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Colloquio con Stefano Cera
professione “Formatore” o meglio “FormaTTore”
Chi è il formatore e chi è invece il formaTTore? Ci rac-
conti la sua esperienza personale.
Sulla base della mia esperienza personale ritengo che tra
formatore e formaTTore esista una differenza importan-
te, anche se poi entrambi dovrebbero arrivare allo stesso
obiettivo che è quello di favorire l’apprendimento da parte
dei partecipanti. Tuttavia, con modalità che sono diverse e
qui sta la differenza.
In particolare, non avendo un’esperienza da attore teatrale
o da attore in generale, io intendo il mio essere “formaT-
Tore” come arricchire le mie modalità didattiche attraverso
l’uso di racconti, aneddoti, scene di film, ecc.. Cerco cioè in
modi diversi di “intrattenere” quello che starei per dire il
mio pubblico, cioè i partecipanti ai corsi, proprio per cerca-
re di dare quel valore aggiunto che ritengo sia dato proprio
dall’intrattenimento.
D’altra parte ricordo ancora cosa mi disse, tanti anni fa, il
docente di un corso formazione-formatori che frequen-
tai, secondo cui uno dei miei punti di forza era proprio
l’uso dell’ironia e la battuta pronta. E sempre a proposito
di ricordi, lessi anni fa un’intervista ad Enrico Bertolino,
che non è solo un comico brillante ma che per anni è sta-
to anche formatore, il quale, a fronte di una specifica do-
manda su quanto portasse dell’attività di cabarettista nella
formazione, lui aveva risposto dicendo che portava tanto,
a significare una “contaminazione” che, a suo dire, risul-
tava molto efficace. Concordo pienamente con lui; infatti,
ritengo che esistano tanti punti di contatto, diversi elementi
che accomunano l’esperienza della formazione con quella
dell’intrattenimento.
Questo tuttavia rappresenta anche un rischio, perché la ca-
pacità di intrattenere non deve mai “travalicare” ed essere
a scapito della facilitazione dell’apprendimento perché, ove
così fosse, il formatore non sarebbe più tale, a vantaggio
proprio del “puro” intrattenitore.
Quali competenze dovrebbe avere un buon formatore?
Indubbiamente le competenze relazionali e quelle legate
alla capacità di trasferimento dei contenuti attraverso le
modalità efficaci di cui abbiamo parlato in precedenza. In-
fatti, se penso alla tipologia di corso che mi ha visto in aula
nell’ultimo biennio, quello sulla mediazione civile e com-
merciale, penso che noi stiamo in aula per circa dieci ore
al giorno e far stare tante persone in aula così tanto tempo
non è certo una cosa semplice. Anche se questo, in fin dei
conti, semplice non lo è mai.
Quello che, sinceramente, mi fa piacere è che molti parte-
cipanti mi dicono che il tempo in aula “vola” e non sembra
che, alla fine della giornata, siano passate invece così tante
ore.
L’apprendimento informale e quello formale: qual è il
modello di formazione del futuro?
Ritengo che andiamo sempre di più verso una situazione
in cui il formatore agisce come facilitatore e non come do-
cente. Non che già non lo faccia, visto che anche adesso è
difficile trovare figure di “docente vecchia-maniera”, ossia
della persona che stava in cattedra con i partecipanti che
erano lì ad “abbeverarsi” alla conoscenza del docente stes-
so, come esperto dei contenuti. Sempre di più il formatore
è un professionista dei processi formativi che tende a facili-
tare l’apprendimento, quindi io ritengo che sempre di più si
vada verso questa “frontiera”.
Peraltro, ritengo che limitatamente ad alcuni settori, ad es.
quello del quale mi occupo ritengo che ancora tanti miei
colleghi, purtroppo, siano soprattutto esperti dei contenuti
facilitatori dell’apprendimento. Ritengo che, sotto questo
aspetto, si debba ancora fare molto e si debba crescere nella
famose competenze legate alla “gestione dell’aula”.
Essere formatori significa qualcosa in più dell’essere esperto
di qualcosa; significa essere esperti di un metodo efficace
che deve facilitare un apprendimento che sempre meno av-
viene nei canoni della “formalità” e sempre più passa attra-
verso un apprendimento “informale”. Penso a tal proposito
anche a quanto dice il “connettivismo”, teoria dell’apprendi-
mento di cui parla Siemens che, in particolare, sto seguen-
do in questo ultimo periodo. Quest’ultimo anche grazie al
lavoro che sto portando avanti con il mio collega ed amico
Michele Cardone focalizzato sul progetto “NO .PPT” che
per il momento si è estrinsecato in un seminario fatto per
AIF (Ass. Italiana Formatori) Lazio – di cui sono membro
del Consiglio Direttivo (e del quale faremo una versione
“2.0” nel novembre di quest’anno) – e in articolo pubblicato
a febbraio su AIF Learning News; spero tuttavia che prima
o poi possa sfociare un qualcosa di più strutturato.
Un argomento importante in questo “progetto” riguarda
proprio l’informalità dell’apprendimento, che passa sem-
pre di più attraverso la rete e le sue potenzialità. La rete
è anche una metafora per spiegare come avviene l'appren-
dimento. In tale metafora, un nodo è qualunque cosa che
possa essere connessa ad un altro nodo: informazioni, dati,
immagini, sentimenti. L'apprendimento, in questo modo, è
un processo che crea delle connessioni e sviluppa una rete.
La formazione e la creatività ai tempi di internet. Come
la websfera sta cambiando l’approccio alla formazione e
la creatività?
Direi che la websfera sta cambiando tantissimo l’approc-
cio alla formazione e alla creatività. Infatti a mio avviso
l’utilizzo di internet e dei social network introducono un
concetto fondamentale nella formazione: la collaborazio-
ne. Sempre di più noi lavoriamo all’interno di gruppi che
sono più ampi rispetto ai semplici partecipanti a un corso.
Ovviamente resta sempre molto importante lavorare con
e su un gruppo di partecipanti, ma cambia decisamente il
modo di lavorare e, soprattutto, di collaborare. Tuttavia, per
fare questo però è importante che ci sia la disponibilità e la
volontà di confrontarsi e di lavorare insieme verso questo
“progetto” di apprendimento.
Faccio un esempio. In AIF Lazio insieme a altri colleghi del
Direttivo stiamo lavorando su alcune comunità di pratica.
Insieme alla collega Beatrice Lomaglio abbiamo proposto
di creare una specifica comunità sui formatori “Professio-
nisti di professionisti”, ossia di formatori che, partendo dal-
le rispettive esperienze professionali, si trovano a formare
a loro volta professionisti (avvocati, commercialisti, inge-
gneri, architetti, medici, psicologi, geometri, ecc.). Questo
tipo di attività determina l’esigenza di una “standardizza-
zione” oltre che della ricerca di “specificità” dell’attività di
formazione per chi, di solito, svolge invece un altro tipo di
attività. All’interno di questa comunità di pratica Beatrice
ha creato anche uno strumento informatico specifico, un
“wiki” per evitare lunghi e poco efficaci “giri di mail”. Devo
dire che, nonostante la buona volontà di tutti i partecipanti
(siamo una quindicina di persone in tutto) poi non tutti
si ritrovano a collaborare attivamente su tale progetto, so-
prattutto in termini di contributi e di stimoli per il gruppo
Sempre a proposito di collaborazione, ritengo peraltro che
affinché essa possa raggiungere effettivi benefici è impor-
tante che sia “a doppio senso”, ossia non si entri in una rete
solo per “ricevere”, ma che si sia anche disposti a “dare”. E
questo, temo, è un altro dei nervi scoperti.
La comunicazione 2.0 è separata dalla contestualità dello
spazio fisico, ritiene che la dicotomia ‘presenza/virtuali-
tà’ nel web possa indebolire il progetto di apprendimen-
to e formazione online?
Sinceramente non so se il web possa indebolire o al contra-
rio rafforzare il progetto di apprendimento e formazione
on line… Mi limito a dire che la formazione on line offre
indubbiamente delle grandi potenzialità (possibilità di rag-
giungere un alto numero di partecipanti, risparmio di costi,
ecc.), ma al tempo stesso presenta anche alcuni aspetti su
cui è opportuno fare attenzione.
Anni fa io ho lavorato in una società di consulenza che si
occupava, tra l’altro, anche di formazione on line… la prin-
cipale difficoltà era riuscire a capire “quanto” e soprattutto
“come” le persone riuscissero a lavorare a distanza, aldilà
di quelli che potevano essere degli indicatori di fruizione
di prodotti multimediali. Per questo avevamo sviluppato
anche percorsi di formazione “blended” che prevedevano
dei giorni iniziali e di chiusura del corso proprio per dare
maggiore efficacia al lavoro fatto “a distanza”. Ed a tal fine
il lavoro era moderato attraverso l’attività dei tutor, che sti-
molavano la partecipazione.
Il suo blog personale si chiama “FormaMediAzione”, un
nome carico di buoni propositi, quali obiettivi si propo-
ne la sua attività di FormaMediAttore?
Buoni propositi… intanto, diciamo l’idea del blog mi è ve-
nuta perché pensavo che fosse importante mantenere un
contatto con le persone che avevano partecipato ai miei
corsi, ma la tempo stesso crearne di nuovi con persone non
conosciute, ma potenzialmente interessate ad approfondi-
re due argomenti specifici come mediazione e formazione.
Altro obiettivo era quello di avere una visibilità su internet
e nei social network (infatti sono presente sia su facebo-
ok che su LinkedIn che su Twitter, dove sono riuscito a far
“dialogare” un po’ tutto) cercando un “luogo” dove inserire
contenuti che, relativamente ai due argomenti che ho detto,
fossero in qualche modo interessanti ed attraenti.
Non avevo idea di quelle che poteva essere la risposta da
parte dei potenziali fruitori. Ora dopo un anno e mezzo
posso dire con soddisfazione di avere una buona media ri-
spetto alle pagine visitate (oltre 20.000 pagine visitate entro
il primo anno e ad oggi - 7 maggio 2013 - sono arrivato
a quasi 44.000 pagine visitate) ed al numero di visitatori
(circa 20.000). Certo, vedo che, dal punto di vista statistico,
alcuni contenuti (ad es. quelli sulla mediazione) sono mag-
giormente seguiti, anche perché questi ultimi raggiungono
un maggior numero di utenti potenziali. Ma dal mio punto
di vista sono molto soddisfatto perché vedo che anche con-
tenuti più specifici sulla formazione hanno un loro seguito.
Ora, dopo aver detto qualcosa sul blog, quali sono i miei
obiettivi? Sostanzialmente non vorrei aggiungere nulla
riguardo l’essere “formaTTore”, su cui ho detto già pri-
ma, mentre per quanto riguarda l’attività di formatore il
mio obiettivo è quello di essere efficace, come facilitatore
dell’apprendimento, riguardo lo specifico tema trattato, ad
es. la mediazione. Magari sarà banale, ma la ritengo una
priorità, da non trascurare mai.
Ora, per quanto riguarda la mediazione, quest’ultimo tut-
tavia potrà apparire un termine tutto sommato tecnico;
infatti quando parlo di mediazione in realtà sto parlando
di argomenti diversi come la gestione costruttiva delle
controversie, la negoziazione e, appunto, la mediazione. In
generale raggrupperei tutti questi argomenti in un’unica
categoria che definirei la capacità di gestire le relazioni con
gli altri in maniera efficace. E questo, a ben vedere, si adat-
ta non solo all’aspetto più meramente “tecnico”, ma si può
riferire in generale anche alla capacità di stare bene, con sé
stessi e con gli altri, rispetto a situazione diverse (in ufficio,
come in famiglia, ecc.).
Qual è la sua opinione riguardo le ‘tecnologie comuni-
cative-cognitive’? In che modo impattano sulle relazioni
interpersonali e sul modo di interpretare la realtà?
Direi che queste impattano moltissimo. Penso, infatti, che
queste siano assolutamente fondamentali; d’altra parte non
mi sarei iscritto nei vari social network se non avessi pen-
sato che le tecnologie comunicative-cognitive sono poco
importanti.
Peraltro, proprio i social network pongono, dal punto di vi-
sta sia comunicativo che cognitivo, delle sfide non da poco;
infatti il loro utilizzo fa porre delle riflessioni sulle modalità
con cui la comunicazione e la relazionalità debbano avve-
nire e le differenze rispetto a quanto si farebbe invece “de
visu”. Si passa da una “relazione” che non è più quella che si
costruiva un tempo, come si dice in questi casi “quando ero
giovane”, ad una relazione che passa attraverso il computer,
internet, ecc. che ha regole “proprie”, una sua netiquette.
In particolare su quest’ultimo punto, dico la verità, talvol-
ta non mi ritrovo rispetto a quello che accade… mi spiego
meglio. A me piacerebbe che chiunque approcci ad un con-
tenuto, uno qualsiasi, si ricordasse di citare la fonte, o anche
semplicemente di ringraziare per l’”imbeccata” (come di-
remmo a Roma). Magari anche solo per ricordare la prove-
nienza di un contenuto che si ritiene meritevole.
E invece vedo che questo, ahimè non sempre accade
(anzi)… a me per es. che alcuni hanno preso miei conte-
nuti anche “personali”, senza il minimo cenno di ringrazia-
mento o anche solo un semplice segno di gradimento. Per
carità, li ho resi disponibili e sono on line, però… Anche
per questo motivo ritengo che la rete, che pure offre gran-
di potenzialità di collaborazione, possa talvolta presentare
questo “retrogusto” amaro. Basterebbe poco per far funzio-
nare la collaborazione, porsi su un piano “a doppio binario”
e non solo “a senso unico”… rispettare il lavoro degli altri,
che poi credo sia anche il modo per arrivare a far rispettare
un po’ di più anche sé stessi.
L’arte della negoziazione e della mediazione in campo
professionale: come e quanto incidono sulla sfera lavo-
rativa? Direi che la negoziazione e la mediazione incido-
no sempre, in tutti gli aspetti della vita, non solo in quello
professionale. Pertanto, ritengo che la capacità di gestire le
relazioni interpersonali sia decisiva per una persona e fac-
cia la differenza. Certamente, dobbiamo tenere conto che
la persona ed il professionista agiscono sempre su piani di-
versi; del resto anche abili diplomatici (un es. su tutti, Win-
ston Churchill) in privato erano conosciuti invece per avere
pessimi rapporti. Rispetto a questa presunta “arte”, sulla cui
parola sono stati intitolati diversi libri sulla negoziazione
(penso ad es. a “L’Arte del negoziato” di Roger Fisher e Wil-
liam Ury o “L’arte e la scienza della negoziazione” di Ho-
ward Raiffa), ritengo che questa sia al tempo stesso frutto
di una specifica attitudine, ma anche di una competenza
che si può acquisire. In sintesi, bravo negoziatore si nasce e
si diventa. L’obiettivo è sempre quello di mettersi nell’ottica
del miglioramento.
Formazione e giovani: cosa si ha voglia di imparare oggi?
Questa domanda mi richiama alla mente una frase mol-
to simile che era solito dire Richard Holbrooke (noto di-
plomatico americano) al suo staff prima di iniziare ogni
trattativa: “Cosa vogliamo imparare oggi?”. Questa frase
nasconde una profonda verità, ossia che noi tutti, giovani
e “diversamente” giovani, dobbiamo sempre porci nell’ot-
tica di cercare di imparare qualcosa di nuovo, in qualsiasi
occasione.
A questo punto la mia domanda è: cosa sono disposti ad
imparare i giovani? In questo senso ho il timore che essi,
in generale, rispetto a qualche anno fa non abbiano forse la
stessa voglia di imparare che avevamo qualche anno fa, an-
che se poi, avendo comunque (fortunatamente) a che fare
con i giovani, noto che ce ne sono tanti che sono disposti a
rimboccarsi le maniche e mettersi in gioco.
In fin dei conti, tanti anni fa (parliamo dell’inizio degli anni
’90) anche io mi sono trovato in questa situazione, visto che
ho iniziato a collaborare con un professore che durante un
corso di specializzazione in commercio estero ci parlò an-
che di negoziazione internazionale. Questo è stato il mio
primo “incontro” con una materia che mi avrebbe cambia-
to la vita. Infatti, da lì ho iniziato a leggere, documentarmi,
studiare, cercare di andare oltre la negoziazione (anche
oltre i suggerimenti del mio “mentore”) per approfondire
anche altri temi. Insieme a me c’erano anche altri ragazzi,
molti dei quali col tempo si sono fermati, non hanno cre-
duto, o semplicemente non hanno voluto proseguire, per-
ché magari non era questo il loro percorso (ammesso che
sapessero quale fosse). Sta di fatto che di lì a poco tempo
ho iniziato ad occuparmi delle due materie che erano (col
tempo l’ho scoperto – “Unire i puntini”, avrebbe detto Steve
Jobs) un po’ la mia personale “vision”… formazione e me-
diazione, anzi forma-mediazione. E da lì ad oggi il passo è
stato, tutto sommato, breve…
STEFANO
CERA
A cura di
Dolores Cabras
@Zaffaranu
"Formatore specializzato nello sviluppo personale e organizzativo
e nella gestione delle controversie, nella negoziazione e nella me-
diazione e Responsabile scientifico accreditato presso il Ministero
della Giustizia, Stefano Cera racconta alla nostra redazione la nuova
frontiera della formazione in Italia e nel mondo."

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Intervista Stefano Cera_The New Training

  • 1. Intervistewww.thenewtraining.com 15 Colloquio con Stefano Cera professione “Formatore” o meglio “FormaTTore” Chi è il formatore e chi è invece il formaTTore? Ci rac- conti la sua esperienza personale. Sulla base della mia esperienza personale ritengo che tra formatore e formaTTore esista una differenza importan- te, anche se poi entrambi dovrebbero arrivare allo stesso obiettivo che è quello di favorire l’apprendimento da parte dei partecipanti. Tuttavia, con modalità che sono diverse e qui sta la differenza. In particolare, non avendo un’esperienza da attore teatrale o da attore in generale, io intendo il mio essere “formaT- Tore” come arricchire le mie modalità didattiche attraverso l’uso di racconti, aneddoti, scene di film, ecc.. Cerco cioè in modi diversi di “intrattenere” quello che starei per dire il mio pubblico, cioè i partecipanti ai corsi, proprio per cerca- re di dare quel valore aggiunto che ritengo sia dato proprio dall’intrattenimento. D’altra parte ricordo ancora cosa mi disse, tanti anni fa, il docente di un corso formazione-formatori che frequen- tai, secondo cui uno dei miei punti di forza era proprio l’uso dell’ironia e la battuta pronta. E sempre a proposito di ricordi, lessi anni fa un’intervista ad Enrico Bertolino, che non è solo un comico brillante ma che per anni è sta- to anche formatore, il quale, a fronte di una specifica do- manda su quanto portasse dell’attività di cabarettista nella formazione, lui aveva risposto dicendo che portava tanto, a significare una “contaminazione” che, a suo dire, risul- tava molto efficace. Concordo pienamente con lui; infatti, ritengo che esistano tanti punti di contatto, diversi elementi che accomunano l’esperienza della formazione con quella dell’intrattenimento. Questo tuttavia rappresenta anche un rischio, perché la ca- pacità di intrattenere non deve mai “travalicare” ed essere a scapito della facilitazione dell’apprendimento perché, ove così fosse, il formatore non sarebbe più tale, a vantaggio proprio del “puro” intrattenitore. Quali competenze dovrebbe avere un buon formatore? Indubbiamente le competenze relazionali e quelle legate alla capacità di trasferimento dei contenuti attraverso le modalità efficaci di cui abbiamo parlato in precedenza. In- fatti, se penso alla tipologia di corso che mi ha visto in aula nell’ultimo biennio, quello sulla mediazione civile e com- merciale, penso che noi stiamo in aula per circa dieci ore al giorno e far stare tante persone in aula così tanto tempo non è certo una cosa semplice. Anche se questo, in fin dei conti, semplice non lo è mai. Quello che, sinceramente, mi fa piacere è che molti parte- cipanti mi dicono che il tempo in aula “vola” e non sembra che, alla fine della giornata, siano passate invece così tante ore. L’apprendimento informale e quello formale: qual è il modello di formazione del futuro? Ritengo che andiamo sempre di più verso una situazione in cui il formatore agisce come facilitatore e non come do- cente. Non che già non lo faccia, visto che anche adesso è difficile trovare figure di “docente vecchia-maniera”, ossia della persona che stava in cattedra con i partecipanti che erano lì ad “abbeverarsi” alla conoscenza del docente stes- so, come esperto dei contenuti. Sempre di più il formatore è un professionista dei processi formativi che tende a facili- tare l’apprendimento, quindi io ritengo che sempre di più si vada verso questa “frontiera”. Peraltro, ritengo che limitatamente ad alcuni settori, ad es. quello del quale mi occupo ritengo che ancora tanti miei colleghi, purtroppo, siano soprattutto esperti dei contenuti facilitatori dell’apprendimento. Ritengo che, sotto questo aspetto, si debba ancora fare molto e si debba crescere nella famose competenze legate alla “gestione dell’aula”. Essere formatori significa qualcosa in più dell’essere esperto di qualcosa; significa essere esperti di un metodo efficace che deve facilitare un apprendimento che sempre meno av- viene nei canoni della “formalità” e sempre più passa attra- verso un apprendimento “informale”. Penso a tal proposito anche a quanto dice il “connettivismo”, teoria dell’apprendi- mento di cui parla Siemens che, in particolare, sto seguen- do in questo ultimo periodo. Quest’ultimo anche grazie al lavoro che sto portando avanti con il mio collega ed amico Michele Cardone focalizzato sul progetto “NO .PPT” che per il momento si è estrinsecato in un seminario fatto per AIF (Ass. Italiana Formatori) Lazio – di cui sono membro del Consiglio Direttivo (e del quale faremo una versione “2.0” nel novembre di quest’anno) – e in articolo pubblicato a febbraio su AIF Learning News; spero tuttavia che prima o poi possa sfociare un qualcosa di più strutturato. Un argomento importante in questo “progetto” riguarda proprio l’informalità dell’apprendimento, che passa sem- pre di più attraverso la rete e le sue potenzialità. La rete è anche una metafora per spiegare come avviene l'appren- dimento. In tale metafora, un nodo è qualunque cosa che possa essere connessa ad un altro nodo: informazioni, dati, immagini, sentimenti. L'apprendimento, in questo modo, è un processo che crea delle connessioni e sviluppa una rete. La formazione e la creatività ai tempi di internet. Come la websfera sta cambiando l’approccio alla formazione e la creatività? Direi che la websfera sta cambiando tantissimo l’approc- cio alla formazione e alla creatività. Infatti a mio avviso l’utilizzo di internet e dei social network introducono un concetto fondamentale nella formazione: la collaborazio- ne. Sempre di più noi lavoriamo all’interno di gruppi che sono più ampi rispetto ai semplici partecipanti a un corso. Ovviamente resta sempre molto importante lavorare con e su un gruppo di partecipanti, ma cambia decisamente il modo di lavorare e, soprattutto, di collaborare. Tuttavia, per fare questo però è importante che ci sia la disponibilità e la volontà di confrontarsi e di lavorare insieme verso questo “progetto” di apprendimento. Faccio un esempio. In AIF Lazio insieme a altri colleghi del Direttivo stiamo lavorando su alcune comunità di pratica. Insieme alla collega Beatrice Lomaglio abbiamo proposto di creare una specifica comunità sui formatori “Professio- nisti di professionisti”, ossia di formatori che, partendo dal- le rispettive esperienze professionali, si trovano a formare a loro volta professionisti (avvocati, commercialisti, inge- gneri, architetti, medici, psicologi, geometri, ecc.). Questo tipo di attività determina l’esigenza di una “standardizza- zione” oltre che della ricerca di “specificità” dell’attività di formazione per chi, di solito, svolge invece un altro tipo di attività. All’interno di questa comunità di pratica Beatrice ha creato anche uno strumento informatico specifico, un “wiki” per evitare lunghi e poco efficaci “giri di mail”. Devo dire che, nonostante la buona volontà di tutti i partecipanti (siamo una quindicina di persone in tutto) poi non tutti si ritrovano a collaborare attivamente su tale progetto, so- prattutto in termini di contributi e di stimoli per il gruppo Sempre a proposito di collaborazione, ritengo peraltro che affinché essa possa raggiungere effettivi benefici è impor- tante che sia “a doppio senso”, ossia non si entri in una rete solo per “ricevere”, ma che si sia anche disposti a “dare”. E questo, temo, è un altro dei nervi scoperti. La comunicazione 2.0 è separata dalla contestualità dello spazio fisico, ritiene che la dicotomia ‘presenza/virtuali- tà’ nel web possa indebolire il progetto di apprendimen- to e formazione online? Sinceramente non so se il web possa indebolire o al contra- rio rafforzare il progetto di apprendimento e formazione on line… Mi limito a dire che la formazione on line offre indubbiamente delle grandi potenzialità (possibilità di rag- giungere un alto numero di partecipanti, risparmio di costi, ecc.), ma al tempo stesso presenta anche alcuni aspetti su cui è opportuno fare attenzione. Anni fa io ho lavorato in una società di consulenza che si occupava, tra l’altro, anche di formazione on line… la prin- cipale difficoltà era riuscire a capire “quanto” e soprattutto “come” le persone riuscissero a lavorare a distanza, aldilà di quelli che potevano essere degli indicatori di fruizione di prodotti multimediali. Per questo avevamo sviluppato anche percorsi di formazione “blended” che prevedevano dei giorni iniziali e di chiusura del corso proprio per dare maggiore efficacia al lavoro fatto “a distanza”. Ed a tal fine il lavoro era moderato attraverso l’attività dei tutor, che sti- molavano la partecipazione. Il suo blog personale si chiama “FormaMediAzione”, un nome carico di buoni propositi, quali obiettivi si propo- ne la sua attività di FormaMediAttore? Buoni propositi… intanto, diciamo l’idea del blog mi è ve- nuta perché pensavo che fosse importante mantenere un contatto con le persone che avevano partecipato ai miei corsi, ma la tempo stesso crearne di nuovi con persone non conosciute, ma potenzialmente interessate ad approfondi- re due argomenti specifici come mediazione e formazione. Altro obiettivo era quello di avere una visibilità su internet e nei social network (infatti sono presente sia su facebo- ok che su LinkedIn che su Twitter, dove sono riuscito a far “dialogare” un po’ tutto) cercando un “luogo” dove inserire contenuti che, relativamente ai due argomenti che ho detto, fossero in qualche modo interessanti ed attraenti. Non avevo idea di quelle che poteva essere la risposta da parte dei potenziali fruitori. Ora dopo un anno e mezzo posso dire con soddisfazione di avere una buona media ri- spetto alle pagine visitate (oltre 20.000 pagine visitate entro il primo anno e ad oggi - 7 maggio 2013 - sono arrivato a quasi 44.000 pagine visitate) ed al numero di visitatori (circa 20.000). Certo, vedo che, dal punto di vista statistico, alcuni contenuti (ad es. quelli sulla mediazione) sono mag- giormente seguiti, anche perché questi ultimi raggiungono un maggior numero di utenti potenziali. Ma dal mio punto di vista sono molto soddisfatto perché vedo che anche con- tenuti più specifici sulla formazione hanno un loro seguito. Ora, dopo aver detto qualcosa sul blog, quali sono i miei obiettivi? Sostanzialmente non vorrei aggiungere nulla riguardo l’essere “formaTTore”, su cui ho detto già pri- ma, mentre per quanto riguarda l’attività di formatore il mio obiettivo è quello di essere efficace, come facilitatore dell’apprendimento, riguardo lo specifico tema trattato, ad es. la mediazione. Magari sarà banale, ma la ritengo una priorità, da non trascurare mai. Ora, per quanto riguarda la mediazione, quest’ultimo tut- tavia potrà apparire un termine tutto sommato tecnico; infatti quando parlo di mediazione in realtà sto parlando di argomenti diversi come la gestione costruttiva delle controversie, la negoziazione e, appunto, la mediazione. In generale raggrupperei tutti questi argomenti in un’unica categoria che definirei la capacità di gestire le relazioni con gli altri in maniera efficace. E questo, a ben vedere, si adat- ta non solo all’aspetto più meramente “tecnico”, ma si può riferire in generale anche alla capacità di stare bene, con sé stessi e con gli altri, rispetto a situazione diverse (in ufficio, come in famiglia, ecc.). Qual è la sua opinione riguardo le ‘tecnologie comuni- cative-cognitive’? In che modo impattano sulle relazioni interpersonali e sul modo di interpretare la realtà? Direi che queste impattano moltissimo. Penso, infatti, che queste siano assolutamente fondamentali; d’altra parte non mi sarei iscritto nei vari social network se non avessi pen- sato che le tecnologie comunicative-cognitive sono poco importanti. Peraltro, proprio i social network pongono, dal punto di vi- sta sia comunicativo che cognitivo, delle sfide non da poco; infatti il loro utilizzo fa porre delle riflessioni sulle modalità con cui la comunicazione e la relazionalità debbano avve- nire e le differenze rispetto a quanto si farebbe invece “de visu”. Si passa da una “relazione” che non è più quella che si costruiva un tempo, come si dice in questi casi “quando ero giovane”, ad una relazione che passa attraverso il computer, internet, ecc. che ha regole “proprie”, una sua netiquette. In particolare su quest’ultimo punto, dico la verità, talvol- ta non mi ritrovo rispetto a quello che accade… mi spiego meglio. A me piacerebbe che chiunque approcci ad un con- tenuto, uno qualsiasi, si ricordasse di citare la fonte, o anche semplicemente di ringraziare per l’”imbeccata” (come di- remmo a Roma). Magari anche solo per ricordare la prove- nienza di un contenuto che si ritiene meritevole. E invece vedo che questo, ahimè non sempre accade (anzi)… a me per es. che alcuni hanno preso miei conte- nuti anche “personali”, senza il minimo cenno di ringrazia- mento o anche solo un semplice segno di gradimento. Per carità, li ho resi disponibili e sono on line, però… Anche per questo motivo ritengo che la rete, che pure offre gran- di potenzialità di collaborazione, possa talvolta presentare questo “retrogusto” amaro. Basterebbe poco per far funzio- nare la collaborazione, porsi su un piano “a doppio binario” e non solo “a senso unico”… rispettare il lavoro degli altri, che poi credo sia anche il modo per arrivare a far rispettare un po’ di più anche sé stessi. L’arte della negoziazione e della mediazione in campo professionale: come e quanto incidono sulla sfera lavo- rativa? Direi che la negoziazione e la mediazione incido- no sempre, in tutti gli aspetti della vita, non solo in quello professionale. Pertanto, ritengo che la capacità di gestire le relazioni interpersonali sia decisiva per una persona e fac- cia la differenza. Certamente, dobbiamo tenere conto che la persona ed il professionista agiscono sempre su piani di- versi; del resto anche abili diplomatici (un es. su tutti, Win- ston Churchill) in privato erano conosciuti invece per avere pessimi rapporti. Rispetto a questa presunta “arte”, sulla cui parola sono stati intitolati diversi libri sulla negoziazione (penso ad es. a “L’Arte del negoziato” di Roger Fisher e Wil- liam Ury o “L’arte e la scienza della negoziazione” di Ho- ward Raiffa), ritengo che questa sia al tempo stesso frutto di una specifica attitudine, ma anche di una competenza che si può acquisire. In sintesi, bravo negoziatore si nasce e si diventa. L’obiettivo è sempre quello di mettersi nell’ottica del miglioramento. Formazione e giovani: cosa si ha voglia di imparare oggi? Questa domanda mi richiama alla mente una frase mol- to simile che era solito dire Richard Holbrooke (noto di- plomatico americano) al suo staff prima di iniziare ogni trattativa: “Cosa vogliamo imparare oggi?”. Questa frase nasconde una profonda verità, ossia che noi tutti, giovani e “diversamente” giovani, dobbiamo sempre porci nell’ot- tica di cercare di imparare qualcosa di nuovo, in qualsiasi occasione. A questo punto la mia domanda è: cosa sono disposti ad imparare i giovani? In questo senso ho il timore che essi, in generale, rispetto a qualche anno fa non abbiano forse la stessa voglia di imparare che avevamo qualche anno fa, an- che se poi, avendo comunque (fortunatamente) a che fare con i giovani, noto che ce ne sono tanti che sono disposti a rimboccarsi le maniche e mettersi in gioco. In fin dei conti, tanti anni fa (parliamo dell’inizio degli anni ’90) anche io mi sono trovato in questa situazione, visto che ho iniziato a collaborare con un professore che durante un corso di specializzazione in commercio estero ci parlò an- che di negoziazione internazionale. Questo è stato il mio primo “incontro” con una materia che mi avrebbe cambia- to la vita. Infatti, da lì ho iniziato a leggere, documentarmi, studiare, cercare di andare oltre la negoziazione (anche oltre i suggerimenti del mio “mentore”) per approfondire anche altri temi. Insieme a me c’erano anche altri ragazzi, molti dei quali col tempo si sono fermati, non hanno cre- duto, o semplicemente non hanno voluto proseguire, per- ché magari non era questo il loro percorso (ammesso che sapessero quale fosse). Sta di fatto che di lì a poco tempo ho iniziato ad occuparmi delle due materie che erano (col tempo l’ho scoperto – “Unire i puntini”, avrebbe detto Steve Jobs) un po’ la mia personale “vision”… formazione e me- diazione, anzi forma-mediazione. E da lì ad oggi il passo è stato, tutto sommato, breve… STEFANO CERA A cura di Dolores Cabras @Zaffaranu "Formatore specializzato nello sviluppo personale e organizzativo e nella gestione delle controversie, nella negoziazione e nella me- diazione e Responsabile scientifico accreditato presso il Ministero della Giustizia, Stefano Cera racconta alla nostra redazione la nuova frontiera della formazione in Italia e nel mondo."