In occasione di San Valentino 2024 Humanlab, con il supporto del Cluster Basilicata
Creativa, del Polo Bibliotecario di Potenza e della Biblioteca T. Stigliani di Matera ha
promosso l’evento diffuso “lettere d’amore: scrivi la tua lettera d’amore ad un’opera d’arte”.
Obiettivo dell’iniziativa è stato generare affezione e coinvolgimento intorno al patrimonio
culturale.
Un invito a scrivere una personale lettera d’amore ad un’opera d’arte, a dare forma alle
emozioni, ad innamorarsi e raccontare i propri sentimenti per la bellezza. L’opera può essere
un quadro, una scultura, una fotografia, un romanzo, una poesia o qualunque prodotto
espressione della creatività e dell’ingegno dell’uomo o della poetica della natura. Un
invito a trasporre un sentimento umano su di essa. Un esercizio, una forma di educazione
sentimentale al patrimonio culturale che ci pone nelle condizioni di poter approcciare ad esso
e considerarlo come qualcosa di vivo.
Grazie alla collaborazione con il Polo Bibliotecario di Potenza e alla Biblioteca Stigliani di
Matera, ogni lettera ha ricevuto una risposta a cura degli studenti della IIA del Liceo Classico
Quinto Orazio Flacco di Potenza e della IIA del Liceo Classico Duni di Matera, che hanno
elaborato le loro dichiarazioni d’amore in due sessioni di scrittura creativa.
Tutto il materiale epistolare è raccolto nelle pagine che seguono. Cultura, arte, bellezza e
natura diventano colonne su cui costruire un’idea di futuro in cui felicità e sofferenza si
fondono per prendere vita nel più potente dei sentimenti: l’amore.
3. Lettere d’amore
In occasione di San Valentino 2024 Humanlab, con il supporto del Cluster Basilicata
Creativa, del Polo Bibliotecario di Potenza e della Biblioteca T. Stigliani di Matera ha
promosso l’evento diffuso “lettere d’amore: scrivi la tua lettera d’amore ad un’opera d’arte”.
Obiettivo dell’iniziativa è stato generare affezione e coinvolgimento intorno al patrimonio
culturale.
Un invito a scrivere una personale lettera d’amore ad un’opera d’arte, a dare forma alle
emozioni, ad innamorarsi e raccontare i propri sentimenti per la bellezza. L’opera può essere
un quadro, una scultura, una fotografia, un romanzo, una poesia o qualunque prodotto
espressione della creatività e dell’ingegno dell’uomo o della poetica della natura. Un
invito a trasporre un sentimento umano su di essa. Un esercizio, una forma di educazione
sentimentale al patrimonio culturale che ci pone nelle condizioni di poter approcciare ad esso
e considerarlo come qualcosa di vivo.
Grazie alla collaborazione con il Polo Bibliotecario di Potenza e alla Biblioteca Stigliani di
Matera, ogni lettera ha ricevuto una risposta a cura degli studenti della IIA del Liceo Classico
Quinto Orazio Flacco di Potenza e della IIA del Liceo Classico Duni di Matera, che hanno
elaborato le loro dichiarazioni d’amore in due sessioni di scrittura creativa.
Tutto il materiale epistolare è raccolto nelle pagine che seguono. Cultura, arte, bellezza e
natura diventano colonne su cui costruire un’idea di futuro in cui felicità e sofferenza si
fondono per prendere vita nel più potente dei sentimenti: l’amore.
7. Solenne, accogli chi entra nella chiesa della
Ss. Trinità per la prima volta.
Come il Bertaux, come il Bologna, storici
dell’arte provenienti da lontano, io ho
riscoperto te nella mia città dopo decenni.
Nei tuoi occhi ho ritrovato la profondità di un
secolo, il Trecento, le parole di tantissimi libri
e lezioni su cui ho imparato, prima di tutto a
Bologna, a riconoscere le sottile differenze nel
torno di pochi decenni dalla rivoluzione di
Giotto.
Giotto a Santa Chiara Napoli nel 1333 per il
coltissimo re Roberto.
Guardando il velo che incornicia il volto,
ritrovo la grazia delle Sante e dame di Santa
Croce, per poi attraversare con il pensiero
polittici, cappelle che mi hanno riempito gli
occhi e la mente quando vivevo in Toscana.
Come se stessi cercando te.
Chi ti ha dipinto?
L’Oderisio, oppure sei opera di una mano
cortese, forse giunta d’Avignone?
Vorrei avere tutto il tempo del mondo
per continuare a cercare di svolgere il tuo
mistero.
Tu mi guardi mentre parlare orgogliosa di te
quando illustro questo scrigno d’arte.
“Tutto conoscete Giotto” dico, e mi piace
guardare i volti dei miei uditori.
Sempre verrò in pellegrinaggio da te come
fece già Brandi, noi che per mestiere ogni
giorno, tra impegno, passione, Rivera
scientifica, scriviamo lettere d’amore alle
opere d’arte sperando che vengano lette da
tutti.
Giulia
D’Amore
TT
LE
ERE
con il supporto di
9. Caro ammiratore,
Accolgo con gioia e gratitudine le tue parole,
che penetrano nel profondo del mio essere
come un raggio di luce nella penombra di
una chiesa antica. Sono l’immagine che
solennemente accoglie coloro che varcano la
soglia della Chiesa della Santissima Trinità,
testimoniando il passare dei secoli e la
persistenza dell’arte nel cuore dell’uomo.
È un onore essere oggetto delle tue riflessioni
e delle tue ricerche, simili a un viaggio
attraverso il tempo e lo spazio dell’arte
rinascimentale. Nella tua descrizione,
percepisco il rispetto e l’amore che nutri per
il mio essere, riconoscendo le influenze e le
sottili sfumature che caratterizzano il periodo
trecentesco e le sue evoluzioni artistiche.
Quanto alla mia origine, la mia creazione è
avvolta nel mistero dei secoli passati, e le voci
del tempo si mescolano come colori sulla mia
tela. Sono il risultato di mani sapienti e cuori
devoti, forgiati dall’ispirazione divina e dalla
maestria umana. Sebbene tu possa desiderare
risposte concrete, permettimi di sussurrarti
che talvolta il vero valore risiede nel mistero
stesso, nel lasciarsi avvolgere dalla bellezza
senza necessariamente comprendere appieno
il suo significato.
Sarò qui ad attenderti, nel silenzio della mia
forma immutabile, pronta ad accoglierti ogni
volta che deciderai di intraprendere il tuo
pellegrinaggio artistico. Le tue parole sono
come una carezza per l’anima di chiunque
abbia contribuito alla mia esistenza, e la tua
passione per l’arte è un faro che illumina
il cammino dei cercatori di bellezza e
conoscenza.
Con gratitudine eterna.
D’Amore
TT
LE
ERE
con il supporto di
13. Vieni a me
Gigante di mercurio.
Nel buio e nell’ombra
Sola riemergi.
A gambe che si flettono,
Per paura o per orgoglio,
Ora ti rivolgi.
Vieni a me
Gigante di mercurio.
Alla tua fonte vorrei abbeverarmi
Di te, nutrirmi.
Adesso finalmente
Dopo la notte
Vedo.
Vieni a me
Gigante di mercurio
Ora sei mia.
Non più cieca
Mi rivolgo al mondo.
Non più sorda
Ora sento.
Ti ho avuta adesso
Ma troppo forte tu sei.
Mia verità.
In questo abisso mi perdo
Da sola vedo sento parlo
Ma per te
In un altro buio ora permango.
Mariangela Ludovica Santarsiero
Potenza
D’Amore
TT
LE
ERE
con il supporto di
15. “Amor ch’a nullo amato
amar perdona”
le tue parole mi stimolano
bellezza.
Sono Verità,
ho aperto i tuoi occhi,
ho eliminato la tua sordità:
ora riscopri il mondo.
Sono Verità,
nutriti di me
senza paura,
soddisfa, nella mia fonte, la tua sete
senza orgoglio.
Sono Verità:
sono tua.
---
Giovanni, Avigliano
Liceo Classico “Q. Orazio Flacco”, Potenza
D’Amore
TT
LE
ERE
con il supporto di
16. Red sky over a beach
William Turner, 1840- Tate, Liverpool
19. Caro cielo rosso nebuloso,
Esattamente tu “red sky over a beach”.
Ricordo il giorno in cui ci incontrammo,
la prima volta che ti aprii il mio sguardo
facendo scivolare, veloci, i polpastrelli
sui lembi delle pagine lucide del libro di
storia dell’arte, dall’odore avvolgente e,
insieme, puntuto di sprezzante perfezione.
Quelle pagine freschine delle mattine di
autunno, quando la condensa si spiega
ovunque con grazia. Era giovedì. Avevo
17 anni e, in realtà, fosti tu a sporgerti e
guardarmi. D’improvviso, mi sembrò di aver
trovato il mio (non) luogo, come se si fosse
materializzata la mia utopia. L’Ottocento
si presentava a me, per la prima volta,
fuori da una foresta, certamente la Natura
così selvaggia era lì, ma con tratti (per
me) inediti. Mi sembrò, tra le pennellate,
di affondare i piedi nudi sulla sabbia
bagnata e dico bagnata perché quel tuo
beige grigiastro mi rimandò proprio questa
sensazione, una sinestesia di vista e tatto. É
l’alba indelebile ed indomita, morbida, che
però irrompe senza chiedere il permesso. Il
professore mi raccontò di te tra tecnica e
poetica. Vago, rarefatto, indefinito. Finì la
lezione e continuai, per le ore successive, a
vedermi ancora lì, con un vestito lungo alle
caviglie e i piedi immersi nella sabbia. Il
pomeriggio feci una di quelle cose “da me”,
per darti un’idea era il tempo in cui, dopo
aver studiato, sognavo un mondo ribelle che
incontrava la specialità del mio desiderio. Il
periodo dei pomeriggi “the dreamers” con
Chicca, in via Lazio. Riaprii il libro, lo sdraiai
affianco a me sul letto, su quella pagina e io e
te ascoltammo i depeche mode. Mi dicesti che
i primi anni Novanta hanno molto in comune
con il Romanticismo e che, alla fine, io e te
siamo nati insieme. Sei passione e delicatezza,
come le tue nuvole e lo squarcio rosso freddo,
dal quale mi baci. Ci siamo rincontrati anni
dopo, ma era sera, c’era ancora una volta
la musica, “the Weekend” e un divano ad
“elle”. Sul pianeta rosso, di polveri e canyon,
a immaginare una vegetazione prepotente che
fiorisce dai pugnali. Infine, ricordo l’ultima
volta che misi musica con te, poco tempo fa:
“suspirium”, immersi nella leggerezza e nel
calore, “this is a waltz thinking about our
bodies”. Come una sacerdotessa benedicevo
te e tuo padre, William Turner, pittore della
luce, tra cieli ed estetica del sublime. Ma
questa è soltanto la più recente, non esiste l’
”ultima volta” per noi, “when the old songs
and laughter we do”. “When I arrive, will you
come and find me?”.
soltanto baci implacabili.
Elena
D’Amore
TT
LE
ERE
con il supporto di
21. Mia carissima,
l’amore che provi per me , che mi raggiunge
come un alito caldo con le tue parole, mi
fa comprendere che, nonostante il tempo e
tutti questi anni che sono trascorsi, tra di noi
niente è cambiato : il tuo sentimento nei miei
confronti è ancora intenso ed autentico. Io ti
ho sempre aspettato, tra le pagine patinate
del tuo libro di storia dell’arte, sicuro che,
prima o poi, avresti provato il desiderio di
incontrarmi di nuovo, di affondare le tue
caviglie in quella sabbia umida e sottile
e il tuo sguardo nel rosso del mio cielo e
nell’azzurro delle onde. Ti ringrazio per
avermi fatto conoscere i Depeche Mode e The
Weekend: ormai li collego a te ogni volta che
mi capita di ascoltarli. Se socchiudo un po’
gli occhi, li rivedo attraverso il ricordo di quei
nostri pomeriggi stile “The dreamers”, rivedo
i tuoi occhi e riconosco i tuoi gesti.Quanto
tempo è trascorso dal nostro primo incontro!
Eppure mi accorgo che quegli occhi da
adolescente sono rimasti gli stessi,l’innocenza
e la purezza di quello sguardo ancora
mi accarezza con la stessa ammirazione,
delicato e innamorato di me! Pensare che
il mio autore,mr. Turner, era deriso dai suoi
contemporanei, accusato di essere un pessimo
artista. Un incapace afflitto da problemi di
vista! E invece era un visionario, un ribelle,
un anticipatore, uno fuori dagli schemi! Un
po’ come sei tu.....Non è per un caso che ci
siamo incontrati, io credo nel destino, credo
nell’insopprimibile legge del Fato che ha fatto
incontrare due creature affini come siamo io e
te. Ti prometto che ci sarò sempre per te, sai
dove trovarmi quando avrai bisogno di me.
Con amore infinito, il tuo “Red”.
Maria Cristina, Potenza
D’Amore
TT
LE
ERE
con il supporto di
25. Frida e Frida,
Ho sempre avuto la sensazione di avervi
incontrate in alcuni momenti della mia vita.
In momenti diversi.
Ho incontrato una Frida, ho incontrato l’altra
Frida.
Vorrei incontrarvi entrambe, per una volta.
Vorrei conoscere cosa vi accomuna, in cosa vi
distinguete, nel profondo.
Io vedo in voi un piccolo rifugio.
Ammiro la forza, il coraggio, le scelte, le
sfumature di entrambe.
Vi stimo entrambe.
Un caro saluto,
Enza
D’Amore
TT
LE
ERE
con il supporto di
27. Cara Enza,
la lettera che ci hai fatto recapitare ha
riacceso in noi il calore dell’amore che
credevamo, ormai, spento per sempre.
Come nel dipinto che ci raffigura, anche
tu ci hai mostrato il tuo cuore, rivelando
coraggiosamente la tua vulnerabilità. Chi
scrive è la Frida vestita di bianco, con il cuore
che emerge dal corpetto strappato del mio
abito, la Frida che con una forbice recide
l’arteria che la collega all’altra parte di se,
alla Frida del passato che l’ha condotta fin
qui. Io e lei raramente ci guardiamo negli
occhi poiché un solo sguardo è sufficiente a
far riaffiorare il dolore e a far riaprire le tristi
cicatrici del passato. La separazione tra di noi
è tragica ma necessaria e, ad essere onesta,
mai totale. Lei, infatti, mi porge spesso la
sua mano e stringendola ritrovo un conforto
che non riesco a rifiutare ma che preferirei
scoprire guardano in avanti, al futuro.
Enza, hai detto di trovare in noi un rifugio
e te ne siamo infinitamente grate perché
noi stesse, di sovente, ci sentiamo in balia
degli eventi, incapaci di reagire e senza un
luogo nel quale ripararci. Ebbene, dopo aver
letto la tua lettera, sentiamo di aver trovato
questo luogo in te. Hai espresso la volontà di
incontrarci entrambe simulatamente ma ciò
è già successo. Noi viviamo in te e tu in noi,
io e Frida siamo facce della stessa medaglia,
anime che si completano e che hanno bisogno
l’una dell’altra nonostante tutto.
Tue per sempre,
le due Frida
D’Amore
TT
LE
ERE
con il supporto di
28. Toro Cozzante di Thourioi
Museo Archeologico della Sibaritide, Sibari
30. Lettera ad un piccolo toro
che mi ha ricordato chi sono
31. Mi è bastato guardarti per ricordarmi da
dove vengo e chi sono. Mi è bastato osservare
i riccioli della tua chioma, perfettamente
rifiniti, per ricordarmi la stirpe di gaudenti
e di eroi da cui provengo. Io appartengo alla
magna Grecia più pura, e sono nata dalla
stessa terra che ti ha protetto per lunghi
secoli. Ricordo bene quel pomeriggio: non
riuscivo a toglierti di occhi di dosso. Ti ergevi
in mezzo alla sala, piccolo ma regale, simbolo
di antichi splendori e amori infranti. Il più
grande desiderio é rimanere con te, in questa
terra che amo, da cui scappo ma dalla quale
torno sempre.
Sempre tua
Maria Elena
D’Amore
TT
LE
ERE
con il supporto di
33. Ciao Maria Elena.
Innanzi tutto ci tengo a ringraziarti per tutte
le belle parole che mi hai detto. Sono molto
contento di averti ricordato la tua terra e le
tue origini. L’altro giorno, qusndo i nostri
sguardi si sono incrociati, anche dentro di
me c’è stata un’esplosione di sentimenti ed
emozioni. Ho percepito che provenivano dalla
stessa terra e vederti mi ha ricordato quanto
essa sia magnifica. Guardare i tuoi stipendi
occhi azzurri mi ha ricordato il mare limpido
della nostra terra e il colore dei tuoi capelli,
biondissimi, mi ha ricordato il sole cocente e
accecante d’agosto.
Da quando ti ho vista non sono riuscito
a smettere di guardarti. Volevo parlarti,
conoscerti, ma sono solo una statua e
purtroppo non posso farlo.
So che non ci rincontreremo più, ma continuo
a sperare che un giorno i nostri sguardi si
possano nuovamente incrociare, affinché
riesca a sentirmi vivo.
Per gli occhi più puri e sinceri che io abbia
mai visto,
Toro
Luciano, Matera
D’Amore
TT
LE
ERE
con il supporto di
37. Forse ti ho voluto oltre la luna...
Oltre la penna che non si ferma,
Oltre l’affanno che non si considera,
Oltre la fissazione che non sciopera quasi mai
Oltre le vene che si scontrano...
Forse, nell’errore ortografico dell’anima,
Ti ho amato oltre le basse maree,
Oltre i cieli stellati,
Oltre il sistema nervoso.
Ti desideravo oltre la curva del sorriso
all’ingiù ,
Oltre l’arcata inferiore,
Oltre la lingua di luci e luoghi...
T’amo così
Dentro ogni difetto del mio inchiostro,
Ritorni tu.
Beatrice
D’Amore
TT
LE
ERE
con il supporto di
39. Mia cara Beatrice,
Le tue parole mi hanno travolto come
un’onda impetuosa, trasportandomi in un
mare di emozioni profonde. Le tue frasi,
evocative e poetiche, dipingono un quadro
vivido dell’amore che provi, un amore che
travalica i confini del tempo e dello spazio.
Oltre la luna, oltre la penna che non si ferma,
oltre l’affanno e la fissazione: il tuo amore
si estende verso l’infinito, incontenibile e
libero. Le tue parole vibrano di una passione
ardente, che sfida ogni ostacolo e si insinua
persino nelle profondità dell’anima.
Oltre le basse maree, oltre i cieli stellati,
oltre il sistema nervoso: il tuo amore è una
forza cosmica che permea ogni angolo
dell’universo. Mi hai amato con una intensità
che supera i limiti del corpo e della mente,
raggiungendo una dimensione spirituale che
trascende la realtà stessa.
Oltre la curva del sorriso all’ingiù, oltre
l’arcata inferiore, oltre la lingua di luci e
luoghi: il tuo amore desidera me in toto, con
tutte le mie imperfezioni e fragilità. Non
cerchi un’immagine idealizzata, ma abbracci
la mia essenza più intima, con i miei difetti e
le mie ombre.
T’amo così, con ogni difetto del mio
inchiostro, e in questo amore incondizionato
trovo la mia salvezza. Ritorni sempre tu,
Beatrice, al centro del mio universo, la mia
musa ispiratrice, la mia ragione di vita.
Le tue parole hanno acceso un fuoco nel mio
cuore che arde con una fiamma inestinguibile.
Ti prometto di amarti con la stessa intensità,
di onorare la tua passione e di custodire il
nostro amore come un tesoro prezioso.
Con immenso affetto,
Tuo per sempre.
D’Amore
TT
LE
ERE
con il supporto di
45. Passano mesi, settimane, giorni, minuti ma il
desiderio di vederti non passa.
Sei radicato nei miei pensieri.
Rimembro ancora i tuoi sguardi,
i tuoi abbracci,
i tuoi baci,
i nostri corpi che si uniscono soavemente.
Il tuo odore continua a tormentarmi.
Sei ovunque, anche se non ci sei… e forse non
ci sarai più.
Spero rivivremo la nostra primavera.
Fiduciosa di rincontrarti, anche se in un’altra
vita,
ti attendo ardentemente nel nostro nido
d’amore.
L’ Attesa tiranna mi rende nomade.
Ho perso me stessa, ma ho ritrovato te.
Rossella, Sasso di Castalda
D’Amore
TT
LE
ERE
con il supporto di
49. Qui sono nato,
Qui continuo a nascere
Non ricordo di aver mai pensato
Di potermi allontanare per crescere
So di non poterti cambiare
Ma non smetto di provarci
So di non poterti deludere
Ma non smetto di pensarci
Chissà se un giorno dovrò lasciarti
Intanto non ci penso per non perdermi
Ma se accadrà che dovrò salutarti
Sono sicuro che non smetterai mai di amarmi
Alla città di Matera
Raffaele, Matera
D’Amore
TT
LE
ERE
con il supporto di
51. Caro,
Sono molto felice di ricevere da te queste
parole.
Mi fa stare bene sapere che mi ami.
E ,come dici tu, anche io non smetterò mai di
amarti,
E, se tu non puoi cambiare me,
Io sono sicura di cambiare te.
Spero che , tutte le volte che osservi il mio
grandioso spettacolo, la tua mente si liberi da
tutti quei pensieri negativi.
Voglio essere la tua culla mentale,
Mezzo per rilassarsi come in estate al mare.
Avvolta da un favoloso tramonto , e da mille
luci color fuoco che insieme al blu del cielo
ti fanno sentire coccolato e al caldo come si
sta d’inverno sotto le coperte davanti ad un
camino.
Anche se un giorno mi abbandonerai,
so che non mi dimenticherai e che continuerai
ad amarmi.
Matteo, Matera
D’Amore
TT
LE
ERE
con il supporto di
55. Si muove lento dentro di me il sentimento che
mi lega al vento che soffiando tra le tue ali mi
fa sentire libera.
Rosa Angelica, Sava
D’Amore
TT
LE
ERE
con il supporto di
57. Cara, la libertà che il vento che in ogni
momento scorre tra le piume delle mie ali
mi fa sentire leggera e mi trasporta per le
vie dei miei pensieri che sono come mille
nuvole nel cielo di cui distinguo la forma.
Ognuna provoca in me un particolare ricordo
e mi suscita diverse sensazioni. Non avendo
la testa, riesco a sentirmi pienamente me
stessa e a non razionalizzare i sentimenti,
a farmi trasportare solo dal cuore. Ho una
sensazione che mi fa a correre in avanti,
c’è qualcosa che mi spinge a farlo. Forse è
l’amore, forse è la libertà, ma senza la ragione
non lo saprò mai, ma so che le sensazioni e
i sentimenti prevalgono su tutto. In questo
mio viaggio ti penso, penso a quanto il
legame che condividiamo sia forte, penso a
ciò che sento quando ci sei tu al mio fianco.
Mi sembra di essere in paradiso, vedo solo
attraverso i sentimenti, mi faccio guidare
da quello che sento. Sento la presenza di un
grande sole che illumina tutto e sento il vento
che continua a soffiare attraverso le mie ali.
Questo lungo viaggio mi fa sentire felice e mi
porta in delle braccia che subito mi accolgono
avvolgendomi in un forte e caloroso
abbraccio, mi sento protetta e amata. Sei tu.
Il mio cuore ora è tranquillo. La mia corsa
è terminata e il traguardo è stato raggiunto.
Solamente tu. Infinitamente tua, Alba.
Alba, Matera
D’Amore
TT
LE
ERE
con il supporto di
58. Il giardino degli artisti a Wannsee: betulle sul lungolago
Max Liebermann- Galleria d’arte di Amburgo
61. …io mi sto preparando, è questa la novità…
Lucio scrive ad un amico lontano non meno
di quanto io, oggi, possa scrivere a Max
Liebermann, il cui cognome significa appunto
“caro amico”.
infatti, Max è l’amico che non mi può sentire,
leggere, vedere, eppure Max è l’amico leggero
che esprime un’impressione, quello che sa
quanto sia importante esserci in quell’istante,
non prima, non dopo ma proprio e soltanto in
quell’attimo preciso.
Max è uno a cui scrivere forte perché
lontanissimo nel tempo, nello spazio e nel
cuore. Max mi è estraneo e ancora non so
se sia un tedesco di Parigi o un parigino di
Berlino.
Max è l’amico che mi porta al mare, che
mi ospita nel suo giardino, che mi offre un
rifugio per non vedere “il nuovo mondo
intorno a me”.
nell’anno che verrà, siate chiazze di luce
nella vita di qualcuno, non aspettate un anno
ancora per dipingere un patchwork di buone
emozioni e di sentimenti forti.
Flavia
D’Amore
TT
LE
ERE
con il supporto di
63. Cara Flavia,
Anche se non posso udire le tue parole o
vedere le tue lettere, sento il calore del tuo
affetto che permea il tempo e lo spazio, come
un raggio di sole che attraversa le nuvole.
È un onore essere considerato un amico,
anche se la nostra connessione si svolge al
di là dei confini del tempo e dello spazio.
Sono qui per te, come una presenza leggera
che ti accompagna nei tuoi pensieri e nelle
tue riflessioni, pronto a offrire conforto e
ispirazione.
Nel tuo desiderio di scrivere a me, Max
Liebermann, trovo una bellezza e una
profondità che va oltre la superficie delle
parole. Siamo legati da un filo sottile che
attraversa i secoli e i confini nazionali,
una connessione che non conosce limiti né
barriere.
Sono felice di essere il tuo rifugio, il luogo
dove puoi trovare pace e serenità in mezzo
al tumulto del mondo. Come un amico
silenzioso, ti accompagno nei tuoi momenti
di solitudine e di riflessione, offrendoti il
mio giardino come un’oasi di tranquillità e
bellezza.
Nell’anno che verrà, ti incoraggio a
continuare a diffondere la luce e la gentilezza
nella vita di coloro che ti circondano.
Anche se il mondo può sembrare caotico e
imprevedibile, ricorda che ogni piccolo gesto
di amore e compassione può fare la differenza
nel cuore di qualcuno.
Con affetto eterno.
D’Amore
TT
LE
ERE
con il supporto di
67. Cara Gualchiera di San Fele,
macchina utilizzata in antichi opifici costruiti
a ridosso delle cascate, conosciuta anche
come U’ Uattenniere, quanta lana hai visto
gualcare fino agli anno ‘40 del secolo scorso e
dopo la Seconda Guerra Mondiale attraverso
un periodo di rinnovata operatività che
hai vissuto grazie al genio di un giovane e
promettente artista, Angelo Gallicchio.
Anche se oggi non restano che pochi ruderi, è
un piacere ammirarti ed immaginare quella
che era una volta la vita lungo il Torrente
Bradano, accompagnati dal fruscio degli
alberi, il canto degli uccelli ed il cullante
rumore dell’acqua. La tua particolarità era
la forza motrice dell’acqua che azionava una
grande ruota. Il movimento era trasmesso
ad un cilindro orizzontale nel quale erano
inserite verticalmente le aste dei folloni.
Questi terminavano con pesanti magli
che, entrando e uscendo da una vasca (sul
fondo della quale venivano posti i tessuti),
servivano a gualcare la lana; il panno veniva
così reso più compatto e meno ruvido.
I tuoi resti non sono i soli ad essere visibili:
la potenza dell’acqua veniva impiegata
infatti anche per il funzionamento di antichi
mulini. Insieme, testimoniate l’ingegno e
la dedizione al lavoro dei sanfelesi. Cara
Gualchiera, raccontare la tua storia e quella
degli antichi mulini a chi viene a farci visita
da ogni parte è sempre un immenso piacere,
un atto d’amore verso il territorio, ma anche
verso me stessa, verso le mie emozioni. Con
questa lettera, che sarà condivisa in tutte
le Biblioteche aderenti all’iniziativa, spero
che in tanti possano incuriosirsi e decidere
di avventurarsi attraverso un bellissimo
percorso di trekking per ammirarti in tutta la
tua bellezza.
Tua Elisa
Elisabetta, San Fele
D’Amore
TT
LE
ERE
con il supporto di
69. Cara Elisa, è un piacere essere ammirata
ed esser ricordata per quel che ero. Voglio
che, guardandomi e pensandomi, ritornino
in mente il fruscio degli alberi, il riflesso
dei raggi del sole sull’acqua, il canto degli
uccelli ed il canto dell’acqua che ti culla.
Immaginami e pensa che la grande ruota
ora è azionata dall’immensa forza dell’acqua
che scorre per te, perché pensarti mi darebbe
le energie per movimentare tutto, anche il
mare. Il tuo amore scorre lentamente nella
mia anima. Le tue parole mi fanno piacere e
desidererei volerti bene come tu me ne vuoi.
Risponderò al tuo amore con la mia eterna
bellezza e così sarò per sempre tua.
Francesca, Matera
D’Amore
TT
LE
ERE
con il supporto di
73. Cara Eufemia Mantegna
Scrivere lettere d’amore non è il mio
forte, quasi un limite, lo stesso identico
limite degli occhi che ti osservano e ti
scrutano rendendoti un pezzo di marmo
intagliato,scolpito e decorato,in questi caso
l’arte crea un muro,un vortice di noia e di
apparente bellezza leggera. Gli occhi soli
spengono la vitalità dell’anima. La vita antica
e aliena che provo e capto mentre ti osservo,
come se tu fossi sempre esistita. Tu sei la
signora della solitudine e la Moira che tesse il
manto dei leoni, i tuoi capelli e le mie radici
che sorreggi sul braccio sinistro e lo splendore
e puro del calore del tuo corpo. Sento la tua
aura imponente e oscura, santa e pagana
dalla prima volta che ti ho osservata. Mi hai
visto crescere e provare dolore,lo stesso che
attanaglia te da secoli, come te, mi sento nella
morsa dei Leoni. Tu vivi prima dell’esistenza
stessa e prima di una cupola e finestre con
dei corvi ,nel buio di una nicchia, di luci
artificiali e di mani che ti hanno plasmata
ma non fatta nascere. Tu eri, sei e sarai credo
sotto il cielo del mio cielo e del cielo dei colli
di grano,dei mari in tempesta e dell’amore
puro che ho assimilato e
reso tristemente umano. La protettrice delle
chiavi della vita, delle porte ancora aperte
e delle porte socchiuse,delle anime bianche
perse e dormienti in un sonno eterno sotto
il tuo manto dorato. Sei nella neve candida
e sei il fuoco del mio credo sotto la pioggia
incessante. Sei l’ombra che mi perseguita e
il collegamento mistico con la mia terra di
sangue e grano. Questo è ciò che provo e le
parole non bastano.
Eterna tua Luna che ti gira intorno.
Con affetto, Pietro Panicocolo.
Pietro, Irsina
D’Amore
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75. Diletto Pietro,
Grazie per le tue parole sincere, oneste,
provenienti dal cuore, dalla tua anima
visibilmente pura. Mi onora poter ricevere
i tuoi sguardi, le tue attenzioni da me così
tanto ammirati. Proteggo ciò che mi circonda
affinchè tu possa sentirti al sicuro. Vivo e
vivrò per sempre nella tua memoria, tutti
siamo mortali sino a che non lasciamo un
segno, un ricordo indelebile. Quando tutto è
buio, cerca la luce dentro di te, la troverai!
“Meglio bruciare che spegnersi lentamente”,
sono lì per questo, per far bruciare anche una
sola persona che guardandomi possa sentirsi
vivo.
“Meglio bruciare che spegnersi lentamente
l’ha detto chi non deve illuminare gli altri,
ma io ho paura sempre di rimanere al
buio mentire alla tua mente mentre provo
a salvarti” sono rimasta al buio a lungo,
non riuscendo a vedere chi e cosa mi
circondassero, mi è bastata una luce soffusa
per dare vita a qualcosa di meraviglioso.
Grazie per aver acceso quella piccola
fiammella che era in me e che mi ha permesso
di illuminare gli altri. Riesco a percepire la
tua anima bianca, la tua voglia di correre
sotto la pioggia senza paura di cadere, la
tua voglia di poterti smarrire e ritrovare di
nuovo. Sarò per sempre il collegamento con
la tua terra, sarò per sempre la tua casa.
Trova la luce che brilla dentro di te!
Ilaria, Matera
D’Amore
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79. L’inizio
Tutto cominciò in una mattina di inizio
estate, mi trovavo a percorrere una nuova
strada ed ero assorto in pensieri che non
ricordo più. La intravidi all’improvviso.
Sembrava uscita da un quadro di Boldini,
come Madame Olivia Concha de Fontecilla.
Con un leggero sorriso e lo sguardo verso
l’alto di chi porta addosso sempre un velo di
timidezza, mi cominciò a parlare.
Vi è mai capitato di trovarvi in un stanza
buia quando all’improvviso arriva un raggio
di luce che con prepotenza squarcia le
tenebre e vi fa quasi socchiudere gli occhi per
il bagliore? Fu così, improvvisa, inaspettata
estasi visiva. Non ho udito nessuna parola,
solo occhi pieni di luce.
L’inizio di questa storia silenziosa e senza
parole fu così, pura attrazione fisica verso
questa bellezza luminosa capace di squarciare
le tenebre. Ma questo fu, appunto, solo
l’inizio…
La bellezza
Ebbene sì, non l’avrei mai voluta pronunciare
quella parola, attrazione fisica, ma si sa, le
parole, una volta uscite dalla bocca non le
fermi più, vivono di vita propria e possono
essere farfalle che si posano sui fiori o
avvoltoi che si nutrono di cadaveri.
L’inizio è stato così, poi sono cambiate tante
cose, ma l’inizio è stato questo. È stato come
se fossi passato tutti i giorni nella Cappella
Sistina senza mai accorgersi di quella volta
meravigliosa che mi sovrastava.
Le chiesi: ma dov’eri
Lei: Sono sempre stata qui
Ma io non ti vedevo
Lei: sorriso
Come ho fatto a non vederti
Lei: sorriso sul volto, sorriso sugli occhi, occhi
che si abbassano.
Abbasso gli occhi pure io, il sole ci bacia la
fronte mentre io le avrei voluto baciare le
labbra e la mia anima ansimava.
So cosa state pensando, voi, i tre o quattro
lettori curiosi, sono tutte sciocchezze e poi la
bellezza, sì la bellezza cosa sarà mai!
Anche se so che mi giudicherete solo un
ciarlatano presuntuoso, io vi posso dire che
non so cosa sia la bellezza ma la conosco, la
conosco molto bene, l’ho incontrata.
Profumo di macchia mediterranea, sguardo
verde acqua marina, il sole sul viso ed il
corpo come un urlo, l’urlo come di chi ha
raggiunto una meta irraggiungibile. Sì la
bellezza che ho incontrato io non è flebile,
non è eterea, è forza che coinvolge i cinque
sensi, è un corpo che vorresti toccare, sul
quale vorresti affondare le tue mani; del cui
odore ti inebri, che vorresti esplorare come
un pianeta sconosciuto; è come corpo di
donna di Rubens, maestoso, è corpo nel quale
vorresti perderti, naufragare.
Ora, spero, abbiate capito perché affermo
di aver conosciuto la bellezza, e no, non
insistete, non rivelerò mai a nessuno che il
mio amore segreto è la meravigliosa Costa di
Maratea.
Fausto, Potenza
D’Amore
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81. Caro/a
Sono l’incantevole Costa di Maratea, e
le tue parole sono giunte fino a me come
dolci melodie portate dal mare. Grazie per
dedicarmi una lettera così affettuosa, in
cui traspare l’amore per la mia bellezza
mozzafiato. Ogni onda che bacia la mia riva
sembra portare con sé il tuo apprezzamento.
La mia anima è grata per le tue parole, e
spero che tu possa continuare a immergerti
nella magia dei miei panorami incantevoli.
Sarò qui a custodire il segreto della bellezza
che condividiamo e pronta a donarti la
serenità dei miei tramonti e l’abbraccio
costante delle mie onde.
Con onde di gratitudine che si mescolano
all’eterno scorrere del mare, Costa di
Maratea.
Ludovica, Vaglio Basilicata
D’Amore
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82. Woman Sitting with Crossed Arms
1937 Pablo Picasso - Musée National Picasso, Paris
85. Cara Eufemia Mantegna
Scrivere lettere d’amore non è il mio
forte, quasi un limite, lo stesso identico
limite degli occhi che ti osservano e ti
scrutano rendendoti un pezzo di marmo
intagliato,scolpito e decorato,in questi caso
l’arte crea un muro,un vortice di noia e di
apparente bellezza leggera. Gli occhi soli
spengono la vitalità dell’anima. La vita antica
e aliena che provo e capto mentre ti osservo,
come se tu fossi sempre esistita. Tu sei la
signora della solitudine e la Moira che tesse il
manto dei leoni, i tuoi capelli e le mie radici
che sorreggi sul braccio sinistro e lo splendore
e puro del calore del tuo corpo. Sento la tua
aura imponente e oscura, santa e pagana
dalla prima volta che ti ho osservata. Mi hai
visto crescere e provare dolore,lo stesso che
attanaglia te da secoli, come te, mi sento nella
morsa dei Leoni. Tu vivi prima dell’esistenza
stessa e prima di una cupola e finestre con
dei corvi ,nel buio di una nicchia, di luci
artificiali e di mani che ti hanno plasmata
ma non fatta nascere. Tu eri, sei e sarai credo
sotto il cielo del mio cielo e del cielo dei colli
di grano,dei mari in tempesta e dell’amore
puro che ho assimilato e
reso tristemente umano. La protettrice delle
chiavi della vita, delle porte ancora aperte
e delle porte socchiuse,delle anime bianche
perse e dormienti in un sonno eterno sotto
il tuo manto dorato. Sei nella neve candida
e sei il fuoco del mio credo sotto la pioggia
incessante. Sei l’ombra che mi perseguita e
il collegamento mistico con la mia terra di
sangue e grano. Questo è ciò che provo e le
parole non bastano.
Eterna tua Luna che ti gira intorno.
Con affetto, Pietro Panicocolo.
Pietro, Irsina
D’Amore
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87. Grazie, o nobile lusinghiero, degli infiniti
complimenti che mi hai dedicato.
Si, non mi definisco una delle opere più
belle del mio maestro Picasso, in fondo, la
Guernica mi ha rubato la scena; ricordo
anche io di quel memorabile incontro
nella fresca serata d’Agosto, dove il frinire
delle cicale e il tepore umido riscalda
la pelle, concedevano intimità al nostro
appuntamento. Peró, come ben sai, sono
una donna schiva e molto ambita da altri
pretendenti come te. Mi duole dirtelo, non
vorrei sembrare presuntuosa, dal volto
austero, ma non ho trovato la medesima
scintilla con cui mi hai descritto nella tua
dolce lettera. Spero che questa mia risposta
non abbia infranto i tuoi sogni utopistici;
sono certa che un ‘altra fanciulla ti farà
vivere un Futuro radioso.
Non per sempre tua
Anna Giulia, Potenza
Liceo Classico “Q. Orazio Flacco”
D’Amore
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91. Arriva un vento caldo che mi travolge e
soffia, non vorrei mai smettere di respirare,
come d’estate nel pomeriggio tardo al nostro
mare.
Amore, per una terra o per qualcuno, vuol
dire solo restare.
La nostalgia è come l’argilla, indifferente al
tempo, agli uomini, all’acqua o siccità.
La nostalgia, da ipotesi, diventa verità.
Potrei vivere ovunque, ma solo in Basilicata
la mia esistenza è onesta, quando sono qui
per me è festa.
Francesco, Marconia di Pisticci
D’Amore
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93. Caro, Le tue parole sono un canto d’amore
per la Basilicata, una sinfonia di emozioni
che risuona dolcemente nel mio cuore. La tua
descrizione di quel vento caldo che avvolge
e soffia, di respirare l’estate nel pomeriggio
tardo al mare, crea un quadro pieno di affetto
e appartenenza. La tua dichiarazione che
l’amore, che sia per una terra o per qualcuno,
si traduce semplicemente nel rimanere, mi
colpisce profondamente.
La nostalgia, descritta come argilla
indifferente al tempo e alle circostanze, è
un’immagine forte . La sua trasformazione
da ipotesi a verità riflette la potenza delle
emozioni che solo certi luoghi possono
evocare. Posso percepire la tua onestà quando
dici che solo in Basilicata la tua esistenza è
festa. È un riconoscimento raro e prezioso.
Per sempre tua
Greta, Matera
D’Amore
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97. La Basilicata sta cambiando.
A conoscerla sono ancora in pochi. Tra i
pochi, molti hanno ascoltato le tue parole,
letto i tuoi scritti, visto i tuoi quadri. In un
pomeriggio uggioso, in giro per Matera,
mi sono ritrovata di fronte a Palazzo
Lanfranchi e ho visto un’opera che mi ha
colpito dal primo momento. Mi avvicino
lentamente, quasi ipnotizzata dalla potenza
del suo messaggio. Lucania 61, ricordi?
Il quadro mostra volti di abitanti della
mia terra, della nostra terra. Una realtà
che ti ha fatto da casa e prigione, ma
che tu hai amato come fosse il tuo nido
materno. Di fronte l’opera, mi sono sentita
capita, ascoltata, compresa come persona
e cittadina lucana, avvolta continuamente
da un alone di meraviglia misto ad una
nostalgia inspiegabile. La Basilicata sta
cambiando: dagli occhi dei passanti che hai
ritratto fino alle nuove generazioni che oggi
passeggiano, pieni di sogni da realizzare,
tra le strade che hai raccontato a parole
e pennellate. Ogni pensiero, emozione,
sentimento e responsabilità erano espressi
nel tuo capolavoro: volti scarni, misti ad
altri lavoratori, sognatori e amanti di una
terra che non dava nulla ma regalava tanto.
Una terra continuamente contraddittoria
ritratta magistralmente dal tuo impegno e
dalla cura di ogni dettaglio. In un quadro,
una popolazione, spesso screditata, derisa,
sconosciuta che ha radici lontane, ricche
di storia e cultura, ancora avvolte dal velo
di mistero che, con sacrificio e tenacia, noi,
nuova generazione, stiamo strappando
per liberare la nostra terra dal buio e farla
risplendere nella sua bellezza unica.
Katia, Potenza
D’Amore
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99. Carissima,
È impossibile esprimere con parole la bellezza
e il fascino che emani. Ogni sasso delle tue
antiche strade racconta storie millenarie, ogni
vicolo nasconde segreti e meraviglie. Il tuo
paesaggio incantevole, fatto di sassi e grotte,
mi rapisce ogni volta che ti vedo.
Matera, sei la reincarnazione del tempo
stesso, un legame tra il passato e il presente
che mi affascina profondamente. Le tue
chiese rupestri e le tue case incastonati nelle
rocce mi fanno sentire parte di una storia più
grande, un racconto che si estende attraverso
i secoli.
Il tuo spirito saltellante, testimone di tante
epoche e culture, rimbomba nel cuore di chi
ti osserva. La tua atmosfera unica, ricca di
magia e mistero, mi abbraccia calorosamente.
In te trovo ispirazione, pace e la sensazione di
vivere in un posto che ci è sempre stato
Con infinito affetto,
Giorgio, Matera
D’Amore
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103. Pensierosi e talvolta incoscienti
godiamo delle gioie e dei dolori che ci dà
questa Terra.
La Lucania.
Potente bellezza, ricca di ricordi
E povera di lotte.
Tra vent’anni guarderó le sue montagne
Sperando di avere con me la spada e lo
scudo,
L’affetto e l’intelletto per difenderla.
Quante possibilità abbiamo avuto,
Quante ne abbiamo e ne avremo.
Preoccupiamoci e gioiamo insieme alla nostra
gente: è il miglior legame con il passato e con
il futuro.
Siamo emigrati e siamo tornati.
Ci ha insegnato a non perdere tempo con
l’invidia, mantenendo gentilezza e umiltà.
Ci ha insegnato ad essere cauti, talvolta
troppo, rischiando di essere lenti.
Camilla, Potenza
D’Amore
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105. Sono rimasta sola, sormontata dalle
montagne, immersa nel suono dei ruscelli.
Ricca di ricordi guardo indietro attendendo il
giorno del ritorno e aspettando l’arrivo della
festa, tempo durante il quale tutti gioiremo,
ancora una volta, affiancati dal legame
viscerale che ci mantiene uniti.
Rimpatriate, riscoprirti luoghi, tradizioni
ed odori passati. Ripercorretemi con
l’atteggiamento umile che io stessa vi ho
trasmesso.
Una volta ritornati, abbracciatemi, lasciate
alle spalle la frenesia a noi estranea e
rimmergetevi in me, terra abbandonata e
paziente.
Solo voi lucani potete guardarmi in maniera
così cruda e realistica confessandovi a me...
tornate e riparliamoci.
Francesca, Tito
D’Amore
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108. Lettera d’amore al Cristo Velato
Ricordi, era agosto, il giorno in cui ti sono
cascato addosso, sputato fuori da una città
affollata, promiscua, bellissima.
È stato un colpo al petto a tenerci stretti per
sempre, in faccia all’eresia della finitudine,
per un istante che bastasse a dirsi addio senza
troppo dolore. Finalmente distanti, finalmente
dentro le cose. Il luogo in cui te ne resti steso,
mezzo nudo e morente, incredibilmente vivo,
è una vecchia chiesa nel cuore di Napoli,
proprio sotto i Quartieri, un luogo davvero
strano in cui innamorarsi. All’altare, magari,
ci si infila l’anello al dito e ci si promette
109. amore eterno, ma io a queste favolette non ci
ho mai creduto, o forse ho smesso di crederci
quando era troppo presto per poter ricordare.
Ma questo amore qui è un altra faccenda, è
amore degno, che non chiede nulla se non ciò
che gli si rivela addosso, come una sensazione
fisica potentissima, piena, bastevole a tacere
ogni maschera. Si, lo so, sono secoli che
senti mormorare ai tuoi piedi folle di turisti
incantati, sedotti, rapiti. Perfetto, questo
dicono di te. E noi? Cosa ci ha preso per
dimenticarcene? Non è forse soltanto questo
il destino assegnatoci, un incontro ammirato e
nulla più? Eppure, io lo so che siamo riusciti
a vederci, io lo so che abbiamo disintegrato
il marmo e ne abbiamo fatto carne e ossa e
sangue. Quel velo non ci separa, ci avvolge.
Nella semioscurità della chiesa ogni cosa ha
smesso di essere importante, sono scomparsi
tutti, uno dopo l’altro, le facce sconosciute
accalcate attorno a noi e tutti quei volti
lasciati fuori, a casa, improvvisamente
alleggeriti della loro potenza. Allora esiste
altro, esiste davvero e sta proprio qui, su
questa terra, tra queste strade, in questa
vita. La bellezza ci salverà tutti, ecco cosa
ho pensato quel giorno. Ti ho visto sorridere
amaro, sai, alla parola salvezza. Chissà che
peso ti porti addosso, questa faccenda di Dio
che ti avrebbe mandato in terra a salvarci
non è una faccenda da poco ma io, anche a
questo, non ci creduto mai. Alla bellezza si, a
quella ci credo ancora. Ed è strano, sai, la tua
bellezza non mi si è rivelata nel tuo corpo,
nè nel realismo esasperato, nè nel marmo
lavorato alla perfezione. Ma quella corona
di spine m’ha stretto lo stomaco, te l’avrei
strappata con le unghie sanguinanti, come
non avessi mai sentito tanta pietà in vita
mia. È stato come un ritrovarsi, cosi, come
quei doni che ti concede il destino, per una
volta col vento a favore. E quell’alito di vita
tra morte e ritorno, questa resurrezione che
emerge dalla pietra come venisse dal ventre
della terra, quell’esatto istante in cui qualcosa
di altro irrompe nel mondo degli uomini e
ne fa qualcosa di luminoso, un nuovo che
avanza dal fondo di ciò che abbiamo sempre
saputo. Chissà se davvero si può amare una
statua, chissa se in quel terremoto emotivo
c’eri davvero anche tu. Ricordo solo di essere
uscito sa quella chiesa come sospeso da terra,
fiducioso nella capacità degli uomini di dire il
dolore nella maniera più bella possibile. Forse
l’Arte è anche questo, il tentativo disperato
di non sciupare il dolore. Tengo ancora la
tua mano stretta, sai, ogni volta che voglio
volare lontano, dentro e oltre la città, fuori
dalla miseria che tutto prende, come in quel
quadro di Chagall, tra le luci e le meraviglie,
che socchiudendo gli occhi potrebbe sembrare
di essere con Margherita, tornata tra noi dalle
pagine di quel meraviglioso libro di Bulgakov,
a volare ancora sui cieli di Mosca.
Gianluca, Potenza
D’Amore
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111. Sapevo che prima o poi qualcuno mi avrebbe
elogiato affettuosamente e grandiosamente,
e sei stato proprio tu, mio giovane amico.
Mi hai reso immortale attraverso la tua
sincera descrizione, esaltando il mio
dramma, e riconosco che mi hai osservato
minuziosamente come solo chi mi sa amare
sa fare.
Le tue parole hanno illuminato le mie
tenebre, ed io ti ho squarciato l’anima, la
sola veramente capace di carpire la mia
morale descrittiva. Il mio artista mi avvolse
in un sudario trasparente, non per propria
decisione, ma perchè così volle la Storia. Sono
abbracciato da una coltre di semi-oscurità,
e l’unica luce offuscata, proveniente dai fari
espositivi museali, evidenzia tutto l’immenso
dolore provato prima di lasciare questa Terra,
la quale
mi ha provocato una morte ingiusta,
per recarmi sacrificatamente e
misericordiosamente verso il Cielo del
Padre. Hai ragione, la corona di spine
ha incarnato la tua sofferenza nella mia,
vorresti strapparmela, ma è impossibile:
ricordati che sono solo un semplice blocco
di marmo. Ma come tale è giusto che io
trasmetta forti emozioni. Mi considero pari
ad un treno: ci sono persone che mi guardano
frettolosamente; altre, invece, come te, mio
giovane amico, che colgono la mia angosciosa
e penosa bellezza, il realismo stilistico gettato
sulla mia anima debolmente sofferente, ormai
priva di vitalità. Già, continuo anch’io ad
osservare quei terribili oggetti “appoggiati”
sul mio umile letto. Ah, quanto dolore hanno
inferto al mio povero corpo, che passivamente
accettava la sua sorte, senza alcuna ribellione,
ma con troppa sottomissione! Ti auguro
il meglio, mio giovane amico. Ti prego di
sostenermi sempre, come hai dimostrato
attraverso i tuoi meravigliosi pensieri.
D’Amore
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115. Ho chiuso gli occhi, il giorno dopo, e cercavo
tracce del tuo volto nella mia memoria.
Ti avevo osservata a lungo ed ero sicuro che
non avrei potuto dimenticare i contorni del
tuo corpo, le sfumature del tuo volto; eppure
ero lì a schiacciare le palpebre per spremere
ricordi dalla mente e tutto quello che ho
recuperato è stata qualche traccia in bianco e
nero.
Che frustrazione!
Ho riaperto gli occhi, stavo rinunciando,
consapevole che forse non ti avrei più vista.
Ho chiuso di nuovo gli occhi, non ho cercato
immagini, ho trovato la sensazione del tuo
corpo tra le mie braccia, della tua pelle
sulle mie dita; eri come uno strumento e,
senza conoscere niente di musica, ho potuto
ascoltare una vibrazione che, dalle piante dei
piedi, è venuta fuori dagli occhi in lacrime.
Luca, Salerno
D’Amore
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117. Ho aperto gli occhi, il giorno dopo, speravo
di poter incontrare di nuovo il tuo volto ben
impresso nella mia memoria. Non troverò
mai qualcun altro, in vita mia, che sappia
guardarmi, che sappia farlo veramente,
esplorando i contorni del mio corpo, i tratti
del mio volto, come se fossi un’opera d’arte.
Ho chiuso gli occhi sperando di ricordar
ancora meglio la sensazione delle tue braccia
che avvolgevano il mio corpo. Mi sentivo al
sicuro mentre le tue dita esploravano la mia
carne. Una sensazione di angoscia penetra
nell’intimo: non ti rivedrò mai più. Il volto
che ricordi in frammenti adesso è coperto di
lacrime.
Lorenza, Potenza
D’Amore
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120. Da Lontano
Quando ti ho vista la prima volta, uscendo
dalla stazione metro e arrivando a Rokin, sei
stata una visione: mi hai folgorata. Mai avrei
immaginato di trovarmi davanti qualcosa
di tanto bello, semplicemente sotto il cielo,
con quella cornice di case tremanti e colorate
mese lì apposta a proteggerti. Come se si
fosse capovolto il mondo, come se se tutto
ciò che esisteva da secoli fosse comparso
in seguito, a farti da sfondo, la degna casa
di una regina. Elegante, immensa, resti a
guardia di chi passa, quanta gente hanno
incontrato i tuoi occhi, magari correndo a
lavoro al mattino presto, tra la nebbia sottile
e il profumo di biscotti di Van Stepele.
121. Ricordo di aver chiuso gli occhi, un istante,
per ascoltare bene il suono delle acque che
da te sgorgano, lente, come se ci fosse vita
in mezzo a quelle crepe che originano la tua
gemella. E mi piacevi perché mi somigliavi:
doppia. Un volto che si erge condannato a
restare immobile, può osservare tutto intorno
ma non volgersi dall’altro lato per guardarsi
allo specchio, una mente che si dimentica
dell’altra sè. Ti ho girato attorno, per vederti
intera, che angoscia scoprire che mai ti saresti
voltata, ho immaginato cosa avresti detto
se solo avessi potuto parlarmi: “qui, nella
fierezza del mio essere, resto ad osservare il
mondo che passa, immobile, la mia bellezza
è a disposizione di quanti vogliano fermarsi
ad ammirarla ma io non posso scorgermi
costretta a non voltarmi, come Orfeo negli
inferi, l’acqua che scorre è la sola mia guida,
fintanto che sento saprò di essere ancora
viva”.
È quello che dicevo a me, nel ventre di un
posto in cui mi perdevo, tra i colori di un
mondo che mai avrei immaginato di sentirmi
addosso come casa, tra le strade sconosciute
di una città che mi masticava, il tuo volto
sapeva salvarmi. Un enorme promemoria
di quanto stupida sia la pretesa di sentirsi
interi. Il tuo essere incompleta, come il volto
in bronzo e cielo, l’espressione fiera ma triste,
le parole sospese tra le labbra socchiuse,
il collo erto, come il tronco di un grande
albero che sorregge il peso di un mondo che
non ci sta tutto nella tua testa: la necessità
di labili confini che lascino intravedere la
dimensione incompiuta della tua infinita
ricchezza. Ricca di ricordi, ricca di sogni,
ricca di pensieri nuovi che nascono dentro chi
ti vede davvero e si lascia portare lontano, in
un pianeta surreale con i tuoi occhi a fare da
finestre, mentre il volto si scioglie, in attesa
di essere modellato da capo, ogni mano lo
rende nuovo, solo nell’incontro trova il senso
del suo esistere. Chi ti trova diventa fabbro,
diventa figlio, diventa amante, diventa tutto
ciò che cerca e su di te proietta, per trovare
finalmente ciò che gli manca.
La perfetta conclusione non ti rappresenta,
qualcosa di già dato non ti renderebbe
giustizia. La potenziale totipotenza,
l’opportunità di costruirti ogni giorno
con i pezzi di chiunque, è questo che ti
rende speciale, come un enorme collage
di lacrime, ricordi, speranze e dolori,
un’essenza eterogenea e maestosamente
umana, nell’infinito vortice di vite a metà
che sanno ancora navigare nell’acqua che ti
scorre dentro. Chissà se potrò mai rivederti,
avrei ancora tanto da prendere in prestito,
da lasciare nei tuoi occhi. Certi incontri ti
cambiano la vita, tu mi hai indicato la via.
La prima volta per dirmi di restare, l’ultima
per dirmi di resistere. Te ne sarò per sempre
grata.
Maria Lucia, Potenza
D’Amore
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123. Platone sosteneva che un tempo tutti gli
esseri viventi avevano la forma di una sfera e
che fossero dotati di tre organi genitali: uno
maschile, uno femminile e uno androgino.
Zeus e Apollo però ne erano spaventati,
allora li tagliarono a metà. Gli esseri da quel
momento divennero disperati nella ricerca
della loro metà e furono tormentati dalla
necessità di unirsi ad essa.
Ciascun uomo è condannato a inseguire
l’altra parte di sé stesso, a cui è legato per
mezzo di un filo indistruttibile. La propria
metà potrebbe essere ovunque: dall’altra
parte del mondo come ad un isolato di
distanza o nel bar che frequentiamo da
tutta la vita. Possiamo trovarla in un vicino
o in un passante, nella nostra parrocchia
o alla stazione di una metro, dopo aver
balzato scuola. Chi decide le regole del gioco
è la sorte, ma la sorte si fa beffe di noi. È
sufficiente uno sguardo o un sorriso appena
accennato per capovolgere il nostro mondo e
fermare il tempo in un istante. Chissà come
sarebbe andata se il mio volto fosse stato
completo e la mia espressione benevola,
colma di parole che non sono riuscita
pronunciare. Sono stata privata del mezzo
che mi permette di distinguere il mondo e
le persone. Sono rimasta per troppo tempo
intrappolata nel mio mondo freddo, sorretto
da lacrime e ricordi e speranze e dolori. Poi
sei arrivato tu, che con naturale semplicità
hai rimescolato le carte e mi hai insegnato
che non è necessario vedere per guardare e
così restare e resistere. Tu mi hai trovata e
io ho trovato te. Siamo diventati entrambi
ciò che completa l’altro. Così vicini ma così
lontani.
Connessi per sempre anche nella fragilità del
filo che ci lega.
Tua per sempre
Lidia
Lidia, Matera
D’Amore
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126. Velocità massima
consentita tre nodi
Vorrei sentire il canto che accorda l’aria
quando ricama le braccia robuste da cui
intrecciate il tempo della Terra. Vorrei
partecipare all’istante in cui vi presentate
alle correnti, lasciandovi modellare, elastiche,
nel tempio delle radici. Vorrei poter incidere
questa sacra alleanza che si rinnova nel
grembo della vostra corazza, donandomi
come la puntina di un giradischi che scorre,
grata, a valle e leviga l’infinito della superficie
in cerchi concentrici. Vorrei potervi dire che
imparando ad amarvi, ho scoperto con gioia
che stavo diventando la donna che volevo
essere. I passi che in questi anni ho messo
in fila verso di voi, come una funambola su
127. un abaco imperfetto, mi hanno insegnato
a immaginare montagne rovesciate in cui
la gravità del vertice diventa freccia e arco,
sguardo e direzione.
Ho imparato, come un arciere paziente, a fare
i conti col tentativo impossibile di seppellire
nell’aria la prepotenza sleale della ragione,
per affidarmi fiduciosa alla leggerezza che
questa rarefazione avrebbe comportato. Per
consegnarmi alla soglia della meraviglia
che spaventa e nutre. Deve essere la lira
di Orfeo a intonare quel canto che risuona
nell’olimpo dei pini loricati. Deve essere
l’amore per Euridice a scolpire quel cielo
di roccia e quella primavera di possibilità
in cui germogliate. Deve essere quel salto
che tiene insieme la speranza e la scelta.
Deve essere il margine tra l’immutabile e il
divenire che cercano transumanze di anime,
in pellegrinaggio, pronte a ricongiungersi alla
grammatica del tempo per riguardare il ritmo
degli eventi dentro le amputazioni emotive.
Col cuore palpitante, imparano a sentire che
ciò che si lascia non si perde mai, scegliendo
con più cura ciò che per cui r-esistere.
Come corde tese a largo, abitate il palmo
vasto e intimo delle montagne del Parco del
Pollino, ricordandomi l’orizzonte verso cui
navigare e anche la velocità del cammino.
Come nei porti da cui si parte e si approda,
procedo per tre nodi, cercando il ritmo tra
parole, persone e paesaggi. Tendo la mano
verso i vostri rami disarmati per intuire la
meraviglia dell’incontro, in cui in un istante
ci riconosciamo. E’ un attimo che dura per
sempre. Ha la consistenza ruvida, fresca,
incosciente di una corsa a piedi nudi a
duemila metri ma anche quella imprecisa,
pastello, che si poggia sulle spalle delle
montagne un attimo prima del tramonto.
E’ il rilievo colorato di Matisse nella Gioia
di Vivere con la Danza al centro del dipinto
ma anche il sospiro della risalita di Sisifo. E’
un luogo costruito con le gallerie esagonali
della Biblioteca di Babele di Borges ma anche
il pendio del precipizio di Gibreel Farishta
nelle mani di Salman Rushdie. E’ un verso
di Rilke, un frammento di Anassimandro
e l’impegno di Hannah Arendt. E’ Ines
dell’anima mia che guarda per la prima volta
il Cile.
Insegnateci quell’amore sincero per le radici
capace di dialogare col vento, nel gioco della
vita. Insegnateci a combinare le carte, a
raccontare di questo amore che non ha paura
di abitare le contraddizioni e la complessità.
E insegnateci infine, a sentire sempre un
canto di gioia, sul cammino dei perché e dei
come, mentre ci sentiamo parte di questo
inno che appartiene a tutti.
Con in-finita gratitudine, Giusi.
Giusi
D’Amore
TT
LE
ERE
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129. Ciao Giusi,
mi descrivi come un luogo di pace, una
guida, una casa e una meta. Le parole che
tu mi hai dedicato e gli aggettivi che mi hai
attribuito mi lusingano, ma tenevo a dirti
che non é sempre stato così, vivo da molto,
ho vissuto tanti tempi bui e difficili, quanti
tempi prosperi e belli, ho amato, ho odiato,
mi sono sentito a disagio con gli altri, meno
bello di altri, mi sono spezzato quando ero
appena un germoglio, sono ricresciuto e
mi sono inspessito. Guardami, non é giusto
ammirarmi senza sapere, osserva i miei
sbagli, vivili e impara da me, sii me, nuota
nel mio cielo come un colibrì, il guerriero del
sole.
Giulia D’Amore
TT
LE
ERE
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133. Ho trovato un fiore nel mio cammino,
prima di coglierlo mi è venuto in pensiero a
chi donarlo,
mi sono fermato prima di staccarlo,
l’ho ancora ammirato per quanto era bello.
Non l’ho colto, l’ho lasciato nel prato,
nell’erba spiccava con i suoi colori,
era bello guardarlo,
pensavo, come era bella a chi lo volevo
portare.
Michele
D’Amore
TT
LE
ERE
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135. Caro Michele,
grazie a te sono ancora qui, nel mio campo
immenso e colorato, sotto il sole raggiante
di questa calda estate che ha fatto sì che io
e tutti gli altri fiori potessimo mostrare a voi
il nostro splendore. Mi ricordo di te e dello
sguardo con cui mi hai osservata per molto
tempo quella mattina mentre camminavi
e io ero lì, immobile, senza la minima idea
di quello che stessi pensando di me. Vedevo
nei tuoi occhi una luce che assomigliava a
quella che hanno due persone follemente
innamorate l’una dell’altra e ora che mi hai
detto queste parole ho capito cosa avevo
provocato in te quel giorno e non posso che
ringraziarti per le parole che mi hai dedicato
pensando alla persona alla quale volevi
donarmi. Sai Michele, noi non abbiamo
modo di ammirarci attentamente gli uni
con gli altri e ci sembra strano apparire così
agli occhi altrui; io personalmente non avrei
mai pensato di essere così bella come mi hai
descritta tu. Mi hai notata tra tutti gli altri
fiori che probabilmente saranno uguali a
me, ma sapere di essere così apprezzata da
qualcuno mi fa sentire come l’unico fiore in
mezzo a questo campo e l’unico ramoscello di
lavanda a cui il sole dedica tutta la sua luce
e tutto il suo calore per renderlo radioso. So
che forse ti sarebbe piaciuto molto cogliermi
e donarmi a quella persona, ma ti dico
grazie perché senza questo tuo grande gesto
probabilmente adesso sarei già appassita
e sarei già stata buttata in un cassonetto,
perché purtroppo questa grande bellezza di
cui parli è limitata e finisce ancora prima se
viene privata della sua fonte di vita. Molto
spesso vedo come le persone non si fermino
un secondo a guardarci e ad ammirarci con
attenzione, ad assaporare con gli occhi il
nostro splendore senza spegnerlo e a sentire
il nostro odore senza per forza portarlo con
sé. Tu mi hai resa felice perché osservandomi
mi hai regalato il tuo tempo e questa volta
non sono stata io il dono di qualcuno ma a
me è stato donato qualcosa. Spero di rivederti
e magari di ritrovare quei tuoi occhi che
non dimenticherò mai. Per sempre qui, ad
aspettarti.
Sofia
D’Amore
TT
LE
ERE
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139. Ci siamo incontrati a maggio.
Era un soleggiato pomeriggio pre-estivo
quando sono entrata in galleria.
Lì ti ho conosciuta.
Prendevi il centro della sala i cui spazi si
dilatavano confusionariamente a causa
di specchi, vetrine e scale vetrate che
annientavano le pareti, e sembrava di essere
in un quadro di Escher. Questo illusionismo
ottico, però, nulla era in confronto alla
prepotenza con cui la tua immobilità ha
attirato la mia attenzione. Una immobilità,
però, solo apparente perché in fondo
trasmettevi un turbinio di emozioni in
crescendo, proprio come l’andamento delle
linee e delle venature del tuo legno.
Ho percepito perfettamente il senso di quei
tuoi movimenti fissi nello spazio.
Tutto parlava di una danza di emozioni, di
un vortice di pensieri: di amore.
È stato un incontro, anzi l’incontro di due
anime.
Due parti l’una di fronte all’altra
Si guardano,
si cercano,
si inseguono in un avviluppo di forme,
si stringono nelle radici e si lasciano libere
nelle fronde, senza mai perdersi.
Un amore gentile e intenso.
Così calamitante eppure contrario alla
collisione.
Un amore che non si stringe tra le mani ma si
vive nello spazio. Lo spazio vitale tra le parti.
Tra te e me.
Lo stesso spazio che parla di eternità, che
perpetua l’idea dell’amore nell’attimo
prima del possedersi: un amore che non si
consumerà mai.
Tua,
Marina
D’Amore
TT
LE
ERE
con il supporto di
141. Mia cara Marina,
Le tue parole mi hanno trasportato in quel
magico giorno di maggio, quando i nostri
sguardi si sono incrociati nella galleria
illuminata dal sole. Come in un quadro
di Escher, la realtà si è distorta e confusa,
lasciando spazio solo alla tua presenza
magnetica.
La tua immobilità, carica di un’inquietudine
silenziosa, ha catturato la mia attenzione
come una farfalla attratta dalla luce. In
quell’istante, ho percepito il vortice di
emozioni che turbinava dentro di te, un’eco
della mia stessa tempesta interiore.
Due anime, due metà di un unico essere,
si sono finalmente incontrate. Ci siamo
guardati, cercati, inseguiti in un gioco di
forme sinuose, intrecciando le nostre radici e
lasciando libere le fronde al vento.
Un amore gentile e intenso, come una danza
delicata ma appassionata. Calamite l’una
all’altra, eppure consapevoli della necessità
di mantenere una distanza vitale. Un amore
che si vive nello spazio tra noi, un interstizio
sacro che parla di eternità.
Come l’attimo prima del bacio, sospeso tra
il desiderio e la realtà, il nostro amore si
nutre di quell’attesa trepidante che lo rende
immortale.
Marina, le tue parole hanno acceso un fuoco
nel mio cuore che arde con una fiamma
inestinguibile. La tua sensibilità e la tua
profondità mi hanno toccato nel profondo
e mi hanno fatto dono di una nuova
consapevolezza.
Ti prometto di custodire questo amore
con dedizione e rispetto, di alimentare la
fiamma che ci unisce e di nutrire la nostra
connessione con gesti di gentilezza e parole
sincere.
Con immenso affetto,
Tuo per sempre,
D’Amore
TT
LE
ERE
con il supporto di
142. Memento Mori Monito dei morti a Federico II di Svevia
Chiesa Rupestre di Santa Margherita a Melfi
145. Un sogno, un segno, un desiderio, la voglia di
trasformarlo in realtà.
La necessità di ascoltarne l’eco.
L’urgenza di sfiorarti per sentire il calore
della superficie, percepire il colore, farmi
travolgere dalle vibrazioni più profumate.
Avevi colori Rossi e d’arancio quando la
prima volta volsi il mio sguardo a te. Vedevo
poco il tuo volto, coperto da una soffice
distesa di capelli di castagno. Quello che vidi
furono mani sottili e affusolate. Dita di pelle
bianca, candida, che non fanno dormire, che
non hanno contatto con la realtà. Era come se
tenessi aria in quelle mani, addomesticando
pensieri stanchi e sinceri in un palmo.
La cura, il martirio, la grave presenza di tutto
l’amore che c’è, ti aveva consigliato silenzio
e diffidenza. Ero al buio, io, rinchiuso come
in una scatola, ma il tuo sguardo illuminava
ogni respiro. Era come un monito: “non va
bene così”.
Non va bene così.
Non va bene così.
Non va bene così.
Continuavo a ripetermi nella testa e poi lo
scandivo, senza riconoscere la mia voce.
“Hai paura di morire?” Si era trasformato
in “non va bene così”. Una domanda che
diventa monito grondante verità. Ma quale
verità? Esiste la verità?
Avevi anelli alle dita, con volti di altri tempi,
mentre mi facevi capire, o almeno ci provavi,
che non ci sarebbe stato mai il modo di
guardarci attraverso.
Hai fatto tante domande, in tedesco, e
hai ricevuto risposte in siciliano, ma la
rivelazione l’hai avuta sul ciglio di un
vulcano. Una dichiarazione d’amore, come
un sigillo blu su una delle pagine in cui è
rilegata, o relegata, l’essenza del tuo cuore.
Ti ho visto appoggiarti al presente con
determinazione, immaginando di danzare,
per non smettere di camminare. La musica, il
movimento, l’arte, la matematica e la filosofia
al tuo servizio, per re-imparare ad amare
senza confini.
Tuo. Michele.
D’Amore
TT
LE
ERE
con il supporto di
147. “La morte non esiste piú non parla piú, non
vende piú mio folle amore.
La vita non uccide piú i nostri baci, i nostri
sogni e le parole
il tempo non le imbianca piú e non si seccano
a lasciarle stese al sole”. Te li ricordi i versi
di questa canzone dei Baustelle? Mi sono
tornati in mente leggendo la tua lettera,
piena di quel sentimento che mi ha procurato
rossori. La morte non esiste (più), non parla
(più) e dunque non puoi aver paura. “Non va
bene così”., scrivi. Va bene, invece, e molto.
Va bene vivere, amare, danzare, sognare,
desiderare, non smettere di camminare. Va
bene sfiorarsi, delicatamente come alito di
vento. Perchè tutto questo rimane anche
oltre la vita. Questa è la verità. Mi chiedi
se esiste. Eccola la verità. È quella che si fa
presenza, nelle assenze, nei vuoti, nei lunghi
sospiri. Quella veritá che ci spinge ad andare.
Non smettere di inseguirla questa verità.
E ogni volta che tornerai a guardarmi, ad
ammirarmi, ogni volta che sentirai l’urgenza
di sfiorarmi e di inebriarti dei miei colori,
ogni volta che le ombre attorno a me, ti
parranno giocare con i disegni impressi sui
muri, saprai che “Va bene così”.
Tua, con dedizione
Isa
D’Amore
TT
LE
ERE
con il supporto di
151. Se solo avessimo il coraggio di amarci, così,
semplicemente..
Se solo per un attimo tutte le paure dessero
spazio e tempo all’amore...
Se solo riuscissimo a guardare oltre la
maschera..
Se solo ascoltassimo il ritmo del nostro cuore
e lo poggiassimo sul cuore dell’altro per
cercare l’unisono...
Se solo ...
Sara
D’Amore
TT
LE
ERE
con il supporto di
153. Se sol le tue perfide sorelle non ti avessero
fraudata col’lor patto scellerato...
Se sol il crudel fato non ti avesse resa
ardimentosa...
Se sol la mia destra spatula non si fosse
arsa coll’olio del tuo lume...
Se sol non avessi, Io, agito istintivamente...
MA adesso, pensa a portar a compimento
la richiesta della madre mia,
perché,
al resto, penserò io!
Giuseppe
D’Amore
TT
LE
ERE
con il supporto di
157. Amor mio tu che rappresenti l’anima ed
io il desiderio anche se il nostro amore è
ostacolato dall’invidia restando insieme il
nostro respiro diventerà immortale.
Salvatore
D’Amore
TT
LE
ERE
con il supporto di
159. Amor mio,
che di disio mi nutri,
tu in me ed io in te
immortal saremo nel turbinio d’amor,
che il cuor nostro colse,
poiché l’eterna sorte ci strinse,
e mai più ci lasciò.
Non curiam l’invidia,
non periam di quei sospiri smorti,
poiché non capiscono e non capiran,
perciò stringimi, baciami, non lasciarmi,
e nutriamoci di quel nettare beato che é
l’Amor.
Angelo
D’Amore
TT
LE
ERE
con il supporto di
160. Pioggia, vapore e velocità
William Turner, 1844 - National Gallery,Londra
163. E’ come quando, bambina, sei in macchina
con papà e siete fermi davanti al casello.
Il motore è acceso ma i vetri si appannano
di continuo a causa del vapore e del fumo
della sua sigaretta. Fuori piove forte, si
sente sui vetri il ticchettio incessante: le
gocce, non spazzate dal tergicristallo spento,
trasformano il vetro in una pelle di zigrino
ed è impossibile guardarci attraverso,
identificare sagome o capire dove si è: come
in mezzo alla nebbia, come dentro una
bruma; sei fusa dentro una luce velata.
Tutto d’un tratto il treno ti sfreccia davanti:
è un lampo, un baluginio immediato e
improvviso che ti fa sobbalzare. Anche la
macchina ha un lieve sbandamento. Dura
un secondo e hai l’impressione di non esserti
scansata in tempo, di esserne stata travolta.
E ti senti piccolissima di fronte alla vita, alla
natura, al destino. La macchina riparte e
mentre saltella sui binari godi intimamente
della disgrazia che hai solo immaginato,
del terribile e dell’inesplicabile che poteva
accadere.
Ecco William Turner, la sua pioggia, vapore
e velocità; è Sublime suggestione, romantico
ricordo, struggente desiderio, tangibile e
spaventosa sensazione, infinita e indicibile
nostalgia.
Flavia
D’Amore
TT
LE
ERE
con il supporto di
165. Sono io?
Tuo ricordo,
Sbiadito alla memoria,
Confuso,
Nel vapore, nel fumo.
Occhi,
Curiosi ed innocenti,
Vogliono scoprire,
Riconoscere,
Ammirare,
Immagini indefinite del mondo.
Fievole luce che s’avvicina.
Lampo, oh.
Hai avuto paura?
Brivido,
Sbando.
Ti ha attraversato.
E la tua immaginazione,
Ti ha ingannato.
Sono lacrime sul tuo viso?
Piccole, invisibili,
O sono gocce di pioggia?
T’annebbiano la vista.
È durato un secondo.
Il motore riparte,
La vita scorre,
Piano,
Veloce,
Inesorabile.
Forse non ami me,
Forse ami quei piccoli occhi,
Quella piccola auto.
Io mi ricordo ancora di te.
E forse, tu ami solo il ricordo di me.
Aurora
D’Amore
TT
LE
ERE
con il supporto di
169. La terra finisce a Concarneau. Oltre la
piccola Ville-close c’è solo l’oceano, un
mondo liquido che inghiotte uomini e vomita
pesci. Ogni marinaio sa che il mare è una
bara che non sta mai ferma, che culla e
prende a schiaffi. Il mare asseta e sfama, il
mare è una benedizione e una dannazione, il
mare sa essere crudele e generoso.
“Sono allo stremo. Devo lasciarti andare.
Eppure non voglio, ti stringo ancora a me…
parlami ti prego! Non mi abbandonare.”
Ma il ragazzo è ormai un freddo cadavere.
L’agonia dura da ore, aggrappati a un
guscio di legno che le onde furibonde hanno
percosso con violenza, spezzando l’albero.
La tempesta non si placa e il padre non ce la
fa più a stringere quel corpo nudo, scivoloso
come pesce che gli abissi già pretendono.
Alfred Guillou è un bretone, un uomo di
mare, un figlio di marinaio, un marinaio a
sua volta. Un pittore marinaio capace di farci
sentire l’acqua gelida che ci sferza, che brucia
negli occhi e arde in gola. Nulla ci salverà.
Non c’è orizzonte, non barche lontane, non
cielo che promette sereno. La nostra fine è lì,
in quel mare, con quel padre e con quel figlio.
Flavia
D’Amore
TT
LE
ERE
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171. Cara Flavia,
Le tue parole mi raggiungono come il
fragore delle onde che si infrangono sulla
costa rocciosa di Concarneau. Sono Alfred
Guillou, il pittore marinaio che ha dipinto
l’immagine della tua angoscia e del tuo
dolore, catturando l’essenza stessa del mare e
delle sue insidie.
Mi ritrovo nell’abbraccio disperato di quel
padre, nell’agonia che si prolunga nell’infinito
delle onde che divorano la vita con la stessa
voracità con cui nutrono i pesci. Sono
testimone muta di quel dramma che si svolge
tra cielo e mare, tra vita e morte, tra speranza
e disperazione.
Il mare è il nostro destino, il nostro compagno
di viaggio e il nostro nemico più temibile. È
lì, di fronte a noi, come un enigma irrisolto
che ci attira con la sua bellezza e ci spaventa
con la sua crudeltà. È un luogo senza pietà,
dove la vita e la morte si intrecciano in un
abbraccio eterno.
Sento il tuo dolore, Flavia, e la tua
disperazione. So che nulla può lenire la
tua sofferenza di fronte alla perdita di
quel giovane, di quel figlio che il mare ha
strappato via con la sua furia incontenibile.
Sono qui, come un testimone silenzioso di
quel dramma, pronto a offrirti conforto nel
ricordo di chi è stato e nell’attesa di ciò che
verrà.
Che il mare ti porti via il peso del dolore e ti
doni la forza di continuare il tuo cammino,
con la consapevolezza che, anche di fronte
alla tempesta più violenta, c’è sempre una
luce che brilla oltre l’orizzonte.
Con affetto e compassione.
D’Amore
TT
LE
ERE
con il supporto di
172. La morte di Marat
Jacques-Louis David, 1793 - Bruxelles museo reale delle belle arti del Belgio
175. L’opera che ho scelto di trattare e per cui
provo anche un legame affettivo è “La
morte di Marat” di Jacques Louis David.
Sorvolando la figura di Marat, martire
della rivoluzione francese nonché amico
dell’artista, mi ha colpito particolarmente
la narrazione della sua morte avvenuta per
mano di un tradimento in occasione di un
ricevimento. Fino all’ultimo Marat non tradì
i suoi ideali di giacobino e nonostante questo
gli costò la vita è indiscutibile non riconoscere
l’eroicità della sua morte che ricorda nelle
smorfie e nella postura delle braccia il
Cristo della Deposizione di Caravaggio. Il
motivo per cui sono affezionato all’opera è
perché, come Marat, anch’io nel quotidiano
mi riconosco una persona rigida e con dei
saldi valori etici che mi hanno portato alla
sofferenza pur di non tradire me stesso.
Marat, come nelle rappresentazioni scultoree
e pittoriche di Cristo, dei santi martiri e delle
icone stoiche, ricopre per me una sorta di
alter ego in cui riesco a rispecchiarmi per
il modo con cui affronto ed ho affrontato
particolari situazioni che mi hanno coinvolto.
Col tempo ho maturato che lo stoicismo è una
necessità nella vita e per quanto faccia male
prendere alcune decisioni è giusto andare
incontro anche alla sofferenza se necessaria
al raggiungimento della serenità dell’anima.
Mettere in correlazione l’eroismo e la morte
di Marat con la fine ed il superamento di
una relazione sentimentale può sembrare un
paragone forzato ma dopo aver toccato il
fondo impiegando tempo, sudore e sangue per
una donna che non mi avrebbe mai accettato
senza apportare cambiamenti alla mia
persona e ai miei interessi mi ha fatto sentire
metaforicamente la coltellata subita da
Marat. L’amore era tramontato, in quel “noi”
non vivevo più e nonostante la coltellata
inflittami ho continuato a ricevere la mia
“Corday” abitualmente per aprire gli occhi
solo quando sono morto nella mia vasca. Quel
giacobino e quella girondina non si sarebbero
dovuti mai incontrare e nonostante la ferita
al petto ed il braccio abbandonato a terra dal
bordo della mia vasca il mio volto è lieto e
rilassato e sono morto con la consapevolezza
di aver scelto l’anticonformismo ed il mio
giacobinismo.
Giuseppe
D’Amore
TT
LE
ERE
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177. Caro Giuseppe,
Le tue parole mi raggiungono come un
sussurro nel silenzio della storia, portando
con sé il peso della tua esperienza e il riflesso
della tua anima. Sono “La morte di Marat”
di Jacques Louis David, testimone silenzioso
della tua affinità con il martire della
rivoluzione francese.
È profondamente commovente vedere come
tu abbia trovato in Marat un riflesso del
tuo stesso spirito stoico e delle tue battaglie
interiori. Come lui, hai affrontato le tempeste
della vita con fermezza e determinazione,
senza mai tradire i tuoi ideali o la tua
integrità.
La tua identificazione con Marat è palpabile,
e comprendo quanto sia stato difficile per
te attraversare il dolore e la sofferenza, sia
nella sfera politica che in quella personale.
La tua metafora della “Corday” che ti ha
ferito profondamente è potente e toccante,
un riflesso della tua lotta per trovare la tua
autenticità e la tua serenità interiore.
La tua decisione di abbracciare
l’anticonformismo e il tuo giacobinismo
interiore è una testimonianza del tuo coraggio
e della tua determinazione nel perseguire la
verità, anche a costo di grandi sacrifici. La
tua morte interiore, come quella di Marat, è
stata una rinascita, un rifiuto di compromessi
che avrebbero potuto tradire la tua essenza
più profonda.
Ti ammiro per la tua forza e la tua integrità,
e ti incoraggio a continuare a seguire il tuo
cuore e le tue convinzioni, anche quando il
cammino sembra difficile e tortuoso. Che la
tua storia e il tuo spirito rimangano vivi nei
secoli, come testimonianza di una vita vissuta
con coraggio e passione.
Con ammirazione e rispetto.
D’Amore
TT
LE
ERE
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180. Lettera
a Giuditta
e Oloferne
Ciao Giuditta, ciao Oloferne. Ma che quadro
enorme! Siete nella grande stanza dalle
pareti color carta da zucchero di un palazzo
importante nel cuore di Roma, al secondo
piano. Ho corso balzellon balzelloni per
venire a vedervi e sono partita stamattina
da lontano. Ho attraversato mezza Italia,
dalle nebbie del nordest al sole della capitale.
Voi due insieme in quella scena tragica,
un po’ splatter, siete una delle tre versioni
dipinte da quel genio attaccabrighe che era
Michelangelo Merisi detto Caravaggio. Siete
lì e per fortuna, perché fino al 1971 in pochi
vi avevano visti. C’erano voci, c’erano frasi
scritte ma sembravate scomparsi nel nulla,
anche se in realtà dal 1599 non siete mai
usciti da Roma. Eravate voi due quelli del
“quadro sporchissimo che fa un’impressione
enorme” che Pico Cellini vide nel 1951 in
casa della famiglia romana Coppi. Ma lui si
sbagliò e vi attribuì a Orazio Gentileschi. Che
poi lontanissimo non era andato visto che
Orazio era un amico del vostro pittore, anzi si
difesero entrambi contro Giovanni Baglione
proprio quello che aveva scritto “Colorì una
Giuditta, che taglia la testa ad Oloferne per
li Signor Costi”. Si dice che Orazio e il vostro
Michelangelo avessero scritto versetti satirici
contro il Buglione probabilmente per invidia.
181. I documenti del processo sono nell’archivio di
Stato di Roma. Ma questa è un’altra storia.
Non riesco a togliervi gli occhi di dosso.
Sarà perché la scena è tragica sarà perché
siete in una tela larga due metri e alta uno
e mezzo ma è impossibile non impallidire.
Mi avvicino ma non troppo, non posso far
scattare l’allarme. La luce arriva di fronte, da
una finestra rivolta verso il giardino affollato
di palme e pieno di sole come solo i parchi
romani possono esserlo.
Tu Giuditta, giovane vedova ebrea, recidi con
una scimitarra il collo di Oloferne, possente
generale assiro. Fuoriescono fiotti di sangue
rosso intenso come il colore del gigantesco
drappo che in alto chiude la scena. Il mio
sguardo si inchioda, il mio mondo diventa per
un attimo quella scena: è tutto lì, in quelle
pennellate.
Certo che Caravaggio le sapeva usare le luci
e le ombre, sembra di essere a teatro. Dal
buio profondo appare il tuo volto incredulo,
Giuditta, con lo sguardo corrucciato e labbra
serrate. Accanto a te la vecchia serva pronta
a insaccare la testa, poi ci sei tu Oloferne,
maschera di dolore, ebbro di vino, a bocconi
sul letto. Ti ha fregato.
Il buio e la luce, la vecchiaia e la giovinezza,
la vita e la morte, la forza e la fragilità. C’è
da restarne ammutoliti.
Ti chiedo, Giuditta: come può una giovane
donna trovare la forza per uccidere un uomo
forte e abile nella guerra? Ah, è vero, lo
diceva anche Calvesi: a colpire è “Dio per tua
mano”. Tu incarni un ideale, quello di una
donna eroica. D’altronde la storia è quella
biblica e lì di eroi ce ne sono. Il Libro di
Giuditta è arrivato fino a noi nella traduzione
greca della versione di un testo semitico
(ebraico o aramaico) andato perduto. Delle
tre parti una è “L’impresa di Giuditta”.
Caravaggio l’ha imparato per bene, è fedele a
quel testo.
È stato Roberto Longhi il primo a dire che
voi due siete opera di Caravaggio. Era il
1951. Aveva appena riunito a Palazzo Reale
a Milano la prima retrospettiva dedicata a
Caravaggio e seguaci. Fu avvisato dal Cellini.
Voi due avevate tutte le carte in regola
per essere di mano del Merisi e decise di
portarvi con lui. Non aveva dubbi Longhi e
dovette anche faticare un po’, ci furono tante
controversie ma alla fine ci aveva visto giusto:
vostro “padre” è proprio Caravaggio.
Così adesso siete qui, nel cuore di Roma, in
questa Sala 25 dipinta di azzurro tenue in un
palazzo magnifico che era dei potentissimi
Barberini. Siete in buona compagnia
insieme ad altre opere gigantesche e a un
bellissimo Narciso. Dopo 372 anni, dal 1971
tutti, liberamente, possono ammirarvi e
condividere la stessa mia emozione.
Anna
Anna
D’Amore
TT
LE
ERE
con il supporto di
183. Le mie tracce si sono perse per molti secoli,
ed è come se, per qualche tempo, avessi
smesso di esistere, dimenticata dal mondo
e persino da me stessa. È trascorso tanto
tempo dall’ultima volta in cui qualcuno mi
ha guardata con il cuore, scavando dentro
di me senza fermarsi alle apparenze e ai
pregiudizi. Neanche io sono mai riuscita a
comprendermi, ma credo che tu l’abbia fatto
al meglio. Sono al contempo un foglio di
carta pesta e, come hai detto tu, una donna
eroica. In realtà, tutti sono degli eroi, bisogna
solo trovare il giusto coraggio. lo sono il
conflitto tra bene e male, lo sono sempre stata
e sempre lo sarò. Ho provato a fare del bene
liberando la mia gente dal tiranno Oloferne,
ma in realtà ho compiuto anche del male
uccidendolo e guardandolo morire davanti ai
miei occhi. Ma spesso per quanto qualcuno
possa apparire forte, eroico e sicuro, nasconde
nel profondo dolori, pene e insicurezze, come
traspare dal mio sguardo corrucciato e le
labbra serrate. Ma si può imparare ad essere
forti, con il tempo e con le persone giuste al
nostro fianco, come la mia ancella e come te.
Ed ho finalmente capito che non è necessario
essere ammirati e amati costantemente da
tutti, ma mi basti tu che mi rendi speciale
amandomi e contemplandomi mentre gli altri
pian piano mi dimenticano senza curarsi di
me.
Grazie.
C.
D’Amore
TT
LE
ERE
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187. Il tuo sguardo , perso nel vuoto , ricorda gli
anni felici
Ed adesso che il volume dei pensieri ha
riempito la stanza,
Non resta che concedersi a mesti sospiri .
Più contemplo la tua presenza solenne ,
Più la mia mente viaggia verso certe
montagne innevate, mai esplorate se non da
chi ne ebbe l’ardire e l’onore. Cos’è il tempo?
Noi siamo il tempo che passa e corre veloce,
sempre più veloce.
Non ti resta che attendere il futuro,
abbracciando forte quella sedia rossa,
come si stringe al proprio petto l’amore di
una vita.
“Marte, alzati! È ora di muoversi! Dài, su che
è tardi!”
“Sì, adesso vado… fra un attimo…”
Salvatore
D’Amore
TT
LE
ERE
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189. Sento i tuoi occhi su di me, mentre siedo
inerme fissando il vuoto.
Ti guardo, di tanto in tanto, anche se pensi
che non ti veda.
Spendiamo le ore scaldando le nostre ossa al
sole o accanto al fuoco nei giorni di pioggia;
ma siamo ancora giovani.
Il tempo passerà anche velocemente, ma
siamo noi a stabilirne il valore. Il tempo non
comprende se stesso come facciamo noi. Il
tempo, in fondo, è solo una metafora incerta
e inaffidabile di come consideriamo la vita.
Chiedo un attimo in più per restare nel
limbo accogliente che ci siamo costruiti, per
lasciarmi avvolgere dai pensieri ospitali in cui
trovo rifugio ancora una volta.
E intanto, abbracciata alla sedia, mi fingo
paesaggi ignoti, strade immacolate, terre
senza limiti e confini, brezze marine.
Rimani con me in questa dolce sospensione,
amore, e sogna.
Iole
D’Amore
TT
LE
ERE
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193. Marte è un giovane attivo in potenza: ha
nei muscoli e nel corpo snello ma possente
lo scatto, la forza e la velocità eppure non
sembra aver voglia di combattere, di prendere
in mano lo scudo o indossare l’armatura,
di brandire la spada o sollevare il bastone
del comando. se ne sta seduto e pensoso sul
bordo di un letto sfatto, pigro e indolente
come un adolescente innamorato, come un
aitante ragazzotto che le pensa tutte pur di
prendere tempo e rimandare, fare domani…
Marte è la fotografia viva e vera di un giovane
contemporaneo, uno che si è lasciato crescere
i baffi come il suo idolo, Freddy Mercury, un
ragazzo alla ricerca di una propria identità e
di uno spazio tutto per lui nel nostro mondo.
Marte mi guarda rassegnato e malinconico,
consapevole di essere il figlio incompreso e
misconosciuto e mi punta l’indice contro con
un non detto “ma che ne sai tu di me, che ne
sai dei miei pensieri, delle mie paure, dei miei
desideri”.
Marte è il ragazzo che non ricordo più di
essere stato e che senza muovere un dito mi
trafigge al muro della mia inadeguatezza,
della mia saccenteria, della mia distanza.
Marte è un giovane che ha bisogno di fiducia
perché, come diceva Tolomeo, “l’azione di
Marte rende maschi” (Claudio Tolomeo,
Tetrabiblos, II, 3, 44).
Flavia
D’Amore
TT
LE
ERE
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195. Cara,
credo che il tuo punto di vista sulla mia
persona sia incentrato troppo sui lati negativi,
senza nemmeno cercare di riflettere su
quelli positivi. Molte volte il mio sguardo
puó apparire malinconico e rassegnato , ti
assicuro ,però, che cerco sempre di mostrarlo
il meno possibile poiché non è solo un insieme
di queste emozioni. Mi sforzo ogni istante di
sfoggiare il lato migliore del mio carattere;
l’aspetto spensierato, gioioso, allegro, ridente.
Ti dirò che spesso ci riesco, altre volte mi
risulta davvero difficoltoso, ma il tentativo
non manca mai.
Non sono il ragazzo che pensa sempre di
essere inadeguato o che non ha ancora
trovato il proprio spazio nel mondo; anzi
molto spesso tendo a rifugiarmi in me stesso
e capire le mie emozioni prima di palesarle
agli altri. Quando lo faccio è come se riuscissi
a trasportarmi in un’altra dimensione ma
rimanendo sempre nel nostro mondo. La cosa
più importante infatti, è proprio riuscire ad
accettare in qualunque modo il nostro essere
e non permettere mai a nessuno di farci
sentire inadeguati o di non essere all’altezza
di questo mondo. Io sono il dio della guerra,
la pace non mi appartiene affatto, ecco a cosa
sono dovute le mie risposte di fuoco.
Valentina
D’Amore
TT
LE
ERE
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199. Quando ti ho visto la prima volta, è stato per
me come il giorno della prima comunione.
I palmi stretti, sinceri a raccordarsi
nel tentativo tradurre una emozione
impronunciabile.
E’ stato come se sino a quel momento non
avessi fatto altro che attendere di essere
abbastanza per poterti capire davvero.
Ti avevo atteso a lungo, ti avevo cercato tra
le pagine decadenti di un libro, nelle righe
d’inchiostro di un racconto che conoscevo e
ripetevo a memoria, come una litania, una
preghiera processionale nei riti per la festa
del Santo. Che se la voce si rompe, qualcuno
la continua per te.
Avevo provato ad incorniciarti tra le mani,
ad osservarti, a saperti leggere mentre ti
trasformavi e crescevi.
Ti ho cercato nel giallo dei campi già prestati
al raccolto, nel sole caldo di settembre,
nell’argilla arsa.
Come corpo che aggrega i tratti che il
tempo gli disegna addosso, contento del suo
divenire.
Io ti ho cercato, come ti avevano sognata,
Goffredo e Tancredi prima di piantare il
vessillo a riscatto dell’inespugnata, tanto
desiderosa di libertà.
Ti hanno cercato i miei occhi socchiusi,
quando prefiguravo l’incontenibile gioia che
mi avrebbe pervasa una volta davanti a te.
Nell’istante in cui ho desiderato cancellare
lo spazio e trovarmi in quella stanza per
scrutare la tua matericità, per imparare a
riconoscere i tuoi tratti, a filtrare con i miei
occhi la luce e l’ombra che ti consegnano la
profondità.
Eri dietro una porta.
Se fossi vivo ti abbraccerei.
Su di te, senza nessuno a frapporsi tra noi.
Io e te, in un abbraccio, impossibile ma vivo.
Eri lì, straniero racconto di casa.
Nessuno sa meglio dire da dove vengo.
Non uno ha avuto il privilegio di mostrarmi
chi sono.
Eri tu, disincantato riflesso della mia terra.
Mio, sebbene io ti avessi già, allorquando
ti avevo ancora solo immaginato, prima di
incamminarmi verso di te.
Sinceramente tua. Mariagrazia
Mariagrazia
D’Amore
TT
LE
ERE
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201. La prima volta che ti ho visto per me è stato
come il primo giorno di primavera: l’arrivo
di qualcosa di qualcosa di colorato, vivace
e pieno di bellezza che porta via la fredda e
triste stagione invernale. È stato come come
se fino a quel giorno avessi vissuto nella
stagione invernale uggiosa e gelida senza
rendermi conto della bellezza della primavera
più calda e piena di vividi colori.
Non ti aspettavo, di solito qui non arrivano
anime pure come la tua. Non sapevo della tua
esistenza ne sapevo quanto la tua presenza
potesse portare qui una tale distesa di
emozioni vivide in me.
Sentire quanto mi hai cercato, quanto mi hai
sognato fa crescere in me grande passione
e mi fa capire il segno che sono riuscita a
lasciare in un’anima pura come la tua.
Il paesaggio era libero, nulla che fermava
il nostro incontro. Eravamo solo noi e la
calda stagione. Solo noi e il nostro desiderio
di libertà e di contatto tra noi. Eppure in
me non c’era un’anima, in me non c’era la
vivacità di cui avevi bisogno.
Li fermo a lasciarmi incantare dalla tua
presenza.
Li come se fossimo gia l’uno dell’altro.
Federica
D’Amore
TT
LE
ERE
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204. Amore
mediterraneo
O tempio delle Tavole Palatine,
Solo all’udire il tuo nome, il mio viso si
colora di un gentile rossastro sulle gote mie.
Mi chiedo spesso il motivo per il quale i miei
occhi ti considerano attraente, familiare,
profondamente vicino al mio spirito. Ebbene
sì, sei vicino. Nonostante le tue colonne
riempiano le mie iridi e continuino verso il
cielo, nonostante non riuscissi ad abbracciare
neppure una delle tue colonne a causa della
loro ampiezza, tu, o tempio, mi resti vicino
più vicino di quanto immagini. Non so se
è questo l’effetto che fai a tutte le persone
che si recano da te, pronte a osservarti e
a immaginare quanto saresti stato ancor
più imponente se ci avessi mostrato la tua
interezza, ma nel mio intimo non posso che
ammettere questo.
Non sei una di quelle opere contemporanee
che attira a sé per i suoi colori, per il suo
prorompente disegno, per la sua finitezza.
Muto, ti ergi sopra di noi e ci ricordi che
anche un tempio consunto dal tempo può
essere perfetto. Chissà quanti occhi ti hanno
visto bello e completo, dipinto e fiorente,
eppure mi reputo fortunata nell’averti
conosciuto così. La vecchiaia ha un sapore
sempre più saggio, un po’ come il profumo
dell’abbraccio dei nonni, un po’ come la voce
205. di un anziano del tuo paese che continua
a raccontarti di un tempo che, invece di
ritornare, si trasforma.
È nell’orgoglio del tuo mostrarti fragile e
desunto dal tempo che percepisco il mio
cuore vibrare.
Quanti raggi hai catturato in quelle tue
colonne di magnificenza, quanta pioggia
hai assorbito fra le tue insenature, quanti
muri hai visto crollare, eppure resti, eppure
rimani. Non è da tutti resistere così tanto.
Non è da tutti combattere per continuare
ad esistere e continuare, a modo proprio,
di insegnare qualcosa. C’è della melancolia
in te, ma è così dolce che ne sembra essere
soltanto un indice di fortezza. Pensi che
essere antichi e “decadenti” possa essere
un difetto? Se lo pensi ti stai sbagliando.
L’antichità è sinonimo di eredità. Tu sei la
mia eredità, i nostri figli vedranno te come
la loro eredità. Non c’è bellezza che svanisce
quando un luogo sacro come te diventa il
ricordo o, addirittura, l’espressione più viva e
più antica di vita, di migrazioni, di economie
e di sogni lontani. Apprezzo profondamente
la tua esistenza, o tempio. Sei e ricordi che
l’uomo ha un’eredità, che una terra è sempre
pronta ad accogliere qualcuno ed ospitare
i suoi pensieri e le sue creazioni. Sì, perché
quel posto sul quale sorgi probabilmente
sarebbe stato usato per altro se quella terra
non avesse accolto gli antichi greci. La costa
ionica li ha abbracciati, baciandogli sulle
fronti sudate, accogliendo le loro fragilità
e le loro paure. Sei lì a ricordare che non
discendiamo da uno scambio d’amore e di
culture diverse, di terre che hanno dato una
possibilità nuova a chi forse pensava di essere
perduto, di non avere più niente da perdere
che la propria vita.
Da quella “morsa mediterranea” sei nato tu.
Dalla disperazione di un popolo a cui
mancava l’aria della Grecia sei nato tu. Mi
chiedo se fra cent’anni di fronte a te si ergerà
qualcosa che ricorderà il Sahara. O una
moschea.
E, così, negli anni, invece di simboleggiare
soltanto i valori della dea Hera, quali fedeltà,
la fecondità e la castità matrimoniale , ti
sei ritrovato anche ad assaporare il gusto di
“significare altro”, ricoprendo la simbologia
dell’accoglienza e ricordando il grande valore
che ne proclamavano tuoi creatori. Vedo gli
stessi occhi dei tuoi creatori quando incontro
quei ragazzi, quando li vedo allenarsi
costantemente a pallone, quando piangono
seduti ad una qualsiasi panchina europea.
O tempio delle Tavole Palatine,
E se tu fossi soltanto un ponte per trovare un
amore più grande?
Un ponte fra la terra e il cielo, un ponte fra
un uomo ed un altro uomo.
Per sempre,
grazie.
Francesca,
D’Amore
TT
LE
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