo del governo di Crispi.
7. Il 2° ministero di Crispi 1893 II° ministero di Crispi, dimostrazione di un carattere conservatore ed autoritario: depressione dei disordini operai (Fasci siciliani) scioglimento del Partito socialista (1894) Politica estera: visita a Bismarck per una consultazione sul funzionamento della Triplice Alleanza, integrata con il Naval entente con la Gran Bretagna. Politica interna: adozione di un nuovo codice sanitario e commerciale riforme dell'amministrazione della giustizia. 1896 sconfitta di Adua; crisi del governo; fine del II ministero 1900 ultima apparizione pubblica in onore dei funerali del re Umberto I 12 agosto 1901 morte di Crispi a Napoli, all'età di 83 anni
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9. " Taluni hanno creduto che le colonie fossero un lusso: non hanno capito che sono una necessità per la madrepatria , la quale se ne vale per il consumo dei suoi prodotti. Quando i mari ci saranno chiusi ed avremo bisogno dei mercati stranieri, dovremo ricorrere alle armi per poterceli aprire. La prudenza dell'uomo di stato è di guardare a codesto avvenire : e i nostri ministri, non provvedendo in tempo, lasciano ai nostri figli una sanguinosa eredità di guerre. L'Africa vi sfugge! E non tarderanno a prendersela le grandi potenze marittime (...),Le colonie sono una necessità della vita moderna . Noi non possiamo rimanere inerti e far sì che le altre potenze occupino da sole tutte le parti del mondo inesplorate, altrimenti saremo colpevoli di un gran delitto verso la patria nostra ; comportandosi da inerti chiuderemmo per sempre le vie alle nostre navi ed i mercati ai nostri prodotti .... Noi cominciamo oggi, e mal si comincerebbe quando, al primo ostacolo, si fuggisse dai punti che abbiamo occupato! Siamo a Massaua e ci resteremo! Nell' Africa noi esercitiamo una missione di civiltà : questa missione appartiene all'Italia e non possiamo abbandonarla!". (Presidente del Consiglio Francesco Crispi)
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14. Attraverso il missionario-esploratore Giuseppe Sapeto, la compagnia navale genovese Rubattino acquista nel 1869 la Baia di Assab sulla costa dell’Eritrea per crearvi un deposito di carbone per lo scalo delle navi. Nel 1870 l’Italia pone la sua prima “bandierina tricolore” ad Assab, ad indicare l’idea di una nazione che, anche se nata da poco, vuole cercare degli spazi in qualità di potenza appena sorta.
16. Alle esplorazioni tengono dietro occupazioni di piccoli territori, ma l’Italia aspira in verità alla colonizzazione della Tunisia, sia per motivi storici (molte città costiere erano state fondate dai Normanni del Regno di Sicilia) sia per la posizione strategica di fronte alla Sicilia. Durante il Congresso di Berlino (1878) infatti c’erano stati degli accordi tra Francia ed Italia, che tuttavia i francesi poi non rispettano sfruttando l’inettitudine del governo italiano: con il pretesto di impedire le incursioni dei Crumiri, costringono il Bey di Tunisi ad accettare il protettorato francese, e l’Italia viene umiliata dallo “schiaffo di Tunisi” (1881). Il fatto non può che scatenare feroci critiche e polemiche nell’opinione pubblica italiana, ma essendo impossibilitato ad intraprendere una vera e propria spedizione coloniale offensiva in Tunisia, il governo si rivolge al Corno d’Africa, una zona dell’Africa orientale nella quale l’insediamento coloniale appare più agevole sia perché esploratori e missionari avevano per così dire aperto un varco in quella regione, sia perché la concorrenza degli altri paesi europei nella zona è meno agguerrita. Inoltre l’Italia, desiderosa di rompere il suo isolamento e di contrastare la Francia che aveva occupato Tunisi, stringe la Triplice Alleanza con la Germania e l’Austria-Ungheria (1882), già alleate nella Duplice Alleanza, avversa alla Francia.
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18. Lo stato italiano guidato da Depretis acquista quindi sempre nel 1882 la Baia di Assab , abbandonata per quasi dieci anni, dalla compagnia genovese Rubattino per 104.100 lire. Nel 1884 sbarcano a Massaua, anch’essa lungo il litorale eritreo come Assab, i primi contingenti italiani, occupano la città e da essa poi avanzano nell’interno e lungo la costa, assicurandosi il controllo di tutta la vicina fascia costiera tra Massaua ed Assab che avrebbe di lì a pochi anni formato la futura colonia di Eritrea, ma che per il momento costituisce i “possedimenti italiani del Mar Rosso”. Tuttavia con l’annessione di Massaua come capitale provvisoria del possedimento d’oltremare ed in particolare per l’occupazione di Saati (a 30 km da Massaua) verso la fine dell’anno, dove viene edificata una fortificazione, i movimenti militari italiani destarono la preoccupazione del negus neghesti (re dei re) Giovanni IV , sovrano dell’Etiopia, che decise di intervenire. Il 25 gennaio del 1887 il ras Alula, primo generale abissino e signore di Asmara, attacca su ordine del negus Giovanni IV il presidio italiano di Saati.
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20. Il giorno dopo, il 26 gennaio, una colonna di 548 soldati italiani viene inviata sotto la guida del colonnello Tommaso De Cristoforis in soccorso al presidio di Saati con dei rifornimenti: appena avvistati, vengono assaltati dai 7000 abissini del ras etiopico Alula a Dogali, 20 km a ovest di Massaua. Nella Battaglia di Dogali (26 gennaio 1887) , dopo un’eroica resistenza di oltre 4 ore, solo 87 dei 548 italiani sfuggono al massacro. Quest’attacco inaspettato, oltre a provocare una insanabile frattura nelle relazioni tra il re dell’Etiopia e quello dell’Italia ed ad alimentare il risentimento nazionalistico, rafforza l’ appoggio del governo italiano a Menelik II, alla cui corte era ospitato l’ambasciatore italiano Pietro Antonelli, per minare l'autorità del negus neghesti Giovanni IV e del ras Alula. In Italia verranno anche costruiti dei monumenti in onore dei soldati caduti come ad esempio "Piazza dei Cinquecento" a Roma, che verrà nominata così per i circa cinquecento italiani che presero parte alla battaglia di Dogali. Grazie anche all’appoggio di Austria e Germania, con cui aveva stretto la Triplice Alleanza dopo lo schiaffo di Tunisi, l’Italia l’anno seguente rioccupa il presidio di Saati e ristabilisce il prestigio nazionale. Poco dopo il negus Giovanni IV muore e Francesco Crispi pattuisce immediatamente con il negus dello Scioa Menelik II una convenzione segreta e lo appoggia affinché diventi negus neghesti dell’Abissinia, come gli italiani chiamavano all’epoca l’Etiopia.
21. Battaglia di Dogali Data: 26 gennaio 1887 Luogo: Dogali Esito: Vittoria etiope Schieramenti Regno d'Italia Abissinia Comandanti Tommaso De Cristoforis † Ras Alula Effettivi 548 uomini circa 7.000 uomini Perdite 461 morti poche centinaia
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23. Il 2 maggio 1889 Antonelli induce il negus Menelik II , nuovo sovrano dell’Etiopia, a stipulare un trattato di amicizia e di commercio con l'Italia, che viene detto Trattato di Uccialli dalla località in cui viene concluso, poi ratificato il 1 ottobre dello stesso anno con una convenzione addizionale. L’Italia gli riconosce la legittimità del potere in Abissinia, mentre lui accetta le conquiste dell'Italia in Etiopia. Con il trattato di Uccialli, Menelik accettava la presenza degli italiani sull'altopiano e conveniva di utilizzare l'Italia come canale di comunicazione di preferenza con i paesi europei. Quest'ultimo riconoscimento viene chiaramente interpretato dagli italiani (ma tradotto nella lingua amarica diversamente) come l'accettazione di un protettorato, e per alcuni anni sarà fonte di controversie fra i due paesi, che costituiranno il casus belli della Campagna d’Africa Orientale del 1895-1896 che si concluderà con la pesante sconfitta subita dall'Italia ad Adua. Con decreto reale del 1° gennaio 1890 , tutti i possedimenti italiani del Mar Rosso sono riuniti ufficialmente sotto una sola amministrazione con il nome di Colonia Eritrea . Crispi intende inoltre estendere ulteriormente i domini coloniali italiani, ma una politica di potenza richiede ingenti spese militari e, di fronte alla possibilità dell’aggravarsi del deficit pubblico, egli chiede al Parlamento un inasprimento fiscale, che gli viene astiosamente rifiutato, portando alla momentanea caduta del suo governo (1891) ed alla sostituzione con il gabinetto dell’opponente di Rudinì.
24. Articolo 17 del Trattato di Uccialli (1889): XVII. - S. Maestà il Re dei Re di Etiopia consente di servirsi del governo di S. Maestà il Re D'Italia per tutte le trattazioni di affari che ha con altre potenze o Governi. (attenzione a questo "consente" che fu maltradotto in amarico in "poteva", perchè distingue il testo ufficiale in italiano che stabiliva il protettorato del Regno d'Italia sull'Etiopia da quello in amarico per il quale Menelik non intenderà più riconoscere il protettorato.)
25. CAMPAGNA D’AFRICA ORIENTALE (1895-1896) Il termine campagna d'Africa orientale (o Guerra d’Abissinia) si riferisce ai combattimenti impari tra le forze italiane e quelle etiopi degli anni 1895-1896, che hanno inizio il 1° dicembre 1895 in seguito al rifiuto di Menelik di rispettare gli accordi pattuiti nel Trattato di Uccialli, defezione che spinge l’Italia ad un intervento incerto con una spedizione militare nel 1895 nella regione etiopica del Tigré, al confine con l'Eritrea. Questo voltafaccia avviene a causa di uno svizzero, l'ingegnere ILG, che poi diverrà il consigliere ascoltatissimo del Negus, e di agenti francesi che erano riusciti, intrigando e calunniando l'Italia, a cambiare completamente gli atteggiamenti di MENELIK nei suoi confronti. Gli si era, fra le altre maldicenze, fatto notare che l'articolo 17 del Trattato d'Uccialli disponeva l'Abissinia sotto il protettorato dell'Italia, essendo in esso detto che il Negus "consentiva" di servirsi del governo italiano per tutte le trattazioni dei suoi affari internazionali. Fortuna per Menelik che nelle traduzione amarica (che aveva valore ufficiale come la redazione italiana) del trattato si trovava una trasposizione incorretta di quel “consentiva” che alterava il significato dell'articolo 17: infatti il traduttore aveva scritto che il Negus "poteva" servirsi, nelle relazioni con le altre potenze europee, del governo italiano. Nella versione italiana il termine fu invece tradotto con un "consente". Allora Menelick, protestandosi indipendente, comunica alle potenze europee la sua incoronazione ad imperatore d'Abissinia ed allega la copia del suo trattato di Uccialli, che con quel "poteva" fa intendere chiaramente che lui dispone della facoltà di rivolgersi non solo all'Italia, ma anche di servirsi delle relazioni delle altre potenze europee. D’altro canto, però, la delegazione Scioana che era venuta in Italia ad avallare la stesura della bozza dell'accordo era pienamente cosciente che con tale trattato (come riportavano ampiamente i giornali dell'epoca) l'Abissinia si sarebbe trasformata in protettorato italiano, ma finse di ignorare ciò al fine di ottenere le armi ed il prestito milionario che erano alla base dell'accordo economico.
27. Per questo Menelik, non avendo più bisogno dell’Italia né per prestiti milionari e neppure per il rifornimento di armi, dato che tempestivamente si fa avanti la Francia e gli offre quarantamila fucili e dieci cannoni a tiro rapido, prima dichiara all’ambasciatore Antonelli che avrebbe rispettato l’articolo 17 e si sarebbe servito esclusivamente dell’Italia per la trattazione degli affari internazionali, subito dopo però gli fa firmare una dichiarazione, che doveva assicurare tale promessa, nella quale si stabilisce di “ cancellare l’articolo 17 ”. Accusato dall’Italia di aver mancato alla parola data e richiestogli dovute spiegazioni di tale comportamento irrispettoso verso la nazione protettrice, il Negus Menelik si scusa asserendo che quando aveva proposto di lasciare immutato l'Art. 17 "gli girava la testa" . Siamo nel 1891 : la reputazione internazionale dell’Italia subisce un’intollerabile smacco. L’Italia, dopo 4 anni di dispute con il negus abissino, si risolve a reagire con l’occupazione da parte di un forte contingente italiano della regione del Tigré , zona etiopica al confine con l’Eritrea, tuttavia questa risoluzione non si rivela molto azzardata da un punto di vista strategico: Menelik difatti aveva utilizzato la "pausa" di quattro anni concessagli dall'incertezza italiana per ammodernare il proprio esercito con nuove armi, concessegli in particolare dalla Francia, ostile all’Italia. Nel dicembre del 1895 si muove personalmente anch’egli con un gran numero di uomini alla volta del Tigré per affrontare le truppe italiane.
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29. Nonostante il comandante italiano, Oreste Baratieri, saggiamente non volesse impegnarsi in uno scontro diretto vista l’enorme disparità di forze, il Primo Ministro Francesco Crispi, ritenendo le forze abissine dei semplici "selvaggi" come erroneamente pensavano gli europei, ordina perentoriamente a Baratieri di impegnare i suoi uomini in battaglia e di sconfiggere le forze nemiche. Il 7 dicembre 1895 avviene la cruente Battaglia dell'Amba Alagi , presso il monte Amba Alagi nell'acrocoro etiope: il presidio italiano comandato dal Maggiore Pietro Toselli, composto da 19 ufficiali e 2.300 soldati, viene assalito da circa 30.000 abissini, ossia da un esercito 15 volte più numeroso del loro e meglio rifornito di armi e provviste. Nello scontro le forze italiane vengono completamente annientate, non vi è alcun sopravvissuto.
30. Battaglia dell'Amba Alagi Parte Guerra di Abissinia Data: 7 dicembre 1895 Luogo: monte Amba Alagi, acrocoro etiopico Esito: Vittoria etiope Schieramenti It alia Abissinia Comandanti Pietro Toselli† Menelik II Effettivi 2.319 uomini circa 30.000 uomini Perdite Perì l'intero corpo d'armata Sconosciute
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32. Dopo un certo numero di ulteriori scontri minori, il 1° marzo 1896 le forze italiane capitanate dal tenente generale Oreste Baratieri e quelle abissine del negus Menelik II si fronteggiano nella epica Battaglia di Adua , che pone termine alle operazioni militari della campagna d'Africa Orientale per molti anni: la Battaglia di Adua infligge agli italiani quella che è unanimemente considerata la più grave disfatta mai subita dai colonizzatori “bianchi” europei in Africa. Il generale Oreste Baratieri disponeva in totale di 36 000 uomini, tra italiani ed Ascari: una metà la lascia a presidio di Massaua, Asmara e delle altre piazzeforti della Colonia Eritrea, di cui era governatore e le restanti 18 000 le organizza in un corpo di operazione strutturato in quattro brigate, che comanda personalmente nella marcia verso l'interno.
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34. Scrive Chris Proutky: «Costoro [gli Italiani] avevano carte geografiche inadeguate , armi antiquate, scarse ed inefficienti strumentazioni per le comunicazioni e scadenti scarponi inadatti per il terreno roccioso. I nuovi fucili Remington non erano stati assegnati perché Baratieri, costretto ad operare in regime di stretta economia di bilancio, volle esaurire le vecchie cartucce che non erano adatte ai Remington. Il morale era terribilmente basso perché i veterani erano malati ed i nuovi arrivati troppo inesperti per coltivare un qualche “spirito di corpo”. Inoltre vi era una penuria di muli e di selle». Le stime per le forze etiopiche al comando di Menelik sono di 100 000 uomini come minimo e 150 000 come massimo, pertanto da sei ad otto volte le forze italiane disponibili.
36. David Levering Lewis afferma che il piano della battaglia italiano <<Prevedeva che tre colonne marciassero in formazione parallela verso la cima di tre montagne - da Bormida al comando della destra, Albertone alla sinistra e Arimondi al centro – con una forza di riserva al comando di Ellena che seguiva Arimondi. Il fuoco incrociato d'appoggio di ogni colonna avrebbe dovuto falciare il nemico. La brigata di Albertone avrebbe dato il passo alle altre. Essa era in posizione sulla sommità chiamata Chidane Meret , vantaggio che avrebbe fornito agli italiani la possibilità di dominare il terreno in cui si sarebbero scontrati con gli etiopici. Tuttavia le tre brigate italiane erano giunte separatamente alla fine della loro marcia notturna e si erano sparpagliate dopo l'attraversamento di numerosi chilometri di terreno molto accidentato. Le loro mappe lacunose indussero il generale Albertone a scambiare per errore una montagna per Chidane Meret e quando un esploratore gli rivelò il suo errore, Albertone avanzò per raggiungere la postazione corretta, tuttavia dirigendosi così direttamente contro la posizione tenuta dal ras Alula, primo generale abissino, di cui non sospettava la presenza.>> La brigata di Albertone è la prima a incontrare l'assalto etiopico alle 6:00 del mattino, presso Chidane Meret, dove gli Etiopici sono riusciti a montare la loro artiglieria dopo essere stati avvisati poche ore prime del tentativo italiano. I suoi uomini, nonostante la schiacciante inferiorità numerica, tengono le loro posizioni per oltre due ore, finché Albertone non è fatto prigioniero e, sotto la pressione etiopica, quanti sopravvivono cercano rifugio nelle file della brigata di Arimondi , poco distante. Essa è però costretta ad arretrare sotto i colpi degli etiopici, che ripetutamente caricarono la posizione italiana per tre ore con una forza gradualmente evanescente fintanto che Menelik lancia nella mischia la sua riserva di 25.000 aborigeni e sommerge i difensori italiani. Due compagnie di bersaglieri che erano arrivate in quel medesimo momento non hanno la possibilità di portare alcun aiuto e vengono annichilite con poco sforzo.
37. Battaglia di Adua Data: 1 marzo, 1896 Luogo: Adua, Etiopia Esito: Vittoria decisiva etiope Schieramenti Etiopia Italia Effettivi 150000 ~ 100000 (con armi da fuoco), un numero sconosciuto di artiglierie e mitragliatrici 17 700 (tutti con armi da fuoco), 56 pezzi d'artiglieria Perdite 4 000–5 000 morti, 8 000 feriti [1] 7 000 morti, 1 500 feriti, 3 000 prigionieri [1]
38. « Signori, si dispongano con la loro gente e vediamo di finire (morire) bene » (Ten. Col. Giuseppe Galliano, Adua, 1 marzo 1896)
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40. La brigata italiana del generale da Bormida s’è messa nel frattempo in movimento per sostenere Albertone, ma non è in grado di raggiungerlo in tempo. Tagliato fuori dal restante dell'esercito italiano, da Bormida comincia un cauto arretramento, pur combattendo, verso le retrovie italiane. Tuttavia da Bormida dirige la sua forza inavvertitamente – sicuramente per colpa delle mappe grossolanamente inesatte e l'inaffidabilità, se non il tradimento, delle sue guide - in una stretta vallata in cui la cavalleria nemica massacra la sua brigata al grido di « Ebalgume! Ebalgume! » ("Falcia! Falcia!"). I resti umani del generale da Bormida non verranno mai ritrovati. Le rimanenti due brigate, sotto Baratieri, vengono aggirate e fatte a pezzi sui declivi del Monte Belah. A mezzogiorno, alla conclusione della battaglia di Adua, i sopravvissuti dell'esercito italiano sono in piena ritirata e la battaglia è già conclusa. Gli italiani incassano circa 7000 morti , 1500 feriti e 3000 prigionieri nella battaglia e di conseguenza sono costretti ad arretrare in Eritrea, mentre le perdite etiopiche sono stimate a circa 4000/5000 uomini e 8000 feriti. Nel loro rifugiarsi nelle retrovie in Eritrea, gli italiani non hanno alternative per sopravvivere se non abbandonare tutta la loro artiglieria e 11000 fucili, come pure la maggior parte dei loro trasporti.
42. Un interrogativo irrisolto è quello del perché l'imperatore Menelik abbia mancato di sfruttare la sua vittoria e abbia consentito agli italiani in rotta di rifugiarsi in Eritrea. Varie risposte sono state fornite. Al momento, Menelik denunciò una scarsità di cavalleria per infliggere il colpo di grazia ai soldati italiani in fuga, ma Chris Proutky pensa piuttosto ad una "una carenza di nerbo da parte di Menelik". Lewis crede piuttosto che "è assai probabile che il totale annichilimento delle forze di Baratieri e una conquista dell'Eritrea avrebbe comportato da parte italiana la necessità di trasformare una guerra coloniale in una crociata nazionale" con tutto ciò che di negativo questa decisione avrebbe potuto comportare per l'Etiopia, che solamente voleva vedersi garantita la propria indipendenza. Come esito diretto della battaglia, Menelik fa tranquillamente ritorno alla sua capitale, Addis Abeba, aspettando l'inevitabile crisi del governo italiano derivante dall'imbarazzo di fronte all'opinione pubblica italiana ed internazionale. Non deve attendere molto che l'Italia il 26 novembre 1896 cede al Trattato di Addis Abeba , riconoscendo l'Etiopia come Stato indipendente, rinunciando alle sue mire espansionistiche sull’Abissinia, ritirandosi immediatamente dalla regione del Tigré e ritornando ai confini stabiliti dal Trattato di Uccialli. Francesco Crispi, che tanto aveva spinto la nazione verso questa impresa coloniale, si dimette dalla presidenza del consiglio.
43. « Non si affidi alle carte, altrimenti non ritroverà più il suo reggimento. Creda a me che sono un vecchio ufficiale di carriera. Ho fatto tutta la campagna d'Africa. Ad Adua abbiamo perduto, perché avevamo qualche carta. Perciò siamo andati a finire a ovest invece che a est. Qualcosa come se si attaccasse Venezia al posto di Verona. » (Dal libro di Emilio Lussu, Un anno sull'altipiano )
44. Piccola curiosità Nel conflitto perse la vita anche Luigi Bocconi, figlio di Ferdinando Bocconi, fondatore dell'Università Commerciale Luigi Bocconi, che chiamò così proprio in onore del figlio scomparso nel corso della battaglia di Adua.
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49. La prima colonia in Somalia fu stabilita tra il 1889 ed il 1890 nel sud del paese inizialmente come protettorato, e solo dal 1905 diviene colonia italiana. Già nel 1885 era stato stipulato il primo accordo tra il sultano di Zanzibar e l'Italia per ottenere un protettorato sulla Somalia, ma solo dal 1889 si riesce a collocare un protettorato, mentre risale al 1892 l’occupazione da parte dell’Italia dell’area meridionale, che verrà poi conosciuta come Somalia italiana.
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52. Tientsin è la quarta municipalità della Cina per popolazione. Dal 1901, grazie all'intervento contro i ribelli nella Rivolta dei Boxer, l'Italia, così come altre potenze quali l'Impero Britannico, la Francia, il Giappone, la Russia, l'Impero Austro-Ungarico e il Belgio, ebbe una concessione territoriale nella città, che fu utilizzata principalmente come sede diplomatica e base commerciale per l'Oriente.