56º Congresso nazionale AIB.
Accesso aperto alla conoscenza. Accesso libero alla biblioteca.
Firenze, Palazzo dei Congressi
3–5 novembre 2010.
http://www.aib.it/aib/congr/c56/prog.htm3
1. 56º Congresso nazionale AIB
Accesso aperto alla conoscenza. Accesso libero alla biblioteca
Firenze, Palazzo dei Congressi
3–5 novembre 2010
Tavola rotonda “Conoscenza e democrazia”
"Io provo grande preoccupazione ... per la cosiddetta fuga dei cervelli. Ma non si può non
provare ansia anche per quei cervelli che non possono fuggire, i tantissimi che non arrivano a
essere cervelli in grado di fuggire." (Tullio De Mauro, La cultura degli italiani, Laterza, 2010, p.
222)
Oggi possiamo definire come funzione della biblioteca pubblica la formazione degli adulti (non
“promozione della lettura”, “soddisfacimento di bisogni informativi” o altro). Gli adulti, dopo il
compimento della loro istruzione formale, sono in Italia restituiti al loro ceto di appartenenza
(mancanza di mobilità sociale), e quindi spesso alla tv, alla free press, ad un uso della rete
spesso segnato da digital divide e da information divide e quindi drasticamente povero.
Guardiamo all'Italia nel suo complesso: la biblbioteca pubblica riesce a svolgere questo
compito? No, per il semplice motivo che le bibiblioteche pubbliche in metà d'Italia non ci sono,
o sono ridotte talmente a mal partito da rasentare la non esistenza.
Amministrazioni che avevano ereditato dal passato la fama di essere illuminate riescono oggi –
davanti alla crisi economica e al taglio dei finanziamenti agli enti locali – a minacciare chiusure
anche di fronte a casi in cui le biblioteche pubbliche invece esistono e riscuotono successo,
senza considerazione del fatto che è ormai provato che è l'offerta a creare la domanda in
questo campo.
Eppure i tagli potrebbero anche costituire un'occasione per ripensare in modo coraggioso
(razionale?) i servizi bibliotecari nel loro complesso, senza andare a ripescare visioni
nostalgiche di una cultura “alta” (la biblioteca non deve essere un supermercato), e senza
arroccarsi a tutti i costi sulla difesa ad oltranza delle istituzioni esistenti, che nel campo delle
biblioteche pubbliche sono spesso luoghi troppo piccoli e malfinanziati per avere un motivo
d'essere.
L'altro grande elemento di novità (di rivoluzione, nei termini di Roncaglia) è che parlare di
digitale oggi ha un senso completamente diverso da quello che la frase poteva avere sei mesi
fa, perché in digitale stanno arrivando i libri, e questo non ha paragone con alcuna delle
precedenti fasi del digitale che abbiamo affrontato.
Proviamo a immaginare quale sarebbe la filiera ideale della distribuzione dei contenuti: la carta
dovrebbe essere solo l'ultimo inevitabile passaggio di una distribuzione che è infinitamente più
efficace se compiuta in digitale. Ma anche l'ultimo inevitabile passaggio può venire spazzato via
da un buon lettore di ebook. Meglio allora forse liberare l'idea della biblioteca da quella dello
scaffale, dei volumi, dell'ordine fisico.
Eppure, la biblbioteca pubblica può oggi ancora focalizzarsi sul fatto di essere un luogo fisico, a
patto che diventi anche un luogo digitale (un punto della rete).
Il luogo fisico.
Prendiamo un esempio: i periodici. I dati sul calo della lettura di periodici di ogni tipo in Italia
sono impressionanti (rapporto Censis-Ucsi). Eppure, le sale periodici possono essere strapiene.
Faccio l'ipotesi che i periodici in biblioteca funzionino perché servono a impiegare il tempo che
si passa lì.
Virginia Gentilini
virginia.gentilini@gmail.com
http://nonbibliofili.splinder.com/
2. Una cosa che lavorando a banco mi chiedo sempre è “cosa stanno facendo in realtà le persone
in biblioteca?”. Passate a banco del tempo e vedrete che le risposte preconfezionate che ci
diamo di solito sono imprecise (soddisfazione di bisogni informativi, eccetera). Io direi che le
persone vengono fisicamente in biblioteca per dare un significato al loro tempo libero. Vogliono
essere esposte a delle sollecitazioni (la prima naturalmente è quella che viene dal fatto di
vedere le altre persone, poi vengono i “documenti”).
Dovremmo allora focalizzarci su questa implicita domanda di senso (senso dello stare, del
passare del tempo) tanto quanto ci occupiamo della qualità delle collezioni. Forse anche di più.
Perché in futuro non saremo più i monopolisti dell'informazione. Non ci sarà mai più un
momento come quello in cui in libreria non si trovava altro che l'ultimo bestseller, e tutta la
ricchezza della produzione a stampa stava nelle nostre mani. E' un monopolio che abbiamo
definitivamente perso. Ma forse nel rispondere a questa domanda di senso del luogo fisico,
troveremo una strada per svolgere la nostra funzione reale e occuparci della formazione degli
adulti.
Ma le biblioteche resteranno un luogo fisico importante anche perché sono (dovrebbero essere)
il luogo in cui si può parlare con una persona, in cui esiste un banco informazioni che non
limita (non dovrebbe limitare) né le tipologie di domande né le tipologie di approccio. E in
un'epoca di call center standardizzati questo è praticamente un caso unico di servizio rivolto
davvero a tutti.
Il sevizio di reference.
La verità è che, spesso, quello che si fa a banco non è veramente reference. Spesso si tratta
per la metà del tempo di rimediare agli errori di un software malconcepito e malfunzionante.
Poi si rimedia alla mancanza di competenze informatiche di base. Poi si fa del reference, inteso
in senso proprio. Ma il punto è che il reference non è davvero concepibile “in senso proprio”,
potremmo discutere all'infinito su cosa sia reference e cosa no (in Italia generalmente
comunque non lo facciamo, non ci interessa molto), ma il punto centrale della questione è che
ci sarà sempre bisogno di un intermediario umano nella distribuzione delle informazioni perché
gli umani funzionano così. Vogliono essere rassicurati di aver capito bene. Non hanno mai tutti
lo stesso livello di accesso alle informazioni di base. Se glielo dice un cartello non è davvero
vero. Oppure, andando più a fondo, l'esigenza di ognuno è davvero sempre diversa da quella
degli altri e non c'è standardizzazione possibile (es. del risponditore automatico nei servizi
telefonici: fra i servizi elencati non c'è mai esattamente quello che vorremmo, oppure non è
definito come ce lo saremmo aspettati).
E poi c'è il reference digitale.
Abbiamo tardato a mettere in piedi servizi di questo tipo ma poi ci siamo riusciti. Non siamo
però riusciti neppure alla lontana a creare delle reti di cooperazione ampie. Molti paesi
gestiscono questo servizi a livello nazionale. Da noi presentiamo ancora come sperimentale un
servizio come la chat, che è vecchio di anni. Non dovremmo stupirci se i nostri servizi si
mantengono stabili ma non crescono. Significa che non c'è una domanda forte di reference
digitale? Significa che in rete svanisce il bisogno dell'intermediario umano? Ovviamente no.
Social network e servizi di Question & Answer come Yahoo!Answer dimostrano esattamente il
contrario: la domanda di reference è enorme, potremmo anzi dire che è stata liberata dal
digitale, siamo semplicemente noi che la manchiamo. Non siamo nel posto giusto per coglierla.
Lasciamo che a rispondere sia la folla, ma una folla nella quale paradossalmente manchiamo
proprio noi.
Essere un luogo digitale significa puntare sui servizi online non solo aumentandoli
quantitativamente, o creando appunto reti di cooperazione più ampie, ma in primo luogo
accettando il principio che o si sta in rete insieme agli utenti e rispettando le regole della rete,
o tanto vale non starci affatto.
Il digitale rende finalmente realizzabile il vecchio slogan dello “stare dove si trovano gli utenti”,
ma gli strumenti della rete vanno conosciuti e “abitati”.
Virginia Gentilini
virginia.gentilini@gmail.com
http://nonbibliofili.splinder.com/
3. Il servizio nazionale inglese di reference digitale ha un proprio account ufficiale su Yahoo!
Answers che costituisce probabilmente, oltre che un punto da cui erogare un servizio allargato,
anche un mezzo fenomenale di promozione del sistema bibliotecario nella sua interezza.
Ma abitare la rete significa anche sapere quale linguaggio si usa su Facebook, accettare il
rischio dell'incontro reale con gli utenti (non siamo più chiusi e protetti dentro i nostri siti
istituzionali) e utilizzare creativamente tutti gli strumenti disponibili, anche modificando in
parte la natura del nostro lavoro. Cosa intendo con questo?
Prendiamo come esempio Wikipedia: Wikipedia è disponibile a tutti in Italia, anche nel più
sperduto paese della Calabria (digital divide permettendo). Perché allora non ci mettiamo a
scrivere voci su Wikipedia? Con tutte le risorse di reference che abbiamo, non siamo i candidati
ideali per questo lavoro? Significherebbe mettere davvero a disposizione di tutti una risorsa
potente, davvero “allargare le basi sociali della lettura” (come direbbe Solimine) e della
conoscenza. Si tratta solo di un esempio ma può essere utile ad indicare una direzione: il fulcro
del lavoro della biblioteca pubblica non può più essere né concentrarsi sui libri di carta, né sui
lettori forti (che lo sarebbero anche senza di noi), ma su quelli che non sono lettori. O meglio
ancora, spostando l'attenzione dalla parola “lettore” che oggi è meno significativa di un tempo,
sulla fetta enorme di italiani che hanno diete mediatiche povere.
Virginia Gentilini
virginia.gentilini@gmail.com
http://nonbibliofili.splinder.com/