Psiconcologia: quando il cancro colpisce la famiglia. Un intervento di Luca Mazzucchelli, psicologo di Milano, sul ruolo della rete di salvataggio dei pazienti oncologici.
15. "Il vero viaggio di scoperta non consiste nel cercare nuove terre, ma nell'avere nuovi occhi" - M. Proust Luca Mazzucchelli www.psicologo-milano.it [email_address]
Notas del editor
Vorrei iniziare parlandovi brevemente di un fatto storico successo più di 60 anni fa. Si tratta dell’attacco di Pearl Harbour, un'operazione aereonavale che tutti voi conoscerete, che vide protagonista le forze navali ed aeree giapponesi, le quali attaccarono la base navale statunitense nelle isole Hawaii. L'attacco, portato senza una preventiva dichiarazione di guerra da parte giapponese, viene ricordato per la grande disfatta registrata dagli americani, poiché in circa un'ora gli aerei giapponesi affondarono la metà delle corazzate americane, mentre le altre furono fatte arenare o subirono gravi danni; Ci furono molte vittime ma anche dei superstiti. Gli psichiatri dedicarono tempo a studiare i traumi dei sopravvissuti e il loro evolversi e notarono una cosa curiosa: alcuni sembravano non riuscire a ricominciare uno stile di vita “normale”, mentre altri rispondevano meglio all’evento traumatico, riuscendo a riprendersi prima dei loro colleghi dalla gravità della propria patologia. Dopo qualche tempo dedicato a studiare i superstiti, gli psichiatri si accorsero che i ragazzi che sembravano riprendersi meglio dal trauma erano perlopiù quelli che stavano in cucina: dei cuochi. Durante l’attacco, benché colti di sorpresa riuscirono a salire sul ponte e con quello che avevano a disposizione provarono a reagire all’attacco. Portarono sul ponte i sacchi di patate e cominciarono a tirarle contro gli aerei nemici. Ovviamente non riuscirono ad abbattere nessun aereo a loro ostile, ma quantomeno ebbero la possibilità di agire una reazione rispetto a un evento che altri vissero esclusivamente in maniera passiva. Ebbero la possibilità di fare qualcosa che, seppure apparentemente stupido, era stato in grado di fornire loro un vissuto diverso dal restare inermi ed impotenti di fronte a un evento indubbiamente traumatico. Vi ho parlato di questa sconfitta e del modo di rapportarsi a essa perché una cosa importante difronte alla diagnosi di tumore è l’ottenere un aiuto per rapportarsi a questi vissuti in maniera propositiva, in modo da conservare uno sguardo verso il futuro. E’ con il vissuto di impotenza e ingiustizia che dobbiamo primariamente confrontarci e sul quale dobbiamo cercare di lavorare. In questo panorama la famiglia e gli amici assumono un ruolo molto importante, capace talvolta di aiutare a trasformare quella che è una ferita, una esperienza di dolore e sofferenza, in una feritoia, un punto di osservazione dal quale riuscire a guardare la realtà protetti, inevitabilmente diversi da come si era prima.
Ecco le analogie con pearl Harbour…. Il cancro è una invasione e i membri della famiglia, così come le persone particolarmente vicine a chi ne è afflitto, si sentono loro stesse colte all’improvviso e ingiustamente da questa malattia. Sono loro il primo mezzo di sostentamento emotivo per il paziente, e il quadro in cui la persona e la sua malattia vengono inserite: una buona interazione con questi componenti può permettere di vivere nella maniera più serena possibile un evento di tale entità. Il cancro colpisce la famiglia negli affetti, nelle cognizioni, nei comportamenti, modificando le abitudini quotidiane, i progetti per il futuro, sentimenti e rappresentazioni di se stessi e degli altri famigliari. Per tornare alla metafora di Peral harbour è importante che la rete di salvataggio relazionale di chi viene colpito dal cancro riesca a “tirare le patate”, ossia a reagire lei per prima all’evento. Vi è poi chiaramente modo e modo di reagire, e come vedremo poi un altro punto importante è l’ascolto silenzioso della persona cui vogliamo bene, perché ci sono momenti in cui occorre reagire, e altri in cui invece c’è bisogno di ascoltare e semplicemente “esserci”.
In USA 3 famiglie su 4 sono toccate dal cancro, in occidente una su tre. (Global Cancer statistics, American Cancer soscyety 2004) Questo è un dato del 2004, non ho motivi per credere che sia diminuito, mi sembrava importante riportarlo qui, visto che uno degli intenti del mio intervento è quello di mettere l’accento sulla diagnosi di cancro quale disagio non solo individuale ma di un sistema di persone e relazioni che va a intaccare. Questo anche in virtù di uno studio condotto nel 2005 su coppie di pazienti affetti da cancro, Dal quale emerge che se un partner sviluppa una sofferenza psicologica, è più che probabile che ciò avvenga anche per l’altro. Sembra esserci un effetto contagio, per cui il partner sano ha la stessa possibilità di sviluppare una sofferenza psicologica che il paziente. E’ allora legittimo chiedersi talvolta quale sia allora il paziente da assistere?
i compiti della rete di salvataggio Quando arriva la diagnosi di cancro, la rete di salvataggio del malato deve acquisire nuove competenze e compiti da svolgere. La risposta della famiglia allo stress psicologico del paziente implica accettare che il paziente possa regredire fisicamente de emotivamente, tollerare le sue manifestazioni di paura, ambivalenza e rabbia, oltre al prendersi cura e preoccuparsi con lui. I membri devono attivarsi nel sostegno emotivo del paziente per modulare l’esperienza di malattia mentre essi stessi cercano di gestire le proprie emozioni profonde.
Il cancro richiede alla famiglia di riconsiderare le relazioni a lei interne. La qualità delle relazioni (famigliari) influenza il futuro dei suoi membri. A maggior ragione davanti a un cancro I bivi spesso richiamano la famiglia a un cambio di marcia per sviluppare nuovi stili di relazioni, abitudini e priorità . La presenza di una malattia cronica e i regimi di trattamento possono minacciare la flessibilità famigliare. Talvolta le famiglie aderiscono rigidamente alle nuove regole, sovrastate da troppe esigenze. Le ambiguità, la rigidità, il riserbo e la chiusura sono indicati come aspetti stressanti nelle circostanze in cui le famiglie devono adeguarsi alla diagnosi e prognosi del congiunto malato.
I fattori di rischio della famiglia comprendono: Conflitti, criticismo, colpevolizzazione; trauma connesso alla diagnosi e al trattamento; rigidità, diniego; altri stressor esterni; carenza di sistemi di supporto extra-famigliare; compiti di sviluppo interrotti dalla malattia; carenza di fiducia;
Questi i fattori protettivi della famiglia: intimità, reciprocità, connessione; relazioni supportive; espressività emozionale; competenza ad affrontare nuove circostanze ed effettuare i necessari cambiamenti; organizzazione chiara; tolleranza delle credenze individuali e familiari;
In questo contesto così delicato si capisce da sé come la comunicazione possa essere uno dei pochi strumenti a disposizione della famiglia e degli amici, che sia in grado a un qualche livello di dare sollievo e benessere. Le abilità nella comunicazione efficace sono aspetti cruciali dell’equilibrio funzionale in tute le famiglie, e se siamo davanti a una malattia cronica la comunicazione diventa a maggiore ragione più importante. Questo perché vanno prese decisioni importanti, ci sono molti problemi da risolvere e spesso più persone all’interno del sistema famigliare a fornire indicazioni ambigue e contradditorie.
Vorrei ora prendere un esempio concreto e complesso, parlando del quale non ho la pretesa di essere esaustivo, ma credo che sia comunque possibile dare alcuni spunti di riflessione interessanti. Come si deve comportare la rete di salvataggio quando il paziente è un bambino? Quando il cancro viene diagnosticato al bambino si verifica, solitamente, una regressione complessiva dell'intero sistema famigliare. Il bambino regredisce perché nota una maggiore protezione da parte dei genitori nei suoi confronti. Può succedere che, ad esempio, la madre disinvesta attenzioni da ogni altro interesse spostando tutte le energie sul figlio, creando una coppia quasi simbiotica nella quale diventerà difficilissimo entrare e anche poi uscire.
Come si deve comportare la rete di salvataggio? (considerando che ci sono poi sempre dei casi a sé e che generalizzare non è semplice. Prima di tutto, Per evitare di creare situazioni di più complessa gestione, è importante che i genitori siano a conoscenza innanzitutto delle esigenze che il bambino acquisisce nel momento in cui gli viene comunicata la sua malattia. • Il bambino ha bisogno di sapere che è amato. • Deve sapere che a causa della malattia non sarà rifiutato. • Deve sapere che la malattia non è colpa sua. Questo punto è importante perché i bambini fin da piccoli sono abituati a sapere che se si ammalano la colpa è loro (si ammalano perché hanno sudato, perché non si sono vestiti a sufficienza, perché si sono allontanati dai genitori, non si sono asciugati i capelli, etc.). • Deve sapere che lui conta sempre e comunque, non è espropriato dalla sua vita e dal suo sistema: quello che dice, vive e prova è tenuto in considerazione. • Deve sapere dell'aspetto fisico che verrà ad assumere in seguito alle terapie: questi cambiamenti lo renderanno inevitabilmente diverso, ma questa diversità sarà transitoria e comunque funzionale all'obbiettivo comune della guarigione. • Pur percependo la sua diversità (che è inutile nascondere), non dovrà smettere di essere un bambino. E' fondamentale, quindi, continuare a dargli spazi ludici e di crescita: trovare una giusta via di mezzo che non lo responsabilizzi oltre la sua età, ma che nemmeno lo tenga in una gabbia dorata, all'oscuro dei fatti, fingendo che sia “tutto come prima”.
E' importante prepararlo a un percorso terapeutico che rischia di essere lungo, doloroso e difficile, e per fare questo è fondamentale che siano preparati anche i suoi genitori: i bambini, infatti, spesso percepiscono la gravità della propria situazione dalla preoccupazione dei famigliari. E' quindi inutile nascondergli le cose, a meno che non siano particolari che non capirebbe. Il genitore deve essere prima di tutto un interlocutore onesto e sincero. Sensibilità, equilibrio ed empatia sono gli ingredienti necessari per conservare una buona comunicazione in un momento estremamente delicato. Per affrontare questa delicata situazione, come già detto, non esistono ricette efficaci generalizzabili a qualsiasi situazione, ma è di fondamentale importanza rivolgersi tempestivamente a un esperto capace di valutare caso per caso la strada più utile da seguire.
Infine lascio con alcuni estratti da un articolo pubblicato sulla repubblica, che vogliono riprendere il tema iniziale, quello relativo alla possibilità di trasformare la ferita in feritoia, domanda alla quale io personalmente ancora non ho trovato una risposta certa. Però il mio parere forse conta anche poco, mi fa piacere riportare, come segno di apertura e di speranza, le parole delle pazienti stesse, sicuramente più attendibili di quelle di uno psicologo.
Una volta si parlava, specie nella terapia sistemica di un bel regalo in una carta brutta. Non credo che in queste situazioni si possa parlare di questo. Però credo forse sia più opportuno citare Proust, quando diceva che Il vero viaggio di scoperta, probabilmente, non è vedere posti nuovi, ma gli stessi posti con occhi diversi. In questo viaggio obbligato e non scelto, la rete di supporto svolge un ruolo fondamentale per riuscire a cogliere le opportunità che seppur nascoste, è utile cercare.