1. Una coperta di pezze per la terapia familiare
Salvador Minuchin
Come si diventa pionieri? Fondamentale è essere nato in una famiglia.
Primo genito in una famiglia giudea in un paese antisemita. Durante l’università, da giudeo inizia ad
esser argentino.
Nelle diagnosi psichiatriche inizialmente non teneva conto della cultura, ad Harem capisce di dover
cambiare, qui il fattore culturale era importante. Cosi Salvador Minuchin diventa terapeuta della
famiglia.
Bateson era preoccupato a riguardo dell’intervento attivo. Il rischio era quello di fare confusione con
la cultura altrui e di imporre quella dell’osservatore. Utilizzando la tecnica batesoniana vengono
limitati gli interventi del terapeuta. Il linguaggio batesoniano orienta i terapeuti alla descrizione e non
alla prescrizione, alle idee e non alle persone e alle loro emozioni. Crea distanza tra il terapeuta e la
famiglia, sottolinea le caratteristiche dei sistemi e dei pattern ripetitivi.
Nathan Ackerman era un uomo piccolo, rotondo e vicino alle persone. Sposta lentamente il suo
asse di interesse dai concetti psicoanalitici e dal lavoro con gli individui alle interazioni degli individui
tra loro. Sottolineava che non è possibile vedere i pensieri e le emozioni, ma come le persone
mettono in pratica la loro vita interiore nell’interazione con gli altri. Era vicino alla vita emotiva dei
suoi pazienti, e usava se stesso come provocatore per sollecitare le difese dei membri della famiglia.
Conservava della sua esperienza di psicanalista, la visione del se del terapeuta come strumento utile
e positivo, e il controtransfert come un’apertura verso le dinamiche familiari.
Whitaker, (con Minuchin e Satir ) porta l’attenzione in terapia sull’individuo come parte del sistema
familiare. Aveva lavorato come psichiatra con gli schizofrenici, e da questa esperienza porta con sé il
rispetto per la componente irrazionale delle emozioni, e la convinzione che si possono aiutare le
persone a uscire dalla rigidità dei ruoli loro assegnati. Il ruolo del terapeuta è quello di usare se
stesso contro le ristrettezze delle vedute umane.
Come terapeuta si poneva in posizione centrale e costruiva relazioni tra i membri della famiglia in
modo che tutti si sentissero collegati e influenti l’uno sull’altro. Durante le sedute esplorava conflitti e
creava crisi senza la responsabilità di dover aiutare a risolverla, sperando che la crisi avesse elementi
di guarigione e che i membri della famiglia avessero sufficienti risorse per affrontare la situazione.
Virginia Satir credeva nella capacità del terapeuta di guarire. Era inizialmente concentrata
esclusivamente sulla comunicazione, segno distintivo del modello di Palo Alto. Lasciò Palo Alto e si
avvicinò all’approccio dello psicologo Maslow centrato sul potenziale umano. Passò dall’interesse per
la comunicazione all’interesse per le emozioni positive, al prendersi cura delle persone e creare
connessioni tra loro, e per l’autostima come fattore che promuove la crescita. Univa misticismo e
tecniche concrete: era convinta che la terapia familiare fosse uno strumento per migliorare il mondo,
e comunque usava il linguaggio della gestalt, tecniche di rilassamento. Simboleggiava legami emotivi
e il potere dell’amore legando con una corda i membri di una famiglia e chiedeva ai coniugi di
mettere in atto una scultura, tecnica da lei stessa inventata. Usava le tecniche al servizio dei suoi
obiettivi che miravano a incrementare le emozioni positive e l’autostima.
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2. Jay Haley era un pensatore indipendente influenzato da Bateson e da Erickson. Da Palo Alto e dal
lavoro con Erickson porta tecniche focalizzate sugli obiettivi del terapeuta e sui passi sequenziali che
aiutano le famiglie a cambiare senza pensare al significato del cambiamento. Rispettoso delle
persone e molto generoso del suo tempo. Era un supervisore incredibile. Aveva velocissimi insight
sulle dinamiche familiari e la capacità di immaginare il risultato finale.
Murray Bowen con la sua teoria della differenziazione individuale era, come Freud, ancorata
all’infanzia. La famiglia d’origine era sempre più importante della famiglia attuale. Fu il primo
terapeuta a ipotizzare la possibilità di ricoverare le famiglie dei pazienti schizofrenici.
La terapia dell’impatto emozionale di Nathan Ackerman
Ackerman scrive nel 1937 il primo articolo in cui veniva proposta la terapia della famiglia, in cui
prospettava la famiglia come unità sociale ed emotiva.
Fu ammesso all’American Psychoanalytic Association nel 1943 ma risentiva delle limitazioni imposte
dall’ortodossia psicoanalitica, che costringeva la necessaria emotività del terapeuta.
Le emozioni e il sé del terapeuta
La lotta contro gli stereotipi della psicoanalisi ortodossa non spinse Ackerman a tradire lo spirito del
movimento psicoanalitico. Anzi integra la sua formazione analitica con profondi riferimenti sociali.
Trovò nella psicologia della famiglia lo spazio giusto per il suo bisogno deliberare la psicoterapia da
vincoli formali e il terapeuta dalla proibizione di essere se stesso.
Sosteneva che l’analista non svolge un ruolo reale nei confronti del paziente, il quale è lasciato
all’oscuro delle reali qualità del terapeuta. L’analisi, quindi, non offre un’esperienza sociale reale.
La terapia familiare, il cui fondamento è l’interazione sociale, consente uno scambio emotivo al quale
il terapeuta può partecipare dando un contributo personale che non può essere tenuto fuori dal
rapporto terapeutico.
Non solo è importante che il terapeuta conosca le emozioni del paziente, ma anche che il paziente
conosca le emozioni del terapeuta. “Un buon terapeuta deve filtrare le proprie emozioni e immettere
selettivamente nel rapporto quelle che il paziente ha bisogno di sperimentare per arrivare a stare
bene.
È stato il terapeuta che ha saputo ridurre la distanza tra se e i componenti della famiglia. Il terapeuta
assume un ruolo parentale, che sviluppa mediante interessamento genuino, lealtà e sostegno.
La rivoluzione del setting
Ackerman vedeva i suoi pazienti in modo irregolare. La sua pratica clinica rispecchiava i suoi principi,
secondo i quali la parte più importante della sua terapia è essere se stesso e non lasciarsi
condizionare dagli stereotipi professionali. Per ridurre le distanze con la famiglia usa l’espediente di
chiamare i membri per nome.
La terapia dell’impatto emozionale
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3. Ackerman disponeva d una chiara visione del processo terapeutico:
1. nel momento iniziale della terapia il terapeuta deve creare un rapporto basato su empatia e
comunicazione. È un momento cruciale; quando il terapeuta entra nella famiglia, ne riceve ed
esercita su di essa una serie di effetti multipli e circolari. Il terapeuta deve portarsi in modo
rapido e attivo nello spazio vitale del gruppo familiare, all’interno del quale potrà suscitare e
accrescere uno scambio emotivo significativo. Nella raccolta iniziale dei dati è importante evitare
di raccogliere un’anamnesi in senso tradizionale, ma è preferibile dare inizio al processo in modo
spontaneo e genuino;
2. a questo punto il terapeuta usa il rapporto che è riuscito a creare per l’espressione di conflitti
importanti e dei modi di affrontarli. Chiarifica il conflitto dissolvendo barriere, mascheramenti
difensivi, confusioni e incomprensioni. Cerca di dare alla famiglia una comprensione reciproca e
più approfondita di cosa realmente vada male. È stato accettato come componente della famiglia,
quindi può attuare i primi movimenti che gli permettono di aumentare il livello di consapevolezza
della famiglia.
combatte le negazioni inadeguate
trasforma conflitti interpersonali latenti in interazioni manifeste
porta il conflitto intrapersonale nascosto a livello di interazione interpersonale
neutralizza la creazione di capri espiatori
Quando si identificano e si portano alla luce i conflitti familiari, ne risultano evidenti anche i ruoli
dei componenti, e il terapeuta può allearsi con il componente che impersona il ruolo del guaritore
del conflitto. Un altro mezzo è quello di “stuzzicare le difese”, cioè cogliere di sorpresa i membri
della famiglia, mostrando in modo drammatico le discrepanze tra i loro modi di giustificarsi.
Utilizza inoltre il linguaggio corporeo per evidenziare il significato delle espressioni somatiche ed
eventuali contraddizioni con il linguaggio verbale.
3. consapevolezza del conflitto e minaccia di cambiamento suscitano angoscia. Adesso il
terapeuta deve assumere il ruolo di vera figura parentale, per controllare i pericoli che la famiglia
avverte e per dare sostegno affettivo. Deve inoltre immagini di relazioni che la famiglia non ha
mai usato
4. per attuare il cambiamento definitivo il terapeuta si serve
del confronto
dell’interpretazione
5. il terapeuta si offre come strumento di esame della realtà, nel momento in cui la famiglia sta
ristrutturando i propri ruoli per ricomporsi secondo nuove regole e nuovi modelli interattivi.
Ogni componente della famiglia può avere una nuova visione dell’altro e del terapeuta.
Viene quindi il rispetto per le diversità individuali e si stabilisce un nuovo equilibrio nel quale le
somiglianze e le differenze, come l’unione e la tendenza a differenziarsi, vengono perfettamente
tollerate.
La Family System Theory di Murray Bowen
La terapia familiare nasce negli anni ’50, ma viene riconosciuta ufficialmente solo negli anni ’70.
Bowen creò nella clinica in cui lavorava un reparto per ricoverare madri e figli, e nel 1952 introdusse
nello studio anche i padri. Questo è considerato il primo passo verso la terapia con la famiglia. Bowen
ha il posto di maggior rilievo per quanto riguarda le esperienze cliniche e di insegnamento della
terapia familiare, e per lungo tempo è riconosciuto come uno dei fondatori della terapia familiare. A
lui e alla sua scuola si deve, infatti, l’elaborazione della Family System Theory.
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4. I concetti fondamentali di Bowen per una teoria evolutiva della famiglia
Il processo della differenziazione del sé
Bowen studia il processo di progressiva autonomia individuale come risultante della modalità in cui ci
si separa dalla famiglia di origine. A lui si deve l’idea della massa indifferenziata dell’io familiare, uno
stato fusionale gruppale che egli chiama identità emotiva conglomerata, dove comincia il sé dell’uno
e inizia quello dell’altro. L’individuo per differenziare il suo sé deve contrapporsi alle forze emotive
che tendono a mantenere uno stato eccessivo di coesione familiare. Se sufficientemente differenziato
potrà acquisire la Posizione Io, che gli permette di sentirsi persona capace di affermare ciò che pensa
e ciò in cui crede. Si tratta di acquisire un Io responsabile anche della propria felicità e del proprio
benessere, senza però colpevolizzare gli altri dei propri insuccessi. Bisogna imparare a stabilire
relazioni da persona a persona con ciascuno dei propri genitori e con più membri possibili della
famiglia. bowen pensa che i processi di triangolazione emotiva sono il risultato dell’incapacità di
affrontare i problemi della vita in modo autonomo e con un Io sufficientemente maturo. A questo
proposito Bowen descrive una scala di differenziazione del sé che va da 0 a 100: da uno stato più
indifferenziato di fusione estrema alla completa differenziazione;chi si colloca all’estremo più basso
vive in un mondo di sentimenti non suoi, dipende da quelli che gli altri provano nei suoi confronti,
dall’altro lato della scala si colloca chi ha raggiunto una maturità emotiva completa e che persegue i
propri principi.
Il taglio emotivo
Dall’estremo opposto dell’indifferenziazione del sé c’è la condizione di non-appartenenza che bowen
descrive come taglio emotivo. Si manifesta come diniego dell’intensità dell’attaccamento emotivo non
risolto ai propri genitori. Si tratta di una rottura traumatica di quei processi di appartenenza
essenziali per la costruzione della propria identità. Il paradosso sta nel fatto che colui che soffre di un
taglio emotivo ha estremo bisogno della vicinanza emotiva, ma ne è allo stesso tempo allergico, e se
ne va di casa illudendosi di poter conquistare l’indipendnza. Più è netto il taglio con i genitori più è
prevedibile che si ripeta lo stesso modello nelle relazioni future.
La trasmissione intergenerazionale dei processi di immaturità
Bowen intuisce che il sistema di relazioni orizzontali (con il coniuge, con i fratelli), è condizionato dal
modo in cui funziona il sistema di relazioni verticali, ovvero da come avviene la trasmissione
intergenerazionale del livello di differenziazione del sé raggiunto dai membri della famiglia, e
soprattutto da ciascun genitore. La famiglia è un po’ come la scuola, e i modelli di apprendimento
familiare sono fondamentali e si trasmettono inevitabilmente di generazione in generazione.
Williamson , influenzato dalla F. S. T. sviluppa il concetto di Autorità Personale che parte dalla
posizione Io di Bowen e definisce meglio come si raggiunge la maturità emotiva, una volta superata
l’intimidazione intergenerazionale. Se questo salto evolutivo non avviene, il giovane adulto non
differenziato vivrà assoggettato ai propri genitori e non impossibilitato a vivere in modo autonomo e
a costruirsi relazioni intime. Ispirato da questi studi, Andolfi descrive la situazione di figlio cronico,
cioè la condizione dell’adulto che non riesce a superare i vincoli di dipendenza e immaturità nei
confronti dei propri genitori, restando figlio anche nelle tappe successive del suo ciclo di sviluppo,
impedendosi di vivere una autentica autorità personale.
Il genogramma familiare e il viaggio di ritorno a casa
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5. Bowen era convinto che per risolvere il problema qui e ora bisognasse andare lì e allora. La sua idea
di viaggio di ritorno a casa è un progetto concreto e programmato che un adulto deve realizzare per
riconnettersi al suo mondo familiare e ritrovare i legami affettivi interrotti nel corso degli anni. Aveva
l’abitudine di far costruire un genogramma familiare ai suoi pazienti per poi rimandarli a casa per
superare incomprensioni, tagli emotivi, distacchi traumatici… Tornare indietro non ha solo un effetto
riconciliatorio tra una generazione e l’altra, ma permette di andare avanti nei propri rapporti con più
maturità del proprio sé.
Bowen è un precursore della terapia individuale sistemica
B. è il primo che ha pensato di lavorare sulla famiglia attraverso l’individuo. Egli supera la dicotomia
tra individuale e relazionale mettendo al centro dello studio della famiglia l’individuo e il suo processo
di differenziazione. Il metodo relazionale serve a Bowen per una comprensione dell’uomo e del suo
ciclo evolutivo. Definisce inoltre l’agire terapeutico come una sorta di allenamento. La sua funzione di
allenatore permette ai componenti della famiglia di sentirsi protetti e di ricercare attivamente il
cambiamento. La terapia diventa una palestra in cui si programmano esercizi per diventare esperti
nella conoscenza del proprio sé e dove ci si allena per saperli applicare all’occorrenza; si tratta di una
terapia apprendimento che porta il cliente a verificare quanto ha appreso.
Thinking, not feeling
Secondo Bowen due coniugi in una situazione di grave stress non sanno più interagire, ma
reagiscono in modo automatico alle posizioni dell’altro, sprecando energie emozionali. Egli si colloca
quindi come elemento di discontinuità: solo lui farà le domande evitando scambio diretto tra i due.
Vietando scambi emotivi in seduta, favorisce una ricerca mentale individuale; sposta i coniugi da una
posizione reattiva di scontro a una di ascolto attivo dell’altro. Sostituisce la parola feeling con la
parola thinking. Sollecita i coniugi a ricercare la propria collocazione nella famiglia di origine. Dopo lo
studio del genogramma familiare i coniugi sono mandati a casa per riconnettersi al gruppo originario,
per apprendere come separarsene e come risolvere il taglio emotivo. Per Bowen quindi, le
problematiche di coppia vanno congelate in attesa che ogni coniuge torni con maggiore
consapevolezza dalla famiglia d’origine per riprendere il discorso di coppia con una migliore
differenziazione del proprio sé individuale.
Virginia Satir: un approccio umanistico integrato
Il modello di terapia familiare di Virginia Satir esprime per l’unicità di ogni individuo. Cominciava
spesso i suoi seminari con una meditazione per apprezzare le diverse esperienze di ogni individuo;
un contatto consapevole con il nostro io interno facilita le connessioni Io-Tu.
La Satir definisce in le nascite della coscienza:
1. la prima nascita è il momento dell’unione tra lo sperma e l’uovo;
2. la seconda è il momento in cui il bambino esce dal grembo;
3. le terza è il processo di evoluzione che porta alla capacità di fare scelte proprie, è il tempo in
cui riconosciamo che siamo il centro del nostro universo.
Punto centrale del lavoro della Satir sono le interazioni di sé, altro e contesto. Inoltre il suo lavoro si
è evoluto fino ad includere una quarta nascita: la spiritualità, che legava l’interno e l’esterno
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6. dell’inclinazione umanitaria alla crescita e all’armonia. “la quarta nascita avviene quando uno
riconosce che la vita è una”.
Il percorso di Virginia Satir verso l’unione delle dicotomie
Nel suo primo lavoro, come insegnante elementare, recava visita alle famiglie degli alunni. Queste
visite le fecero le fecero conoscere molteplici problemi che la portarono ad iscriversi ad un
programma di attività sociale. Lavorò in un orfanotrofio dove si rese conto che la psicoanalisi era
inefficace quando si trattava di affrontare i problemi di questi bambini. Iniziò così il lavoro con
problemi preverbali e dell’attaccamento. L’abbraccio si rivelò più efficace di ore di colloquio. Virginia
sentiva che il livello interno di autostima era importante nel conflitto tra comunicazione congrua e
comunicazione incongrua.
Lavorava con il corpo e con l’affetto. Quando i bambini e gli adulti non hanno risposte personali per
gestire circostanze difficoltose, sviluppano meccanismi di sopravvivenza primitivi per gestire la crisi.
Le paure vengono represse dalla consapevolezza conscia, e divenute inconsce guidano in maniera
riflessiva le reazioni. Queste reazioni erano il modo migliore a conoscenza del protagonista per
affrontare problemi impegnativi, e si riproponevano in modo simile per problemi simili. “il problema
non è il problema ma il modo di affrontarlo”. Virginia rivisitava gli avvenimenti del passato in cui
erano emersi i meccanismi di sopravvivenza in modo che i clienti potessero vedere la situazione con
occhi nuovi. L’obiettivo era far apprezzare la reazione che è in noi alla paura, e adeguare nuove
possibili reazioni a eventi stressanti. Realizzava tutto questo attraverso la scultura, lo psicodramma,
la metafora e molti altri metodi, perché credeva che un approccio multisensoriale facilitava la
rieducazione. Il suo obiettivo era creare contesti che promuovessero la conoscenza su come
diventare più interamente umani.
Ha creato una tecnica chiamata Ricostruzione Familiare: uno psicodramma che ripercorre i momenti
nodali transgenerazionali. Questo processo promuoveva la differenziazione:
• identificando copioni causati da eventi stressanti familiari ed esterni,
• aumentando la comprensione e l’empatia per i propri genitori,
• rielaborando esperienze negative del passato, per vivere la vita più pienamente nel
presente.
Virginia credeva che lo strumento per il cambiamento è dentro ogni persona, quindi il suo training e
la sua terapia davano risalto allo sviluppo empirico.
Guidava l’incontro terapeutico seguendo le parole dette, le parole inespresse e le reazioni interne.
Riusciva a incontrare i bambini a livello profondo attraverso il contatto fisico e visivo, usando se
stessa come strumento terapeutico primario. Ha sperimentato un nuovo modo di creare contatto:
invitava ripetutamente ogni diade genitore-figlio a vivere la sensazione delle mani che racchiudono il
viso, che permetteva una nuova possibilità di rapporto interpersonale profondo.
Pace dentro, pace tra gli individui
Una sintesi del lavoro di Virginia Satir: accrescere l’autostima di ogni individuo promuove individui,
famiglie, nazioni…più in salute. Pace Dentro, Pace tra gli Individui colma la distanza tra l’individuo e il
sistema.
Il linguaggio delle emozioni: Virginia Satir e la sua concezione della terapia
La sofferenza psichica
Il nucleo fondamentale dello sviluppo dell’individuo è la “stima di sé”, essa implica:
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7. consapevolezza e accettazione di sé,
essere in contatto con la propria verità emozionale e avere la capacità di esprimerla.
La sofferenza psichica nasce, secondo la Satir, da una bassa autostima, e si collega a sistemi
familiari con regole rigide o confusive, che non permettono individuazioni dei singoli membri, di
modo che le esigenze di conservazione dell’equilibrio del sistema entrano in contrasto con i bisogni
di crescita dell’individuo. Virginia Satir per regole familiari non intende solo le regole interattive, che
definiscono funzioni, compiti e ruoli, ma soprattutto le regole emozionali, spesso coperte e non
dette, che provocano inibizioni, divieti e producono sofferenza.
Le regole emozionali si formano nell’arco di un percorso storico che rimanda alla famiglia d’origine.
Quindi per comprendere la genesi e il significato della sofferenza è essenziale la ricostruzione della
storia familiare.
La relazione terapeutica
Secondo Virginia Satir la relazione terapeutica si fonda sul contatto empatico, le competenze
tecniche non possono sostituire l’importanza della partecipazione emotiva. Dato che la sofferenza
psichica nasce da una bassa autostima, favorita dalle influenze di contesto, Virginia sapeva
sostenere, gratificare, confermare gli individui nella loro singolarità e valorizzava le differenze,
quelle per le quali a volte si rischia l’emarginazione familiare. Attraverso il canale dell’empatia,
sapeva attivare le risorse dei pazienti e delle famiglie, mobilitava la ricerca di soluzioni nuove e le
potenzialità di cambiamento. La disponibilità a dare un aiuto empatico si accompagna sempre alla
fiducia nelle risorse delle persone, e al rispetto delle loro possibilità di scelta. Da sottolineare che il
terapeuta non ha verità da insegnare, ma attiva un processo in cui paziente e famiglia possano
ritrovare le proprie soluzioni e risorse. La Satir, inoltre valorizzò molto le reazioni emotive del
terapeuta, considerandoli indici per la comprensione e la condivisione dell’ atmosfera affettiva della
famiglia. il terapeuta non è mai osservatore esterno e neutrale, ma parte integrante del suo campo
di intervento. Le risonanze emozionali del terapeuta sono considerate non un handicap, ma come
risorsa.
Il linguaggio analogico e non-verbale
Per favorire nuove possibilità di incontro reciproco tra i membri della famiglia, Virginia Satir utilizza il
corpo e lo spazio, attraverso modalità analogiche, metaforiche e non-verbali. Due delle modalità con
cui amava lavorare erano:
1. la scultura familiare, rappresentazione della famiglia, in cui invitava i membri a riprodurre le
abituali modalità di interazione reciproche. Lasciava sviluppare la drammatizzazione per far
emergere parole ed emozioni, come espressione dei vissuti personali di ciascuno. Virginia aveva
un ruolo attivo e sosteneva che questa esperienza favoriva la capacità di sentire ed essere
ascoltati, elevava la stima di sé e avviava movimenti di trasformazione del sistema
2. la ricostruzione familiare, consiste nel ripercorrere la storia familiare su tre generazioni, il che
consentiva di vedere vecchie situazioni con occhi nuovi.
Vedere vecchie situazioni con occhi nuovi, è il principio che ispira i metodi narrativi della terapia
familiare.
Il linguaggio analogico tocca direttamente i livelli emotivi più profondi.
Panta rei: la filosofia del divenire di Carl Whitacher
Process not progress
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8. Ognuno appartiene alla sua famiglia, alle sue radici storiche e la sua fiducia nelle risorse dell’uomo lo
guidano nelle aree più private dell’individuo. Quella di Whitacher è una ricerca dell’adulto come un
progetto infantile, dove creatività, fantasia e gioco mettono in folle il pensiero cosciente, per essere
più disponibili alle libere associazioni.
Le manifestazioni sintomatiche non hanno rilevanza per W., che è alla ricerca della persona e non
dei comportamenti che essa agisce. Amplia inoltre l’unità di osservazione alla famiglia
trigenerazionale, sia in senso verticale che in senso orizzontale.
La battaglia per la struttura terapeutica
Per creare un contesto realmente terapeutico è necessario che il terapeuta non si faccia manipolare
dai giochi familiari, non deve accettare la delega della famiglia, e arrivava ad affermare che non era
utile fare nessun piano strategico di intervento. Carl temeva che prendersi troppa cura potesse
passivizzare la famiglia e portare a un suo eccessivo coinvolgimento emotivo. Era solito mandare a
casa le famiglie che non si presentavano al completo; il vuoto di uno era più significativo della
presenza di molti, per comprendere l’organizzazione affettiva della famiglia. E’ possibile creare la
presenza attraverso l’uso di oggetti metaforici, una sedia vuota, o attraverso il linguaggio come se,
o si può giocare con il telefono e far chiamare, realmente o metaforicamente, il membro assente o
resistente, per farlo sentire incluso in ciò che sta avvenendo in seduta.
L’importante è:
non antagonizzare nessun membro della famiglia
non imporre schemi di trattamento
il terapeuta deve essere una guida del processo terapeutico, evitando atteggiamenti
giudicanti e moralistici
Dove è la resistenza? Nelle cose o nella testa del terapeuta?
Se con il resistenza si intende forza contro, allora questo concetto non esiste nel vocabolario di
Whiticher, a questo punto lo sforzo del terapeuta è quello di tramutare il contro in in-contro. Di
conseguenza il No della famiglia non è un rifiuto ma una informazione ricca di significati.
Dalla compressione all’espansione dello spirito: l’anti DSM IV delle relazioni umane
Quello di Whitacher è un approccio simbolico-esperienziale che, affrontando difficoltà reali,
permette di entrare in contatto con parti di sé nascoste in schemi relazionali ripetitivi e improduttivi
che non lasciano spazio alla creatività e alla crescita.
La tensione verso gli stati più alti dell’individuo permette, durante le sedute, il processo di
normalizzazione, dove si perde il confine del disturbo mentale per cercare nella storia della famiglia
gli elementi di comprensione del mondo interiore di ciascuno.
Il sintomo come opportunità
Ogni disturbo mentale o relazionale non va considerato come tale, ma va considerato come
un’opportunità per comprendere l’altro e per insegnare al paziente modi più costruttivi per
esprimere la propria energia. Inoltre il sintomo individuale è una metafora per la famiglia, e il
terapeuta deve apprezzarlo, valorizzarlo e cercare un significato relazionale.
Il baricentro del terapeuta: per aiutare gli altri bisogna prima prendersi cura di se stessi
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9. Whitacher prediligeva una posizione periferica, si sedeva all’estremità esterna del gruppo per
evitare il contatto visivo con i membri della famiglia e avere una prospettiva a grande angolare. Per
evitare di essere divorati dalla famiglia preferiva lavorare in coterapia. La costruzione del linguaggio
attraverso salti temporali e l’uso di metafore permette di creare pause e situazioni di discontinuità.
La capacità di giocare insieme
Il gioco è un punto centrale della terapia di W. , usa l’umorismo per entrare in contatto con la
famiglia. Riesce a cogliere la soglia tra il tragico e il comico negli eventi della seduta. L’umorismo è
come un’anestesia generale per attutire il dolore, e inoltre uno spiraglio di cambiamento.
Importante per giocare con il mondo interno delle famiglie è la presenza dei bambini, che hanno la
capacità di passare dal dato concreto a quello simbolico. Giocare in terapia non vuol dire mancare di
rispetto alle famiglie, ciò che invece fa un atteggiamento stereotipato di professionalità e rispetto
formale.
James Framo, la sua opera, la sua vita
Tre eventi importanti segnano la vita di Framo:
l’esperienza della seconda guerra mondiale, si arruolò come volontario,
la morte dei due figli maschi
la separazione dalla prima moglie.
Nella sua terapia utilizza la famiglia di origine come risorsa. Le difficoltà che una persona nel
presente ha nella vita di coppia, nella famiglia o con se stessa, possono essere visti come forzi
riparativi, che hanno lo scopo di correggere, elaborare o cancellare antichi paradigmi relazionali che
provengono dalla famiglia di origine.
Nelle relazioni intime che scegliamo, cerchiamo di trovare una risoluzione interpersonale per i nostri
conflitti intrapsichici.
Direzioni positive nel campo della terapia familiare
Il pensiero di Framo:
Condivido il movimento che si allontana dalla patologizzazione dei comportamenti; abbiamo
rimpiazzato l’individuo patologico con la famiglia patologica.
La tecnica più importante usata dai terapeuti familiari è la ridefinizione, la più efficace per
produrre cambiamenti; offrendo un modo di vedere gli eventi sotto una luce diversa, molti
comportamenti cristallizzati possono modificarsi durevolmente.
Lavorando su unità familiari non tradizionali si riflette sui cambiamenti della società.
Il femminismo ha avuto un profondo impatto sulla cultura, cambiando i ruoli di uomini e
donne. Il genere sessuale è stato introdotto come una grande riformulazione delle dinamiche
familiari.
Direzioni negative nel campo della terapia familiare
La mia prima critica
Nella terapia familiare c’è una tendenza a vedere ogni cosa che viene prima come superata; il
nuovo non si integra e non ha continuità con tutto quanto detto prima. Questi approcci non devono
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10. cancellare la comprensione delle dinamiche familiari nei suoi principi basici contestuali e sistemici.
Il settore è andato avanti e si è discostato dai problemi reali della vita familiare.
Ora sul genere sessuale
Un aspetto dannoso del movimento femminista sono le femministe fondamentaliste, che fanno
dell’uomo un nemico, colpevolizzandolo e ridicolizzandolo.
Consigli per una terapia efficace
Cose che ho imparato nel tempo e consigli ai terapeuti che cominciano:
I terapeuti non possono relazionarsi con tutti i clienti; possono accadere degli errori durante
la terapia, l’importante è confessarli al paziente.
La terapia è un affare complicato.
Quando una famiglia viene in terapia è importante farsi una domanda: perché si viene
adesso in terapia, se il problema esiste già da tempo?
I metodi terapeutici che ignorano il passato e la storia sono destinati a fallire.
Un sentimento naturale verso i genitori è di ambivalenza, che si trasmette a livello affettivo
sul partner e sui figli.
Il terapeuta deve lavorare sulla sua unità piuttosto che sulla tecnica; la cosa più difficile è
ascoltare i clienti senza pensare alle proprie idee o teorie. Per essere un buon terapeuta è
importante essere un Uomo.
La gente cambia in terapia quando non ha alternative.
Bisogna convertire il problema individuale in un caso familiare, per ottenere cambiamenti.
Con le famiglie bisogna essere consapevole della psicologia familiare, l’intrapsichico non può
essere ignorato.
Uomini e donne pensano diversamente, per ovviare ai pregiudizi è utile lavorare in
coterapia maschio/femmina.
La perdita o la minaccia di perdita di una relazione è una delle più grandi fonti di sintomi; il
lutto abortito può dare, anni dopo, problemi nell’intimità e difficoltà sessuali.
Il lavoro politico con i sistemi sociali: il modello strutturale di Salvador Minuchin
Due caratteristiche hanno da sempre organizzato il lavoro di Minuchin: l’attenzione all’influenza dei
fattori sociali sulla vita quotidiana, e la focalizzazione su gruppi di utenti emarginati e a basso
reddito.
Sperimenta il limite del modello psicoanalitico dominante che non tiene conto delle ridondanze
relazionali che regolano il comportamento. Ipotizza che il comportamento dei singoli membri del
sistema familiare sia riconducibile a schemi predeterminati che danno luogo a reazioni prevedibili.
Lavorando con famiglie disorganizzate, nascono le prime tecniche strutturali: scambiarsi di posto,
poter parlare solo quando alla persona viene passato un oggetto in mano.
Non da attenzione all’introspezione, quindi rende lo spazio una metafora delle regole familiari.
La teoria sociologica che organizza il pensiero del tempo, è organizzata sui ruoli, le gerarchie e le
funzioni, in un mondo che si immagina debba funzionare in maniera ordinata. Il contesto sociale
influenza le famiglie che a loro volta organizzano e danno l’imprinting ai comportamenti dei singoli
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11. individui. La famiglia è considerata la matrice dell’identità. Un modello per il buon funzionamento di
ogni famiglia implica confini ben chiari e definiti.
Altro concetto interessante è quello di blueprint intesa come la tendenza da parte del sistema di
ripetere in situazioni nuove interazioni usuali e conosciute.
Nel modello strutturale propone una terapia basata sul qui e ora, attenta ai comportamenti
comunicativi.
All’attenzione privilegiata alle famiglie e al contesto osservato, si aggiunge una maggiore
focalizzazione sulla terapia e sul trattamento.
Due sono le categorie per descrivere le famiglie:
1. le famiglie disimpegnate, che mostrano connessioni poco strutturate, legami deboli e pochi
rapporti;
2. le famiglie invischiate, che mostrano un’alta interconnessione e risonanza tra gli individui.
Manca la differenziazione tra gli individui.
Compito del clinico non sono le interpretazioni, né le spiegazioni; la terapia agisce sulla base
dell’abilità nel bloccare le usuali modalità di funzionamento perché la famiglia possa trovare
alternative, suggerire proposte in seduta ed evolvere verso un nuovo livello di organizzazione.
Clinico attento alle azioni non verbali
Che si mette in gioco in prima persona
Clinico scenografo e regista delle interazioni familiari.
Il modello clinico prevede la necessità di far precipitare una crisi nel sistema in modo da
destrutturate la famiglia perché diventi più disponibile a introdurre novità. Quindi de-strutturate per
ri-strutturare. In una seduta strutturale si interviene sul sintomo e sulla struttura.
Il clinico deve acquisire la capacità di avvicinarsi molto agli individui, e poterli sfidare con forza o
accoglierli con calore. Il joining è la tecnica per collegarsi alla famiglia.
I contributi più importanti di Salvador Minuchin
Quali sono i suoi contributi più importanti?
1. Lo sviluppo della teoria della terapia familiare strutturale, che si riferisce alle complessità delle
interazioni tra gli esseri umani e la loro famiglia.
2. La sua preoccupazione per la giustizia sociale e l’interesse per la famiglie povere che vivono ai
margini della società.
3. La sua dedizione per la formazione.
4. Aver scritto tanti libri.
Non ha bisogno di parlare per spiegarsi, mette direttamente in pratica il suo pensiero, diceva
sempre: “pensa in modo complesso e agisci in modo semplice”.
Attraverso quello che lui chiama viaggio di trasformazione, si è evoluto da terapeuta individuale a
terapeuta familiare; ha sempre sentito una grande responsabilità nei confronti dei bambini.
Lavorando con i delinquenti minorenni cominciò a mettere a fuoco le sue idee sulle famiglie e i
sistemi.
Cominciò a vedere ogni comportamento come azione, ma anche come reazione.
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12. L’enfasi dell’approccio strutturale è posto sulla disponibilità delle persone, la lealtà e l’impegno
reciproco. Noi siamo responsabili dell’altro.
L’obiettivo della terapia è la trasformazione nelle relazioni e l’espansione della capacità del noi per
superare le difficoltà ed essere uniti.
I pensieri alla base dell’etica collettivistica:
Siamo tutti legati gli uni agli altri in relazioni.
In quanto esseri umani abbiamo molte capacità, tesori nascosti.
In quanto persone siamo competitivi, abbiamo abilità.
La famiglie sono tutte uguali e allo stesso tempo uniche.
Questa etica riguarda anche il terapeuta, il cui ruolo è essere promotore del cambiamento.
La terapia familiare Strutturale vede la terapia come l’incontro di due culture, quella della famiglia
e quella del terapeuta. Il cambiamento avviene nel legame che si forma tra queste persone.
la terapia è un lungo viaggio nella scoperta. Il terapeuta non immette nulla di nuovo, deve solo
tirare fuori quello che è già presente.
Il terapeuta è un provocatore. I membri della famiglia sono incoraggiati a interagire l’uno con l’altro
La tecnica delle prescrizioni è il nocciolo di questa teoria. Con le prescrizioni raggiungiamo la
famiglia al livello delle emozioni e dei rapporti. Ascoltiamo la storia e guardiamo le interazioni.
Le mille vite di Jay Haley: un percorso polifonico
Due persone hanno influenzato il suo modo di pensare, Bateson e Erickson, con i quali lavora in
gruppo.
Si occupa della comunicazione all’interno di un sistema con un membro schizofrenico. E propone il
concetto di double bind, doppio legame, inteso come una comunicazione in cui ci sia una
ingiunzione, una seconda ingiunzione in conflitto con la prima, e una terza che proibisca di
abbandonare il campo.
Viene elaborato un modello per descrivere le relazioni e per differenziare le famiglie con un
membro schizofrenico dalle altre, e propone la schizofrenia come modalità adattiva all’interno di
quei sistemi familiari regolati da particolari interazioni comunicative.
Prende forma l’idea del paziente designato, lo psicotico dichiarato, si sacrifica per il gruppo; si inizia
a ipotizzare sui miti familiari; si immaginano le famiglie organizzate dalla tendenza a mantenere lo
status quo.
La collaborazione tra Haley e Bateson si interrompe sull’idea di potere: H. identifica la quantità di
potere che una persona permette ad un’altra di avere su di lei come il problema centrale
dell’esistenza umana; per B. non esiste nelle persone questo bisogno di controllo.
Secondo Haley la famiglia è organizzata gerarchicamente, i membri lottano l’uno contro l’altro e chi
controlla acquista una posizione centrale e fondamentale nel dettare regole.
Da Erickson ha mediato l’idea del terapeuta come provocatore e catalizzatore di cambiamento.
Quella di Erickson appare una terapia legata al problema presentato, in cui si presta attenzione alle
risorse del singolo, e si tenta di interrompere il pattern usuale di comportamento; una terapia
interessata alle resistenze e a come aggirarle.
In terapia si utilizzano tecniche diverse per problemi diversi. Il terapeuta strategico interviene sui
problemi non sulla famiglia, non sul sistema.
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13. Considera la famiglia come unità essenziale in analisi; la sua idea di triangolo trova in terapia, si
occupa infatti dell’interazione tra tre persone: la coalizione tra due persone con posizione
gerarchica diversa contro una terza in una posizione relazionale in cui questa coalizione viene
negata.
Propone le teoria del problem solving. Un modello che fa da ponte tra il modello strutturale e quello
strategico. Insiste sulla necessità di identificare le sequenze comportamentali triadiche più usuali e
di prestare attenzione al rispetto dei confini gerarchici come garanzia del buon funzionamento
familiare. Nelle famiglie patologiche esistono due gerarchie, una ufficiale e un’altra che squalifica la
prima.
Il pensiero haleiano:
Il terapeuta è incluso nella diagnosi, e determina con la definizione del problema, la
possibilità o meno di rendere una situazione evolutiva; è responsabilità del clinico definire il
problema in modo che possa essere risolto;
Il processo terapeutico include un’indagine sul problema presentato e sui cambiamenti
desiderati;
Il clinico ha il compito di dare direttive chiare e precise e di ottenere che le persone si
comportino nella maniera desiderata;
I sintomi sono una metafora di problemi e conflitti di potere, non si sviluppano a caso ma
sempre nei momenti di crisi che coincidono con il passaggio della famiglia da uno stadio all’altro
del ciclo vitale.
Haley propone una terapia direttiva, come la supervisione che lui opera: il supervisore è in
controllo e determina ciò che accadrà nella stanza, ha l’ultima parola rispetto alle tattiche e alle
strategie; il modo in cui il supervisore si comporta con il clinico lo influenzerà in terapia e così via
nella scala gerarchica della famiglia, con una modalità a cascata.
Sposa Cloè Madanes, che lo influenzerà: viene introdotta la tecnica teatrale; e la fantasia e la
creatività per costruire realtà alternative.
Il contributo di Milton Erickson alla psicoterapia della famiglia
L’uso limitato della teoria e l’approccio efficace
La terapia di Erickson era pratica e improntata a raggiungere risultati tangibili. Ha sempre enfatizzato
il ruolo della efficacia dell’intervento: è soprattutto il risultato a indirizzare il terapeuta, piuttosto che
la teoria.
L’attenzione al contesto
Era sensibile al contesto di appartenenza dei pazienti. Si trovava pronto a riconoscere le matrici
sociali e culturali del disagio individuale e ne teneva conto nella progettazione delle strategie
terapeutiche, che venivano calibrate non solo sul singolo, ma anche sul contesto sociale più esteso.
L’osservazione responsiva
La prima parte dell’intervento è un’accurata osservazione, che accompagna comunque l’intero
processo terapeutico. L’osservazione è un processo attivo che modifica l’individuo o il contesto
familiare. Viene definita responsiva in quanto capace di dar luogo alla risposta del terapeuta che è
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14. sinergica con i dati dell’osservazione, si tratta cioè della coerenza del terapeuta che orienta il suo
comportamento in relazione ai dati che coglie nell’osservazione.
La visione positiva della causalità lineare
Erickson era convinto del valore positivo delle motivazioni dell’individuo. Un individuo o una famiglia,
per quanto disturbati, conservano capacità e risorse che svolgono un ruolo fondamentale nel
determinare l’efficacia dell’intervento terapeutico.
Aspetti che vengono valutati positivamente:
Forza positiva dell’inconscio
Risorse dell’individuo e della sua famiglia
La tendenza di individui e famiglie a produrre cambiamenti costruttivi anche tramite
cambiamenti sintomatici
Le potenzialità terapeutiche della famiglia
L’utilizzazione da parte del terapeuta dei pattern individuali e familiari
L’utilizzazione
È necessario che il terapeuta dimostri di credere in ciò che afferma. Quando il terapeuta ridefinisce
in positivo un comportamento che la famiglia ha sempre ritenuto negativo, può dare dimostrazione
di buona fede se riesce a utilizzare quello specifico comportamento. L’utilizzazione contiene un
implicito riconoscimento del valore positivo di ciò che viene utilizzato, questa implicazione viene
affermata e dimostrata dalle vantaggiose conseguenze che l’utilizzazione abitualmente comporta.
Quando un sintomo è utilizzato non può più essere considerato tale, perché finisce per trasformarsi
in uno strumento utile per ottenere un risultato terapeuticamente valido. L’utilizzazione dei sintomi
e delle resistenze ridimensiona la loro disfunzionalità e permette di riconoscerne le potenzialità.
L’atteggiamento paradossale
Importante riconoscere l’atteggiamento paradossale del terapeuta, che consente di evitare gli
eccessi delle strategie. L’atteggiamento paradossale è fondato soprattutto sulla conferma dei
pattern familiari, sulla convinzione che siano questi gli strumenti stessi del cambiamento.
I livelli multipli
Il terapeuta deve tener conto dei livelli differenti, sul piano logico, comunicativo e
comportamentale, che si determinano nel corso del processo terapeutico.
Principi dei livelli multipli di osservazione e di intervento:
1. la realtà e i punti di vista degli individui, della famiglia e del terapeuta non hanno valore
assoluto ma possono mutare nel tempo.
2. le affermazioni in seduta non sono mai né del tutto vere, né del tutto false; il terapeuta
non deve ottenere la “verità”,ogni informazione può contenere significati rilevanti oppure no.
3. l’intervento deve rispettare le molteplicità di significati della comunicazione.
4. il linguaggio del terapeuta deve contenere semplicità e complessità: semplice per essere
compreso, complesso perché deve rispondere a molti interrogativi.
5. la richiesta di cambiamento non è totale.
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15. 6. il terapeuta non svolge la funzione di determinare il cambiamento della famiglia, ma ne
crea semplicemente l’opportunità.
Il linguaggio indiretto
Il terapeuta accetta le comunicazioni non esplicite o ambigue e ne rispetta la complessità,
rispondendo con comunicazioni altrettanto complesse, come quelle del linguaggio indiretto
(metafore, aneddoti, storie…). Il terapeuta deve comunque saper usare in modo corretto anche il
linguaggio diretto ed essere esplicito e chiaro quando le famiglie lo richiedono.
L’importanza della relazione terapeutica
Rapport: stato in cui il soggetto risponde solo all’ipnotista, e sembra incapace di fare qualsiasi cosa
a meno che non ne riceva ordine. La concentrazione e le consapevolezza del soggetto sono dirette
sull’ipnotista. Il rapport è il prototipo della relazione terapeutica ideale, una relazione che esalta la
responsività reciproca tra soggetto e ipnotista. Erickson ha sempre sottolineato la bilateralità del
rapport: non è solo il soggetto a sviluppare una relazione verso l’ipnotista, ma anche quest’ultimo a
sviluppare una relazione altrettanto specifica e selettiva verso il soggetto.
Mara Palazzoli Selvini: un’emblematica storia di resilenza
In psicologia i resilenti sono quegli individui che sopravvivono ad eventi fortemente stressanti e
traumatici. Questi eventi vengono collegati a successive tragedie, delineando tragiche catene
intergenerazionali di trasmissione della sofferenza. I resilenti sono l’eccezione a questa regola, pur
avendo subito traumi, vivono sereni.
Quali fattori consentono ai resilenti di sopravvivere o addirittura di prosperare?
Mara è resilente in quanto rifiutata e dimenticata dai genitori.
È l’allieva più brava della scuola; ma si rifugia nello studio per fuggire dalla realtà familiare.
La salva la capacità di non essere passiva, di non sentirsi vittima impotente. Ha la capacità di
lottare non solo per l’affermazione personale, ma anche per farsi rispettare nelle relazioni più
importanti.
Una base sicura è la salvezza. Questo è il primo fattore di resilenza. E chi non ne ha potuto fruire
con la madre biologica, disperatamente lo ricercherà altrove per tutta la vita.
Aver conosciuto l’amore incondizionato di una madre è un primo fattore di resilenza, mai sentirsi
vittima è il secondo, ma la capacità autocritica di un genitore ne è un terzo.
Il resilente è un individuo che fatica a trovare un punto di equilibrio; rischia di oscillare da un
eccesso di dipendenza quando sente di aver trovato l’amore, e un eccesso di autarchia (autonomia)
quando teme di dover contare solo sulle proprie forze.
Il resilente ha vissuto sulla propria pelle la constatazione che non solo l’amore lo rende
protagonista, anche la rabbia, l’odio, la sfida, hanno fatto di lui quello che è.
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