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ATTI 76° CONGRESSO NAZIONALE SIMLII

76° Congresso Nazionale SIMLII
Società Italiana di Medicina del Lavoro ed Igiene Industriale

Tutela e promozione della salute: il contributo
metodologico della Medicina del Lavoro alla valutazione
e gestione dei rischi nell’ambiente di vita e di lavoro
Messina, Giardini Naxos
9-11 ottobre 2013
Editors:
Pietro Apostoli, Mario Barbaro, Giovanna Spatari
ABSTRACT
SESSIONI PREORDINATE, COMUNICAZIONI, POSTER
G Ital Med Lav Erg 2013; 35:4, Suppl, 15-30
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ATTI 76° CONGRESSO NAZIONALE SIMLII

SESSIONI PREORDINATE
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RIABILITAZIONE E INSERIMENTO
AL LAVORO

RL 01

IL REINSERIMENTO AL LAVORO
Roberta Bonfiglioli
Ricercatore di Medicina del lavoro - Università di Bologna, Dipartimento
di Scienze Mediche e Chirurgiche

Il tema del mantenimento della capacità lavorativa fino
all’età più avanzata, senza aumento del rischio di infortuni
o malattie da lavoro, è una priorità riconosciuta a livello
internazionale. Le trasformazioni indotte dalla globalizzazione nell’organizzazione del lavoro e le nuove norme sull’età pensionabile, conseguenti all’aumento della speranza
di vita, richiedono ai lavoratori una maggiore efficienza
lavorativa, mantenuta per un periodo di vita più lungo.
Con il termine “work ability” si intende definire una
situazione nella quale si raggiunge un equilibrio tra richieste del compito e capacità del lavoratore di svolgerlo.
Infortuni, malattie professionali o, più in generale,
condizioni legate all’invecchiamento o all’insorgenza di
malattie sono in grado di modificare le capacità psicofisiche di un individuo, limitandone così le performance
anche se non necessariamente a questo consegue una modificazione della work ability (1).
Le capacità psicofisiche dell’essere umano raggiungono il massimo potenziale all’inizio dell’età adulta. La
capacità lavorativa “fisica” tende gradualmente a ridursi
con gli anni: è stato riportato un declino medio del 20-25%
tra i 30 e i 60 anni, dovuto alla riduzione della capacità aerobica e muscolo scheletrica (2). Esistono inoltre differenze di genere: il declino della capacità “fisica” tende ad
essere minore nelle donne, questo probabilmente è imputabile a una diversa capacità massima iniziale (le donne
hanno una forza media pari ai due terzi rispetto a quella
dei maschi). Dal punto di vista mentale le dinamiche sembrano essere diverse, infatti le performance mentali globali sembrano rimanere intatte o addirittura migliorare nel
tempo.
La tradizionale risposta alla comparsa di problemi di
salute o di “capacità lavorativa”, collegati o meno all’invecchiamento, è di solito il trasferimento del lavoratore
verso postazioni di lavoro con requisiti inferiori o una riduzione “ad personam” dei requisiti stessi: tale approccio
sarà difficilmente sostenibile nel futuro, in vista dell’inevitabile invecchiamento della popolazione lavorativa.
È opportuno identificare strategie alternative che consentano, nel rispetto delle esigenze della produttività del
lavoro e della salute dei lavoratori, il mantenimento della
work-ability per il più lungo periodo possibile. Appare
fondamentale in questo contesto definire un modello strettamente integrato di valutazione di dati forniti da sistemi
per la descrizione qualitativa e quantitativa dei requisiti fisici e cognitivi dei compiti e da sistemi per la descrizione

17

qualitativa e quantitativa delle capacità psicofisiche di un
individuo. Il “Work Ability Index (WAI)” ad esempio è un
semplice strumento, largamente utilizzato a livello internazionale, in grado di misurare la capacità lavorativa presente e di offrire stime per il futuro (3, 4).
Bibliografia
1) Ilmarinen JE. Aging workers.. Occup Environ Med. 2001; 58: 546552.
2) Kenny GP, Yardley JE, Martineau L, Jay O. Physical work capacity
in older adults: implications for the aging worker. Am J Ind Med
2008; 51(8): 610-25.
3) Tuomi K, Ilmarinen J, Jahkola A, et al. Work ability index. 2nd revised edn. Helsinki: Finnish Institute of Occupational Health, 1998.
4) van den Berg TI, Elders LA, de Zwart BC, Burdorf A. The effects of
work-related and individual factors on the Work Ability Index: a systematic review. Occup Environ Med 2009; 66(4): 211-20.

RL 02

LA RIABILITAZIONE CARDIOLOGICA IN PAZIENTI
IN ETÀ LAVORATIVA
Pantaleo Giannuzzi
Divisione di Cardiologia Riabilitativa - Istituto Scientifico di Veruno Fondazione Salvatore Maugeri I.R.C.C.S.

Introduzione. Il paziente cardiopatico complesso
dopo un evento cardiovascolare acuto è un paziente ad alto
rischio cardiovascolare e di disabilità per la presenza di
complicazioni dell’evento indice, disfunzione ventricolare
e scompenso, elevata comorbidità e contemporanea compromissione dell’autonomia funzionale, particolarmente
evidenti in pazienti anziani (1 e 2).
Metodi. È stata effettuata un’analisi sui risultati di un
programma di riabilitazione cardiologica degenziale in pazienti cardiopatici, ricoverati presso il nostro Istituto, dopo
un evento cardiovascolare negli anni 2011-2012.
Risultati e Discussione. Si conferma la stretta relazione tra età, polipatologia/comorbidità e disabilità. La
complessità clinico-funzionale intesa come condizione di
elevata comorbidità e significativa disabilità è presente in
circa il 17% dei pazienti cardiopatici in età lavorativa fino
a 65 anni, e aumenta significativamente in età più avanzata (25% nei pazienti di età >75 anni).
Il programma di riabilitazione cardiologica intensivo
orientato alla stabilizzazione clinica, al controllo delle comorbidità ed al recupero funzionale, ha corretto la disabilità residua in tutte le fasce di età.
Il guadagno di autonomia funzionale dopo riabilitazione cresce progressivamente con l’età ed è inversamente
proporzionale al grado di disabilità/comorbidità iniziale.
Anche pazienti più complessi (con gradi estremi di disabilità/comorbidità) possono raggiungere adeguati livelli
di autonomia funzionale e di capacità relazionali dopo riabilitazione (3 e 4).
Bibliografia
1) Agenzia per i Servizi Sanitari Regionali. Linee guida nazionali su
cardiologia riabilitativa e prevenzione secondaria delle malattie car-
18

diovascolari. Monaldi Arch Ches Dis 2006; 81-116; www.gicr.it;
www.pngl.it; www.assr.it
2) Commissione ANMCO/IACPR-GICR Associazione Nazionale Medici Cardiologi Ospedalieri/Italian Association for Cardiovascular
Prevention, Rehabilitation and Epidemiology-Gruppo Italiano di
Cardiologia Riabiltativa - Greco C, Cacciatore G, Gulizia M, Martinelli L, et al: Criteri per la selezione dei pazienti da inviare ai centri
di cardiologia riabilitativa. G Ital Cardiol 2011; 12(3): 219-229.
3) Giannuzzi P, Saner H, Björnstad H, et al. Secondary prevention through cardiac rehabilitation: position paper of the working group on
cardiac rehabilitation and exercise physiology of the European society of Cardiology. Eur Heart j 2003; 24: 1273-1278.
4) Piepoli MF, Corrà U, Adamopoulos S, Benzer W, et al. Secondary
prevention in the clinical management of patients with cardiovascular diseases. Core components, standards and outcome measures
for referral and delivery. European J Prev Cardiol. 2012; Print-Electronic, ISSN 2047-4881.

RL 03

LA RIABILITAZIONE RESPIRATORIA IN PAZIENTI
IN ETÀ LAVORATIVA
Antonio Spanevello
Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale Malattie dell’Apparato
Respiratorio - Università degli Studi dell’Insubria - Dipartimento di
Pneumologia Riabilitativa - Fondazione Salvatore Maugeri, IRCCS

Negli ultimi anni è aumentato in maniera drastica il
supporto evidence based a favore della riabilitazione nel
trattamento dei pazienti affetti da patologie respiratorie
croniche. La riabilitazione respiratoria è diventata una
pratica consolidata nel trattamento dei pazienti affetti da
patologie respiratorie croniche, soprattutto BPCO ma non
solo. Le principali società scientifiche in ambito pneumologico, l’American Thoracic Society (ATS), l’European
Respiratory Society (ERS), l’American College of Chest
Physicians (ACCP), e l’American Association of Cardiovascular and Pulmonary Rehabilitation (AACVPR)
hanno pubblicato gli aggiornamenti delle linee guida
della riabilitazione respiratoria, che pertanto può essere
definita come un intervento multidisciplinare, individualizzato e basato sull’evidenza, per pazienti con patologie
respiratorie croniche, finalizzato a ridurre i sintomi, ottimizzare lo stato funzionale e migliorare la qualità di vita.
È ormai dimostrato che tale tipo di intervento è in grado
di ridurre la dispnea, aumentare la performance e migliorare la qualità di vita (HRQL). Si sta inoltre sviluppando
letteratura a supporto dell’efficacia nel ridurre i costi sanitari. L’evidenziazione degli effetti favorevoli presuppone la messa in atto di trials clinici ben impostati che
utilizzano misure di outcome valide, riproducibili ed interpretabili. Pur essendo rappresentata dai pazienti con
BPCO la più vasta popolazione di pazienti respiratori avviato a trattamento riabilitativo, sembra ormai chiaro che,
indipendentemente dal tipo di patologia respiratoria cronica, la morbilità può essere determinata anche da un
coinvolgimento secondario della muscolatura periferica,
della funzione cardiaca, dello stato nutrizionale, da disfunzioni psicosociali e dalla messa in atto di strategie di
self-management non ottimali.

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SONNO E LAVORO

SL 01

ASPETTI DI FISIOPATOLOGIA DEL SONNO RILEVANTI
PER IL MEDICO DEL LAVORO
Maria Cristina Spaggiari
Vengono distinti due tipi di sonno: (1) sonno non-REM,
costituito da 4 stadi di diversa profondità; (2) sonno REM,
caratterizzato da un tracciato EEG desincronizzato e dalla
presenza di atonia muscolare, di movimenti oculari rapidi
e di una certa anarchia delle funzioni vegetative, cardiovascolari e respiratorie. In condizioni fisiologiche, l’adulto
sano si addormenta sempre in sonno non-REM, che si approfondisce via via in stadi di sempre maggiore sincronizzazione e che viene interrotto ogni 90 minuti circa da un
episodio di sonno REM, delineando così l’organizzazione
macrostrutturale in cicli. Il sonno presenta inoltre un’organizzazione anche di tipo microstrutturale: esistono periodi
di sonno caratterizzati da fluttuazioni cicliche del livello di
vigilanza, denominate Cyclic Alternating Pattern (CAP),
identificate da modificazioni EEG e dei parametri vegetativi, e che si alternano a periodi di sonno più stabile (nonCAP) (2). La percentuale di CAP rispetto alla durata del
sonno (CAP rate) ne indica la stabilità e quindi l’efficienza:
più il valore del CAP rate aumenta rispetto ai valori fisiologici peggiore è la qualità del sonno e più facilmente il
soggetto presenterà astenia o sonnolenza diurne. Il sonno
segue un ritmo circadiano endogeno, che viene regolato dal
nucleo soprachiasmatico dell’ipotalamo. Esistono poi fattori esogeni che influenzano il ritmo sonno-veglia e contribuiscono a mantenerne la circadianità, primo fra tutti l’alternanza luce-buio. Ne risulta la tendenza comune a dormire nelle ore notturne e a restare svegli e attivi lungo la
giornata. La comparsa del sonno è influenzata, oltre che
dagli aspetti circadiani, anche da meccanismi di regolazione omeostatica per cui maggiore è la durata della veglia
precedente più importante sarà la propensione al sonno. Un
sonno di durata ottimale e di buona qualità è essenziale per
porre le basi di un buon livello di veglia e di performance
cognitive, ma l’attenzione dedicata attualmente al riposo è
molto scarsa a qualunque età. Assai diffusa quindi è la condizione di cronica deprivazione di sonno, che spesso conduce ad una serie di alterazioni biologiche a carico soprattutto degli equilibri endocrino-metabolici (3), ma anche ad
una riduzione delle performance cognitive. Tali conseguenze possono avere ricadute di estremo rilievo a livello
di salute pubblica, di sicurezza stradale e di salute nel
mondo del lavoro.
Bibliografia
1) Rechtschaffen A., Kales A. A manual of standardized terminology,
techniques and scoring system for sleep stages of human subjects.
Los Angeles: BIS/BRI, UCLA, 1968.
G Ital Med Lav Erg 2013; 35:4, Suppl
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2) Terzano MG, Parrino L, Spaggiari MC. The cyclic alternating pattern sequences in the dynamic organization of sleep. Electroencephalogr Clin Neurophysiol. 1988; 69: 437-447.
(3) Van Cauter E. Sleep and the epidemic of obesity in children and
adults. Eur J Endocrinol. 2008; 159 suppl 1: S59-66.

SL 02

DISTURBI RESPIRATORI NEL SONNO
E ATTIVITÀ LAVORATIVA
Maria Patrizia Accattoli
Diagnosi e Cura dei Disturbi Respiratori nel Sonno - Riabilitazione
Respiratoria e Prevenzione Tisiopneumologica - Azienda USL1 di Perugia

Con il termine Disturbi Respiratori nel Sonno (DRS) si
indica una varietà di quadri patologici caratterizzati dalla
presenza di alterazioni della ventilazione durante il sonno.
La Sindrome delle Apnee Ostruttive nel Sonno (OSAS) è
il DRS più noto e più comune, raggiungendo una prevalenza del 2-5% nelle donne e del 3-7% degli uomini in età
adulta (2).
I soggetti con questa sindrome presentano durante il
sonno episodi ricorrenti di collabimento parziale (ipopnea) o completo (apnea) delle alte vie aeree, con conseguenti desaturazioni ossiemoglobiniche, incremento degli
sforzi respiratori, microrisvegli e frammentazione del
sonno. I sintomi tipici sono il russamento, le apnee obiettivate dal partner e l’ipersonnolenza diurna. L’OSAS è
considerata un fattore di rischio indipendente per complicanze cardiovascolari (ipertensione arteriosa sistemica,
cardiopatia ischemica, scompenso cardiaco, aritmie), cerebrovascolari (ictus, TIA), e metaboliche (diabete mellito,
dislipidemia, obesità, sindrome metabolica). Inoltre, determina compromissione della qualità della vita ed effetti
negativi sulle funzioni neurocognitive, in particolare su
quelle mnesiche ed attentive e sulle capacità esecutive e
cognitive globali, con conseguente riduzione delle abilità
lavorative, difficoltà nei rapporti interpersonali e sonnolenza al lavoro, assenteismo, ridotta produttività o presenteismo, inabilità permanente e pensionamento precoce (1,
3), nonché aumento del rischio di incidenti stradali (4) e di
infortuni lavorativi (1).
Il Medico del Lavoro Competente sottopone a controllo periodico lavoratori nella fascia di età in cui la prevalenza dell’OSAS è più elevata (anche coloro che ritengono di non aver motivi per recarsi dal medico di medicina generale) e quindi può rivestire un ruolo strategico
nella individuazione precoce della malattia, ma anche nel
monitorare l’aderenza al trattamento del lavoratore affetto
da OSAS e nello svolgimento di appositi programmi di
formazione e informazione sia sui singoli che su gruppi di
lavoratori. Nel formulare il giudizio di idoneità al lavoro il
Medico Competente dovrà tenere presente innanzitutto i
riflessi negativi della malattia sulle funzioni neurocognitive e valutare con estrema attenzione la rilevanza e l’influenza delle patologie cardiovascolari e metaboliche
eventualmente presenti.

19

Bibliografia
1) Accattoli MP, Muzi G, dell’Omo M et al. Occupational accidents,
work performance and obstructive sleep apnea syndrome. G Ital
Med Lav Ergon 2008; 30(3): 297-303.
2) Punjabi NM. The epidemiology of adult obstructive sleep apnea.
Proc Am Thorac Soc 2008; 5(2): 136-143.
3) Swanson LM, Arnedt JT, Rosekind MR et al. Sleep disorders and
work performance: findings from the 2008 National Sleep Foundation Sleep in America poll. J Sleep Res 2011; 20: 487-494.
4) Tregear S, Reston J, Schoelles K, and Phillips B. Obstructive Sleep
Apnea and Risk of Motor Vehicle Crash: Systematic Review and
Meta-analysis J Clin Sleep Med 2009; 5(6): 573-581.

SL 03

ORARI DI LAVORO E DISTURBI DEL SONNO
Giovanni Costa
Dipartimento di Scienze Cliniche e di Comunità, Università di Milano,
e Fondazione IRCCS “Ca’ Granda - Ospedale Maggiore Policlinico”,
Milano; giovanni.costa@unimi.it

Orari irregolari e/o prolungati di lavoro, in particolare
il lavoro a turni e notturno, possono causare del gravi interferenze sulla durata e qualità del sonno, sia nel breve
che nel medio-lungo termine, con conseguenti ripercussioni negative sulla performance, sulla salute e sulla sicurezza dei lavoratori.
Chi lavora a turni lamenta una riduzione del tempo di
sonno e della sua qualità (fase 2 e REM in particolare) sia
nel turno del mattino che in quello di notte con conseguente accentuata sonnolenza nei periodi di attività, sia
diurna che notturna, e maggiori difficoltà a dormire ad
orari sfasati rispetto al normale ciclo sonno/veglia.
L’International Classification of Sleep Disorders include anche il Disturbo del Ritmo Circadiano del Sonno
da Lavoro a Turni (Circadian Rhythm Sleep Disorder Shift Work Type) e ne definisce i criteri diagnostici in termini di gravità e durata.
La persistenza di disturbi del sonno favorisce il manifestarsi di sindromi neuro-psichiche (fatica cronica, atteggiamenti comportamentali negativi, ansia e depressione
cronica), che spesso richiedono la somministrazione di
farmaci ipnoinducenti e/o psicotropi. Le alterazioni del
sonno possono altresì costituire un ulteriore fattore di rischio per altri disturbi o malattie psicosomatiche, in particolare gastrointestinali, cardiovascolari e, probabilmente,
anche tumori (ad es. mammella).
In termini infortunistici, diversi studi hanno rilevato un
aumento del rischio del 18% nel turno di pomeriggio e del
30% nel turno di notte rispetto al turno del mattino; inoltre
il rischio aumenta del 6%, 17% e 36% nella II, III e IV
notte consecutiva di lavoro, mentre il corrispondente andamento per i turni del mattino è del 2%, 7% e 17%. Sono
da segnalare anche gli incidenti “in itinere”, soprattutto
nel viaggio di ritorno alla fine del turno di notte, che possono riguardare fino al 20% dei lavoratori in turni ruotanti.
In riferimento al turno del mattino, viene segnalata una
maggiore frequenza di incidenti in relazione ad orari
troppo anticipati di inizio del lavoro. Numerosi studi se-
20

gnalano anche un aumento significativo del rischio infortunistico dopo la 8°-9° ora di lavoro.
È necessario quindi porre attenzione a tali disturbi nel
corso della sorveglianza sanitaria dei lavoratori che hanno
orari di lavoro irregolari, in particolare i turnisti con lavoro notturno (anche in riferimento al D.Lgs. 66/2003) e i
conducenti di mezzi di trasporto (anche in riferimento al
D.M. 88/1999). Lo strumento essenziale di prevenzione si
basa sull’organizzazione degli orari di lavoro secondo criteri ergonomici, che riguardi in particolare la durata dei
periodi di lavoro, gli orari di inizio e fine degli stessi, adeguati periodi di riposo tra un turno e l’altro, e l’inserimento di pause appropriate nel corso del turno.

SL 04

SONNOLENZA E SICUREZZA NEI PAZIENTI OSAS:
IL TAVOLO TECNICO INTERDISCIPLINARE (TTI)
Sergio Garbarino1,2,3
1

Servizio Sanitario Polizia di Stato, Ministero dell’Interno
Dipartimento di Medicina Legale e del Lavoro, Università degli Studi
di Genova
3 Dipartimento di Neuroscienze, Riabilitazione, Oftalmologia, Genetica
e Scienze Materno-Infantili Università degli Studi di Genova
2

Corrispondenza: Dr. Sergio Garbarino, Dipartimento di Medicina
Legale e del Lavoro - Sezione di Medicina del Lavoro, Università degli
Studi di Genova, Ospedale San Martino, Largo R. Benzi 10, 16132
Genova Italy, tel: +390103537465; garbarino.sergio@gmail.com
Parole chiave: eccessiva sonnolenza diurna, sicurezza, OSAS, disturbi
del sonno

La sindrome dell’apnea ostruttiva nel sonno (Obstructive Sleep Apnoea Syndrome OSAS), caratterizzata da
russamento abituale e persistente, pause respiratorie ed
eccessiva sonnolenza diurna (ESD), riconosce l’obesità
quale maggiore fattore di rischio con una prevalenza tra i
30 e 60 anni del 9% nelle femmine e del 24% nei maschi
(1). È la più frequente causa medica di ESD e con questa
è responsabile del 21.9% degli incidenti stradali (2). I
soggetti OSAS hanno un rischio per incidente stradale da
2 a 7 volte superiore a quello osservato nei soggetti sani
(3) (doppio rispetto all’abuso di alcol e/o al consumo di
ansiolitici o cannabis) e un significativo incremento del
rischio di infortuni con elevati costi socio-sanitari (euro
838.014.400 e 101.083.761 per anno rispettivamente per
incidenti stradali e lavorativi. Fonte ISS). Il loro trattamento con applicazione di una pressione positiva continua (CPAP) nelle vie aeree abbatte il numero di incidenti stradali e sul lavoro ai valori osservati nella popolazione generale con riduzione dei costi sanitari diretti ed
indiretti (4).
La Comunità Europea ha recentemente avviato le procedure per l’inserimento della OSAS nell’allegato III (requisiti fisici e psichici per il conseguimento della patente
di guida) della Direttiva 91/439/CE. In ambito comunitario l’Italia è rappresentata dalla Direzione Medica di

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Rete Ferroviaria Italiana (RFI) su delega del Ministero
delle Infrastrutture e dei Trasporti.
Tuttavia l’alta prevalenza della patologia e la crescente
attenzione verso questo tipo di disturbo comportano un ritardo diagnostico e terapeutico, in particolare quello domiciliare con CPAP, di molti mesi.
Nel 2012, consapevoli di tali problematiche, Associazione Interdisciplinare Medicina Apparato Respiratorio AIMAR, Associazione Italiana Medicina del Sonno AIMS, Coordinamento Medici Legali Aziende Sanitarie COMLAS, Società Italiana di Medicina Generale - SIMG,
Società Italiana di Medicina del Lavoro e Igiene Industriale
- SIMLII, Società Italiana Medicina del Sonno Odontoiatrica - SIMSO, Società Italiana di Neurologia - SIN, Società Italiana di Otorinolaringoiatria - SIO e Direzione Medica di RFI, hanno costituito il “Tavolo Tecnico Interdisciplinare (TTI) Sonnolenza e Sicurezza nei pazienti OSAS”
individuando obiettivi comuni da perseguire: 1) armonizzazione dei linguaggi e delle modalità operative delle diverse figure mediche deputate alla diagnosi e cura della
OSAS quando finalizzate al giudizio di idoneità psico-fisica alla guida o lavorativa; 2) percorsi clinico-assistenziali
finalizzati all’idoneità psico-fisica alla guida o lavorativa
facilmente e rapidamente fruibili per il cittadino e sostenibili per il sistema sanitario; 3) proposte normative da offrire al legislatore italiano ed in sede comunitaria.
Il TTI è il primo esempio a livello nazionale e internazionale di integrazione paritetica fra professionisti e rappresentanti delle Istituzioni deputate alla produzione di
norme in materia di idoneità psico-fisica.
Bibliografia
1) Young T, Peppard PE, Gottiieb DJ. Epidemiology of obstructive
sleep apnea. Am J Respir Crit Care Med. 2002; 165: 1217-1239.
2) Garbarino S, Nobili L, De Carli F, Ferrillo F. The contributing role of sleepiness in highway vehicle accidents. Sleep, 2001; 24 (2):
203-206.
3) Truls Vaa: Report n. 690/2003 del progetto Impaired Motorists
Methods of Roadside Testing and Assessment for Licensing (IMMORTAL). Institute of Transport Economics of Norway, PO Box
6110 Etterstad, N-0602 Oslo, Norway.
4) Komada Y, Nishida Y, Namba K, Abe T, Tsuiki S, Inoue Y. Elevated
risk of motor vehicle accident for male drivers with obstructive sleep
apnea syndrome in the Tokyo metropolitan area. Tohoku J Exp Med.
2009; 219 (1): 11-6.

SL 05

LA GESTIONE DEL RISCHIO DEI DISTURBI
DEL SONNO MEDIANTE IL METODO A.S.I.A.
Nicola Magnavita
Dipartimento di Salute Pubblica, Università Cattolica del
Sacro Cuore, Largo Gemelli 8, 00168 Roma, tel. 3473300367;
nicolamagnavita@gmail.com

Introduzione. I disturbi del sonno, e la sonnolenza che
ne consegue, sono all’origine di una rilevante quota degli
infortuni lavorativi, di una minore capacità produttiva e di
un aumento degli errori, dell’aumentata frequenza di ma-
G Ital Med Lav Erg 2013; 35:4, Suppl
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lattie dell’apparato digerente, metaboliche, psichiche e
neoplastiche.
Metodi. La gestione del rischio connesso con i disturbi
del sonno si basa sul metodo A.S.I.A. (1-2), una coordinata sequenza di azioni elementari: valutazione del rischio
e adozione di misure preventive (Assessment); reporting e
sorveglianza (Surveillance); informazione e formazione di
lavoratori, dirigenti e preposti (Information); verifica dei
punti critici (Audit).
Risultati. Il Sistema di gestione dei problemi del
sonno (SGPS) in ambito lavorativo, diretto a gestire i rischi associati con la sonnolenza eccessiva, è analogo (o è
una parte di) un Sistema di Gestione dei Rischi per la salute e sicurezza lavorativa (SGSL). Esso è un sistema
proattivo, non reattivo, basato sull’evidenza; è controllato
dai dati raccolti ed è soggetto ad un continuo miglioramento. È condiviso e partecipativo, e la responsabilità
della sua applicazione poggia in egual misura sul management e sui lavoratori.
Discussione. Il SGPS prevede una serie di misure tendenti a contrastare i disturbi del sonno, ed altre miranti a
migliorare lo stato di allerta sul lavoro. Tra le prime sono
comprese: una corretta gestione del personale e dei turni di
lavoro; un approfondito e continuo processo di educazione
dei lavoratori, dirigenti e preposti; la messa in atto di un
sistema di reporting. Il Sistema dovrà prevedere le misure
ambientali che possono ridurre il rischio che la sonnolenza
si trasformi in un danno. Il SGPS deve inoltre potenziare
le difese individuali. I lavoratori, i loro colleghi e supervisori devono fare attenzione ai segni prodromici di eccessiva sonnolenza e adottare tempestive contromisure. Il sistema, infine, deve essere costantemente monitorato e periodicamente rivisto.
Lo screening dei disturbi del sonno può essere utilmente inserito nelle attività del medico competente, senza
un significativo impegno di tempo e con soddisfazione
dei lavoratori. Il medico competente deve indirizzare il
lavoratore allo specialista per il trattamento e seguire nel
tempo l’adesione al programma terapeutico e l’evoluzione della patologia. Nella formulazione del giudizio di
idoneità il medico competente è chiamato ad affrontare
un conflitto etico, nel difficile bilanciamento tra il diritto
alla salute (preminente) ed il diritto al lavoro (fondamentale). In accordo con quanto stabilito nei Documenti di
Consenso del gruppo La.R.A. (3, 4), la soluzione non è
nell’allontanamento del lavoratore, ma nel miglioramento
del lavoro.
Bibliografia
1) Magnavita N. Il Modello A.S.I.A. per la gestione del rischio. G Ital
Med Lav Erg 2003; 25: 3 Suppl: 344.
2) Magnavita N. Applicazione di modelli organizzativi originali per la
prevenzione del rischio chimico in aziende di diverse dimensioni.
Metodo A.S.I.A. IIMS Istituto Italiano di Medicina Sociale, Roma
2004.
3) Magnavita N. Tutela del lavoratore rischioso per gli altri. ISU UCSC, Roma 2004. ISBN 88-8311-280-6.
4) Magnavita N, Bevilacqua L, and the La.R.A. study group. Ethical issues in hazardous workers. Paper presented at the ICOH Conference “Toward a multidimensional approach in occupational health service. Scientific evidence, social consensus, human values”. Modena
13-16 Oct 2004).

21

SL 06

LA SORVEGLIANZA SANITARIA NEL LAVORO
A TURNI E NOTTURNO
F. Roscelli
Azienda USL di Parma, SPSAL Distretto Valli Taro e Ceno, Via Benefattori
12, 43043 Borgo Val di Taro (PR); froscelli@ausl.pr.it

Introduzione. Il lavoro a turni e quello notturno sono
fattori di rischio noti per la salute e la sicurezza, correlati
a un’ampia serie di problemi di salute dei lavoratori.
La normativa non prevede esplicitamente la sorveglianza sanitaria per i turnisti né per chi lavora in orari non
convenzionali, se gli orari non si estendono per almeno tre
ore all’interno del periodo notturno. Ma l’art. 28, comma
1, del D.Lgs. 81/2008 prevede la «valutazione globale e
documentata di tutti i rischi per la salute e sicurezza dei
lavoratori». Ne consegue l’obbligo della sorveglianza sanitaria anche per il lavoro a turni o in orari atipici, purché
tali rischi siano inseriti nel documento di valutazione dei
rischi.
Risultati e Discussione. Le alterazioni dello stato di
salute che la sorveglianza sanitaria deve ricercare (possibilmente in fase precoce) appartengono a tre categorie
generali.
1. Danni per la salute causati dal lavoro: la sindrome del
turnista è una delle patologie codificate nella International Classification of Sleep Disorders (1). Il lavoro a
turni e notturno è associato, inoltre, con un aumentato
rischio di accidenti ischemici cardiaci e cerebrali, ipertensione arteriosa, sindrome metabolica, dislipidemia
e diabete mellito; i rischi relativi sono modesti, ma i rischi attribuibili di popolazione sono elevati. Nel 2007,
inoltre, la IARC ha concluso che il lavoro su turni che
alterano il sistema circadiano è probabilmente cancerogeno per la mammella (gruppo 2A) (2).
2. Malattie di origine extraprofessionale che possono essere aggravate dal lavoro a turni e notturno (3). Molte
patologie possono estrinsecarsi in forma lieve e tale da
non compromettere significativamente le capacità
psico-fisiche dei lavoratori e le attuali terapie permettono eliminare o limitare le conseguenze.
3. Patologie o altre condizioni individuali che possono
causare problemi di sicurezza al lavoratore o a terzi.
L’eccessiva sonnolenza diurna si può riscontrare in associazione a vari stati patologici che disturbano in termini quantitativi – e soprattutto qualitativi – il sonno
notturno, rendendo insufficienti le sue capacità ristorative. Frequente anche la sindrome da sonno insufficiente autoindotta.
Un utile e semplice strumento per evidenziare disturbi
del sonno nel corso della sorveglianza sanitaria è rappresentato dal questionario predisposto di concerto con l’Associazione Italiana di Medicina del Sonno, specificamente
destinato al medico competente (4).
Associando semplici misure biometriche (indice di
massa corporea, circonferenza del collo, indice di Mallampati) e altri accertamenti clinico-anamnestici del caso,
22

il medico competente può acquisire utili elementi per discriminare i lavoratori che non presentano disturbi della
vigilanza da quelli che necessitano di un controllo periodico più ravvicinato e/o di un approfondimento specialistico presso i Centri di Medicina del Sonno.
Nei casi di disturbi del sonno, come in altre delicate
condizioni che coinvolgono la sicurezza di terzi, oltre alla
salute del singolo, il medico competente è chiamato ad affrontare un conflitto etico, nel difficile bilanciamento tra il
diritto alla salute (preminente) ed il diritto al lavoro (fondamentale). Nel giudizio di idoneità il medico competente
non deve eccedere nel porre limitazioni, che di frequente
rappresentano una forma di “medicina del lavoro difensiva”, volta a tutelare più il medico che il lavoratore. Di
fondamentale importanza è discriminare tra alterazioni
“tollerabili” (ossia compatibili con una modesta e transitoria perturbazione del sonno) e situazioni realmente rischiose o dannose (3).
Bibliografia
1) American Academy of Sleep Medicine. International classification
of sleep disorders, 2nd ed: Diagnostic and coding manual. Westchester, IL 2005.
2) Bonde JP, Hansen J, Kolstad HA et al. Work at night and breast cancer - report on evidence-based options for preventive actions. Scand
J Work Environ Health 2012; 38: 380-390.
3) Costa G, Biggi N, Capanni C et al. Lavoro a turni e notturno. In:
Messineo A, Iacovone T (eds). Linee guida per la sorveglianza sanitaria degli addetti a lavori atipici e a lavori a turni. Pavia: Tipografia
Pime Editrice S.r.l. 2004; 243-360.
4) Roscelli F, Spaggiari MC, Accattoli MP. Sonno e lavoro. Azienda
USL di Viterbo 2012. http://www.asl.vt.it/Cittadino/SPISLL/pdf/Libro-SONNO_Ver_15.pdf (accesso 31.5.2013).

G Ital Med Lav Erg 2013; 35:4, Suppl
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IL MEDICO COMPETENTE: NORMATIVA,
RUOLO, PROSPETTIVE

MC 01

IL MEDICO COMPETENTE IN EUROPA
A. Serra1, M. Bottazzi2, C. Mirisola3, G. Pagliaro4
1

Università di Sassari
Patronato INCA - Roma
3 Medico Competente libero professionista
4 S.S. Medicina Preventiva e del Lavoro, A.O. Ordine Mauriziano di
Torino
2

La seconda direttiva quadro in materia di sicurezza sul
lavoro (89/391) delinea in misura essenziale l’ambito
della sorveglianza sanitaria (art. 14) rimandando alle legislazioni nazionali una definizione più completa. L’organizzazione della sicurezza sul lavoro nei vari Stati riflette
le peculiarità economiche, legislative e dei rapporti delle
parti sociali; il recepimento delle direttive comunitarie appare pertanto molto diversificato.
Alcuni Stati hanno elaborato un corpus legislativo
molto dettagliato, talvolta (come in Italia e in Francia) pervasivo anche nei dettagli della attività degli soggetti operanti. In altri casi sono delineati obbiettivi da raggiungere
e diritti da tutelare lasciando ai soggetti responsabili la
scelta delle opzioni operative (Regno Unito).
La figura del medico competente (occupational physician) non è vincolata dalla normativa comunitaria alla specializzazione in medicina del lavoro (anche se consigliata
in diversi pronunciamenti come il 66/464/CEE) pur precisando che la sorveglianza sanitaria debba essere vincolata
ai principi della medicina del lavoro (90/394/CEE). In alcuni Stati il medico competente è abilitato anche da altre
specializzazioni (Inghilterra, Svezia e nella stessa Italia).
La formazione specialistica in medicina del lavoro può essere erogata in ambito universitario (Italia, Francia,
Spagna), da strutture pubbliche riconosciute (Germania,
Svezia) ovvero da strutture pubbliche e private soggette a
controllo pubblico (Regno Unito).
In tutti gli Stati europei i medici competenti operano
come dipendenti della aziende (in genere con un consistente numero di lavoratori) o come liberi professionisti.
Gli oneri del servizio sono a carico del Datore di Lavoro.
In alcuni Stati il medico competente interviene anche nel
controllo delle assenze per malattia (Regno Unito).
Il fondamentale dualismo tra ruolo di pubblico interesse del medico competente e dipendenza economica di
una parte è diffusamente considerato un punto critico. Alcuni Stati hanno affrontato il problema in termini normativi: in Francia i medici competenti possono essere assunti
o rimossi dal loro incarico solo con il parere vincolante di
organismi in cui sono rappresentate le parti sociali e con la
ratifica di un ente pubblico di controllo.
In altri Stati una maggiore tutela della indipendenza è
affidata al contesto organizzativo: in Germania la logica di
G Ital Med Lav Erg 2013; 35:4, Suppl
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cogestione (Mitbestimmung) attenua il vincolo diretto tra
medico e datore di lavoro. Un’altra criticità viene individuata nella eccessiva polarizzazione della attività del medico sul controllo sanitario dei lavoratori rispetto ad un
maggiore impegno nella prevenzione tecnica e organizzativa. Alcuni Stati (come la Francia) hanno posto un vincolo normativo a questo equilibrio (tiers-temps) con esiti
che non vengono ritenuti risolutivi.
Bibliografia
1) Cashman C, Slovak A: The Occupational Medicine agenda: routes
and standards specialization in Occupational Medicine in Europe.
Occup Med (Lond) 2005 55: 312-318.
2) Tozzi GA, Taddeo D: Il ruolo del medico del lavoro pubblico in Europa e la sua attività interdisciplinare. Atti convegno “Prospettive
per la tutela della salute dei lavoratori”. Pisa, maggio 2009.
3) WHO: Country profile of occupational health system in Germany;
2012.

23

tivi, il 24% alla gestione di salute e sicurezza aziendali,
l’11% a programmi di promozione della salute, il 7% ha
un contatto regolare con i medici di base e il 6% aderisce
a progetti di ricerca. Il 51% utilizza una cartella sanitaria
informatizzata, l’83% ritiene un aggravio la gestione della
cartella clinica imposta dalla normativa. La maggioranza
valuta soddisfacenti le iniziative della SIMLII per i bisogni formativi. Il 92% indica il tema dei protocolli sanitari come prioritario nei programmi di aggiornamento.
Discussione. L’iniziativa ha visto la partecipazione di
un numero elevato di M.C., maggiore di quanto registrato
in occasione delle precedenti indagini conoscitive. Risulta
come sia ancora poco frequente il coinvolgimento del
M.C. nelle aziende come “consulente globale”. È ancora
limitato il numero dei M.C. che utilizza modelli informatizzati a causa, soprattutto, di una scarsa disponibilità di
programmi di gestione soddisfacenti.
Bibliografia

MC 02

QUESTIONARIO SUL MEDICO COMPETENTE:
RISULTATI E INDICAZIONI PER UNA COMPETENZA
PARTECIPATA
Serenella Fucksia1, Roberto Lucchini2,
Gianluigi Lazzarini3, Francesca Benedetti3,
Ernesto Ramistella1, Luciano Romeo3

1) Iavicoli S, Persechino B, Chianese C, Marinaccio A, Rondinone B,
Abbritti G, Apostoli P, Soleo L, Ambrosi L. Indagine conoscitiva sul
fabbisogno formativo in medicina del lavoro in Italia. G Ital Med
Lav Erg 2004; 26: 1, 12-18.

MC 03

MEDICO COMPETENTE E COMMISSIONE DI VERIFICA:
UN PROBLEMA IRRISOLTO

1

Medico del Lavoro Competente
Medicina del Lavoro, Università di Brescia e Mount Sinai School of
Medicine, New York
3 Medicina del Lavoro, Dipartimento di Sanità Pubblica e Medicina di
Comunità, Università di Verona
2

Introduzione. L’articolazione dei compiti del Medico
Competente nelle fasi di valutazione del rischio, sorveglianza sanitaria ed informazione richiede aggiornamento
e disponibilità di strumenti gestionali informatizzati. Per
identificare i bisogni informativi dei MC italiani, è stata
predisposta una indagine patrocinata dalla SIMLII in prosecuzione di quanto effettuato in precedenza (1).
Metodi. L’indagine è stata condotta attraverso la compilazione on line di un questionario anonimo disponibile
sul sito della Società. Nel questionario erano previste
quattro aree valutative che raggruppavano differenti items
con riferimento: i) alle caratteristiche formative e di inquadramento professionale, ii) alla caratterizzazione dell’attività, iii) alla gestione della sorveglianza sanitaria e iv)
al profilo di salute del M.C.
Risultati. Sono stati compilati in totale n. 814 questionari. Il 70% dei M.C. rispondenti risultano residenti in
Lombardia (23,1%), in Piemonte (11,6%), in Sicilia (9%),
in Veneto (8%), in Emilia Romagna (6,8%), Toscana (6%)
e Lazio (5%). Il 68% è di genere maschile con età media
di 53 anni. Il 62% ha iniziato l’attività di MC dopo l’emanazione del D.Lgs. 626/94 (62%). Il 79% è specialista in
Medicina del Lavoro, il 9% in Igiene, il 9% è autorizzato
ex art.5 D.Lgs. 277/91, il 4% in Medicina Legale. Il 30%
partecipa regolarmente alla valutazione dei rischi lavora-

C. Giorgianni1, G. Saffioti2, A. Cristaudo3
1

UOS Medico Competente - Policlinico Universitario Messina
RFI Spa Direzione Sanità
3 Sezione di Medicina Preventiva del Lavoro - Azienda Ospedaliera
Pisana - Pisa
2

Sempre più di frequente viene segnalata la sovrapposizione di giudizi di idoneità, spesso difformi, espressi da
una parte dal Medico del Lavoro competente e dall’altra
dalla Commissione Medica di verifica, riguardanti il medesimo lavoratore del comparto pubblico.
Come è noto infatti le Commissioni Mediche di verifica del Ministero della Economia e delle Finanze, ai sensi
dell’art 3, comma 3 del D.P.R. 461/2001 sono chiamate ad
esprimersi sul giudizio di idoneità ovvero di inidoneità al
servizio nella qualifica di appartenenza.
La formulazione di tale giudizio, quando esulante dalla
anzidetta definizione normativa e sconfinante nel riferimento a fattori di rischio, peraltro meramente presunti in
quanto non noti alla Commissione, non chiamata a partecipare alla relativa valutazione ne conoscendola, va inevitabilmente a sovrapporsi a quello espresso per lo stesso lavoratore dal Medico competente, inerente la idoneità o
meno alla mansione specifica, creando talora una situazione di confusione.
Le numerose richieste di chiarimenti non hanno apportato chiarezza alla questione.
Infatti una nota a chiarimento emessa dal Ministero
dell’Economia e delle Finanze per dirimere la questione
evidenzia che il comma 6 dell’art 41 del D.Lgs. 81/08 e
24

s.m.i. specifica che il Medico competente esprime le
varie tipologie di giudizio ……. pur sempre relative alla
mansione specifica, mentre il giudizio sull’idoneità o
meno al servizio è di competenza della Commissione
Medica di verifica.
Appare evidente come il problema resta a tutt’oggi non
pienamente risolto anche alla luce di questo approccio ad
una sua definizione.
Ciò in quanto non risulta intervenuto un chiaro pronunciamento giurisprudenziale sulla priorità di un giudizio sull’altro e quindi, nei sempre più numerosi casi di
difformità di giudizio, il datore di lavoro pubblico si trova
nella non facile situazione di gestire un lavoratore che può
risultare destinatario di due differenti giudizi di idoneità.
Appare dunque importante che sia avviato un percorso
legislativo che chiarisca i contorni della questione, individuando più compiutamente limiti e competenze
Nelle more dell’auspicato intervento legislativo, la
proposta di soluzione più coerente con l’attuale panorama
normativo appare in atto quella di individuare nella Commissione Medica di verifica la titolarità dell’effettuazione
di visite mediche per accertamenti di idoneità alla qualifica non connessa all’esposizione a rischi professionali,
rimanendo il Medico del Lavoro Competente il soggetto
responsabile delle visite mediche finalizzate all’accertamento dell’idoneità alla mansione specifica correlata ai rischi professionali, per i quali ricorra l’obbligo
di sorveglianza sanitaria, adempimento quest’ultimo rientrante nell’esclusiva attribuzione normativa di quest’ultima figura professionale.
Bibliografia
D.P.R. n. 461 del 29.10.2001 e decreto del Ministero dell’Economia e
delle Finanze del 12.02.2004 - legittimità dell’accertamento sanitario effettuato dal Collegio medico Asl - Ministero dell’Economia e
delle Finanze 24.06.2008.

MC 04

UNA PROPOSTA PER LA REVISIONE COMPLESSIVA
DEL D.LGS. 81/08
E. Ramistella, C. Romano
A distanza di oltre un lustro dall’introduzione di quello
che è stato impropriamente definito “Testo Unico” per la
Sicurezza e la tutela della Salute nei luoghi di lavoro (il
D.Lgs. 81/08, integrato e modificato dal successivo
D.Lgs. 106/09) emergono luci e ombre di un dettato legislativo complesso che negli ultimi anni è stato arricchito
da decreti applicativi, circolari, interpelli giurisprudenza,
anche se non sempre in maniera univoca. Nonostante le
migliori intenzioni, la normativa si è prestata a interpretazioni contraddittorie e, per alcuni versi, si è dimostrata
inadeguata. Nella quotidiana esperienza dei medici competenti risultano ancor oggi presenti difficoltà pratiche e
interpretazioni difformi, che complicano l’attività professionale e impongono l’assolvimento di incombenze buro-

G Ital Med Lav Erg 2013; 35:4, Suppl
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cratiche che poco o nulla hanno a che vedere con la Prevenzione nei luoghi di lavoro.
Per tale motivi, la Società Italiana di Medicina del Lavoro e Igiene Industriale, avvalendosi delle competenze
scientifiche a dell’esperienza professionale dei suoi soci,
ha inteso intraprendere un percorso tendente a una
profonda modifica del D.Lgs. 81/08, per giungere a una
proposta legislativa da porre all’attenzione delle forze politiche e sociali realmente interessate alla tutela della Sicurezza e della Salute dei lavoratori. Tali indicazioni intendono ripristinare le condizioni per una tutela della salute dei lavoratori basata sui principi della Medicina del
Lavoro, come formalmente riportato nelle Direttive europee e nello stesso Decreto Legislativo 81/08 e s.m.i.
Schematicamente, le principali richieste di modifica riguardano:
– il maggior peso da dare alle società scientifiche di Medicina del Lavoro e alle associazioni di medici competenti nella fase di produzione legislativa, di formulazione di linee-guida, di consulenza dei ministeri, delle
regioni e del parlamento;
– il riconoscimento del ruolo centrale svolto dal medico
competente nel sistema integrato della gestione della
sicurezza nei luoghi di lavoro, quale “consulente globale” dell’impresa, a partire dalla fondamentale fase di
valutazione del rischio;
– il ruolo pubblicistico del medico competente e il suo
inserimento nell’ambito di un rapporto più stretto con
il SSN;
– la difesa della dignità professionale della Disciplina e
del medico competente nei rapporti con il datore di lavoro e gli organi di vigilanza, grazie anche al contestuale ripensamento delle sanzioni.
La SIMLII auspica che questo processo di revisione legislativa possa divenire occasione per l’impegno di tutte le
figure del sistema della Prevenzione, con il preciso obiettivo di migliorare le condizioni di salute dei lavoratori e
assicurare l’incremento della “cultura della sicurezza” in
tutto il nostro paese.

MC 05

PROBLEMATICHE ATTUALI NELL’ATTIVITÀ
DEL MEDICO COMPETENTE
S. Simonini, C. Romano, C. Gili, G. Marano,
M. Di Giorgio
Il ruolo del medico competente nel corso degli ultimi
anni ha subito numerosi, a volte ingrati, mutamenti, in
particolare con l’entrata in vigore del D.Lgs. 81/08 e
s.m.i.. La normativa attuale infatti, se da una parte ha riconosciuto al medico competente un ruolo all’interno
del sistema di gestione della sicurezza aziendale, allo
stesso tempo ha notevolmente incrementato gli adempimenti formali sanzionabili provocando in molti casi uno
“svuotamento” dei contenuti della professione. Inoltre
G Ital Med Lav Erg 2013; 35:4, Suppl
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persistono nella normativa aree di incertezza e divergenze interpretative che rendono sempre più difficoltoso
lo svolgimento dell’attività di medico competente. Per
di più, con la sopraggiunta crisi economica e la messa in
atto di una politica di spending review da parte delle
aziende, in particolar modo pubbliche, abbiamo assistito
ad un incremento della pratica delle gare di appalto al
ribasso per la fornitura dei servizi resi dal medico competente e ad un pullulare di agenzie di servizi bravissime
nelle ottemperare gli obblighi formali sfruttando medici
sottopagati.
A fronte di queste criticità ed incertezze il Gruppo di
Lavoro dei Medici del Lavoro Competenti (GdL MeLC),
sorto all’interno della SIMLII nel 2006 con l’intenzione
di rappresentare le istanze dei medici competenti che
rappresentano la stragrande maggioranza degli iscritti
alla Società Scientifica, condurrà una sessione intitolata
“Problematiche attuali nell’attività del medico competente”. All’interno di tale sessione, per cercare di dare
voce ai medici del lavoro competenti, è stata organizzata
una tavola rotonda alla quale parteciperanno funzionari
ministeriali e regionali, docenti universitari e medici
competenti. Nel corso della tavola rotonda verranno
esposti i quesiti, i dubbi, le proposte e le sollecitazioni di
chi “lavora sul campo”, precedentemente raccolti via
mail nella casella di posta elettronica del GdL MeLC
(medicocompetente.simlii@gmail.com).

25

LAVORO A TURNI E NOTTURNO IN SANITÀ

LT 01

INQUADRAMENTO E GESTIONE DEL RISCHIO
DA LAVORO A TURNI E NOTTURNO
Giovanni Costa
Dipartimento di Scienze Cliniche e di Comunità, Università di Milano, e
Fondazione IRCCS “Ca’ Granda - Ospedale Maggiore Policlinico”,
Milano; giovanni.costa@unimi.it

Il lavoro a turni, in particolare quello comprendente il
turno notturno, causa una desincronizzazione dei ritmi
biologici e delle attività sociali con riflessi negativi su
performance lavorativa, condizioni di salute, relazioni familiari e sociali. Gli effetti sulla salute sono caratterizzati,
nel breve termine, da disturbi del sonno, sindrome del “jet
lag”, errori e infortuni; nel lungo termine, da aumentata incidenza e prevalenza di patologie digestive, neuropsichiche, cardiovascolari, della funzione riproduttiva femminile e, probabilmente, tumori.
L’entità di tali effetti dipende dalla contemporanea influenza di numerosi fattori concernenti sia la sfera individuale che il contesto lavorativo e sociale. È chiaro quindi
che nell’organizzazione degli orari di lavoro si devono tenere in considerazione non soltanto le necessità di servizio, ma anche i condizionamenti di carattere fisiologico,
psicologico e sociale degli operatori.
È pertanto doveroso, e possibile, predisporre schemi di
turno più rispettosi dell’integrità psico-fisica dei soggetti
interessati e del loro benessere sociale, cui conseguono
ovvii riflessi positivi, oltre che sulle condizioni di salute,
anche sulla prestazione lavorativa.
Una metodologia corretta, volta a introdurre o modificare uno schema di turnazione, oltre che basarsi sul rispetto delle norme legislative e contrattuali, e sul soddisfacimento delle esigenze produttive, deve tener conto
delle caratteristiche del gruppo di persone interessate (ad
es. età, genere, malattie), seguire dei consolidati criteri ergonomici orientati alla prevenzione e/o attenuazione del
rischio organizzativo, e prevedere idonee misure di compensazione. Tutto ciò richiede il concorso di tutte gli attori
sociali in gioco: legislatore, management, dirigenza, lavoratori, medico del lavoro/competente, servizio di prevenzione e protezione.
Si deve peraltro tenere in considerazione che non vi è
un sistema di turno “ottimale” in assoluto, ma ogni
schema di turnazione deve essere pianificato e adottato
tenendo conto delle specifiche condizioni di lavoro, delle
peculiari richieste del compito, così come delle particolari caratteristiche individuali e sociali dei lavoratori interessati.
La sorveglianza sanitaria deve quindi associarsi strettamente ad una precisa analisi delle condizioni di lavoro e
a una organizzazione dei turni secondo criteri ergonomici,
26

che consentono di attenuare significativamente il rischio e
i conseguenti effetti negativi sulla salute e il benessere
delle persone.
È inoltre necessario che il medico del lavoro/competente, oltre a dare utili consigli su come farvi fronte adeguatamente, tenga presente che alcune condizioni morbose possono costituire una controindicazione assoluta o
relativa al lavoro a turni e/o notturno.

LT 02

ELEMENTI DI RIFERIMENTO PER L’ORGANIZZAZIONE
DEI TURNI DI LAVORO
Vito Bongiovanni, Giovanna Ghirlanda
Il turno di lavoro in ospedale rappresenta lo strumento
mediante il quale si garantisce la presenza di personale in
modo quantitativamente e temporalmente adeguato a soddisfare i bisogni assistenziali dei pazienti. La turnistica,
che non è scindibile dalla organizzazione del lavoro in sanità, ha ripercussioni dirette sulla sicurezza e sulla salute
dei pazienti e del personale e si riflette nella vita privata,
in particolare nella conciliazione tra vita di relazione e lavoro. La ricerca di un nuovo equilibrio tra questi bisogni,
l’evoluzione delle aspettative del cittadino e le esigenze di
economicità e di ottimizzazione dell’organizzazione sanitaria, rappresentano una sfida per chi oggi si occupa di
management sanitario. Il recepimento da parte degli Stati
membri e l’effettiva applicazione della Direttiva europea
sull’orario di lavoro, varata nel 1993 e parzialmente riveduta nel 2003, hanno sofferto in molti casi di un eccesso
di variabilità, di scarsa trasparenza e di un monitoraggio
poco puntuale del rispetto delle norme, soprattutto dopo
l’introduzione della “clausola di deroga”. In Italia in risposta alla crisi economica e alle carenze organiche la Finanziaria del 2008, a proposito dei turni di lavoro in sanità, ha affermato (L. n. 244/07-art.3 c. 85) che le disposizioni di cui all’art. 7 non si applicano al personale del
ruolo sanitario del Servizio Sanitario Nazionale, per il
quale si fa riferimento alle vigenti disposizioni contrattuali
in materia di orario di lavoro. Al di là di tali incertezze regolamentari, il settore della sanità è chiamato a rispondere
a varie necessità: i cambiamenti dei setting assistenziali, le
nuove posizioni organizzative soprattutto nell’ambito
delle professioni sanitarie, l’esigenza di migliorare l’efficienza operativa anche per il contenimento della spesa sanitaria, il progressivo invecchiamento della “forza lavoro”. Ciò richiede a tutti gli attori coinvolti nei processi
di organizzazione del lavoro e della turnistica (management, personale, OOSS, medicina del lavoro, magistratura
del lavoro, ecc), di rifondarne profondamente l’approccio
sperimentando nuovi modelli di organizzazione del lavoro
che rendano compatibili e sostenibili economicamente i
maggiori livelli possibili di benessere lavorativo per il
“capitale umano” dell’azienda ospedale con le esigenze di
efficienza produttiva e qualità del servizio.

G Ital Med Lav Erg 2013; 35:4, Suppl
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LT 03

RISCHIO CARDIOVASCOLARE E LAVORO A TURNI
Antonio Pietroiusti, Anna Neri, Andrea Magrini
Università Tor Vergata di Roma, Dipartimento di Biomedicina e
Prevenzione, Cattedra Di Medicina del Lavoro

Malgrado la pubblicazione di numerosi articoli sull’argomento, non vi è a tutt’oggi alcuna certezza circa una
possibile correlazione tra lavoro a turni in Sanità e patologia cardiovascolare coronarica. Questa affermazione
non implica che la letteratura non riporti una correlazione,
ma piuttosto che l’entità della correlazione riportata (o la
mancata correlazione) potrebbe essere spiegata dal caso,
da bias, o da fattori confondenti.
Una corretta valutazione dei dati epidemiologici richiede in primo luogo la conoscenza delle potenziali vie
fisiopatologiche attraverso cui il lavoro a turni può indurre
la patologia cardiovascolare:
– Alterazioni di ritmi circadiani specifici (es. ritmo
sonno-veglia)
– Acquisizione di abitudini negative
– Alterazioni dei biomarcatori dell’aterosclerosi
1. Alterazioni di ritmi circadiani specifici. C’è un’ampia
evidenza che il lavoro a turni (specie quello notturno) sia associato con insufficiente quantità di
sonno e con episodi di sonnolenza incontrollata nelle
ore dedicate all’attività, fattori che inducono un’attivazione del sistema simpatico con gli eventi associati di ipertensione ed aumento della frequenza cardiaca. Altri studi hanno dimostrato una disinibizione
della fame.
2. Acquisizione di abitudini negative. Fumo, cibo, peso e
sedentarietà: relazione controversa. Si suppone che il
fumo sia un sistema per rimanere svegli durante la
notte da parte dei lavoratori a turno.
3. Alterazioni dei biomarcatori dell’aterosclerosi. a) Dislipidemia: relazione controversa. B) Markers di infiammazione sistemica. Pochi dati. Riportato un aumento dei leucociti rispetto ai non turnisti. C)Fattori
della coagulazione: è stato riportato un aumento della
omocisteinemia rispetto ai lavoratori diurni, ma non si
sono rilevate differenze significative nella prevalenza
di iper-omocisteinemia. Non differenze nei livelli di
fibrinogeno né in quelle di attivatore del plasminogeno e attivatore tissutale del plasminogeno, anche se
nei turnisti sembrano essere ridotte le fluttuazioni
quotidiane di tali fattori. Il significato di questo dato
rimane incerto.
Disautonomia cardiaca. La maggior parte degli studi
fin qui eseguiti indicano che esiste uno sbilanciamento
dell’attività simpatica e parasimpatica. E) Alterazioni
della ripolarizzazione. Isolato report di prolungamento
del tratto Q-T dell’elettrocardiogramma. F)Extrasistoli.
Aumento della frequenza di extrasistoli ventricolari in
uno studio longitudinale. G) Sviluppo della sindrome metabolica: associazione positiva in studi trasversali che
longitudinali.
G Ital Med Lav Erg 2013; 35:4, Suppl
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Conclusioni. Per nessuno dei fattori biologici e fisiologici, preso singolarmente, vi è forte evidenza di associazione con la patologia cardiovascolare nei turnisti, ma
l’associazione di vari fattori come la sindrome metabolica,
sembra rappresentare un rischio reale.

27

ALCOOL E LAVORO

AL 01

ALCOL E LAVORO: QUAL’È LA REALE INTERFERENZA?
Marco M. Ferrario1,2, Davide Parassoni2
1

Dipartimento di Scienze Cliniche e Sperimentali, Università degli
Studi dell’Insubria, Varese
2 Scuola di Specializzazione in Medicina del Lavoro, Università degli
Studi di Brescia-Insubria, Varese
Corrispondenza: Professor Marco M Ferrario, U.O. Medicina del Lavoro,
Preventiva e Tossicologia, A.O. Ospedale di Circolo e Fondazione Macchi,
Viale L. Borri n. 57 - 21100 Varese; marco.ferrario@uninsubria.it

Conseguenze lavorative dell’abuso alcolico possono essere ricondotte a: diminuita produttività, aumentato assenteismo per malattie, riduzione della performance, tendenza
alla fuga dal posto di lavoro, deterioramento nelle relazioni
interpersonali, sia con capi che colleghi di lavoro, aumento
degli infortuni lavorativi e degli errori che determinano incremento dei sistemi di vigilanza, aumento del turnover (1).
Benché la relazione tra l’abuso di sostanze psicotrope
e gli infortuni lavorativi sia sempre stata ritenuta ovvia, si
incontra spesso difficoltà nel tentativo di quantificare tale
associazione e nonostante quest’ultima sia poco chiara, la
riduzione degli infortuni è spesso una delle primarie giustificazioni per l’implementazione di programmi tesi alla
riduzione dell’abuso di sostanze nei luoghi di lavoro.
Una recente revisione della letteratura (2) ha comunque concluso per la presenza di un’associazione positiva tra uso di sostanze psicoattive, in particolare consumo
ed abuso di alcol, ed infortuni occupazionali, in lavoratori
dell’industria manifatturiera e delle costruzioni.
I costi per i datori di lavoro degli infortuni alcol-correlati dei dipendenti, sono stati stimati in 28,6 miliardi di
dollari/anno negli Stati Uniti.
Inoltre, recenti revisioni della letteratura (3, 4) tese a
valutare gli effetti di interventi preventivi sull’abuso alcolico nei luoghi di lavoro, hanno riportato insufficienti evidenze a favore dell’utilizzo dei test alcolimetrici come soluzione unica, efficace ed a lungo termine per la prevenzione degli infortuni nel settore dei trasporti. È emersa
inoltre l’efficacia di interventi brevi di feedback su problematiche comportamentali effettuate su lavoratori a rischio individuati tramite questionari standardizzati che indagavano aspetti sanitari e degli stili di vita. Tra gli approcci psicosociali, apparentemente la notifica ed il supporto da parte di colleghi risultano efficaci nella riduzione
di problematiche lavorative alcol-correlate.
Sono state individuate inoltre alcune condizioni lavorative che possono contribuire a problemi alcol-correlati:
disponibilità di alcol in ambiente di lavoro e abitudini dei
colleghi, problemi della vita familiare, aggravati da frequenti/prolungate trasferte per lavoro, assenza di supervisori, condizioni di stress lavorativo, impiego precario, la-
28

voro a turni e notturno, frequenti cambi nei compagni di
lavoro o nei supervisori (1).
L’abuso di bevande alcoliche, può, inoltre, interferire
con l’esposizione professionale a sostanze chimiche, aumentandone le proprietà tossiche. In letteratura sono riportate numerose interazione e sinergie tra consumo di
alcol e nocività di solventi e metalli, con note interferenze
sia a livello tossicocinetico (tra tutte ricordiamo gli effetti
dell’induzione enzimatica) che tossicodinamico (ad
esempio azione sinergica di alcol e solventi nella inibizione del sistema nervoso centrale).
Bibliografia
1) ILO. Management of alcohol- and drug-related issues in the workplace. An ILO code of practice. Geneva: International Labour Office,
1996.
2) Ramchand R, Pomeroy A, Arkes J: The Effects of Substance Use on
Workplace Injuries. Santa Monica, CA: RAND Corporation, 2009.
3) Cashman CM, Ruotsalainen JH, Greiner AB, et al. Alcohol and drug
screening of occupational drivers for preventing injury. Cochrane
Database of Systematic Reviews 2009, Issue 2.
4) Webb G, Shakeshaft A, Sanson-Fisher R, Havard A. A systematic review of work-place interventions for alcohol-related problems. Addiction 2009; 104: 365-377.

AL 02

IL CONSUMO DI ALCOL E LO STATO DI SALUTE
IN UN CAMPIONE DI EDILI E DI AUTISTI

G Ital Med Lav Erg 2013; 35:4, Suppl
http://gimle.fsm.it

Alcol e lavoro nei trasporti. Negli anni dal 2008-11
sono stati sottoposti a visita ed accertamenti 490 autisti.
Il 54.3% ha dichiarato di non assumere alcolici, il 43,9%
un consumo abituale entro le 2 UA/die o un consumo
occasionale, l’1,8% di consumare 3 o più UA/die. Il
12.1% presenta valori delle g-GT superiori ai limiti di
riferimento, 22.2% tra i forti bevitori, 14.9% tra i bevitori moderati o occasionali, 9.4% tra coloro che si dichiarano astemi. Nel 59% si osserva concomitante incremento di una o entrambe le transaminasi epatiche, in
nessuno macrocitosi.
Discussione. I risultati mettono in evidenza importanti
differenze tra i lavoratori edili e gli autisti, all’origine delle
quali è possibile identificare una significativa influenza
anche da parte dell’ambiente di lavoro. Le indagini condotte dimostrano come il problema relativo all’assunzione
di alcolici, nonostante i divieti imposti dalla normativa, rimanga un problema irrisolto in edilizia. Ciò potrebbe essere in parte attribuibile ad una carente informazione in
merito ai divieti ed ai rischi per salute e sicurezza, oltre
alla mancanza di una azione di controllo, contrariamente a
quanto accade per i trasporti. Le determinazioni con etilometro effettuata in edilizia dimostrano i limiti della raccolta anamnestica, anche supportata da accertamenti di laboratorio, nell’individuare i soggetti con comportamenti a
rischio. Ciò pone il problema di rivalutare gli screening
sulla base di una stima del rapporto costi/benefici e della
reale efficacia.
Bibliografia

M.M. Riva, M. Santini, G. Mosconi
Unità Operativa Ospedaliera Medicina del Lavoro - Azienda
Ospedaliera Papa Giovanni XXIII

Introduzione. L’abuso di alcol può essere causa di un
aumento di infortuni. Il rischio è maggiore dove vi sono
pericoli per la sicurezza propria o di terzi. Non in tutti i
settori con elevato rischio infortunistico il problema presenta tuttavia analoga rilevanza. Scopo del lavoro è riassumere le esperienze di ricerca sul tema in edilizia e nei
trasporti in provincia di Bergamo, condotte dalla USC di
Medicina del Lavoro.
Alcol e lavoro in edilizia. Sono state condotte indagini sul consumo di alcolici in una popolazione edile,
anche attraverso misure alcolimetriche su aria espirata
durante l’orario di lavoro. Negli anni 2011-12 è stata sottoposta a visita ed accertamenti una popolazione di 512
edili. Il 37,9% ha dichiarato di non assumere alcolici, il
46,1% un consumo abituale entro le 2 UA/die, il 7,6% di
consumare 3 o più UA/die, l’8,4% un consumo solo occasionale. Il 10% presenta valori di g-GT superiori ai limiti di riferimento, 33.3% tra i forti bevitori, 5.7% tra coloro che si dichiarano astemi. Nel 62% si osserva concomitante incremento di una o entrambe le transaminasi
epatiche, nel 38% macrocitosi.
A 209 lavoratori è stato proposto in cantiere il test con
etilometro, 10 (4,8%) non hanno prestato il loro consenso. In
nessuno dei 34 soggetti indagati la mattina è stato riscontrato
alcol nell’espirato; il pomeriggio sono risultati positivi al test
39 lavoratori su 165 (23,6%) (range 0,02-0,85 mg/L).

1) Mosconi G., Riva M.M., Lorenzi S, Silva G., Bartolozzi F., Pavesi
G. Bancone C., Bettineschi O., Magno D. Alcol e Lavoro in edilizia.
Med Lav 2007; 98; 6: 493-500.
2) Noventa A. Il rapporto tra l’alcol e il lavoro nella prospettiva alcologica.
Atti del Convegno Nazionale «Alcol e Lavoro: aspetti legislativi, strategie di prevenzione e modelli di intervento», Maranello 12 marzo 2004;
www.medicocompetente.it/documenti/ cat/23/Corsi-e-congressi.htm
3) Riva MM, Bellagente L, Forghieri S, Mosconi G. L’espressione dell’idoneità lavorativa e la diagnosi di patologie lavoro-correlate in autisti di mezzi pesanti. G Ital Med Lav Erg 2012; 34:3, Suppl, 357-360.
4) Santini M, Bancone C, Bresciani M, Bigoni F, Silva G, Riva MM,
Lorenzi S, Persechino B, Mosconi G. Indagine conoscitiva su alcool
e lavoro in edilizia. G Ital Med Lav Erg 2012; 34:3, Suppl, 521-525.

AL 03

ALCOL E LAVORO: PROCEDURE OPERATIVE
ED ESPERIENZE APPLICATIVE IN UNA AZIENDA
DEL SETTORE AUTOMOBILISTICO
M. Coggiola
SCDU di Medicina del Lavoro AO Città della Salute e della Scienza di
Torino - Consulente EHS EMEA Region Vehicle Manufacturing FGA

Una azienda di grandi dimensioni ha la necessità di definire modelli di politica aziendale per la salute e la sicurezza atti a garantire il rispetto di quanto richiesto dall’articolo 6 del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231. A tal
fine il sistema EHS di Fiat Group Automobile (FGA) ha
predisposto procedure operative (PO) per l’area Health.
G Ital Med Lav Erg 2013; 35:4, Suppl
http://gimle.fsm.it

Sul tema alcool le regioni hanno prodotto diverse linee di
indirizzo. In tale contesto si è inserito il recente documento della Regione Piemonte. In merito agli accertamenti inerenti il divieto di assunzione esso afferma che il
controllo deve essere condotto su tutta la popolazione a rischio e che in caso di positività al controllo con etilometro
è necessario procedere alla determinazione dell’alcolemia.
Appare poco chiaro il ruolo da attribuire all’alcolemia
e le condizioni in cui opera il MC non sempre permettono
di eseguire in sicurezza il prelievo.
Per l’accertamento delle condizioni di alcol dipendenza le linee di indirizzo identificano un pannello di
esami di screening comprendente il dosaggio della CDT.
In relazione alla bassa sensibilità del test si ritiene tale
scelta non appropriata.
Per tali motivi l’aggiornamento della PO di FGA sull’alcol ha accolto solo in parte le indicazioni delle linee di
indirizzo della Regione Piemonte.
Sono stati analizzati i risultati della sorveglianza sanitaria condotta nel periodo 2010-2012 per la verifica
delle condizioni di alcol dipendenza in 5 diverse UP distribuite sul territorio nazionale. Sono state eseguite
5823 visite periodiche integrate dagli accertamenti previsti dalla PO e in nessun caso si è verificata una condizione di alcol dipendenza.
Tale dato porta a due considerazioni:
– l’assenza di casi di alcol dipendenza è verosimilmente
frutto dell’effetto lavoratore sano secondario alle valutazioni già condotte dai MC in corso di sorveglianza
sanitaria mirata ad altri rischi
– può essere non necessario procedere ad accertamenti
mirati lasciando ai medici competenti la valutazione
sulla loro opportunità
Sia la parte relativa al divieto di assunzione che quella
propria dell’alcol dipendenza riguardano l’elenco di attività previsto dall’all. 1 del documento di Intesa Stato-Regioni del 16 marzo 2006.
Il medico competente è chiamato a gestire casi di ebbrezza/intossicazione alcolica acuta in soggetti operanti in
attività non previste dall’ allegato ma contenenti elementi
di rischio infortunistico. Le possibilità di azione del medico competente sono praticamente nulle e gli interventi
adottati potrebbero essere considerati contrari alla norma.
Sarebbe pertanto opportuno allargare la possibilità del
controllo della non assunzione di sostanze alcoliche anche
a quelle attività che, pur non rientranti nell’all. 1, presentano condizioni di rischio infortunistico.
Bibliografia
Legge 30 marzo 2001, N. 125 “Legge quadro in materia di alcol e problemi alcolcorrelati”. G.U. n. 90 del 18-04-2001.
Conferenza permanente per i rapporti tra lo stato le regioni e le province
autonome di Trento e Bolzano. “Intesa in materia di individuazione
delle attività lavorative che comportano un elevato rischio di infortuni sul lavoro ovvero per la sicurezza, l’incolumità o la salute dei
terzi ai fini del divieto di assunzione e di somministrazione di bevande alcoliche e superalcoliche ai sensi dell’art. 15 della legge 30
marzo 2001, n. 125” G.U. 75 del 30.3.2006
Decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81 “Attuazione dell’articolo 1 della
legge 3 agosto 2007, n. 123, in materia di tutela della salute e della
sicurezza nei luoghi di lavoro” G.U. n. 101 del 30 aprile 2008 - Supplemento Ordinario n. 108

29

Deliberazione della Giunta Regionale 22 ottobre 2012, n. 21-4814 “Atto
di indirizzo per la verifica del divieto di assunzione e di somministrazione di bevandealcoliche e superalc. e per la verifica di assenza
di condizioni di alcol dip. nelle attività lavorative che comportano un
elevato rischio di infortuni sul lavoro ovvero per la sicurezza,l’incolumità o la salute dei terzi, ai sensi Allegato 1 Intesa Stato-Regioni
2006 e art. 41 c. 4-bis D.Lgs. 81/08 e smi.” REGIONE PIEMONTE
BU46 15/11/2012.

AL 04

LA RETE DI RELAZIONI REALIZZATA IN PROVINCIA
DI BERGAMO PER CONTRASTARE IL CONSUMO
DI ALCOL NEI LUOGHI DI LAVORO
G. Luzzana1, A. Mangili1, G. Zottola1, F. Cheli2,
A. Noventa2, L. Olivari1, L. Manzoni1, G. Cucchi1,
M.R. Bertoli1
1 Dipartimento di Prevenzione Medica - Servizio Prevenzione e Sicurezza
negli Ambienti di Lavoro
2 Dipartimento delle Dipendenze - Area Prevenzione SERT

Corrispondenza: dott.ssa Giuseppina Zottola, ASL di Bergamo, Servizio
di Prevenzione e Sicurezza negli Ambienti di Lavoro- Ufficio di
Direzione , Via B.go Palazzo, 130, tel. 035.22.70.525 segreteria tel.
035.2270.598, fax. 035.22.70.507; gzottola@asl.bergamo.it
Parole chiave: alcol e lavoro, problemi alcol-correlati, integrazioni
territoriali

L’analisi della situazione di contesto, attuata valutando
indicatori quali il consumo di alcolici in Provincia di Bergamo, l’incidentalità stradale e i dati relativi alle revisioni
patenti per guida in stato di ebbrezza effettuate dalla Commissione Medica legale dell’ASL, infortuni in itinere e
stradali, ha motivato un progetto di prevenzione che ha
preso avvio già dal dicembre 2007, con la costituzione di
un Gruppo di Lavoro Provinciale sul tema “alcol e lavoro” promosso dal Dipartimento di Prevenzione Medico
e dal Dipartimento delle Dipendenze della ASL, con la
partecipazione di Associazioni datoriali, Rappresentanze
delle forze sociali, Enti e Istituzioni locali (Prefettura,
Questura, INAIL, Carabinieri).
Nel quadriennio 2008-2011 tale gruppo ha elaborato e
realizzato un progetto di ricerca volto a: inquadrare il fenomeno dei “problemi alcol-correlati” nelle realtà lavorative provinciali; sensibilizzare e informare la popolazione
lavorativa sulla rilevanza delle problematiche alcol-correlate e in particolare rispetto ai rischi legati all’uso di alcol
e sostanze sul luogo di lavoro e agli effetti sulla salute del
lavoratore; raccogliere le esperienze e le azioni preventive
già intraprese dalle aziende; realizzare un modello d’intervento preventivo specifico che consentisse di stabilire con
Aziende, Medici Competenti, Associazioni di categoria,
Organismi Paritetici, Enti formatori, Istituzioni a vario titolo coinvolte nella prevenzione negli ambienti di lavoro
della provincia di Bergamo, l’applicazione condivisa di
procedure da applicare nelle attività lavorative individuate
nel Provvedimento del 16 marzo 2006, comportanti un
elevato rischio d’infortuni sul lavoro ovvero per la sicu-
30

rezza, l’incolumità o la salute dei terzi. Il modello di intervento preventivo condiviso a livello provinciale prevede: la chiara definizione delle azioni da attuare per la
valutazione e la gestione del rischio Alcol in ambiente di
lavoro e le responsabilità di ciascuna delle parti coinvolte
nel «sistema di promozione della salute e sicurezza»;
l’effettuazione di interventi preventivi (di natura organizzativa, procedurale) con azioni informative e formative
mirate a coinvolgere, informare ed educare alla salute i lavoratori affinché adottino in modo consapevole scelte “sicure”, che precedano qualsiasi intervento accertativo di
tipo sanitario in tema di alcol.

G Ital Med Lav Erg 2013; 35:4, Suppl
http://gimle.fsm.it

dal comma 5 dell’art. 39 del D.Lgs. 81/08 con oneri a carico del datore di lavoro, ed è finalizzata alla valutazione
diagnostica rispetto alla dipendenza e all’ eventuale proposta di immediata presa in carico del lavoratore, qualora
ritenuto necessario. Stante l’oggettiva complessità della
tematica oggetto delle Linee di indirizzo è stata prevista
una fase di osservazione, monitoraggio e valutazione della
durata di 12 mesi, a seguito della quale potrebbero essere
necessarie ulteriori modifiche/integrazioni, anche in relazione ad eventuali sviluppi della normativa nazionale e regionale di riferimento.
Bibliografia

AL 05

LE LINEE DI INDIRIZZO DELLA REGIONE PIEMONTE
PER LA VERIFICA DEL DIVIETO DI ASSUNZIONE
E DI SOMMINISTRAZIONE DI BEVANDE ALCOLICHE
E SUPERALCOLICHE E PER LA VERIFICA DI ASSENZA
DI CONDIZIONI DI ALCOL DIPENDENZA NELLE
ATTIVITÀ LAVORATIVE A RISCHIO
Roberto Zanelli
Direttore SPreSAL ASL AT, Gruppo regionale Alcol lavoro

La Regione Piemonte con la D.G.R. 22 ottobre 2012,
n. 21-4814, pubblicata sul BU n. 46 del 15/11/2012, ha definito le modalità operative per accertare l’assenza di assunzione di bevande alcoliche e superalcoliche e la verifica da parte del medico competente dell’assenza di condizioni di alcol dipendenza nei lavoratori che svolgono
mansioni a rischio. Uno dei punti più controversi trattato
dalla D.G.R. è stato quello del raccordo normativo tra le
disposizioni previste dalla Legge 125/01 ed il D.Lgs.
81/08, affermando che per effetto delle disposizioni di
legge sopra citate, nelle attività lavorative individuate nell’allegato 1 dell’Intesa Stato-Regioni del 16 marzo 2006,,
la sorveglianza sanitaria è obbligatoriamente prevista ad
opera del medico competente sia per l’effettuazione di
controlli alcolimetrici, sia al fine di avviare l’accertamento
di un’eventuale alcoldipendenza. In definitiva, nelle attività lavorative a rischio è necessario attivare la sorveglianza sanitaria, nominando un medico competente,
anche nel caso non vi siano altri rischi lavorativi che comportino tale obbligo. È stata inoltre definita una modalità
per effettuare il controllo alcolimetrico previsto dall’ Intesa del 16 marzo 2006, privilegiando, “metodi non invasivi”; in particolare in fase di screening il tasso alcolimetrico dovrà essere determinato nell’aria espirata tramite
“etilometri”, confermando, in caso di riscontro di positività (tasso alcolimetrico superiore a zero), la misurazione
con la determinazione diretta dell’alcolemia. Le Linee di
indirizzo regolano anche l’invio del lavoratore al Servizio
alcologico dei Dipartimenti di patologia delle dipendenze,
che potrà essere quello del territorio aziendale o quello di
residenza del lavoratore. La consulenza specialistica richiesta dal medico competente rientra tra quelle previste

1) AA.VV. Manuale di prevenzione dei problemi alcol-correlati negli
ambienti di lavoro. Milano: Franco Angeli Ed., 2006.
2) Patussi V, Muran A, Ticali S, et al. Proposta di un protocollo di
comportamento per gli interventi preventivi in tema di alcol e lavoro. Il ruolo del MC e delle Strutture delle Aziende Sanitarie territoriali. Alcologia 2009; 4: 60-73.
3) Webb G, Shakeshaft A, Sanson-Fisher R, Havard A. A systematic
review of work-place interventions for alcohol-related problems.
Addiction 2009; 104: 365-377.

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11 il contributo della medicina del lavoro alla valutazione rischi

  • 1. G Ital Med Lav Erg 2013; 35:4, Suppl, 13-192 http://gimle.fsm.it - ISSN 1592-7830 © PI-ME, Pavia 2013 ATTI 76° CONGRESSO NAZIONALE SIMLII 76° Congresso Nazionale SIMLII Società Italiana di Medicina del Lavoro ed Igiene Industriale Tutela e promozione della salute: il contributo metodologico della Medicina del Lavoro alla valutazione e gestione dei rischi nell’ambiente di vita e di lavoro Messina, Giardini Naxos 9-11 ottobre 2013 Editors: Pietro Apostoli, Mario Barbaro, Giovanna Spatari ABSTRACT SESSIONI PREORDINATE, COMUNICAZIONI, POSTER
  • 2.
  • 3. G Ital Med Lav Erg 2013; 35:4, Suppl, 15-30 http://gimle.fsm.it - ISSN 1592-7830 © PI-ME, Pavia 2013 ATTI 76° CONGRESSO NAZIONALE SIMLII SESSIONI PREORDINATE
  • 4.
  • 5. G Ital Med Lav Erg 2013; 35:4, Suppl http://gimle.fsm.it RIABILITAZIONE E INSERIMENTO AL LAVORO RL 01 IL REINSERIMENTO AL LAVORO Roberta Bonfiglioli Ricercatore di Medicina del lavoro - Università di Bologna, Dipartimento di Scienze Mediche e Chirurgiche Il tema del mantenimento della capacità lavorativa fino all’età più avanzata, senza aumento del rischio di infortuni o malattie da lavoro, è una priorità riconosciuta a livello internazionale. Le trasformazioni indotte dalla globalizzazione nell’organizzazione del lavoro e le nuove norme sull’età pensionabile, conseguenti all’aumento della speranza di vita, richiedono ai lavoratori una maggiore efficienza lavorativa, mantenuta per un periodo di vita più lungo. Con il termine “work ability” si intende definire una situazione nella quale si raggiunge un equilibrio tra richieste del compito e capacità del lavoratore di svolgerlo. Infortuni, malattie professionali o, più in generale, condizioni legate all’invecchiamento o all’insorgenza di malattie sono in grado di modificare le capacità psicofisiche di un individuo, limitandone così le performance anche se non necessariamente a questo consegue una modificazione della work ability (1). Le capacità psicofisiche dell’essere umano raggiungono il massimo potenziale all’inizio dell’età adulta. La capacità lavorativa “fisica” tende gradualmente a ridursi con gli anni: è stato riportato un declino medio del 20-25% tra i 30 e i 60 anni, dovuto alla riduzione della capacità aerobica e muscolo scheletrica (2). Esistono inoltre differenze di genere: il declino della capacità “fisica” tende ad essere minore nelle donne, questo probabilmente è imputabile a una diversa capacità massima iniziale (le donne hanno una forza media pari ai due terzi rispetto a quella dei maschi). Dal punto di vista mentale le dinamiche sembrano essere diverse, infatti le performance mentali globali sembrano rimanere intatte o addirittura migliorare nel tempo. La tradizionale risposta alla comparsa di problemi di salute o di “capacità lavorativa”, collegati o meno all’invecchiamento, è di solito il trasferimento del lavoratore verso postazioni di lavoro con requisiti inferiori o una riduzione “ad personam” dei requisiti stessi: tale approccio sarà difficilmente sostenibile nel futuro, in vista dell’inevitabile invecchiamento della popolazione lavorativa. È opportuno identificare strategie alternative che consentano, nel rispetto delle esigenze della produttività del lavoro e della salute dei lavoratori, il mantenimento della work-ability per il più lungo periodo possibile. Appare fondamentale in questo contesto definire un modello strettamente integrato di valutazione di dati forniti da sistemi per la descrizione qualitativa e quantitativa dei requisiti fisici e cognitivi dei compiti e da sistemi per la descrizione 17 qualitativa e quantitativa delle capacità psicofisiche di un individuo. Il “Work Ability Index (WAI)” ad esempio è un semplice strumento, largamente utilizzato a livello internazionale, in grado di misurare la capacità lavorativa presente e di offrire stime per il futuro (3, 4). Bibliografia 1) Ilmarinen JE. Aging workers.. Occup Environ Med. 2001; 58: 546552. 2) Kenny GP, Yardley JE, Martineau L, Jay O. Physical work capacity in older adults: implications for the aging worker. Am J Ind Med 2008; 51(8): 610-25. 3) Tuomi K, Ilmarinen J, Jahkola A, et al. Work ability index. 2nd revised edn. Helsinki: Finnish Institute of Occupational Health, 1998. 4) van den Berg TI, Elders LA, de Zwart BC, Burdorf A. The effects of work-related and individual factors on the Work Ability Index: a systematic review. Occup Environ Med 2009; 66(4): 211-20. RL 02 LA RIABILITAZIONE CARDIOLOGICA IN PAZIENTI IN ETÀ LAVORATIVA Pantaleo Giannuzzi Divisione di Cardiologia Riabilitativa - Istituto Scientifico di Veruno Fondazione Salvatore Maugeri I.R.C.C.S. Introduzione. Il paziente cardiopatico complesso dopo un evento cardiovascolare acuto è un paziente ad alto rischio cardiovascolare e di disabilità per la presenza di complicazioni dell’evento indice, disfunzione ventricolare e scompenso, elevata comorbidità e contemporanea compromissione dell’autonomia funzionale, particolarmente evidenti in pazienti anziani (1 e 2). Metodi. È stata effettuata un’analisi sui risultati di un programma di riabilitazione cardiologica degenziale in pazienti cardiopatici, ricoverati presso il nostro Istituto, dopo un evento cardiovascolare negli anni 2011-2012. Risultati e Discussione. Si conferma la stretta relazione tra età, polipatologia/comorbidità e disabilità. La complessità clinico-funzionale intesa come condizione di elevata comorbidità e significativa disabilità è presente in circa il 17% dei pazienti cardiopatici in età lavorativa fino a 65 anni, e aumenta significativamente in età più avanzata (25% nei pazienti di età >75 anni). Il programma di riabilitazione cardiologica intensivo orientato alla stabilizzazione clinica, al controllo delle comorbidità ed al recupero funzionale, ha corretto la disabilità residua in tutte le fasce di età. Il guadagno di autonomia funzionale dopo riabilitazione cresce progressivamente con l’età ed è inversamente proporzionale al grado di disabilità/comorbidità iniziale. Anche pazienti più complessi (con gradi estremi di disabilità/comorbidità) possono raggiungere adeguati livelli di autonomia funzionale e di capacità relazionali dopo riabilitazione (3 e 4). Bibliografia 1) Agenzia per i Servizi Sanitari Regionali. Linee guida nazionali su cardiologia riabilitativa e prevenzione secondaria delle malattie car-
  • 6. 18 diovascolari. Monaldi Arch Ches Dis 2006; 81-116; www.gicr.it; www.pngl.it; www.assr.it 2) Commissione ANMCO/IACPR-GICR Associazione Nazionale Medici Cardiologi Ospedalieri/Italian Association for Cardiovascular Prevention, Rehabilitation and Epidemiology-Gruppo Italiano di Cardiologia Riabiltativa - Greco C, Cacciatore G, Gulizia M, Martinelli L, et al: Criteri per la selezione dei pazienti da inviare ai centri di cardiologia riabilitativa. G Ital Cardiol 2011; 12(3): 219-229. 3) Giannuzzi P, Saner H, Björnstad H, et al. Secondary prevention through cardiac rehabilitation: position paper of the working group on cardiac rehabilitation and exercise physiology of the European society of Cardiology. Eur Heart j 2003; 24: 1273-1278. 4) Piepoli MF, Corrà U, Adamopoulos S, Benzer W, et al. Secondary prevention in the clinical management of patients with cardiovascular diseases. Core components, standards and outcome measures for referral and delivery. European J Prev Cardiol. 2012; Print-Electronic, ISSN 2047-4881. RL 03 LA RIABILITAZIONE RESPIRATORIA IN PAZIENTI IN ETÀ LAVORATIVA Antonio Spanevello Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale Malattie dell’Apparato Respiratorio - Università degli Studi dell’Insubria - Dipartimento di Pneumologia Riabilitativa - Fondazione Salvatore Maugeri, IRCCS Negli ultimi anni è aumentato in maniera drastica il supporto evidence based a favore della riabilitazione nel trattamento dei pazienti affetti da patologie respiratorie croniche. La riabilitazione respiratoria è diventata una pratica consolidata nel trattamento dei pazienti affetti da patologie respiratorie croniche, soprattutto BPCO ma non solo. Le principali società scientifiche in ambito pneumologico, l’American Thoracic Society (ATS), l’European Respiratory Society (ERS), l’American College of Chest Physicians (ACCP), e l’American Association of Cardiovascular and Pulmonary Rehabilitation (AACVPR) hanno pubblicato gli aggiornamenti delle linee guida della riabilitazione respiratoria, che pertanto può essere definita come un intervento multidisciplinare, individualizzato e basato sull’evidenza, per pazienti con patologie respiratorie croniche, finalizzato a ridurre i sintomi, ottimizzare lo stato funzionale e migliorare la qualità di vita. È ormai dimostrato che tale tipo di intervento è in grado di ridurre la dispnea, aumentare la performance e migliorare la qualità di vita (HRQL). Si sta inoltre sviluppando letteratura a supporto dell’efficacia nel ridurre i costi sanitari. L’evidenziazione degli effetti favorevoli presuppone la messa in atto di trials clinici ben impostati che utilizzano misure di outcome valide, riproducibili ed interpretabili. Pur essendo rappresentata dai pazienti con BPCO la più vasta popolazione di pazienti respiratori avviato a trattamento riabilitativo, sembra ormai chiaro che, indipendentemente dal tipo di patologia respiratoria cronica, la morbilità può essere determinata anche da un coinvolgimento secondario della muscolatura periferica, della funzione cardiaca, dello stato nutrizionale, da disfunzioni psicosociali e dalla messa in atto di strategie di self-management non ottimali. G Ital Med Lav Erg 2013; 35:4, Suppl http://gimle.fsm.it SONNO E LAVORO SL 01 ASPETTI DI FISIOPATOLOGIA DEL SONNO RILEVANTI PER IL MEDICO DEL LAVORO Maria Cristina Spaggiari Vengono distinti due tipi di sonno: (1) sonno non-REM, costituito da 4 stadi di diversa profondità; (2) sonno REM, caratterizzato da un tracciato EEG desincronizzato e dalla presenza di atonia muscolare, di movimenti oculari rapidi e di una certa anarchia delle funzioni vegetative, cardiovascolari e respiratorie. In condizioni fisiologiche, l’adulto sano si addormenta sempre in sonno non-REM, che si approfondisce via via in stadi di sempre maggiore sincronizzazione e che viene interrotto ogni 90 minuti circa da un episodio di sonno REM, delineando così l’organizzazione macrostrutturale in cicli. Il sonno presenta inoltre un’organizzazione anche di tipo microstrutturale: esistono periodi di sonno caratterizzati da fluttuazioni cicliche del livello di vigilanza, denominate Cyclic Alternating Pattern (CAP), identificate da modificazioni EEG e dei parametri vegetativi, e che si alternano a periodi di sonno più stabile (nonCAP) (2). La percentuale di CAP rispetto alla durata del sonno (CAP rate) ne indica la stabilità e quindi l’efficienza: più il valore del CAP rate aumenta rispetto ai valori fisiologici peggiore è la qualità del sonno e più facilmente il soggetto presenterà astenia o sonnolenza diurne. Il sonno segue un ritmo circadiano endogeno, che viene regolato dal nucleo soprachiasmatico dell’ipotalamo. Esistono poi fattori esogeni che influenzano il ritmo sonno-veglia e contribuiscono a mantenerne la circadianità, primo fra tutti l’alternanza luce-buio. Ne risulta la tendenza comune a dormire nelle ore notturne e a restare svegli e attivi lungo la giornata. La comparsa del sonno è influenzata, oltre che dagli aspetti circadiani, anche da meccanismi di regolazione omeostatica per cui maggiore è la durata della veglia precedente più importante sarà la propensione al sonno. Un sonno di durata ottimale e di buona qualità è essenziale per porre le basi di un buon livello di veglia e di performance cognitive, ma l’attenzione dedicata attualmente al riposo è molto scarsa a qualunque età. Assai diffusa quindi è la condizione di cronica deprivazione di sonno, che spesso conduce ad una serie di alterazioni biologiche a carico soprattutto degli equilibri endocrino-metabolici (3), ma anche ad una riduzione delle performance cognitive. Tali conseguenze possono avere ricadute di estremo rilievo a livello di salute pubblica, di sicurezza stradale e di salute nel mondo del lavoro. Bibliografia 1) Rechtschaffen A., Kales A. A manual of standardized terminology, techniques and scoring system for sleep stages of human subjects. Los Angeles: BIS/BRI, UCLA, 1968.
  • 7. G Ital Med Lav Erg 2013; 35:4, Suppl http://gimle.fsm.it 2) Terzano MG, Parrino L, Spaggiari MC. The cyclic alternating pattern sequences in the dynamic organization of sleep. Electroencephalogr Clin Neurophysiol. 1988; 69: 437-447. (3) Van Cauter E. Sleep and the epidemic of obesity in children and adults. Eur J Endocrinol. 2008; 159 suppl 1: S59-66. SL 02 DISTURBI RESPIRATORI NEL SONNO E ATTIVITÀ LAVORATIVA Maria Patrizia Accattoli Diagnosi e Cura dei Disturbi Respiratori nel Sonno - Riabilitazione Respiratoria e Prevenzione Tisiopneumologica - Azienda USL1 di Perugia Con il termine Disturbi Respiratori nel Sonno (DRS) si indica una varietà di quadri patologici caratterizzati dalla presenza di alterazioni della ventilazione durante il sonno. La Sindrome delle Apnee Ostruttive nel Sonno (OSAS) è il DRS più noto e più comune, raggiungendo una prevalenza del 2-5% nelle donne e del 3-7% degli uomini in età adulta (2). I soggetti con questa sindrome presentano durante il sonno episodi ricorrenti di collabimento parziale (ipopnea) o completo (apnea) delle alte vie aeree, con conseguenti desaturazioni ossiemoglobiniche, incremento degli sforzi respiratori, microrisvegli e frammentazione del sonno. I sintomi tipici sono il russamento, le apnee obiettivate dal partner e l’ipersonnolenza diurna. L’OSAS è considerata un fattore di rischio indipendente per complicanze cardiovascolari (ipertensione arteriosa sistemica, cardiopatia ischemica, scompenso cardiaco, aritmie), cerebrovascolari (ictus, TIA), e metaboliche (diabete mellito, dislipidemia, obesità, sindrome metabolica). Inoltre, determina compromissione della qualità della vita ed effetti negativi sulle funzioni neurocognitive, in particolare su quelle mnesiche ed attentive e sulle capacità esecutive e cognitive globali, con conseguente riduzione delle abilità lavorative, difficoltà nei rapporti interpersonali e sonnolenza al lavoro, assenteismo, ridotta produttività o presenteismo, inabilità permanente e pensionamento precoce (1, 3), nonché aumento del rischio di incidenti stradali (4) e di infortuni lavorativi (1). Il Medico del Lavoro Competente sottopone a controllo periodico lavoratori nella fascia di età in cui la prevalenza dell’OSAS è più elevata (anche coloro che ritengono di non aver motivi per recarsi dal medico di medicina generale) e quindi può rivestire un ruolo strategico nella individuazione precoce della malattia, ma anche nel monitorare l’aderenza al trattamento del lavoratore affetto da OSAS e nello svolgimento di appositi programmi di formazione e informazione sia sui singoli che su gruppi di lavoratori. Nel formulare il giudizio di idoneità al lavoro il Medico Competente dovrà tenere presente innanzitutto i riflessi negativi della malattia sulle funzioni neurocognitive e valutare con estrema attenzione la rilevanza e l’influenza delle patologie cardiovascolari e metaboliche eventualmente presenti. 19 Bibliografia 1) Accattoli MP, Muzi G, dell’Omo M et al. Occupational accidents, work performance and obstructive sleep apnea syndrome. G Ital Med Lav Ergon 2008; 30(3): 297-303. 2) Punjabi NM. The epidemiology of adult obstructive sleep apnea. Proc Am Thorac Soc 2008; 5(2): 136-143. 3) Swanson LM, Arnedt JT, Rosekind MR et al. Sleep disorders and work performance: findings from the 2008 National Sleep Foundation Sleep in America poll. J Sleep Res 2011; 20: 487-494. 4) Tregear S, Reston J, Schoelles K, and Phillips B. Obstructive Sleep Apnea and Risk of Motor Vehicle Crash: Systematic Review and Meta-analysis J Clin Sleep Med 2009; 5(6): 573-581. SL 03 ORARI DI LAVORO E DISTURBI DEL SONNO Giovanni Costa Dipartimento di Scienze Cliniche e di Comunità, Università di Milano, e Fondazione IRCCS “Ca’ Granda - Ospedale Maggiore Policlinico”, Milano; giovanni.costa@unimi.it Orari irregolari e/o prolungati di lavoro, in particolare il lavoro a turni e notturno, possono causare del gravi interferenze sulla durata e qualità del sonno, sia nel breve che nel medio-lungo termine, con conseguenti ripercussioni negative sulla performance, sulla salute e sulla sicurezza dei lavoratori. Chi lavora a turni lamenta una riduzione del tempo di sonno e della sua qualità (fase 2 e REM in particolare) sia nel turno del mattino che in quello di notte con conseguente accentuata sonnolenza nei periodi di attività, sia diurna che notturna, e maggiori difficoltà a dormire ad orari sfasati rispetto al normale ciclo sonno/veglia. L’International Classification of Sleep Disorders include anche il Disturbo del Ritmo Circadiano del Sonno da Lavoro a Turni (Circadian Rhythm Sleep Disorder Shift Work Type) e ne definisce i criteri diagnostici in termini di gravità e durata. La persistenza di disturbi del sonno favorisce il manifestarsi di sindromi neuro-psichiche (fatica cronica, atteggiamenti comportamentali negativi, ansia e depressione cronica), che spesso richiedono la somministrazione di farmaci ipnoinducenti e/o psicotropi. Le alterazioni del sonno possono altresì costituire un ulteriore fattore di rischio per altri disturbi o malattie psicosomatiche, in particolare gastrointestinali, cardiovascolari e, probabilmente, anche tumori (ad es. mammella). In termini infortunistici, diversi studi hanno rilevato un aumento del rischio del 18% nel turno di pomeriggio e del 30% nel turno di notte rispetto al turno del mattino; inoltre il rischio aumenta del 6%, 17% e 36% nella II, III e IV notte consecutiva di lavoro, mentre il corrispondente andamento per i turni del mattino è del 2%, 7% e 17%. Sono da segnalare anche gli incidenti “in itinere”, soprattutto nel viaggio di ritorno alla fine del turno di notte, che possono riguardare fino al 20% dei lavoratori in turni ruotanti. In riferimento al turno del mattino, viene segnalata una maggiore frequenza di incidenti in relazione ad orari troppo anticipati di inizio del lavoro. Numerosi studi se-
  • 8. 20 gnalano anche un aumento significativo del rischio infortunistico dopo la 8°-9° ora di lavoro. È necessario quindi porre attenzione a tali disturbi nel corso della sorveglianza sanitaria dei lavoratori che hanno orari di lavoro irregolari, in particolare i turnisti con lavoro notturno (anche in riferimento al D.Lgs. 66/2003) e i conducenti di mezzi di trasporto (anche in riferimento al D.M. 88/1999). Lo strumento essenziale di prevenzione si basa sull’organizzazione degli orari di lavoro secondo criteri ergonomici, che riguardi in particolare la durata dei periodi di lavoro, gli orari di inizio e fine degli stessi, adeguati periodi di riposo tra un turno e l’altro, e l’inserimento di pause appropriate nel corso del turno. SL 04 SONNOLENZA E SICUREZZA NEI PAZIENTI OSAS: IL TAVOLO TECNICO INTERDISCIPLINARE (TTI) Sergio Garbarino1,2,3 1 Servizio Sanitario Polizia di Stato, Ministero dell’Interno Dipartimento di Medicina Legale e del Lavoro, Università degli Studi di Genova 3 Dipartimento di Neuroscienze, Riabilitazione, Oftalmologia, Genetica e Scienze Materno-Infantili Università degli Studi di Genova 2 Corrispondenza: Dr. Sergio Garbarino, Dipartimento di Medicina Legale e del Lavoro - Sezione di Medicina del Lavoro, Università degli Studi di Genova, Ospedale San Martino, Largo R. Benzi 10, 16132 Genova Italy, tel: +390103537465; garbarino.sergio@gmail.com Parole chiave: eccessiva sonnolenza diurna, sicurezza, OSAS, disturbi del sonno La sindrome dell’apnea ostruttiva nel sonno (Obstructive Sleep Apnoea Syndrome OSAS), caratterizzata da russamento abituale e persistente, pause respiratorie ed eccessiva sonnolenza diurna (ESD), riconosce l’obesità quale maggiore fattore di rischio con una prevalenza tra i 30 e 60 anni del 9% nelle femmine e del 24% nei maschi (1). È la più frequente causa medica di ESD e con questa è responsabile del 21.9% degli incidenti stradali (2). I soggetti OSAS hanno un rischio per incidente stradale da 2 a 7 volte superiore a quello osservato nei soggetti sani (3) (doppio rispetto all’abuso di alcol e/o al consumo di ansiolitici o cannabis) e un significativo incremento del rischio di infortuni con elevati costi socio-sanitari (euro 838.014.400 e 101.083.761 per anno rispettivamente per incidenti stradali e lavorativi. Fonte ISS). Il loro trattamento con applicazione di una pressione positiva continua (CPAP) nelle vie aeree abbatte il numero di incidenti stradali e sul lavoro ai valori osservati nella popolazione generale con riduzione dei costi sanitari diretti ed indiretti (4). La Comunità Europea ha recentemente avviato le procedure per l’inserimento della OSAS nell’allegato III (requisiti fisici e psichici per il conseguimento della patente di guida) della Direttiva 91/439/CE. In ambito comunitario l’Italia è rappresentata dalla Direzione Medica di G Ital Med Lav Erg 2013; 35:4, Suppl http://gimle.fsm.it Rete Ferroviaria Italiana (RFI) su delega del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti. Tuttavia l’alta prevalenza della patologia e la crescente attenzione verso questo tipo di disturbo comportano un ritardo diagnostico e terapeutico, in particolare quello domiciliare con CPAP, di molti mesi. Nel 2012, consapevoli di tali problematiche, Associazione Interdisciplinare Medicina Apparato Respiratorio AIMAR, Associazione Italiana Medicina del Sonno AIMS, Coordinamento Medici Legali Aziende Sanitarie COMLAS, Società Italiana di Medicina Generale - SIMG, Società Italiana di Medicina del Lavoro e Igiene Industriale - SIMLII, Società Italiana Medicina del Sonno Odontoiatrica - SIMSO, Società Italiana di Neurologia - SIN, Società Italiana di Otorinolaringoiatria - SIO e Direzione Medica di RFI, hanno costituito il “Tavolo Tecnico Interdisciplinare (TTI) Sonnolenza e Sicurezza nei pazienti OSAS” individuando obiettivi comuni da perseguire: 1) armonizzazione dei linguaggi e delle modalità operative delle diverse figure mediche deputate alla diagnosi e cura della OSAS quando finalizzate al giudizio di idoneità psico-fisica alla guida o lavorativa; 2) percorsi clinico-assistenziali finalizzati all’idoneità psico-fisica alla guida o lavorativa facilmente e rapidamente fruibili per il cittadino e sostenibili per il sistema sanitario; 3) proposte normative da offrire al legislatore italiano ed in sede comunitaria. Il TTI è il primo esempio a livello nazionale e internazionale di integrazione paritetica fra professionisti e rappresentanti delle Istituzioni deputate alla produzione di norme in materia di idoneità psico-fisica. Bibliografia 1) Young T, Peppard PE, Gottiieb DJ. Epidemiology of obstructive sleep apnea. Am J Respir Crit Care Med. 2002; 165: 1217-1239. 2) Garbarino S, Nobili L, De Carli F, Ferrillo F. The contributing role of sleepiness in highway vehicle accidents. Sleep, 2001; 24 (2): 203-206. 3) Truls Vaa: Report n. 690/2003 del progetto Impaired Motorists Methods of Roadside Testing and Assessment for Licensing (IMMORTAL). Institute of Transport Economics of Norway, PO Box 6110 Etterstad, N-0602 Oslo, Norway. 4) Komada Y, Nishida Y, Namba K, Abe T, Tsuiki S, Inoue Y. Elevated risk of motor vehicle accident for male drivers with obstructive sleep apnea syndrome in the Tokyo metropolitan area. Tohoku J Exp Med. 2009; 219 (1): 11-6. SL 05 LA GESTIONE DEL RISCHIO DEI DISTURBI DEL SONNO MEDIANTE IL METODO A.S.I.A. Nicola Magnavita Dipartimento di Salute Pubblica, Università Cattolica del Sacro Cuore, Largo Gemelli 8, 00168 Roma, tel. 3473300367; nicolamagnavita@gmail.com Introduzione. I disturbi del sonno, e la sonnolenza che ne consegue, sono all’origine di una rilevante quota degli infortuni lavorativi, di una minore capacità produttiva e di un aumento degli errori, dell’aumentata frequenza di ma-
  • 9. G Ital Med Lav Erg 2013; 35:4, Suppl http://gimle.fsm.it lattie dell’apparato digerente, metaboliche, psichiche e neoplastiche. Metodi. La gestione del rischio connesso con i disturbi del sonno si basa sul metodo A.S.I.A. (1-2), una coordinata sequenza di azioni elementari: valutazione del rischio e adozione di misure preventive (Assessment); reporting e sorveglianza (Surveillance); informazione e formazione di lavoratori, dirigenti e preposti (Information); verifica dei punti critici (Audit). Risultati. Il Sistema di gestione dei problemi del sonno (SGPS) in ambito lavorativo, diretto a gestire i rischi associati con la sonnolenza eccessiva, è analogo (o è una parte di) un Sistema di Gestione dei Rischi per la salute e sicurezza lavorativa (SGSL). Esso è un sistema proattivo, non reattivo, basato sull’evidenza; è controllato dai dati raccolti ed è soggetto ad un continuo miglioramento. È condiviso e partecipativo, e la responsabilità della sua applicazione poggia in egual misura sul management e sui lavoratori. Discussione. Il SGPS prevede una serie di misure tendenti a contrastare i disturbi del sonno, ed altre miranti a migliorare lo stato di allerta sul lavoro. Tra le prime sono comprese: una corretta gestione del personale e dei turni di lavoro; un approfondito e continuo processo di educazione dei lavoratori, dirigenti e preposti; la messa in atto di un sistema di reporting. Il Sistema dovrà prevedere le misure ambientali che possono ridurre il rischio che la sonnolenza si trasformi in un danno. Il SGPS deve inoltre potenziare le difese individuali. I lavoratori, i loro colleghi e supervisori devono fare attenzione ai segni prodromici di eccessiva sonnolenza e adottare tempestive contromisure. Il sistema, infine, deve essere costantemente monitorato e periodicamente rivisto. Lo screening dei disturbi del sonno può essere utilmente inserito nelle attività del medico competente, senza un significativo impegno di tempo e con soddisfazione dei lavoratori. Il medico competente deve indirizzare il lavoratore allo specialista per il trattamento e seguire nel tempo l’adesione al programma terapeutico e l’evoluzione della patologia. Nella formulazione del giudizio di idoneità il medico competente è chiamato ad affrontare un conflitto etico, nel difficile bilanciamento tra il diritto alla salute (preminente) ed il diritto al lavoro (fondamentale). In accordo con quanto stabilito nei Documenti di Consenso del gruppo La.R.A. (3, 4), la soluzione non è nell’allontanamento del lavoratore, ma nel miglioramento del lavoro. Bibliografia 1) Magnavita N. Il Modello A.S.I.A. per la gestione del rischio. G Ital Med Lav Erg 2003; 25: 3 Suppl: 344. 2) Magnavita N. Applicazione di modelli organizzativi originali per la prevenzione del rischio chimico in aziende di diverse dimensioni. Metodo A.S.I.A. IIMS Istituto Italiano di Medicina Sociale, Roma 2004. 3) Magnavita N. Tutela del lavoratore rischioso per gli altri. ISU UCSC, Roma 2004. ISBN 88-8311-280-6. 4) Magnavita N, Bevilacqua L, and the La.R.A. study group. Ethical issues in hazardous workers. Paper presented at the ICOH Conference “Toward a multidimensional approach in occupational health service. Scientific evidence, social consensus, human values”. Modena 13-16 Oct 2004). 21 SL 06 LA SORVEGLIANZA SANITARIA NEL LAVORO A TURNI E NOTTURNO F. Roscelli Azienda USL di Parma, SPSAL Distretto Valli Taro e Ceno, Via Benefattori 12, 43043 Borgo Val di Taro (PR); froscelli@ausl.pr.it Introduzione. Il lavoro a turni e quello notturno sono fattori di rischio noti per la salute e la sicurezza, correlati a un’ampia serie di problemi di salute dei lavoratori. La normativa non prevede esplicitamente la sorveglianza sanitaria per i turnisti né per chi lavora in orari non convenzionali, se gli orari non si estendono per almeno tre ore all’interno del periodo notturno. Ma l’art. 28, comma 1, del D.Lgs. 81/2008 prevede la «valutazione globale e documentata di tutti i rischi per la salute e sicurezza dei lavoratori». Ne consegue l’obbligo della sorveglianza sanitaria anche per il lavoro a turni o in orari atipici, purché tali rischi siano inseriti nel documento di valutazione dei rischi. Risultati e Discussione. Le alterazioni dello stato di salute che la sorveglianza sanitaria deve ricercare (possibilmente in fase precoce) appartengono a tre categorie generali. 1. Danni per la salute causati dal lavoro: la sindrome del turnista è una delle patologie codificate nella International Classification of Sleep Disorders (1). Il lavoro a turni e notturno è associato, inoltre, con un aumentato rischio di accidenti ischemici cardiaci e cerebrali, ipertensione arteriosa, sindrome metabolica, dislipidemia e diabete mellito; i rischi relativi sono modesti, ma i rischi attribuibili di popolazione sono elevati. Nel 2007, inoltre, la IARC ha concluso che il lavoro su turni che alterano il sistema circadiano è probabilmente cancerogeno per la mammella (gruppo 2A) (2). 2. Malattie di origine extraprofessionale che possono essere aggravate dal lavoro a turni e notturno (3). Molte patologie possono estrinsecarsi in forma lieve e tale da non compromettere significativamente le capacità psico-fisiche dei lavoratori e le attuali terapie permettono eliminare o limitare le conseguenze. 3. Patologie o altre condizioni individuali che possono causare problemi di sicurezza al lavoratore o a terzi. L’eccessiva sonnolenza diurna si può riscontrare in associazione a vari stati patologici che disturbano in termini quantitativi – e soprattutto qualitativi – il sonno notturno, rendendo insufficienti le sue capacità ristorative. Frequente anche la sindrome da sonno insufficiente autoindotta. Un utile e semplice strumento per evidenziare disturbi del sonno nel corso della sorveglianza sanitaria è rappresentato dal questionario predisposto di concerto con l’Associazione Italiana di Medicina del Sonno, specificamente destinato al medico competente (4). Associando semplici misure biometriche (indice di massa corporea, circonferenza del collo, indice di Mallampati) e altri accertamenti clinico-anamnestici del caso,
  • 10. 22 il medico competente può acquisire utili elementi per discriminare i lavoratori che non presentano disturbi della vigilanza da quelli che necessitano di un controllo periodico più ravvicinato e/o di un approfondimento specialistico presso i Centri di Medicina del Sonno. Nei casi di disturbi del sonno, come in altre delicate condizioni che coinvolgono la sicurezza di terzi, oltre alla salute del singolo, il medico competente è chiamato ad affrontare un conflitto etico, nel difficile bilanciamento tra il diritto alla salute (preminente) ed il diritto al lavoro (fondamentale). Nel giudizio di idoneità il medico competente non deve eccedere nel porre limitazioni, che di frequente rappresentano una forma di “medicina del lavoro difensiva”, volta a tutelare più il medico che il lavoratore. Di fondamentale importanza è discriminare tra alterazioni “tollerabili” (ossia compatibili con una modesta e transitoria perturbazione del sonno) e situazioni realmente rischiose o dannose (3). Bibliografia 1) American Academy of Sleep Medicine. International classification of sleep disorders, 2nd ed: Diagnostic and coding manual. Westchester, IL 2005. 2) Bonde JP, Hansen J, Kolstad HA et al. Work at night and breast cancer - report on evidence-based options for preventive actions. Scand J Work Environ Health 2012; 38: 380-390. 3) Costa G, Biggi N, Capanni C et al. Lavoro a turni e notturno. In: Messineo A, Iacovone T (eds). Linee guida per la sorveglianza sanitaria degli addetti a lavori atipici e a lavori a turni. Pavia: Tipografia Pime Editrice S.r.l. 2004; 243-360. 4) Roscelli F, Spaggiari MC, Accattoli MP. Sonno e lavoro. Azienda USL di Viterbo 2012. http://www.asl.vt.it/Cittadino/SPISLL/pdf/Libro-SONNO_Ver_15.pdf (accesso 31.5.2013). G Ital Med Lav Erg 2013; 35:4, Suppl http://gimle.fsm.it IL MEDICO COMPETENTE: NORMATIVA, RUOLO, PROSPETTIVE MC 01 IL MEDICO COMPETENTE IN EUROPA A. Serra1, M. Bottazzi2, C. Mirisola3, G. Pagliaro4 1 Università di Sassari Patronato INCA - Roma 3 Medico Competente libero professionista 4 S.S. Medicina Preventiva e del Lavoro, A.O. Ordine Mauriziano di Torino 2 La seconda direttiva quadro in materia di sicurezza sul lavoro (89/391) delinea in misura essenziale l’ambito della sorveglianza sanitaria (art. 14) rimandando alle legislazioni nazionali una definizione più completa. L’organizzazione della sicurezza sul lavoro nei vari Stati riflette le peculiarità economiche, legislative e dei rapporti delle parti sociali; il recepimento delle direttive comunitarie appare pertanto molto diversificato. Alcuni Stati hanno elaborato un corpus legislativo molto dettagliato, talvolta (come in Italia e in Francia) pervasivo anche nei dettagli della attività degli soggetti operanti. In altri casi sono delineati obbiettivi da raggiungere e diritti da tutelare lasciando ai soggetti responsabili la scelta delle opzioni operative (Regno Unito). La figura del medico competente (occupational physician) non è vincolata dalla normativa comunitaria alla specializzazione in medicina del lavoro (anche se consigliata in diversi pronunciamenti come il 66/464/CEE) pur precisando che la sorveglianza sanitaria debba essere vincolata ai principi della medicina del lavoro (90/394/CEE). In alcuni Stati il medico competente è abilitato anche da altre specializzazioni (Inghilterra, Svezia e nella stessa Italia). La formazione specialistica in medicina del lavoro può essere erogata in ambito universitario (Italia, Francia, Spagna), da strutture pubbliche riconosciute (Germania, Svezia) ovvero da strutture pubbliche e private soggette a controllo pubblico (Regno Unito). In tutti gli Stati europei i medici competenti operano come dipendenti della aziende (in genere con un consistente numero di lavoratori) o come liberi professionisti. Gli oneri del servizio sono a carico del Datore di Lavoro. In alcuni Stati il medico competente interviene anche nel controllo delle assenze per malattia (Regno Unito). Il fondamentale dualismo tra ruolo di pubblico interesse del medico competente e dipendenza economica di una parte è diffusamente considerato un punto critico. Alcuni Stati hanno affrontato il problema in termini normativi: in Francia i medici competenti possono essere assunti o rimossi dal loro incarico solo con il parere vincolante di organismi in cui sono rappresentate le parti sociali e con la ratifica di un ente pubblico di controllo. In altri Stati una maggiore tutela della indipendenza è affidata al contesto organizzativo: in Germania la logica di
  • 11. G Ital Med Lav Erg 2013; 35:4, Suppl http://gimle.fsm.it cogestione (Mitbestimmung) attenua il vincolo diretto tra medico e datore di lavoro. Un’altra criticità viene individuata nella eccessiva polarizzazione della attività del medico sul controllo sanitario dei lavoratori rispetto ad un maggiore impegno nella prevenzione tecnica e organizzativa. Alcuni Stati (come la Francia) hanno posto un vincolo normativo a questo equilibrio (tiers-temps) con esiti che non vengono ritenuti risolutivi. Bibliografia 1) Cashman C, Slovak A: The Occupational Medicine agenda: routes and standards specialization in Occupational Medicine in Europe. Occup Med (Lond) 2005 55: 312-318. 2) Tozzi GA, Taddeo D: Il ruolo del medico del lavoro pubblico in Europa e la sua attività interdisciplinare. Atti convegno “Prospettive per la tutela della salute dei lavoratori”. Pisa, maggio 2009. 3) WHO: Country profile of occupational health system in Germany; 2012. 23 tivi, il 24% alla gestione di salute e sicurezza aziendali, l’11% a programmi di promozione della salute, il 7% ha un contatto regolare con i medici di base e il 6% aderisce a progetti di ricerca. Il 51% utilizza una cartella sanitaria informatizzata, l’83% ritiene un aggravio la gestione della cartella clinica imposta dalla normativa. La maggioranza valuta soddisfacenti le iniziative della SIMLII per i bisogni formativi. Il 92% indica il tema dei protocolli sanitari come prioritario nei programmi di aggiornamento. Discussione. L’iniziativa ha visto la partecipazione di un numero elevato di M.C., maggiore di quanto registrato in occasione delle precedenti indagini conoscitive. Risulta come sia ancora poco frequente il coinvolgimento del M.C. nelle aziende come “consulente globale”. È ancora limitato il numero dei M.C. che utilizza modelli informatizzati a causa, soprattutto, di una scarsa disponibilità di programmi di gestione soddisfacenti. Bibliografia MC 02 QUESTIONARIO SUL MEDICO COMPETENTE: RISULTATI E INDICAZIONI PER UNA COMPETENZA PARTECIPATA Serenella Fucksia1, Roberto Lucchini2, Gianluigi Lazzarini3, Francesca Benedetti3, Ernesto Ramistella1, Luciano Romeo3 1) Iavicoli S, Persechino B, Chianese C, Marinaccio A, Rondinone B, Abbritti G, Apostoli P, Soleo L, Ambrosi L. Indagine conoscitiva sul fabbisogno formativo in medicina del lavoro in Italia. G Ital Med Lav Erg 2004; 26: 1, 12-18. MC 03 MEDICO COMPETENTE E COMMISSIONE DI VERIFICA: UN PROBLEMA IRRISOLTO 1 Medico del Lavoro Competente Medicina del Lavoro, Università di Brescia e Mount Sinai School of Medicine, New York 3 Medicina del Lavoro, Dipartimento di Sanità Pubblica e Medicina di Comunità, Università di Verona 2 Introduzione. L’articolazione dei compiti del Medico Competente nelle fasi di valutazione del rischio, sorveglianza sanitaria ed informazione richiede aggiornamento e disponibilità di strumenti gestionali informatizzati. Per identificare i bisogni informativi dei MC italiani, è stata predisposta una indagine patrocinata dalla SIMLII in prosecuzione di quanto effettuato in precedenza (1). Metodi. L’indagine è stata condotta attraverso la compilazione on line di un questionario anonimo disponibile sul sito della Società. Nel questionario erano previste quattro aree valutative che raggruppavano differenti items con riferimento: i) alle caratteristiche formative e di inquadramento professionale, ii) alla caratterizzazione dell’attività, iii) alla gestione della sorveglianza sanitaria e iv) al profilo di salute del M.C. Risultati. Sono stati compilati in totale n. 814 questionari. Il 70% dei M.C. rispondenti risultano residenti in Lombardia (23,1%), in Piemonte (11,6%), in Sicilia (9%), in Veneto (8%), in Emilia Romagna (6,8%), Toscana (6%) e Lazio (5%). Il 68% è di genere maschile con età media di 53 anni. Il 62% ha iniziato l’attività di MC dopo l’emanazione del D.Lgs. 626/94 (62%). Il 79% è specialista in Medicina del Lavoro, il 9% in Igiene, il 9% è autorizzato ex art.5 D.Lgs. 277/91, il 4% in Medicina Legale. Il 30% partecipa regolarmente alla valutazione dei rischi lavora- C. Giorgianni1, G. Saffioti2, A. Cristaudo3 1 UOS Medico Competente - Policlinico Universitario Messina RFI Spa Direzione Sanità 3 Sezione di Medicina Preventiva del Lavoro - Azienda Ospedaliera Pisana - Pisa 2 Sempre più di frequente viene segnalata la sovrapposizione di giudizi di idoneità, spesso difformi, espressi da una parte dal Medico del Lavoro competente e dall’altra dalla Commissione Medica di verifica, riguardanti il medesimo lavoratore del comparto pubblico. Come è noto infatti le Commissioni Mediche di verifica del Ministero della Economia e delle Finanze, ai sensi dell’art 3, comma 3 del D.P.R. 461/2001 sono chiamate ad esprimersi sul giudizio di idoneità ovvero di inidoneità al servizio nella qualifica di appartenenza. La formulazione di tale giudizio, quando esulante dalla anzidetta definizione normativa e sconfinante nel riferimento a fattori di rischio, peraltro meramente presunti in quanto non noti alla Commissione, non chiamata a partecipare alla relativa valutazione ne conoscendola, va inevitabilmente a sovrapporsi a quello espresso per lo stesso lavoratore dal Medico competente, inerente la idoneità o meno alla mansione specifica, creando talora una situazione di confusione. Le numerose richieste di chiarimenti non hanno apportato chiarezza alla questione. Infatti una nota a chiarimento emessa dal Ministero dell’Economia e delle Finanze per dirimere la questione evidenzia che il comma 6 dell’art 41 del D.Lgs. 81/08 e
  • 12. 24 s.m.i. specifica che il Medico competente esprime le varie tipologie di giudizio ……. pur sempre relative alla mansione specifica, mentre il giudizio sull’idoneità o meno al servizio è di competenza della Commissione Medica di verifica. Appare evidente come il problema resta a tutt’oggi non pienamente risolto anche alla luce di questo approccio ad una sua definizione. Ciò in quanto non risulta intervenuto un chiaro pronunciamento giurisprudenziale sulla priorità di un giudizio sull’altro e quindi, nei sempre più numerosi casi di difformità di giudizio, il datore di lavoro pubblico si trova nella non facile situazione di gestire un lavoratore che può risultare destinatario di due differenti giudizi di idoneità. Appare dunque importante che sia avviato un percorso legislativo che chiarisca i contorni della questione, individuando più compiutamente limiti e competenze Nelle more dell’auspicato intervento legislativo, la proposta di soluzione più coerente con l’attuale panorama normativo appare in atto quella di individuare nella Commissione Medica di verifica la titolarità dell’effettuazione di visite mediche per accertamenti di idoneità alla qualifica non connessa all’esposizione a rischi professionali, rimanendo il Medico del Lavoro Competente il soggetto responsabile delle visite mediche finalizzate all’accertamento dell’idoneità alla mansione specifica correlata ai rischi professionali, per i quali ricorra l’obbligo di sorveglianza sanitaria, adempimento quest’ultimo rientrante nell’esclusiva attribuzione normativa di quest’ultima figura professionale. Bibliografia D.P.R. n. 461 del 29.10.2001 e decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze del 12.02.2004 - legittimità dell’accertamento sanitario effettuato dal Collegio medico Asl - Ministero dell’Economia e delle Finanze 24.06.2008. MC 04 UNA PROPOSTA PER LA REVISIONE COMPLESSIVA DEL D.LGS. 81/08 E. Ramistella, C. Romano A distanza di oltre un lustro dall’introduzione di quello che è stato impropriamente definito “Testo Unico” per la Sicurezza e la tutela della Salute nei luoghi di lavoro (il D.Lgs. 81/08, integrato e modificato dal successivo D.Lgs. 106/09) emergono luci e ombre di un dettato legislativo complesso che negli ultimi anni è stato arricchito da decreti applicativi, circolari, interpelli giurisprudenza, anche se non sempre in maniera univoca. Nonostante le migliori intenzioni, la normativa si è prestata a interpretazioni contraddittorie e, per alcuni versi, si è dimostrata inadeguata. Nella quotidiana esperienza dei medici competenti risultano ancor oggi presenti difficoltà pratiche e interpretazioni difformi, che complicano l’attività professionale e impongono l’assolvimento di incombenze buro- G Ital Med Lav Erg 2013; 35:4, Suppl http://gimle.fsm.it cratiche che poco o nulla hanno a che vedere con la Prevenzione nei luoghi di lavoro. Per tale motivi, la Società Italiana di Medicina del Lavoro e Igiene Industriale, avvalendosi delle competenze scientifiche a dell’esperienza professionale dei suoi soci, ha inteso intraprendere un percorso tendente a una profonda modifica del D.Lgs. 81/08, per giungere a una proposta legislativa da porre all’attenzione delle forze politiche e sociali realmente interessate alla tutela della Sicurezza e della Salute dei lavoratori. Tali indicazioni intendono ripristinare le condizioni per una tutela della salute dei lavoratori basata sui principi della Medicina del Lavoro, come formalmente riportato nelle Direttive europee e nello stesso Decreto Legislativo 81/08 e s.m.i. Schematicamente, le principali richieste di modifica riguardano: – il maggior peso da dare alle società scientifiche di Medicina del Lavoro e alle associazioni di medici competenti nella fase di produzione legislativa, di formulazione di linee-guida, di consulenza dei ministeri, delle regioni e del parlamento; – il riconoscimento del ruolo centrale svolto dal medico competente nel sistema integrato della gestione della sicurezza nei luoghi di lavoro, quale “consulente globale” dell’impresa, a partire dalla fondamentale fase di valutazione del rischio; – il ruolo pubblicistico del medico competente e il suo inserimento nell’ambito di un rapporto più stretto con il SSN; – la difesa della dignità professionale della Disciplina e del medico competente nei rapporti con il datore di lavoro e gli organi di vigilanza, grazie anche al contestuale ripensamento delle sanzioni. La SIMLII auspica che questo processo di revisione legislativa possa divenire occasione per l’impegno di tutte le figure del sistema della Prevenzione, con il preciso obiettivo di migliorare le condizioni di salute dei lavoratori e assicurare l’incremento della “cultura della sicurezza” in tutto il nostro paese. MC 05 PROBLEMATICHE ATTUALI NELL’ATTIVITÀ DEL MEDICO COMPETENTE S. Simonini, C. Romano, C. Gili, G. Marano, M. Di Giorgio Il ruolo del medico competente nel corso degli ultimi anni ha subito numerosi, a volte ingrati, mutamenti, in particolare con l’entrata in vigore del D.Lgs. 81/08 e s.m.i.. La normativa attuale infatti, se da una parte ha riconosciuto al medico competente un ruolo all’interno del sistema di gestione della sicurezza aziendale, allo stesso tempo ha notevolmente incrementato gli adempimenti formali sanzionabili provocando in molti casi uno “svuotamento” dei contenuti della professione. Inoltre
  • 13. G Ital Med Lav Erg 2013; 35:4, Suppl http://gimle.fsm.it persistono nella normativa aree di incertezza e divergenze interpretative che rendono sempre più difficoltoso lo svolgimento dell’attività di medico competente. Per di più, con la sopraggiunta crisi economica e la messa in atto di una politica di spending review da parte delle aziende, in particolar modo pubbliche, abbiamo assistito ad un incremento della pratica delle gare di appalto al ribasso per la fornitura dei servizi resi dal medico competente e ad un pullulare di agenzie di servizi bravissime nelle ottemperare gli obblighi formali sfruttando medici sottopagati. A fronte di queste criticità ed incertezze il Gruppo di Lavoro dei Medici del Lavoro Competenti (GdL MeLC), sorto all’interno della SIMLII nel 2006 con l’intenzione di rappresentare le istanze dei medici competenti che rappresentano la stragrande maggioranza degli iscritti alla Società Scientifica, condurrà una sessione intitolata “Problematiche attuali nell’attività del medico competente”. All’interno di tale sessione, per cercare di dare voce ai medici del lavoro competenti, è stata organizzata una tavola rotonda alla quale parteciperanno funzionari ministeriali e regionali, docenti universitari e medici competenti. Nel corso della tavola rotonda verranno esposti i quesiti, i dubbi, le proposte e le sollecitazioni di chi “lavora sul campo”, precedentemente raccolti via mail nella casella di posta elettronica del GdL MeLC (medicocompetente.simlii@gmail.com). 25 LAVORO A TURNI E NOTTURNO IN SANITÀ LT 01 INQUADRAMENTO E GESTIONE DEL RISCHIO DA LAVORO A TURNI E NOTTURNO Giovanni Costa Dipartimento di Scienze Cliniche e di Comunità, Università di Milano, e Fondazione IRCCS “Ca’ Granda - Ospedale Maggiore Policlinico”, Milano; giovanni.costa@unimi.it Il lavoro a turni, in particolare quello comprendente il turno notturno, causa una desincronizzazione dei ritmi biologici e delle attività sociali con riflessi negativi su performance lavorativa, condizioni di salute, relazioni familiari e sociali. Gli effetti sulla salute sono caratterizzati, nel breve termine, da disturbi del sonno, sindrome del “jet lag”, errori e infortuni; nel lungo termine, da aumentata incidenza e prevalenza di patologie digestive, neuropsichiche, cardiovascolari, della funzione riproduttiva femminile e, probabilmente, tumori. L’entità di tali effetti dipende dalla contemporanea influenza di numerosi fattori concernenti sia la sfera individuale che il contesto lavorativo e sociale. È chiaro quindi che nell’organizzazione degli orari di lavoro si devono tenere in considerazione non soltanto le necessità di servizio, ma anche i condizionamenti di carattere fisiologico, psicologico e sociale degli operatori. È pertanto doveroso, e possibile, predisporre schemi di turno più rispettosi dell’integrità psico-fisica dei soggetti interessati e del loro benessere sociale, cui conseguono ovvii riflessi positivi, oltre che sulle condizioni di salute, anche sulla prestazione lavorativa. Una metodologia corretta, volta a introdurre o modificare uno schema di turnazione, oltre che basarsi sul rispetto delle norme legislative e contrattuali, e sul soddisfacimento delle esigenze produttive, deve tener conto delle caratteristiche del gruppo di persone interessate (ad es. età, genere, malattie), seguire dei consolidati criteri ergonomici orientati alla prevenzione e/o attenuazione del rischio organizzativo, e prevedere idonee misure di compensazione. Tutto ciò richiede il concorso di tutte gli attori sociali in gioco: legislatore, management, dirigenza, lavoratori, medico del lavoro/competente, servizio di prevenzione e protezione. Si deve peraltro tenere in considerazione che non vi è un sistema di turno “ottimale” in assoluto, ma ogni schema di turnazione deve essere pianificato e adottato tenendo conto delle specifiche condizioni di lavoro, delle peculiari richieste del compito, così come delle particolari caratteristiche individuali e sociali dei lavoratori interessati. La sorveglianza sanitaria deve quindi associarsi strettamente ad una precisa analisi delle condizioni di lavoro e a una organizzazione dei turni secondo criteri ergonomici,
  • 14. 26 che consentono di attenuare significativamente il rischio e i conseguenti effetti negativi sulla salute e il benessere delle persone. È inoltre necessario che il medico del lavoro/competente, oltre a dare utili consigli su come farvi fronte adeguatamente, tenga presente che alcune condizioni morbose possono costituire una controindicazione assoluta o relativa al lavoro a turni e/o notturno. LT 02 ELEMENTI DI RIFERIMENTO PER L’ORGANIZZAZIONE DEI TURNI DI LAVORO Vito Bongiovanni, Giovanna Ghirlanda Il turno di lavoro in ospedale rappresenta lo strumento mediante il quale si garantisce la presenza di personale in modo quantitativamente e temporalmente adeguato a soddisfare i bisogni assistenziali dei pazienti. La turnistica, che non è scindibile dalla organizzazione del lavoro in sanità, ha ripercussioni dirette sulla sicurezza e sulla salute dei pazienti e del personale e si riflette nella vita privata, in particolare nella conciliazione tra vita di relazione e lavoro. La ricerca di un nuovo equilibrio tra questi bisogni, l’evoluzione delle aspettative del cittadino e le esigenze di economicità e di ottimizzazione dell’organizzazione sanitaria, rappresentano una sfida per chi oggi si occupa di management sanitario. Il recepimento da parte degli Stati membri e l’effettiva applicazione della Direttiva europea sull’orario di lavoro, varata nel 1993 e parzialmente riveduta nel 2003, hanno sofferto in molti casi di un eccesso di variabilità, di scarsa trasparenza e di un monitoraggio poco puntuale del rispetto delle norme, soprattutto dopo l’introduzione della “clausola di deroga”. In Italia in risposta alla crisi economica e alle carenze organiche la Finanziaria del 2008, a proposito dei turni di lavoro in sanità, ha affermato (L. n. 244/07-art.3 c. 85) che le disposizioni di cui all’art. 7 non si applicano al personale del ruolo sanitario del Servizio Sanitario Nazionale, per il quale si fa riferimento alle vigenti disposizioni contrattuali in materia di orario di lavoro. Al di là di tali incertezze regolamentari, il settore della sanità è chiamato a rispondere a varie necessità: i cambiamenti dei setting assistenziali, le nuove posizioni organizzative soprattutto nell’ambito delle professioni sanitarie, l’esigenza di migliorare l’efficienza operativa anche per il contenimento della spesa sanitaria, il progressivo invecchiamento della “forza lavoro”. Ciò richiede a tutti gli attori coinvolti nei processi di organizzazione del lavoro e della turnistica (management, personale, OOSS, medicina del lavoro, magistratura del lavoro, ecc), di rifondarne profondamente l’approccio sperimentando nuovi modelli di organizzazione del lavoro che rendano compatibili e sostenibili economicamente i maggiori livelli possibili di benessere lavorativo per il “capitale umano” dell’azienda ospedale con le esigenze di efficienza produttiva e qualità del servizio. G Ital Med Lav Erg 2013; 35:4, Suppl http://gimle.fsm.it LT 03 RISCHIO CARDIOVASCOLARE E LAVORO A TURNI Antonio Pietroiusti, Anna Neri, Andrea Magrini Università Tor Vergata di Roma, Dipartimento di Biomedicina e Prevenzione, Cattedra Di Medicina del Lavoro Malgrado la pubblicazione di numerosi articoli sull’argomento, non vi è a tutt’oggi alcuna certezza circa una possibile correlazione tra lavoro a turni in Sanità e patologia cardiovascolare coronarica. Questa affermazione non implica che la letteratura non riporti una correlazione, ma piuttosto che l’entità della correlazione riportata (o la mancata correlazione) potrebbe essere spiegata dal caso, da bias, o da fattori confondenti. Una corretta valutazione dei dati epidemiologici richiede in primo luogo la conoscenza delle potenziali vie fisiopatologiche attraverso cui il lavoro a turni può indurre la patologia cardiovascolare: – Alterazioni di ritmi circadiani specifici (es. ritmo sonno-veglia) – Acquisizione di abitudini negative – Alterazioni dei biomarcatori dell’aterosclerosi 1. Alterazioni di ritmi circadiani specifici. C’è un’ampia evidenza che il lavoro a turni (specie quello notturno) sia associato con insufficiente quantità di sonno e con episodi di sonnolenza incontrollata nelle ore dedicate all’attività, fattori che inducono un’attivazione del sistema simpatico con gli eventi associati di ipertensione ed aumento della frequenza cardiaca. Altri studi hanno dimostrato una disinibizione della fame. 2. Acquisizione di abitudini negative. Fumo, cibo, peso e sedentarietà: relazione controversa. Si suppone che il fumo sia un sistema per rimanere svegli durante la notte da parte dei lavoratori a turno. 3. Alterazioni dei biomarcatori dell’aterosclerosi. a) Dislipidemia: relazione controversa. B) Markers di infiammazione sistemica. Pochi dati. Riportato un aumento dei leucociti rispetto ai non turnisti. C)Fattori della coagulazione: è stato riportato un aumento della omocisteinemia rispetto ai lavoratori diurni, ma non si sono rilevate differenze significative nella prevalenza di iper-omocisteinemia. Non differenze nei livelli di fibrinogeno né in quelle di attivatore del plasminogeno e attivatore tissutale del plasminogeno, anche se nei turnisti sembrano essere ridotte le fluttuazioni quotidiane di tali fattori. Il significato di questo dato rimane incerto. Disautonomia cardiaca. La maggior parte degli studi fin qui eseguiti indicano che esiste uno sbilanciamento dell’attività simpatica e parasimpatica. E) Alterazioni della ripolarizzazione. Isolato report di prolungamento del tratto Q-T dell’elettrocardiogramma. F)Extrasistoli. Aumento della frequenza di extrasistoli ventricolari in uno studio longitudinale. G) Sviluppo della sindrome metabolica: associazione positiva in studi trasversali che longitudinali.
  • 15. G Ital Med Lav Erg 2013; 35:4, Suppl http://gimle.fsm.it Conclusioni. Per nessuno dei fattori biologici e fisiologici, preso singolarmente, vi è forte evidenza di associazione con la patologia cardiovascolare nei turnisti, ma l’associazione di vari fattori come la sindrome metabolica, sembra rappresentare un rischio reale. 27 ALCOOL E LAVORO AL 01 ALCOL E LAVORO: QUAL’È LA REALE INTERFERENZA? Marco M. Ferrario1,2, Davide Parassoni2 1 Dipartimento di Scienze Cliniche e Sperimentali, Università degli Studi dell’Insubria, Varese 2 Scuola di Specializzazione in Medicina del Lavoro, Università degli Studi di Brescia-Insubria, Varese Corrispondenza: Professor Marco M Ferrario, U.O. Medicina del Lavoro, Preventiva e Tossicologia, A.O. Ospedale di Circolo e Fondazione Macchi, Viale L. Borri n. 57 - 21100 Varese; marco.ferrario@uninsubria.it Conseguenze lavorative dell’abuso alcolico possono essere ricondotte a: diminuita produttività, aumentato assenteismo per malattie, riduzione della performance, tendenza alla fuga dal posto di lavoro, deterioramento nelle relazioni interpersonali, sia con capi che colleghi di lavoro, aumento degli infortuni lavorativi e degli errori che determinano incremento dei sistemi di vigilanza, aumento del turnover (1). Benché la relazione tra l’abuso di sostanze psicotrope e gli infortuni lavorativi sia sempre stata ritenuta ovvia, si incontra spesso difficoltà nel tentativo di quantificare tale associazione e nonostante quest’ultima sia poco chiara, la riduzione degli infortuni è spesso una delle primarie giustificazioni per l’implementazione di programmi tesi alla riduzione dell’abuso di sostanze nei luoghi di lavoro. Una recente revisione della letteratura (2) ha comunque concluso per la presenza di un’associazione positiva tra uso di sostanze psicoattive, in particolare consumo ed abuso di alcol, ed infortuni occupazionali, in lavoratori dell’industria manifatturiera e delle costruzioni. I costi per i datori di lavoro degli infortuni alcol-correlati dei dipendenti, sono stati stimati in 28,6 miliardi di dollari/anno negli Stati Uniti. Inoltre, recenti revisioni della letteratura (3, 4) tese a valutare gli effetti di interventi preventivi sull’abuso alcolico nei luoghi di lavoro, hanno riportato insufficienti evidenze a favore dell’utilizzo dei test alcolimetrici come soluzione unica, efficace ed a lungo termine per la prevenzione degli infortuni nel settore dei trasporti. È emersa inoltre l’efficacia di interventi brevi di feedback su problematiche comportamentali effettuate su lavoratori a rischio individuati tramite questionari standardizzati che indagavano aspetti sanitari e degli stili di vita. Tra gli approcci psicosociali, apparentemente la notifica ed il supporto da parte di colleghi risultano efficaci nella riduzione di problematiche lavorative alcol-correlate. Sono state individuate inoltre alcune condizioni lavorative che possono contribuire a problemi alcol-correlati: disponibilità di alcol in ambiente di lavoro e abitudini dei colleghi, problemi della vita familiare, aggravati da frequenti/prolungate trasferte per lavoro, assenza di supervisori, condizioni di stress lavorativo, impiego precario, la-
  • 16. 28 voro a turni e notturno, frequenti cambi nei compagni di lavoro o nei supervisori (1). L’abuso di bevande alcoliche, può, inoltre, interferire con l’esposizione professionale a sostanze chimiche, aumentandone le proprietà tossiche. In letteratura sono riportate numerose interazione e sinergie tra consumo di alcol e nocività di solventi e metalli, con note interferenze sia a livello tossicocinetico (tra tutte ricordiamo gli effetti dell’induzione enzimatica) che tossicodinamico (ad esempio azione sinergica di alcol e solventi nella inibizione del sistema nervoso centrale). Bibliografia 1) ILO. Management of alcohol- and drug-related issues in the workplace. An ILO code of practice. Geneva: International Labour Office, 1996. 2) Ramchand R, Pomeroy A, Arkes J: The Effects of Substance Use on Workplace Injuries. Santa Monica, CA: RAND Corporation, 2009. 3) Cashman CM, Ruotsalainen JH, Greiner AB, et al. Alcohol and drug screening of occupational drivers for preventing injury. Cochrane Database of Systematic Reviews 2009, Issue 2. 4) Webb G, Shakeshaft A, Sanson-Fisher R, Havard A. A systematic review of work-place interventions for alcohol-related problems. Addiction 2009; 104: 365-377. AL 02 IL CONSUMO DI ALCOL E LO STATO DI SALUTE IN UN CAMPIONE DI EDILI E DI AUTISTI G Ital Med Lav Erg 2013; 35:4, Suppl http://gimle.fsm.it Alcol e lavoro nei trasporti. Negli anni dal 2008-11 sono stati sottoposti a visita ed accertamenti 490 autisti. Il 54.3% ha dichiarato di non assumere alcolici, il 43,9% un consumo abituale entro le 2 UA/die o un consumo occasionale, l’1,8% di consumare 3 o più UA/die. Il 12.1% presenta valori delle g-GT superiori ai limiti di riferimento, 22.2% tra i forti bevitori, 14.9% tra i bevitori moderati o occasionali, 9.4% tra coloro che si dichiarano astemi. Nel 59% si osserva concomitante incremento di una o entrambe le transaminasi epatiche, in nessuno macrocitosi. Discussione. I risultati mettono in evidenza importanti differenze tra i lavoratori edili e gli autisti, all’origine delle quali è possibile identificare una significativa influenza anche da parte dell’ambiente di lavoro. Le indagini condotte dimostrano come il problema relativo all’assunzione di alcolici, nonostante i divieti imposti dalla normativa, rimanga un problema irrisolto in edilizia. Ciò potrebbe essere in parte attribuibile ad una carente informazione in merito ai divieti ed ai rischi per salute e sicurezza, oltre alla mancanza di una azione di controllo, contrariamente a quanto accade per i trasporti. Le determinazioni con etilometro effettuata in edilizia dimostrano i limiti della raccolta anamnestica, anche supportata da accertamenti di laboratorio, nell’individuare i soggetti con comportamenti a rischio. Ciò pone il problema di rivalutare gli screening sulla base di una stima del rapporto costi/benefici e della reale efficacia. Bibliografia M.M. Riva, M. Santini, G. Mosconi Unità Operativa Ospedaliera Medicina del Lavoro - Azienda Ospedaliera Papa Giovanni XXIII Introduzione. L’abuso di alcol può essere causa di un aumento di infortuni. Il rischio è maggiore dove vi sono pericoli per la sicurezza propria o di terzi. Non in tutti i settori con elevato rischio infortunistico il problema presenta tuttavia analoga rilevanza. Scopo del lavoro è riassumere le esperienze di ricerca sul tema in edilizia e nei trasporti in provincia di Bergamo, condotte dalla USC di Medicina del Lavoro. Alcol e lavoro in edilizia. Sono state condotte indagini sul consumo di alcolici in una popolazione edile, anche attraverso misure alcolimetriche su aria espirata durante l’orario di lavoro. Negli anni 2011-12 è stata sottoposta a visita ed accertamenti una popolazione di 512 edili. Il 37,9% ha dichiarato di non assumere alcolici, il 46,1% un consumo abituale entro le 2 UA/die, il 7,6% di consumare 3 o più UA/die, l’8,4% un consumo solo occasionale. Il 10% presenta valori di g-GT superiori ai limiti di riferimento, 33.3% tra i forti bevitori, 5.7% tra coloro che si dichiarano astemi. Nel 62% si osserva concomitante incremento di una o entrambe le transaminasi epatiche, nel 38% macrocitosi. A 209 lavoratori è stato proposto in cantiere il test con etilometro, 10 (4,8%) non hanno prestato il loro consenso. In nessuno dei 34 soggetti indagati la mattina è stato riscontrato alcol nell’espirato; il pomeriggio sono risultati positivi al test 39 lavoratori su 165 (23,6%) (range 0,02-0,85 mg/L). 1) Mosconi G., Riva M.M., Lorenzi S, Silva G., Bartolozzi F., Pavesi G. Bancone C., Bettineschi O., Magno D. Alcol e Lavoro in edilizia. Med Lav 2007; 98; 6: 493-500. 2) Noventa A. Il rapporto tra l’alcol e il lavoro nella prospettiva alcologica. Atti del Convegno Nazionale «Alcol e Lavoro: aspetti legislativi, strategie di prevenzione e modelli di intervento», Maranello 12 marzo 2004; www.medicocompetente.it/documenti/ cat/23/Corsi-e-congressi.htm 3) Riva MM, Bellagente L, Forghieri S, Mosconi G. L’espressione dell’idoneità lavorativa e la diagnosi di patologie lavoro-correlate in autisti di mezzi pesanti. G Ital Med Lav Erg 2012; 34:3, Suppl, 357-360. 4) Santini M, Bancone C, Bresciani M, Bigoni F, Silva G, Riva MM, Lorenzi S, Persechino B, Mosconi G. Indagine conoscitiva su alcool e lavoro in edilizia. G Ital Med Lav Erg 2012; 34:3, Suppl, 521-525. AL 03 ALCOL E LAVORO: PROCEDURE OPERATIVE ED ESPERIENZE APPLICATIVE IN UNA AZIENDA DEL SETTORE AUTOMOBILISTICO M. Coggiola SCDU di Medicina del Lavoro AO Città della Salute e della Scienza di Torino - Consulente EHS EMEA Region Vehicle Manufacturing FGA Una azienda di grandi dimensioni ha la necessità di definire modelli di politica aziendale per la salute e la sicurezza atti a garantire il rispetto di quanto richiesto dall’articolo 6 del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231. A tal fine il sistema EHS di Fiat Group Automobile (FGA) ha predisposto procedure operative (PO) per l’area Health.
  • 17. G Ital Med Lav Erg 2013; 35:4, Suppl http://gimle.fsm.it Sul tema alcool le regioni hanno prodotto diverse linee di indirizzo. In tale contesto si è inserito il recente documento della Regione Piemonte. In merito agli accertamenti inerenti il divieto di assunzione esso afferma che il controllo deve essere condotto su tutta la popolazione a rischio e che in caso di positività al controllo con etilometro è necessario procedere alla determinazione dell’alcolemia. Appare poco chiaro il ruolo da attribuire all’alcolemia e le condizioni in cui opera il MC non sempre permettono di eseguire in sicurezza il prelievo. Per l’accertamento delle condizioni di alcol dipendenza le linee di indirizzo identificano un pannello di esami di screening comprendente il dosaggio della CDT. In relazione alla bassa sensibilità del test si ritiene tale scelta non appropriata. Per tali motivi l’aggiornamento della PO di FGA sull’alcol ha accolto solo in parte le indicazioni delle linee di indirizzo della Regione Piemonte. Sono stati analizzati i risultati della sorveglianza sanitaria condotta nel periodo 2010-2012 per la verifica delle condizioni di alcol dipendenza in 5 diverse UP distribuite sul territorio nazionale. Sono state eseguite 5823 visite periodiche integrate dagli accertamenti previsti dalla PO e in nessun caso si è verificata una condizione di alcol dipendenza. Tale dato porta a due considerazioni: – l’assenza di casi di alcol dipendenza è verosimilmente frutto dell’effetto lavoratore sano secondario alle valutazioni già condotte dai MC in corso di sorveglianza sanitaria mirata ad altri rischi – può essere non necessario procedere ad accertamenti mirati lasciando ai medici competenti la valutazione sulla loro opportunità Sia la parte relativa al divieto di assunzione che quella propria dell’alcol dipendenza riguardano l’elenco di attività previsto dall’all. 1 del documento di Intesa Stato-Regioni del 16 marzo 2006. Il medico competente è chiamato a gestire casi di ebbrezza/intossicazione alcolica acuta in soggetti operanti in attività non previste dall’ allegato ma contenenti elementi di rischio infortunistico. Le possibilità di azione del medico competente sono praticamente nulle e gli interventi adottati potrebbero essere considerati contrari alla norma. Sarebbe pertanto opportuno allargare la possibilità del controllo della non assunzione di sostanze alcoliche anche a quelle attività che, pur non rientranti nell’all. 1, presentano condizioni di rischio infortunistico. Bibliografia Legge 30 marzo 2001, N. 125 “Legge quadro in materia di alcol e problemi alcolcorrelati”. G.U. n. 90 del 18-04-2001. Conferenza permanente per i rapporti tra lo stato le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano. “Intesa in materia di individuazione delle attività lavorative che comportano un elevato rischio di infortuni sul lavoro ovvero per la sicurezza, l’incolumità o la salute dei terzi ai fini del divieto di assunzione e di somministrazione di bevande alcoliche e superalcoliche ai sensi dell’art. 15 della legge 30 marzo 2001, n. 125” G.U. 75 del 30.3.2006 Decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81 “Attuazione dell’articolo 1 della legge 3 agosto 2007, n. 123, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro” G.U. n. 101 del 30 aprile 2008 - Supplemento Ordinario n. 108 29 Deliberazione della Giunta Regionale 22 ottobre 2012, n. 21-4814 “Atto di indirizzo per la verifica del divieto di assunzione e di somministrazione di bevandealcoliche e superalc. e per la verifica di assenza di condizioni di alcol dip. nelle attività lavorative che comportano un elevato rischio di infortuni sul lavoro ovvero per la sicurezza,l’incolumità o la salute dei terzi, ai sensi Allegato 1 Intesa Stato-Regioni 2006 e art. 41 c. 4-bis D.Lgs. 81/08 e smi.” REGIONE PIEMONTE BU46 15/11/2012. AL 04 LA RETE DI RELAZIONI REALIZZATA IN PROVINCIA DI BERGAMO PER CONTRASTARE IL CONSUMO DI ALCOL NEI LUOGHI DI LAVORO G. Luzzana1, A. Mangili1, G. Zottola1, F. Cheli2, A. Noventa2, L. Olivari1, L. Manzoni1, G. Cucchi1, M.R. Bertoli1 1 Dipartimento di Prevenzione Medica - Servizio Prevenzione e Sicurezza negli Ambienti di Lavoro 2 Dipartimento delle Dipendenze - Area Prevenzione SERT Corrispondenza: dott.ssa Giuseppina Zottola, ASL di Bergamo, Servizio di Prevenzione e Sicurezza negli Ambienti di Lavoro- Ufficio di Direzione , Via B.go Palazzo, 130, tel. 035.22.70.525 segreteria tel. 035.2270.598, fax. 035.22.70.507; gzottola@asl.bergamo.it Parole chiave: alcol e lavoro, problemi alcol-correlati, integrazioni territoriali L’analisi della situazione di contesto, attuata valutando indicatori quali il consumo di alcolici in Provincia di Bergamo, l’incidentalità stradale e i dati relativi alle revisioni patenti per guida in stato di ebbrezza effettuate dalla Commissione Medica legale dell’ASL, infortuni in itinere e stradali, ha motivato un progetto di prevenzione che ha preso avvio già dal dicembre 2007, con la costituzione di un Gruppo di Lavoro Provinciale sul tema “alcol e lavoro” promosso dal Dipartimento di Prevenzione Medico e dal Dipartimento delle Dipendenze della ASL, con la partecipazione di Associazioni datoriali, Rappresentanze delle forze sociali, Enti e Istituzioni locali (Prefettura, Questura, INAIL, Carabinieri). Nel quadriennio 2008-2011 tale gruppo ha elaborato e realizzato un progetto di ricerca volto a: inquadrare il fenomeno dei “problemi alcol-correlati” nelle realtà lavorative provinciali; sensibilizzare e informare la popolazione lavorativa sulla rilevanza delle problematiche alcol-correlate e in particolare rispetto ai rischi legati all’uso di alcol e sostanze sul luogo di lavoro e agli effetti sulla salute del lavoratore; raccogliere le esperienze e le azioni preventive già intraprese dalle aziende; realizzare un modello d’intervento preventivo specifico che consentisse di stabilire con Aziende, Medici Competenti, Associazioni di categoria, Organismi Paritetici, Enti formatori, Istituzioni a vario titolo coinvolte nella prevenzione negli ambienti di lavoro della provincia di Bergamo, l’applicazione condivisa di procedure da applicare nelle attività lavorative individuate nel Provvedimento del 16 marzo 2006, comportanti un elevato rischio d’infortuni sul lavoro ovvero per la sicu-
  • 18. 30 rezza, l’incolumità o la salute dei terzi. Il modello di intervento preventivo condiviso a livello provinciale prevede: la chiara definizione delle azioni da attuare per la valutazione e la gestione del rischio Alcol in ambiente di lavoro e le responsabilità di ciascuna delle parti coinvolte nel «sistema di promozione della salute e sicurezza»; l’effettuazione di interventi preventivi (di natura organizzativa, procedurale) con azioni informative e formative mirate a coinvolgere, informare ed educare alla salute i lavoratori affinché adottino in modo consapevole scelte “sicure”, che precedano qualsiasi intervento accertativo di tipo sanitario in tema di alcol. G Ital Med Lav Erg 2013; 35:4, Suppl http://gimle.fsm.it dal comma 5 dell’art. 39 del D.Lgs. 81/08 con oneri a carico del datore di lavoro, ed è finalizzata alla valutazione diagnostica rispetto alla dipendenza e all’ eventuale proposta di immediata presa in carico del lavoratore, qualora ritenuto necessario. Stante l’oggettiva complessità della tematica oggetto delle Linee di indirizzo è stata prevista una fase di osservazione, monitoraggio e valutazione della durata di 12 mesi, a seguito della quale potrebbero essere necessarie ulteriori modifiche/integrazioni, anche in relazione ad eventuali sviluppi della normativa nazionale e regionale di riferimento. Bibliografia AL 05 LE LINEE DI INDIRIZZO DELLA REGIONE PIEMONTE PER LA VERIFICA DEL DIVIETO DI ASSUNZIONE E DI SOMMINISTRAZIONE DI BEVANDE ALCOLICHE E SUPERALCOLICHE E PER LA VERIFICA DI ASSENZA DI CONDIZIONI DI ALCOL DIPENDENZA NELLE ATTIVITÀ LAVORATIVE A RISCHIO Roberto Zanelli Direttore SPreSAL ASL AT, Gruppo regionale Alcol lavoro La Regione Piemonte con la D.G.R. 22 ottobre 2012, n. 21-4814, pubblicata sul BU n. 46 del 15/11/2012, ha definito le modalità operative per accertare l’assenza di assunzione di bevande alcoliche e superalcoliche e la verifica da parte del medico competente dell’assenza di condizioni di alcol dipendenza nei lavoratori che svolgono mansioni a rischio. Uno dei punti più controversi trattato dalla D.G.R. è stato quello del raccordo normativo tra le disposizioni previste dalla Legge 125/01 ed il D.Lgs. 81/08, affermando che per effetto delle disposizioni di legge sopra citate, nelle attività lavorative individuate nell’allegato 1 dell’Intesa Stato-Regioni del 16 marzo 2006,, la sorveglianza sanitaria è obbligatoriamente prevista ad opera del medico competente sia per l’effettuazione di controlli alcolimetrici, sia al fine di avviare l’accertamento di un’eventuale alcoldipendenza. In definitiva, nelle attività lavorative a rischio è necessario attivare la sorveglianza sanitaria, nominando un medico competente, anche nel caso non vi siano altri rischi lavorativi che comportino tale obbligo. È stata inoltre definita una modalità per effettuare il controllo alcolimetrico previsto dall’ Intesa del 16 marzo 2006, privilegiando, “metodi non invasivi”; in particolare in fase di screening il tasso alcolimetrico dovrà essere determinato nell’aria espirata tramite “etilometri”, confermando, in caso di riscontro di positività (tasso alcolimetrico superiore a zero), la misurazione con la determinazione diretta dell’alcolemia. Le Linee di indirizzo regolano anche l’invio del lavoratore al Servizio alcologico dei Dipartimenti di patologia delle dipendenze, che potrà essere quello del territorio aziendale o quello di residenza del lavoratore. La consulenza specialistica richiesta dal medico competente rientra tra quelle previste 1) AA.VV. Manuale di prevenzione dei problemi alcol-correlati negli ambienti di lavoro. Milano: Franco Angeli Ed., 2006. 2) Patussi V, Muran A, Ticali S, et al. Proposta di un protocollo di comportamento per gli interventi preventivi in tema di alcol e lavoro. Il ruolo del MC e delle Strutture delle Aziende Sanitarie territoriali. Alcologia 2009; 4: 60-73. 3) Webb G, Shakeshaft A, Sanson-Fisher R, Havard A. A systematic review of work-place interventions for alcohol-related problems. Addiction 2009; 104: 365-377.